Wout Van Aert, tour Red Bull negli USA 2025 (foto Joe Pug)

EDITORIALE / Il problema non è (solo) far pagare il biglietto

01.12.2025
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Si potrebbe ridurre tutto al dibattito, neppure troppo nuovo, sull’opportunità di far pagare il biglietto per accedere a determinati punti sul percorso. Forse però lo scontro è più profondo e vede sul ring la tradizione del ciclismo opposta a una serie di necessità che sarebbe miope non considerare.

«Sono preoccupato per la fragilità del nostro sport – ha detto di recente Van Aert a De Tijd, parlando della fusione fra Lotto e Intermarché – molte persone hanno perso il lavoro quest’inverno, ciclisti e dirigenti. Credo che la fragilità sarebbe minore se, oltre alle entrate derivanti dalle sponsorizzazioni, ce ne fossero anche altre derivanti dallo sport stesso, ad esempio attraverso i diritti televisivi. In questo modo, una squadra non fallisce immediatamente se uno sponsor abbandona, come accade ora».

Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff
Tour of Guangxi 2025, Intermarchè-Wanty,
La fusione fra Intermarchè e Lotto ha avuto conseguenze pesanti sull’occupazione di corridori e staff

La torta da dividere

Biglietti da pagare e diritti televisivi, due visioni diverse per risolvere la stessa esigenza: aumentare le entrate. Solo che a fronte di uno sport cresciuto rapidamente e a dismisura, l’approccio resta quello degli anni Ottanta. E il sistema, come già evidenziato da Luca Guercilena, traballa.

«Vedo come l’NBA distribuisce i fondi tra tutte le parti – prosegue il belga, reduce da un tour promozionale negli USA (immagine di apertura da Instagram, realizzata da Joe Pugliese) – e penso che il ciclismo possa imparare molto. Forse ci concentriamo troppo sul fascino e sull’atmosfera popolare. Se si fa pagare cinque euro per l’ingresso, non significa che il ciclismo non sia più popolare. Anche il ciclocross prevede una quota di ingresso e non c’è niente di più popolare. Gare come il Fiandre o il Tour dipendono da noi che vi prendiamo parte. Ma come squadra, non riceviamo nemmeno un compenso sufficiente a coprire i costi di partecipazione. Mi sembra il minimo. La torta potrebbe essere divisa in modo più equo».

Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)
Superprestige, montaggio tendone per i tifosi (foto Flanders Classics)
Anche nella gare di cross, non manca il tendone in cui i tifosi (che pagano per entrare) hanno servizi e ristorazione (foto Flanders Classics)

L’esempio del Fiandre

Soldi agli organizzatori o soldi alle squadre? L’ideale sarebbe mettere tutto sul piatto e dividere secondo logica e proporzione, invece il ciclismo non si è mai preoccupato di fare sistema e ciascuno tira l’acqua alla sua parte.

«Bisogna cercare di fare qualcosa che abbia un sistema economico autosufficiente – dice Pozzato – altrimenti è tutto inutile. Quest’anno abbiamo portato 720 paganti nella nostra hospitality. Il sogno è arrivare a mille persone e cominciare ad aumentare il prezzo del biglietto e la qualità del servizio, con gente consolidata che torna perché sa che vale la pena. Perché hanno servizi e perché, come nella nostra Veneto Classic, vedono i corridori passare per sei volte. Al Fiandre pagano anche 500 euro per una hospitality, qui è difficile far passare l’idea di pagare 10 euro per un servizio. Se non andiamo su questo modello, le corse italiane più piccole muoiono. Il problema è che da noi si è sempre fatto in un modo solo e nessuno pensa a qualcosa di diverso. Solo durante il Giro d’Italia c’è gente per strada, ma è l’evento sportivo dell’anno, è normale che ci sia. Gli altri organizzatori hanno bisogno di fare qualcosa di diverso. ASO e RCS prendono un sacco di diritti tv, sarebbe giusto dividerli con le squadre». 

Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)
Giro delle Fiandre, hospitality, ristorante, vip (foto Levy Party Rental)
Lungo il Qwaremont al Fiandre, senza nulla togliere al pubblico che non paga, l’hospitality accoglie migliaia di tifosi (foto Levy Party Rental)

Cipollini su Facebook

Pagare o non pagare? Pozzato è tra i sostenitori della necessità di farlo, ma si è trovato contro il parere di Cipollini, rilasciato su Facebook.

« Credo che il ciclismo – ha detto il toscano – si basi soprattutto sul rapporto tra i ciclisti e il tifoso, però probabilmente faccio parte dei vecchi, di quelli datati, non sono un visionario. Immagino che questa cosa del pagare non debba toccare gli eventi straordinari come Giro d’Italia, Lombardia, Milano-Sanremo, queste grandi corse importanti, perché già sfruttano un bene comune come le strade. Non credo che il ciclismo possa essere paragonato al tennis, al calcio, alla MotoGP, alla Formula 1, che sono eventi all’interno di strutture. Diverso se uno organizza una Sei Giorni all’interno di un palazzetto oppure crea un circuito, nel qual caso è giusto pensare anche a un ipotetico ritorno. Ma parlando ancora del Giro d’Italia, le varie istituzioni come Comuni, Province e Regioni investono già, spendendo i soldi dei cittadini per pubblicizzare il territorio, per cui sarebbe come pagare due volte».

La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà
La presenza di aree a pagamento non esclude ovviamente la possibilità di seguire le grandi corse in libertà

I soldi pubblici

In realtà i soldi pubblici finiscono anche negli sport che fanno pagare i biglietti più cari. Laddove gli stadi non sono di proprietà, essi sono un fardello a carico dei Comuni. Il Foro Italico, che comprende lo stesso Olimpico di Roma, è di proprietà di Sport e Salute, quindi del CONI. Lo spiegamento di forze di Polizia per l’ordine pubblico fuori dagli stadi è a carico dello Stato. Il fatto di pagare il biglietto in situazioni che già godono del supporto dei soldi pubblici è un ostacolo che altrove nessuno sembra essersi posto.

Che mediamente ci sia meno gente è vero. Scarseggia soprattutto lungo le strade piatte, dove l’attesa non è ripagata da chissà quale spettacolo, avendo la diretta integrale che ti permette di vedere tutto e meglio dal divano di casa. Una volta, quando non c’era questa copertura così massiccia, vederli passare era il solo modo per farsi un’idea e ragionare fino all’inizio della diretta. L’idea di Pozzato, che già rende parecchio bene a Flanders Classics (dal cross alle corse fiamminghe), è quella di ricavare delle aree a pagamento in cui coccolare i tifosi che vogliano spendere, offrendo loro uno spettacolo nello spettacolo. Nessuno costringerebbe gli altri che vogliano seguire le corse come si è sempre fatto. E’ un’idea efficace, che tuttavia non risolve il problema.

Il sistema che non c’è

Il sistema ciclismo non è in realtà un sistema, ma un insieme di realtà che cercano di attirare il più possibile per tenere in piedi le loro strutture. E a ben vedere la stessa UCI che detiene la titolarità del WorldTour non fa nulla perché le cose cambino. Se il suo obiettivo è riscuotere i pagamenti di corse e squadre, qualsiasi forma di organizzazione più avanzata la costringerebbe a condividere i profitti. L’UCI chiede e non restituisce, portando avanti una visione miope. Dividendo la torta come propone Van Aert, magari all’inizio qualcuno dovrà fronteggiare entrate minori, poi però il sistema prenderebbe giri e diventerebbe produttivo per tutti.

Questa è la visione di Pozzato, questa la visione di Van Aert e dei belgi. Bocciarla perché si è sempre fatto diversamente è un atteggiamento a dir poco medievale. Bocciarla perché resta concepita a compartimenti stagni è un’altra cosa. Nell’Italia che stenta a uscire dalla dimensione di una volta, potrebbe essere la Lega Ciclismo a guidare il movimento professionistico su un cammino di razionalizzazione delle entrate, dividendo laddove possibile il peso delle uscite. La Coppa Italia delle Regioni potrebbe diventare ben più produttiva di quanto sia oggi.

Veneto Classic 2024

Gran finale in Veneto. Iniziano le “corse di Pozzato”

13.10.2025
6 min
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E’ una settimana molto importante per il ciclismo italiano e non solo. Di fatto è quella che chiude la stagione europea e in questo contesto il Veneto diventa la capitale del ciclismo. Come dicono anche i corridori: “Ci sono le corse di Pippo”… di Pozzato per chi lo conosce meno.

L’ex pro’, ormai da qualche anno con PP Sport Events, ha portato una ventata di aria fresca nel modo di concepire gli eventi ciclistici. Eventi, appunto, non solo gare. Ovvio che la parte tecnica e agonistica resta centrale, com’è giusto che sia, ma questo non vieta di espandere il concetto anche allo show, al divertimento e al coinvolgimento di persone non legate strettamente al ciclismo. Ma andiamo con ordine e scopriamo questi appuntamenti.

Giro del Veneto

La settimana del ciclismo veneto inizia mercoledì con una delle classiche più antiche d’Italia, il Giro del Veneto, con partenza da Vicenza e arrivo a Verona. E qui ecco subito la novità più importante: il Giro del Veneto Women. E dire che questa per anni era rimasta ferma al palo…

«Alla gara femminile – spiega Pozzato – ci pensavamo già da un po’. Ora è stato possibile realizzarla. Ne abbiamo parlato con la Lega e il riscontro è stato subito buono. Peccato solo che il calendario internazionale, così strutturato con ancora le gare WorldTour in Cina, ci penalizzi. E non solo per questa gara, ma per tutto l’insieme. Non è un caso che stiamo lottando per uno spostamento degli eventi nella prima parte di settembre. Pensate che bello sarebbe avere Pogacar o Evenepoel, Pedersen o Van der Poel che vengono a correre per preparare il mondiale…

«Detto questo – prosegue – il tracciato tra uomini e donne è lo stesso, con il gran finale sul circuito delle Torricelle, quello del mondiale 2004. La differenza è che le donne lo percorreranno due volte, mentre gli uomini cinque». In tutto saranno 169,5 chilometri per gli uomini e 116 per le donne, entrambi con partenza da Vicenza: alle 9,30 le donne, alle 13 gli uomini.

Lo scorso anno la Serenisisma Gravel fu stoppata a causa del maltempo, altrimenti ha regalato sempre grandi sfide e grandi parterre (qui il primo iridato, Gianni Vermeersch)
Lo scorso anno la Serenisisma Gravel fu stoppata a causa del maltempo, altrimenti ha regalato sempre grandi sfide e grandi parterre (qui il primo iridato Gianni Vermeersch)

Serenissima Gravel

Un giorno di pausa ed ecco la Serenissima Gravel, in programma a Cittadella, Padova, venerdì 17 ottobre. Anche qui le novità non mancano, la prima delle quali è che la prova è aperta anche agli amatori, che partiranno pochissimo dopo i professionisti.

«La Serenissima – spiega Pozzato – la facciamo sul percorso che fu teatro del mondiale 2022. Da quest’anno è aperta anche agli amatori. La cosa bella è che corrono vicinissimi ai pro’, si immedesimano, vivono la stessa atmosfera. Una formula molto bella, ma resta la problematica tecnica: soste, assistenza, modalità di partenza. Da anni sosteniamo la necessità di una normativa specifica per il gravel. Non si sa ancora se valgano le regole della strada o dell’off-road. Qui si passa su strade bianche, sentieri demaniali e terreni privati, strade provinciali… ed è una vera gara, non un evento in cui ti dò la traccia GPS e ti aspetto all’arrivo. Sarà comunque uno spettacolo: in queste edizioni la Serenissima ci ha regalato immagini spettacolari e corse avvincenti».

Il percorso prevede un grande anello di 37,5 chilometri da ripetere quattro volte nel quadrante nord-ovest di Cittadella. In tutto si affrontano 151 chilometri con appena 200 metri di dislivello. Ma guai a pensare a un arrivo in volata…

Il Muro della Tisa, lo stesso che affronteranno i pro’. Sarà un piccolo stadio anche per gli amatori (foto PPSport Events)
Il Muro della Tisa, lo stesso che affronteranno i pro’. Sarà un piccolo stadio anche per gli amatori (foto PPSport Events)

Veneto-Go

Sabato 18 torna protagonista anche il mondo amatoriale con la Veneto-Go, l’anello di congiunzione fra il mondo degli appassionati, dei professionisti e dei tifosi.

«Questo è un evento a cui teniamo moltissimo – racconta Pozzato – si percorrono le strade della Veneto Classic, le stesse che faranno i professionisti il giorno dopo. L’intento è far sì che la gente resti sul posto, che si goda il weekend di festa e di ciclismo, ma non solo».

In effetti c’è tanto da vedere in zona, oltre alla corsa. Le Ville Palladiane, Bassano del Grappa, sede dell’evento, e le colline del Prosecco poco più dietro offrono un contorno perfetto.
La Veneto-Go parte da Cartigliano e ricalca i 100 chilometri finali della Veneto Classic: dentro ci sono la Rosina, gli strappi in pavé e persino lo sterrato. Come nelle classiche del Nord, come alla Strade Bianche. Un grande evento per gli appassionati, che anticipa quello dei pro’.

PP Sport Events stima la presenza di circa 15.000 persone nei giorni feriali per questi eventi. Chissà quante saranno nel weekend… E quante di più potrebbero essere se il calendario internazionale vedesse gli eventi anticipati a settembre, con il richiamo di ancora più atleti di punta…

Veneto Classic

E infine, domenica 19 ottobre, si chiude con la Veneto Classic, la creatura di Pozzato, il suo gioiello della corona. E’ la corsa che racchiude tutte le sue idee innovative, a partire dal disegno tracciato, ma anche da ciò che vi ruota attorno.

«La Veneto Classic è il mio sogno – dice con orgoglio – è una gara dalle grandi potenzialità. Ha le caratteristiche delle classiche del Nord: pavé, muri, sterrati. E’ dura, ma aperta a più scenari».

Pozzato insiste molto sul concetto del circuito e anche in questo caso non si smentisce: la Veneto Classic è strutturata su tre grandi anelli, così che il pubblico possa divertirsi e vivere la corsa.
«La mia idea – prosegue – è quella di avvicinare anche chi non è un intenditore di ciclismo, di farlo divertire e poi, perché no, di farlo appassionare e salire in bici. Per questo, sulla Tisa, la salita in pavé, abbiamo potenziato le telecamere, allestito un maxischermo e portato un deejay».

Si parte da Soave, dove l’amministrazione comunale ha accolto con entusiasmo il progetto. E’ stata tolta una salita iniziale, ma inserita quella di Breganze, anche se non si arriverà fino in cima: si scenderà passando per Colceresa e lo strappo di San Giorgio. Pozzato assicura scenari incredibili, scorci unici sulle colline dei vigneti veneti.


Dopo un primo passaggio sulla Tisa, si entra nel circuito della Rosina, che verrà affrontato due volte anziché tre. «Altrimenti sarebbe diventato troppo lungo e troppo duro», puntualizza Pozzato. Quindi ecco l’anello della Tisa, da percorrere cinque volte. «Sarà un vero spettacolo. Il pubblico potrà vedere i corridori ogni 20 minuti, senza mai annoiarsi. Usciti da questo circuito, ci sarà il finale classico con la Diesel Farm, la salita in sterrato e l’arrivo a Bassano, tra le mura e il Ponte degli Alpini».

Stili di guida sul pavé: la differenza la fanno i campioni

17.04.2025
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La caduta di Pogacar ha messo fine al duello testa a testa tra il campione del mondo in carica e quello uscente, Mathieu Van der Poel. Ancor prima che la corsa potesse metterci davanti l’ennesimo duello tra due campioni una curva sbagliata ha messo fine allo spettacolo. L’errore dello sloveno ha aperto una curiosità e qualche dubbio sulla sua posizione in sella. Non che la sua pedalata manchi di efficacia, ma il pavé della Roubaix non sono le salite del Tour de France. 

Tadej Pogacar è stato messo in sella con tutte le accortezze del caso, ma la sua posizione estremamente avanzata lo porta ad usare spesso il manubrio in presa alta. Un fattore che si è notato in maniera particolare durante la Parigi-Roubaix. Nei vari settori di pavé il corridore del UAE Team Emirates-XRG era l’unico dei favoriti a non usare il manubrio in presa bassa. Al contrario Van der Poel con una posizione più compatta in sella ha avuto una guida più fluida

Van der Poel, alla terza Roubaix consecutiva in bacheca, sa sfruttare ogni spazio e questo è un vantaggio enorme
Van der Poel, alla terza Roubaix consecutiva in bacheca, sa sfruttare ogni spazio e questo è un vantaggio enorme

Funamboli

Ci siamo rivolti così a un ex-corridore che di pavé ne ha masticato parecchio: Filippo Pozzato

«Sono due stili di guida e di pedalata – spiega – che evidenziano la differenza di come i due sono stati messi in sella. Pogacar sa guidare molto bene la bicicletta e lo ha dimostrato, ma Van der Poel è di un’altra pasta. Penso che sia il migliore in gruppo. Sia l’anno scorso che quest’anno ha affrontato le curve del Carrefour de l’Arbre con un’agilità incredibile. Faceva il pelo agli spettatori, alle transenne e a tutto ciò che delimitava il percorso. Sicuramente il fatto che arrivi dal ciclocross gli dà quel qualcosa in più a livello di confidenza nell’usare tutta la strada a disposizione e anche qualcosa in più».

La differenza di fuori sella tra Pogacar e Van der Poel è evidente, così come i modi di stare in bici
La differenza di fuori sella tra Pogacar e Van der Poel è evidente, così come i modi di stare in bici
Pensi che la differenza tra gli stili di guida possa aver fatto la differenza sul pavé?

Ne parlavo con i ragazzi con cui ho visto la gara. Io ero uno che guidava allo stesso modo di Pogacar, con le mani alte. Tom Boonen, ad esempio, era molto vicino a Van der Poel, sempre in presa bassa. Fabian Cancellara aveva un altro stile ancora, con le mani appoggiate spesso sulla parte centrale del manubrio. 

Cosa hai notato ancora?

Che Van der Poel è molto basso e compatto sulla bicicletta, ha un’escursione di sella molto limitata e per questo è più facile per lui usare il manubrio in presa bassa. Pogacar invece è più alto e spostato in avanti. 

Un fattore che può aver influenzato la caduta?

Non direi. Può succedere di cadere alla Parigi-Roubaix. Poi in realtà Pogacar non è caduto, ha sbagliato una curva e poi è finito a terra. Quell’errore lo attribuisco più alla traiettoria sbagliata a causa della moto davanti.

L’olandese sul pavè utilizza spesso la presa bassa, al contrario lo sloveno usa le manopole dei freni
L’olandese sul pavè utilizza spesso la presa bassa, al contrario lo sloveno usa le manopole dei freni
Dici?

In quei momenti di gara sei a tutta, inoltre Pogacar stava spingendo per tentare un allungo. La bicicletta sbatte da tutte le parti, la gente ti urla nelle orecchie, hai l’adrenalina a mille, è facile sbagliare. Penso che lui stesse seguendo la moto, a un certo punto ha abbassato lo sguardo sulla strada e quando lo ha alzato ha visto l’altra moto del fotografo parcheggiata in quel punto strano. Non un disturbo concreto, però inganna la prospettiva della curva. 

Quindi la posizione in sella non ha influito?

No. Ogni corridore ha la sua e se pedala in quel modo è perché si trova bene. Io stesso avevo le mie misure e le mie geometrie. Van der Poel e Pogacar ci hanno mostrato due stili tanto diversi, ma l’efficacia della loro azione sul pavé è evidente. Erano comunque loro due davanti a tutti. 

Pogacar è l’unico tra i primi dieci della Roubaix a pesare meno di settanta chili
Pogacar è l’unico tra i primi dieci della Roubaix a pesare meno di settanta chili
Nell’intervista prima del Fiandre ci avevi detto che Pogacar non avrebbe fatto bene alla Roubaix, ora che lo hai visto in azione cosa pensi?

Era l’unico corridore che fisicamente non c’entrava nulla con quelli davanti, tra i primi dieci è l’unico che pesa meno di settanta chili. Mi chiedevo come potesse andare forte e lui ha risposto arrivando secondo. Al Fiandre te lo puoi aspettare, ci sono delle salite e lì può certamente fare la differenza. 

L’evoluzione tecnica dei mezzi può averlo avvantaggiato?

Sicuramente questa cosa di utilizzare copertoni sempre più larghi, si è arrivati a montare il 32 millimetri alla Roubaix, lo aiuta. Le pressioni si abbassano e la maggior larghezza del battistrada crea più comfort in sella. Però poi bisogna pedalare e Pogacar lo fa alla grande. Per il resto credo che l’evoluzione tecnica c’è ma anni fa era la bici ad adattarsi al corridore. Ora è il contrario, le aziende fanno dei telai standard gli atleti vengono messi su giocando con i vari componenti. Pogacar ha fatto vedere di cosa è capace, ed era solo alla sua prima partecipazione alla Roubaix. 

Fiandre e Roubaix, chi vince? Pozzato pesca dal mazzo

06.04.2025
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Il capolavoro di Mathieu Van der Poel alla E3 Saxo, al quale è seguito un altro assolo, quello di Mads Pedersen alla Gand-Wevelgem. Nel mezzo il terzo posto di Filippo Ganna proprio alle spalle dell’olandese e del danese della Lidl-Trek e la decisione del piemontese di mettersi in lista anche per il Fiandre. Tadej Pogacar che annuncia la partecipazione alla Parigi-Roubaix, una notizia che già era circolata dopo quel breve ma intenso assaggio al pavé della Foresta di Arenberg. Sempre lo sloveno che cambia i propri piani rinunciando a E3 Saxo e Gand. Infine la disfatta della Visma nella corsa che anticipa, per nome e per tempistiche, il Giro delle Fiandre. 

Un menù ricco di sorprese, decisioni dell’ultimo momento che insaporiscono il calendario riservato alle Classiche del pavé. Questa mattina tocca ai muri delle Fiandre, mentre tra una settimana esatta saranno le pietre del nord della Francia a prendersi il centro della scena. 

Al GP E3-Saxo Bank Van der Poel ha dato una prova di forza non indifferente sui muri
Al GP E3-Saxo Bank Van der Poel ha dato una prova di forza non indifferente sui muri

Rimescolamento

Se il gruppo fosse un mazzo di carte potremmo definire quello che è avvenuto nei giorni scorsi come un rimescolamento. Alla fine però, proprio come in un mazzo di carte, gli assi sono sempre quattro: Van der Poel, Pogacar, Ganna e Pedersen. Ma attenzione al jolly, figura che si addice perfettamente a Van Aert. Darlo per spacciato, a nostro avviso, è un azzardo. Della stessa idea è anche Filippo Pozzato, chiamato in causa per leggere le carte in vista di questi impegni. 

«Diciamo che per il Fiandre ci sono due corridori su tutti – dice subito Pozzato – che sono Pogacar e Van der Poel. Penso che l’olandese quest’anno vada veramente forte, è arrivato in una condizione perfetta alle Classiche. Lo ha dimostrato alla Sanremo e alla E3-Saxo. Pogacar, in vista di oggi, può sicuramente far bene e lo ha già dimostrato. Rispetto al 2023, a mio modo di vedere, farà più fatica a staccare Van der Poel sui muri. Loro due possono partire a 100 chilometri dall’arrivo, senza alcun problema. Teniamo il podio della Sanremo e parliamo di Ganna. Non so cosa potrà fare al Fiandre, è una gara in cui c’è da limare e lui non è fortissimo sotto questo aspetto. Però ha una condizione esagerata e potrebbe essere l’anno giusto per essere davanti sui muri».

Ganna correrà anche il Fiandre, una decisione presa con la consapevolezza di una condizione eccezionale
Ganna correrà anche il Fiandre, una decisione presa con la consapevolezza di una condizione eccezionale
Cosa ne pensi della scelta di correre il Fiandre?

Fa bene. Ha una grande gamba e il suo obiettivo rimane la Roubaix. Però quando stai bene, correre aiuta a mantenere la condizione. I settori di pavé non sono paragonabili, ma stare a casa mentre i tuoi rivali corrono non è sempre un bene, per questo condivido pienamente la scelta di Ganna. 

Anche alla luce della gara di mercoledì come vedi Van Aert?

Dispiace per quello che è successo, rimango convinto abbia un motore esagerato e possa essere davanti sia al Fiandre che alla Roubaix. Ha fatto una preparazione mirata saltando la Sanremo e quindi lo metto sempre tra i favoriti. 

Pedersen ha mostrato di essere in forma, il pavé della Gand è stato un trampolino di lancio per una grande vittoria
Pedersen ha mostrato di essere in forma, il pavé della Gand è stato un trampolino di lancio per una grande vittoria
L’impressione è che abbia voluto attaccare da lontano per rispondere a quanto fatto da Van der Poel e Pedersen ma senza riuscirci, anzi…

Quando deve arrivarti la condizione non è che sei sempre al 100 per cento. Ha subito una bella batosta, però a livello di condizione ha avuto tutto il tempo per recuperare e arrivare pronto al Fiandre. C’è da capire la reazione mentale alla sconfitta della Dwars door Vlaanderen. Questo è l’aspetto fondamentale per capovolgere la situazione.

Anche Pedersen ha mostrato una grande condizione.

Ha vinto con una bellissima azione alla Gand-Wevelgem, ma è una gara con poco dislivello, il Fiandre è molto più impegnativo. Lui è super motivato perché non ha mai vinto una Classica Monumento, però oggi lo vedo un pelo sotto a Pogacar e Van der Poel. Poi, al contrario dello sloveno, Pedersen è avvantaggiato per la Roubaix

Secondo Pozzato Pogacar sarà uno dei due favoriti al Fiandre insieme a VDP, ma non per la Roubaix
Secondo Pozzato Pogacar sarà uno dei due favoriti al Fiandre insieme a VDP, ma non per la Roubaix
Lo hai chiamato in causa, parliamo di Pogacar e della Roubaix, cosa ne pensi?

Per lo spettacolo, il fatto che il campione del mondo prenda parte a questa gara è tanta roba. Sinceramente vedo difficile che Pogacar possa fare qualcosa di buono alla Roubaix. La Sanremo e il Fiandre hanno delle salite sulle quali può fare la differenza, lo abbiamo visto sia quest’anno che in passato. Però per le pietre della Roubaix lo vedo tanto leggero rispetto agli altri, va bene il discorso del rapporto peso/potenza ma gli altri pretendenti hanno altri fisici. Ne parlavo in questi giorni con alcuni membri della UAE.

Cosa dicevate?

Loro sono gasati dal fatto che Pogacar sarà alla Roubaix. Lo sono anche io, mi piace. Dimostra di avere una grinta incredibile, poi lui è uno che si automotiva con questi appuntamenti. Però penso possa fare fatica contro i vari Van der Poel, Ganna, Pedersen e Van Aert. 

Van Aert esce con le ossa rotte dall’ultima gara di avvicinamento alle Classiche del pavé ma le sue qualità non si discutono
Van Aert esce con le ossa rotte dall’ultima gara di avvicinamento alle Classiche del pavé ma le sue qualità non si discutono
Per il Fiandre hai detto sfida tra Pogacar e Van der Poel, gli altri guardano al terzo posto?

Direi di sì, difficile che qualcuno possa inserirsi. E tra i due pretendenti l’olandese ha più carte da giocarsi. Tatticamente è più forte, sa cosa fare per vincere. Basta guardare alla volata della Sanremo, quando ha abbassato il ritmo per poi fare la sparata negli ultimi trecento metri.

Qualche outsider?

Mi piace Jorgenson, spero possa essere davanti in entrambi gli appuntamenti. La Visma ha una squadra forte e possono sfruttare questa cosa, basta che non facciano come mercoledì

Fra una settimana tutti a Laigueglia, nel giardino di Pozzato

26.02.2025
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Gli facciamo notare che, battuto definitivamente Merckx, il suo record di vittorie al Trofeo Laigueglia (2003, 2004 nella foto di apertura, 2013) non è ancora nel mirino di Pogacar. Questo basta a Pozzato per farsi una risata e tornare con la memoria a quando la corsa ligure gli fece capire di essere diventato un corridore. Era il 2003, il vicentino correva con la Fassa Bortolo, dopo i tre anni con la Mapei. Avevano appena vinto la cronosquadre al Giro del Mediterraneo e lui per primo aveva colto un secondo posto, così Giancarlo Ferretti gli mise a disposizione la squadra per la corsa italiana.

«Mi ricordo l’impostazione di gara – ricorda Pozzato – io arrivavo da quel secondo posto in cui forse mi ero toccato con Bettini e avevo perso la corsa. Probabilmente avrei vinto in rimonta, se non mi avesse chiuso nell’ultima curva. Mi ricordo che Petito parlò con Ferretti dicendogli che andavo veramente forte. Allora Giancarlo venne con i suoi modi diretti e mi disse: “Adesso vediamo se sei forte per davvero!”. E’ stata la prima volta che mi davano la responsabilità di una squadra così importante. C’erano tutti quanti: Kirchen, Frigo, Tosatto, Petito, Cioni, Ivanov e Gustov. Tutti a disposizione per farmi vincere. Mi tennero tutto il giorno come se fossi veramente un capitano di quelli affermati. L’anno prima avevo vinto 14 corse, ma quel giorno vinsi su Sacchi, Baldato e Bettini e capii che era iniziato il ciclismo vero».

Filippo Pozzato, 43 anni, è stato pro’ dal 2000 al 2018: ha 49 vittorie in bacheca fra cui la Sanremo, due tappe al Tour e una al Giro
Filippo Pozzato, 43 anni, è stato pro’ dal 2000 al 2018: ha 49 vittorie in bacheca fra cui la Sanremo, due tappe al Tour e una al Giro

Il Trofeo Laigueglia si correrà fra una settimana, mercoledì prossimo, il vincitore uscente è Lenny Martinez. Per instradare l’attesa siamo andati proprio da colui che ne ha vinti tre. Domenica ci sarà la Omloop Het Nieuwsblad, vinta da Pippo nel 2007, poi il ciclismo dei professionisti prenderà il via anche in Italia sulle strade della Liguria. Torniamo a quel 18 febbraio del 2003 e alle parole di Pozzato, che in questi giorni è al lavoro per organizzare il Carnival Circuit di Sandrigo, dove la bicicletta sarà per una serata motivo di valorizzazione del territorio, evasione, burla, svago.

Ferretti all’epoca era l’equivalente italiano di Lefevere, forse anche più vincente. Che effetto fece sentirlo parlare a quel modo?

Erano cose che mi gasavano ed era comunque un test necessario. Anche Tosatto me lo disse subito: “Oggi vediamo se hai i coglioni!”. Era il modo di crescere di quegli anni, con il senso di sfida per farti prendere responsabilità e farti diventare grande più in fretta. A me piaceva. Al netto dei problemi che abbiamo avuto, Ferretti è stato il primo che mi ha insegnato a prendermi delle responsabilità e che mi ha messo a disposizione la squadra che a quel tempo era la più importante del mondo. Avevo vent’anni, non era una cosa da tutti e lo apprezzai molto.

Andavi forte davvero, quell’anno avresti vinto anche la Tirreno-Adriatico…

E secondo me avrei vinto anche la Sanremo, perché volavo. Invece caddi in discesa, coinvolto nella caduta di Cassani. Forse è stata la Sanremo che sono andato più forte di tutti (la vinse invece Bettini su Celestino e Paolini, ndr).

Che cosa rappresentava il Trofeo Laigueglia in quegli anni?

Per me è sempre stata la corsa di inizio stagione e forse quando l’ho vinta la prima volta era la più importante. Si ricorda più spesso la tappa del Tour, ma con Laigueglia sono entrato nel grande ciclismo. Poi con l’avvento del WorldTour è cambiato tutto. Adesso però la stanno riportando su.

Hai vinto la terza a dieci anni dalla prima, 2003-2013. Percorso diverso, avversari diversi…

Per me è sempre rimasta la corsa importante dei primi tempi, di quando c’era il ciclismo di una volta, anche se a livello internazionale dopo i primi anni 2000 la situazione è cambiata. Avrei potuto vincerla anche nel 2009 quando si impose Ginanni, ma ebbi delle incomprensioni con Ballan e chiudemmo io secondo e lui quinto. E’ sempre stata una corsa speciale perché, abitando a Monaco, si svolgeva anche vicino casa mia. Nel 2013 avevo già corso il Tour de San Luis e poi le gare di Mallorca, ma restava la corsa d’apertura e la sentivo sempre mia, ma questo è un punto di vista personale.

Eri uno cui serviva correre per andare forte?

Assolutamente. Avevo bisogno di correre, perché c’era anche un modo diverso di allenarsi, adesso invece arrivano e vanno forte già dalla prima corsa. Non so come facciano, è un modo completamente diverso di affrontare le gare e forse è quello che ho sofferto a fine carriera. Non riuscivo ad allenarmi come si allenavano i più giovani.

Il Trofeo Laigueglia… riscalda l’asfalto dell’Aurelia nell’imminenza della Sanremo
Il Trofeo Laigueglia… riscalda l’asfalto dell’Aurelia nell’imminenza della Sanremo
Cosa ricordi dei vari percorsi che sono cambiati?

Il primo anno che l’ho vinta, scollinai bene sulla salita del Balestrino. Primo Bettini con Celestino e io ero subito dietro e lì ho capito che andavo forte. L’anno dopo invece passai a un minuto e mezzo dalla testa: ero 6 chili più dell’anno precedente, però sono riuscito a vincere lo stesso, ma in maniera completamente diversa. Nel 2013, invece, andavo forte e la Lampre era a mia disposizione. Mi ricordo che Niemiec fece un lavoro incredibile in salita. La tirò tutta con me a ruota e nessuno riuscì a partire. In finale il percorso era cambiato, si arrivava da Andora. Ci furono attacchi in tutti i modi per farmi fuori, ma vinsi facilmente in volata

Tempo fa si parlò della possibilità che, in quanto organizzatore, prendessi tu il Trofeo Laigueglia…

E’ vero, ci sono stati vari contatti. Ho degli amici da quelle parti, ma perché io possa organizzare una corsa, oltre all’incarico da parte del Comune che è proprietario della gara, serve che ci siano anche i presupposti economici. Però è vero, lo ammetto: mi piacerebbe un giorno provare a organizzare il Trofeo Laigueglia. Sarebbe come chiudere il cerchio.

Niente Sanremo per Van Aert: la lettura di Pozzato

05.02.2025
5 min
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Ad inizio gennaio Wout Van Aert ha ufficializzato il suo calendario per il 2025, che sarà focalizzato su Giro delle Fiandre, Parigi-Roubaix, Giro d’Italia e Tour de France. Come già l’anno scorso dunque non parteciperà alla Milano-Sanremo, l’unica classica monumento che ha già vinto e che per certi aspetti potrebbe sembrare la più adatta alle sue caratteristiche. A causa della caduta alla Dwars door Vlaanderen la scorsa stagione non abbiamo potuto vederlo sulle pietre che contano, e quindi quest’anno sarà il primo vero test di questo suo calendario. 

Ma, detto questo, siamo sicuri che saltare la Classicissima sia una scelta azzeccata per un corridore totale come lui? Non è un azzardo sacrificare uno degli appuntamenti più importanti dell’anno per puntare tutta la primavera sul Fiandre – dove dovrà vedersela con mostri come Van Der Poel e Pogacar – e sulla Roubaix –  dove le incognite sono incalcolabili e la sfortuna è sempre dietro l’angolo, come si è visto nel 2023?  Ne abbiamo parlato con Pippo Pozzato, che come Van Aert ha vinto una Sanremo e colto piazzamenti importanti nelle classiche delle pietre.

Filippo Pozzato alla partenza del mondiale gravel 2022
Filippo Pozzato al mondiale gravel 2022
Filippo, come vedi questa scelta? 

Certamente mi dispiace non vederlo lì, in una gara così adatta a lui. Forse sì è un po’ un azzardo, ma mi pare di aver capito che abbia scelto di non andare per allenarsi al meglio per la seconda parte della primavera, Giro compreso. Mi fa strano che uno come lui non ci sia, però è anche vero che nel ciclismo moderno devi puntare solo certi obiettivi, quindi da una certo punto di vista lo capisco.

Ai tuoi tempi era diverso?

Totalmente. Considerate solo che io in certe stagioni ho fatto anche 110 giorni di corsa, loro se va bene ne fanno la metà. Adesso fanno molta più intensità in allenamento e infatti arrivano alle gare già che volano. A me per esempio non piaceva troppo andare in altura, preferivo correre. Adesso però quel ciclismo non esiste più. Soprattutto negli ultimi due-tre anni secondo me c’è stato un cambiamento grandissimo in questo senso.

La caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen, che gli è costata buona parte della scorsa stagione
La caduta di Van Aert alla Dwars door Vlaanderen, che gli è costata buona parte della scorsa stagione
Anche per questo tu hai sempre corso tutte e tre le prime monumento, perché era più semplice ai tuoi tempi?

Secondo me sì. Poi la Sanremo è davvero una gara particolare. Al Fiandre viene fuori chi ha più gambe, alla Sanremo invece ci sono mille incognite perché è davvero aperta a tutti. Io ho sfiorato la vittoria un sacco di volte per un motivo o per l’altro, e alla fine non l’ho vinta l’anno in cui andavo più forte, ma quello in cui ha girato tutto giusto.

Credi sia questo uno dei motivi di questa scelta, perché la Sanremo è comunque un terno al lotto e quindi meglio puntare su altro?

No, non credo, penso contino molto di più altri fattori. Poi, se devo dire la verità, io ho sempre pensato che la corsa perfetta di Van Aert sia il Fiandre.

Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Giro delle Fiandre 2020
Van Aert al Fiandre 2020, battuto in volata da Van Der Poel
Mathieu Van der Poel, Wout Van Aert, Giro delle Fiandre 2020
Van Aert al Fiandre 2020, battuto in volata da Van Der Poel
Anche contro Van Der Poel e Pogacar?

Se è al top della forma credo se la possa giocare benissimo, sì. Gli altri sono due fenomeni, certo, ma devono comunque riuscire a staccarlo se non vogliono trovarselo in volata. A livello di motore puro credo che sia il più forte, l’ho sempre detto.  Il suo problema è che non lima tanto, non sa muoversi come Van Der Poel, forse gli manca qualcosa tecnicamente, come spesso si vede anche nel ciclocross.

Però Van Der Poel le classiche di primavera le fa tutte…

Ma Van Der Poel corre in una maniera diversa, ha una squadra in cui può fare praticamente quello che vuole. Al Tour magari tira qualche volata, ma aiutare un capitano che il Tour può vincerlo, come fa Van Aert, è tutta un’altra questione. Dopodiché, torno a dire, corridori come Van Der Poel gareggiano davvero poco e non so come facciano ad andare così forte. Questo ti dà davvero l’idea della differenza tra il mio ciclismo e quello che c’è adesso, non capisco come facciano ad allenarsi con quell’intensità senza l’adrenalina delle corse. Devi davvero essere sempre super concentrato, e quindi credo che mentalmente sia più difficile.

Julian Alaphilippe Wout Van Aert
Wout Van Aert festeggia con Julian Alaphilippe la sua vittoria alla Milano-Sanremo 2020. Lo rivedremo nel 2026?
Julian Alaphilippe Wout Van Aert
Wout Van Aert festeggia con Julian Alaphilippe la sua vittoria alla Milano-Sanremo 2020. Lo rivedremo nel 2026?
Quindi alla fine sei d’accordo con la scelta di Van Aert e della squadra?

La Sanremo, il Fiandre e la Roubaix dovresti sempre farle secondo me, ma se è una scelta tecnica e io la capisco. Poi non mi sento di avere la competenza per giudicare i metodi di preparazione che ci sono adesso io, perché appunto è tutto diverso, e sicuramente loro avranno fatto tutti i calcoli, come anche nella scorsa stagione. Infatti avrei voluto vederlo anche l’anno scorso perché andava davvero fortissimo prima dell’incidente.

Per rivederlo alla Sanremo allora dobbiamo sperare che quest’anno vinca il Fiandre o la Roubaix?

Questa potrebbe essere una buona soluzione. Come tifosi di Van Aert e del ciclismo forse dovremmo augurarcelo tutti.

Is Arutas, vince il vento. Gara addio, arrivederci Sardegna

08.12.2024
7 min
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CABRAS – Quello che si prospettava nelle ore precedenti alla fine è diventato realtà. La gara di Coppa del mondo di Cabras Is Arutas è stata annullata a causa del forte vento. Un vento teso, costante, rude… Le onde erano altissime e le loro goccioline venivano trasportate a distanza di decine e decine di metri. In pratica era come se piovesse, cosa che comunque a scroscioni si è ripetuta per tutta la giornata.

Noi stessi, stamattina, quando siamo arrivati sul posto di gara, abbiamo provato a scendere sulla spiaggia e non si riusciva letteralmente a stare in piedi. Anche i video che abbiamo girato per i social erano tutti tremolanti. E’ bastato aprire lo sportello (con difficoltà) per che capire che sarebbe stata dura. Molto dura.

Raffiche a 80 all’ora

Filippo Pozzato ci aveva detto che era difficile stare in piedi sulla collinetta a bordo mare. La situazione è apparsa subito complicata e, tanto per cambiare, quando le cose non devono andare per il verso giusto, c’è stato persino un incendio nel quartier generale della gara.

Fortunatamente, però, non ci sono stati grossi problemi né danni alle strutture. Era impossibile dare il via a un evento agonistico così importante, ma non solo importante: il vento era veramente tagliente, forte, teso e non mollava mai. E quando rinforzava, le folate ti sbattevano letteralmente a terra. Si stima abbiano superato anche gli 80 all’ora.

Le onde di questa mattina a Is Arutas
Le onde di questa mattina a Is Arutas

Atleti compatti

Abbiamo parlato anche con Eva Lechner, che è stata un po’ la nostra portavoce per quanto riguarda gli atleti. Tutti erano dispiaciuti, ma compatti nel dire che non avrebbero preso parte a questa gara.
La sicurezza veniva meno soprattutto nel lungo tratto rettilineo che costeggiava la spiaggia, quello più vicino al mare. Era impossibile stare in piedi, e anche nei tratti successivi la situazione non migliorava di molto.

«Oggettivamente – ha detto Eva Lechner dall’alto della sua esperienza – non si poteva correre con queste condizioni. Mi era già successo di gare annullate per il forte vento, persino in Belgio, ma credetemi non era così potente.

«Noi italiani eravamo tutti nello stesso hotel e parlavamo proprio di questo stamattina, già prima di venire al campo gara. La nostra giornata è stata, fino all’annullamento della gara, esattamente come se avessimo dovuto correre: sveglia, colazione, e tutto il resto. Poi, una volta arrivati, abbiamo parlato anche con gli altri atleti e tutti eravamo concordi sul fatto che non fosse possibile gareggiare. Tra l’altro, non siamo alla fine della stagione, rischiare di più non aveva senso. E poi, comunque, davvero non c’erano le condizioni».

I media belgi, accorsi in massa in Sardegna, hanno preso i microfoni e, più o meno tutti, hanno detto le stesse cose di Eva Lechner. Il via vai dei commenti è cominciato. «Penso – ha detto Michael Vanthourenhout – che la cancellazione sia stata l’unica opzione giusta. Non importa quanto sia difficile per gli organizzatori, e dispiace per loro, ma non si riusciva a tenere dritta la bici. Tra l’altro, c’è una bella differenza tra pochi chilometri nell’entroterra e qui sulla costa».

Ora per ora

Facciamo dunque una breve cronistoria. Già alla vigilia di ieri le previsioni non erano positive.
Si sapeva di questo forte vento. Stamattina, addirittura, le mappe del vento mostravano il lato occidentale della Sardegna, cioè quello su cui ci troviamo, colorato di viola scuro, a indicare la situazione più forte, più tesa, più pericolosa. Questo aveva allertato atleti, organizzatori e anche l’UCI.

Stamattina ci siamo svegliati con la notizia dell’incendio nel quartier generale, ma alla fine questo non si è rivelato un grande problema, né strettamente collegato all’evento.


Già prima delle 9 era chiaro e ufficiale che non si sarebbero disputate le prove del mattino. Poi si è atteso fino alle 12, entro le quali l’UCI avrebbe redatto il comunicato ufficiale. Comunicato che è arrivato puntuale alle 11,26, in cui l’UCI spiegava che, a causa del forte vento, non c’erano le condizioni per disputare la gara.
Dopo l’annuncio, gli atleti hanno cominciato a restituire i chip ricevuti il giorno prima. E a mano a mano hanno iniziato a tornare a casa.

Filippo Pozzato (classe 1981) di PP Events
Filippo Pozzato (classe 1981) di PP Events

Parla Pozzato

Abbiamo parlato anche con Filippo Pozzato di PP Events, organizzatore insieme a Flanders Classics, a Crazy Wheels e al Comune di Cabras, di questa terza tappa della Coppa del mondo nella splendida Is Arutas.

Filippo, com’è andata?

Come mi dicevano le persone del posto, questo è stato il secondo giorno di tutto l’anno che accade una cosa del genere. Siamo stati un po’ sfortunati. Dispiace, perché comunque Crazy Wheels, l’organizzatore locale, il Comune di Cabras e la Regione Sardegna hanno messo tutto l’impegno possibile. Un impegno anche economico. Un ringraziamento in particolare va a loro, ma soprattutto ai volontari che anche questa mattina erano già al lavoro per sistemare il percorso. C’erano 100 persone che hanno dato il massimo per rimetterlo a posto.

Cosa è successo alla fine?

Dopo aver visionato più stazioni meteo, abbiamo cercato di capire se ci fosse qualche speranza che il vento smettesse. Ci hanno detto che forse sarebbe calato un po’ solo dopo le 16, il che rendeva tutto impossibile, soprattutto da un punto di vista televisivo: il problema principale era la produzione.

E farla magari domani?

Noi eravamo anche disponibili a cambiare gli orari e magari anche a farla domani, ma purtroppo non è stato possibile. Ci sono questioni logistiche, soprattutto per la televisione, che aveva già programmato tutto da mesi. Anzi, oggi è un danno per tutti: nei palinsesti di tante televisioni non andrà in onda questo evento, quindi tutte le emittenti che avevano i diritti per trasmettere rimarranno con un buco. È un peccato per tutti. In più anche il rientro di mezzi e personale non sarebbe stato facile da rivedere.

In questa decisione avete parlato anche con gli atleti?

Sì, sì e una cosa bella, io guardo sempre il bicchiere mezzo pieno, è che in questi ultimi anno c’è un bel confronto fra le parti in causa: organizzatori, UCI, atleti. I corridori erano dispiaciuti ma era impossibile gareggiare. Li abbiamo ascoltati eccome. Io stesso stamattina alle 6,30 ero qui. In spiaggia, a piedi, il vento ti spostava facilmente. Ma ripeto: decisione giusta. Impossibile correre.

C’è la possibilità di riprovare in futuro?

Sì, sicuramente. Abbiamo un contratto di due anni con tutti gli enti coinvolti, quindi l’anno prossimo saremo di nuovo qui. Speriamo solo di avere una bella giornata, per poter far vedere a tutti la bellezza che la Sardegna ha da offrire.

Come vendere il prodotto ciclismo. Pozzato dice la sua

24.10.2024
5 min
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Il progetto è sempre lì. Filippo Pozzato non ha riposto nel cassetto le speranze di costruire un team tutto italiano che possa avere un futuro nel WorldTour, anzi si è consociato con Davide Cassani (che aveva espresso una volontà simile all’indomani del suo addio dalle responsabilità tecniche azzurre), ma per ora siamo ancora nel campo delle possibilità future, nulla di più. E dalle sue esperienze emergono tutte le difficoltà del ciclismo italiano attuale, assolutamente non al passo con i tempi.

Pozzato insieme al presidente Uec Della Casa. Per l’organizzatore italiano bisogna lavorare molto sulla comunicazione
Pozzato insieme al presidente Uec Della Casa. Per l’organizzatore italiano bisogna lavorare molto sulla comunicazione

Pozzato, reduce dalle fatiche organizzative delle classiche venete rese monche dal cattivo tempo, sottolinea come al momento il problema principale riguardi la ricerca di fondi: «Sto girando l’Italia proponendo la mia idea a molte aziende e questo mi permette di capire qual sia il gradimento del ciclismo. Devo dire che l’attenzione verso la nostra proposta non manca, il problema vero è legato alle cifre e al corrispettivo che ottiene chi investe nel nostro mondo. Per questo dico che c’è un disagio generale: non sappiamo vendere il nostro prodotto perché siamo ancorati a un approccio vecchio».

Che cosa chiede chi dovrebbe investire?

Vuole avere innanzitutto ritorno d’immagine, visibilità, regole certe. Se vado da uno sponsor per fare una squadra che ambisce a entrare nel WorldTour, devo chiedere un investimento di svariati milioni di euro per almeno un quinquennio. La risposta è sempre: «Ma a fronte di una simile esposizione che cosa ho in cambio?». E lì emergono tutte le nostre difficoltà perché non basta certo far vedere la maglia nella ripresa Tv a soddisfare le richieste, oggi che siamo nell’era dell’immagine.

Bisogna riportare la gente sulle strade, soprattutto i giovani, raccontando loro le storie dei protagonisti
Bisogna riportare la gente sulle strade, soprattutto i giovani, raccontando loro le storie dei protagonisti
Tu però parlavi anche di regole…

Il regolamento Uci non è assolutamente chiaro. Si è voluto introdurre il sistema di promozioni e retrocessioni: può anche andar bene, se non hai mezzi e capacità per competere al massimo livello è giusto lasciar posto ad altri. Quel che è meno giusto è “congelare” la situazione per anni, far scannare i team per tre stagioni impedendo agli altri di fare investimenti. Fai come negli sport di squadra, promozioni e retrocessioni ogni anno con regole certe anche per la partecipazione alle gare. Ma il problema non riguarda solamente le WorldTour.

Ossia?

Guardate quel che avviene nelle continental: noi in Italia abbiamo una visione falsata a questo proposito perché non puoi certo fare una squadra continental con 200 mila euro. Che attività puoi fare con un budget tanto risicato? Che cosa puoi dare ai tuoi atleti? Per questo dico che siamo ancorati a schemi vecchi quando il ciclismo è andato avanti, è diventato uno sport costoso, di primo piano. Per fare una continental seria si parte dal milione di euro in su, c’è poco da fare, perché giustamente sono aumentate le professionalità che devi coinvolgere, dal nutrizionista al preparatore.

Basso è per Pozzato un modello di come costruire un team su base aziendale, ma servono budget maggiori
Ivan Basso è un modello di come costruire un team su base aziendale, ma servono budget maggiori
Come si fa a vendere un proprio progetto in un simile ambito?

E’ difficile, lo vedo e per questo ammiro molto gente come Ivan Basso e gli sforzi che fa. Dobbiamo renderci conto che è una questione di marketing, di saper vendere quel che si ha. C’è una generale carenza nella comunicazione: come è possibile che dopo il mondiale di Zurigo arrivano il campione del mondo Pogacar e il suo rivale Evenepoel in Italia, a correre non solo il Lombardia ma anche corse come Emilia e Tre Valli Varesine e lo sappiamo solo noi addetti ai lavori?

In altri tempi, sulla “rivincita dei mondiali” sarebbe stata fatta una campagna di stampa enorme…

Già, poi vedi nel contempo che la sfida fra Sinner e Alcaraz per un torneo d’esibizione diventa martellante, ne parlano tutti i canali, tutti i media, tutti i social. Allora capisci che siamo noi – e ci metto tutti dentro – a non saper vendere il nostro lavoro. Una responsabilità in tal senso ce l’ha l’RCS, la Gazzetta che ha abbandonato il ciclismo, non segue più gli eventi, ma questo avviene anche con i suoi: le pagine per il Giro d’Italia sono drasticamente ridotte e gli inviati anche.

Sinner e Alcaraz: le loro sfide ormai coinvolgono tutti, anche per semplici esibizioni (foto Getty Images)
Sinner e Alcaraz: le loro sfide ormai coinvolgono tutti, anche per semplici esibizioni (foto Getty Images)
Per imitare il fenomeno tennis, servirebbe che avessimo un Pogacar?

Sì, quando avevamo Pantani tutti ne parlavano, ma rendiamoci conto che di Pogacar ne nasce uno al secolo e chissà dove… Io guardo il fenomeno tennis, Sinner è il frutto di almeno 15 anni d’investimenti nei tecnici, nei settori giovanili. Dietro il numero uno ora abbiamo una decina di tennisti fra i primi 100. C’è un movimento. Noi abbiamo latitato proprio in questo e continuiamo a farlo.

Un problema di gestione federale?

Sicuramente, ma è uno dei tanti. Andrebbero fatti investimenti nei settori senza attendersi subito risultati. Io credo che il ciclismo paghi anche il retaggio di una comunicazione sbagliatissima quando si è dato troppo spazio al doping senza investire sui giovani, sulle vittorie pulite. E’ stato fatto passare un brutto messaggio che ora, unito al problema sicurezza sulle strade, fa del ciclismo un soggetto meno appetibile. Le aziende che investirebbero ci sono, io ne avevo trovata una davvero grande, ma poi ha deciso di spendere quei soldi in un altro sport…

Secondo Pozzato, al ciclismo italiano servirebbe un Pantani capace di risvegliare l’attenzione dei media
Al ciclismo italiano servirebbe un Pantani capace di risvegliare l’attenzione dei media
Eppure di messaggi positivi questo mondo continua a diffonderne…

Io sono convinto che i personaggi ci sono, le storie da raccontare ci sono. Ma su personaggi come Pellizzari, tanto per fare un nome, ci devi investire, lo devi raccontare, far conoscere anche a chi non è del settore, perché poi al passaggio sulle montagne del Giro la gente a incitarlo ci sarà. I giornali continuano a credere che il popolo italiano sia calciofilo e basta: non è più così. il calcio attira meno e ha lasciato spazi importanti, noi potremmo coprirli, ma dobbiamo andare incontro alle nuove generazioni.

Europei gravel ad Asiago: vincono Frei e Stosek in un giorno triste

13.10.2024
6 min
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ASIAGO – Quando Sina Frei, Silvia Persico e Alice Maria Arzuffi salgono sul podio delle premiazioni al termine del campionato europeo gravel di Asiago, ad attenderle non c’è l’inno nazionale, non c’è l’alzabandiera, nemmeno la vestizione della maglia. 

La svizzera Frei, campionessa continentale da pochi minuti, l’ha indossata dietro le quinte e si presenta davanti al pubblico solo per un breve saluto. Lo stesso accade pochi minuti dopo per la categoria uomini elite. Sul palco sfilano il ceco Martin Stosek, il britannico Toby Perry e il belga Jenno Berckmoes, rispettivamente primo, secondo e terzo.

Questo perché quella che doveva essere una giornata di competizioni per gli atleti e di divertimento per le centinaia di amatori arrivati sull’Altopiano di Asiago da tutta Europa, è diventata di colpo molto più tetra. Dopo la notizia del malore fatale occorso a Silvano Janes.

Un malore fatale

Janes, “il vecio”, era partito pochi minuti dopo i professionisti, con il numero 564 nella categoria Master 65-69 anni.  Dopo circa 3 chilometri dal via, in un tratto pianeggiante, si è accasciato a terra. Appena dietro di lui seguiva la gara un quad dell’organizzazione che ha immediatamente allertato i soccorsi, ma non c’è stato niente da fare.

Silvano Janes era un nome molto conosciuto negli ambienti delle granfondo e della mtb, disciplina di cui era stato pioniere. Tra i cicloamatori aveva vinto dieci mondiali, cinque titoli europei e decine di tricolori, ed era stato compagno di allenamento di Moser e Simoni, come pure di Martino Fruet, trentini come lui.

«Del mezzo milione di chilometri della mia carriera – ha detto Martino Fruet – non ho dubbi che almeno 250 mila li ho pedalati con lui. Era compagno di allenamenti di Francesco Moser e anche di Simoni e Marco Bui. Eravamo un bel gruppo e dicevamo sempre, magari scherzando, che sarebbe morto in bicicletta. Poteva aspettare ancora qualche anno, ma ha fatto sino in fondo quello che più gli piaceva».

Martin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTB
Martin Stosek ha conquistato il titolo europeo gravel: alle sue spalle ottimi risultati nella MTB

Spauracchio belga

Appena saputa la notizia, l’organizzazione ha deciso di interrompere tutte le competizioni salvo quelle degli elite. E anche nel loro caso di è scelto di far arrivare solo i gruppi di testa.

Tra gli uomini erano partiti in 142, con alcuni grandi nomi tra i quali spiccavano Greg Van Avermaet e il connazionale Gianni Vermeersch, quinto al recente campionato del mondo e vincitore del primo titolo iridato gravel nel 2022. Ma già dal primo dei tre giri da 51 km ciascuno (totale 153 km con 2.400 metri di dislivello) a prendere in mano la situazione era stato un gruppetto di sette corridori. Il tedesco Voss, il russo (ma con maglia neutrale) Grigorev, il ceco Stosek, la coppia belga Berckmoes e Godfroid, lo svizzero Simon Pellaud e il britannico Perry.

Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)
Il gruppo è partito per la sfida continentale, con partecipanti arrivati da tutta Europe (foto Flanders Classics)

Dalla marathon al gravel

Durante il secondo giro la situazione è rimasta invariata, con il solo cedimento di Pellaud, e tutto si è deciso nell’ultima tornata.

Stosek, specialista della marathon e campione nazionale gravel, ha accelerato nella parte più dura della prima salita e ha lasciato la compagnia degli avversari. Un’azione talmente decisa che all’ultimo dei due intermedi aveva oltre 3’ di vantaggio su un terzetto formato da Berckmoes, Godfroid e Perry. Il britannico è riuscito poi a sorprendere i due belgi e ad arrivare sul traguardo di Piazza II Risorgimento a 3’43’’ di ritardo dal vincitore, seguito dopo 35’’ da Berckmoes. Appena dopo l’arrivo Stosek ci ha raccontato di questa vittoria.

«La mia disciplina è la marathon – ha detto – quindi è bello vedere che sono competitivo anche nel gravel, soprattutto perché si tratta solo della mia terza gara in questa specialità. Comunque anche qui servono molta potenza e una buona dose di tecnica. Ho attaccato al terzo giro nella parte di salita più dura e fangosa. Ho cercato solo di spingere forte e fare il mio passo, sapendo che finita quella avrei potuto fare la discesa senza prendermi troppi rischi. Che dire, ha funzionato!».

Frei fra le azzurre

Nella categoria donne c’era molta attesa vista la numerosa squadra azzurra che comprendeva, tra le altre, Elena Cecchini, Soraya Paladin, Silvia Persico e Letizia Borghesi. Da affrontare c’erano due giri del percorso, 102 km con 1.600 di dislivello, e il primo passaggio sotto l’arrivo ha visto tutte le migliori ancora assieme.

Ma non è passato molto prima che la biker elvetica Sina Frei prendesse in mano la situazione e se ne andasse via da sola. A seguirla sono rimaste Persico e una bravissima Alice Maria Arzuffi, che si sono giocate il secondo posto in volata. Alla fine il rettilineo ha detto seconda Persico e terza Arzuffi, rispettivamente a 1’24 e 1’26’’ dalla vincitrice.

Queste le parole della campionessa europea gravel dopo l’arrivo. «Sono molto felice – ha detto – è il modo migliore di finire la mia stagione, con una gara così qui ad Asiago. Le italiane erano tante e forti e hanno corso tutte assieme, quindi sapevo che per me era dura. Per questo ho deciso di partire presto, quando mancavano circa 35 km alla fine, sulla prima salita. Ho provato e mi è andata bene, molto bene».

La scelta di Pozzato

Finiamo con le parole di Pippo Pozzato, in una giornata certamente non facile per chi organizza un evento così importante e si trova ad affrontare un momento tutt’altro che semplice, emotivamente e logisticamente.

«Sono notizie che non vorremmo mai sentire – ha detto il vicentino – ma davanti a questo ci si ferma su tutto. Per questo abbiamo subito deciso di stoppare tutti sotto l’arrivo, tranne i primi 15 concorrenti elite. Si sarebbe anche potuto continuare, ma ci sembrava doveroso nei confronti di Silvano Janes, dei suoi amici che erano qui e della sua famiglia».