Le domande sulle scelte di Van Aert verso Fiandre e Roubaix

02.03.2024
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Van Aert e le classiche del Nord: il Fiandre e la Roubaix. L’una e l’altra, l’una o l’altra. E’ questa la grande missione del belga per la prima parte di stagione, tanto da aver sacrificato per esse i lavori specifici della crono, la Strade Bianche di oggi e la Sanremo. E’ incredibile come nel giro di un anno e mezzo il supereroe instancabile – Van der Poel – si sia convertito in cecchino capace di programmare col contagocce e anche Van Aert abbia dovuto adeguarsi. Già lo scorso anno i loro programmi avevano preso a cambiare direzione: sarà vero che sul podio Wout ha sempre il sorriso, ma perdere sempre non è certo piacevole.

La vittoria in Algarve ha messo il primo tassello, quella di Kuurne ha fatto capire che il progetto è una cosa seria. Eppure c’è chi, come il francese L’Equipe, ha visto nella prestazione poco sicura della Omloop Het Nieuwsblad un livello insufficiente rispetto alla caratura del campione. Se infatti domenica ha fatto esplodere il gruppo a quasi 90 chilometri dall’arrivo, il giorno prima ne mancavano 30 quando non è riuscito a rispondere a Skujins sul Berendries. La vittoria di Tratnik a Ninove basta per dire che tutto va bene?

Di nuovo il Teide

La vera novità di stagione per quanto riguarda Van Aert sta nel cambio di guida tecnica. Di lui ora si occupa Mathieu Heijboer, il gran capo degli allenatori della Visma-Lease a Bike, che ha dichiarato chiaramente gli obiettivi.

«La cosa che m’interessa – ha detto nell’inverno – è che Van Aert migliori in modo costante per essere al meglio in aprile. Senza picchi di forma precedenti, mostrando però un continuo progresso di condizione».

Stando così le cose, il piano si va svolgendo alla perfezione, sia pure con alcune perplessità legate alla periodizzazione dell’altura e scelte inedite. L’anno scorso Van Aert è stato sul Teide da metà febbraio a inizio marzo, mentre nel 2022 ne scese a fine febbraio per l’Omloop Het Nieuwsblad. Quest’anno, insieme ai compagni Tratnik, Benoot e Hagenes, Wout ha optato per un periodo di tre settimane subito dopo il weekend dell’apertura al Nord. Tornerà alla vigilia della E3 Saxo Classic (22 marzo), per dedicarsi alle classiche del pavé, con il Fiandre e la Roubaix come obiettivo principale. Dopo la Omloop Het Nieuwsblad, il diesse Arthur Van Dongen ha dichiarato che Van Aert non fosse ancora al top proprio perché non è ancora stato in altura, come invece i compagni Laporte e Jorgenson.

I dubbi e le domande

Il tema sulla durata dello stage e il rientro al livello del mare tiene banco sui media del Belgio. Het Nieuwsblad ha infatti interpellato Ruud Van Thienen, medico sportivo e ricercatore presso l’Università di Gand.

«Come ogni cosa legata all’essere umano, ci sono variazioni – spiega – ma in media si ottiene un vantaggio dallo stage in altitudine nelle quattro-sei settimane successive. Dopo due settimane, la quantità di globuli rossi extra prodotti è quasi completamente scomparsa e anche gli altri benefici si attenuano nel tempo. In media, dopo circa sei-otto settimane, nessuno degli altri effetti è più evidente».

Per cui la curiosità è sull’anticipo con cui andare, puntando alle classiche tra il Fiandre e la Roubaix e il carico di lavoro possibile per non esagerare con la stimolazione.

«Nei primi giorni – prosegue Van Thienen – l’energia passa dal tuo sistema all’adattamento all’altitudine e questa è energia che non è disponibile per l’allenamento. Devi ridurre il volume di lavoro durante l’intero periodo di permanenza in quota. Tutto quindi dipende da ciò che per il singolo atleta offre il massimo miglioramento delle prestazioni. Beneficia maggiormente del volume in più (dal 5 al 10%) con cui può allenarsi quando non è in quota, oppure beneficia maggiormente dell’effetto positivo dell’altitudine? Tutti migliorano andando in quota, ma la portata dell’effetto varia enormemente».

«Normalmente mi sento molto forte quando torno dall’altitudine – ha detto Van Aert dopo la vittoria di Kuurne – spero di trovare lassù quell’uno per cento in più».

Van Aert va da anni sul Teide: qui una foto del 2021 con Roglic, preparando proprio le classiche
Van Aert va da anni sul Teide: qui una foto del 2021 con Roglic, preparando proprio le classiche

Sanremo addio

Domenica Van Aert ha fatto esplodere la Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Ha portato con sé Wellens, Lazkano e Pithie e non ha avuto difficoltà nel metterli in fila all’arrivo. Ugualmente, è rimasto molto cauto sul suo stato di forma, che ha trovato migliore del giorno prima, ma ancora lontano dal top.

Sappiamo che il belga è spinto dalle ambizioni più elevate in relazione a Fiandre e Roubaix e il suo cammino per raggiungerle è iniziato lunedì con il volo verso Tenerife.

«Sto cercando di trovare l’ultima percentuale – ha spiegato – che mi è mancata per vincere finora il Fiandre o la Roubaix. Het Nieuwsblad e Kuurne sono state difficili per come le abbiamo gestite, ma i monumenti verranno tra cinque settimane: sarà un altro periodo, un altro livello. Non so quanto mi manchi per essere al top, ma ho bisogno di questo stage in altura».

Questo ha significato eliminare gare come le Strade Bianche o la Milano-San Remo: «Mi rende triste – dice – ma le ho già vinte. In questa stagione cambio tutto, non solo per le classiche visto che farò subito il Giro, che è anche una novità. Non so dire se ho ragione o no, ma dovevo cambiare».

Baroncini e la UAE, blitz al Nord per le prove sul pavé

17.02.2024
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Con addosso quel senso di tutto nuovo che rende più belle anche le cose già viste, Filippo Baroncini si è affacciato sul 2024 con l’entusiasmo ben oltre il punto di ebollizione. Quale che ne sia stata la causa, il suo percorso nella Lidl-Trek non aveva più margini per andare avanti, mentre l’approdo al UAE Team Emirates è quello che il romagnolo cercava.

«Mi piace molto l’ambiente – spiega dalla Volta ao Algarve – molto più latino, ci sono tanti italiani. Non che prima stessi male, ma con i compagni ho un rapporto diverso. C’è un bel dialogo, è un ambiente in cui ci si aiuta. quindi è quello che cercavo».

L’Algarve, come abbiamo già sentito da Matteo Trentin è l’occasione per mettere nelle gambe chilometri e ritmo, in vista del weekend di apertura sulle strade del Nord. Il prossimo fine settimana alla Omloop Het Nieuwsblad sarà un ribollire feroce di ambizioni contrapposte e per Baroncini sarà la prima occasione di prendere le misure innanzitutto a se stesso. L’inverno è stato proficuo, ma finché non ti misuri con quelli che puntano al tuo stesso obiettivo, non puoi sapere a quale punto della catena alimentare ti trovi davvero. Se sarai preda o cacciatore.

Nel giorno del pavé, cielo sereno e solo uno scroscio d’acqua in avvio (foto UAE Team Emirates)
Nel giorno del pavé, cielo sereno e solo uno scroscio d’acqua in avvio (foto UAE Team Emirates)

Nel frattempo, per prendere le misure alle strade, alla bici e all’abbigliamento, il 7-8 febbraio Filippo è volato fra Belgio e Francia con Tim Wellens e Nils Politt, svolgendo prima un sopralluogo sul percorso della Parigi-Roubaix e un altro il giorno successivo su quello del Giro delle Fiandre (foto UAE Team Emirates in apertura). Un’esperienza che secondo noi merita un racconto.

Cosa siete andati a fare?

A provare i materiali, più che altro, soprattutto per la Roubaix. Pensavo che il pavé fosse più traumatico, invece con queste ruote e con i tubeless, anche se ha lasciato il segno, sono andato molto bene. Per il Fiandre invece non c’è tanto da trovare un setting particolare. Abbiamo fatto gli ultimi 50 chilometri giusto per ricordarci i nomi delle salite e cosa ci si aspetta. Siamo stai per due giorni, toccata e fuga.

Che cosa vuol dire che ha lasciato il segno?

Il primo settore di pavé della Roubaix è stato un brusco risveglio. Per Wellens era la prima volta, ci siamo guardati in faccia e si è messo a ridere da quante vibrazioni e il dolore alle braccia dopo un solo settore. Poi però abbiamo preso un po’ di feeling e via.

Tim Wellens non aveva mai messo le ruote sul pavé della Roubaix: ride per le vibrazioni (foto UAE Team Emirates)
Tim Wellens non aveva mai messo le ruote sul pavé della Roubaix: ride per le vibrazioni (foto UAE Team Emirates)
Avete lavorato più sull’assetto o sulle pressioni?

Pressioni e sezioni diverse. Ogni tot ci fermavamo, provavamo, cambiavamo ruote e coperture. E poi alla fine abbiamo tirato le somme.

Che cosa avete concluso?

Per me ci saranno sicuramente tubeless da 32, con la pressione bassa, ma neanche tanto, altrimenti sui sassi c’è rischio che scoppino, e ruote da 45 in carbonio, ovviamente. Alla fine è tutto un fatto di ruote. Una gomma dura la puoi sgonfiare quanto vuoi, ma sempre dura rimane. Noi invece abbiamo usato le Continental, che anche nelle gare normali rimangono più morbide rispetto a tante altre.

Come avete affrontato il pavé?

Abbiamo dovuto impegnarci parecchio nella prova dei vari settori. Li abbiamo tutti spinti abbastanza, anche perché se non fai così, non vai avanti. Per questo dopo due ore eravamo abbastanza finiti. Abbiamo fatto dal primo settore fino al Carrefour de l’Arbre. Da lì abbiamo fatto altri 50 chilometri in bicicletta e siamo tornati nell’hotel di Waregem, da cui il giorno dopo siamo partiti per provare il finale del Fiandre.

Il giorno dopo il sopralluogo della Roubaix, tocca al Fiandre, con 5 gradi e male a braccia e mani (foto UAE Team Emirates)
Il giorno dopo il sopralluogo della Roubaix, tocca al Fiandre, con 5 gradi e male a braccia e mani (foto UAE Team Emirates)
E come è andata?

Prima cosa: non vi dico il dolore che avevamo nelle mani. In più pioveva, c’erano cinque gradi, è stato traumatico. Anche perché il giorno prima il tempo era stato quasi buono. Giusto uno scroscio d’acqua, poi era stata una giornata asciutta, ma con tanto vento. Soffiava a 30 all’ora, siamo andati in giro per tutto il tempo col phon di fianco (ride, ndr).

Ancora gomme da 32?

Le stesse, cambieranno le pressioni. Ormai l’aerodinamica è tutto, ma al Fiandre non serve neanche stare a cercare la leggerezza estrema.

A gusto tuo: meglio Roubaix, dunque, o Fiandre?

Il Fiandre, sicuramente. Secondo me è più una corsa di gambe che di fortuna. Alla Roubaix devi essere bravo o avere la fortuna di stare al centro della strada, sulla schiena d’asino. Perché se inizi ad andare di lato, la strada è molto più rovinata e fai il doppio della fatica. Alla Roubaix secondo me ci sono tanti fattori in gioco, mentre al Fiandre conta tanto la posizione e saper correre, ma anche avere tante gambe.

Baroncini con Nils Politt: il tedesco sarà uno dei ledaer della squadra all’apertura del Nord (foto UAE Team Emirates)
Baroncini con Nils Politt: il tedesco sarà uno dei ledaer della squadra all’apertura del Nord (foto UAE Team Emirates)
Come è andata la trasferta con Wellens?

Sono stato bene, è un compagnone. Non è il solito belga un po’ chiuso. E’ veramente un ragazzo d’oro, che insegna tanto e aiuta. Ci parli volentieri con lui. Per questo mi sento più coccolato. Più seguito, è questa la parola giusta.

Per quanti giorni è andato avanti il mal di braccia del pavé?

E’ durato due giorni, poi finalmente le dita si sono sgonfiate. Ho provato con i guanti lunghi, perché era freschino. Però non avevamo messo doppio nastro, niente di particolare e forse è stato questo a far arrivare più vibrazioni alle braccia. Nel giorno della gara avremo gel e doppio nastro, sarà diverso.

In che condizioni arrivi all’apertura del Nord?

Secondo me bene, mi vedo in crescita. Anche alla Figueira Champions Classic abbiamo fatto un bel lavoro di squadra. Sono convinto che se tutto andrà bene, in Belgio ci divertiremo. Alla fine non puoi mai partire con qualche certezza, però se ci vai con la gamba giusta, secondo me ti diverti. Di sicuro la Omloop Het Nieuwsblad sarà un primo test. Ci saranno anche Politt e Wellens, che saranno i riferimenti. Dovrò imparare tanto da loro, per cui il fatto di averli in squadra è un vantaggio. Loro sanno dove muoversi e come farlo, osservarli sarà prezioso.

Conoscete Madouas? Proviamo a scoprirlo insieme

03.02.2024
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Valentin Madouas si rifugia spesso nella mente. Il campione di Francia, 27 anni, che ha sempre corso con la Groupama-Fdj e ha il contratto fino al 2026, è un tipo interessante da ascoltare, forse perché esce dagli schemi più convenzionali. E anche se nel 2023 ha vinto “solo” due corse, non sfuggono negli anni scorsi il terzo posto al Fiandre del 2022 e il quinto nell’ultima Liegi.

«Un anno fa – ha raccontato di recente – ho iniziato l’ipnosi. Non ho bisogno di qualcuno con cui parlare, di uno psicologo. Voglio lavorare sull’inconscio, cercare nella mente cose che mi aiutino ad essere ancora più forte. Sappiamo davvero poco del cervello. Ho anche iniziato a fare l’agopuntura per recuperare. E’ un momento in cui mi prendo una pausa, in cui mi riposo per un’ora. Sto esplorando tante piccole cose che potrebbero portarmi a nuovi traguardi».

Valentin Madouas è nato a Brest il 12 luglio 1996. Pro’ dal 2018, è alto 1,79 per 71 chili
Valentin Madouas è nato a Brest il 12 luglio 1996. Pro’ dal 2018, è alto 1,79 per 71 chili

Approccio scientifico

Madouas è un ingegnere e come un ingegnere ragiona. L’istinto appartiene alla corsa, ma anche durante la gara traspare dal ragionamento la voglia di controllare il mondo intorno a sé. Questo potrebbe essere un limite, ma è anche il solo modo che per ora conosce di essere pronto a tutto, in un ciclismo di attaccanti feroci e imprevedibili. Quante variabili puoi controllare?

«Visualizzo le situazioni – spiega – lavoro molto sulla preparazione mentale. Quando vado a una corsa, immagino 10-15 scenari: come andrà, i corridori che affronterò. Cerco di farlo per quante più gare possibile, ma è molto difficile e soprattutto ci sono cose che non possiamo controllare. Questo è il modo in cui lavoro. Nel 2023 ha dato i suoi frutti, ma sono venuti anche perché nel frattempo è arrivata la maturità fisica e mentale. Ora che sono riuscito a dimostrare a me stesso certe cose, posso lavorare per farle di nuovo e più spesso ».

Podio al Fiandre: nel 2022 Madouas si piazza terzo dietro Van der Poel e Van Baarle
Podio al Fiandre: nel 2022 Madouas si piazza terzo dietro Van der POel e Van Baarle

Tricolore e Plouay

I risultati cui si riferisce sono la vittoria di Plouay, prima gara WorldTour (in apertura commosso dopo l’arrivo), e il campionato nazionale. Aveva conquistato il tricolore anche da U23 e continuava a dire che lo avrebbe colto anche da professionista, pur non sapendo quando e come.

«Sono stato costante per tutta la stagione – racconta – dalle Strade Bianche a Montreal (rispettivamente 2° e 4°, ndr). Inoltre, con il campionato francese e la Bretagne Classic, ho raggiunto due importanti obiettivi professionali. Avrei potuto vincere di più, ma le circostanze lo hanno impedito. Sapere di essere competitivo nelle classiche WorldTour mi permetterà di lottare a un livello più alto. Non vengo dal nulla, sono sempre stato presente. Sfidare certe corazzate nelle gare Monumento non sarà facile, ma il quinto posto di Kung alla Roubaix fa pensare che sia possibile. La squadra è forte, sta a me e Stefan darle la spinta, perché diventi più omogenea e abbia il coraggio di provare azioni per vincere».

E’ il 25 giugno, quando a Cassel Madouas conquista il campionato francese (foto Florent Debruyne)
E’ il 25 giugno, quando a Cassel Madouas conquista il campionato francese (foto Florent Debruyne)

La ricerca del limite

La solidità arriva con il lavoro e da quest’anno la sensazione è che tutti gli atleti della squadra francese abbiano aumentato qualità e quantità. Lo diceva Germani nel ritiro di dicembre e lo ribadisce Madouas.

«Penso di avere ancora molto da esplorare – dice – e su cui lavorare. Per me il ciclismo è uno sport in cui ti reinventi costantemente. Si fa il punto su cosa ha funzionato e poi si prova a sviluppare cose nuove per fare un passo avanti e uscire dalla routine. Non c’è niente di peggio che rinchiudersi in schemi sempre identici. Non conosco i miei limiti e ho raggiunto un’età in cui voglio conoscerli, siano essi mentali o fisici. Ho bisogno di lavorare molto, ma non avevo mai fatto un volume del genere in questo periodo dell’anno. Abbiamo aumentato tutto in modo omogeneo. Invece di tre sessioni di intensità, adesso ne faccio quattro di due minuti anziché di un minuto e mezzo. Sto lavorando di più dietro scooter e alla fine dell’anno avrò complessivamente 32-34.000 chilometri, anziché i 28 -29.000 dello scorso anno».

La vittoria di Plouay ha confermato a Madouas di avere il livello per vincere nel WorldTour
La vittoria di Plouay ha confermato a Madouas di avere il livello per vincere nel WorldTour

Vincere il Fiandre

Resta da inquadrare il suo ruolo di leader, nella squadra che ha perso Pinot e Demare ed è agitata dall’esuberanza di ragazzini come Gregoire e Martinez. E intanto, sapendo che si diventa capitani anche per i risultati, ribadisce che i sogni della sua primavera sono due: la Strade Bianche e il Fiandre, per il quale ha già pronta la tattica.

«Devo vincere – dice – ma anche unire i compagni e lo staff intorno a me e questa è la sfida più grande. Ringraziare, essere rispettosi, onesti e spontanei sono le qualità basilari. Thibaut era in grado di dire quando il lavoro era stato fatto bene oppure no e spiegava il perché. Ora che stanno arrivando i risultati penso di avere la credibilità per farlo anche io. Se poi vincessi il Fiandre…

«Ho immaginato due scenari. Il primo – ha detto a L’Equipe – è un attacco prima del Vecchio Qwaremont all’ultimo giro: lo prendo davanti, gli altri fanno il forcing, si avvicinano e poi si spengono. Io davanti gestisco il mio ritmo e mantengo 20-30 secondi al traguardo. Il secondo è che non riescono a staccarmi in salita e attacco negli ultimi 2 chilometri, quando sento che cominciano a guardarsi per lo sprint. Nessuno mi segue e vinco così. In entrambi i casi immagino Kung lì con me e ci daremo reciproca copertura. Saremo insieme nel finale e vinceremo insieme. Lui per aiutare me, io per aiutare lui».

Bertizzolo, la pista e poi l’Australia verso Fiandre e Parigi

30.12.2023
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OLIVA (Spagna) – Sofia Bertizzolo è tornata in pista. Ovviamente non per prendersi un posto nel quartetto, ma per allenarsi in vista del Tour Down Under. Ce lo ha raccontato Chiara Consonni, per cui una delle prima cose quando la bassanese del UAE Team Adq ci raggiunge, è strapparle una risata raccontando la giornata a Montichiari.

«Nessuna idea di Coppa del mondo – ride – ma è vero che prima del ritiro, ho fatto un rientro in pista. Chiaramente, sono andata senza interferire con quelli che preparavano gli europei. E’ un allenamento che ti salva dal freddo, riesci a fare lavori specifici in bici e nel caso mio che devo anticipare tutto è stato l’ideale. Insomma, era martedì e stava nevicando quasi dappertutto a bassa quota. Ci siamo trovati là in 50 corridori e ho pensato: “Sofia, che brutta idea!”. Invece è venuta fuori una giornata molto ordinata. Villa e i suoi collaboratori sono stati molto disponibili, credo che ci tornerò».

Il primo tricolore del quartetto, Sofia lo vinse nel 2014, stesso anno dell’europeo juniores su strada a Nyon e dell’argento ai mondiali di Ponferrada. Il secondo lo conquistò nel 2015 (con Barbieri, Cavalli e Balsamo) e con le stesse ragazze conquistò il campionato europeo ad Atene, poi sterzò verso la strada. Nel 2019 centrò il quarto posto del Fiandre a 22 anni e oggi è una delle colonne della UAE. Sofia è diretta e schietta. A volte con sano realismo dice che prima o poi tanta schiettezza le si ritorcerà contro.

Nel 2015 ad Atene, Bertizzolo campionessa d’Europa juniores del quartetto con Cavalli, Balsamo e Barbieri
Nel 2015 ad Atene, Bertizzolo campionessa d’Europa juniores del quartetto con Cavalli, Balsamo e Barbieri
La squadra è cambiata tanto. Marta Bastianelli ha smesso e due ragazze come Gasparrini e Consonni ti hanno indicato come riferimento.

Bè, questa è una cosa che mi piace sentire dalle ragazze. Ho 26 anni, non è che abbia tanta esperienza più di loro, però mi rendo conto che appartengo alla generazione che ha vissuto il prima e dopo. Nel male e nel bene, l’anno di svolta per noi è stato il 2020, almeno io ho avuto questa percezione. Da lì in poi c’è stata una spinta incredibile, perché durante il lockdown le donne si sono appassionate al ciclismo.

Come mai ti vedono così?

Forse perché ho una personalità forte. Pretendo, ma sono la prima che le difende quando hanno ragione. Per loro voglio il meglio, mentre da me pretendo la capacità di capire quando una giovane si trova di fronte a una situazione che non conosce, per potergliela spiegare. La difficoltà più grande quando sono passata è che nessuno mi ha spiegato niente.

Quest’anno Bertizzolo ha accelerato la ripresa dato che debutterà al il 15 gennaio al Tour Down Under
Quest’anno Bertizzolo ha accelerato la ripresa dato che debutterà al il 15 gennaio al Tour Down Under
Com’era prima del Covid?

Non c’erano le competenze, non c’era il materiale umano, non c’erano i soldi. I direttori sportivi di 5-6 anni fa erano appassionati, quasi nessuno aveva corso e avevano una visione a volte giusta, a volte sbagliata, ma non professionale. Adesso chiaramente il livello si è alzato, anche perché è un lavoro che dà le risorse per campare. Non è più dilettantismo.

Tempo fa hai detto di aver scelto un ruolo di supporto perché sei forte in salita ma non abbastanza, sei veloce ma non abbastanza. Qual è il tuo spazio?

Sono molto obiettiva con me stessa e con la squadra. Faccio bene il mio lavoro ed è ovvio che le possibilità di trovare il mio spazio si riducano, specialmente se sei onesta (perché non tutti lo sono). Le classiche sono le corse che mi piacciono di più, perché lassù conta l’esperienza. Tante ragazze iniziano a costruirsela e poi dimenticano tutto. Le pressioni, i rapporti… Tenersi un piccolo bagaglio ti fa arrivare lassù già pronta. Sono gare con tante dinamiche e difficilmente finiscono con una volata di gruppo, quindi quello è il mio spazio. Invece nelle corse a tappe, mi dedico a chi cura la generale, oppure tiro le volate per la velocista. Nelle tappe intermedie si può cogliere l’occasione, anche da noi sta cambiando…

Settima all’Emilia, Bertizzolo si è arresa agli scatti di Cavalli e Ludwig. Nel 2023 per lei 58 giorni di corsa
Settima all’Emilia, Bertizzolo si è arresa agli scatti di Cavalli e Ludwig. Nel 2023 per lei 58 giorni di corsa
Che cosa?

Abbiamo visto al Tour de France, che non ho corso, che le gare stanno prendendo questa piega. Vengono premiate le fughe, perché sta diventando tutto più impegnativo. Le distanze aumentano, per cui chi vuole puntare alla generale non può fare le tappe di montagna a tutta, dal chilometro zero all’arrivo. Quindi anche tra noi ormai c’è la distinzione fra chi va per la tappa e chi per la generale. Fino all’anno scorso, prima che tornasse il Tour, era tutti contro tutti dall’inizio alla fine. Adesso sta cambiando.

Hai corso con tecnici come Riis e Arzeni, ora è arrivata Cherie Pridham: è positivo che a guidare una squadra di donne ci sia finalmente una donna?

Non cambia niente, perché il capo deve meritarsi il suo posto. A me fa specie quando ci si pone questa domanda, perché non vedo dove sia il problema. Cherie devo ancora conoscerla, finora l’ho vista solo in due occasioni, ma il mio approccio è lo stesso. Forse l’unica cosa che cambia davanti a un diesse è capire se abbia corso oppure no. Se sono a tutta, uno che ha corso sa quando può chiedermi di tenere un minuto di più. Però, dal punto di vista del ruolo della donna, io sono molto contenta che la squadra si stia muovendo così.

Bertizzolo è tesserata con le Fiamme Oro, con la cui divisa corre le gare di campionato italiano
Bertizzolo è tesserata con le Fiamme Oro, con la cui divisa corre le gare di campionato italiano
Nella maggior parte dei team ci sono ancora uomini nei posti di responsabilità.

Però mi rendo anche conto che stiamo passando a una generazione in cui le atlete smettono e poi rientrano. Penso a Giorgia Bronzini, non so Tatiana Guderzo, oppure Marta Bastianelli che potrebbe avere un ruolo nelle Fiamme Azzurre. Spero che non se la lascino scappare.

Pensi che Marta sarebbe un buon direttore sportivo?

No (ride, ndr), perché lei sente la gara, non la legge. Ha qualcosa di unico, se fai un meeting la sera prima magari non la inquadra, poi arriva in finale e non sbaglia un colpo. Guarda il rapporto dell’avversaria e capisce cosa succederà. E’ una cosa che non puoi spiegare. Mentre il mio approccio è più tecnico. Abbiamo i mezzi per studiare i percorsi e il meteo. Non guardo ogni chilometro, però penso che avere una buona conoscenza ti faccia correre meglio e salvare tante energie. Forse io avrei l’impostazione per fare il direttore sportivo, mentre Marta avrebbe più carisma nel parlare alla radio. 

Nel 2019 a 23 anni, Bertizzolo arriva 4ª al Fiandre: esulta così per la vittoria della compagna Bastianelli
Nel 2019 a 23 anni, Bertizzolo arriva 4ª al Fiandre: esulta così per la vittoria della compagna Bastianelli
Quando ha annunciato il ritiro, eri la più commossa…

Siamo state compagne di squadra per la prima volta nel 2019, per entrambe la prima esperienza fuori dall’Italia. Marta è una persona molto carismatica. Dice sempre: «Uno schiaffo e una carezza». E ha ragione, con me ha funzionato. E’ una persona alla mano. Se sul camper c’è qualcosa da pulire o mettere a posto, lei è sempre là che si dà da fare.

Che stagione vorresti per Sofia Bertizzolo?

Vorrei rivincere, dopo essermi sbloccata al Romandia (foto di apertura, ndr). Come si dice? Vincere aiuta a vincere. Ma penso che il sogno di ogni sportivo sia l’Olimpiade. Il mio obiettivo sono le classiche, potrei trovare soddisfazione personale e insieme dare un segnale al commissario tecnico. Che poi le Olimpiadi sballino il calendario, perché il Tour e i mondiali vengono spostati è un altro discorso. Quindi per il momento vado in Australia a preparare le classiche. L’obiettivo è doppio: far vedere il mio nome e far vedere che so lavorare per la squadra. Ho delle compagne di squadra italiane che giustamente vogliono giocarsi il posto per Parigi e sarò pronta ad aiutarle come loro lo faranno con me. 

Dopo aver corso i mondiali di Wollongong e gli ultimi europei nell’Italia di Sangalli, ora l’obiettivo è guadagnarsi le Olimpiadi
Dopo aver corso i mondiali di Wollongong e gli ultimi europei nell’Italia di Sangalli, ora l’obiettivo è guadagnarsi le Olimpiadi
Aver fatto quarta al Fiandre ed essere stata prima fra le U23 dà un feeling particolare con la corsa?

E’ rimasta la mia corsa preferita. All’inizio odiavo certi percorsi, poi mi sono resa conto che era un limite di conoscenza da parte mia e della squadra. Ho fatto il primo Fiandre con 7 di pressione e l’ho finito che non mi si aprivano più queste tre dita che avevo rotto da piccola. Ho dovuto aprirle con l’altra mano perché erano paralizzate. Quindi è ovvio che non puoi avere un buon feeling nel momento in cui prendi le bastonate, ma all’epoca nessuno fu capace di insegnarmelo. Quando invece capisci i segreti, allora ti regoli di conseguenza e diventa la tua gara preferita. E’ dinamica, può cambiare in ogni momento. Il bello del ciclismo è che non sai come va a finire. Sai che è dura, sai che fredda, sai tutto quello che vuoi. Però penso che dalla parte del tifoso sia la più bella. Io non ho dubbi.

L’inverno del cambiamento e finalmente Persico tira il fiato

17.12.2023
6 min
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OLIVA (Spagna) – Se la spia del diventare grandi è la capacità di razionalizzare gli sforzi e rinunciare a qualcosa per conseguire il proprio obiettivo, allora Silvia Persico è diventata grande. Nel giorno in cui in Belgio si è vissuta la vigilia della Coppa del mondo di ciclocross di Namur, con Van der Poel che a Herentals le ha suonate a Pidcock, la bergamasca si è goduta il giorno di riposo, dopo nove giorni di lavoro importante in ritiro. La temperatura è da primavera avanzata, i 15 gradi all’ombra pungono leggermente se si è lasciata la felpa in stanza, ma pare che ieri pedalando al sole si siano raggiunti i 27.

«Il fatto che abbia rinunciato al cross – esordisce Persico, seduta sul divanetto – è una questione di priorità. Sicuramente quest’anno ho avuto alti e bassi, quindi ho scelto di prendere l’inverno in maniera più easy per recuperare. Se il cross mi manca? A volte guardo le gare e quando vedo che arrivano tutti sporchi di fango, penso che in fondo sia meglio vederla dal divano». 

Un po’ di riposto serviva, dopo i 12 giorni di corsa nel cross e i 50 su strada con Giro, Tour, mondiali di cross e strada e campionati europei. In casa UAE Team ADQ si è consumata una rivoluzione tecnica. Per distinguere i ruoli, si è deciso che i direttori sportivi non possano più preparare le atlete. E così Arzeni, che dai tempi della Valcar aveva sempre allenato le sue ragazze, si è ritrovato di colpo a cedere la preparazione di Persico, Consonni e Gasparrini. E le ragazze hanno ricominciato con nuove figure e la conoscenza da fare.

Che inverno ti aspetti che sia?

Sarà l’inverno del cambiamento. Senza cross, cercando di fare cose che durante la stagione mi sarebbero impossibili. Un inverno un po’ diverso dagli altri, in cui peraltro ho cambiato anche il coach.

Che cosa ha significato cambiare allenatore?

Dopo 8-9 anni con Davide (Arzeni, ndr), non è stato semplice, però devo credere in questo nuovo processo e fidarmi di Luca Zenti, il mio nuovo allenatore. All’inizio è stato difficile, ma adesso è un mese e mezzo che mi alleno con lui e sta diventando tutto più semplice. Ci stiamo conoscendo e comunque credo che sia importante durante la carriera fare dei cambiamenti. Speriamo che questo sia arrivato al momento giusto. Immagino che Luca e Davide abbiano parlato fra loro al momento del passaggio delle consegne, anche se Luca già aveva seguito il mio lavoro in altura a Livigno, preparando il Giro. Diciamo che conosceva già i miei valori.

Silvia Persico, 4ª al Fiandre 2023. Qui nella morsa della SD Worx, tra Vollering e Kopecky che vincerà
Silvia Persico, 4ª al Fiandre 2023. Qui nella morsa della SD Worx, tra Vollering e Kopecky che vincerà
Che cosa ti viene in mente al pensiero del Giro delle Fiandre?

Bè, sicuramente che è un sogno, una gara che mi piacerebbe vincere. L’anno scorso ci sono andata abbastanza vicino, ma ero in fuga con Lotte Kopecky che poi ha vinto. Diciamo che lo sogno da quando sono passata e speriamo che prima o poi arrivi. Serve essere nella giornata giusta e devi avere una buona squadra. Credo proprio che quest’anno la avremo per le classiche in generale, non solo per il Fiandre.

Vai forte su parecchi terreni, hai scelto il tuo profilo migliore?

Sicuramente quest’anno hanno voluto che facessi un po’ tutto. Nel 2024 voglio concentrarmi di più su qualche aspetto in particolare. Più che altro vorrei andare bene per le classiche, poi puntare alle tappe del Giro e del Tour. Hanno sempre voluto che facessi classifica, ma quest’anno ho avuto continuamente alti e bassi, quindi spero che per quel ruolo ci sia Erika (Magnaldi, ndr). Io potrei darle supporto, pensando a fare bene in alcune tappe.

Al Tour de France Femmes, tutta la squadra a disposizione, ma rendimento incostante
Al Tour de France Femmes, tutta la squadra a disposizione, ma rendimento incostante
Fra il Giro e il Tour ci sono le Olimpiadi, ci pensi anche tu?

Una garetta quasi importante, insomma… Diciamo che è il sogno di tutti gli atleti, quindi speriamo vada tutto bene. Sicuramente ci andrà chi più lo avrà meritato, per cui vedremo durante la stagione. Con il cittì Sangalli avevamo già cominciato a parlare, ma siamo ancora in tante, quindi credo che guarderà le prime gare e poi deciderà cosa fare.

Cambio di allenatore, cambio di obiettivi: cambio anche di preparazione?

Sinceramente no. Come volume faccio più ore, sto di più sulla bici. Il 31 dicembre dello scorso anno fu la prima volta che facevo quattro ore, col gruppo del lago. Quest’anno ha iniziato a farle già a novembre, anche più volte per settimana. E’ necessario perché le gare sono diventate più lunghe. Un paio di anni fa, con 140 chilometri sembrava una gara lunghissima. Adesso è una distanza da gara corta e nel 2024 si allungherà ancora di più. Per questo abbiamo aumentato in allenamento. E poi aggiungiamo che prima ero più giovane e dovevo fare le cose con gradualità. Adesso invece ho 26 anni e credo che sia il momento di alzare l’asticella.

Le classiche saranno il focus principale: nel 2023 è venuta (alla grande) la Freccia del Brabante
Le classiche saranno il focus principale: nel 2023 è venuta (alla grande) la Freccia del Brabante
Il fatto di correre il UAE Tour, che per voi ha particolare importanza, impone di stringere i tempi?

Sicuramente abbiamo iniziato a spingere già da qui e sicuramente anche Natale non sarà un periodo tranquillo. Non so come arriverò al UAE Tour, nel 2023 chiusi al terzo posto, quindi magari andrà bene anche il prossimo anno. Comunque torneremo qui l’8 gennaio e poi andremo a fare le prime gare a Mallorca, in modo da arrivare in UAE più rodate.

Pontoni ha lasciato intendere che nel 2024 potresti rimettere le ruote nel cross…

Non lo so, sinceramente non lo so. Alla fine l’idea di fare un inverno più tranquillo mi incuriosiva e finora mi è anche piaciuto, quindi vediamo come andrà la stagione su strada e poi da lì riprogrammeremo la stagione invernale. Il cross mi dà qualcosa per la strada, ma è anche vero che prima la stagione iniziava più avanti e finiva prima, invece adesso si anticipa il via e si ritarda la fine. Bisogna scegliere, non si può fare tutto. Questo l’ho visto sulla mia pelle, sennò a un certo punto esplodi.

La rincorsa di Girmay al Tour è iniziata sui Muri

05.06.2023
3 min
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Girmay è di ritorno, finalmente. Dopo il tappo di spumante nell’occhio al Giro, infatti, il suo percorso era diventato tortuoso, ma il quarto posto di ieri alla Brussels Cycling Classic potrebbe segnare un nuovo inizio, che attraverso il Giro di Svizzera lo porterà al debutto del Tour.

«Le prime tappe nei Paesi Baschi vanno davvero bene per me – dice lui – e ovviamente vado con ambizione. Da bambino sognavo un giorno di fare il Tour. Ma prima devo assicurarmi di poter essere al via in buona forma».

La sua primavera si è fermata al Fiandre, con una caduta rovinosa a 72 chilometri dall’arrivo
La sua primavera si è fermata al Fiandre, con una caduta rovinosa a 72 chilometri dall’arrivo

Caduta al Fiandre

La primavera era iniziata con il passo sbagliato e si era fermata a 72 chilometri dall’arrivo del Fiandre, nella caduta che ha messo fuori gioco anche Aime De Gendt (gomito fratturato) e Taco Van der Hoorn (commozione cerebrale). Anche per Girmay il danno maggiore è stato il colpo alla testa, con ferite su metà del volto, profondi tagli all’anca e varie contusioni, in seguito al quale è stato subito portato all’ospedale di Renaix, dove gli è stata diagnosticata una grave commozione cerebrale, e poi a quello di Kortrijk, dove ha trascorso quasi dieci giorni.

«Soprattutto i primi giorni dopo la caduta – racconta – sono stati duri. Le ferite non volevano rimarginarsi bene e nel frattempo ero fermo. Non potevo fare niente. E’ stato difficile, soprattutto mentalmente».

La Brussels Cycling Classic l’ha vinta Demare, al secondo successo stagionale
La Brussels Cycling Classic l’ha vinta Demare, al secondo successo stagionale

Dubbi fugati

Qualche interrogativo però c’era: in che condizioni si sarebbe ripresentato Girmay alle corse, rientrato in Europa giovedì scorso? Ma i dubbi sono durati giusto il tempo di vederlo all’opera. Infatti a metà corsa, non solo ha saputo tenere testa agli attacchi sul Muur di Geraardsbergen e sul Bosberg, ma ha addirittura preso in mano la situazione e rilanciato l’azione che poi è andata all’arrivo. Semmai la sensazione che non sia ancora il vecchio Girmay s’è avuta allo sprint: ci sta che perdesse da Demare, non da Andresen e Meus.

«Ma io sono molto contento della mia prestazione – ha commentato dopo il quarto posto – sono stato in grado di rendere la gara dura, le mie gambe si sentivano abbastanza bene e non ho avuto problemi. Tutto molto positivo. Abbiamo sicuramente una buona base su cui costruire, c’è ancora tempo. Il Tour inizierà tra meno di quattro settimane, prima pensiamo al Giro di Svizzera».

Sul Muur si è visto un Girmay pimpante, sebbene fosse appena rientrato dall’altura (photonews)
Sul Muur si è visto un Girmay pimpante, sebbene fosse appena rientrato dall’altura (photonews)

Destinazione Tour

La commozione cerebrale ha scombussolato i piani. Girmay voleva andare ad allenarsi subito in Eritrea, ma è dovuto rimanere in Europa più a lungo del previsto. E’ partito soltanto dopo i dieci giorni in osservazione, per cui la ripresa non è stata troppo lineare.

«Le cose non sono andate nel modo migliore – ha spiegato a Het Nieuwsblad il suo direttore sportivo Aike Visbeek – ecco perché siamo sorpresi che sia rientrato così bene alla prima corsa. Ma allo stesso tempo rimaniamo cauti. Questo non è ancora un gruppo WorldTour, a luglio le cose saranno diverse. Ad ogni modo, ha chiaramente fatto un grande passo e può continuare a migliorare nelle prossime settimane. Lo vedremo sicuramente al Tour de France».

Colombo e l’avventura al Nord terminata in ospedale

13.04.2023
5 min
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Nel giro di una settimana Filippo Colombo è passato dalla fuga da protagonista del Fiandre alla caduta della Roubaix. Ora lo svizzero si trova in ospedale a Zurigo e nei giorni scorsi è stato sottoposto ad un’operazione per sistemare la frattura al gomito. Il suo 2023 era iniziato iniziato in modo diverso, correndo un po’ di corse al Nord, sempre con un occhio alla mountain bike: suo terreno di caccia. Vale la pena ricordare infatti che lo svizzero di Gussago, classe 1997, ha vinto per due volte il mondiale della staffetta (2017 e 2018) e una volta il titolo europeo nella stessa specialità (2017), mentre è stato argento ai mondiali U23 di cross country e bronzo agli ultimi europei di Monaco, dietro Pidcock e Carstensen.

«Quest’anno – racconta dal letto dell’ospedale – grazie a Scott ed al Team Q36.5 ho avuto modo di mettermi alla prova su strada. Dovevo fare una prima parte di stagione con un po’ di gare tra Belgio e Francia e poi tornare concentrato al massimo per preparare la stagione di Mtb».

La stagione su strada di Colombo si è aperta prima con la Kuurne, poi con Le Samyn, qui in foto
La stagione su strada di Colombo si è aperta prima con la Kuurne, poi con Le Samyn, qui in foto
Come sono andate queste gare?

Bene, almeno fino alla Roubaix. Ho iniziato la stagione con un ritiro in Sud Africa insieme alla Scott-Sram Mtb. Successivamente ho gareggiato alla Kuurne e a Le Samyn, devo ammettere che mi sono trovato a mio agio fin da subito. 

Eri soddisfatto della condizione?

Sono riuscito a performare bene, fino alla Roubaix, che se vogliamo dirla tutta è stata l’eccezione. Ero molto curioso di vedere come sarebbe andata, passando dalla Mtb alla strada. 

Con quale obiettivo ti eri messo in gioco?

Non avevo necessità di fare risultato, volevo capire se un periodo su strada mi avrebbe poi aiutato a fare meglio in Mtb. L’obiettivo era di iniziare un blocco di lavoro in vista poi delle Olimpiadi di Parigi 2024.

Sei partito per testarti arrivando a guadagnarti la convocazione al Fiandre…

Sì, non me lo aspettavo nemmeno io ad essere sincero. Però, come detto, fin dalle prime gare mi sentivo bene e quindi anche la squadra mi ha dato fiducia. 

Che cosa hai provato a correre lì?

E’ stata un’esperienza bellissima, super intensa. L’ambiente in Belgio è sensazionale, la gente vive per il ciclismo e la corsa, manco a dirlo, è magnifica. Il fatto di essere andato in fuga mi ha permesso di prendere i Muri davanti e di godermi ancor di più l’atmosfera

Sei stato in avanscoperta per 135 chilometri, nel Fiandre più veloce di sempre…

Si è trattata di una prova di forza, la squadra aveva voglia di andare in fuga e nei primi 100 chilometri ci siamo messi d’impegno. Nessuno però voleva mollare, il gruppetto è uscito solamente dopo 109 chilometri, è stata una vera guerra. 

Al Fiandre 135 chilometri in avanscoperta, Colombo è stato uno degli ultimi della fuga ad arrendersi
Al Fiandre una fuga cercata e sudata, poi 135 chilometri in avanscoperta
Con una distanza importante da affrontare.

Fino ai 250 chilometri è andata nella maniera prevista, poi però non ero preparato per affrontare i rimanenti 20. Mi mancava la base che mi avrebbe permesso di concludere al meglio la prova. 

Che sensazioni hai avuto?

Nelle fasi finali ho davvero sofferto, sono però riuscito ad arrivare al traguardo in 50ª posizione. Con il senno di poi, mi viene da dire che con la giusta preparazione sarebbe stato possibile ambire alla top 20. 

Una bella esperienza?

E’ stato un bell’esperimento, a febbraio non ero a conoscenza delle gare che avrei fatto e nemmeno che corridore fossi su strada. Però fin dalla prima gara, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne mi ero comportato bene, entrando nel gruppo dei primi. 

Poi c’è stata la parentesi Roubaix, meno positiva per come è finita?

Non del tutto, i primi chilometri stavo molto bene, ero sempre nelle prime posizioni e nel prendere i settori di pavé non facevo fatica a lottare per il piazzamento. Due settori prima di Arenberg ho bucato la ruota davanti ed ho fatto tutto il pavé sul cerchio. Alla fine del settore c’era un meccanico e siamo riusciti a montare la ruota, ma non so perché è stato messo un copertone con sezione da 28 al posto di un 30

La caduta nella Foresta di Arenberg è costata a Colombo la frattura del gomito e il ricovero in ospedale
La caduta nella Foresta di Arenberg è costata a Colombo la frattura del gomito e il ricovero in ospedale
A breve è arrivata la caduta nella Foresta…

Nel frattempo tra la foratura e Arenberg sono riuscito a rientrare ed ho preso l’imbocco del pavé nei primi quindici. Dopo 100 metri, purtroppo ho bucato ancora, sempre la ruota davanti ma sono riuscito a rimanere in piedi. Wright, che era accanto a me, ha forato anche lui ed è caduto ed io mi sono ritrovato a terra. Avevo capito fin da subito che si trattava di una frattura.

Che esperienza è stata?

Positiva, anche se i risultati li vedremo una volta che riuscirò a tornare in sella. Anche questo fa parte del processo di crescita, le conclusioni le tirerò dopo la stagione di Mtb, però mi piacerebbe continuare questa doppia attività.

18 marzo-9 aprile: scelte diverse fra Sanremo e Roubaix

12.04.2023
7 min
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Il solo programma di allenamento che va osservato alla lettera è quello invernale. Durante la stagione invece si asseconda il corpo, in modo da andare incontro alle esigenze che si creano. Alla luce di questa massima, che ci fu consegnata tempo fa da Michele Bartoli, torniamo alle scelte recenti di tre campioni – Van der Poel, Van Aert, Ganna – e al diverso programma che hanno seguito dopo la Sanremo del 18 marzo e la E3 Saxo Classic della settimana successiva.

Ciascuno dei tre aveva esigenze diverse. Van der Poel, in ottima condizione (in apertura durante il sopralluogo sul pavé di venerdì 7 aprile), cercava freschezza per contrastare Pogacar in salita e poi brillantezza sulla via della Roubaix. Van Aert sapeva già dalla Sanremo di non avere una grande condizione in salita, ma ha scelto le fatiche della Gand. Ganna ha usato le corse fino alla Gand per prendere confidenza con il terreno, poi ha scelto di allenarsi a casa. E allora siamo tornati da Bartoli, per sentire quale idea si sia fatto dei tre avvicinamenti.

Tre diversi avvicinamenti

Ecco il programma delle gare di Van der Poel, Van Aert e Ganna a partire dalla Milano-Sanremo, di cui hanno occupato i tre gradini del podio. Hanno tutti fatto la E3 Saxo Classic, poi le loro strade di sono divise, seguendo ragionamenti tecnici diversi.

DataGaraMathieu Van der PoelWout Van AertFilippo Ganna
18 marzoMilano-SanremoVincitore3° a 15″2° a 15″
24 marzoE3 Saxo Classic2° s.t.Vincitore10° a 1’31”
26 marzoGand-Wevelgem=2° s.t.Ritirato (caduta)
29 marzoDwaars door Vlaanderen==91° a 3’38”
2 aprileGiro delle Fiandre2° a 16″4° a 1’12”=
5 aprileScheldeprijs124°==
9 aprileParigi-Roubaix3° a 46″6° a 50″
Caro Michele, intanto vale la pena dire, dopo aver letto l’intervista sulla Gazzetta dello Sport, che Van der Poel ha ammesso di aver vissuto un inverno meno impegnativo nel cross e di aver trovato di conseguenza più freschezza su strada…

Insomma, lo si disse già due anni fa: le energie non sono infinite. Anche se mentalmente sono forti e sopportano la fatica, prima o poi il conto lo paghi. Non si può far tutto. La vita è sempre stata una questione di scelte.

Come vedi il fatto che dopo Harelbeke, Van der Poel che è parso più forte in salita si sia fermato, mentre Van Aert ha corso la Gand?

Se si fosse fermato anche lui, forse avrebbe avuto un po’ di margine per il Fiandre. Non a caso a volte certe corse vengono saltate, per privilegiare quelle che contano. Quando sei al 100 per cento, non sempre ti conviene correre. Perciò se si salta una corsa, privilegiando un allenamento ben fatto, a volte si migliora. Andare a correre e subire il ritmo della gara, se non stai bene a volte un po’ ti toglie.

Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Già alla E3 Saxo Classic si era capito che Van Aert, già sofferente alla Sanremo, fosse meno forte in salita
Si parla per ipotesi, ma secondo te, non correndo la Gand, Van Aert sarebbe stato più forte al Fiandre?

Non si può dire che sia andato piano, perché anche lui almeno inizialmente ha staccato tutto il gruppo. Però poi ha pagato dagli altri due. A questi livelli si considerano anche i dettagli in apparenza più piccoli. Per cui, pur non potendo cambiare il rendimento di un atleta in un periodo breve come gli 8 giorni fra Harelbeke e il Fiandre, lo si sarebbe potuto amministrare diversamente. Non è che puoi metterti a fare lavori sul VO2 Max, perché allora ti converrebbe quasi correre. Ma se ti rendi conto che ti manca qualcosa, staccare per qualche giorno può restituirti un po’ di brillantezza. Recuperi un po’ più a lungo, ti concentri sui lavori aerobici con la speranza di arrivare al momento decisivo un po’ più carico di energie e poi incroci le dita…

Quindi è più un fatto di recupero e di freschezza?

Esatto. A quel punto il motore difficilmente lo cambi. Lavori un po’ più sulla fase aerobica, magari speri che in tutti i momenti della gara dove non si spinge a fondo, il dispendio energetico sia inferiore e arrivi un pochino più carico al finale. E’ anche vero che se devi inseguire, è sempre più difficile.

Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Nel mercoledì tra Fiandre e Roubaix, Van der Poel ha chiesto di correre la Scheldeprijs per trovare ritmo
Tra il Fiandre e la Roubaix, Van der Poel ha inserito la Scheldeprijs dicendo di volere più ritmo…

E’ quello che si sta dicendo. Quando sei al top, sai su cosa puoi lavorare. Si tratta di aggiustare piccole cose, non hai il tempo per cambiare completamente la situazione, ma a quei livelli le piccole cose sono decisive.

E’ possibile che la Gand una settimana prima del Fiandre abbia appesantito Van Aert, perché non era al top, mentre la Scheldeprijs prima della Roubaix abbia dato più qualità a Van der Poel, che stava già molto bene?

Puo essere assolutamente così. Non so cosa abbiano fatto nel periodo dopo il cross, mi pare però che siano rientrati su strada negli stessi giorni di marzo. Normalmente il valore principale di Van Aert è la resistenza. Lo dimostra al Tour, andando in fuga e tenendo anche sulle montagne come Hautacam. Invece sembra che ora la resistenza gli manchi. Fa uno sforzo, due sforzi e il terzo lo subisce. Gli anni non sono tutti uguali e si sta discutendo su sottigliezze, perché magari si sarebbe staccato anche non correndo la Gand. Però se si vuole un’analisi, qualcosa di diverso poteva essere fatto.

Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
Van Aert ha speso molto alla Gand (26 marzo), tre giorni dopo Harelbeke. Uno sforzo su cui ragionare per il futuro
In carriera ti è capitato di aggiungere o togliere corse dal programma in base alla condizione?

Certo, più di una volta. Sono cose che si fanno. Quella che è programmata e bisogna cercare di mantenere il più possibile fedele alla tabella è la preparazione invernale, perché si strutturano gli allenamenti con una cadenza articolata. Quando iniziano le gare, devi lavorare in base a quello che ti senti. La programmazione potrebbe andare a perdersi e devi essere bravo ad adeguare il calendario.

In che modo?

Se sono sul filo, magari una gara in più mi potrebbe danneggiare, allora la tolgo. Oppure sto bene, mi manca un po’ di ritmo e allora la inserisco come ha fatto Van der Poel. Ha recuperato qualche giorno in più, ha messo dentro la Scheldeprijs, ha ripreso il ritmo e alla Roubaix era a posto. Sono calcoli che si fanno.

Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Alla Roubaix, Ganna è andato forte, ma ha pagato il conto all’inesperienza. Qui è con Mads Pedersen
Cosa possiamo dire di Ganna, che non ha corso il Fiandre per preparare la Roubaix?

E’ un caso diverso, perché Ganna non ha l’esperienza di Van Aert e Van der Poel per le gare in Belgio. Non ha la loro sicurezza, non conosce i percorsi. Gli mancano tante sfumature, quindi una corsa in più per lui sarebbe stata più utile di un allenamento fatto a casa sua. Lo avrei buttato anche sul Fiandre.

E’ stata l’osservazione fatta lassù dopo averlo visto così forte alla Sanremo.

Alla Sanremo si è visto che dopo Van der Poel il più forte è stato lui, poi è mancato qualcosa: questo è lampante. Su Ganna vorrei parlare poco, perché spesso sono stato critico: non su di lui, ma sul programma che ha fatto. Filippo è una forza della natura e forse andrebbe sfruttato un pochino meglio. Sappiamo che vince in pista, che fa record dell’Ora, che diventerà campione del mondo a crono, però a lui ora serve qualcosa in più. Quest’anno ha iniziato.

Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Van Aert e Van der Poel hanno chiuso la stagione del cross al mondiale, debuttando su strada ai primi di marzo
Hanno detto che il Fiandre sia troppo duro per lui.

L’ho sentito dire anche io. Sarà anche pesante rispetto agli altri, ma ha una qualità muscolare adeguata al suo peso. Se Van der Poel sul Paterberg fa 600 watt, Ganna naturalmente ne fa 680. Perché è strutturato per supportare quel carico lì. Quindi anche il fatto del peso, alla fine, non è così proibitivo.

Correndo di più lassù avrebbe dei vantaggi nella guida e spenderebbe meno?

Rilanciare dopo ogni curva costa tanto, soprattutto perché le curve sono quello che si vede. Mi viene da pensare che forse Ganna, non essendo tanto esperto, molte volte ha dovuto rilanciare per una traiettoria sbagliata e tutti gli altri movimenti che succedono in gruppo e che da fuori non noti. Se è successo in curva, mi viene da pensare che lo abbia fatto anche in altre situazioni. Quindi la sua è stata una gara dispendiosa e ugualmente è andato fortissimo. Era lì fino all’ultimo tratto, quindi sono convinto che in futuro, quando avrà più esperienza, la Roubaix sarà la sua gara. Dovrà solo lavorare per arrivare con un po’ di riserva nel finale, quando si fa la vera differenza…

Sanremo e Muri del Nord: due diversi modi di tirare

08.04.2023
7 min
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Fra i motivi che, a detta di Baldato, hanno permesso a Pogacar di vincere il Fiandre c’è stato il lavoro dei compagni di squadra. Avendo limato un minuto alla fuga, hanno infatti permesso allo sloveno di rientrare su Trentin in fuga senza rimanere troppo a lungo nella terra di nessuno. Ci è venuto in mente il lavoro fatto invece da Jacopo Mosca alla Sanremo. Al Fiandre sono serviti quattro uomini per togliere un minuto alla fuga, alla Sanremo il solo Mosca ha tenuto nove uomini nel mirino e gli altri 165 a ruota. Gli abbiamo chiesto di fare un ragionamento sulla differenza, approfittando del tempo libero dopo l’allenamento al Centro di Alto Rendimento di Sierra Nevada, preparando il Giro.

Cosa significa correre una Sanremo, dovendo tirare tutto il giorno?

Sapevo già da prima che lo avrei fatto, lo sapevo praticamente dall’inizio dell’anno. Ne avevamo parlato tra compagni e anche con Mads (Pedersen, ndr), che aveva detto subito di voler puntare alla Sanremo. E’ un ruolo che si è sempre visto negli anni. Uno che tira in una squadra dove i capitani possono fare la corsa c’è sempre. Avendo due leader come Pedersen e Stuyven, partivamo con un’idea abbastanza precisa.

E come è andata?

Non abbiamo vinto, Mads è arrivato sesto. Gli è mancato poco per essere coi primi quattro. Quando hai un leader del genere, è giusto dare il proprio apporto per tirare. La UAE è venuta davanti, vero, ma dopo il Turchino. Potevano tranquillamente farlo da prima, visto che avevano Pogacar. In ogni caso, noi eravamo partiti con la nostra idea e così anche la Jumbo.

Come ci si attrezza per una giornata in cui si tirerà così tanto?

Sono partito con l’assetto della bici per tirare. Con le ruote da 75 e il 56 davanti. Sapevo quello che mi aspettava e fortunatamente ho avuto una buona giornata, perché sono riuscito ad arrivare fino al Capo Mele tirando dall’inizio. Chiaro che poi, quando la gara si è accesa, sono passato dalla prima all’ultima posizione. Ho resistito fino al Capo Berta e poi mi sono staccato con gli altri morti.

Tu hai tirato da solo, al Fiandre la UAE ha tirato con quattro uomini…

E’ diverso, non per sminuire quello che ho fatto. Alla Sanremo ti metti lì, vai a 45-50 all’ora costante per tutto il giorno e fai quattro curve ogni tanto. Al Fiandre devi fare curva su curva, continui rilanci, salite e discese. Sicuramente loro sono arrivati al momento di tirare avendo già uno sforzo enorme nelle gambe e poi hanno fatto un’azione violenta. Io ho fatto un’azione lunga e costante.

Una giornata come quella di Sanremo si prepara nelle settimane che precedono?

Sostanzialmente non hai bisogno di lavori particolari. Devi stare bene, ma di solito io lavoro tanto sulla base e magari meno sull’esplosività. Ormai il mio lavoro in gruppo è questo, tenere gli altri al coperto, tirare… Per fare una Sanremo a quel modo, devi semplicemente stare bene e avere tanto fondo, perché comunque ho tirato per 250 chilometri.

Stando così le cose, la fuga era spacciata o c’era margine di successo?

Abbiamo corso in modo intelligente. Sapendo che c’era vento a favore, non abbiamo lasciato tanto spazio perché comunque erano in nove. Mi dispiace per Tonelli e Maestri, con cui avevo parlato prima della corsa. Gli avevo detto: «Spero che siate pochi, perché se siete troppi dobbiamo per forza lasciare poco spazio». E così è stato, abbiamo iniziato praticamente subito. C’era anche Van Emden della Jumbo, li tenevamo a 3-4 minuti. Dopo un po’, capisci il ritmo che puoi tenere. Se la fuga va a 45 all’ora, tu vai a 45 all’ora. Passi una giornata al medio, Z2 o Z3. E’ un ritmo che puoi tenere tutto il giorno, diverso da quando devi fare uno sforzo violento che poi ti richiede di recuperare.

A che distanza si tiene la fuga per evitare che ad altri venga la voglia di partire?

Se hai meno di 3 minuti quando inizi la valle del Turchino, con la lotta per le posizioni mangi troppo vantaggio e magari arrivi sul mare che la fuga ha solo un minuto. Loro ci sono arrivati con 1’30”, ma sapevamo che una volta laggiù, avrebbero accelerato, mentre il gruppo dietro fa l’ultimo pit stop generale, quindi il vantaggio torna a salire. Infatti sono passati a 5 minuti, ma noi dietro andavamo talmente forte, che era impossibile che la fuga potesse arrivare.

A che punto della Sanremo la fuga deve essere nel mirino?

Dipende, perché ormai il livello è talmente alto che prima o poi qualcuno arriverà. La Cipressa si sale a 35 all’ora, il Poggio a 40. Perdi un minuto sicuro su ogni salita, ma c’è sempre una piccola percentuale di rischio. Secondo me, la strategia migliore è arrivare con un minuto di ritardo all’inizio della Cipressa. Dopo il Berta puoi averne anche due, perché uno lo mangi nella lotta per le posizioni prima della Cipressa. Per fare quel rettilineo di 2 chilometri, fino alla curva a destra, il gruppo impiega un minuto e mezzo, quindi va a 70 all’ora.

Pedersen è arrivato terzo al Fiandre anticipando i migliori con una fuga: sarebbe possibile la stessa tattica alla Sanremo?

Non potrà mai succedere. Al Fiandre, se sei davanti non devi rispondere continuamente agli scatti del gruppo e riesci a gestirti. Alla Sanremo, se stai a ruota fai 250 chilometri spendendo veramente poco, ma quando arrivi in fondo, diventa una lunga volata di 50 chilometri. E’ un continuo accelerare, uno shock unico. Se sei stato a lungo allo scoperto, quando sul Poggio arrivano da dietro quelli più freschi, ti passano a doppia velocità ed è difficile che riesci a tenerli.

Quando sul Poggio iniziano gli scatti dei più forti, chi è stato a lungo in fuga non ha gambe per rispondere
Quando sul Poggio iniziano gli scatti dei più forti, chi è stato a lungo in fuga non ha gambe per rispondere
Ultima cosa, cosa dici della volata di Elisa Longo Borghini al Fiandre? Lei ha parlato del beneficio delle volate al cartello che fate assieme…

Praticamente da metà gennaio ad oggi siamo usciti in bici forse una volta. Però durante l’inverno almeno una volata ogni giorno la facevamo. All’inizio era soprattutto divertente. Poi dopo un po’ ti obblighi a farle, perché sai che comunque fa bene e porta sempre un po’ di competitività. Non è che lei non fosse veloce prima e adesso lo è diventata grazie a questo. Però almeno adesso, facendole, ci crede un po’ di più e la differenza si vede.

E poi c’è da dire che è un’atleta di fondo, no?

Esatto ed è quello che ho sempre cercato di dirle. Se fa una volata contro Balsamo, ovviamente non ci sarà mai storia. Però Elisa è talmente forte e resistente, che alla fine di una gara dove sono tutti a blocco, quella veloce magari perde il picco di potenza, lei invece ce l’ha identico. E poi sul Fiandre c’è da dire che è stata anche tatticamente perfetta e di questo vado orgoglioso…

Cioè?

Non è che io possa insegnarle chissà cosa, però sapevamo che non fosse al top della condizione. Quando non sei forte, devi arrivarci con l’intelligenza e io ho sempre dovuto pensare per arrivare da qualche parte. E anche Elisa stavolta ha fatto di necessità virtù.