Ulissi, la Lampre e la UAE Emirates: una valigia piena di ricordi

12.09.2024
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Al momento sono 174.165,7 chilometri divisi per 1.061 giorni di gara. Poi ci sono 49 vittorie e un’infinità di piazzamenti che ne fanno uno dei corridori al mondo più forti degli ultimi 20 anni. La stagione è ancora lunga e il conteggio crescerà, in ogni caso il bilancio di Diego Ulissi nella società in cui passò professionista nel 2010 e che lascerà alla fine del 2024 per passare alla Astana ha questi numeri. Una vita (simbolicamente) con la stessa maglia che porta con sé ricordi e incontri, che abbiamo chiesto al toscano di approfondire con noi. Perché nel cambiare di nome e sponsor c’è l’evoluzione del ciclismo, che nel caso dell’attuale UAE Team Emirates è passato dalla dimensione familiare della Lampre a bandiera degli Emirati Arabi Uniti.

Abbiamo sentito Ulissi alla vigilia del Giro della Toscana (in apertura, il passaggio sul traguardo all’ottavo posto), l’occasione perfetta per fare il pieno di lettere aspirate e battute livornesi. Sono anni ormai che Diego risiede a Lugano e difficilmente se ne andrà, ma tornare sulle strade in cui è cresciuto è sempre un riconnettersi con le origini, da cui nel 2010 spiccò il volo per diventare un ciclista professionista.

Questa immagine rappresenta il commiato su Instagram, pieno di gratitudine, di Ulissi verso il UAE Team Emirates
Questa immagine rappresenta il commiato su Instagram, pieno di gratitudine, di Ulissi verso il UAE Team Emirates
Che effetto fa pensare che dal prossimo anno non sarai più qui?

Sicuramente sarà una novità anche per me. Sono sempre stato nella stessa società con persone che conosco da tantissimi anni e quindi sicuramente sarà diverso. Di quelli dei primi tempi siamo rimasti in pochi. C’è Andrea Appiani, che prima era l’addetto stampa e ora lavora in ufficio. C’è Napolitano, che fa ancora il massaggiatore. Una segretaria che si chiama Rosita e c’è anche Carlo Saronni. E poi ci sono Manuele Mori e Marco Marzano, che nel frattempo da corridori sono diventati direttori sportivi

Se pensi a questa squadra e ai 15 anni che ci hai passato, quali sono stati gli incontri che hanno più segnato la tua carriera?

Sicuramente per i primi tempi la figura che ha caratterizzato la mia carriera è stato Giuseppe Saronni. Per me è stato una persona fondamentale. E’ stato il primo che ha creduto in me e ha fatto sì che, almeno fino a che c’è stata la Lampre, io non mi muovessi da lì. Quando ero più giovane erano arrivate offerte da squadre che allora erano al top del ciclismo mondiale, però ero nell’ambiente ideale e chi mi era accanto ha fatto in modo e maniera che non me ne andassi. Quindi la prima persona che devo ringraziare è lui. E poi nel corso degli anni c’è stato Orlando Maini, grande direttore e grande amico. Mi ha saputo consigliare a 360 gradi. Orlando è una persona con cui puoi parlare di tutto e per me è stato importantissimo. Poi ci sono gli anni più recenti della UAE con Gianetti, Matxin e Agostini che sono persone molto importanti per la mia storia.

Quelle con Saronni e Maini sono amicizie che restano oppure, come quando si cambia lavoro, alla lunga si perdono i contatti?

No, no, no. Con loro sono ancora in contatto. Sono persone con cui parlo e cui chiedo consiglio ancora oggi. Negli anni ho sempre mantenuto i rapporti con chi ho imparato ad apprezzare. E quando ci sentiamo, mi fa piacere sentire che stanno bene e anche le loro famiglie.

Se ti facciamo il nome di Michele Scarponi?

Bè, finora abbiamo parlato di esponenti della società. Se ci spostiamo ai compagni, ce ne sono molti che mi sono rimasti nel cuore e sicuramente “Scarpa” è uno dei primissimi della lista. Il primo Giro d’Italia l’abbiamo fatto insieme nel 2011 perché mi ha voluto lui. Mi apprezzava sia come persona sia come corridore. Nella prima gara che vinsi, il Gran Premio di Prato del 2010, battei lui. L’anno dopo passò in Lampre e mi disse: «Ti voglio accanto, perché se mi hai battuto, devi essere per forza uno buono». Poi dovrei parlare di Alessandro Petacchi ed Emanuele Mori, che per me è come un fratello. Come pure Righi, Spezialetti e Matteo Bono: insomma sono tutti i ragazzi con cui continuo a sentirmi.

Ragazzi che quando sei passato professionista erano tutti più esperti di te, in che modo riuscivi a convivere con loro?

Quando ero giovane e passai professionista, li vedevo come un punto di riferimento fondamentale per la mia crescita. Cercavo di stare il più possibile vicino a loro, sia in gara che fuori. Ero convinto che quella fosse la strada migliore per imparare, perché loro avevano già tanti anni di professionismo. Quindi cercavo di rendermi disponibile e loro vedevano che avevo voglia di imparare e di capire. Per questo credo che nacque un rapporto di stima professionale che poi è trasformato in amicizia.

E’ cambiato tanto l’ambiente nel passaggio da Lampre a UAE?

E’ sotto gli occhi di tutti, soprattutto perché c’è stato un cambiamento di budget e la squadra è diventata molto più internazionale. Già da tempo si ambiva a diventare la squadra più forte e per questo è sempre cresciuta in tutti gli aspetti. E’ stato il cambiamento del ciclismo da 15 anni a questa parte. A un certo punto si è iniziato guardare il millimetro per migliorarsi sotto ogni aspetto, dalla ricerca della bicicletta più performante alla nutrizione. Tutti aspetti che ci hanno portato a diventare davvero la squadra numero uno al mondo. Però la Lampre era un ottimo ambiente. Non ci mancava niente e penso che con le risorse che c’erano si sono fatti ottimi risultati. Alla base c’era la famiglia Galbusera che, oltre ad essere grandi appassionati, erano grandissime persone. Riuscivano a trasmettere alla squadra la loro anima.

Giro dell’Emilia 2013, vince Ulissi e riceve l’abbraccio di Scarponi, un gran modello accanto a cui crescere
Giro dell’Emilia 2013, vince Ulissi e riceve l’abbraccio di Scarponi, un gran modello accanto a cui crescere
Hai vinto tutti gli anni, quanto è stato difficile continuare a farlo visti i tanti progressi?

Per rimanere a grandi livelli, quelli che servono per vincere le gare, devi stare al passo con i tempi, ti devi adeguare. A volte penso a quanto siano cambiati gli allenamenti e mi viene da dire che faccio un altro sport rispetto a quando sono passato professionista. E’ una battuta però la preparazione è l’aspetto che più è cambiato. E comunque se con la testa non riesci ad adeguarti alle nuove condizioni, rimani un passo indietro. Con il livellamento che c’è, ottenere risultati ed essere competitivo diventa difficile.

Tu hai visto arrivare in squadra Fabio Aru. Secondo te perché non è riuscito a esprimersi come tutti pensavano?

Questa è una bella domanda. Fabio l’ho vissuto a pieno, perché vivendo vicino mi confrontavo con lui quotidianamente, anche nei giorni di allenamento oltre che in gara. Sicuramente lui in primis si aspettava di mantenere quello che aveva fatto all’Astana. In quel periodo però non stava bene fisicamente. E se uno non è al 100 per cento nel fisico, emergere diventa veramente dura. Secondo me questo ha inciso anche sulla sua convinzione e alla fine ha ceduto di testa. Però Fabio era veramente il primo a tenerci, l’ho visto che si allenava davvero tantissimo. Si impegnava quotidianamente, sotto quell’aspetto è uno dei professionisti migliori che io abbia mai visto. Ha dato l’anima. Però a mio avviso ognuno ha il suo percorso di vita e reagisce a modo suo.

Nel frattempo la squadra si è riempita di tantissimi giovani molto forti, come si convive con loro?

La loro presenza non è mai stata un motivo per tirarmi indietro, tutt’altro. L’ho sempre visto come qualcosa per cercare di rimanere ad alti livelli. E’ normale vedere questi ragazzi con tanta voglia di emergere e pensare che se voglio rimanere ad alti livelli, devo migliorarmi quotidianamente e cercare di essere ancora performante in gara. Il passaggio a un’altra squadra non è legato a questo. Mi hanno offerto un rinnovo contrattuale, però questa volta ho preferito fare altre scelte.

Al Gp Lugano del 2019, Ulissi vince, Aru lo aiuta. Diego ha vissuto da vicino il periodo del sardo alla UAE
Al Gp Lugano del 2019, Ulissi vince, Aru lo aiuta. Diego ha vissuto da vicino il periodo del sardo alla UAE
Che differenza c’è tra Diego che oggi ha fatto altre scelte e Diego che non se ne sarebbe mai andato dal gruppo Lampre?

Non ho detto che non me ne sarei mai andato, ho detto che non ci sono mai state le circostanze per andare, è diverso. E’ naturale che quando ti trovi bene in un ambiente, prima di andartene valuti bene le altre situazioni cui andrai incontro. Non mi sono mai posto tanti problemi, perché ho valutato sempre la situazione. Alla fine è un lavoro. Facciamo tanti discorsi, però la carriera dura quello che dura e non ci sono certezze. Ogni due o tre stagioni, ho sempre valutato le varie situazioni e in tutti questi anni ho avuto la bravura e la fortuna di ricavarmi sempre le condizioni ideale. Quest’anno è arrivato il momento di prendere una decisione, che è stata difficile. Mi sono confrontato con le persone giuste, poi ho fatto questa scelta. Sono uno razionale, non faccio passare il tempo. Cerco di captare i momenti giusti e faccio le mie valutazioni.

Hai pubblicato una foto su Instagram di te sotto a una parete piena di maglie. C’è un anno che ricordi più volentieri?

Sono due. Il primo è il 2017 perché è il primo anno UAE. Era tutto nuovo, c’erano già grandi ambizioni, ma la squadra non era partita benissimo. Invece in fondo all’anno riuscii a vincere due gare WorldTour, Montreal e il Giro di Turchia. Sentii di aver dato una piccola spinta in quegli anni che erano ancora di transizione per arrivare al punto in cui siamo. Poi il 2020…

Come mai?

Fu un anno particolare per via del Covid e lì si è vista la forza del team, perché ci sono stati accanto e non ci hanno fatto mancare nulla. Eravamo rimasti bloccati ad Abu Dhabi e in quella situazione si vide veramente la grandezza del team. Poi infatti ripartimmo bene. Mi ricordo che quell’anno ho vinto 5 gare, due tappe al Giro, tre in Lussemburgo e Tadej vinse il primo Tour. Il 2020 è stato un anno di cui non mi scorderò. La tappa di Agrigento al Giro, per come è arrivata e per come è stata preparata dalla squadra, è una delle mie preferite.

Che cosa o chi ti dispiacerà lasciare?

Tutto e tutti. Alla fine siamo tanti giorni insieme, a parte il giorno di gara e i ritiri. E’ inevitabile che ti leghi alle persone con cui vivi quotidianamente. Si parla di tutto, anche della famiglia. Ci sono ragazzi molto più giovani di me come Alessandro Covi, che cerco di consigliare a 360 gradi. Dispiacerà lasciare le persone, i compagni di squadra, i massaggiatori, tutti! Ma tanto so che continueremo a vederci alle corse, ci saluteremo ancora.

Cosa speri o pensi di trovare alla Astana?

Conosco quasi tutti, a partire dai corridori. Hanno voglia di fare le cose in grande, il progetto è importante e quindi mi aspetto di ambientarmi molto bene. Il fatto che ci siano tanti italiani mi aiuterà molto e questo farà sì che io cerchi di dare il meglio di me stesso. Anche perché qua di italiani siamo rimasti in pochi. Ora siamo in tre, l’anno prossimo saranno in due. Ma ci sono ancora corse da fare e possibilmente da fare bene. La gamba è quella giusta, ma alla fine vince sempre uno solo…

Le mille (e più) volte di Michele Bartoli sul Monte Serra

11.09.2024
4 min
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Oggi si corre la 96ª edizione del Giro di Toscana (ora anche Memorial Alfredo Martini), 182 chilometri da Pontedera a Pontedera che molto probabilmente si decideranno sulla salita del Monte Serra, che i corridori affronteranno due volte nel finale. Abbiamo contattato chi quella salita la conosce non bene, di più, avendola percorsa in carriera un numero imprecisato di volte, nell’ordine di diverse migliaia: Michele Bartoli (immagine Instagram in apertura).

Bartoli è stato tra i più forti corridori da classiche a cavallo degli anni Novanta e Duemila. Vanta un palmares che comprende, tra le altre, due Liegi-Bastogne-Liegi, due Giri di Lombardia, un Giro delle Fiandre, una Freccia Vallone e un’Amstel Gold Race. Una carriera più che ventennale sempre vissuta all’ombra del Monte Serra, di cui conosce ogni metro e ogni segreto.

Il Monte Serra sarà affrontato per due volte oggi al Giro di Toscana
Il Monte Serra sarà affrontato per due volte oggi al Giro di Toscana
Michele, tu il Monte Serra lo conosci molto bene. Quante volte l’hai fatto, centinaia?

Credo molte di più. Tieni conto che è la salita che vedo ogni momento del giorno fin da ragazzo. Quando ero professionista la facevo in media 6-7 volte a settimana. Qualche giorno la saltavo, altri invece capitava di salirla anche tre volte per versanti diversi. Quindi con un calcolo a spanne direi che sicuramente il Serra l’ho fatto diverse migliaia di volte.

Era anche il tuo terreno di test immagino, in cui provavi la forma prima dei grandi appuntamenti.

Esatto. Conoscendolo così bene riuscivo a capire subito la condizione, a cogliere le sfumature delle mie sensazioni. Non ho ricordi di un’occasione particolare in cui lì ho capito che avrei vinto una gara importante, però sicuramente l’ho fatto in preparazione dei due Lombardia che ho vinto. Era un’usanza farlo, assieme ad altre due salite della zona, per cercare appunto le migliori sensazioni. Sai com’è, i corridori a volte hanno bisogno anche di queste conferme.

Fra gli anni Novanta e Duemila, le bici avevano a malapena il 39×25 come rapporto più agile
Fra gli anni Novanta e Duemila, le bici avevano a malapena il 39×25 come rapporto più agile
Conoscerai benissimo anche il versante che si scalerà oggi, da Calci. Com’è?

Certo, anche se a dire il vero quello lo facevamo poco, perché è molto duro all’inizio e alla fine, ma a metà spiana un po’. Noi facevamo quasi sempre da Colle di Compito o da Buti, da dove scendono domani, perché lì la salita è più regolare e andava bene per fare i diversi lavori in allenamento. Ad ogni modo anche da Calci è dura. I primi due chilometri sono davvero impegnativi, come anche gli ultimi due, due e mezzo, con punte che arrivano anche sopra il 10 per cento. Quindi non c’è dubbio che sarà decisivo, specialmente durante il secondo passaggio.

Immagino come dev’essere stato farlo oltre vent’anni fa. Ti ricordi con che rapporti salivi?

Sì, alla mia epoca ovviamente non c’erano i rapporti di oggi, non esisteva il 28 dietro, ma forse neanche il 25. Il Serra lo facevamo col 41×16 o 41×17 massimo. A volte anche col 53, ma quello solo per i lavori specifici di forza. Comunque sia quei rapporti bastavano e avanzavano per scornarmi su quelle rampe coi miei compagni di allenamento.

Nel 2023, il Giro di Toscana è stato vinto da Pavel Sivakov
Nel 2023, il Giro di Toscana è stato vinto da Pavel Sivakov
Cioè?

Tenete conto che in quegli anni la zona di Lucca e la Versilia erano com’è adesso Calpe in Spagna, moltissime squadre ci venivano in ritiro. Il Serra era la salita più frequentata. Io mi allenavo spessissimo con Scinto e Sciandri, ma anche con Tani e Sorensen. E il Serra era il terreno ideale per fare a gara e farsi del male, come si dice in gergo.

Vincevi sempre tu?

Non credo proprio sempre io, a volte anche gli altri potevano trovare la giornata buona, ma diciamo che essendo della zona ero avvantaggiato, dai…

Con Scinto e Petacchi, ma anche Sorensen e Sciandri. il Serra era la loro palestra (immagine Instagram)
Con Scinto e Petacchi, ma anche Sorensen e Sciandri. il Serra era la loro palestra (immagine Instagram)
Loro li senti ancora? Potrebbe essere bello organizzare una reunion tra di voi sul Monte Serra?

Sì, il rapporto è rimasto ottimo, ci siamo divertiti tanto assieme, sono stati anni davvero molto belli. Con alcuni eravamo anche avversari, ma prima di tutto amici. Organizzare una rimpatriata mi piacerebbe tanto, anche se ora tutti hanno i loro impegni, io compreso. Due di loro sono direttori sportivi e poi siamo distanti, Sorensen per esempio abita in Danimarca. Però perché no, potrebbe essere una bella idea, magari potremmo organizzarla con voi di bici.PRO…

Classiche italiane: dal Toscana al Matteotti parlando con Visconti

11.09.2024
7 min
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Il Gp Industria e Artigianato vinto domenica scorsa da Marc Hirschi ha fatto da antipasto al calendario autunnale delle classiche italiane, che si concluderà ad ottobre inoltrato con il Giro di Lombardia. Questa tranche di gare si apre oggi con il Giro di Toscana-Memorial Alfredo Martini, per poi passare alla Coppa Sabatini, al Memorial Pantani per chiudersi domenica col Trofeo Matteotti. Una settimana a dir poco intensa.

Tutte queste classiche un tempo erano adatte ad un certo Giovanni Visconti. Erano il suo “giardino di casa”: percorsi ideali per le sue caratteristiche, grandi successi, tanti aneddoti e in qualche caso davvero si correva “dietro casa” sua. 

In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con Basso e un giovanissimo Visconti
In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con un giovanissimo Visconti
Dal Toscana al Matteotti, Giovanni, che gare sono? E che gare erano?

Una volta contavano moltissimo per tutti, specie per gli italiani che cercavano un posto in nazionale. Oggi contano davvero per gli italiani. I parterre non sono quelli di una volta, ma non è colpa di queste gare. Il calendario mondiale è diverso, ci sono più competizioni. Basta pensare che si disputano in contemporanea al campionato europeo e alle gare WorldTour canadesi. Senza dimenticare che un tempo la questione dei punteggi non era così esasperata. Le squadre WorldTour che fanno doppia o tripla attività schierano le formazioni laddove possono guadagnare più punti, oltre al fatto che sono obbligate a fare quelle WorldTour.

E per Giovanni Visconti che corse erano?

Erano corse importanti, che mi davano tanto. Erano un grande stimolo per allenarmi bene durante l’estate. Di fatto ci tiravo fuori la mia stagione con queste corse. Staccavo a giugno dopo il Giro d’Italia, facevo un po’ di “vacanza pedalata” e da luglio iniziavo a fare sul serio. Era un finale di stagione breve, ma intenso. Alla fine stavi fuori casa un mese e mezzo. Erano poi tutte corse adatte a me, corse da vincere, per fare gamba, per divertirsi. Non c’era mai quella gara che partivi “annoiato”, sapendo già come andava a finire. No, strappi brevi, intensi, discese, circuiti… il finale non era mai scontato. E non ultimo provavi a guadagnarti una convocazione in azzurro. 

Analizziamo questa tranche, s’inizia oggi con il Giro di Toscana. Parlaci di questa gara…

Anche se negli ultimi anni è cambiata un po’, il Monte Serra resta decisivo. Non è vicinissimo all’arrivo e se va via un gruppetto, è difficile che poi da dietro rientrino. Il gruppo è tutto spezzettato ormai. Il Toscana era una corsa adatta a me e infatti ci puntavo subito molto perché se fosse andata bene poi avrei corso un po’ più tranquillo le gare successive. Nel corso degli anni la Coppa Sabatini era diventata una corsa per corridori sempre più veloci. Quindi meglio puntare forte su questa e magari risparmiare qualcosa poi. 

Qual è il ricordo che ti lega al Giro di Toscana?

E’ stata la mia ultima vittoria da professionista con la Neri Sottoli. Venivo da un periodo difficile. Ero caduto a giugno al Giro d’Austria, dentro ad un galleria, mi schiantai a 90 all’ora quando stavo per vincere. Dovettero portami via in elicottero. Passai un ‘estate complicata. Per un mese e mezzo mi allenai con un drenaggio, avevo un tubicino che usciva dalla tasca della maglia… capito perché dicevo che queste corse mi davano stimoli? E insomma vinsi a Pontedera davanti a Bernal che veniva dalla vittoria al Tour de France. Ha un grande significato questa gara per me. Tra l’altro è a 10 chilometri da Peccioli, sede della Coppa Sabatini, dove vinsi la mia prima gara da professionista: fu come chiudere un cerchio.

Passiamo proprio alla Sabatini…

Sarebbe un percorso da mondiale. E infatti se ne è anche parlato: paesaggi bellissimi, percorso tecnico, adatto ad un mondiale e a più soluzioni. Rispetto al passato è stata un po’ indurita nella prima parte e infatti il circuito finale è tornato a fare un po’ più differenza, ma negli ultimi anni era diventata una gara molto veloce. Ricordo che all’imbocco della curva dell’ultimo strappo ormai si sgomitava con i velocisti. Ma anche questa si adattava bene alle mie caratteristiche.

Anche di questa dicci il ricordo, l’aneddoto.

E’ stata la mia prima gara con i pro’. Era il 2004 e feci lo stagista con la De Nardi-Montegrappa. Era una bella giornata e c’era un parterre… Vinse Ullrich, su Pellizotti e Boogerd, insomma fu un battesimo di fuoco! C’erano Scinto e Citracca che mi avevano lanciato da dilettante a vedermi. C’era il mio fans club: in quei tempi c’era il fans club Visconti e quello di Nibali, reduci dagli scontri tra i dilettanti. E c’era mio papà che scriveva ovunque il mio nome sull’asfalto… Un bel ricordo.

E due anni dopo la stessa Coppa Sabatini fu anche la tua prima vittoria da professionista…

Anche quello è un grande ricordo. C’era la storia del nove. Quando avevo un numero la cui somma faceva nove o vincevo o ci andavo vicino. Quell’anno era la 54ª edizione della Sabatini e io avevo il 63 o il 36 non ricordo bene…

Passiamo al Memorial Pantani. E’ la più giovane tra queste classiche. E cambia sempre un po’. Che gara è?

Come le altre, è una corsa che si adatta bene a corridori come me. Lascia spazio a più finali. Cambia sempre un po’. Ma di base nella prima parte c’è pianura, poi da quelle parti (la Romagna, ndr) quando si va nell’entroterra ci sono salite corte ma dure. Come diceva Paolo Bettini: “Si entra nel ginepraio”. E’ tutto un su e giù. Bisogna stare attenti e davanti. Ricordo che su quella salita cara a Pantani, Montevecchio, si arrivava da un lungo rettilineo e si svoltava a sinistra, ma la strada si stringeva, era come un imbuto. La salita iniziava con dei tornanti e stare davanti significava risparmiare davvero tanto. Una volta in cima non si scendeva subito, ma c’era una contropendenza che faceva davvero male. Di solito la selezione si faceva negli ultimi due giri e l’arrivo era sempre una lotta tra i fuggitivi e quel che restava del gruppo. Il finale non era mai scontato.

L’aneddoto del Pantani?

L’anno che corremmo con la nazionale. Avevamo dominato la corsa noi azzurri. Eravamo io, Ulissi e Nibali e decidemmo di lasciare la vittoria a Diego che aveva appena avuto un grave problema familiare. Fu un momento toccante.

Infine c’è il Trofeo Matteotti, la più storica tra queste prese in esame…

Circuito duro e impegnativo (a Pescara, ndr), tra l’altro domenica lo commenterò per la Rai. Anche questa è una gara entusiasmante, tecnica, dura… poi lì spesso fa caldo e questo elemento può fare la differenza. Spesso conviene andare in fuga anche se si è in tanti, perché si fa meno fatica che a stare in gruppo su quelle strade così tortuose. Una caratteristica del Matteotti è che spesso la finiscono in pochi proprio perché è dura. Negli ultimi anni Trentin l’ha vinta due volte, una delle quali con un ampio distacco e non capita spesso. E’ più facile che arrivi un gruppetto ristrettissimo. Nel finale si fa la selezione su Montesilvano, strappo duro, secco. E’ una festa perché c’è gente e in salita si sente l’odore degli arrosticini.

Chiudiamo con il tuo aneddoto.

Anche questa era particolarmente adatta a me. Ricordo che un anno, il 2018 prima del mondiale di Innsbruck, non ero messo benissimo in quanto alla convocazione, e così dissi all’ora cittì, Davide Cassani: “Se vinco mi porti al mondiale”. Arrivai secondo, vinse Ballerini… E al mondiale non ci andai!

Col Toscana e la Sabatini ecco le classiche italiane d’autunno

15.09.2021
4 min
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Con il Giro di Toscana, partito da pochi minuti si apre la serie delle gare italiane. Gare che hanno fatto la storia, che incidevano moltissimo per la definizione delle nazionali che i cittì avrebbero schierato poi al mondiale. Le gare della tradizione: del riscatto per alcuni, del “sorriso” per altri che tutto sommato la loro stagione l’avevano fatta e anche bene. L’atmosfera è unica, soprattutto per i corridori italiani.

Quest’anno, le prime due della lista sono il Giro di Toscana, appunto, e la Coppa Sabatini. E a presentarcele è Andrea Pasqualon. Il portacolori della Intermarché-Wanty Gobert ha vinto a Peccioli nel 2017 (foto in apertura, ndr) e ha fatto bene al Toscana l’anno scorso: chi meglio di lui può guidarci in questo viaggio?

Pasqualon in azione a Peccioli l’anno scorso. Questo tratto arriva poco dopo il tornante che dà inizio alla salita finale
Pasqualon in azione a Peccioli l’anno scorso. Questo tratto arriva poco dopo il tornante che dà inizio alla salita finale

Sabatini: occhio al tornante finale

«La Coppa Sabatini – spiega Pasqualon – è una gara che mi piace molto. E’ adattissima alle mie caratteristiche con quel chilometro finale in salita. E’ per corridori veloci, ma che tengono in salita. Poi sarà che arriva in un periodo della stagione in cui di solito sono abbastanza in forma e mi risulta “facile” andare bene.

«La gara prevede due circuiti sostanzialmente. Recentemente hanno introdotto uno strappo molto impegnativo anche nel primo, che in passato era più facile. Immagino lo abbiano fatto su richiesta di Cassani, per rendere la corsa un po’ più dura. E credo proprio che si farà sentire nel finale.

«Poi si entra nel circuito finale. Questo è caratterizzato dalla salita che porta all’arrivo (che nei vari passaggi continua un po’, il traguardo infatti non è proprio in cima). Il punto chiave? La curva che porta al chilometro finale dove inizia la salita. E’ importante avere una squadra che ti porti in buona posizione per questo tornante a sinistra che arriva dopo un bel rettilineo. Se lì resti indietro sprechi molto per risalire e non hai abbastanza energie per la volata dove è importantissimo scegliere il momento giusto».

La selezione per le nazionali alza il livello. Qui l’esordio di Colbrelli con la maglia di campione europeo al Toscana (con Cassani)
La selezione per le nazionali alza il livello. Qui l’esordio di Colbrelli con la maglia di campione europeo al Toscana (con Cassani)

Livello alto

Prima Pasqualon ha detto che gli riesce facile, ma quando ce lo ha detto sorrideva anche. Ci ha spiegato che è un facile relativo, soprattutto quest’anno che al via ci sono molte squadre World-Tour.

«Se si va a vedere l’albo d’oro di queste gare vengono i brividi ed anche quest’anno il livello è molto alto – racconta Pasqualon – La Deceuninck-Quick Step ho visto che ha uno squadrone e lo stesso la Bahrain Victorious che sarà tutta per Colbrelli. La corsa, in generale è molto nervosa quindi avere una buona squadra sarà importante».

Dire “Colbrelli” di questi tempi è come dire Leuven, il mondiale. Queste gare sono molto importanti ai fini della nazionale che vedremo in Belgio. Colbrelli ci punta forte e la Sabatini, visto il percorso belga, è un banco di prova ideale… anche per guadagnarsi il posto.

«Io ho parlato con Cassani – spiega Pasqualon – ma nulla più. E’ giusto che segua da vicino queste gare per fare la sua nazionale. Da parte mia farò di tutto per farmi trovare pronto. Se dovesse chiamarmi sarebbe un qualcosa di speciale, ma bisogna meritarselo».

Il Monte Serra è la palestra della Vini Zabù, la cui sede non è distante da questo valico

Il Giro di Toscana

Da Peccioli, ci spostiamo a Pontedera, una ventina di chilometri più a Nord. In realtà sarebbe il contrario visto che a Pontedera si corre oggi e a Peccioli domani, ma insomma la zona è quella.

«Il Giro di Toscana – dice Pasqualon – è senza dubbio più duro della Coppa Sabatini. Io per esempio sarò di aiuto alla squadra oggi, mentre sarò leader a Peccioli. Il punto chiave è il Monte Serra. E’ una salita vera. Fatta due volte diventa dura. Ma un Colbrelli in forma di questi tempi può tenerla bene. Di solito arrivano sempre in tre-quattro davanti e un gruppetto dietro. Il Serra è ad una ventina di chilometri dal termine, cinque dei quali sono in discesa. Un Evenepoel che scappa potresti non riprenderlo più. L’arrivo poi è largo. C’è una sola curva verso destra, ma non è vicinissima.

«Dove è più importante la squadra tra queste due gare? In entrambe le corse. Ma oggi la squadra è sempre fondamentale. Ti permette di stare di più tranquillo e di spendere molto meno».