Le sfide di Van der Spiegel, capo fiammingo del Fiandre

06.03.2022
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Tomas Van der Spiegel è alto 2,14 e nella sua vita precedente giocava a basket. Quando vai alle corse del Belgio, non è infrequente incontrarlo, anche se raramente lo vedi in mezzo ai corridori. Pur essendo il capo di Flanders Classics , la società che organizza il grande ciclismo in Belgio – dalla Omloop Het Nieuwsblad al Fiandre, passando per la Gand e altre – Tomas preferisce un ruolo dietro le quinte. Se lo noti è perché, come i campanili nelle sconfinate pianure delle Fiandre, svetta sulle teste e detta la rotta.

«Sono sempre stato appassionato di ciclismo – dice Van der Spiegel, in apertura nella foto Facebook – sono fiammingo, fa parte di noi. La primavera per me è sempre stata la stagione delle classiche, ora più che mai. Già quando giocavo, ho sempre avuto la passione per il lato business dello sport. Perciò quando mi hanno avvicinato i proprietari di Flanders Classics e mi hanno offerto di diventarne l’Amministratore Delegato, non ci ho pensato neanche per un secondo. Mi dà tanto orgoglio essere qui».

Classe 1978, avendo giocato con la Fortitudo Bologna, la Virtus Roma e l’Olimpia Milano, il suo italiano è praticamente perfetto, scritto e parlato. Scherzando dice che in certi giorni va meglio e in certi peggio: dipende dallo stress. E queste sono settimane di fuoco, dopo che nello scorso autunno Flanders Classics organizzò assieme a Golazo anche i mondiali di Flanders 2021.

Quanto pesa il tuo ruolo nelle settimane di primavera?

In realtà per me non cambia tantissimo (ride, ndr), perché non sono troppo coinvolto a livello tecnico. Per il resto del mio team, mi rendo conto che siano giorni impegnativi.

Siamo abituati a pensare a RCS e ASO, ma anche Flanders Classics è ormai una grande struttura.

La differenza è che noi abbiamo soltanto corse di un giorno e questo cambia tanto. In ogni caso siamo riconosciuti come terzo attore sulla scena del ciclismo. Complessivamente siamo coinvolti in 70 eventi all’anno. Abbiamo tutta la stagione del ciclocross, tante Gran Fondo, le grandi classiche e le gare per le donne.

Podio di Leuven 2021, Alaphilippe iridato con Van Baarle e Valgren
Podio di Leuven 2021, Alaphilippe iridato con Van Baarle e Valgren
Lo scorso anno si è aggiunto il mondiale, come è andata?

E’ stato una sfida. Il giorno della corsa dei pro’ è stato paragonabile a un Fiandre, quindi nessun problema. Il guaio è che abbiamo dovuto mettere insieme otto giorni di eventi e la logistica di quattro città lontane non è stata semplice. Ma alla fine ha funzionato bene tutto.

Come si passa dal basket al ciclismo?

Sono qui da quattro anni e credo ormai di aver trovato la mia collocazione. Il ciclismo è un mondo tradizionale, il mio apporto potrebbe essere considerato innovativo. Non avendo grossi legami col passato e la tradizione, riesco a vedere le cose con meno condizionamenti

Fra le novità, lo scorso anno avete adottato le transenne Boplan: un bel passo avanti…

Se devo dire, dopo quello che ho vissuto per tutta la carriera da professionista, lo stress del mio ruolo sembra davvero poca cosa. C’è, ma si gestisce facilmente. Ma c’è una cosa che ancora mi dà ansia ed è la sicurezza dei corridori e del pubblico. Non è facile, non siamo in un palazzetto, in un velodromo o in uno stadio. Perciò tutto quello che possiamo fare, anche se costa, sarà un investimento che vale assolutamente la pena. Transenne o volontari, qualsiasi cosa. La sicurezza sulle nostre strade è una bella sfida, perché saprete bene che nelle Fiandre non c’è una strada che sia dritta, non una strada che sia larga. Per questo volontari e motociclisti sanno di avere un ruolo molto importante.

Le transenne di Boplan utilizzate da Flanders Classics a partire dal 2021: Van der Spiegel ha la sicurezza nel mirino
Le transenne di Boplan utilizzate da Flanders Classics a partire dal 2021
Tanto cross e tanta strada: qual è il rapporto di forza?

A livello internazionale, conta più la strada. A livello locale, il cross ha lo stesso peso. E anche questa sfida di renderlo sempre più internazionale è molto importante, approfittando della presenza di tre corridori come Van Aert, Van der Poel e Pidcock che lo rendono così spettacolare.

Il cross sulla neve: mai avuto dubbi?

Adesso che è riuscito tutto, posso dire che eravamo sicuri. Ma il nostro motto è che finché non provi, non saprai mai se può funzionare. Abbiamo provato. Val di Sole si è dimostrato un partner di grande valore e alla fine è andata bene e per questo torneremo. Il cross è un prodotto molto attrattivo. La gara dura sono un’ora, è esplosiva, si può rendere bene con riprese spettacolari, donne e uomini hanno già la parità. Può diventare un prodotto con un bel futuro. Non sta a noi portarlo alle Olimpiadi, noi possiamo dimostrare che le merita.

Come si fa?

Va reso sempre più internazionale. Ora è rientrata l’Italia, il prossimo anno ci sarà anche la Spagna. Chiaro che i tifosi di qui lo vorrebbero tutto fra Belgio e Olanda, ma lo scopo è creare uno sport diffuso e attrattivo.

La Coppa del mondo nella neve a Vermiglio: una prima assoluta, per Van der Spiegel riuscita molto bene
La Coppa del mondo nella neve a Vermiglio: una prima assoluta, riuscita molto bene
Hai parlato di abitudini che non hai e che vorresti eliminare…

I miei collaboratori sanno che sono allergico alla frase: «Si è sempre fatto così». Il ciclismo è un prodotto che ha potenziale, ma deve accettare nuove sfide. Per cui va bene la sicurezza, ma dobbiamo lavorare a uno sport che fra dieci anni sia attrattivo come lo era vent’anni fa. Serviranno dei cambiamenti, che non sempre vengono capiti.

Che rapporto hai con gli atleti?

Ho dei contatti con loro, con alcuni ho più rapporto, ma il mio obiettivo è essere un organizzatore rispettato. Ammiro molto gli atleti, lo sono stato anche io e so cosa vuol dire fare la loro vita. Ma non voglio essere amico di tutti, perché devo prendere liberamente le mie decisioni.

Secondo Tomas Van der Spiegel è possibile collaborare con gli altri organizzatori?

E’ possibile. E’ difficile perché sono mondi diversi. Sarebbe utile. I due grandi organizzatori sono legati alle loro necessità, ma io credo che le squadre andrebbero coinvolte nel modello di business, avere dei dividendi. L’abbiamo sempre detto, ci crediamo e ci proveremo. Bisogna fare piccoli passi e avvicinare tutti, sederci allo stesso tavolo.

Prima del Covid, il pubblico aveva accesso al capannone dei bus alla Het Nieuwsblad
Prima del Covid, il pubblico aveva accesso al capannone dei bus alla Het Nieuwsblad
Il weekend di apertura in Belgio ha rivisto il pubblico sulle strade, non ancora alla partenza…

Sentiamo che le squadre non sono pronte per la riapertura totale. Hanno sempre paura, vogliono proteggere il corridore e per ora vanno capite. La prossima discussione riguarderà proprio la riapertura della zona dei pullman al pubblico. Alla partenza dal velodromo di Gand, era spettacolare avere i tifosi fra i bus nel capannone al coperto. Era la vera festa del ciclismo. E anche se ai team fa comodo essere appartati rispetto alla stampa e ai tifosi, il ciclismo ha bisogno di questi momenti. Serve solo avere pazienza.

Due iridati italiani alla Trek. Josu, come li gestirete?

28.10.2021
7 min
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Con Josu è un piacere parlare. Il capo degli allenatori della Trek-Segafredo ha la capacità di coinvolgere con i suoi ragionamenti. E se già con lui avevamo parlato della nuova preparazione di Nibali, mai come adesso, con due campioni del mondo italiani che approdano nella squadra americana, i suoi pensieri rivestono per noi una grande importanza. Elisa Balsamo e Filippo Baroncini, ciascuno con il suo bagaglio e la sua storia, dal 2022 saranno alla corte di Guercilena, per cui capire quale idea si è fatto colui che sovrintenderà alla loro preparazione potrebbe offrire una scheggia di futuro.

«Due ottimi corridori – dice nel suo italiano, probabilmente migliore del nostro spagnolo – di cui ho conoscenza diversa. Baroncini lo seguo da più tempo, Elisa invece l’ho conosciuta dopo il Lombardia in una giornata che abbiamo fatto tutti insieme, ma ho i report di chi l’ha osservata e ho visto i suoi test…».

La Trek ha seguito Balsamo anche a Leuven con il diesse Bronzini, che ha poi lasciato il team
La Trek ha seguito Balsamo anche a Leuven con il diesse Bronzini, che ha poi lasciato il team
Allora partiamo da lei, campionessa del mondo delle elite: in proporzione la Alaphilippe delle donne…

E’ già al livello top, la conosciamo. Forte in pista e su strada, in un periodo del ciclismo in cui si riesce a brillare di qua e di là. Penso a Ethan Hayter, che tiene in salita, vince le volate di gruppo, poi arriva al mondiale su pista senza prepararlo troppo e vince un oro. Il passaggio per gli atleti dotati è facile. I discorsi di Wiggins sui tanti chili da perdere per me sono una cortina di fumo. Qualsiasi fisico ha un solo modo di dare il massimo. Se ti permette di combinare più specialità, vai bene ovunque. Sennò no.

Non la stai facendo troppo facile?

Non c’è niente di facile. C’è ad esempio un parametro distanza e ritmo. Se esci dal Tour de France e vai subito in pista, non hai un buon adattamento. Se fai pista fino a febbraio, alle prime classiche ti mancherà la distanza. Elisa dovrà fare una bella base, poi decideremo gli obiettivi e in base a quelli affineremo la preparazione.

Alla presentazione del Tour, Balsamo con il collega iridato Alaphilippe e Pogacar
Alla presentazione del Tour, Balsamo con il collega iridato Alaphilippe e Pogacar
Il suo tecnico Arzeni dice che potrebbe fare bene anche in corse più dure di quelle vinte finora.

Tutti i corridori, crescendo, acquistano più resistenza. Se già adesso in allenamento fa salite di 4-5 chilometri, in corsa potrà fare delle belle performance su scalate di 7-8 chilometri. Un range in cui rientrano tutte le corse delle ragazze, fatte salve alcune giornate di Giro e Tour. Ma al Brabante ha fatto vedere che tiene una giornata con dieci salite ripide e brevi, quindi ha le capacità di endurance per ripetere più volte lo sforzo. E al Womens Tour è arrivata seconda nella penultima tappa e ha vinto l’ultima.

Cosa significa?

Che non è andata in calando, ma ha la maturità fisica per emergere nelle ultime tappe. E poi su Elisa va detto che ha vinto ogni anno, questo è molto importante. Può vincere il Fiandre, perché lassù sembra trovarsi davvero bene. Mentre Freccia e Liegi potrebbero essere la sua sfida per i prossimi anni, per vedere dove può arrivare. Non sarà mai una scalatrice, ma in salita può migliorare. Di una cosa siamo certi…

La vittoria dell’ultima tappa al The Women’s Tour dimostra che Elisa ha il fondo giusto
La vittoria dell’ultima tappa al The Women’s Tour dimostra che Elisa ha il fondo giusto
Quale?

Può diventare un’atleta importante, di riferimento mondiale. Le altre big della squadra la proteggeranno e lei non avrà addosso la pressione delle gare. Parliamo di miglioramenti da fare nel medio periodo. E’ giovane, ma in questo ciclismo che mischia le junior con le elite, i suoi 24 anni sono abbastanza perché si possa emergere al top. Sei matura, anche sei hai tanta strada da fare.

Obiettivo Baroncini

Su Baroncini, Josu ha un’altra consapevolezza. Lo ha conosciuto direttamente da molto prima. Lo ha osservato. Ci ha parlato. Ed è rimasto colpito da diversi fattori del romagnolo iridato.

«A livello strutturale – dice e ride di gusto – Filippo è una bestia. E’ fortissimo. Non è solo un ciclista, è un atleta ed è molto completo. Avevamo già buoni riferimenti quanto ai suoi valori, ma la decisione di prenderlo è venuta da un report di Irizar, che da quando ha smesso è diventato il nostro talent scout. Per cui segue il Giro d’Italia U23, il Tour de l’Avenir, gli europei e i mondiali».

Prima del via della cronometro dei mondiali, Baroncini parlava di bici con De Kort e Irizar della Trek
Prima del via della cronometro dei mondiali, Baroncini parlava di bici con De Kort e Irizar della Trek
Che report ha fatto?

Era al Giro U23 per seguire i nostri, quindi ad esempio Hellenmose che abbiamo preso dal Mendrisio. Solo che nel suo report a Guercilena e a me, a un certo punto è saltato fuori il nome di questo Baroncini, che aveva vinto la crono, ma capace di tirare ogni giorno per Ayuso. Non so se senza di lui, avrebbe vinto la maglia rosa tanto facilmente. Da quel feedback abbiamo cominciato a raccogliere informazioni. Abbiamo visto test. Abbiamo scoperto che il centro Mapei lo aveva già conosciuto. Abbiamo iniziato a parlarci e a giugno abbiamo finalizzato il discorso.

Amore a prima vista, insomma?

Il bello di “Baro” è che è forte da tutte le parti, pur dovendosi ancora sviluppare. Non lo prendi perché ha vinto il mondiale U23, insomma, in lui vediamo molto di più. Non per niente lo abbiamo fatto firmare prima. Lo avete guardato negli occhi?

Al mondiale ha corso pensando solo a questa azione. Lo aveva detto agli uomini Trek e ha vinto…
Al mondiale ha corso pensando solo a questa azione. Lo aveva detto agli uomini Trek e ha vinto…
Vuole vincere!

Ha un carattere competitivo. Gli piace la gara e non si fa schiacciare dalla pressione. Due giorni prima del mondiale, il giovedì sera siano andati a salutarlo. Ci ha detto che il percorso gli piaceva e che per vincere bisognava aspettare l’ultimo giro. Ci ha detto coma avrebbe corso e lo ha detto anche a Nizzolo, che era lì con noi. In corsa ci sono state due situazioni in cui poteva buttarsi dentro, perché sembravano importanti. Invece è rimasto freddo. Ha aspettato l’ultimo giro, ha attuato il suo piano e ha vinto il mondiale. Questi sono dettagli da cui vedi il carattere. E dentro ha tanto che ancora non si è visto.

Uno così va buttato subito dentro?

Faremo i programmi a novembre. Con i giovani comunque abbiamo sempre seguito un inserimento progressivo, con un’alta percentuale di gare non WorldTour oppure gare non troppo difficili. Come Uae Tour o Tour de Pologne in cui i big non ci sono. Con i giovani facciamo una periodizzazione a blocchi.

Che cosa significa?

I leader per il Giro o per il Tour hanno il loro calendario, fatto di poche corse tutte mirate al raggiungimento della condizione. Con i giovani non puoi farlo, perché mentalmente sono strutturati diversamente. Devono correre. Staccare. Recuperare. Correre e via così. Con Tiberi nel 2021 abbiamo fatto sei cicli brevi. L’importante è che imparino ad andare forte da febbraio a ottobre. Anche se Filippo ha un potenziale enorme, non cambieremo questo modo di fare.

Alla Coppa Sabatini, quarto dopo aver provato a vincere contro Colbrelli, Valgren e Moscon
Alla Coppa Sabatini, quarto dopo aver provato a vincere contro Colbrelli, Valgren e Moscon
Un po’ di Belgio?

Quello non mancherà, per lui vedo un approccio graduale con più gare di un giorno che a tappe. Le corse lassù vanno sempre sulle stesse strade, che lui dovrà conoscere a memoria prima di puntare alle grandi classiche. Ma se dovesse andare molto bene, già al primo anno potrebbe mettere il naso alla Gand, che delle tante è la meno dura.

Ci sarà un giorno in cui potrà fare la corsa?

Mi ha impressionato a Peccioli, dove ha fatto quarto perché ha cercato di vincere. Se voleva vincere, ha sbagliato tattica e gliel’ho detto. Ha attaccato da lontano. Ha chiuso un buco che non toccava a lui. Era in mezzo a corridori WorldTour di prima fascia, ma ha corso per vincere. Se fosse stato più prudente avrebbe potuto fare centro o arrivare secondo. Sono certo che nella gara giusta, proverà a fare qualcosa di bello. Quando hai quella testa, la paura non esiste.

Casa Colpack, arriva Baroncini. Colleoni racconta…

10.10.2021
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«Mio padre era contadino. E quando correva Gimondi – raconta Colleoni – lasciava le vacche a urlare e ancora da mungere nella stalla per andare a sentire la radio. Il ciclismo è lo sport più bello, più controllato e meno pagato. La maglia iridata di Baroncini è l’ultima ciliegina, cos’altro posso chiedere? Finora avevamo quella di Ganna nell’inseguimento. Quando in Belgio, Baroncini ha attaccato ero a casa mia con la pelle d’oca. Uscivo in giardino per la tensione e urlavo. La gente avrà pensato che fossi diventato matto…».

La sede Colpack si trova a Mornico al Serio, nell’ufficio in fondo al corridoio Beppe Colleoni racconta il ciclismo della sua squadra e dei suoi ragazzi. Dalle foto e dai quadri alle pareti, si capisce che il Team Colpack-Ballan sia più di un semplice passatempo. Antonio Bevilacqua, seduto accanto funge da memoria storica. Il presidente è in gran forma, la sensazione è che parlare di ciclismo per qualche minuto lo distragga dalle incombenze di lavoro. Il dannato Covid è ancora in giro, se non altro per le sue conseguenze. Un fornitore di materia prima non consegna come dovrebbe e questo per la produzione è un bel problema. Baroncini seduto davanti, annuisce e sorride, mentre firma cartoline con la sua foto da iridato.

Sabato il team, tirato da Baroncini, ha vinto il tricolore cronosquadre (foto sito Colpack-Ballan)
Sabato il team, tirto da Baroncini, ha vinto il tricolore cronosquadre (foto sito Colpack-Ballan)
Presidente, ormai avete alle spalle una storia lunghissima…

Ricordo quando mio figlio Michele si mise in bici a 6 anni, poi venne la volta di Cristiano. Sono stati entrambi professionisti e Michele continua a fare avanti e indietro dal lavoro con la sua nuova fuoriserie. Gliel’ha regalata sua moglie, ci ha speso 12 mila euro. Come squadra abbiamo cominciato nel 1994 con gli juniores. Poi arrivò Bevilacqua, che voleva coinvolgermi con la Bergamasca. Ma io gli dissi: «O si fa una squadra nostra, oppure niente». Poi c’è stata la parentesi fra i professionisti, ma dal 2011 siano tornati il Team Colpack.

Ogni anno con lo stesso gusto di fare le cose?

Se posso dirlo, le cose sono cambiate, non c’è più il clima di prima. Con i ragazzi non riesco a comunicare come una volta. Un po’ per colpa della pandemia e un po’ per altri motivi. Con Villella ci sentivamo di continuo, Baroncini quasi non lo conosco. Ormai te li lasciano così poco, che non fai in tempo a conoscerli.

Si divertiva di più qualche anno fa, insomma?

Nel 2016 eravamo a San Vendemiano con Consonni e Ganna. Dissi loro che avevo il portafogli pieno e che un premio in caso di vittoria ci sarebbe stato bene. Ganna si voltò verso Consonni. Rimasero a parlare qualche minuto nel camper. Scesero. Corsero. E fecero primo e secondo. Loro sono stati gli ultimi con cui si è creato un bel rapporto, perché sono rimasti il tempo giusto.

Baroncini firma le cartoline con la sua foto in maglia iridata
Baroncini firma le cartoline con la sua foto in maglia iridata
Quant’è il tempo giusto?

Mi basterebbe farli firmare per due anni. Una maglia iridata come la sua (dice guardando Baroncini, ndr) dovresti poterla onorare. Mi verrebbe quasi da dire ai procuratori di venire loro a farsi la squadra. I ragazzi non si fermano neanche per un anno. Se adesso Baroncini potesse fare sei mesi ancora da under 23 con la maglia, sarebbe per noi il modo di venire ripagati dell’investimento su di lui. D’accordo che certi patti si fanno prima, come per Tiberi, Piccolo e Ayuso. Ma volete dirmi che hanno avuto questi grandi vantaggi ad andare di là così giovani?

Che effetto fa però vederli andar forte da professionisti?

Rinforza la nostra immagine. Masnada ha fatto con noi due anni da junior, quattro da U23 e uno da elite. Sette anni. Lo chiamavo “cavallo pazzo” perché aveva da dire con tutti. Ma non è sempre scontato che si vinca. Mi ricordo una Parma-La Spezia. Partimmo con 13 corridori e nemmeno uno nei primi all’arrivo. Ero nero (si mette a ridere, ndr). Gli dissi di lasciare borse e tute, che li avrei mandati a casa in mutande. In certi momenti però abbiamo avuto corridori che potevano fare e disfare a loro piacimento. Avrei potuto guidarli anche io dall’ammiraglia…

Perché ha impiegato così tanto per fare la continental?

Non mi interessava, non potevamo fare le corse regionali. Avevamo solo under 23 e tanti di primo anno, le corse più piccole erano e sono una necessità. Certo, la continental è bella per l’esperienza di correre fra i pro’.

Esiste un ritorno quantificabile per il vostro investimento?

Zero, niente di niente. Qualche cliente segue il ciclismo e il giorno dopo commentiamo semmai la vittoria, ma nulla di più. Coinvolgo i miei partner, le altre aziende. Gli chiedo di usare parte del budget per aiutarci con la squadra. Ma io per primo lo faccio per la passione.

Invece cosa ricorda degli anni nel professionismo?

Non grandi cose, a dire il vero. Mi ricordo che ero a Sanremo il giorno del blitz (i Carabinieri del Nas fecero al Giro del 2001 un blitz antidoping spettacolare, ma senza grossi riscontri, ndr) con gente che si calava dalle finestre e quell’episodio un po’ mi ha fermato. Non era il mio ambiente. Ma bene i controlli. Quest’anno ad Ayuso ne hanno fatto un quantitativo esagerato, ma almeno ora è tutto credibile.

Resta in contatto con i suoi ex atleti?

Sempre, quando si può. Orrico si ferma spesso a salutare, lo stesso Masnada. Quando gli ho chiesto come si trovi alla Deceuninck-Quick Step ha detto che sta come alla Colpack. Anche Ganna passa a salutare qualche volta.

E di Bevilacqua cosa dice?

E’ la mia spesa più grande (ride forte, ndr), è l’aspirapolvere del mio portafogli, ma andiamo d’accordo. Spendiamo parecchio, ma è tutto sotto controllo. Passione sì, ma con i piedi per terra.

Quest’anno la Colpack, che produce sacchetti per la raccolta differenziata che vende quasi esclusivamente all’estero, celebra i 30 anni di attività. La festa, che avrebbe dovuto farsi a gennaio ed è stata rinviata causa Covid, si svolgerà ai primi di dicembre. Colleoni partì nel 1991 con un socio, tre linee e quattro operai. Oggi ha 180 dipendenti nella sede bergamasca e altri 40 in quella di Cremona, diretta da suo figlio Cristiano. Eppure nonostante numeri così importanti, nelle stanze e nei corridori del grande capannone si vedono solo foto di ciclismo. E il passaggio di Baroncini, annunciata a gran voce nei lunghi corridori dallo stesso vulcanico Colleoni, ha la stessa enfasi della visita di un Capo di Stato. Se questa non è passione…

Orgoglio Confalonieri: «Saremo parte di questa vittoria»

09.10.2021
5 min
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Maria Giulia Confalonieri con i pugni chiusi d’orgoglio, mentre Elisa Balsamo piangendo ringrazia le compagne. Maria Giulia Confalonieri che passa sul traguardo di Leuven con le braccia alzate come la compagna di nazionale. Che sorride guardandosi intorno, sentendo di far parte di una storia più grande. Poi le parole di Saul Barzaghi, il fisioterapista della squadra azzurra. Sul fatto che quella maglia azzurra, la Mary ha dovuto sudarsela. Sul fatto che una così, con la sua capacità di fare gruppo e stemperare le tensioni, in nazionale dovrebbe esserci sempre. E che se alle Olimpiadi ci fosse stata lei, forse tante grane non ci sarebbero state.

L’abbraccio con Elisa Balsamo dopo la volata iridata: orgoglio sulla pelle
L’abbraccio con Elisa Balsamo dopo la volata iridata: orgoglio sulla pelle

Cross e weekend

A pochi chilometri da Seregno, casa sua, sta per partire il Giro di Lombardia, mentre le altre ragazze sono ancora in Gran Bretagna. La squadra, la Ceratizit WNT ha scelto di non andare, per cui dopo la Roubaix la sua stagione è finita. E’ il momento di prendersi del tempo per sé, di curare i ricordi e di capire se c’è il margine per allenarsi un po’ nel ciclocross. Assieme a sua cugina, Alice Maria Arzuffi, campionessa d’Italia.

«Qualche allenamento con lei l’ho sempre fatto – sorride – ma adesso devo capire se riesco a organizzarmi con la squadra. Se trovo una bici. La stagione ricomincia a febbraio, le temperature si sono abbassate e sarebbe un bel modo per fare qualcosa. Niente vacanze troppo esotiche quest’anno. Ieri ho fatto una camminata in montagna con il mio cane. Me ne sto in famiglia. E magari con il mio compagno Mattia faremo qualche weekend in giro per l’Europa».

Strade Bianche 2021, chiude con un 50° posto su un percorso duro per lei
Strade Bianche 2021, chiude con un 50° posto su un percorso duro per lei
Allora torniamo a Leuven, ti va? Che cosa ha significato quella maglia azzurra?

Indossarla mi ha sempre reso super orgogliosa. Ci tenevo tanto. Sapevo che il mondiale era finalmente adatto alle mie caratteristiche, dopo due anni per scalatori. Ci puntavo tanto da inizio anno. Sapevo che su quel percorso Elisa (Balsamo, ndr) fosse almeno da podio. Quando poi ho visto che le olandesi ci hanno fatto il regalo di non attaccare da lontano, ho capito che tirava aria buona.

Sempre le olandesi…

Erano quelle da battere, ma a un certo punto devi anche guardare i numeri. E delle ventitré che si stavano giocando il finale, noi eravamo in cinque. Cinque che hanno corso con un solo obiettivo. Siamo state brave a fare la volata, mentre Marianne Vos è stata lasciata sola.

Balsamo campionessa del mondo.

Elisa non è solo una compagna di nazionale, è anche mia amica fuori dalla bicicletta. Il mondiale è il giusto premio per un’annata in cui si è dedicata anima e corpo alla pista.

Nel 2018 compagne in Valcar e nella madison tricolore al Vigorelli: Confalonieri e Balsamo
Nel 2018 compagne in Valcar e nella madison tricolore al Vigorelli: Confalonieri e Balsamo
Siete state un gruppo eccezionale, si poteva pensare?

Ho un buon rapporto con tante delle ragazze del giro azzurro, ma siamo donne e non si può sempre andare d’accordo. Però siamo state davvero un bel gruppo. Con Elisa, Marta e Vittoria (Balsamo, Cavalli e Guazzini, ndr) ci conosciamo da sempre. Sul fatto che con me le tensioni se ne vanno, come dice Saul… sono sicuramente più rilassata di altre.

Saul ha parlato dell’esclusione dalle Olimpiadi, come di un brutto momento.

A inizio stagione quella convocazione era un obiettivo come pure i mondiali. Nel quartetto non ho mai dimostrato di valere le quattro titolari, ma potevo essere riserva e poi fare la madison. Intendiamoci, l’esclusione poteva starci, non l’ho presa malissimo, perché le altre l’hanno meritata. E’ anche vero che potevo fare solo la madison, ma sono dispiaciuta perché le cose non sono state dette fino all’ultimo.

Tante hanno saputo nella conferenza stampa…

Che io non ho seguito, perché sapevo che non sarei stata portata. Abbiamo lottato per cinque anni, ma è il bello e il brutto di far parte di un gruppo forte.

Si può pensare a Parigi 2024?

Non credo. Le altre ragazze sono giovani, avranno la possibilità di giocarsi quel traguardo e raggiungeranno grandi risultati. Io ho 28 anni e voglio dedicare gli ultimi anni della mia carriera alla strada. Voglio togliermi qualche soddisfazione.

Chiudi gli occhi, quale immagine salta fuori pensando al giorno di Leuven?

Sono due. Cantare l’inno tutte insieme sotto il podio. Ma prima, il momento in cui da dietro ho visto Elisa che alzava le braccia al cielo. Mi sono sentita come se avessi vinto anche io. Il ciclismo è uno sport di squadra, ma vince uno solo. Quel giorno abbiamo vinto tutte. Saremo per sempre parte di questa vittoria. 

Ai mondiali l’Eritrea vestiva Pella. Una bella storia

04.10.2021
3 min
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L’argento dell’eritreo Biniam Ghirmay Hailu ottenuto nella gara su strada degli under 23 vinta dal nostro Baroncini è stata una delle più belle storie che i mondiali di Leuven hanno saputo raccontare. Nel corso della conferenza stampa post gara il giovane eritreo, oltre a dedicare un pensiero alla propria famiglia, ha voluto espressamente ringraziare l’azienda Pella Sportswear di Valdengo in provincia di Biella, per aver permesso alla sua nazionale di gareggiare fornendo le divise da gara. La storia ci ha incuriosito e abbiamo deciso di approfondirla interpellando direttamente Andrea Fortolan, Amministratore Delegato dell’azienda biellese.

Biniam Ghirmay Hailu sul podio del campionato del mondo vinto dal nostro Filippo Baroncini
Biniam Ghirmay Hailu sul podio del campionato del mondo vinto dal nostro Filippo Baroncini
Allora Andrea, come è andata esattamente?

Qualche mese fa siamo stati contattati direttamente da Alex Carera, procuratore di Biniam, che ci ha chiesto la nostra disponibilità nel realizzare la divisa della nazionale dell’Eritrea in vista dei campionati del mondo in programma nelle Fiandre. L’idea ci piaceva e abbiamo dato subito la nostra disponibilità. Tutto però si era fermato a quella prima telefonata.

La programmazione della divisa utilizzata dalla nazionale Eritrea ai mondiali di Leuven
La programmazione della divisa utilizzata dalla nazionale Eritrea ai mondiali di Leuven
…e poi cosa è successo?

Ad agosto siamo stati nuovamente contattati da Alex che ci segnalava che il fornitore con il quale erano stati presi in precedenza gli accordi per realizzare la divisa dell’Eritrea aveva dei problemi e non poteva quindi tenere fede agli impegni presi. A noi faceva piacere poter aiutare Biniam e i suoi compagni, quindi ci siamo resi nuovamente disponibili. Sorgeva però un problema. Eravamo in agosto, la nostra azienda era chiusa e riapriva il 6 settembre, proprio il giorno in cui ci veniva chiesto di consegnare le divise.

Un passaggio nella lavorazione della divisa. Presto sarà pronta
Un passaggio nella lavorazione della divisa. Presto sarà pronta
Come avete risolto il problema?

Per prima cosa siamo riusciti a posticipare di una settimana la consegna del materiale. Appena riaperta l’azienda, ci siamo messi subito a lavorare per realizzare le divise a tempo di record. Abbiamo fatto tutto in 5 giorni lavorando a tutta birra…anzi, visto che parliamo di ciclismo, a tutta velocità!

Quando le avete consegate?

Il sabato mi sono messo in macchina prestissimo perché volevo consegnare le divise di persona. Alle 7,50 mi sono presentato a Lucca alla porta dell’appartamento che Biniam e compagni condividono. Nel vedermi sono rimasti a bocca aperta… Forse anche per questo lo stesso Biniam ha voluto ringraziare di persona noi di Pella Sportswear per quanto siamo riusciti a fare in pochissimo tempo.

I ragazzi dell’Eritrea che hanno gareggiato ai mondiali di Leuven hanno ricevuto da Pella Sportswear un kit completo composto da maglia a maniche corte e pantaloncini estivi, maglia a manica lunga, giacca antipioggia, maglia con manica 3⁄4 antivento e antipioggia, manicotti, guantini e il body per la gara a cronometro.

Una curiosità. Nel destino di Biniam sembra esserci il marchio Pella. Il giovane atleta eritreo ha iniziato la sua stagione con il Team Delko. Nel corso dell’estate è passato all’Intermarché-Wanty-Gobert che proprio da quest’anno ha deciso di affidarsi a Pella Sportswear per la realizzazione di alcuni capi altamente tecnici.

pellasportswear.com

Lappartient, i nuovi scanner, l’Africa e i mondiali riuniti

03.10.2021
4 min
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A margine delle vittorie, delle imprese e delle delusioni, i mondiali di Leuven hanno segnato alcuni importanti momenti nella vita politica del ciclismo. La conferma di David Lappartient al comando dell’Uci e alcune elezioni e incarichi hanno cominciato a tracciare la via verso Parigi.

Eletto a Bergen nel 2017, il primo iridato premiato da Lappartient fu Sagan
Eletto a Bergen nel 2017, il primo iridato premiato da Lappartient fu Sagan

Professione politico

Il francese riuscì con un’abile spallata a buttare giù il monopolio anglosassone di Brian Cookson a Bergen, in Norvegia. Non era favorito, seppure la sua presidenza della Federazione francese e poi quella della Uec lo avessero segnalato come un politico competente e abile. Aveva alle spalle vari incarichi nel suo territorio, il Morbihan, come sindaco e capo del consiglio dipartimentale (eletto nelle ultime elezioni) in quota al Partito Repubblicano. Alla vigilia del Congresso di Bergen, con l’aiuto del russo Makarov e di Renato Di Rocco, riunì alcuni elettori in un ristorante del porto norvegese e alla fine divenne presidente.

A Leuven Di Rocco è stato nominato vicepresidente onorario dell’Uci: un segno di riconoscenza
A Leuven Di Rocco è stato nominato vicepresidente onorario dell’Uci: un segno di riconoscenza

Parità di genere

Lappartient ha annunciato che andrà avanti con il programma che, a suo dire, ha realizzato al 90 per cento. Ha ammesso di aver fallito (finora) soltanto nella riforma del modello economico del WorldTour, per le resistenze dei team e degli organizzatori e il Covid che ha reso tutto più difficile.

La ricollocazione delle gare 2020, unita ai progressi del ciclismo femminile sono stati raccontati come i successi più evidenti. Nel secondo caso, Lappartient ha posto l’accento sulla creazione di un calendario coerente alle ambizioni del movimento, su una gerarchia più strutturata (si punta con decisione all’aumento delle squadre WorldTour) e sull’aumento dei minimi salariali equiparati a quelli degli uomini.

Assieme a Gilbert, Winder Ruth è stata eletta nella Commissione atleti
Assieme a Gilbert, Winder Ruth è stata eletta nella Commissione atleti

Da Glasgow a Kigali

Tra le novità più interessanti, va riconosciuta la spinta a favore del ciclismo africano. Se il centro di Aigle è da anni un riferimento per molti atleti provenienti da quei Paesi (il racconto di Ghirmay è eloquente), la scelta di portare i mondiali del 2025 a Kigali è un gesto forte. Va capito se nel frattempo l’Uci spingerà per uno sviluppo del ciclismo in loco.

Su questo fronte, dopo i prossimi mondiali di Wollongong 2022, che vi abbiamo già presentato, a partire da Glasgow 2023 l’idea di Lappartient è di far svolgere nella stessa occasione le gare delle 13 discipline olimpiche del ciclismo. Quindi strada, pista, mountain bike e Bmx.

La favola di Ghirmay, primo da sinistra e secondo ai mondiali U23, parla degli sforzi dell’Uci per l’Africa
La favola di Ghirmay, primo da sinistra e secondo ai mondiali U23, parla degli sforzi dell’Uci per l’Africa

Il nuovo scanner

Altro fronte, altra storia: doping e doping tecnologico. Proprio per il secondo punto, i giorni di Leuven sono stati l’occasione per annunciare il superamento della tecnologia dei tablet, per passare alla nuova tecnologia Backscatter X-Ray: uno scanner portatile in grado di… leggere all’interno di ogni parte della bicicletta.

«I mondiali sono stati la seconda volta che l’UCI vi faceva ricorso – ha dichiarato Michael Rogers, Innovation Manager – la natura portatile dei dispositivi di retrodiffusione ha consentito al personale dell’UCI di eseguire 56 controlli sulle biciclette di tutti i vincitori e dei corridori selezionati casualmente». La bici di Julian Alaphilippe è stata punzonata a pochi secondi dall’arrivo e consegnata al controllo radiografico entro sei minuti dall’arrivo.

Quanto al doping degli atleti, durante l’assemblea Lappartient ha rivendicato la messa al bando del Tramadol dal 2019 e l’anticipo al primo gennaio 2022 il divieto definitivo dei corticosteroidi, per la scelta adottata dalla Wada proprio su pressioni dell’Uci.

Michael Rogers è il Manager Innovation dell’Uci e sovrintende ai controlli sulle bici
Micheal Rogers è il Manager Innovation dell’Uci e sovrintende ai controlli sulle bici

Quale futuro?

Questo il sunto di quattro anni di presidenza, con alcuni aspetti positivi (fra questi l’elezione di Philippe Gilbert e Ruth Winder nella Commissione atleti) e qualche svarione, come l’essersi mostrato al fianco di capi di Stato poco raccomandabili.

Quale sarà la direzione per i prossimi anni? Riforme tecniche, tecnologiche e di genere: il piatto è ricco, i bisogni moltelplici. E poi ci sarà da capire se Lappartient vorrà restare o puntare a un incarico di governo in Francia o a duna poltrona nel Cio. Di certo con i suoi 48 anni, i modi affabili e la capacità di gestire situazioni spinose, è lecito aspettarsi che abbia mire importanti.

Un abbraccio per scacciare i fantasmi di Tokyo. Saul ricorda…

01.10.2021
5 min
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Che cosa ci faccia un giocatore di pallacanestro di 1,94 nella nazionale di ciclismo femminile a volte è un mistero per lo stesso Saul Barzaghi, che del gruppo azzurro è fisioterapista dal 2007. Ammette che a volte essere lontano dalla mentalità di questo ambiente gli permette di non lasciarsi coinvolgere in tante dinamiche cui assiste perplesso. Ma del resto il suo mestiere è un altro. E a giudicare da come sia diventato un riferimento per le ragazze, lo sa fare nel modo giusto.

«Sono riuscito a creare con loro un bel rapporto – ammette sorridendo – quasi da fratello maggiore, direi anche da padre, ma mi farebbe sentire troppo vecchio, anche se per età con alcune potremmo quasi esserci. Quando arrivai, nella nazionale c’erano Vera Carrara, Monia Baccaille, Tatiana Guderzo e Noemi Cantele. Pechino sono state le prime Olimpiadi cui ho partecipato, mentre le ultime le ho passate molto vicino a Elisa Balsamo. Con lei c’è un bel rapporto perché la seguo anche alla Valcar. E a Tokyo posso garantirvi che era davvero stanca emotivamente per la pressione olimpica e per il clima che si era creato. Non c’è stata sempre la giusta serenità».

Saul ha 44 anni, gioca ancora a basket e ha il suo studio a Capriate San Gervasio, in provincia di Bergamo. La sua stagione è finita dopo i mondiali di Leuven e proprio per respirare assieme a lui il magico clima che ha portato all’oro di Elisa, lo abbiamo sottratto per un po’ al suo lavoro.

Dopo cena, foto di rito in hotel, con quella maglia che cancella Tokyo
Dopo cena, foto di rito in hotel, con quella maglia che cancella Tokyo
Sfinita a Tokyo, rinata a Leuven…

Nell’ultimo massaggio in Giappone la trovai tanto stanca, provata emotivamente al punto di piangere. Ma per fortuna lei ha un fortissimo rapporto con la famiglia e con Davide (Plebani, atleta azzurro e suo compagno, ndr). Per cui appena tornata si è chiusa nel suo ambiente e già quando l’ho ritrovata agli europei di Trento, aveva un’altra faccia. Ha ritrovato i suoi appoggi ed era nuovamente disposta ad integrarsi con il gruppo.

E in effetti il gruppo in Belgio è parso fortissimo.

Una bella squadra, in cui ho ritrovato la voglia e lo spirito della maglia azzurra. Dopo la vittoria, forse si sarà visto nelle immagini, Elisa non faceva che ringraziare le compagne. Forse perché ancora non si rendeva conto di cosa avesse fatto, ma anche per il bel clima che ha portato a quella vittoria. Se posso fare un nome, faccio quello della Mary (Maria Giulia Confalonieri, ndr), che mi ha commosso. Si è messa al servizio della squadra, vestendo la maglia azzurra che per lei non è mai stata semplice da conquistare. Mi ha commosso proprio per tutto quello che c’era dietro. Le due esclusioni di fila dalle Olimpiadi. E’ stata protagonista. Dopo che Elisa è andata ad abbracciarla, era lì da sola con i pugni stretti, con lo sguardo pieno di orgoglio. In questi casi sono contento di non capire certe dinamiche, perché mi permette di essere libero nel giudizio.

In Belgio tensioni come a Tokyo?

Neanche un po’ e neppure voglia di parlarne.

Dai racconti e osservandole, emerge che le ragazze, rispetto agli uomini, hanno un’emotività più spiccata.

Ormai ho imparato. Ci sono crolli frequenti, perché sono diversi anche gli atteggiamenti fra loro. Se io litigo con un mio compagno di squadra, dopo un po’ ci chiariamo e andiamo a prenderci una birra. Le donne se la giurano e il mio compito in questi casi è non schierarmi. Piuttosto porto l’esperienza del basket…

In che modo?

Il ciclismo è uno sport di squadra, ma non ne ha le dinamiche. Alcune capiscono, altre no. Quando Martina Fidanza a Tokyo seppe di essere venuta per farmi compagnia tutto il giorno, dato che non avrebbe mai corso, all’inizio era furiosa. Poi ha capito quello che le dicevo, che anche arrabbiandosi non avrebbe cambiato nulla e se ne è fatta una ragione.

Nel ritiro insieme sull’Etna a gennaio si giocava molto a carte.

In Belgio no, piuttosto si radunavano nella camera delle altre per guardarsi qualche serie su Neflix o programmi e reality italiani. A parte il giorno della gara, sono sempre state molto serene, anche la sera prima, quando di solito si fa fatica a dormire. Era tranquilla anche la “Guazz” (Vittoria Guazzini, ndr), che di solito è la più agitata.

Quanto ha inciso l’esperienza di Marta Bastianelli ed Elisa Longo Borghini su questo clima?

Tantissimo. Marta ha questa forte leadership, è un tipo da spogliatoio, ride, fa ridere e scherza. Dà tranquillità, perché non sembra mai agitata. La Longo è più chiusa, ma capisci che sia a disposizione del gruppo. Dopo l’europeo di Trento la ricordo andare con il suo piglio da Marta Cavalli a spiegarle in modo costruttivo in cosa avesse sbagliato e come evitarlo la volta successiva. E poi c’è Mary…

Confalonieri è un elemento chiave del gruppo azzurro, secondo Saul Barzaghi
Confalonieri è un elemento chiave del gruppo azzurro, secondo Saul Barzaghi
Hai poco da dire, è la tua preferita.

E’ una garanzia. Se c’è una che dà tranquillità, è la numero uno in assoluto. Di quei giocatori che vorresti sempre in squadra, perché sono una manna dal cielo. Se ci fosse stata lei a Tokyo, forse certe tensioni non ci sarebbero state. Ma non diciamoglielo, sennò ricomincia a starci male…

Ti crea mai imbarazzo esser un fisioterapista uomo nella nazionale femminile?

Devo dire che il rapporto che si è creato è, come dicevo, quello tra fratello e sorelle. Ma devo anche dire che c’è tanta professionalità in queste ragazze, che vanno al massaggio perché hanno bisogno dell’intervento del professionista. Poi è ovvio che si crei il rapporto confidenziale e siamo liberi di parlare di tutto, ma sempre col massimo rispetto.

Quando finisce la stagione vi perdete di vista oppure continuate a sentirvi?

Messaggini di sfottò non mancano mai, magari commentando qualche foto sui social. Quelle della Valcar continuo a seguirle. E poi il periodo di ferma è talmente breve, che adesso sono a casa, ma fra poco arriverà la prossima chiamata.

Alaphilippe a Leuven, Specialized dalla testa ai piedi

01.10.2021
3 min
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Un vecchio detto pronunciava “a buon cavallo non manca il cavaliere”. A domare la Tarmac SL7 a dir la verità c’era più un moschettiere, il suo nome Julian Alphilippe. Una doppietta centrata in simbiosi con Specialized ed il suo modello di punta che anche quest’anno ha supportato il francese nella sua prestigiosa vittoria. Sulle strade belghe di Leuven, esclusivamente per la gara, Loulou ha abbandonato l’iride sia nel vestiario sia nei colori della bici che lo hanno accompagnato per un anno. Completamente nera la sua Sl7 era li pronta a sostenere il campione nei suoi attacchi violenti all’insegna dei watt. Un bianco e nero durato per 6 ore, fino a quando il transalpino non ha deciso che fosse il momento di rimettere i colori dell’arcobaleno indosso e sul proprio gioiello a due ruote a suon di scatti e colpi di pedale. 

In controtendenza, Alaphilippe ha usato a Leuven copertoncini Turbo Cotton da 26mm
In controtendenza, Alaphilippe ha usato a Leuven copertoncini Turbo Cotton da 26mm

Tarmac SL7

Difficile trovare un modello più vincente di questo, se poi la vittoria al mondiale è consecutiva di certo non si può affidare al caso. La casa californiana con la Sl7 ha realizzato il modello più veloce e reattivo di sempre di sua produzione. Con un profilo aero e un peso ai limiti del regolamento è riuscita a creare un prodotto che rasenta la perfezione sotto ogni aspetto. Una bici senza compromessi che ottimizza le performance su ogni ambito, salita o discesa che sia. Un vero e proprio missile con una guidabilità definibile telepatica, così reattiva da sembrare che legga la mente. Caratteristiche che messe al servizio del campione del mondo non hanno lasciato speranze agli avversari. 

Le vittorie di Specialized 

Specialized rivendica un’altra piccola vittoria parallela a quella di Alaphilippe, cioè l’utilizzo dei copertoncini Turbo Cotton da 26 mm. Dimostrando che nell’era recente dove il tubolare la fa da padrona gli pneumatici lanciati dalla casa americana sono i più veloci al mondo per la gara. Un altro vanto sono le ruote Roval Rapide in carbonio, veloci rapide e resistenti combinate con i copertoncini contengono di molto il peso e sono garanzia di reattività e scorrevolezza. 

La bici ha mostrato grande guidabilità e precisione anche nei rilanci sul percorso di Leuven
La bici ha mostrato grande guidabilità e precisione anche nei rilanci sul percorso di Leuven

Ergononomia assoluta 

Ad accompagnare la conquista dell’iride, oltre al casco S-works Evade, Julian si è affidato all’attrezzatura Body Geometry. La sella S-Works Romin EVO la più performante della gamma, ideata per proteggere le parti vitali e la pressione sui tessuti molli, da indolenzimento e problemi posturali. Le scarpe S-Works Ares in grado di supportare la massima potenza espressa e trasferirla sulla trasmissione. Il tutto a creare un mix perfetto tra tecnologia, innovazione e performance firmato Specialized che ha permesso il bis mondiale a Julian Alaphilippe. 

Vos Balsamo 2021

Balsamo come Cipollini nel 2002? Ecco il perché…

30.09.2021
5 min
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Un minuto, una volata, un’emozione che si stampa nella mente e non vuole andar via. A qualche giorno di distanza dalla vittoria di Elisa Balsamo ai Mondiali, quell’autentico capolavoro tecnico è ancora oggetto di discussioni. A chi ha qualche anno in più e non si perde un’edizione della rassegna iridata, quella volata di Flanders 2021 ha ricordato un’altra edizione che curiosamente si svolse sempre in Belgio: Zolder 2002, la trionfale cavalcata di Mario Cipollini.

Abbiamo allora pensato di rivivere le due gare in parallelo, non solo riguardandole nei video per trovare punti in comune e altri momenti dissonanti (come è normale che ci siano) ma anche sentendo due personaggi che di quelle cavalcate sono stati attori importanti: Alessandro Petacchi nel primo caso, Marta Bastianelli più recentemente.

Azzurre Zolder 2021
Il gruppo azzurro festante sotto il podio: da sinistra Confalonieri, Guazzini, Longo Borghini, Cecchini e Bastianelli
Azzurre Zolder 2021
Il gruppo azzurro festante sotto il podio: da sinistra Confalonieri, Guazzini e Longo Borghini

La preparazione

Quella volata di Zolder era stata pianificata a lungo, studiata a tavolino: «Ma quello che metti su carta ben difficilmente poi si tramuta in realtà – ammonisce Petacchi – e devi essere bravo a saper improvvisare. A noi venne a mancare Bettini, che… s’intruppò con Freire, ci trovammo così ad affrontare la volata con un uomo in meno. Di Luca aveva tenuto alta l’andatura sullo strappo finale. Scirea e Bortolami avevano fatto la loro parte. Io ero il penultimo uomo, ma mi trovai a dover guidare il treno dai meno 1.200 ai meno 600 metri. Una trenata pazzesca, ancora non so dove trovai le forze. Poi toccò a Lombardi lanciare Mario verso il titolo».

Nel caso di Leuven, le cose stanno in maniera leggermente diversa: «Sapevamo della possibilità di finire la gara in volata e avevamo stabilito i ruoli, ma ha ragione Alessandro, le cose non vanno mai come te le aspetti – afferma la Bastianelli – io ero esentata dal treno, ero una sorta di jolly che poteva tentare l’azione nel finale e/o parare i colpi delle avversarie ed è stato proprio così, soprattutto con la micidiale sparata della Van Vleuten. Quando ho lasciato sfilare il gruppo verso la volata finale sono rimasta sorpresa vedendo che la Confalonieri era in testa al treno azzurro. Sulla carta lei era l’ultima prima di lasciare spazio alla Balsamo, ma in corsa si sono messe d’accordo in maniera diversa».

Bastianelli Balsamo Leuven 2021
L’abbraccio tra la Bastianelli e la Balsamo: nell’ultimo giro l’intesa fra le due è stata determinante
Bastianelli Balsamo Leuven 2021
L’abbraccio tra la Bastianelli e la Balsamo: nell’ultimo giro l’intesa fra le due è stata determinante

L’imprevisto

Le tattiche sono qualcosa che vale come una tela sulla quale però il dipinto è sempre in base all’estro individuale, bisogna saper inventare, ma non sempre si può: «Vi racconto un particolare – interviene Petacchi – facendo la ricognizione avevamo stabilito la volata nei particolari e Bortolami la sera prima si era raccomandato: “Io tiro fino alla curva, poi mi tiro fuori, passatemi sulla destra per affrontare la discesa così non perderete velocità”. Un treno va studiato nei minimi particolari, ma come detto l’assenza di Bettini mi costrinse ad allungare il mio lavoro. Se Bortolami l’avesse saputo, avrebbe sicuramente affrontato la curva in testa. In quei frangenti però non hai il tempo di voltarti e capire cosa succede, quindi svolse appieno il suo compito».

«Il nostro momento difficile è stato prima dell’avvio del treno – rammenta Marta – sull’ultimo strappo la Balsamo era rimasta leggermente staccata, solo qualche metro ma poteva perdere l’attimo. Mi sono messa al suo fianco e senza dirci niente ci siamo riavvicinate alla testa. Volevo darle coraggio, convinzione che poteva farcela, non c’era bisogno di parlarci, in certi casi t’intendi col pensiero».

Cipollini Zolder 2002
Lo straordinario sprint di Cipollini a Zolder 2002, il momento finale di una volata dominata dalla squadra italiana
Cipollini Zolder 2002
Lo straordinario sprint di Cipollini a Zolder 2002, il momento finale di una volata dominata dalla squadra italiana

La stoccata del campione

Petacchi, Lombardi e poi fu tutto pronto per l’assolo finale di Cipollini, che finì non per vincere, ma per dominare: «Mario era un velocista atipico, dalla struttura possente, alta. Chiaramente quella macchina umana aveva bisogno di tempo per raggiungere la massima velocità, per questo pensò che gli serviva essere lanciato dai compagni. Non so se la moda dei treni nacque con lui, Mario ha vinto tante corse e molte in maniera differente, senza il cosiddetto treno. Sicuramente per lui era però importante, anche perché avere chi ti pilota ti consente di prendere meno vento. Ormai tutte le volate hanno le squadre che cercano di costruire il treno giusto e si viaggia a grandi velocità. Se notate, nell’ultimo chilometro le posizioni sono comunque ormai consolidate proprio perché si va forte».

«Anche nel ciclismo femminile è da qualche anno che i team principali cercano di costruire i treni giusti per le loro sprinter – interviene la Bastianelli – io ormai non ho più quella base di velocità per affrontare gli sprint a ranghi compatti, posso giocarmi le mie carte in arrivi ristretti o cercare altre vie».

Balsamo Longo Borghini 2021
La Longo Borghini davanti alla Balsamo: nello sprint finale la neoiridata è stata bravissima a pilotare la compagna
Balsamo Longo Borghini 2021
La Longo Borghini davanti alla Balsamo: nello sprint finale la neoiridata è stata bravissima a pilotare la compagna

Le parole di Elisa

C’è un momento nello sprint vincente della Balsamo sul quale è necessario tornare: Elisa Longo Borghini che la stava pilotando si stava per far da parte, Elisa con un urlo le ha detto di continuare a tirare perché era troppo presto: «E’ vero – testimonia la Bastianelli – in quel momento è stata lucida e scaltra, aveva bisogno che la Longo Borghini spendesse quelle ultime energie rimaste per lanciarla più avanti anche perché gli ultimi 100 metri erano in leggera salita. Al mattino ci eravamo dette che decisive sarebbero state le tempistiche in caso di arrivo in volata, il minimo errore avrebbe rischiato di compromettere tutto. In quel caso la Balsamo è stata attentissima a rispettare il copione e il risultato l’ha premiata».

«Io sono convinto, rivedendo la volata, che se la Longo Borghini si fosse fatta da parte, la Vos avrebbe vinto – interviene Alessandro in base alla sua esperienza di mille volate – per battere una campionessa come l’olandese servono gambe al massimo ma soprattutto una tattica precisa, se si fosse trovata davanti troppo presto non avrebbe fatto altro che tirare la volata alla Vos che poi l’avrebbe saltata, così invece non aveva più né spazio né gambe abbastanza fresche per farlo. Quella vittoria è stata un capolavoro anche per questo».