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Anna Vanderaerden, 17 anni e un cognome “pesante”

31.05.2023
5 min
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Quando hai un cognome come quello di Anna Vanderaerden, è davvero dura farsi largo nel mondo delle due ruote. E’ come essere della dinastia Moser: ti confronti con un passato talmente ricco di successi, di personaggi, di storia che pensi sia difficile ritagliarti un tuo spazio.

Anna ha 17 anni, è la figlia di Gert che ha corso per una decina d’anni in Belgio, sempre alle porte della massima serie prendendosi anche le sue soddisfazioni (vittoria a Getxo 2004, secondo a Le Samyn l’anno prima), ma nulla in confronto a zio Eric, un nume del ciclismo belga sul finire del secolo scorso, capace di 97 vittorie fra il 1983 e il 1996 compresi un Fiandre, una Roubaix e 5 tappe al Tour.

Una delle più grandi vittorie di zio Eric Vanderaerden, il trionfo alla Roubaix del 1987
Una delle più grandi vittorie di zio Eric Vanderaerden, il trionfo alla Roubaix del 1987

In bici “per colpa” della famiglia

Zio Eric in Belgio è ancora un riferimento assoluto, per questo quando Anna ha cominciato a emergere nel panorama femminile, i fari dell’attenzione le si sono puntati addosso. La sensazione che si ha contattandola è di una ragazzina che però vuole continuare a vivere il ciclismo come divertimento, anche se i risultati stanno arrivando e si vede che la stoffa c’è. Una ragazzina ancora abbastanza chiusa nel suo bozzolo, ad esempio a differenza di molte sue coetanee nel circuito internazionale fa ancora un po’ fatica a districarsi tra inglese e francese.

D’altro canto, già raccontando i suoi inizi si capisce come il destino della giovanissima belga, capace quest’anno di salire sul podio alla Gand-Wevelgem di categoria, fosse segnato: «I miei genitori mi hanno regalato una bici da corsa quando avevo 7 anni, mi piaceva andare in bici ma con quella ho cominciato subito a fare qualche gara e non mi sono più fermata. Direi quasi che è stata una scelta della mia famiglia, ma a me non dispiace portarla avanti».

La giovanissima junior con papà Gert, professionista fino al 2007 con buoni risultati in patria
La giovanissima junior con papà Gert, professionista fino al 2007 con buoni risultati in patria
Cosa sai delle gesta di tuo padre e tuo zio?

Non c’ero ancora quando vincevano le loro gare, soprattutto quelle di mio zio, ma per questo ci sono i computer e i filmati dell’epoca. Spesso riguardo le loro vittorie, le loro gare più importanti e inizio a sognare di poter un giorno imitarli. In particolare ho visto diversi video di zio Eric quando trionfava nelle grandi classiche. Il suo curriculum è impressionante, ma devo dire che non lo fa pesare, almeno non con noi della famiglia. Per me è semplicemente zio Eric… La gente lo incontra e lo riconosce per strada e a me tocca, a ogni gara, quando sentono il mio nome ricevere la solita domanda: «Ma sei parente?…».

Secondo te il ciclismo di oggi è molto diverso da quello di allora?

Sì, almeno da quel che vedo. I materiali sono completamente diversi, ma è diverso anche il modo di correre, c’è più tattica, si corre con la testa prima ancora che con le gambe.

Un destino segnato fin da bambina: già nel 2017 Anna correva e saliva sui podi…
Un destino segnato fin da bambina: già nel 2017 Anna correva e saliva sui podi…
Qual è la gara che finora ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Direi la gara olandese, l’EPZ Omloop van Borsele, è una corsa a tappe di 3 giorni di altissimo livello. Io sono giunta seconda in volata il secondo giorno dietro l’olandese Bader e davanti all’italiana Iaccarino: quel giorno sono caduta dopo 25 chilometri, ho dovuto cambiare la bici due volte arrivando ad avere un ritardo di 2 minuti ma non mi sono arresa, ho spinto forte nell’inseguimento e a 30 chilometri dal traguardo mi sono riaccodata. Ho cercato di riprendermi un po’ in mezzo al gruppo e alla fine mi sono giocata le mie carte allo sprint. Non mi aspettavo una prestazione del genere, ero davvero felice.

Quali sono le tue caratteristiche, su quali percorsi ti trovi più a tuo agio?

Preferisco un percorso piatto, sono principalmente una velocista, ma non mi dispiacciono anche i tracciati un po’ movimentati, perché anche dopo molti chilometri e tanta fatica ho ancora uno sprint forte.

Anna ha 17 anni. Quest’anno è stata terza ai campionati nazionali a cronometro, nel 2022 seconda in linea (foto Verbeek)
Anna ha 17 anni. Quest’anno è stata terza ai campionati nazionali a cronometro, nel 2022 seconda in linea (foto Verbeek)
Cosa stai studiando? Ti viene spesso chiesto di correre all’estero, come riesci a conciliare questo con la scuola?

Attualmente vado a scuola part-time, quindi è abbastanza facile combinarlo con il ciclismo. Riesco a districarmi bene, sono fortunata in questo.

Nel mondo del ciclismo senti il peso della responsabilità del tuo cognome, vista l’importanza che hanno avuto tuo padre e tuo zio?

Ovviamente spero di diventare altrettanto brava anch’io, è un sogno. A dir la verità non sono neanche gli altri a mettermi tanta pressione, lo faccio già io… La mia famiglia mi sostiene molto, mi dà anche molti consigli, sia mio padre che mio zio.

Il podio della Gand-Wevelgem con la belga terza dietro la vincitrice Sharp e Ferguson
Il podio della Gand-Wevelgem con la belga terza dietro la vincitrice Sharp e Ferguson
Quali sono i tuoi obiettivi per quest’anno?

Ad inizio stagione speravo in qualche bel risultato nelle prove nazionali e devo dire che le cose sono andate abbastanza bene. Spero di continuare così e mi piacerebbe gareggiare per diventare campionessa del mondo o europea. Chiaramente mi dovrò guadagnare la selezione, ma ci sto provando con tutte le mie forze.

Sappiamo che corre anche tuo fratello Wout: com’è il rapporto con lui e quanto ti segue la famiglia dovendoti dividere tra i due?

Se mio fratello non ha una gara, viene sempre alle mie, anzi a questo proposito c’è un piccolo aneddoto: al campionato belga a cronometro lui era nella macchina dietro di me. Ha passato tutto il tempo a urlarmi dietro, non l’aveva mai fatto prima, sembrava abbastanza indifferente verso quel che facevo, quel giorno mi ha sorpreso. Se sono arrivata terza è stato anche merito suo.

Chi sono le nuove juniores? Partiamo da Virginia Iaccarino

10.04.2023
5 min
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Prima uscita all’estero per le ragazze junior italiane e subito un risultato importante. Il 4° posto di Virginia Iaccarino firmato qualche giorno fa alla Gand-Wevelgem ha un sapore speciale perché è la testimonianza che, dopo i risultati a sensazione ottenuti fino alla fine del 2022 dalla generazione di Ciabocco, Venturelli, Pellegrini il movimento femminile è vivo e ha già validi ricambi sui quali Sangalli sta lavorando.

Entriamo allora nel mondo di Iaccarino, trevigiana in procinto di compiere 17 anni (lo farà il 25 maggio), approdata quest’anno alla corte di Giovanni Fidanza al Team Isolmant. Fino alla passata stagione era all’Uc Conscio Pedale del Sile e a onor di cronaca va detto che il suo addio non è stato indolore nel team veneto: dai dirigenti della società sono stati dissimulati a fatica i malumori per il suo addio, parlando anche di una mancata compensazione a favore della società (che l’attuale regolamento comunque non prevede).

La volata di Virginia Iaccarino per il 3° posto, battuta dalla belga Vanderaerden. A vincere è invece la britannica Sharp
La volata di Virginia Iaccarino per il 3° posto, battuta dalla belga Vanderaerden. A vincere è invece la britannica Sharp

Virginia da parte sua non deve rimproverarsi nulla, le sue parole spiegano con naturalezza e logica la scelta: «Fino allo scorso anno ho militato nel team, nei due anni da allieva il tecnico era Roberto Botter che mi ha seguito come fossi una figlia, con attenzione estrema insegnandomi tantissimo. Io tra l’altro ero arrivata “in corsa”, a metà stagione del primo anno e sono stata benissimo, voglio citare anche Romina Gatto, anche lei fondamentale nel ruolo di tecnica. Il fatto che non mi avrebbero potuto più seguire mi pesava, inoltre è arrivata l’offerta del team lombardo con un prestigio enorme, non potevo dire di no».

La scelta seppur recente ti ha soddisfatto?

Assolutamente sì, è stata quella giusta. Pur essendo al primo anno junior ho la possibilità di allenarmi e di competere con ragazze elite, più grandi ed esperte e questo mi dà la possibilità di crescere. Mi sono molto vicine, sia in allenamento che in gara e mi accorgo che anche grazie a loro sto migliorando, non solo in bici, ma anche come persona.

Iaccarino ha corso sempre davanti come consigliato dal cittì Sangalli
Iaccarino ha corso sempre davanti come consigliato dal cittì Sangalli
Che cosa ti è rimasto della trasferta di Gand con la nazionale?

E’ stata una bellissima esperienza a prescindere dal risultato, ho imparato davvero tanto perché erano condizioni di gara diverse da quelle che ho sempre affrontato. E’ stato fondamentale lavorare con Sangalli nei giorni precedenti. Mi ha spiegato come affrontare il vento dalle diverse direzioni, come comportarmi con i ventagli, si vede che ha una competenza enorme.

Tu che ruolo avevi in squadra?

Non ero la punta, nei propositi dovevo provare a entrare nella fuga iniziale, ma appena ci si provava chiudevano subito. A quel punto avrei dovuto lavorare per la volata di Siri o Piffer che era la punta principale, ma nel finale mi sono accorta di essermela persa di ruota in una curva con il pavé. A quel punto ho pensato a tirare avanti e giocarmi le mie carte per portare comunque a casa qualcosa.

Tu sei una velocista?

Diciamo che mi difendo, ma le volate di gruppo non fanno per me. Sono la classica passista veloce, che in salita fatica tantissimo. Non nascondo che in tante corse per me è dura emergere…

La vittoria di Iaccarino alla Pasqualando del 2022, quand’era ancora allieva
La vittoria di Iaccarino alla Pasqualando del 2022, quand’era ancora allieva
Come ti sei ritrovata in questo mondo?

E’ “colpa” di mio fratello, che correva da ragazzino, era un G6. Io andavo a vederlo con i miei genitori e volli provarci anch’io, allora mi iscrissero a qualche prova promozionale di mtb. Poi sono entrata nella squadra del mio paese, ma dopo un po’ ho detto che volevo provare la bici da strada e da allora, quand’ero esordiente primo anno, non ho più smesso. A differenza di mio fratello…

Hai problemi a conciliare il ciclismo con la scuola?

Eh, non è facile. Soprattutto ora che il team non è più della mia zona ma è in Lombardia, per allenarmi devo fare molte ore in treno e le sfrutto per studiare. Devo dire che a scuola mi aiutano molto, posso usufruire delle agevolazioni studente-atleta, ma è anche vero che ho accumulato molte assenze. Studio all’Istituto Scientifico-Chimico di Agordo (BL), non proprio a due passi.

Parlavi prima di mtb: anche tu sei per la multidisciplina?

No, mi concentro sulla strada. Ho fatto ciclocross una stagione, ma impegnarmi con le trasferte anche d’inverno era troppo pesante per lo studio. Mi piaceva il triathlon, ma richiede troppa preparazione curare tre specialità, il ciclismo basta e avanza.

Per il Team Isolmant quest’anno due team, quello elite e quello junior, spesso fusi insieme
Per il Team Isolmant quest’anno due team, quello elite e quello junior, spesso fusi insieme
Che cosa hanno detto a casa del tuo risultato di Gand?

Sono stati felicissimi, anche per loro è stato inaspettato. Prima della gara tutti mi incitavano e dicevano di stare calma, di non pormi pressioni e pensare solo a quel che dovevo fare. Fidanza mi spiegava che è proprio quando non ti responsabilizzi troppo, che il risultato arriva ed è stato così.

Che impressione ti hanno fatto le ragazze che sono arrivate davanti?

Le avevo viste anche al Trofeo Binda. Ferguson si vede che ha qualcosa più delle altre, è un talento puro, ma se devo dire, contro tutte le altre ce la giochiamo. Sono forti, ma non sono dei fenomeni…

Ferguson, nello Yorkshire sta nascendo un’altra stella

04.04.2023
5 min
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Vincitrice del Trofeo Binda (foto PH Rosa di apertura), seconda alla Gand-Wevelgem e con un già solido curriculum nel ciclocross. Se chiedete nell’ambiente del ciclismo femminile a proposito di Cat Ferguson, vi diranno che è un talento straordinario, destinato a fare la differenza. Perché parliamo di una ragazzina di 16 anni che sta affrontando le prime esperienze nel ciclismo che conta, senza ancora essersi messa nelle mani di qualche grande squadra. Vive in una dimensione completamente familiare, nel team gestito dal padre e al futuro per ora neanche pensa.

A Cittiglio, Ferguson ha corso la prima prova di Nations Cup, vincendola (foto PH Rosa)
A Cittiglio, Ferguson ha corso la prima prova di Nations Cup, vincendola (foto PH Rosa)

Chi l’ha vista all’opera a Cittiglio è rimasto stupito dalla sua forza di carattere, con quella fuga insieme alla francese Bego chiusa con un vantaggio enorme sulle altre, poi la volata di gruppo della settimana dopo alla Gand-Wevelgem chiusa alle spalle della connazionale Izzy Sharp (altro grande talento fra i tanti prodotti dal sistema ciclistico britannico), a dimostrazione delle sue svariate possibilità anche tattiche.

Dallo sci alla bici

Un talento che meritava un approfondimento. Attraverso il padre abbiamo così avuto modo di rintracciarla nella sua casa di Steeton, nel North Yorkshire, per farci raccontare la sua parabola ascendente.

«Ho iniziato a pedalare – racconta – perché i miei genitori, quando io avevo circa cinque anni, andavano in mountain bike insieme e io andavo sul retro delle loro biciclette e mi coprivo di fango… Non mi andava davvero, mi arrabbiavo. Inizialmente mi sono dedicata allo sci, ma fuori dall’inverno andavo in bici per tenermi in allenamento, poi ho iniziato a correre e mi sono concentrata sulle due ruote».

Per Cat molti risultati in patria a cui stanno facendo seguito anche grandi prove all’estero
Per Cat molti risultati in patria a cui stanno facendo seguito anche grandi prove all’estero
Quanto ti alleni durante la settimana e come riesci a conciliare il ciclismo con la scuola?

Diciamo che prevedo dalle 12 alle 17 ore settimanali di allenamento, che naturalmente abbino con il tempo da dedicare allo studio, la mattina invece sono a scuola. Non trovo troppo difficile bilanciare il mio tempo. Attualmente sto frequentando l’anno 12 del nostro sistema scolastico e non sono previsti esami, ma ce ne sono di importanti il prossimo. Non è troppo male. La mia scuola è davvero di supporto e mi fa recuperare le ore perse quando è necessario.

Una passione la tua che non coinvolge solo il ciclismo su strada…

No, faccio anche pista e ciclocross. Quest’anno sono al primo anno da junior, quindi ho avuto una buona stagione invernale, sfiorando il podio agli europei e gareggiando anche ai mondiali (è stata sesta, ndr). A me va bene così.

Cat insieme a suo padre Tim, uniti dalla grande passione per lo sport all’aria aperta
Cat insieme a suo padre Tim, uniti dalla grande passione per lo sport all’aria aperta
Che cosa ti piace di più del ciclismo e ti piace usare la bici anche solo per divertimento?

Quel che mi attira è sicuramente il tipo di aspetto sociale del ciclismo. E’ uno sport che porta la gente a comunicare, a rimanere vicini anche se può sembrare strano. Non è uno sport prettamente individuale, anche quando ti alleni, puoi andare insieme alle persone ed è semplicemente fantastico uscire, magari fare un giro in un caffè con i tuoi amici e poi con l’aspetto agonistico è anche molto divertente.

Cosa dicono i tuoi amici dei risultati di quest’anno?

Sono tutti scioccati, come me, davvero… Sono davvero felici per me e mi supportano tantissimo, sono i miei primi tifosi, non c’è la minima invidia ma anzi, tanta partecipazione emotiva.

Parlaci un po’ della tua squadra: quante siete e quando è nata?

Il mio team si chiama Shibden Hope Tech Apex, quest’anno è una squadra composta da sette ragazze, tutte provenienti dal nord dell’Inghilterra. Quattro di noi fanno anche parte della squadra di ciclismo juniores della Gran Bretagna, sia su strada che su pista. Ci conosciamo abbastanza bene, il nucleo fa attività insieme da circa quattro anni, mio padre è il responsabile del team.

Il team Shibden Hope Tech Apex, solo junior femminile, con Tim Ferguson come manager
Il team Shibden Hope Tech Apex, solo junior femminile, con Tim Ferguson come manager
Ti è piaciuto di più il Trofeo Binda o la Gand-Wevelgem?

Sicuramente la corsa italiana. Penso che il percorso sia stato molto più emozionante, poi era una prova di Nations Cup, la mia prima gara da junior, insomma le emozioni erano tante da mettere insieme.

Quali sono le tue caratteristiche principali?

Direi che sono più uno scalatore. Non proprio uno scalatore puro, ma in salita vado abbastanza forte e prediligo le situazioni nelle quali si fa selezione e rimango con qualcuna, perché poi normalmente riesco anche a vincere lo sprint finale.

C’è una ciclista alla quale ti ispiri?

Decisamente Lizzie Deignan. Viene da Otley, anche lei quindi è del North Yorkshire e io vivo a circa 15 minuti da dove è cresciuta. Quindi solo percorrere le sue stesse strade, sapere quanto bene ha fatto nei quartieri alti del mondo ciclistico, tutto quel che ha vinto è sicuramente un’ispirazione. Mi piacerebbe sicuramente seguire le sue tracce in termini di risultati, ma anche di influsso nel mondo del ciclismo su strada, ad esempio con la sua forte determinazione a interrompere provvisoriamente la carriera per diventare mamma.

Il podio della Gand-Wevelgem con la Ferguson seconda dietro la connazionale Sharp, battuta al Trofeo Binda
Il podio della Gand-Wevelgem con la Ferguson seconda dietro la connazionale Sharp, battuta al Trofeo Binda
Quali sono i tuoi obiettivi?

Quest’anno non ne ho molti. Non ero davvero sicura di come fare per inserirmi nel gruppo junior, ma dopo le ultime due gare, ho un’idea un po’ più chiara sulle mie possibilità. Quindi mi piacerebbe essere pronta per i campionati del mondo di Glasgow e, si spera, magari ottenere una posizione tra le prime dieci, non vado oltre.

Ma tra la maglia di campione del mondo e l’oro olimpico, cosa sceglieresti?

Penso una medaglia d’oro olimpica. L’ho sempre sognata da bambina, ero molto sportiva e dicevo sempre che volevo andare alle Olimpiadi, ma non ero proprio sicura in quale sport. Ora penso di aver trovato quello giusto…

Un milanese di sangue colombiano. E’ Juan David Sierra

30.03.2023
5 min
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Il nome tradisce le origini colombiane, ma basta sentirlo parlare per accorgersi che Juan David Sierra è un milanese purosangue. Già da tempo nel mirino di team affermati che puntano sulle sue qualità veloci e se lo contendono per inserirlo nei propri team Devo, il portacolori della Ciclistica Biringhello è salito alla ribalta nel fine settimana, quando in una giornata tipica del Nord tra freddo e pioggia ha conquistato un importante settimo posto alla Gand-Wevelgem per juniores.

La cosa curiosa è che la sua passione ciclistica non ha nulla a che fare con le origini del padre: «Lui è arrivato qui a 18 anni, perché mia nonna aveva trovato lavoro, ma non era appassionato di ciclismo. Praticamente sono stato io a coinvolgerlo, ora segue tutte le mie gare ed è il mio primo tifoso».

Juan David con suo padre Alberto, arrivato dalla Colombia a 18 anni e suo primo tifoso
Juan David con suo padre Alberto, arrivato dalla Colombia a 18 anni e suo primo tifoso
Se in famiglia non c’era questa spinta verso il ciclismo, come è sbocciata questa passione?

Non è che la bici non facesse parte della nostra vita, solo che non prevedeva le gare. I miei genitori amavano invece le uscite escursionistiche e hanno coinvolto tutta la famiglia. A me piacevano moltissimo, poi ho deciso di provare qualcosa di diverso: facevo calcio ma non mi piaceva. Allora chiesi a mio padre di farmi correre con la società del posto, la Ciclistica Biringhello perché hanno una pista a Rho e pedalare su pista mi piaceva moltissimo. La mia prima gara l’ho fatta da G2 e non è neanche andata bene…

Sei stato subito un vincente?

Assolutamente no, penso di aver vinto una sola corsa da ragazzino. Mi piaceva però far fatica, lottare per arrivare davanti e questo non è mai venuto meno. E’ qualcosa che non so neanche spiegare, quel senso di appagamento dopo un allenamento o una gara sono insostituibili.

Juan David Sierra è nato il 25 gennaio 2005 a Rho (MI). Alla Gand ha chiuso 7° a 1’09” dal vincitore De Schuyteneer (BEL)
Juan David Sierra è nato il 25 gennaio 2005 a Rho (MI). Alla Gand ha chiuso 7° a 1’09” dal vincitore De Schuyteneer (BEL)
Che caratteristiche hai?

Sono un corridore veloce, vado bene sul passo e in salita diciamo che mi difendo, ma posso migliorare. La gara di Gand era ideale per me, piatta con pochi strappi, poi non avevo mai corso al Nord e men che meno sul terreno sconnesso, mi sono divertito tantissimo e non vedo l’ora di tornarci.

Eri partito con l’idea di fare risultato?

No, l’obiettivo era arrivare alla volata, ma in quel caso si sarebbe lavorato per altri. Non ero io la punta – ammette Sierra – anche se sono veloce. La corsa però si è messa altrimenti: io ho cercato di rimanere sempre davanti, poi il gruppo si è spezzato a una settantina di chilometri dal traguardo. Mi è spiaciuto perdere un centinaio di metri proprio alla sommità del Kemmelberg, se riuscivo a tenere il risultato sarebbe stato ancora più importante.

Il milanese è già stato azzurro lo scorso anno al Trophée Centre Morbihan
Il milanese è già stato azzurro lo scorso anno al Trophée Centre Morbihan
Tra le gare italiane ce n’è una che ti è rimasta nel cuore?

Non è una vittoria. Mi sono davvero divertito lo scorso anno a Roma, al GP Liberazione finito al 10° posto. Quella gara è particolare, corta ma nervosa, non ti puoi rilassare neanche un metro. Ci torno quest’anno per cercare di fare ancora meglio, è uno dei miei obiettivi di questa stagione.

E gli altri?

Non mi dispiacerebbe mantenere un buon livello, tale da guadagnarmi qualche altra chance per vestire la maglia azzurra. Per me è un grande onore, sento molto la responsabilità e vorrei ripetere l’esperienza quanto prima. Spero di riuscire a essere selezionato, magari per qualche prova a tappe della Nations Cup come lo scorso anno.

Tu sei al secondo anno da junior, si avvicina il momento del cambio di categorie e quindi di squadra…

Non mi pongo molto il problema, d’altronde passa tutto attraverso i risultati, quindi devo pensare a correre. Poi devo pensare anche alla scuola. Quest’anno ho cambiato indirizzo, sono all’Istituto Professionale Elettricisti e l’anno prossimo avrò gli esami, questo influirà un po’ sulle mie scelte. Ma ho tempo per pensarci.

Tante le vittorie nelle categorie giovanili. Qui al Lombardia per allievi
Tante le vittorie nelle categorie giovanili. Qui al Lombardia per allievi
Andresti all’estero?

Di corsa! Intanto per migliorare il mio inglese considerando che di partenza sono bilingue italiano-spagnolo, poi perché ritengo sia un passo fondamentale se si vuole fare davvero questo mestiere. In Italia c’è una mentalità ancora troppo chiusa. Un’esperienza all’estero sicuramente mi darebbe molti altri spunti per continuare nella mia attività.

Considerate le tue caratteristiche, quali pensi siano le prove dove puoi emergere e per le quali un team dovrebbe sceglierti?

Sono un passista veloce, capace di emergere sia nelle gare d’un giorno, sia nelle corse a tappe come cacciatore di traguardi. Certo – conclude Sierra – dove c’è tanta salita sono ancora un po’ acerbo ma spero di migliorare.

«Ai meno dieci, Wout mi ha chiesto se volessi vincere»

29.03.2023
5 min
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«A dieci chilometri dall’arrivo – ha raccontato Laporte nella conferenza stampa di Wevelgem – Wout mi ha chiesto se volessi vincere. Credo che conoscesse la risposta. Quello che avevamo fatto nel 2022 al GP E3 (identico arrivo, ma primo Van Aert, ndr) era stato magnifico. Ne parlavamo qualche giorno prima, dicendo che difficilmente sarebbe successo ancora. Invece alla Gand lo abbiamo fatto nuovamente».

L’arrivo mano nella mano fa pensare ad Harelbeke 2022, ma anche alla Liegi 2002 con Bettini e Garzelli
L’arrivo mano nella mano fa pensare ad Harelbeke 2022, ma anche alla Liegi 2002 con Bettini e Garzelli

Da cacciatori a prede

Il dominio del Team Jumbo-Visma, culminato con l’assolo di Christophe Laporte e Wout Van Aert alla Gand-Wevelgem, ha irretito il gruppo e il pubblico. Le reazioni sono state di vario colore. Dal trionfalismo dei tifosi, alla constatazione degli osservatori che in mancanza di rivali come Van der Poel o Pogacar, Van Aert e soci non hanno avversari. Il divario effettivamente è innegabile e nelle parole dei manager dello squadrone olandese traspare la voglia di fare anche di più.

«Abbiamo ancora bisogno di un grande budget – ha spiegato il team manager Merijn Zeeman a L’Equipe – perché i buoni corridori diventano sempre più costosi. Da questo punto di vista, dovremmo essere strutturalmente tra i primi cinque team del World Tour. Ma non ci siamo ancora…»

«Siamo partiti per diventare come la Ineos durante il periodo estivo – gli ha fatto eco il grande capo Richard Plugge – e la Quick-Step in primavera. Ci stiamo ancora lavorando, siamo passati dal periodo dell’apprendistato al copiare, ma ora dobbiamo arrivare alla fase successiva. Questa è la nostra sfida e dobbiamo fare ancora meglio e trovare il modo di riuscirci. Ma al momento ci troviamo in una posizione che non conosciamo davvero. Non siamo più i cacciatori, ora siamo le prede».

A Wollongong, Laporte ha centrato l’argento dietro Evenepoel: eccoli sul podio con Matthews
A Wollongong, Laporte ha centrato l’argento dietro Evenepoel: eccoli sul podio con Matthews

Spirito di gruppo

Quello che traspare sono la continua ricerca e la cura dei dettagli: tratti comuni a tutti gli squadroni che nel corso degli anni, anche grazie a budget più importanti di altri, sono riusciti a dominare la scena. I soldi però non bastano: se così fosse, altri team riuscirebbero a vincere con più corridori anziché sempre con il solito.

«Ho appena compiuto 30 anni – dice Laporte, spiegando i suo momento – è ora che devo fare il mio palmares. Questo gruppo è fantastico perché fra noi c’è il piacere di veder vincere i compagni. Io sono super felice di vedere Van Aert vincere grandi gare, come lo sono stato per Van Baarle all’Het Nieuwsblad e Benoot a Kuurne. E sono sempre stato felice per loro perché sapevo che prima o poi sarebbe toccato anche a me».

Nato in Cofidis

Siccome non è scritto da nessuna parte che i vincitori abbiano sempre ragione, la scelta di Van Aert di lasciar vincere il compagno, gli è valsa qualche illustre… forchettata, come ad esempio quella di Merckx. Il Cannibale ha infatti precisato che lui non lo avrebbe mai fatto. Per contro, si è levato alto anche il coro di chi invece ha applaudito. Di certo questa voglia di condividere gioia e vittorie deve essere ben radicata nell’animo dei corridori, se è vero che Laporte non è stato in grado di seguire Van Aert sul Kemmelberg, ma è stato atteso.

E così il francese, che nelle dichiarazioni di inizio anno è stato descritto come un leader, negli ultimi mesi ha visto arrivare nella sua bacheca una tappa al Tour, il secondo posto al mondiale e ora la vittoria in una grande classica fiamminga.

«Risultati che mi sono costati sacrifici soprattutto sul piano familiare – ha spiegato con riferimento alla compagna Marion e i due figli – ma che hanno premiato il lavoro che faccio tutti i giorni. Il mio ciclismo è cambiato molto da quando gareggiavo in mountain bike e andavo in bici senza pensare al resto. Sono felicissimo di essere arrivato in questa squadra, ma ho potuto farlo grazie ai miei anni nella Cofidis, che sono stati molto buoni. Non ho rimpianti. E’ stato lì che ho imparato a diventare un professionista e grazie a questa esperienza, ho potuto rivendicare il mio status in Jumbo-Visma».

Le parole di Laporte confermano il grande affiatamento fra compagni di squadra: qui l’abbraccio con Wout Van Aert
Le parole di Laporte confermano il grande affiatamento fra compagni di squadra

Impatto psicologico

E qui il salto di qualità è stato palese. Si potrebbe obiettare che la vittoria ottenuta a questo modo non sia delle più esaltanti: l’arrivo solitario o uno sprint le avrebbero tolto il senso del regalo, anche se nelle parole del vincitore e nella pubblica opinione è stato proprio il regalo a renderla più importante.

«Sono molto contento – ha spiegato Laporte – di essere arrivato in questa squadra. Qui ho scoperto i ritiri di tre settimane in altura, le nuove bici che vanno veloci. I piani nutrizionali precisi alla caloria. La mia mente ha retto bene il passaggio in una delle squadre più forti del mondo. Ho sofferto la lontananza dalla famiglia. Mio figlio è nato il giorno di Natale e non è stato facile stargli lontano durante il ritiro di febbraio sul Teide. Ho superato tutto perché in cuor mio so che sto vivendo uno dei miei sogni di bambino».

Uno-due Jumbo: Laporte e Van Aert si prendono la Gand

26.03.2023
5 min
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Uno-due. Wout Van Aert, Christophe Laporte. E’ bastata una sgasata, apparentemente neanche mostruosa sul Kemmelberg e i due Jumbo-Visma hanno salutato tutti. La Gand-Wevelegem di fatto si è decisa a poco più di 50 chilometri dall’arrivo.

Sembra quasi che il maltempo al Nord aspetti le corse per palesarsi, per renderle più mitiche e tradizionali. La pioggia, il freddo e a tratti anche un po’ di vento non sono mancati nei 261 chilometri in questa “quasi monumento”.

Un solo corridore

Senza Van der Poel, che cova il bis al Fiandre e si nasconde, ecco che tutti i fari sono puntati sul “Wout nazionale”, tanto più che Remco Evenepoel non c’è e se la “spassa” al sole della Spagna. La corsa si accende sin da subito. Tra gli attaccanti della prima ora anche Greg Van Avermaet.

La Gand è una sorta di Amstel Gold Race delle Fiandre e nel suo dedalo di stradine e cambi di direzione è facile restare coinvolti in una caduta, come è successo a Filippo Ganna. Per ora non sembra nulla di grave, se non una forte contusione ad un ginocchio. Ma quel che avevamo scritto giusto questa mattina, riguardo al saltare la Ronde, per non mettere a rischio la Roubaix si è puntualmente verificato.

Il Belgio si stringe dunque intorno a Van Aert e lui non delude i suoi connazionali. Lo aspettano sotto la pioggia. Lo applaudono, lo filmano con gli smartphone mentre le nuvolette escono dalla bocca. E lui spesso la bocca ce l’ha chiusa. 

Su un muro al 17% Van Aert piega ma non spezza Laporte. I due hanno fatto uno crono a coppie
Su un muro al 17% Van Aert piega ma non spezza Laporte. I due hanno fatto uno crono a coppie

Wout il buono

Pedala composto, potente come nei giorni migliori. Lui un filo più agile di Laporte. Su uno dei muri ad un tratto toglie di ruota anche il compagno francese. E se ne accorge. Non molla subito – vuol far vedere chi è il più forte – tuttavia non affonda il colpo e in cima lo aspetta.

E lo aspetta anche perché okay che è Van Aert, ma mancano ancora parecchi chilometri all’arrivo. I due vanno via di comune accordo. Belli. Spianati sulle loro Cervélo. Il distacco continua ad aumentare in modo costante ma regolare. E arriva a toccare 2’15”.

Dietro si muovono un po’ come degli juniores. Tirano a momenti. Scattano. Ineos Grenadiers e Bahrain-Victorius ci provano un po’ di più, ma alla fine è questione di gambe. E i due Jumbo ne hanno di più. Amen.

Il chilometro finale è una lunga – forse anche troppo – parata. I due si parlano. Si abbracciano, si riparlano. Si riabbracciano, si voltano a guardare l’ammiraglia che lampeggia nel grigio pomeriggio belga. Alla fine la ruota che taglia per prima la linea è quella di Laporte. Ma la gioia del Belgio non è strozzata. Wout ha vinto lo stesso.

«Siamo andati “full gas” fino ai -10 dall’arrivo – ha detto Van Aert – quando era chiaro che avremmo vinto. Io ho alzato le braccia al cielo venerdì e ho gli occhi puntati sui prossimi obiettivi (si legga Giro delle Fiandre, ndr). Posso dire che fare la Gand è stata una buona scelta», quest’ultima frase era la risposta a chi lo incalzava sul fatto che VdP era rimasto a riposarsi.

«La vittoria di Christophe è stata una decisione facile. Ne parlavamo giusto qualche giorno fa: pensavamo che un nuovo arrivo in parata non sarebbe mai più accaduto, visti i livelli elevati che ci sono, e invece… Tutto questo è frutto del duro lavoro di squadra».

Laporte ringrazia

Laporte intanto gioisce e anche lui torna ai dieci chilometri dal traguardo: «Lì Wout mi ha chiesto se volevo vincere. Penso che conoscesse già la risposta! È davvero incredibile. Wout è stato più forte di me oggi, quindi devo a lui questa vittoria a lui. Vincere una classica e una tappa al Tour era il mio sogno sin da bambino. Ora l’ho realizzato. Questa vittoria è per mia moglie e i miei due figli. Sono stanco, ho sofferto ma sono anche molto felice».

«La nostra tattica? Volevamo accelerare al secondo passaggio sul Kemmelberg e l’abbiamo fatto – ha detto il francese – anche se mancavano 52 chilometri. Da lì abbiamo dato tutto fino alla fine. Ho fatto di tutto per restare con Wout. Era davvero forte oggi. Sono felice di condividere questo successo con lui».

Gand non era un caso. Capra è tornato a vincere

11.03.2023
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I lettori più attenti ricorderanno come ci occupammo di Thomas Capra lo scorso anno, quando fu autore di uno squillo eccezionale alla Gand-Wevelgem di categoria. Lo ritroviamo domenica scorsa vincitore della prima classica riservata agli juniores, la Medaglia d’Oro Sportivi La Rizza. Che cosa c’è nel mezzo? Un anno di difficoltà di vario genere per quello che a conti fatti è ancora un ragazzino (ha appena compiuto 18 anni) e al suo secondo anno è un corridore ancora tutto da scoprire.

Il corridore della Assali Stefen Makro spiega subito che cosa è intercorso fra una vittoria e l’altra, davvero un pieno di disavventure: «Il Covid mi ha lasciato molti strascichi: preso subito dopo la vittoria in Belgio, non sono più riuscito a ritrovare la forma se non a fine stagione, poi appena mi stavo davvero riprendendo mi sono fatto male a un dito. Per fortuna d’inverno non ho avuto problemi e sono riuscito a effettuare una preparazione senza intoppi e i risultati si sono subito visti».

La volata vincente di Capra a Rizza di Villafranca (VR) su Marchiori e Barbuto (foto Bi.Ci.Cailotto)
La volata vincente di Capra a Rizza di Villafranca (VR) su Marchiori e Barbuto (foto Bi.Ci.Cailotto)
Non sei il primo a segnalare problemi legati al post-covid, Hermans ad esempio raccontava la stanchezza cronica e le difficoltà di recupero…

Esattamente quel che è successo a me, mi sentivo sempre senza forze e faticavo a recuperare tra una seduta di allenamento e l’altra e tra una gara e l’altra. E’ stato un problema che mi sono portato dietro a lungo e sì che la mia età e il mio fisico dovevano avvantaggiarmi in tal senso. Solo a fine stagione ho iniziato a sentirmi bene, come prima.

Veniamo alla vittoria di domenica, che tipo di gara ti sei ritrovato ad affrontare?

Un percorso pianeggiante di 97,5 chilometri, senza grandi difficoltà, adatto all’inizio di stagione, a maggior ragione dovendo convivere con le nuove regole e l’utilizzo maggiore di rapporti. E’ stata una vittoria costruita sfruttando il lavoro di altre squadre più attrezzate, come la Borgo Molino, che avevano approntato i treni per lanciare la volata. Io ho pensato a prendere la miglior posizione possibile per uscire allo scoperto ai 200 metri e vincere.

Il gruppo della Azzali Stefen Makro durante il ritiro prestagionale. Capra è l’ultimo della fila
Il gruppo della Azzali Stefen Makro durante il ritiro prestagionale. Capra è l’ultimo della fila
Hai cambiato qualcosa nella preparazione, anche sulla base di quanto ti era successo nel 2022?

No, è rimasta sempre la stessa, il mio preparatore Paolo Alberati ha voluto mantenere la stessa impostazione in accordo con quello della squadra che è Rocchetti.

La Gand-Wevelgem si avvicina, difenderai il titolo?

Sì, anche se quest’anno non essendo prova di Nations Cup non è più solo per nazionali, ma so che la Federazione vuole comunque mandare la squadra e io sarò della partita. Quest’anno però la sfida belga non sarà l’unica, poi mi aspetta la Roubaix il giorno di Pasqua.

Ti ritroverai sul pavé…

Sì, ben diverso da quello già “assaggiato” lo scorso anno alla Gand-Wevelgem. Lì in fin dei conti è un terreno con le pietre che resta comunque abbastanza uniforme, si pedala senza grossi problemi. Quello di Roubaix è ben altra cosa, sinceramente non so che cosa aspettarmi, posso basarmi solo su quello che ho sempre visto in tv, tra l’altro noi affronteremo gli ultimi 110 chilometri della classica dei professionisti, quindi tutti i pezzi difficili li affronteremo anche noi.

La straordinaria vittoria di Capra alla Gand-Wevelgem 2022, vincendo una volata a 4
La straordinaria vittoria di Capra alla Gand-Wevelgem 2022, vincendo una volata a 4
Sinceramente pensando al pavé quanto c’è di curiosità e quanto di timore in te?

A me le gare “complicate” piacciono molto, che si pedali su sterrato, su pavé, io quando mi trovo a entrare su quei tratti mi esalto, è come se risuonassero dentro di me le note di una marcia trionfale. Non vedo l’ora che venga la Pasqua per mettermi all’opera.

Tu tra l’altro sei ancora impegnato con la scuola…

Sì, sono al quarto anno di Scienze Applicate, gli esami saranno il prossimo anno e questo in qualche modo mi aiuta in questa stagione perché pur dovendo studiare sono ancora abbastanza tranquillo, so che il prossimo sarà un anno complicato da questo punto di vista.

Tra l’altro sarà la stagione di esordio tra gli under 23.

Infatti, è un fattore quello scolastico che influirà sulle mie scelte. So che molti sono allettati dalle sirene straniere, ma a me dover passare in una squadra estera mi preoccupa molto proprio per il problema della scuola, il 2024 sarà un anno delicato. Sarebbe un problema in più da affrontare. Contatti ce ne sono già e penso che per luglio prenderò la mia decisione su dove andare, tenendo proprio in conto il discorso della doppia attività scolastico-sportiva.

Il trentino insieme a Giulio Pellizzari, suo grande amico e spesso compagno di allenamenti
Il trentino insieme a Giulio Pellizzari, suo grande amico e spesso compagno di allenamenti
Sei rimasto nello stesso team rispetto allo scorso anno, non uno di quelli di primissimo piano. Come ti ci trovi?

Siamo molto affiatati e penso che proprio questo affiatamento sia un’arma in più, domenica si è visto chiaramente, abbiamo lavorato bene e se ho vinto lo devo ai miei compagni per tutto quel che hanno fatto lungo la gara. Sono entrati nuovi ragazzi e il gruppo si è coeso maggiormente, io penso che ci potremo togliere belle soddisfazioni. Personalmente vorrei vincere un po’ di più dello scorso anno e magari strappare una maglia per i mondiali. Sperando che a Glasgow non faccia tanto caldo.

Considerate le tue caratteristiche, in quale periodo della stagione e soprattutto con quale clima ti trovi meglio?

Fisicamente non soffro molto né il caldo né il freddo, ma ho notato che vado meglio con temperature più miti, quindi a inizio e fine stagione riesco a dare il meglio di me stesso.

Barbieri, compleanno sul pavè preparando la Roubaix

05.03.2023
5 min
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Rachele Barbieri finora aveva corso a Roubaix solo nel 2021 quando disputò i mondiali in pista. Poche settimane fa invece ha festeggiato il suo 26esimo compleanno con una ricognizione sul pavè, chiudendola dentro al vecchio e mitico velodromo André Pétrieux, a pochi metri dall’anello iridato, intitolato invece a Jean Stablinski.

Per una “monumento” come la Parigi-Roubaix non si lascia nulla al caso, figuriamoci se è la prima che correrai. La velocista modenese della Liv Racing TeqFind conosce già le pietre fiamminghe, ma doveva prendere coscienza di quelle francesi. Barbieri ha così scoperto cosa la attende malgrado il suo passato da ciclocrossista. Da qui all’8 aprile avrà un avvicinamento piuttosto specifico, sia in gara che in allenamento. Anzi, non è escluso un secondo sopralluogo ancor più approfondito.

La recon sul pavé della Liv Racing TeqFind si conclude dentro al mitico di Roubaix (foto instagram)
La recon sul pavé della Liv Racing TeqFind si conclude dentro al mitico di Roubaix (foto instagram)
Rachele quando ritorni al Nord?

Riprenderò l’11 marzo alla Ronde van Drenthe, poi mi aspetta un bel blocco di gare. In sequenza farò la Nokere il 15, la De Panne il 23, la Gand-Wevelgem il 26, la Dwars door Vlaanderen il 29, la Scheldeprijs il 5 aprile ed infine la Roubaix. Dopo di che ho dato la disponibilità per tornare in pista alla Nations Cup a Milton in Canada (dal 20 al 23 aprile, ndr). Al rientro inizierò a lavorare per la seconda parte di stagione.

Intanto le prime pietre le hai assaggiate con la Het Nieuwsblad. Com’è andata?

Poteva andare meglio. Nel finale ho scollinato il Kapelmuur (o muro di Grammont, ndr) assieme a Bastianelli, Gasparrini, alcune mie compagne e altre ragazze. Eravamo un bel gruppetto. Ma ero morta, infatti il Bosberg, l’ultimo muro, l’ho fatto praticamente all’indietro (sorride, ndr) e ho perso le ruote. Peccato perché vedendo la volata per il secondo posto mi è mancato poco. Il lato positivo è che rispetto al 2022 ho fatto grandi miglioramenti e questo mi ha dato morale. Avrei voluto rifarmi a Le Samyn.

Che non hai corso però…

Esatto. Purtroppo la nostra squadra non è stata invitata. Mi è spiaciuto fermarmi subito e tornare a casa. Anche in questo caso, vedendo com’è finita, con la tripletta Bastianelli, Confalonieri e Guazzini, mi sarebbe piaciuto giocarmi le mie carte. In ogni caso “viva l’Italia” e complimenti alle ragazze. Io avrò altre occasione per recuperare.

Barbieri (qua alla Het Nieuwsblad) sa che dovrà prendere davanti i tratti di pavè alla Roubaix
Barbieri (qua alla Het Nieuwsblad) sa che dovrà prendere davanti i tratti di pavè alla Roubaix
Ti stai allenando su quel “poco” che ti è mancato e di cui parlavi prima?

Alle prossime gare voglio arrivarci pronta. La differenza la fai non solo tenendo sui muri, ma dando il cambio di ritmo nel tratto di pianura appena scollini. Li ho sofferti infatti. Per questo mi sono allenata su tratti di 4/5 minuti molto forte, compresi 30/40 secondi finali in cui vai a tutta. In sostanza ho anche allenato il recupero per andare oltre il limite dopo. Devo ringraziare il mio preparatore Stefano Nicoletti che mi è sempre molto vicino e capisce subito le mie richieste. Anzi, spesso mi accompagna fuori in allenamento tirandomi il collo (sorride, ndr). E questo è uno stimolo per me a fare di più.

La recon della Roubaix com’è stata?

Vi racconto questo aneddoto. Ero particolarmente entusiasta di farla, visto che era il giorno del mio compleanno (21 febbraio, ndr). A metà dell’allenamento Wim (il diesse Stroetinga, ndr) mi affianca con l’ammiraglia e mi chiede sorridendo: «Ti piace ancora questa ricognizione?». Io lo guardo e facendo il gesto con la mano, gli rispondo che ero meno convinta. Battute a parte, è stato un test molto probante, tant’è che vorrei rifarne un altro. Se ci sarà il tempo, tra Dwars e Scheldeprijs, potremmo magari provare i materiali che useremo in gara.

Rachele Barbieri è attesa da una campagna del Nord fatta di 7 gare (foto instagram)
Rachele Barbieri è attesa da una campagna del Nord fatta di 7 gare (foto instagram)
Che impressioni hai avuto?

E’ stato un allenamento intenso. Abbiamo simulato un ritmo gara nei vari settori di pavè, prendendoli forte e accelerando in uscita. E’ vero che è una classica senza dislivello, ma ho sofferto e ho davvero capito che è una gara molto dura. Tuttavia col passare del tempo stavo meglio e ho notato la differenza dal primo all’ultimo tratto di pavè. Bisognerà tenere conto di tante cose, molto più di altre corse.

Quali sono quelle che ti hanno colpito di più?

Ci sono tanti aspetti che possono condizionare la Roubaix. Penso al meteo naturalmente. Noi l’abbiamo provata in una giornata grigia ed un po’ di fango lo abbiamo raccolto. Ma se pioverà o se ci sarà bel tempo, quindi con tantissima polvere, sarà tutta un’altra gara. Ecco il motivo della seconda recon più sotto data. Poi c’è la questione della pressione dei copertoncini. Quello sarà un bell’enigma. Io che sono abituata a gonfiarli abbastanza alti, appena siamo partiti mi sono sentita lenta, incollata al terreno, ma sul pavè viaggiavo bene. Proprio come aveva raccontato Colbrelli quando la vinse. Infine, tra i tanti aspetti, ci sono quelli legati alle posizioni da tenere, ai rapporti o agli accorgimenti da usare col vestiario.

A Barbieri nella Het Nieuwsblad è mancato il cambio di ritmo in cima ai muri. Ci sta lavorando (foto Stephan De Goede)
A Barbieri nella Het Nieuwsblad è mancato il cambio di ritmo in cima ai muri (foto Stephan De Goede)
A Rachele Barbieri la Roubaix fa più paura o è più uno stimolo?

Bella domanda. Senza dubbio mi stimola correrla perché è una gara che ho sempre sognato di fare, ma non vi nascondo che mi impensierisca. Ho chiesto consigli alle compagne che l’hanno già corsa, così come ai miei tecnici. Qualcuno mi ha detto che si partirà subito a tutta. Ci sarà grande stress per stare nella prima parte del gruppo. Dovrò prestare attenzione a tutto ma sono tutti discorsi che faranno anche le altre atlete. Insomma, diciamo che potremmo riassumere il tutto in due condizioni necessarie. Una grande condizione e molta fortuna.

Contratto nuovo, numero nuovo: è tornato Girmay

02.05.2022
5 min
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Alla vigilia del GP Francoforte, Biniam Girmay da poco tornato in Europa ha ritrovato la stampa dopo più di un mese e ha annunciato il prolungamento del contratto con Intermarché-Wanty-Gobert per altri due anni, sino a fine 2026. E seppure tra le offerte ci sia stata anche quella della Ineos, pare proprio che il vincitore della Gand-Wevelgem non abbia dovuto pensarci troppo a lungo.

«Non ho mai veramente considerato un cambio – ha raccontato – perché non si è trattato solo di questioni finanziarie. Intermarché è la mia seconda famiglia. E questo conta».

Altura africana

Nel corso dell’incontro con la stampa, la squadra belga si è detta consapevole che aver preso l’eritreo sia stato un grosso colpo di fortuna, ma adesso di non volersi lasciare sfuggire l’occasione. Così il prossimo anno fra i suoi obiettivi ci saranno la Milano-Sanremo e ovviamente le classiche fiamminghe. Poi però l’intenzione del team sarà quella di schierare Girmay come velocista in uno dei grandi Giri.

«Non pensavamo che sapesse andare bene sul pavé – ha spiegato Valerio Piva un paio di giorni prima della Liegi – invece ci ha stupiti tutti. Sappiamo però che è anche veloce e l’idea è di farlo crescere su entrambi i fronti. L’idea di tenerlo ancora su per il Fiandre ci è passata per la testa, non lo nascondo, ma gli avevamo dato la parola che sarebbe tornato a casa ed è stato giusto mantenere la parola. Sappiamo che aveva bisogno di stare in famiglia e che in Eritrea riesce ad allenarsi bene. C’è giusto il problema delle comunicazioni. Ma per il resto si tratta di lavorare in altura. Taaramae ad esempio ha iniziato ad andare in Rwanda. C’è un centro sportivo con appartamenti per gli atleti e percorsi quanti se ne vogliono…».

Nella Intermarché è Africa-mania. Taaramae ad esempio trascorre in Rwanda i suoi camp in altura (foto Instagram)
Nella Intermarché è Africa-mania. Taaramae ad esempio trascorre in Rwanda i suoi camp in altura (foto Instagram)

Il Fiandre in tivù

Girmay racconta di aver seguito il Giro delle Fiandre in televisione, assieme alla famiglia e a suo figlio. Biniam ha 22 anni, vive ad Asmara e quando è in Europa ha fissato la base a San Marino. «Non mi è pesato – ha raccontato – aver visto il Giro delle Fiandre in televisione. Ho seguito tutto dall’inizio alla fine».

Eppure durante la diretta, pare fosse più in ansia di quando è sulla bici. Racconta il suo allenatore Visbeek che la corsa era appena partita da Anversa, a dire tanto da 10 chilometri, quando Biniam lo ha chiamato per chiedergli come andassero le cose.

Selfie e foto dai tifosi eritrei, ma nulla rispetto all’accoglienza ad Asmara
Selfie e foto dai tifosi eritrei, ma nulla rispetto all’accoglienza ad Asmara

Tre giorni di follia

Ieri a Francoforte, Girmay ha toccato con mano la sua grande popolarità. Sulle strade della città tedesca ha riconosciuto uno sventolare chiassoso di bandiere eritree, a dare continuità ai festeggiamenti ricevuti a casa dopo la vittoria della Gand.

«Ho girato la capitale – ha raccontato – con un’auto scoperta per quattro ore. C’era una folla di persone ovunque. Vecchi che altrimenti non uscirebbero di casa, studenti che si prendevano una pausa dallo studio. Le scuole erano addirittura chiuse, in modo che potessero venire anche i più piccoli. L’ultima volta, quando tornai dopo la medaglia d’argento ai mondiali U23 di Leuven, fu una follia. Questa volta è stato molto di più. Ho festeggiato per tre giorni senza sosta. Selfie e omaggi. Anche il presidente mi ha invitato nel suo palazzo. Ma da noi si festeggia in modo diverso da qui. Non beviamo alcolici e iniziamo nel primo pomeriggio. Balliamo e poi mangiamo. E quando scende la notte, siamo già a letto. Al terzo giorno però, sono tornato a casa e ho anche cambiato numero di cellulare. E poi finalmente ho potuto allenarmi bene per tre settimane. A volte sul livello del mare, altrimenti sempre oltre i 2.000».

Girmay ha corso a Francoforte in appoggio a Kristoff, 4 volte vincitore in Germania (foto Instagram)
Girmay ha corso a Francoforte in appoggio a Kristoff, 4 volte vincitore in Germania (foto Instagram)

Una tappa al Giro

A Francoforte si è piazzato al 38° posto dopo aver aiutato Kristoff, salito sul terzo gradino del podio. E adesso nel mirino di Girmay ci sono il Giro d’Italia e possibilmente una vittoria di tappa.

«I grandi Giri – ha spiegato Biniam – godono di molta più attenzione in Eritrea rispetto alle classiche di primavera. E col fatto che siamo stati una colonia italiana, tante parole legate al ciclismo derivano dall’italiano e lo stesso Giro d’Italia è un appuntamento importante anche laggiù».

Nel frattempo però pare che la maglia dell’Intermarché-Wanty-Gobert sia la più diffusa sulle strade dell’Eritrea. E con il contratto prolungato fino al 2026, i ragazzini non correranno il rischio di doverne comprare un’altra per almeno quattro anni.