Gorizia, disastro al Giro. Ciccone all’ospedale, Van Aert accusa

24.05.2025
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C’erano le Frecce Tricolori e le bandiere. Se non fosse stato per la pioggia, sarebbe stata una giornata di festa. Si annunciava come una tappa di avvicinamento alle prime montagne, con l’arrivo condiviso fra Gorizia e Nova Gorica nel segno della cultura e della fratellanza tra i popoli. Invece si è trasformata nel disastro per i protagonisti italiani del Giro d’Italia. Può succedere ancora tutto, come si affrettano a ripetere i commentatori televisivi, ma il dato di fatto sconsolante è che la situazione rosea di ieri è ormai un lontano ricordo.

Colpa di una caduta provocata non certo dal fato: in certe dinamiche purtroppo la sfortuna non è il primo fattore da considerare e dopo la tappa Van Aert lo ha detto chiaramente. Mancavano 23 chilometri al traguardo e in testa al gruppo la Visma-Lease a Bike lavorava nella scia di Asgreen ancora in fuga, per portare Kooij alla volata, quando è successo il finimondo.

«Certo era un circuito con molte curve – ha detto Van Aert ai media belgi dopo l’arrivo – ma quello di Lecce mi era sembrato molto più pericoloso. Quello che è successo oggi è stato una scelta dei corridori. I team di classifica sono nervosi, producono il loro stress ed è per questo che cadono. Bisogna avere il coraggio di dirlo. Corrono costantemente dei rischi eccessivi ed è per questo che cadono».

Non è ancora dato sapere se ci saranno polemiche perché la squadra olandese ha continuato a tirare, ma con Asgreen ancora in fuga e lanciato verso la vittoria non avrebbe avuto senso fermarsi. E così la Visma si è ritrovata senza la tappa, ma con Simon Yates rientrato in classifica. Anche se non è così probabilmente che sarebbero voluti tornare in gioco.

Del Toro, occhi di gatto

La caduta, si diceva, è avvenuta nelle prime quindici posizioni del gruppo, a conferma di quanto detto da Van Aert. Sono rimasti dietro quasi tutti gli uomini di classifica, ad eccezione di Isaac Del Toro, che ha riflessi da gatto e sembra quasi avere l’occhio magico per prevedere quel che accadrà. La tappa era vissuta quasi interamente sullo stesso schema, con i quattro fuggitivi davanti e il gruppo a fare l’elastico alle loro spalle, per non prenderli troppo presto. 

Asgreen, Davy, Marcellusi e Maestri, con la Alpecin e la Visma dietro a tenere il ritmo allegro avendo ancora Groves e Kooij con i migliori. Tutto il giorno così, fino al primo passaggio sul Saver, salita di 700 metri con una pendenza del 7,7 per cento, quando il gruppo è stato completamente falciato da una caduta.

Una strettoia tra le vie cittadine. Il fondo acciottolato bagnato. E dopo la frenata, il rumore della caduta. Tra coloro che hanno messo piede a terra e che sono anche caduti, si sono segnalati subito Pedersen e Vacek, candidati a giocarsi la tappa. La maglia rosa Del Toro, che però è ripartito subito. Bernal, Roglic e Ayuso, lesti a riprendere il ritmo. Mentre Ciccone è rimasto fermo, poi si è seduto sul marciapiede, con il ginocchio evidentemente malconcio.

Prima della tappa, l’abruzzese era settimo in classifica generale, a 2’20” dalla maglia rosa. Aveva conquistato per due volte il podio, ma ora il punto di domanda è se riuscirà a ripartire domani ed eventualmente virare verso la conquista di una tappa. In questi casi, più del dolore fisico fa lo scoramento e la faccia di Giulio mentre si infilava nella tenda per cambiarsi non prometteva nulla di buono. Il ritardo di 16’14” con cui la Lidl-Trek ha tagliato il traguardo compatta suona come una sentenza inappellabile.

Distruggersi per vincere

La voce di Asgreen risuona a margine della baraonda ed è giusto riconoscere il merito a questo danese concreto e duro, che già in passato è riuscito a battere Van der Poel nella volata a due di un Fiandre. Era il 2021 e in quel piegare Mathieu dopo la fuga a due c’era la sua capacità di tirare fuori il meglio quando anche i più forti sono stanchi. Per questo oggi non ha avuto grandi problemi a scrollarsi dalla scia Marcellusi e Maestri ormai allo stremo delle forze.

«E’ stata una giornata dura – ha detto – per arrivare a questo genere di cose devi distruggerti completamente, ma quando ci riesci la gioia è tanta. La squadra mi ha dato molte informazioni e mi ha anche suggerito a un certo punto di attaccare. So che nella seconda parte di un Grande Giro, le fughe possono arrivare, anche se è una tappa pianeggiante. Eravamo tutti stanchi e per questo ho dato tutto gas. Il circuito era tecnico, le strade erano bagnate, era difficile per il gruppo andare più veloce di noi nella fuga».

Ciccone all’ospedale

La giornata promette di essere ancora lunga. Il reparto comunicazione della Lidl-Trek ha chiesto di non contattare i corridori del team e che gli aggiornamenti saranno forniti quando anche loro sapranno qualcosa di più. Ciccone è stato accolto all’arrivo dal dottor Daniele, che ha cercato subito di farsi un’idea delle sue condizioni. Nel momento in cui scriviamo questo articolo, Giulio sta andando all’ospedale per sottoporsi a radiografie che possano dare una dimensione al suo infortunio. Le ambizioni di classifica forse erano tramontate dopo la cronometro, ma certo nessuno poteva immaginare una simile svolta nel suo Giro.

Vi forniremo aggiornamenti sui nostri canali social quando anche noi sapremo qualcosa di più. Furono ugualmente una caduta (provocata tuttavia da un capriolo che aveva attraversato la strada) e il conseguente dolore al ginocchio a causare il ritiro dell’abruzzese dalla Vuelta dello scorso anno. Attendiamo notizie dal team e intanto cerchiamo di capire quale potrà essere il ruolo dei nostri in questo Giro che è certo d’Italia, ma sempre meno degli italiani.

P.S. alla fine Ciccone ha dovuto alzare bandiera bianca. Gli esami hanno confermato che Giulio ha riportato un importante ematoma al muscolo vasto laterale del quadricipite destro e una piccola lesione alla fascia muscolare. Le sue parole nel comunicato della Lidl-Trek.

Sfida fra titani. Vicenza come una classica, vero Ballerini?

23.05.2025
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Ma era una classica del Nord o una tappa del Giro d’Italia? Una côte da Amstel Gold Race o un muro fiammingo? E vogliamo parlare degli interpreti? Mads Pedersen e Wout Van Aert, uno spettacolo per la gioia dei tifosi. Una volata da “vite spanata”, come ci ha detto Davide Ballerini. Una volata che ha visto il quarto sigillo di Mads Pedersen e Isaac Del Toro, terzo, che a forza di abbuoni (e non solo) allunga ancora un po’.

Il corridore della XDS-Astana ha commentato con noi questo splendido finale di Vicenza, tredicesimo atto del Giro d’Italia numero 108. Ballerini era in palestra e stava lavorando sodo per rientrare dopo l’incidente e la consueta frattura del polso alla Parigi-Roubaix. Ma tra un peso e l’altro si è fermato per godersi questo finale stratosferico.

Il gruppo fila tra i filari! L’Italia è davvero stupenda
Il gruppo fila tra i filari! L’Italia è davvero stupenda

Germani, Scaroni e… la UAE

La Rovigo-Vicenza scorre via tra i drittoni della Bassa e le bellezze delle colline venete. Lorenzo Germani è l’ultimo a mollare. O almeno così sembra. Poi lo raggiunge Christian Scaroni. I due vanno. Ma dietro la solita UAE Emirates si mostra famelica. Il chilometro Red Bull mette in palio secondi di abbuono e la squadra emiratina li vuole.

Scaroni si prende i primi 6″, ma poi ecco i ragazzi di Gianetti. Oggi tocca a Juan Ayuso prendersi i 4″ grazie a Isaac Del Toro che di nuovo fa la volata guardando all’indietro. E comunque mette in tasca 2″. Sulla questione fra il messicano e lo spagnolo si è detto e ridetto tutto e cosa bolle veramente in pentola ormai ce lo dirà la strada delle montagne che inizieranno domenica.

Il finale della Rovigo-Vicenza invece è da battiti alti. Mathias Vacek e Romain Bardet arrivano ai 500 metri, poi Alpecin-Deceuninck soprattutto e Visma-Lease a Bike chiudono ed è volata con la crème de la crème nelle prime posizioni.

Nel finale ci provano Germani e Scaroni. Azione ben vista da Ballerini
Nel finale ci provano Germani e Scaroni. Azione ben vista da Ballerini
Davide, dunque: un finale bellissimo…

Veramente. Non so in quanti si aspettassero i velocisti… Ma bella tappa, aperta fino alla fine.

Davide, tu con quei “bestioni” ci fai a spallate nelle classiche del Nord e sai come si muovono. Portaci in gruppo a partire da quei 600 metri finali. Cosa hai notato?

La prima cosa che ho notato è stata vedere la Alpecin che ha tirato per Kaden Groves, ma lui non aveva gambe. Chi era davanti all’ultimo chilometro ne aveva più di lui, visto che ha portato Mads Pedersen e Wout van Aert fino ai 300 metri. Poi, quando vedi che Pedersen parte così lungo… sono dolori. Fai fatica a chiudere. E fatica l’ha fatta anche Van Aert, al quale ha preso subito 2-3 metri. Ma non è facile…

Perché?

Perché contro il Pedersen attuale ci vorrebbe il Mathieu van der Poel dei giorni migliori. E un’altra cosa che mi meraviglia di Mads è come tiene la condizione. Pensate: è andato forte nelle classiche ed è da inizio Giro d’Italia che è lì.

Big davanti. Tra abbuoni e un piccolo gap sul traguardo Del Toro ha incrementato di 9″ il vantaggio su tutti rivali (solo 7″ su Ayuso, che a sua volta aveva preso un abbuono).
Big davanti. Tra abbuoni e un piccolo gap sul traguardo Del Toro ha incrementato di 9″ il vantaggio su tutti rivali (solo 7″ su Ayuso, che a sua volta aveva preso un abbuono).
E dal punto di vista di Van Aert?

Parto da prima del Giro. Io, quando l’ho visto alle classiche, mi è sembrato molto magro rispetto al suo normale, ma è chiaro che si sta riprendendo. Lui viene da due cadute gravi dell’anno scorso e magari gli ci vuole un po’ per riprendersi, anche dal punto di vista della fiducia e della sicurezza in bici. In questo è in crescendo. Ha vinto una tappa durissima.

Che poi tutti noi ci aspettiamo sempre il Van Aert che vince le volate di gruppo, ma forse quel Van Aert non c’è più?

Senza il forse. È cambiato e tanto. Ripenso alle Tirreno o ai Tour di qualche anno fa, quando vinceva gli sprint e le crono. Molto dipende da come e su cosa si allena. E per me Van Aert non si sta allenando in ottica classiche.

Interessante, vai avanti…

Van der Poel si allena da classiche e corre i grandi Giri da classiche, cioè puntando alle tappe. Van Aert, invece, è uno che lavora, che tiene in salita i migliori venti. E questa è la differenza. Poi, okay, c’è Tadej Pogacar che si mette tra di loro e vince anche le classiche e fa quello che vuole, ma questo è un altro discorso. Ma se Van Aert si allenasse per le classiche, quella differenza la farebbe anche lui. Perché ha quel motore.

Grazie alla loro potenza Van Aert e Pedersen scavano un solco con gli altri (a 5″). Del Toro è nel mezzo (a 2″)
Grazie alla loro potenza Van Aert e Pedersen scavano un solco con gli altri (a 5″). Del Toro è nel mezzo (a 2″)
Davide, oggi Pedersen ha detto che ad un primo sguardo ai suoi dati non ha visto un grande picco, ma ottimi dati sul minuto. Spiegaci meglio?

Eh – ride Ballerini – un minuto di Pedersen in quel modo si avvicina ai mille watt! Ed è una cosa incredibile. Ora non so che numeri davvero possa aver fatto, anche perché siamo già alla seconda settimana del Giro e i valori, il peso, cambiano un po’, ma di sicuro ha fatto più di 900 watt medi nei 60″. A vedere come è partito e che Van Aert ha faticato a prendergli la ruota, significa che se non sono 1000 watt, siamo lì.

Un aspetto che abbiamo notato è la differenza di esplosività e di sprint tra gli uomini da classiche e quelli da grandi Giri, benché siano questi ultimi buoni scattisti. Parliamo, insomma, della volata di Del Toro…

È una differenza dettata principalmente dal peso e quindi dai watt/chilo. Sul minuto, come diceva Pedersen, o 30″, o in certi casi anche 2′, corridori di queste caratteristiche riescono a sviluppare wattaggi impressionanti. Sono prestazioni impensabili per uomini da corse a tappe… anche se non sono fermi in volata. Mi verrebbe il termine “deep”, profondo, in inglese, per definire questo tipo di sforzo. Ebbene, un velocista, uomini da classiche come Pedersen o Van Aert, riescono ad essere anche più profondi nello sforzo così intenso rispetto allo scalatore. Riescono a “spanare di più la vite”. È una capacità. Solo che poi, dopo certi sforzi, non ti riprendi. Ci metti parecchio. Magari Pedersen anche in allenamento riesce a ripetere quello sforzo così lungo più di una volta con gli stessi valori.

Una foto che riassume quanto detto da Ballerini. Del Toro seppur arrivato dietro è più fresco di Van Aert che per allenamenti e caratteristiche riesce a dare di più
Una foto che riassume quanto detto da Ballerini. Del Toro seppur arrivato dietro è più fresco di Van Aert che per allenamenti e caratteristiche riesce a dare di più
Insomma, riescono a stare di più in acido lattico e a tollerarlo meglio?

Esatto, ma poi questo sforzo lo paghi. E sono lavori che si fanno in allenamento ai fini delle classiche: li fai un giorno e basta. Per chi punta ai grandi Giri, invece, certi sforzi sono diversi. Magari chi punta alla maglia rosa neanche allena questa profondità. Van Aert, tornando a lui, fa un po’ entrambe le cose. Per questo dicevo dell’allenarsi in modo specifico per le classiche. Nei grandi Giri conta di più il recupero. Dopo una settimana e mezzo cominciano a cambiare le cose ed emergono i corridori che recuperano meglio. E inizi a vedere chi ha motore.

Ultima domanda, Davide: cosa e chi ti ha colpito sin qui, sia della tappa di oggi, ma anche in generale?

Mi aspettavo qualcosa di più da Tom Pidcock, ma anche lui ha cambiato parecchio la base dei suoi allenamenti quest’anno. È andato molto bene a inizio stagione, però vedo che ha perso qualcosa in termini di esplosività. Una volta questi erano i suoi arrivi. Degli altri, mi è piaciuta l’azione del mio compagno Christian Scaroni, che ha tenuto duro e ha fatto quel che poteva.

Miche: prima volta al Giro d’Italia assieme a un team WorldTour

23.05.2025
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Dalle officine di San Vendemiano alle grandi salite del Giro d’Italia, Miche firma un esordio molto atteso del ciclismo professionistico: l’azienda veneta è entrata ufficialmente nel circuito WorldTour in qualità di partner tecnico del team Groupama-FDJ, portando sulle strade della corsa rosa tutto il “know-how” italiano nella produzione di ruote e componentistica ad alte prestazioni.

Fondata nel cuore della provincia di Treviso, Miche ha difatti siglato un accordo triennale con Groupama-FDJ, storico team francese precedentemente legato a Shimano. Il debutto in occasione del Giro d’Italia avviene dunque in una stagione che segna una svolta strategica nella storia dell’azienda. In un settore dominato da player asiatici sin dagli anni Ottanta, la scelta di un marchio italiano rappresenta un segnale forte di rilancio del Made in Italy nel ciclismo d’elite.

I corridori del team Groupama-FDJ affrontano il Giro con le nuove Kleos RD (Race Division), ruote sviluppate da Miche in galleria del vento per ottimizzare aerodinamica, affidabilità e robustezza. Il set comprende tre profili – 36, 50 e 62 mm – per adattarsi ai diversi scenari di gara, dalle tappe pianeggianti alle grandi montagne.

Il profilo da 50 mm è il più versatile: garantisce equilibrio perfetto tra peso, rigidità e penetrazione aerodinamica, risultando la scelta preferita da molti atleti. Realizzate in fibra di carbonio T700 e T1000, con mozzi in alluminio Ergal e raggi in acciaio, le ruote si distinguono per la scorrevolezza, più che per la leggerezza estrema: la RD 36 pesa 1.380 grammi, la RD 50 si ferma a 1.455 grammi, mentre la RD 62 arriva a 1.560 grammi.

Miche e i suoi prodotti sono al loro primo Giro d’Italia, lo stanno correndo con la Groupama-FDJ
Miche e i suoi prodotti sono al loro primo Giro d’Italia, lo stanno correndo con la Groupama-FDJ

Tecnologie integrate con Wilier

Il team Groupama-FDJ pedala su biciclette Wilier Triestina, altra eccellenza veneta oggi parte dello stesso gruppo industriale di Miche. La collaborazione consente lo sviluppo di soluzioni integrate tra telaio e ruote, con vantaggi tangibili in termini di prestazioni. Nelle tappe in linea, i corridori utilizzeranno la Filante SLR, mentre per le cronometro è prevista la Supersonica SLR con ruote Miche specifiche: Kleos RD SPX3 a tre razze all’anteriore e Kleos RD Crono al posteriore.

Per le tappe di montagna, la squadra sarà dotata della Verticale SLR, bici ultra leggera e rigida, costruita con tre differenti tipi di fibra di carbonio Toray.

Miche ad oggi fa parte del Gruppo Wilier Triestina, che fornisce le bici alla Groupama-FDJ
Miche ad oggi fa parte del Gruppo Wilier Triestina, che fornisce le bici alla Groupama-FDJ

Innovazione 100% italiana

Oggi parte del gruppo Wilier Triestina, Miche è un’azienda moderna e profondamente legata al territorio. Con 42 dipendenti specializzati, e una produzione annuale che include oltre 25.000 coppie di ruote e 50.000 pacchi pignone, ogni fase – dalla progettazione al collaudo – si svolge nella sede unica di San Vendemiano (in Provincia di Treviso), dove tecnologie avanzate e robotica convivono con la passione artigianale.

Il 95% del fatturato Miche proviene dall’estero, con il 71% dedicato al settore strada, l’8% al Gravel, l’8% alla E-Bike, il 6% alla Mtb e il restante alla pista.

Il debutto al Giro d’Italia nel WorldTour rappresenta per Miche non solo una sfida tecnica, ma un’opportunità strategica per consolidare il proprio brand a livello globale. Il Giro d’Italia è la prima grande corsa a tappe di un percorso ambizioso che vede il Made in Italy protagonista sui tracciati più duri del ciclismo mondiale.

Miche

Vendrame, la Decathlon-Ag2R e gli ingegneri che fanno le scelte

23.05.2025
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Incontro al Giro d'Italia con Andrea Vendrame, per parlare della sua Van Rysel da gara e le abitudini tecniche della Decathlon-AG2R con cui corre

DURAZZO – Girando per gli alberghi delle squadre nei giorni più calmi del Giro d’Italia, si ha la possibilità di parlare con gli atleti di aspetti tecnici che magari, durante la gara, per necessità e tempi ristretti, si danno per scontati. Così chiacchierando con Andrea Vendrame siamo venuti a sapere di un’abitudine radicata della Decathlon-AG2R, in cui due ingegneri, corsa per corsa, stabiliscono rapporti, profilo delle ruote e pressione delle gomme. La scelta di adottare tubeless da 29 all’anteriore e 28 al posteriore per ragioni aerodinamiche è stata dettata da loro.

L’occasione è stato un incontro per farci raccontare la sua bicicletta Van Rysel, con cui Vendrame corre per il secondo anno e su cui ha vinto la tappa di Sappada al Giro del 2024 e quella di Colfiorito all’ultima Tirreno-Adriatico.

«E’ il secondo anno che il team è diventato Decathlon – spiega il veneto – quindi dallo scorso anno utilizziamo bici Van Rysel. Mi piace, è molto reattiva. E’ una bici aerodinamica anche come disegno, lo si capisce anche solo guardandola. Da quest’anno poi abbiamo anche il modello RCR-F, che è uscito da qualche mese ed è ancora più reattivo. Ha un carbonio molto più rigido ed è particolarmente adatto per gli uomini veloci».

Bici aerodinamica e scattante, è anche guidabile?

Mi trovo molto molto bene anche in discesa. Quando devo rilanciarla al massimo, fuori da un tornante. Penso che sia davvero un mezzo da gara.

Avete anche delle belle ruote Swiss Side: le cambiate in base ai percorsi?

Come anche per il telaio, i nostri due ingegneri prestabiliscono le guarniture giornaliere, le ruote, la pressione. Per cui noi corridori, tra virgolette (ride, ndr), non abbiamo più diritto di scelta.

Capita che le opinioni siano diverse?

Certamente. Infatti nella tappa che ho vinto alla Tirreno di quest’anno, dovevo partire con la RCR-F, invece mi sono impuntato e ho usato questa qui, la RCR, e alla fine ho vinto.

E’ anche una bici che va bene in salita oppure è un po’ pesante?

La RCR è molto leggera rispetto alla F. Sicuramente ci sono quei 500-600 grammi di differenza dovuti al tipo di carbonio. Possiamo dire, avendola usata da un po’, che questo telaio è stato realizzato per le sue performance sia in volata sia in salita. E’ multitasking, diciamo (sorride, ndr).

I rapporti vengono scelti dagli ingegneri, ti trovi sempre bene?

Abbiamo trovato le combinazioni giuste. Su tappe piatte preferisco il 55 o il 56, mentre in tappe di montagna, magari un po’ nervose tipo Colfiorito alla Tirreno, preferisco un 54. Dove le gambe fanno male, dopo 240 chilometri è meglio avere un rapporto che si riesce a spingere e non un 56. Inoltre mi piace fare le salite di forza, quindi preferisco restare con il 54 e giocare con la scala dei pignoni al posteriore.

Quindi?

Quindi penso che il 40-54 sia un rapporto ottimale per scalare i grandi colli del Giro. Ma se invece parliamo di una tappa che deve arrivare in volata…

Che cosa dovremmo dire in quel caso?

Che questa è reattiva, però una volta provato il nuovo modello, mi sono proprio innamorato. In volata è tutta un’altra cosa. E’ molto più rigida e molto più reattiva. Quando la lanci prende subito velocità. Non che questa non lo faccia, ma l’altra è molto più fluida.

Piganzoli: «Il livello è salito, ma io vado più forte dell’anno scorso»

22.05.2025
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Oltre metà Giro d’Italia è alle spalle, ma il bello deve ancora venire. E in questo bello che ci si aspetta mettiamo anche Davide Piganzoli. Con il corridore della Polti-VisitMalta abbiamo fatto il punto della situazione più o meno al giro di boa della corsa rosa.

Sin qui ha corso bene. Si è fatto vedere il giusto ed è lì a ridosso della top ten della generale: 17° a 3’59” da Del Toro e la decima posizione a 1’26”. Bisogna dire anche che rispetto all’anno scorso, tolto Tadej Pogacar, il livello medio per la contesa delle posizioni di vertice è molto più elevato e più affollato. Eppure dopo ogni difficoltà si sfogliano le classifiche e “Piga” c’è.

Davide Piganzoli (classe 2002) incontrato in questi giorni della corsa rosa
Davide Piganzoli (classe 2002) incontrato in questi giorni della corsa rosa
Davide, come sta andando?

Sinceramente ho iniziato bene in Albania, penso di aver fatto delle buone prestazioni. Poi ho avuto una caduta il giorno della grande caduta che mi ha un po’ debilitato. Però dai, credo che mi sto riprendendo. Siamo riusciti a uscirne indenni dagli sterrati di Siena, quindi è già un buon segnale.

San Pellegrino in Alpe, ma anche Tagliacozzo e Siena sono state le tappe più importanti sin qui: come ti sei sentito?

A Tagliacozzo venivo dalla caduta del giorno prima. Avevo un po’ di dolore sui glutei. Sapete, dopo una caduta alla fine si è sempre un po’ debilitati però dai, mi sono staccato quando ho iniziato il tratto duro. A quel punto ho cercato di tener duro e di rimanere lì, appunto, senza perdere troppo. Sapevo che sarebbe stata una giornata difficile.

E a Siena con gli sterrati? Dalla tv ci è parso vederti rimontare un paio di volte…

Sono soddisfatto perché alla fine ero nel secondo gruppo dietro ai primi 15. E’ tutta gente di esperienza e anche molto forte, quindi credo di essermi difeso bene. E anche la squadra ha fatto un ottimo lavoro per prendere appunto gli sterrati.

Il lombardo sta migliorando molto a crono. A Tirana è andato molto bene: 18°. Ha pagato qualcosina in più invece a Pisa
Il lombardo sta migliorando molto a crono. A Tirana è andato molto bene: 18°. Ha pagato qualcosina in più invece a Pisa
Se dovessi fare un paragone con il Giro dell’anno scorso, dopo 9 tappe, come ti senti?

Sicuramente è cambiato il livello perché veramente quest’anno si va molto più forte rispetto all’anno scorso, perché c’è più gente che va forte in salita. Alla fine l’anno scorso c’era Pogacar, poi ce n’erano quattro o forse cinque dietro di lui. Quest’anno invece ce ne sono veramente dieci che possono giocarsi il Giro e sono tutti lì ogni giorno che vogliono stare davanti. Quindi ritmo più alto e c’è più concorrenza. Però io credo che come numeri sono messo bene, sono sopra i livelli dell’anno scorso, quindi penso appunto che ci sarà da divertirsi nell’ultima settimana e se staremo bene cercheremo un po’ di fare la differenza.

E parlando in modo più concreto: recupero, approccio alle tappe, stress… Come lo stai vivendo?

Sicuramente mi sento meglio, mi sento cresciuto sia per carico di allenamenti che ho fatto, che per tutto il resto. Io credo e sono fiducioso che possa essere un bel Giro, anche sulla crono ci ho lavorato molto. Anche sul Teide, dopo la Tirreno. Quel distacco può essere un nonnulla se si pensa agli ultimi giorni.

Da oggi iniziano tre tappe che in teoria dovrebbero essere un po’ più facili. Possono essere dei recuperi attivi? Frazioni in cui risparmiare il più possibile?

Avremo tre giorni meno difficili su carta ed appunto è importante cercare di spendere il meno possibile, di essere lì davanti per non prendere buchi, però appunto di cercare di rimanere in classifica senza spendere troppo.

Piganzoli è al suo secondo Giro d’Italia. L’anno scorso a Roma fu 13°
Piganzoli è al suo secondo Giro d’Italia. L’anno scorso a Roma fu 13°
E come saranno gestite anche da un punto di vista alimentare? Avete fatto un piano diverso per queste frazioni con così poco dislivello?

Abbiamo un nutrizionista che lavora con noi che valuta ogni giorno tutto il nostro dispendio calorico per poi impostarci appunto il successivo pasto di recupero. Il pasto di recupero, la merenda, la cena e lo snack prima di andare a dormire che varia appunto in base a quanto abbiamo consumato ogni giorno, pertanto sarà tutto calibrato a dovere.

Il tuo team manager, Ivan Basso, per esempio, avrebbe corso sempre davanti. È ipotizzabile rischiare un pochino meno e starsene un po’ più in coda, risparmiare un po’ di energia? Una volta si diceva che gli “appartamenti erano più larghi” dietro…

Di certo dietro si sta molto meglio, però ci sono anche veramente molti più rischi, perché sicuramente una caduta non avviene mai nelle prime cinque posizioni, ma sempre dalla trentesima, cinquantesima in poi. Se sei nei primi 30, la puoi schivare. Se invece sei dietro, rimani coinvolto anche se non cadi e sei obbligato a fare un rilancio per rientrare. O magari prendi un buco di cui avresti fatto volentieri a meno.

Chiaro…

Come ho detto prima, a livello alto ci sono tante squadre che vogliono stare davanti e questo crea nervosismo, crea velocità e questo penso sia il motivo per cui in questo momento le medie siano così alte. Se va bene, quando mancano 30-40 chilometri tutti iniziano a spingere perché i capitani vogliono stare davanti. Altrimenti succede sin dall’inizio della tappa come si è verificato più volte.

Ecco Piganzoli con Pellizzari, i due sono stati spesso compagni in azzurro tra gli U23
Ecco Piganzoli con Pellizzari, i due sono stati spesso compagni in azzurro tra gli U23
A proposito di stare davanti: tante volte parlando con gli altri atleti delle Professional, quando si va in queste grandi corse emerge il tema che le WorldTour si arrogano il diritto di stare davanti, quasi fosse una gerarchia prestabilita in gruppo. Ci viene in mente Pellizzari per esempio, quest’anno che è alla Red Bull-Bora, viaggia costantemente davanti. Tu come giudichi questo argomento?

Un po’ di gerarchia c’è. Io rispetto tutte le squadre, alla fine capisci che se ti passa davanti un corridore della UAE Emirates o della Red Bull-Bora, è quasi giusto che stia davanti lui visti i leader che hanno. Tuttavia ci sono momenti in gara che questo non deve accadere e bisogna saper qual è il momento esatto. Bisogna capire qual è il momento perché se un giorno noi ci vogliamo giocare una vittoria di tappa con Lonardi, è giusto che anche la Polti-VisitMalta stia davanti e tenga davanti il suo leader. Il giorno che io voglio provare a fare la tappa in salita è giusto che anche io possa avere la possibilità di prendere la salita con i primi.

A proposito di Pellizzari. Siete le speranze azzurre. Vi parlate mai in gruppo? Che rapporto avete?

Io e Giulio siamo veramente tanto amici. Parliamo di bici, ma non solo. Anche al di fuori del ciclismo ci sentiamo. Le nostre compagne sono amiche, andiamo a cena fuori… Noi ci confrontiamo in tutto e per tutto, non solo sul ciclismo. E’ bello il rapporto che si è creato.

Come lo vedi pedalare?

Bene, va veramente forte. Nella tappa di Siena è andato come un aereo. Quando Roglic ha bucato l’ha riportato dentro e poi ha tirato per contenere un pochino il ritardo. Sì, sta andando veramente forte, quindi gli auguro il meglio.

Allora la prossima domanda la faremo a lui, vediamo che ci dice quando gli chiederemo: come pedala Piganzoli?

Speriamo che dica: forte!

L’Eroica incorona Proietti Gagliardoni. Che aveva capito tutto

22.05.2025
4 min
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L’Eroica Juniores ha incoronato Mattia Proietti Gagliardoni e a riguardare la sua corsa, quella dei suoi compagni ed avversari, considerando che la prova era stata effettuata sabato proprio alla vigilia della tappa del Giro d’Italia, viene da pensare che forse qualche indicazione, i vari team professionistici presenti potevano pure trarla. Perché si era visto subito che non era una corsa semplice, paradossalmente proprio a causa del bel tempo.

Lo si evince anche dal racconto del vincitore: «L’avevo già fatta lo scorso anno e gran parte del percorso me la ricordavo. Sapevo che è una gara tra le più dure, tecniche e con un dislivello non di poco conto, poi con quello strappo spaccagambe finale… Nella prima parte ho fatto fatica, ma con la squadra avevamo stabilito che dovessi rimanere sempre nelle prime posizioni per poter correre meno rischi possibile. E rischi c’erano davvero…».

L’arrivo a braccia… anzi a bici alzata di Mattia Proietti Gagliardoni, vero dominatore della corsa (foto Paolo Rinaldi)
L’arrivo a braccia… anzi a bici alzata di Mattia Proietti Gagliardoni, vero dominatore della corsa (foto Paolo Rinaldi)
Com’era il terreno? Molti il giorno dopo si sono lamentati per la sua scivolosità ancora maggiore proprio perché non c’era acqua…

E’ vero e noi ragazzi ce ne siamo accorti già dalle prove del giorno prima. Per questo avevamo stabilito di fare corsa di testa, per cercare di evitare la troppa polvere che si sollevava e soprattutto gli strati di ghiaia sul tracciato. Ci hanno detto che rispetto a marzo era molto più scivoloso perché il tracciato era stato meno lavorato e ripulito, ma faceva parte del gioco.

Quando si è decisa la corsa?

Subito dopo la discesa da Montalcino, quando sono stati ripresi i tre corridori stranieri che erano andati in fuga. Ho provato a partire con il solo Matteo Turconi che ha tenuto il mio ritmo, mancavano meno di 20 chilometri alla conclusione. In una curva però proprio la ghiaia gli ha fatto un brutto scherzo ed è caduto, così mi sono ritrovato solo. La parte finale l’ho gestita molto, sapevo che era fondamentale rimanere in piedi.

Alla prova toscana erano presenti 29 team, di cui 5 stranieri (foto Paolo Rinaldi)
Alla prova toscana erano presenti 29 team, di cui 5 stranieri (foto Paolo Rinaldi)
Quanto è contata la tua esperienza nel ciclocross?

Tantissimo, io credo che abbia fatto davvero la differenza. Mi è servita ancor di più che lo scorso anno, perché gli sterrati erano più polverosi e viscidi, c’erano più buche e avvallamenti. La guida era fondamentale, bisognava saper galleggiare sulla ghiaia, non fare troppa pressione, scegliere le traiettorie giuste e rilanciare. Tanto è vero che quando uscivo da ogni curva guadagnavo tanto.

Che scelte tecniche hai fatto?

Niente di particolare. La ricognizione del giorno prima ci ha convinto a mantenere il setup abituale della bici, quindi con il 52-39 davanti e il 34-11 dietro. Per le gomme però abbiamo scelto i tubeless da 28 mm per andare sul sicuro, infatti in gara ho visto che quasi tutti avevano fatto la stessa scelta, anzi alcuni avevano optato addirittura per quelli da 30. Era l’unica maniera per ridurre al minimo il rischio di forature.

Una foto emblematica della polvere levatasi sul percorso, reso così molto viscido (foto Rinaldi)
Una foto emblematica della polvere levatasi sul percorso, reso così molto viscido (foto Rinaldi)
E per quanto riguarda l’alimentazione?

Rispetto al solito, ho portato con me sempre una borraccia d’acqua e una di carboidrati, ma avevo un gel in più di quelli che abitualmente mi porto. Il problema, oltre al terreno, è stato il caldo, che all’inizio era davvero forte. Io non lo amo, non l’ho mai amato e infatti all’inizio sudavo abbondantemente, ma poi il mio fisico si è adattato. La temperatura si è sistemata intorno ai 21°C, si stava bene e non ne ho risentito quando ho portato il mio affondo.

E’ una corsa che ti si addice?

Sicuramente, l’avevo già “adocchiata” lo scorso anno e non nascondo che ci puntavo sin da questo inverno. Tanto è vero che alla vigilia mi sentivo un po’ il favorito o uno fra loro, sapevo che potevo giocare un ruolo importante e devo dire grazie alla squadra perché ha creduto nelle mie possibilità supportandomi al meglio. E’ stata un’esperienza importante al di là della vittoria, spero di correrla in un contesto ben più importante…

Proietti insieme all’altro umbro Giacomo Serangeli, giunto 2° a 1’02” (foto Rinaldi)
Proietti insieme all’altro umbro Giacomo Serangeli, giunto 2° a 1’02” (foto Rinaldi)
Un buon viatico per l’estate…

Sì, anche perché mi aspettano impegni importanti, intanto la due giorni in Franciacorta del fine settimana, poi il Giro del Friuli e l’FWR Baron che correrò con la nazionale. Io spero di continuare su queste basi e mettermi sempre più in vista che ci tengo tanto a convincere il cittì a convocarmi per europei e mondiali, dove so che posso fare davvero bene.

Niente altura: solo strada, sauna e rulli. Germani racconta

22.05.2025
6 min
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CASTEL DI SANGRO – Lorenzo Germani si è preparato per il Giro d’Italia pedalando, andando in sauna e facendo i rulli in bagno, con l’acqua calda che scorreva. Ha fatto ricorso all’Heat Training: l’allenamento al caldo. Non è una pratica nuova. Abbiamo raccontato di Alberto Dainese che lo seguì preparando la Vuelta di quattro anni fa, ne avevamo già esplorato i concetti con Giacomo Notari, mentre la EF Education-Easy Post gli ha dedicato un interessante approfondimento sul proprio sito. Diversi atleti lo hanno eletto a metodo sostitutivo per l’altura: perché la quota non dà loro gli esiti sperati o perché allergici ai ritiri interminabili sul Teide, a Sierra Nevada, sull’Etna o Livigno.

L’obiettivo è tirare fuori il meglio dal proprio fisico e farlo in modo lecito. Dall’allenamento all’alimentazione. Di qualsiasi acrobazia vi capiti di leggere in questo senso, prendetela con un sorriso e la consapevolezza che una volta certi risultati si conseguivano col doping. Lo studio di metodologie lecite, ancorché insolite, testimonia di un ciclismo sano, curioso e proiettato verso la ricerca.

Così se ci sono atleti che trascorrono interminabili periodi in altura e altri che preferiscono hotel con camere ipobariche al livello del mare o tende ipossiche in casa, c’è anche chi punta ad aumentare il volume del plasma e ottenere adattamenti fisiologici favorevoli, ricorrendo al calore. Come appunto Germani, corridore di 23 anni della Groupama-FDJ, che al Giro d’Italia sta svolgendo un lavoro oscuro, ma potente e prezioso per la squadra (in apertura con David Gaudu). E forse, ora che il francese è uscito dalla classifica, avrà più spazio per sé. Intanto però gli abbiamo chiesto di raccontare la sua esperienza.

Germani, 23 anni, è alto 1,79 per 62 kg ed è professionista dal 2023. Il suo agente è Manuel Quinziato, con lui nella foto
Germani, 23 anni, è alto 1,79 per 62 kg ed è professionista dal 2023. Il suo agente è Manuel Quinziato, con lui nella foto
Perché puntare sull’adattamento al caldo? E’ stata un’idea tua oppure della squadra?

Avevo sentito di altri che lo facevano. Ho approfondito la questione e ho voluto provarla. Mi sono reso conto di avere notevoli benefici rispetto all’altura, che in realtà non mi ha mai dato grossi vantaggi. Così ne ho parlato con la squadra e già l’anno scorso per la Vuelta avevamo messo in pratica dei protocolli analoghi. Anche loro si sono trovati ad approfondire il tema e ci hanno fatto dei piani di allenamento mirati.

A cosa serve e quali sono i benefici di cui parli?

Ti alleni affinché nel giorno della gara la temperatura corporea risulti più bassa a parità di intensità dello sforzo. Si crea uno stato di beneficio generale. In più si perdono meno elettroliti quando si suda. Infine aumenta il volume del plasma, una cosa che normalmente si insegue nelle preparazioni in altura.

Come funziona?

L’ho suddiviso fra sauna e allenamento sui rulli. Preparando il Giro, l’ho fatto per tre settimane, un paio di volte a settimana. Uscivo in bici e dopo l’allenamento mi cambiavo e andavo diretto nella sauna. Ci stavo per mezz’ora a 80, 90 gradi. Poi uscivo e lasciavo che la temperatura rimanesse alta. Non mi gettavo acqua fredda sulle gambe come fanno alcuni, devi lasciare che il corpo impari da sé ad abbassare la temperatura. In alternativa facevo i rulli.

Diverse squadre praticano Heat Training. La EF lo documenta molto bene nel suo sito (foto Ef Pro Cycling)
Diverse squadre praticano Heat Training. La EF lo documenta molto bene nel suo sito (foto Ef Pro Cycling)
Sempre dopo l’allenamento?

Esatto. Rientravo, mettevo la bici sui rulli in bagno e aprivo l’acqua calda. Mi vestivo come un eschimese e mi mettevo a pedalare. Nella prima parte cerchi di spingere un po’ di più per far salire subito il cuore e poi guardi soltanto i battiti. Diciamo che in questo caso tra watt e cuore è inversamente proporzionale.

Perché vestirsi pesante? E basta aprire l’acqua calda oppure si usano stufette?

Basta l’acqua calda, che produce calore e umidità. Perché coprirsi tanto? Più ti vesti e meno devi spingere, perché la temperatura sale facilmente. L’importante è coprire bene le estremità del corpo, come le mani o la testa, perché ci sono più capillari e terminali nervosi.

Durante questa fase si può bere?

No, vietato. Bevevo prima e dopo, ma non durante, per ottenere il massimo vantaggio. Stessa cosa quando finivo, lasciavo che la temperatura rimanesse più alta possibile e il più a lungo possibile. La doccia ad esempio la facevo calda.

Quanto dura la seduta di rulli, mezz’ora come la sauna?

Un po’ di più, fra i tre quarti d’ora e l’ora.

In fuga verso Valona con Mark Donovan. Il Giro di Germani cambia faccia ora che Gaudu è uscito di classifica?
In fuga verso Valona con Mark Donovan. Il Giro di Germani cambia faccia ora che Gaudu è uscito di classifica?
Quale delle due modalità è più redditizia?

In teoria dovrebbe essere lo stesso. Io preferivo la sauna, perché magari quell’oretta dedicata ai rulli avrei dovuto sottrarla al tempo per fare i lavori in bicicletta. Facendolo in attivo, quindi pedalando sui rulli, si crea ancora più fatica. Mentre in passivo, quindi in sauna, dovresti avere benefici, senza creare ulteriore stress al fisico.

Si hanno benefici progressivamente oppure alla fine delle tre settimane ti accorgi che qualcosa è cambiato in meglio?

Qualche cambiamento lo percepisci subito nell’adattamento al calore. Io ad esempio ho sempre sofferto la sauna, per cui inizialmente dopo un quarto d’ora dovevo uscire, prendermi un attimo di recupero e poi rientrare. Le ultime volte invece facevo 30 minuti filati. Stessa cosa con i rulli. La prima volta avevo tot battiti a tot watt, alla fine avevo gli stessi watt ma con meno battiti. I parametri sono questi.

Perché ricorrere a questi sistemi e non andare in altura?

L’ho fatta negli ultimi due anni e non ho visto grossi vantaggi e quindi ho preferito allenarmi di più, anche perché quando si va in quota ci si allena sempre un filo di meno.

Dallo scorso inverno, Germani convive con la compagna Martina, futuro avvocato (immagine Instagram)
Dallo scorso inverno, Germani convive con la compagna Martina, futuro avvocato (immagine Instagram)
Visto che sei andato da poco a vivere con la tua compagna, lei come ha preso i rulli e la temperatura tropicale nel bagno?

Ecco questa potrebbe essere la nota dolente (ride, ndr). Una volta aveva bisogno del bagno, ma ha dovuto aspettare che finissi e non era molto contenta. Invece un giorno avevo bisogno io di aiuto, ero disperato. Mi mancavano 20 minuti, ero proprio al limite della mia vita. E le ho chiesto di venire a darmi supporto morale e lei mi ha risposto che stava studiando e non poteva muoversi.

E tu?

Quando poi ci siamo ritrovati a tavola, le ho detto che ci ero rimasto male e che mi sarebbe bastata la sua compagnia. E lei ridendo ha detto di aver pensato che la volessi in bagno solo per scaldarlo ancora un po’, perché con un corpo in più la stanza sarebbe stata più calda…

E dopo San Pellegrino in Alpe spunta (e la spunta) Carapaz

21.05.2025
7 min
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SAN PELLEGRINO IN ALPE – E’ la magia della montagna. Non importa che sia d’Appennino, di Alpi, Dolomiti… Tutto cambia. La pendenza, il bosco, la gente, le bici, le nuvole basse e il calore del fieno appena tagliato più a valle. E’ un’altra dimensione. Sul San Pellegrino in Alpe abbiamo vissuto tutto questo.

La salita, forse la più dura del Giro d’Italia, è stata al centro – in ogni senso – della tappa di oggi. E se Richard Carapaz ha vinto a Castelnovo ne’ Monti è anche per come ha affrontato questa montagna che collega la Toscana all’Emilia, come vedremo.

Quei muscoli tesi

Il tifo era forte per Luca Covili, beniamino di casa. Ma lungo la scalata c’erano anche belgi e olandesi. Poi il tifo è per tutti e quando dai nuvoloni bassi in quota è spuntata la maglia blu di Lorenzo Fortunato tutto ha preso un’altra piega. Vederli da bordo strada è tutt’altra cosa. Si sentiva il fiatone, le smorfie di fatica si percepivano in modo diverso ed erano la continuazione dello sforzo delle gambe. Più queste erano tese, più i volti si deformavano.

La maglia rosa pedalava bene. Carapaz era defilato, a tratti in coda al gruppetto. Era in “modalità” risparmio energia o era davvero affaticato? Il suo volto è quasi sempre indecifrabile. Giulio Pellizzari a 200 metri dalla vetta era staccato di 6”-7”, ma non sembrava assolutamente fuori giri. Primoz Roglic era il più coperto e rannicchiato al centro del drappello. E e gli Yates, seppur con maglie diverse, si riconoscevano anche attraverso la nebbia. La loro andatura ciondolante sui pedali è un marchio di famiglia.

Il popolo del ciclismo

E poi c’erano loro: i tifosi. I veri padroni del San Pellegrino in Alpe. Sinceramente, col meteo che c’era ed essendo un pieno giorno feriale di maggio (il Tour de France è ben più fortunato in tal senso), non ci aspettavamo tanta gente.

Dalle poche unità sparse nelle prime rampe a un vero stadio di 3.000 metri per lato nel finale. Una bolgia. Passarci in mezzo con la nostra ammiraglia è stata un’emozione. Qualche lettore ci ha anche salutato. Che dire: grazie!

Grigliate, birre, tocchi di formaggio, le bici appoggiate sulle pendici della montagna. Una montagna verdissima, rigogliosa. Sulle vette più alte verso nord c’erano ancora chiazze di neve… un ambiente totale, teatro perfetto per una grande sfida.

La corsa non passa mai in un secondo. Dopo i primi, ecco a intermittenza gruppetti di due o quattro atleti e poi due grandi gruppi nel finale. Gli ultimi, i velocisti, sono passati che già iniziava a cadere qualche goccia. Il freddo cominciava a farsi pungente.

La cosa bella è che in questi brevi momenti puoi vedere le differenze tra i corridori. Mads Pedersen, seppur staccato (ma non troppo) dalla maglia rosa, portava su i suoi 76 chili con una potenza mostruosa. Povera la sua catena! Mentre i passisti-scalatori che scortavano i velocisti sgambettavano agili e i Van Uden della situazione al loro fianco guardavano paonazzi a terra e facevano la metà delle pedalate.

Il tutto sotto l’applauso scrosciante della gente. Per tutti…

Carapaz vince la sua quarta tappa al Giro e risale dalla nona alla sesta posizione. Ora è a 1’56” da Del Toro
Carapaz vince la sua quarta tappa al Giro e risale dalla nona alla sesta posizione. Ora è a 1’56” da Del Toro

Si rivede Carapaz

La corsa passa. Il San Pellegrino in Alpe in pochi minuti si svuota. Le ultime ammiraglie sfrecciano tra la gente. Sono quelle dei massaggiatori che corrono verso l’arrivo.

Fortunato e gli altri quattro transitati davanti sul San Pellegrino sembravano potercela fare, ma Pedersen si è messo al lavoro per Giulio Ciccone. Solo che poi a “fregarli” tutti è stato Richard Carapaz. Un nome che forse, col senno del poi, poteva anche essere piuttosto scontato al via questa mattina.

L’ecuadoriano della EF Education-EasyPost si trova a meraviglia su questi tracciati: duri, lunghi e con salite non estreme nel finale. La sua azione è stata tosta. Il campione olimpico di Tokyo ha fatto subito il vuoto e ha resistito al ritorno della solita UAE Emirates.

«Nel finale avevo buone gambe e ci ho provato – ha detto Carapaz – è stata una tappa durissima. Si è visto chiaramente che sul San Pellegrino in Alpe nessuno aveva le gambe per fare qualcosa. In gruppo c’è tanta stanchezza e non so cosa potrà succedere nei prossimi giorni. Io ci ho provato. Sapevamo che si poteva fare. Sono felicissimo di essere tornato a vincere al Giro».

Ora Carapaz risale un po’ la china. Il bottino è magro in termini di tempo, venti secondi, migliore in termini di posizione: passa dalla nona alla sesta. Ma cambia poco ai fini del Giro.

Del Toro vince lo sprint con una facilità imbarazzante e allunga di 6″ su Ayuso. Terzo Ciccone
Del Toro vince lo sprint con una facilità imbarazzante e allunga di 6″ su Ayuso. Terzo Ciccone

E Del Toro…

Per assurdo pesano di più i 6” di abbuono di Isaac Del Toro che continua a dire una cosa e fare l’opposto. Anche oggi ha ripetuto quanto va dicendo da giorni: «Vediamo come andranno le cose. Sono qui per i miei capitani. Quei sei secondi… non so, è perché cerchiamo di fare una corsa intelligente», ha detto ai microfoni di Radio Rai.

E sempre restando legati alla radio, per pura casualità questa mattina abbiamo scambiato qualche battuta con Massimo Ghirotto. Max ha un’esperienza tale che potrebbe riempire una biblioteca del ciclismo.

«Io – ha detto Ghirotto – Ayuso è qualche giorno che non lo vedo benissimo. Per me non è super brillante». Non ci credevamo molto, ma abbiamo messo da parte quanto ci ha confidato; un suo giudizio è sempre prezioso. Evidentemente aveva ragione. Nella scalata finale ha un po’ pagato, e se Carapaz è andato via così bene è anche perché lui ha scricchiolato e la UAE non si è messa pancia a terra per chiudere.

Del Toro sì, lui si era mosso subito, ma quando dall’ammiraglia hanno visto che non c’era Ayuso lo hanno bloccato. Lo hanno fatto respirare e poi sono andati in progressione dopo il Gpm.

Insomma, questa tappa del San Pellegrino in Alpe e degli Appennini ci ha detto che questo Giro è aperto. Anzi, ogni giorno più aperto.

Ursus (al Giro) presenta e introduce il progetto #BehindTheRace 

21.05.2025
3 min
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Il Giro d’Italia di quest’anno, ed attualmente nel pieno del proprio svolgimento, segna una tappa fondamentale per Ursus, azienda italiana ben attiva nella produzione di ruote e componenti per il ciclismo ad alte prestazioni. Per la prima volta, il brand di Rosà sarà difatti presente in corsa in qualità di partner tecnico ufficiale di una squadra WorldTour: il Team Picnic-PostNL. Un traguardo che arriva dopo anni di esperienza maturata al fianco di team professional e che inaugura una nuova stagione di ambizioni elevate e visione internazionale.

Alzare il sipario

In occasione di questo debutto, Ursus ha presentato #BehindTheRace, un progetto editoriale che accompagnerà gli appassionati lungo le tre settimane del Giro d’Italia – e successivamente anche durante Tour de France e Vuelta a Espana – con uno sguardo esclusivo su tutto ciò che accade dietro le quinte del ciclismo professionistico. Più di un semplice reportage: #BehindTheRace è una narrazione autentica del mondo che vive attorno alla corsa, tra tecnica, emozioni e fatica quotidiana.

Grazie all’accesso esclusivo della crew fotografica di Poci’s Pix, il progetto racconterà le dinamiche interne di una squadra WorldTour durante un Grande Giro, dai momenti di tensione nel pre-gara alle emozioni post-tappa, passando per il lavoro dei meccanici, i briefing tecnici, la gestione dello stress e il rapporto umano tra atleti e staff. Un diario visivo che vuole restituire la complessità e il fascino del ciclismo vissuto al massimo livello, su un palcoscenico globale.

Mirko Ferronato, CEO di Ursus, con Giada Borgato ambassador dell’azienda e inviata al Giro per la RAI
Mirko Ferronato, CEO di Ursus, con Giada Borgato ambassador dell’azienda e inviata al Giro per la RAI

In corsa con la protagonista PROXIMA

Protagonista su strada sarà anche la nuova Ursus PROXIMA Team Edition, ruota in carbonio top di gamma, pensata per le esigenze più estreme degli atleti professionisti. Leggerezza, reattività e aerodinamica si fondono in un prodotto d’élite, sviluppato per affrontare ogni scenario, dalla salita più aspra agli sprint ad altissima velocità. PROXIMA accompagnerà i corridori del Team Picnic-PostNL lungo le tre settimane di corsa, garantendo prestazioni costanti e affidabilità anche nelle condizioni più impegnative. Ogni dettaglio è stato studiato in collaborazione con gli atleti per massimizzare la performance su ogni terreno.

Il racconto di #BehindTheRace sarà articolato in tre episodi settimanali per ciascun grande Giro, pubblicati sui canali social di Ursus (Instagram e Facebook) e attraverso la newsletter ufficiale. Un’occasione unica per vivere il ciclismo professionistico da una prospettiva nuova, intima e coinvolgente, fatta di passione, sacrificio e innovazione tecnologica al servizio dello sport.

Ursus