Fra la caduta e la vittoria, ecco la Slovenia di Zana

21.06.2023
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Nelle ultime settimane Filippo Zana è pressoché un ospite fisso dei media nazionali. Il suo Giro d’Italia, al di là della tappa vinta non è passato inosservato, la conquista del Giro di Slovenia (nella foto d’apertura premiato da uno speciale padrone di casa, Primoz Roglic) è un altro tassello della sua crescita, ma c’è anche altro. Moltissime piattaforme hanno ripetuto all’infinito le immagini della sua caduta alla corsa slovena, il suo rialzarsi e poi andare addirittura in fuga per vincere la tappa e vestire la maglia di leader portata fino al traguardo.

Una caduta spettacolare e senza conseguenze, come ce ne sono tante nella vita di un corridore, ma questa non era una caduta normale: era due giorni dopo quella ben più tragica che ha portato via Gino Mader e questo ha dato uno straordinario risalto al suo incidente. “Filippo Zana è un miracolato: paurosa caduta in una scarpata, la bici precipita” titolava un importante sito d’informazione sportiva, non si sa quanto per richiamare visualizzazioni o, vogliamo crederlo vedendo le immagini, realmente spaventati dalla meccanica dell’evento.

Nelle prime tappe Zana aveva lavorato per gli sprint di Groenewegen, esultando per le sue vittorie
Nelle prime tappe Zana aveva lavorato per gli sprint di Groenewegen, esultanndo per le sue vittorie

A distanza di qualche giorno la chiacchierata con Filippo non può non prendere spunto da quel che è successo: «E’ stata una caduta tanto scenografica quanto poco significativa. Ho sbagliato l’impostazione della curva, la stessa che nel giro precedente era costata la stessa caduta a un mio compagno di squadra. Veniva alla fine di un pezzo molto veloce e ho commesso un errore di guida. Mi sono rialzato subito notando che non mi ero fatto nulla e ho pensato solo a ripartire».

Eppure quello scivolone ha avuto un enorme risalto…

Posso capirlo. Quando alla sera ho rivisto la scena nei video mi sono spaventato un po’ anch’io, ma capisco che l’enfasi fosse data soprattutto per quanto era successo in Svizzera, la tragedia che è costata la vita a Gino. Lì per lì non ci avevo pensato ma riconosco che vedendo le immagini mi è passato alla mente quel che è successo allo svizzero e ho capito di essere stato fortunato, tanto fortunato

E’ vero che le cadute ci sono sempre state per ogni ciclista, ma ragionandoci sopra, secondo te si potrebbe fare qualcosa in più in tema di sicurezza?

Qui apriremmo un dibattito enorme. Forse in quella curva dove sono caduto, un addetto che la segnalasse sarebbe stato utile. Forse nel caso di Mader non c’era bisogno di porre l’arrivo alla fine della discesa, bastava chiudere la tappa in cima alla salita. Ma bisogna guardare ogni cosa sotto altri aspetti. Nel caso elvetico capisco anche gli organizzatori, che trovano un accordo per arrivare in un dato posto e devono adeguarsi, soprattutto percorrere quelle date strade. A proposito della Slovenia, in una tappa di 200 chilometri quanti addetti dovresti allora spargere per il tracciato? E’ difficile trovare la quadratura del cerchio, anche se un’idea me la sono fatta.

Quale?

Premesso che si va sempre più veloci perché i materiali di gara sono in continua evoluzione, sta anche al ciclista metterci del suo, usare attenzione e prudenza, senza le quali ogni accortezza organizzativa sarà utile. Il nostro è uno sport rischioso, non dimentichiamolo mai e facciamo del nostro per ridurre i pericoli.

Nell’ultima tappa fuga a due con Mohoric. Lo sloveno vince la tappa, Zana è primo in classifica
Nell’ultima tappa fuga a due con Mohoric. Lo sloveno vince la tappa, Zana è primo in classifica
Ti aspettavi questa vittoria, soprattutto dopo le fatiche del Giro?

Sapevamo di essere usciti bene dal Giro e soprattutto sentivo di avere una buona forma, ma poi ci sono anche gli avversari e la partecipazione al Giro di Slovenia era sicuramente molto qualificata. Nessuno partecipa per arrivare secondo, c’è stato da lottare. Alla fine sono rimasto molto contento non solo del risultato, ma per come è arrivato, per la forma che ho mostrato contro gente che andava davvero molto forte.

La sensazione è che il Giro ti abbia fatto fare un altro salto di qualità…

Spero che sia così, ma il cammino è ancora lungo e rispetto ai più forti c’è ancora tanto margine da colmare. Sicuramente questo tipo di corse a tappe, racchiuse in 4-5 giorni, è la mia dimensione ideale al momento.

Alla partenza in tanti a chiedere autografi al nuovo campione del ciclismo italiano
Alla partenza in tanti a chiedere autografi al nuovo campione del ciclismo italiano
Ci sono molti esempi di corridori che in queste corse si sono costruiti una carriera, arrivando poi a emergere anche nei grandi Giri. Può essere il tuo caso?

Io me lo auguro. Dopo il Giro molti predicono il mio futuro come uomo da classifica, ma per esserlo davvero c’è ancora tanta strada da fare. I fenomeni come Pogacar capaci di vincere subito sono pochi proprio perché sono fenomeni. Io credo di essere sulla buona strada, ogni gara serve per maturare, queste soddisfazioni danno la spinta a insistere e provarci ancora, continuare a migliorare, sperando che un giorno possa essere anch’io lì a lottare per una maglia importante in un grande Giro.

Ora che cosa ti attende?

Naturalmente il campionato italiano, poi finalmente si stacca la spina per un po’. Avevamo impostato la stagione per essere al massimo al Giro e devo dire che alla fine abbiamo avuto ragione, anche se all’inizio non ero certo molto brillante. Mi prenderò un po’ di riposo e poi si dovrebbe ripartire verso la metà di agosto, per la seconda parte di stagione, vedremo con quali obiettivi.

P.S. Le cadute sono parte del mestiere, Zana lo sa e forse la sua porzione di fortuna l’aveva già riscossa. Fatto sta che stamattina, nel corso dell’allenamento Filippo è caduto riportando la frattura della clavicola destra. Niente campionato italiano e necessità di andare sotto i ferri venerdì per ridurre la frattura, poi si penserà alle tappe della ripresa.

Dal blackout del Giro alla rivincita tricolore: Fiorelli racconta

20.06.2022
5 min
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In ogni cosa che facciamo c’è sempre una piccola parte che non si può controllare. Filippo Fiorelli era partito per il Giro d’Italia con le migliori intenzioni, lo aveva detto a Giada Gambino. La sua avventura sulle strade della Corsa Rosa, però, è durata ben al di sotto delle sue speranze. Cinque giorni, anzi quattro, perché Fiorelli in fondo alla quinta tappa del Giro, non ci è mai arrivato.

«Io e la squadra – racconta dal Giro di Slovenia – non pensavamo mai e poi mai che sarei potuto andare via alla quinta tappa. Anzi, per come ci arrivavo l’idea era che avremmo portato a casa qualcosa di buono».

Prima del Giro, Fiorelli aveva fatto vedere buone cose al Giro di Sicilia dove è arrivato secondo nella classifica a punti
Prima del Giro, Fiorelli aveva fatto vedere buone cose al Giro di Sicilia dove è arrivato secondo nella classifica a punti

Il giorno nero

«Mi sono svegliato la mattina – riprende Filippo – che avevo già una sensazione di nausea, a colazione non riuscivo nemmeno a mangiare. Lì mi sono accorto che la cosa sarebbe stata seria, a colazione io di solito ho una fame da lupi, mangerei anche i miei compagni (racconta con una risata amara, ndr). Una volta salito in bici questa sensazione ha continuato ad accompagnarmi per tutta la tappa. Non riuscivo a digerire, ho provato anche a liberarmi ma nulla».

«Al chilometro zero le cose continuavano a rimanere invariate, una volta imboccato Portella Mandrazzi (la salita di giornata, ndr) mi sono staccato. Non ho fatto neanche il gruppetto talmente ero attardato, ho fatto tutta la salita accanto alla macchina. Ero spossato, non riuscivo a spingere sui pedali, mi si sono affiancati anche Zana e Rastelli, ma nulla…».

Fiorelli non ha mai perso il buonumore, qui con Zana all’Adriatica Ionica Race vinta da quest’ultimo
Fiorelli non ha mai perso il buonumore, qui con Zana all’Adriatica Ionica Race vinta da quest’ultimo

Il ritiro? L’unica soluzione

Quando il corpo si rifiuta di andare avanti, è anche inutile cercare di spingere, bisogna mettersi l’anima in pace ed alzare bandiera bianca. Non è semplice ma è la cosa giusta per non peggiorare la situazione. 

«Ho deciso di finire la salita – dice il corridore siciliano – con l’idea di provare a rientrare se il gruppetto dei velocisti avesse rallentato. Purtroppo quel giorno i velocisti sono rimasti nel mezzo e hanno fatto tutto il giorno a testa bassa. Una volta capito che davanti non si sarebbero fermati, ho deciso di ritirarmi, anche perché avevo 18 minuti dai primi ed il tempo massimo era stimato tra i 22 ed i 23 minuti. Sono dell’idea che questo malessere mi sia capitato nel giorno sbagliato, se mi fosse arrivato il giorno dopo, quando si è fatto i 37 di media mi sarei anche salvato. Purtroppo non decidiamo noi quando avere le giornate no. Parlando con il dottore della squadra si è pensato ad un’intossicazione alimentare. La sera prima è stato male pure Tonelli, si è pensato sia stato un alimento avariato che abbiamo mangiato entrambi».

Tra l’AIR e il Giro di Slovenia c’è stata la parentesi fredda al Tour of Norway
Tra l’AIR e il Giro di Slovenia c’è stata la parentesi fredda al Tour of Norway

Proprio in Sicilia…

Per un corridore siciliano ritirarsi davanti ai suoi tifosi, sulle strade dove ad attenderlo c’è tanta gente fa male. Quel che doveva essere un giorno di festa si trasforma in un qualcosa di brutto e di difficile assimilazione.

«Quel giorno – dice Filippo – a Messina c’erano tutti i miei amici e mia mamma. Appena ha messo piede in città le è arrivata la chiamata di Alberati che le diceva del mio ritiro. L’aria, il clima e l’emozioni di Messina mi avevano dato fiducia, si poteva fare bene. Mi sono arrivate tante manifestazioni di affetto: messaggi, chiamate, parole di conforto. Questo mi ha un po’ aiutato a stare meglio, ma la delusione era davvero enorme. La beffa è stata che la mia valigia era già nell’hotel vicino alla partenza della tappa successiva, in Calabria. Mi sono dovuto fare tutto il trasferimento e dormire lì, mi sono calato in un sonno profondissimo: 12 ore. Il giorno dopo stavo meglio ed una volta a casa era tutto passato, tant’è che mi sono anche allenato».

Filippo ha corso il Giro di Slovenia per sfruttare la buona condizione fino al campionato italiano
Filippo ha corso il Giro di Slovenia per sfruttare la buona condizione fino al campionato italiano

La gamba c’era e c’è ancora

Ritirarsi dopo 5 giorni di Giro d’Italia non fa piacere a nessuno, soprattutto se l’avvicinamento è stato positivo come quello vissuto da Filippo. La condizione c’era e c’è, l’atleta della Bardiani CSF Faizanè ne è convinto. Infatti, dopo il Giro, tempo due settimane ed è andato in Norvegia a correre ancora.

«Nei giorni a casa mi sono allenato ed ho visto che la gamba c’era – conferma –  ho parlato con i direttori sportivi e quando si è presentata l’occasione di sostituire un mio compagno in Norvegia sono andato subito. Arrivavo con il dente avvelenato e volevo raccogliere tutto. Forse ho corso con un pizzico di lucidità in meno nelle prime tappe. Non è stata una corsa facile, c’erano vento e salite, in più i velocisti presenti non erano di secondo livello (Kristoff, Pedersen, Teunissen, ndr). All’Adriatica Ionica Race ho sofferto il cambio di clima rispetto alla Norvegia, passare dai 15-16 gradi ai 35 non è stato facile, anzi».

«In accordo con la squadra – conclude Fiorelli – abbiamo voluto sfruttare la condizione arrivando fino ai campionati italiani. Bisogna imparare a correre con la testa, anche in Slovenia ho fatto le due tappe più dure, la terza e la quarta al risparmio. Così da giocarmi le mie carte domenica (chiusa al 7° posto, ndr). Non vivo questo periodo con stress, certe volte la vittoria ti arriva dal cielo quando meno te lo aspetti. In alcuni momenti hai la gamba, ma non riesci a far quadrare tutto, in altri ti capita lo sprint non favorevole ma tutto si allinea e vinci comunque. Nella seconda tappa al Giro di Slovenia ho fatto quarto, un bel piazzamento. I velocisti che c’erano andavano forte: Groenewegen ed Ackermann su tutti, vedo che ne ho, non mi faccio abbattere ed attendo».

Roglic-Pogacar: avvicinamenti diversi. Come mai?

17.06.2022
5 min
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Campioni diversi, avvicinamenti diversi. Come mai Roglic ha scelto di passare per il Delfinato, che ha vinto, mentre Pogacar arriverà al Tour attraverso lo Slovenia? Il tema si presta a ragionamento, che in questa fase della stagione è basato su ipotesi e pensieri in attesa della prova dei fatti.

«Una scelta curiosa di percorsi diversi – dice Adriano Malori, compagno in questo viaggio fatto di considerazioni – indice di come si sentano i due. Roglic doveva trovare la condizione e aveva bisogno di conferme. Dei due, psicologicamente è il più fragile. Basti ricordare la crono del 2020. Pogacar invece è andato in Slovenia, trovando un livello più basso. Lui non fa una piega. Il primo giorno gli è bastato fare uno starnuto e si sono trovati in fuga a 60 chilometri dall’arrivo. Ieri invece nel gruppo di testa c’era ancora Groenewegen, si vede che non era un gran passo. Puoi fare un discorso come Pogacar, solo quando hai la certezza di essere Pogacar, quindi hai la tranquillità di non confrontarti subito e lo stress in corsa è la metà».

Il livello del Giro di Slovenia non è quello di Delfinato e Svizzera. Qui esulta dietro Novak per la vittoria di Majka
Il livello del Giro di Slovenia non è quello di Delfinato e Svizzera. Qui esulta dietro Novak per la vittoria di Majka
C’è anche un fatto di tempi, Roglic non rischia di arrivare scarico alla terza settimana?

Quello non credo, l’anno scorso si è ritirato, ma è arrivato forte a Tokyo e ha vinto le Olimpiadi della crono. A primavera è rimasto tanto fermo per il ginocchio e questo lo ha costretto a ripartire dal Delfinato, mentre l’anno scorso aveva fatto le classiche. Piuttosto… Questa cosa del ginocchio sarà vera?

Non ci credi?

Secondo me il fastidio c’era, ma lo hanno ingigantito per dargli modo di non correre tanto e lavorare gradualmente. Secondo me sta provando a raggiungere il primo picco al Tour, vista la differenza di quasi 10 anni con Pogacar. Questo potrebbe essere il suo ultimo anno a un certo livello, perché comunque ne ha già 33. E allora potrebbe aver deciso di puntare tutto sul Tour, sacrificando il resto. E’ dall’inizio dell’anno che non è il solito Roglic.

Il dolore al ginocchio è venuto fuori ai Paesi Baschi: ma se faceva così male, perché finire la corsa?
Il dolore al ginocchio è venuto fuori ai Paesi Baschi: ma se faceva così male, perché finire la corsa?
Da cosa lo hai visto?

Alla Parigi-Nizza non avrebbe vinto senza avere accanto Van Aert. E ai Paesi Baschi, se davvero hai quel problema al ginocchio, sapendo cosa rischi, perché finirlo e non fermarsi subito per curarlo? Detto questo, condivido appieno la sua scelta. L’altro va come un aereo e ha 10 anni di meno, giusto provarle tutte per batterlo.

Quindi al Delfinato ha continuato a lavorare?

In qualche momento ho avuto la sensazione che stesse usando la corsa per prepararsi. Nell’ultima tappa con Vingegaard gli è mancato il recupero. E a meno che non sia pretattica, mi viene da pensare che il danese sia già al top, mentre Primoz stia crescendo. Però in faccia non l’ho mai visto morto. Sono abbottonati, non fanno trapelare nulla…

Intanto l’altro sembra più lieve.

Pogacar non è tipo che soffra la pressione o abbia l’ansia di sapere come stia il rivale.

Per Pogacar, avvicinamento tranquillo nella corsa di casa, alla larga da confronti troppo severi
Per Pogacar, avvicinamento tranquillo nella corsa di casa, alla larga da confronti troppo severi
Si dice che vincere il Delfinato puntando al Tour sia un rischio.

Però Armstrong, poi Wiggins e Froome lo hanno vinto anche prima. Dipende da come ti gestisci e quanto margine pensi di avere rispetto agli avversari. La corsa di avvicinamento va scelta in base a come ti senti e quello di cui hai bisogno. Se ti serve condizione, vai a Delfinato e Svizzera. Io li ho fatti entrambi e sono stancanti, la Francia più della Svizzera. E’ un mini Tour, pieno di francesi cattivi come bestie. Io staccavo ad aprile, soffrivo le prime tappe, crescevo, poi facevo un periodo di stacco e andavo al Tour.

A Roglic conviene fare un mini Tour prima del Tour?

Bisogna considerare che ha meno stress di tutti, perché con una squadra come quella, nessuno va a rompergli le scatole. E poi magari dopo i Baschi è stato per due settimane senza toccare la bici, può aver preso un paio di chili… Il bello di questa fase è che si vive di supposizioni!

Al Delfinato, Roglic senza stress grazie a compagni forti come Vingegaard, Van Aert e Kruijswijk
Al Delfinato, Roglic senza stress grazie a compagni forti come Vingegaard, Van Aert e Kruijswijk
Puoi fare come Pogacar, se sei certo di essere Pogacar…

Di fatto la sola corsa che ha steccato quest’anno è stata la Freccia Vallone, ma c’era già in ballo il problema della nonna della ragazza. Al Fiandre ha perso per un fatto di tattica, ma per il resto non ha sbagliato un solo appuntamento. Non ha avuto un solo episodio nella sua carriera che l’abbia fatto dubitare di se stesso. Bisognerà vedere come reagirà il giorno che avrà una crisi vera.

Peccato che gli italiani stentino…

Il ciclismo italiano non è in crisi, si è semplicemente alzato il livello degli altri. Ma non è che altrove stiano meglio. La Slovenia domina. Il Belgio ha Remco e Van Aert. L’Olanda ha Van der Poel. La Francia ha mezzo Alaphilippe e qualche lampo di Gaudu, mentre Pinot non va avanti. La Colombia non ha più l’abbondanza di prima. E noi abbiamo appena capito che Nibali sta per smettere. Siamo bravi a darci mazzate da soli, ma Nibali vale quanto Pogacar. Solo che non l’abbiamo mai apprezzato. Trovatemi sennò uno che abbia vinto Giri e classiche come lui…

Pogacar Liegi 2021

Pogacar come Merckx? Parola a Saronni che li conosce…

18.06.2021
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Pogacar come Merckx. Il paragone può sembrare azzardato, irriverente, esagerato, però è un fatto che lo sloveno sta diventando una sorta di “re mida” del ciclismo: dove va, vince. Che siano grandi Giri o gare a tappe brevi, grandi classiche o prove locali, il denominatore è uno solo, il suo arrivo a braccia alzate. Alla faccia della specializzazione e anche di quei sottili equilibri che regnano fra i corridori e le squadre, dove ognuno reclama un pezzetto di spazio.

Giuseppe Saronni, che fa parte dell’Uae Team Emirates e in certi momenti una sorta di Pigmalione per lo sloveno, con Merckx ci ha corso e quindi è la persona ideale per fare da ponte fra i due periodi: «Era il ‘77, io entravo nel mondo professionistico e lui stava per lasciarlo, facemmo insieme il Giro di Sardegna e qualche altra gara, poi a metà stagione si ritirò. Non era certo il Merckx dei bei tempi, ma aveva ancora un carisma enorme».

Saronni Ulissi 2019
Saronni con Diego Ulissi, secondo al Giro di Slovenia aiutando Pogacar a conquistare il successo pieno
Saronni Ulissi 2019
Saronni con Diego Ulissi, secondo al Giro di Slovenia aiutando Pogacar a conquistare il successo pieno
Il paragone ci può stare?

E’ azzardato, ma è un dato di fatto che siamo di fronte a un vero talento che fa di tutto per vincere, che lotta sempre per il massimo risultato. Tadej sa bene che il prossimo Tour sarà ben diverso da quello passato, perché l’atteggiamento degli altri nei suoi confronti sarà cambiato. Lo scorso anno ha vinto anche per errori altrui, che difficilmente verranno ripetuti: i team stanno cambiando le strategie in vista della Grande Boucle e bisognerà tenerne conto.

Resta il fatto che, in qualsiasi gara va, Pogacar vince, sembra non lasciare agli altri che le briciole, proprio come faceva il “cannibale”…

Beh, lui neanche quelle… – afferma Saronni ridendo – Eddy aveva uno strapotere tale da schiacciare tutto il mondo ciclistico, i corridori proprio non riuscivano a trovare spazi e prendevano quello che potevano. Anche in quel breve frangente che condividemmo le nostre strade, sentivo che i corridori facevano di tutto per staccarlo, per batterlo, era ancora un motivo di vanto anche se non era più il Merckx dei bei tempi.

Merckx Colnago
Merckx con Ernesto Colnago, oggi al fianco di Pogacar: un altro trait union fra due epoche
Merckx Colnago
Merckx con Ernesto Colnago, oggi al fianco di Pogacar: un altro trait union fra due epoche
Rapportando tutto questo a oggi e a Tadej?

Sono epoche troppo diverse: noi facevamo 120-130 giorni di gara, oggi al massimo si raggiungono gli 80. Merckx in un anno vinceva 50 gare, io ne vincevo 40, oggi Tadej che ne vince 15 scatena grandi discussioni come stiamo facendo noi ora. Chi vince tanto dà fastidio, è chiaro ma è anche normale che sia così e ciò comporta che gli altri ti corrano contro.

Anche altri vincono molto, ma Tadej riesce a farlo nei contesti più disparati, battendo gli specialisti delle classiche come quelli delle brevi corse a tappe…

Nelle corse in linea intervengono molti fattori e puoi anche cogliere le occasioni, soprattutto su certi percorsi, nei grandi Giri il discorso è diverso. Questo Tour sarà particolare, con un Roglic che ha corso meno e arriva più carico: magari nell’ultima settimana avrà ancora qualche scricchiolio, ma resta il grande antagonista. La Ineos ha la squadra più forte, ma non c’è il riferimento assoluto, hanno 4-5 corridori che possono però gestire la corsa. Sarà un Tour complicato e questo Tadej lo sa.

Pogacar Slovenia 2021
L’ultimo trionfo di Pogacar nel 2021, dominando nella sua Slovenia (foto Rai/Getty Images)
Pogacar Slovenia 2021
L’ultimo trionfo di Pogacar nel 2021, dominando nella sua Slovenia (foto Rai/Getty Images)
Come ci arriva?

Lui è sempre pronto, sempre di buon umore, con l’approccio giusto. Sarà fondamentale superare la prima settimana senza incidenti e fra questi inserisco ventagli, cadute, piccoli errori. Vedremo poi come interpretare la corsa: è un Tour diverso dallo scorso anno, con meno arrivi in salita, con molti chilometri a cronometro ma non con la cronoscalata del 2020 che sconvolse la classifica.

E come ci arriva la Uae? Si disse lo scorso anno che Pogacar aveva vinto pur senza avere un team all’altezza, ma quest’anno sembra una formazione diversa…

Molto dipenderà da loro: corridori come Majka, McNulty, Hirschi, lo stesso Formolo saranno utilissimi in pianura e in media montagna, ma sarà fondamentale che qualcuno di loro sia con Tadej quando nelle salite principali il gruppo dei migliori si assottiglierà, rimarranno in 12-15 e fra questi più uomini di Ineos, Lotto, Jumbo. Tadej non dovrà rimanere solo, perché non potrà rispondere a tutti. I ragazzi sanno che la conferma della maglia gialla passa anche per le loro ruote…

Dalla Slovenia l’acuto di Ulissi, l’uomo di Tokyo…

13.06.2021
4 min
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Diego a Tokyo c’è già stato ed ha anche vinto (foto di apertura), perciò da ieri sera ha un pensiero felice in più che gli frulla per la testa. Era il 21 luglio del 2019 e il toscano si presentò da solo sul traguardo che il 24 luglio assegnerà l’oro del ciclismo su strada. E ieri, sulle strade slovene di Nova Gorica, con l’obiettivo della maglia tricolore e la concreta possibilità di andare alle Olimpiadi, Diego Ulissi ha chiuso in qualche modo anche il cerchio del destino. Ha vinto la tappa del Giro di Slovenia e si è rimesso in cammino. Una strada che, sebbene abbia solo 32 anni, va avanti nel professionismo già da 12 stagioni.

Al Giro d’Italia ha ritrovato buone sensazioni nella terza settimana
Al Giro d’Italia ha ritrovato buone sensazioni nella terza settimana

Stop: è il cuore

Quando ti fermano perché pare ci siano delle anomalie al cuore, non è semplice rimettersi in traiettoria: che ne sai di cosa significhi davvero? Una gamba rotta la vedi, la tocchi e ti fa male. Il cuore con l’extrasistole al massimo è una sensazione, ma se poi le hai sempre avute, pensi anche che sia normale.

«Infatti all’inizio ho avuto paura – ci ha detto – soprattutto per la mia salute. La carriera passa in secondo piano, ma l’affetto delle persone accanto mi ha aiutato a passarci in mezzo. E’ stato tutto un fatto di testa. Fisicamente non sentivo niente, sono sempre stato bene. Ma di colpo è arrivata questa diagnosi, ho dovuto fermarmi e la testa ha lavorato parecchio. E’ stato un misto di paura e sconforto. La speranza di tornare e fare quello che ho sempre fatto. La paura di non poterlo più fare. Poi finalmente è arrivato il nulla osta, come una liberazione».

Dalla Spagna al Giro

Ha riattaccato il numero al Gp Indurain del 3 aprile, la corsa del ritorno alla vittoria di Valverde. Il Giro dei Paesi Baschi che partiva due giorni dopo era nei programmi, ma non si poteva dire per le cautele necessarie. Poi la Freccia Vallone non conclusa e i primi segni di risveglio al Romandia, con bei piazzamenti nelle ultime tappe. Il Giro d’Italia poteva essere il palcoscenico del rilancio oppure un ostacolo troppo alto, ma Diego l’ha preso a piccoli passi. E se pure non è riuscito a infilarsi nelle tappe più adatte, nella terza settimana è scattato qualcosa. Quarto a Sega di Ala, quinto a Stradella.

«Se durante la convalescenza è stato più un fatto mentale – ha detto a fine Giro – qui hanno fatto più le gambe della testa. E’ stato bene crescere gradualmente e non compromettere il resto della stagione. Il Giro d’Italia è stato sicuramente un passaggio utile per il resto dell’anno. E le Olimpiadi sono un sogno per chiunque, anche per me».

La Slovenia gli porta bene: aveva già vinto la classifica nel 2011 e qui nel 2019
La Slovenia gli porta bene: aveva già vinto la classifica nel 2011 e qui nel 2019

Tokyo chiama

Il Giro di Slovenia gli ha sempre portato bene. E mentre Pogacar lo ha abbracciato come se avesse vinto suo fratello, la memoria va a quando il livornese, 22 anni ancora da compiere, ci arrivò nel 2011 dopo aver vinto la tappa di Tirano al Giro d’Italia e si prese la vittoria finale. Tornò nel 2016 per vincere una crono e nel 2019 arrivarono nuovamente una tappa e la classifica generale. Anche allora uscì dal Giro senza vittorie, poi però vinse a Lugano, si prese lo Slovenia, arrivò quarto ai campionati italiani e volò a Tokyo.

«Era importante esserci – disse dopo l’arrivo di quel test – perché solo la gara ti fa capire le reali difficoltà del percorso. Alle Olimpiadi sarà durissima».

Nel luglio del 2019, l’Italia di Cassani volò a Tokyo con Formolo, Ulissi, Cataldo e Masnada
Nel luglio del 2019, l’Italia di Cassani volò a Tokyo con Formolo, Ulissi, Cataldo e Masnada

Un bel déjà vu

L’Italia volò in Giappone con Ulissi, Formolo fresco di tricolore, Cataldo e Masnada, ancora corridore dell’Androni e vincitore al Giro della tappa di San Giovanni Rotondo.

«Non sta a me scegliere – ha detto Diego commentando la vittoria – ma se serve, sono pronto. Sono veramente felice. Al Giro d’Italia nell’ultima settimana avevo avuto ottime sensazioni e questa volta ho sfruttato al meglio la condizione, grazie anche a una grandissima squadra. E’ bello dopo un inverno così difficile, di aver ritrovato ottime sensazioni e un’ottima gamba. Sono davvero contento».