La collaborazione tra Miche e Federazione Ciclistica Italiana prende il via nel 2018. Stagione in cui il brand veneto si pone l’obiettivo di portare ai massimi livelli di categoria la già affermata gamma di prodotti Pista. Un proposito pienamente raggiunto, sia in occasione delle Olimpiadi di Tokyo 2020 quanto alle rassegne mondiali di Roubaix 2021 e Parigi 2022. Contesti nei quali, come ben sappiamo, numerosi atleti ed atlete azzurre hanno letteralmente fatto incetta di medaglie. Senza dimenticare il mitico quartetto maschile, che si è imposto nelle prove ad inseguimento stabilendo anche il nuovo record del mondo.
Grazie a questa preziosa collaborazione e partnership con la Federazione Ciclistica Italiana, Miche ha potuto beneficiare di un vero e proprio banco di prova, a dir poco eccellente, per i prodotti realizzati specificamente per la pista e più in generale per le discipline di velocità. Un banco di prova fondamentale, è vero, ma anche un autentico laboratorio di sviluppo per nuovi componenti da collocare al vertice della propria gamma prodotto.
le novità tecniche portate nel settore pista sono state moltele novità tecniche portate nel settore pista sono state molte
Un banco di prova eccellente
Realizzare prodotti di qualità è da sempre la “mission” aziendale che Miche quotidianamente persegue. Una qualità del prodotto che necessariamente deve essere certificata da ripetuti test presso i laboratori interni all’azienda, nel pieno rispetto dei rigorosi standard che il sistema qualità Miche prescrive. Ciascun componente Miche viene difatti sviluppato utilizzando evoluti programmi CAD, prende forma su stampanti 3D, e – una volta realizzato – deve superare ripetuti collaudi nelle più gravose condizioni di utilizzo.
La collaborazione tra Miche e Federciclismo ha portato tanti successiLa collaborazione tra Miche e Federciclismo ha portato tanti successi
Un esempio concreto? Gli ingranaggi Seigiorni Oro, dedicati alle altissime prestazioni su pista e disponibili in dentature 64, 65, 66, 67 e 68 denti. Ottenuti dalla lavorazione a CNC della lega Ergal 7075-T6, questi specifici ingranaggi prodotti dalla Miche vengono trattati superficialmente con finitura “sandblasted” per incrementare la già ottima rigidità strutturale del materiale al fine di evitare torsioni indesiderate e trasmettere tutta la potenza in ogni singola pedalata. La finitura in anodizzazione nera, e la caratteristica marcatura dorata, rende poi questi ingranaggi Miche dei veri e propri pezzi unici in quanto celebrativi degli straordinari risultati ottenuti (e di quelli che ancora arriveranno…) dalla Nazionale Italiana su pista.
Savini nel 2015. Pogacar nel 2016. Innocenti nel 2017. Evenepoel nel 2018. Piccolo nel 2019. Questo è l’albo d’oro del Giro della Lunigiana nei cinque anni prima del Covid. Alla ripresa, l’hanno vinto prima Lenny Martinez e poi Antonio Morgado. Noi però vogliamo però soffermarci su quei cinque anni per tornare al tema che tanti definiscono noioso e abusato, vale a dire l’attività juniores in Italia e il perché di colpo qui da noi abbiano smesso di venire al mondo corridori da grandi Giri. Anzi no, come mai siano venuti al mondo e poi siano finiti su un binario morto.
Di Pogacar ed Evenepoel abbiamo detto ogni genere di mirabilia. Uno arrivato al ciclismo quasi per gioco in Slovenia, con 3 vittorie in due anni da junior e 4 da U23 fra cui il Tour de l’Avenir. L’altro salito in bici dopo la carriera nelle giovanili del pallone, con 24 vittorie in due anni da junior e poi subito il salto tra i pro’.
Guardando da noi, Savini ha fatto due anni da U23 fra Petroli Firenze e Maltinti e poi nel professionismo la sua è stata più che altro una discesa. Di Innocenti abbiamo raccontato ieri: è stato fermato da una squalifica di 4 anni al primo anno da U23 ed è appena rientrato alle corse. Piccolo era partito bene con la Colpack, poi ha avuto una serie di contrattempi e solo quest’anno è tornato a brillare di luce propria.
Europei juniores 2019, comunione di intenti fra De Candido, Cassani e Villa: vittoria a PiccoloEuropei juniores 2019, comunione di intenti fra De Candido, Cassani e Villa: vittoria a Piccolo
L’accusa di Bragato
E’ solo per caso? Oppure è tempo che la Federazione Ciclistica, cui noi offriamo come contributo il lavoro degli ultimi mesi, inizi a collegare i puntini per capire quale forma abbia l’attività giovanile in Italia e porvi rimedio?
«C’è troppa enfasi sulla categoria juniores – ha detto Diego Bragato – enfasi legata ai volumi, al simulare quello che fa il professionista, invece di costruire una formazione a lungo termine. Purtroppo il nostro movimento spinge per la ricerca del risultato da junior, piuttosto che per la costruzione di un atleta che avrà risultati dopo 5-6 anni. Ma questo ciclismo non esiste più. Le altre Nazioni hanno ridotto di molto il numero di gare durante l’anno, a vari livelli: da junior in su. E insegnano agli atleti a costruire la prestazione in funzione di un obiettivo.
«Da noi, i nostri ragazzi trovano la condizione con le gare, hanno dei risultati a livello giovanile, ma non imparano ad allenarsi. Così arrivano in un mondo professionistico in cui non puoi più sfruttare le gare per allenarti e non sono capaci di adattarsi, né fisicamente né mentalmente».
Nel 2014, Savini vince da junior la Liberazione Città di Massa. L’anno dopo arriverà il LunigianaNel 2014, Savini vince da junior la Liberazione Città di Massa. L’anno dopo arriverà il Lunigiana
L’accusa di Rui
Le società degli under 23 hanno responsabilità diretta, ma forse non la avrebbero se si permettesse loro di lavorare nel tempo necessario per prendere un ragazzino e farne un corridore.
«Oggi non ci sono tanti atleti con cui lavorare – ha detto di recente Luciano Rui – perché passano subito. E poi, una volta di là, diventano tutti principini. Io glielo dico sempre: qualche volta meglio provare a vincere fra quelli della propria età, che prendere sempre schiaffi con i più grandi. Bisogna rimanere umili e serve chiarezza. Prima, con il corridore che restava 3-4 anni, avevamo tutti modo di lavorare meglio. Adesso passano, ma sono più quelli che si perdono. Hanno fatto la licenza da professionisti, ma non una carriera».
Questo è Innocenti: il 2017 è il suo anno migliore da junior, con 9 vittorie, fra cui il Lunigiana (duzimage)Questo è Innocenti: il 2017 è il suo anno migliore da junior, con 9 vittorie, fra cui il Lunigiana (duzimage)
Il tempo da riprendere
Difficile dire se sia nato prima l’uovo o la gallina. Capire se il meccanismo messo in moto dai team e dai procuratori per prendere i ragazzi sempre più giovani sia la conseguenza di un’attività giovanile esasperata. Oppure se questa, per contro, lo sia diventata avendo i corridori a disposizione per un tempo troppo breve. Di certo qualcosa non funziona.
Per questo il ritorno di Andrea Innocenti in gruppo, come la rinascita di Piccolo, vanno accolti come un presagio felice. A Innocenti si chiede ancora di fare nomi: in realtà il giovane toscano ha già pagato in abbondanza e magari quei nomi – se esistono – altri avrebbero dovuto trovarli e metterli in galera. Non si può colpire oltre un ragazzo di 19 anni e pretendere che risolva da sé problemi che per anni hanno affossato il ciclismo e che ora sembrano sempre più lontani.
Sia Innocenti sia Piccolo avranno le loro difficoltà da superare, ma si spera che i loro motori così potenti ed esuberanti abbiano mantenuto le qualità che gli permisero di vincere lo stesso Lunigiana di Pogacar ed Evenepoel. Innocenti ha davanti a sé un inverno molto importante, così come Piccolo. Entrambi sono usciti a testa alta da un tunnel piuttosto buio: speriamo che questo li abbia resi più forti. Hanno (e noi con loro) tanto tempo perso da riprenderci.
«Devo essere sincero – dice Bennati dopo una breve pausa – non per sminuire l’europeo, però quello che ho provato quando sono salito sull’ammiraglia al campionato del mondo, quando ho passato il chilometro zero, è stato veramente tutta un’altra cosa. A livello di emozioni, l’ho sentito molto di più. E’ stata una sensazione strana, che rivivo anche adesso nel raccontarla. In quel momento lì, ho detto: “Cavoli, sto veramente guidando la nazionale italiana!”. Mi sono sentito orgoglioso».
E’ passato un mese dai mondiali di Wollongong e quasi un anno dalla nomina di Bennati a guida dell’ammiraglia azzurra (in apertura, il toscano segue i passaggi fra uno schermo e la transenna, non potendo comunicare con i corridori via radio). Ieri sera Daniele ha parlato per quasi un’ora in videoconferenza con l’Università di Medellin, in Colombia, nell’ambito di un incontro chiamato “L’esperienza italiana nel ciclismo”. I colombiani si sono rivolti al CONI e da qui la palla è passata alla Federazione che ha chiesto al tecnico azzurro se fosse disponibile. E Bennati, forte degli anni alla Movistar, ha raccontato la sua esperienza in un ottimo spagnolo.
Ieri pomeriggio, Bennati è rimasto a lungo in una videoconferenza: inizio alle 9, ora di MedellinIeri pomeriggio, Bennati è rimasto a lungo in una videoconferenza: inizio alle 9, ora di Medellin
Tempo di bilanci
La stagione è finita. Ieri è stato presentato il Tour de France, per una volta in ritardo rispetto al Giro. E mentre i corridori recuperano dalle fatiche della stagione, fare il punto con Bennati è un buon modo per mettere i puntini sulle i e semmai togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Come quando hanno scritto che fosse sull’orlo delle dimissioni oppure hanno sottolineato la sua assenza al record dell’Ora di Ganna, per quel gusto di inventare scoop che poi come boomerang ti arrivano giustamente in faccia.
E’ il momento dei bilanci: che anno è stato per te?
E’ stato un anno intenso, perché comunque era la prima esperienza. Alla fine, se faccio rewind, non manca niente. Fondamentalmente sono contento. Insomma, si lavora un anno per andare a fare il campionato del mondo, che era l’appuntamento più importante. Diciamo che sono passato dall’antipasto dell’europeo, che però purtroppo aveva un disegno e un percorso che con noi non c’entrava molto.
Il giovedì prima del mondiale, Bennati in gruppo con gli azzurri sul percorsoNon sempre però ha potuto pedalare con la squadra e la bici è rimasta in hotelIl giovedì prima del mondiale, Bennati in gruppo con gli azzurri sul percorsoNon sempre però ha potuto pedalare con la squadra e la bici è rimasta in hotel
Hai parlato delle sensazioni al chilometro zero…
Il mondiale è il mondiale, è proprio l’emblema, l’essenza di questo mestiere. Chiaro, c’è anche l’Olimpiade, ci mancherebbe altro. C’è anche l’europeo, però il mondiale, io l’ho sentito in quel modo. Dal punto di vista personale, è una cosa che mi porterò sempre dentro.
Una stagione iniziata facendo correre in azzurro i ragazzi della Gazprom.
Indipendentemente dai motivi che hanno portato a fare quel tipo di calendario, dal punto di vista personale e tecnico mi è servito veramente tanto. Ho potuto guidare i ragazzi con la radio. Ti alleni e lavori tutto l’anno usandole, poi al mondiale non le hai più. Sono stati passaggi importanti, perché un conto è arrivare direttamente al mondiale o all’europeo senza mai aver fatto prima una riunione o una tattica, un altro è aver potuto fare esperienza in queste corse. Mettere a punto quello che poi ho attuato in Australia, cercando di sbagliare il meno possibile.
L’esperienza di corridore ai mondiali ha qualcosa in comune con quella del tecnico?
Ti metti completamente dall’altra parte e i ragazzi devono avvertire l’autorevolezza da parte di chi sta sopra di loro. Non è stato subito facile, per il fatto che la maggior parte dei corridori mi vedono ancora come uno di loro. Dalla mia parte, per certi versi mi sento anch’io vicino a loro come età, anche se con alcuni ci sono 20 anni di differenza, per questo non è stato facile creare questo tipo di distacco. Diciamo che ho trovato tutti ragazzi molto intelligenti.
Comunicare a Sobrero e Zana che non avrebbero corso è stato una prima volta impegnativaComunicare a Sobrero e Zana che non avrebbero corso è stato una prima volta impegnativa
I tuoi predecessori hanno sempre parlato della difficoltà di fare le scelte…
E’ chiaro che quando è arrivato quel momento, non è stato facile andare da Sobrero e Zana e dirgli che non avrebbero corso. Personalmente mi dispiace, perché so cosa significa. Ma loro almeno in Australia c’erano, difficile definirli esclusi. Mentre quando ho fatto la telefonata per dire a Pasqualon, Oldani o Albanese che non rientravano nei miei programmi, sapevo esattamente cosa provavano. Sentirsi dire quelle parole, ma anche dirle. Quello scalino è forse il lato più difficile del mio mestiere. Mi ricordo il mio rapporto con Franco (Ballerini, ndr) era di amicizia, era stato mio testimone di nozze. Ricordo quando mi chiamò alla Vuelta del 2007 e mi disse: «Guarda Daniele, preferirei togliermi il fegato, piuttosto che dirti che non ti posso portare». Diciamo che ho avuto esperienze nel bene e nel male che mi hanno fatto capire come ci si debba comportare o quale approccio si debba avere.
Hai scelto in base agli ordini di arrivo?
Se fai la squadra in questo modo, non avrai mai un gruppo che abbia un senso. Devi avere un’idea di squadra. Poi è chiaro che gli ordini di arrivo contano, perché comunque sono il termometro per capire in che condizione sono i corridori. Sicuramente ho valutato tanti altri aspetti, non solo quelli tecnici o fisici, ma soprattutto il lato umano di ognuno di loro.
Rota a un passo dalla medaglia nel mondiale del debutto: sarebbe stata la ciliegina sulla tortaRota a un passo dalla medaglia nel mondiale del debutto: sarebbe stata la ciliegina sulla torta
Poco fa hai parlato del non poter usare le radio in corsa.
L’avevo detto subito, poi qualcuno se n’è accorto e qualcun altro no. Già dall’anno scorso avvisai che l’unica nota negativa di questo mestiere è il fatto di prepararsi per un anno, poi andare a fare il campionato del mondo e sparire nel momento in cui abbassano la bandierina. Il mio lavoro finisce quando parte la corsa, perché comunque puoi dare le indicazioni in gara, fai le lavagnette e cerchi di di tappezzare il percorso con più uomini possibili, però non è mai facile comunicare, mentre i corridori passano a 50 all’ora. Avendo la radio, sarebbe cambiata la nostra corsa.
In cosa?
Sono convintissimo che Remco non avrebbe staccato Rota, per le gambe che aveva. Quando è nata l’azione di Evenepoel, ho cercato di far scrivere su tutte le lavagne e su tutti i muri che Rota non doveva mollare la sua ruota, invece quando Remco è andato via, lui era da un’altra parte. Con la radiolina gli avrei rotto talmente le scatole, che non avrebbe perso la posizione. E anche nel finale, assieme agli altri tecnici gli avrei detto alla radio di collaborare fino ai 300 metri e poi di fare la volata. C’erano due medaglie a disposizione e una poteva essere nostra.
Dopo la corsa, il primo chiarimento con Trentin, punto di riferimento azzurroDopo la corsa, il primo chiarimento con Trentin, punto di riferimento azzurro
Rimpianti?
Siamo stati una nazionale che si si è mossa bene. Ci siamo sempre inseriti nelle azioni che contavano e avevamo sempre due-tre uomini in ogni tentativo. Sono stati bravissimi, in tutte le situazioni che avevamo preventivato loro c’erano. Mi dispiace per la medaglia che è sfuggita. Secondo me non avremmo rubato niente a nessuno. Se avessimo fatto medaglia con Rota, sarebbe stato veramente bingo. Avremmo tirato fuori veramente il meglio da questa nazionale.
Anche perché eravate partiti fra le critiche…
Ci davano per dispersi, sarebbe stato veramente bello, ma questo non cambia il buono che abbiamo fatto. Personalmente per me, per tutto quello che è stato fatto per questo mondiale, essere riuscito a costruire un gruppo e avere dei ragazzi che hanno veramente corso uniti e soprattutto hanno dimostrato di avere un attaccamento molto forte alla maglia azzurra, è la cosa più importante. Certe critiche a oltranza sono state un fastidio, però allo stesso tempo diventano una grande motivazione. Perché alla fine quello che viene è veramente tutto di guadagnato.
Rota, Ballerini, Bagioli: quella di Bennati è stata una delle nazionali azzurre più giovaniRota, Ballerini, Bagioli: quella di Bennati è stata una delle nazionali azzurre più giovani
La sera dopo la corsa vi siete riuniti. Al di là delle cose dette, che sono affar vostro, che clima c’era?
E’ stata una riunione molto serena e tra l’altro per me la soddisfazione più grande, si può anche scrivere, è stata quando ha preso la parola Matteo (Trentin, ndr), che comunque è il punto di riferimento per i ragazzi e per la nazionale in generale. E lui davanti a tutti, Scirea e Velo fra gli altri, mi ha fatto i complimenti, perché ho gestito molto bene questo gruppo. Tra l’altro era un gruppo molto giovane, se non il più giovane di sempre, sicuramente era una delle nazionali più giovani in assoluto. E lui ha detto che non era facile assolutamente creare un gruppo così coeso. Mi ha fatto i complimenti davanti agli altri e per me, insomma, questa per me era già una medaglia.
Ci sono stati giorni di tensione per alcune critiche uscite sui media, soprattutto su Ganna…
Viviamo in un’epoca in cui le critiche sono un po’ più gratuite che in passato. Arrivano da destra e manca. Ci sono degli atleti che ne risentono di più, altri che ne risentono di meno. Nel caso specifico di Ganna, è chiaro che quando vieni da due campionati del mondo vinti, tutti si aspettano il terzo. Ho avuto anche io la percezione che sia rimasto male per qualcosa che ha letto, ma questo credo che sia normale. Però Pippo è un tipo di atleta, un uomo che non si fa scoraggiare per una critica in più. Anzi, ha saputo prendere le critiche e le ha messe da parte con i fatti.
Le critiche dai media hanno colpito Ganna, dato per morto alla vigilia della grande Ora e dell’iride di ParigiLe critiche dai media hanno colpito Ganna, dato per morto alla vigilia della grande Ora e dell’iride di Parigi
Ma tu a Grenchen non ci sei andato…
Fa una risata. Ne avevamo parlato poche ora dopo l’uscita della bufala. Quando scherzando disse che la prossima volta avrebbe mostrato il certificato medico per l’influenza che lo aveva costretto in casa. Come pure per le dimissioni presunte e mai neppure ipotizzate, venute fuori da qualche parte mentre era a casa di Bettiol ragionando sul mondiale. A fare la storia secondo certe fonti, in che mondo contorto vivremmo? Ma adesso è tempo di andare. L’appuntamento è a una generica prossima volta. Anche Benna si concederà qualche giorno di vacanza con Chiara e Francesco, forse durante le vacanze di Natale quando le scuole saranno chiuse. E poi si tratterà di ricominciare. La nazionale, come pure la prossima stagione, si costruisce d’inverno.
Sabato la tragedia. Chris Anker Sorensen investito da un'auto mentre era in bici. Ai mondiali lo ricordano i danesi e tutti quelli che gli hanno voluto bene
Come fa un atleta a mantenere alta la concentrazione anche quando gli obiettivi che si era prefissato vengono cambiati o stravolti? Il mondo del ciclismo, è sempre più al limite, sia dal punto di vista tecnico che da quello umano. I corridori sono chiamati ad essere sempre presenti e questo non è facile, anche perché è importante ricordare che dietro ogni atleta c’è un uomo, con le sue fragilità e debolezze. Elisabetta Borgia psicologa dello sport che collabora con la Federazione ed il team Trek-Segafredo ci accompagna nel grande viaggio degli obiettivi.
Ci mettiamo in contatto con la dottoressa Borgia, che in questo momento si trova in viaggio verso Praga. La sua destinazione è una conferenza dello sport, alla quale è stata invitata come relatrice per parlare del recupero post infortunio. Il traffico non le dà tregua, così le facciamo compagnia nella caotica coda dell’hinterland milanese.
Elisabetta Borgia collabora anche con la Federazione, qui agli europei di Monaco con la nazionale femminileElisabetta Borgia collabora anche con la Federazione, qui agli europei di Monaco con la nazionale femminile
Definizione di obiettivo
Innanzitutto, prima di parlare di obiettivi legati al mondo dello sport, in particolare a quello del ciclismo, è fondamentale determinare cosa sono.
«L’obiettivo – ci spiega la dottoressa – secondo il manuale di psicologia dello sport è legato alla ricerca della mia migliore espressione. Non sono direttamente legati alla vittoria, pensare solo al risultato non permette di fare un avvicinamento strutturando un percorso. Il pensiero dell’atleta deve essere “Devo arrivare a quella gara e voglio essere la mia migliore espressione di me stesso”. Da lì si inizia a lavorare a ritroso, passando dall’allenamento, ma anche dalla mente. L’obiettivo si tramuta in azioni quotidiane, che ci permettono di lavorare al meglio, rimanendo attaccati al presente ma con uno sguardo verso il futuro. Il “dove vogliamo arrivare” deve essere sminuzzato in piccole azioni quotidiane».
Mas è stato bravo a riprogrammare i suoi obiettivi dopo il Tour concentrandosi su Vuelta e finale di stagioneMas è stato bravo a riprogrammare i suoi obiettivi dopo il Tour concentrandosi su Vuelta e finale di stagione
Un percorso definito
La programmazione, come abbiamo intuito già da queste poche parole di Elisabetta, è fondamentale. Quello che però bisogna far capire è che non si passa solo dalla prestazione atletica, ma anche dalla mente.
«Gli obiettivi – riprende Borgia – sono quelle boe che ci permettono di rimanere all’interno del percorso. Ci motivano e ci danno tranquillità. Gli atleti hanno bisogno di ricevere dei check durante il loro periodo di preparazione, che siano i risultati dopo un lavoro in palestra o dei watt che devono esprimere. La parola chiave è: schematizzare. Tutti noi abbiamo bisogno di riuscire a mantenere il controllo, nessuno sta bene se si sente una bandiera al vento. Ci sentiamo bene quando sentiamo una responsabilità verso le cose che dobbiamo fare. Allo stesso modo, però, è importante riconoscere che noi non abbiamo il controllo su tutto, c’è sempre una parte imprevedibile. Il vademecum deve essere: lavora, controlla, cambia e lascia andare quello che non va.
«Tutti noi – riprende – ma gli atleti in particolare, sono molto più sbilanciati verso il ”c’è una cosa che non va e devo trovare il modo di cambiare”. La cosa che bisogna fare, invece, è accettare al più presto quello che non si può cambiare. Sbattere la testa contro i problemi non ci aiuterà a superarli. Pensate ad un infortunio che compromette una gara sulla quale si era messa la famosa bandierina rossa. Bisogna riuscire ad accettare al più presto che il piano A è sfumatoe virare su quello di riserva per continuare a fare il tuo lavoro al meglio».
Gli infortuni sono difficili da accettare ma fanno parte dello sport, bisogna accettarli: chiedere ad Alaphilippe…Gli infortuni sono difficili da accettare ma fanno parte dello sport, bisogna accettarli: chiedere ad Alaphilippe…
Riprogrammare
Essere adattabili e flessibili deve essere una caratteristica dei corridori, non tutti sono fatti allo stesso modo, c’è chi soffre di più e chi, invece, riesce a focalizzarsi subito su un nuovo obiettivo.
«Questo è parte del mio lavoro – continua la dottoressa – riprogrammare è qualcosa che faccio insieme agli atleti. Il punto è che la psicologa ti può aiutare, ma fino ad un certo punto: la motivazione è qualcosa che viene da dentro, non può essere data dall’esterno. La motivazione è di due tipologie: intrinseca ed estrinseca. La prima è legata alla passione al piacere nel fare quella cosa per sé. La seconda, quella estrinseca, è legata a quelli che sono i secondi fini, quelli professionali, di conseguenza è una motivazione inferiore. Una cosa fondamentale è anche lavorare sulle cose che funzionano, e non solo sui nostri limiti. Fare qualcosa che ci riesce bene è fondamentale per non perdere il giusto feeling.
«Un altro aspetto da non sottovalutare – conclude Elisabetta – è il circolo del senso di colpa. La psicologia dice che se vuoi avere dei picchi devi ricercare le valli, non si può andare sempre al massimo. Si devono trovare dei momenti dove staccare e riposare. Il riscatto è un’arma a doppio taglio e molto affilata. Poniamo che un corridore abbia finito un Giro d’Italia corso sottotono, dentro di lui nascerà immediatamente una grande voglia di rivalsa. Ma se non ti concedi i giusti tempi di riposo, anche quando le cose vanno male, non recuperi più e la tua mente si stanca doppiamente. Il consiglio è creare un proprio zona di comfort, con persone di fiducia che possano fare da muro e filtrare quello che arriva».
Prima di ripartire dall’Australia e dopo il clamore delle settimane precedenti, con il presidente federale Dagnoni abbiamo affrontato una serie di riflessioni sulla spedizione azzurra. E se da un lato era impossibile fare finta di niente, la sensazione è che lo tsunami delle provvigioni irlandesi si sia ritirato, avendo prodotto danni di immagine concreti a fronte di una vicenda i cui contorni appaiono invece sempre meno netti. La Federazione ha tardato decisamente troppo per dare delle spiegazioni, ma alla fine lo ha fatto. Mentre il punto di partenza e alcune dinamiche ricordano la vicenda che coinvolse la moralità di un tecnico azzurro senza che poi, depositato il fango sul fondo, si sia arrivati a nulla.
«Sono partito dall’Italia – dice Dagnoni – con una situazione definita e chiusa, che mi ha concesso di arrivare qua sereno perché è stato chiarito tutto. Soprattutto con le dichiarazioni a fine Giunta Coni delpresidente Malagò, che ha definito la nostra Federazione virtuosa. Per rispondere, qualche errore è stato fatto, ma in assoluta buona fede. E soprattutto non ha creato, lo voglio sottolineare, nessun danno per la Federazione. Questo è un po’ il sunto di tutto un discorso che ci ha insegnato a essere più attenti a certe situazioni, per evitare che poi vengano ingigantite».
Spazio Azzurri, ecco l’hotel di Bowral in cui ha alloggiato l’Italia, assieme alla Gran BretagnaSpazio Azzurri, ecco l’hotel di Bowral in cui ha alloggiato l’Italia, assieme alla Gran Bretagna
Che cosa le è sembrato di questo mondiale?
Si è trattato soprattutto di una trasferta impegnativa, perché comunque siamo dall’altra parte del mondo. Però è bello il clima che si è creato all’interno della nostra nazionale. Una grande sinergia tra i vari gruppi, anche a livello di staff, meccanici e massaggiatori. Ci si aiutava uno con l’altro rispetto al passato, dove ho sempre visto molte camere stagne. Adesso c’è un clima completamente diverso, ma non lo dico solo io, lo dicono anche gli addetti ai lavori che lo percepiscono. Ho visto fare riunioni di tutti i massaggiatori e di tutti i meccanici insieme. E quando c’è una partenza, sono tutti lì per aiutare. Il clima è sereno ed è quello che ho sempre auspicato.
Quanto pesa sui conti una trasferta così?
Facevamo il calcolo che ci è costato il doppio di un normale mondiale in Europa. Ma per fortuna da un lato abbiamo le risorse per sostenerla e poi si è creata un’ottima intesa tra i dipendenti della Federazione, che si sono sempre occupati di queste trasferte, e Roberto Amadio che ha portato la sua esperienza WorldTour. Abbiamo avuto una gestione molto attenta a livello di ottimizzazione dei costi.
Il gruppo dei meccanici, pur suddiviso per categorie, ha mostrato per Dagnoni grande unitàArchetti e Scirea, il capo meccanico e il fac totum accanto ai tecniciIl gruppo dei meccanici, pur suddiviso per categorie, ha mostrato per Dagnoni grande unitàArchetti e Scirea, il capo meccanico e il fac totum accanto ai tecnici
Ad esempio?
I corridori avevano 65 chili di bagaglio a testa, in modo da non dover pagare per le bici. Elite ci ha fatto avere i rulli dall’importatore in Australia. Il camper l’abbiamo trovato gratuitamente, grazie a Gerry Ryan, il proprietario della Bike Exchange che li produce. Ho avuto anche l’onore di conoscerlo e l’ho ringraziato. Un altro esempio sono i lettini dei massaggi. Portarli costava troppo come spedizione, così li abbiamo affittati in Australia a un quarto del prezzo del trasporto. Sono tutti dettagli che, messi insieme, vanno a ottimizzare i costi. I meccanici ad esempio non sono arrivati ognuno con la propria valigia, ma abbiamo fatto i bauli con pezzi meccanici e attrezzi.
Salvoldi con gli juniores ha ammesso che siamo un po’ indietro…
Il primo scopo nell’aver messo Salvoldi agli juniores era dare un metodo di lavoro. Ho avuto molti apprezzamenti dalle società per avere inserito un tecnico professionale come Dino in questa categoria. Gli ho detto subito che non era nostra intenzione vincere le medaglie, soprattutto in tempi rapidi, ma creare una cultura e degli atleti che possano sbocciare fra qualche anno, avendo un’impostazione. Mi ha detto che sulla pista riesce a lavorare in tempi più rapidi, perché ha un gruppo di lavoro a disposizione. Sulla strada invece i ragazzi sono affidati alle società per cui è un lavoro a lungo termine. Di conseguenza dovremo avere un po’ più di pazienza.
Salvoldi ha da poco iniziato la sua opera con gli juniores: per Dagnoni sarà sicuramente puntuale, ma servirà tempoSalvoldi ha da poco iniziato con gli juniores: per Dagnoni sarà puntuale, ma servirà tempo
Pensa che ci riuscirà?
Mi fido molto della capacità di Dino, sono sicuro che porterà dei buoni risultati. Strada e pista avranno tempi diversi e sulla strada c’è da lavorare di più anche territorialmente. Bisognerà andare in giro per insegnare metodologie che ormai sono sempre più esasperate. Ormai gli juniores hanno carichi di lavoro nettamente diversi da quelli che c’erano in passato.
Intanto fra gli under 23 ha vinto un corridore WorldTour reduce dalla Vuelta.
Aveva per forza una preparazione diversa, mentre i nostri sono dilettanti veri. Poi tra l’altro siamo anche stati sfortunati perché Buratti era in gran forma, ma ha avuto la sfortuna di bucare, cambiare bicicletta e inseguire per un giro, altrimenti sarebbe stato protagonista. Però dovremo essere più attenti e valutare, magari con le squadre se ci verrà concesso. Non ci sono imposizioni o direttive su chi convocare e chi no. Dovremo ragionare con la nostra struttura tecnica e il Consiglio federale per adeguarci alle esigenze. La legge di Darwin dice che non vince il più forte, ma chi si adatta più velocemente al cambiamento. Ecco, dovremo decidere come farlo in tempi rapidi.
Rossella Callovi, qui con Silvia Persico, è stata molto importante con le donne juniorTamara Rucco, qui con Venturelli, una massaggiatrice molto apprezzata dalle ragazzeElisabetta Borgia, a destra, ha svolto il suo ruolo di supporto anche dopo l’infortunio di VentturelliRossella Callovi, qui con Silvia Persico, è stata molto importante con le donne juniorTamara Rucco, qui con Venturelli, una massaggiatrice molto apprezzata dalle ragazzeElisabetta Borgia, a destra, ha svolto il suo ruolo di supporto anche dopo l’infortunio di Ventturelli
La nazionale femminile ha una bella struttura attorno.
Sono state inserite figure professionali di alto livello. In questa trasferta c’erano Elisabetta Borgia, Tamara Rucco la massaggiatrice e Rossella Callovi. Sono professioniste serie e molto apprezzate dalle ragazze, perché svolgono al meglio il proprio lavoro. Poi è vero che una Rossella Callovi, che è stata vicecampionessa del mondo al primo anno juniores e iridata il secondo, se si trova a parlare con le ragazze, magari ha una credibilità diversa. Può trasferire delle emozioni, qualcosa che lei ha vissuto in prima persona per cui è anche più convincente. Elisabetta Borgia segue alcune ragazze anche al di fuori della nazionale, per cui ho visto per esempio che con Vittoria Guazzini la sua figura è stata importante. Come ha detto in un’intervista, lei è quella che tiene pulita l’acqua in cui nuotano i pesci. Di fatto è quella che sa dare la carica. Sono figure che abbiamo inserito e siamo molto contenti di averlo fatto.
Dagnoni spiega che Amadio (qui con Bettiol) ha gestito la trasferta iridata con una serie di soluzioni d’esperienzaDagnoni spiega che Amadio (qui con Bettiol) ha gestito la trasferta iridata con una serie di soluzioni d’esperienza
C’è qualcosa che non le è piaciuto di questo mondiale?
Per natura sono abituato a guardare sempre i lati positivi. Per cui è vero che la trasferta di ogni giorno per andare al campo gara dall’hotel era pesante, però anche in questo caso mi piace sottolineare l’organizzazione per trovare la struttura adeguata alle nostre esigenze. Eravamo 78 persone, di conseguenza non era facile trovare un hotel che ci accogliesse tutti insieme e ci mettesse la cucina a disposizione (avevamo il nostro cuoco, anche questa è un’altra figura fondamentale per gli atleti e con un costo accettabile). Però l’abbiamo trovata, anche se era a più di un’ora di distanza. E alla fine, proprio per il clima che ho rimarcato prima, era importante essere tutti insieme e ci siamo riusciti.
Donne professioniste e corpi militari: si dovrà cambiare?
Si continua a parlarne, ma al momento non è ancora definito niente. Ho parlato con Francesco Montini, responsabile delle Fiamme Oro e ha detto: «Noi abbiamo atleti che di fatto non sono professionisti, ma hanno contratti importanti come Marcell Jacobs che continuano a stare nelle Fiamme Oro». Pertanto, se dall’UCI non arriverà una regola diversa, per me si può continuare come sempre.
A Wollongong c’era anche Mirko Sut, lo chef (a sinistra) accanto a Lorenzo RotaA Wollongong c’era anche Mirko Sut, lo chef (a sinistra) accanto a Lorenzo Rota
Avete deciso come fare per il Giro U23 e il Giro Donne?
Dovremmo uscire a breve con un bando e cercheremo di assegnare sicuramente il Giro Under 23 che è ancora in attesa di avere una gestione. E poi probabilmente parleremo anche del Giro Donne dal 2024 in poi. Il prossimo anno infatti è ancora in mano a PMG Sport/Starlight. Stiamo lavorando e secondo me anche bene. Forse è questo che magari a qualcuno dà fastidio.
Con Laura Martinelli ieri abbiamo parlato di alimentazione per il lungo viaggio verso l’Australia, oggi con Diego Bragato, del settore performance della Federazione, parliamo invece del sonno, della sua particolare gestione in relazione all’ampio fuso orario che ci separa da Wollongong: siamo otto ore indietro. Quando lì sono le 18 da noi sono le 10, per fare un esempio.
Bragato ci dice subito che non hanno lasciato nulla al caso e che su questo aspetto lavoravano già da un po’. Già, lavoravano, al plurale. Perché si è trattato di un vero gioco di squadra composto da lui come coordinatore, ma anche dal dottor Roberto Corsetti e Josè Luiz Dantas, responsabile scientifico della Fci.
Diego Bragato con le ragazze juniores ai recenti mondali di categoria in pista (foto Instagram)Diego Bragato con le ragazze juniores ai recenti mondali di categoria in pista (foto Instagram)
Diego, ci avete lavorato dunque sul fuso orario…
E’ stato un bel lavoro di squadra. E’ emerso ciò che Roberto Amadio (team manager delle squadre nazionali della Fci, ndr), ha voluto: una struttura come questa con staff e ruoli ben definiti. In questo modo io ho potuto seguire i ragazzi e le ragazze nei tanti impegni estivi: europei under 23, Giochi del Mediterraneo, europei elite… Riguardo all’Australia, volevamo dare ai ragazzi le giuste info sul fuso orario.
Raccontaci come è andata…
Dantas e Corsetti hanno creato un decalogo-diario con le informazioni necessarie per i ragazzi. Un decalogo che riguardava i comportamenti da assumere cinque giorni prima del via e cinque dopo l’arrivo in Australia. E una sorta di diario su cui appuntare le sensazioni e quanto fatto quattro giorni prima del via e tre giorni dopo l’arrivo. Una volta messo a punto tutto ciò, Dantas e Corsetti hanno riferito a tutti i commissari tecnici in un incontro su Zoom. A loro volta i cittì hanno parlato con i ragazzi.
E cosa diceva questo decalogo?
Dava dei consigli su come gestire principalmente il sonno in vista della trasferta. Quindi anticipare l’orario del sonno, vale a dire andare a letto prima. Di fare molta attenzione soprattutto dopo le 18, divenute le 16 a ridosso della partenza. Di prestare attenzione alla luce. Bisognava infatti “far capire” al corpo che era sera. Dovevano poi anticipare la cena. E da due giorni prima del volo dovevano anticipare notevolmente la sveglia, esponendosi velocemente alla luce una volta svegli così da dare un certo imput al fisico e stimolare subito gli ormoni.
In conferenza stampa le atlete hanno ringraziato la Fci per averle fatte arrivare in Australia con un buon anticipo (foto Instagram)In conferenza stampa le atlete hanno ringraziato la Fci per averle fatte arrivare in Australia con un buon anticipo (foto Instagram)
Un lavoro certosino…
In più Corsetti ha informato i ragazzi su come gestire la melatonina e la caffeina. Non dovevano esporsi alle luci blu di smartphone e tablet mezz’ora prima di andare a dormire. E poi le indicazioni sul viaggio: fare piccoli esercizi di stretching, camminare durante gli scali, la pulizia in volo…
Pulizia in volo?
Siamo pur sempre con lo spettro del Covid, quindi Corsetti spiegava ai ragazzi come igienizzare il tavolinetto su cui mangiavano, per esempio, le mani, cosa toccare in aeroporto. L’attenzione è massima.
E il sonno vero e proprio, sempre durante la fase del viaggio?
E’ stato detto loro di allinearsi sugli orari australiani al momento della partenza. E se dormivano fuori orario, anche una volta arrivati, dovevano fare dei pisolini non più lunghi di 30′. Un altro aspetto che non abbiamo trascurato è stato quello del bere. Sin dai giorni prima abbiamo detto agli atleti di bere di più, acqua chiaramente, perché spesso quando si è in uno stato confusionale e si è in viaggio ci si scorda di idratarsi. Ed essere oltre che stanchi anche disidratati è ancora peggio.
C’è un orario migliore per prendere il feeling con i nuovi orari?
Sono stati favoriti coloro che sono atterrati in Australia per l’ora di cena e magari erano già un po’ stanchi.
Il protocollo del sonno messo appunto dalla Fci prevede di bere molto, in volo e non solo…Il protocollo del sonno messo appunto dalla Fci prevede di bere molto, in volo e non solo…
La domanda può sembrare banale: ma perché è così importante adeguarsi subito al fuso orario? Anche ieri in conferenza stampa i ragazzi hanno sottolineato più volte l’aspetto del jet-lag…
Il nostro corpo si basa sulle abitudini e così anche le prestazioni. Pertanto è necessario riprendere quanto prima le proprie abitudini. Bisogna adeguare quanto prima i cicli, quello ormonale e quello circadiano, ai nuovi orari, perché appunto influiscono sulla prestazione. E’ fondamentale.
I ragazzi come li hai visti di fronte a tutto ciò?
Erano interessati. Soprattutto gli juniores. Ero in pista con loro per degli allenamenti e abbiamo ripassato il tutto, facevano domande. E poi va detto che con quattro scaglioni di partenze e con le ragazze impegnate alla Vuelta non era semplice per loro seguire tutto ciò e soprattutto applicarlo. In generale li ho visti partecipi e concentrati e soprattutto contenti di questo supporto da parte della Federazione.
Cordiano Dagnoni è il terzo candidato alla presidenza Fci. La sua idea è gestire la federazione come un'azienda. Ci cono vantaggi e sponsor da agganciare
Il nostro ciclismo non merita e non può permettersi scandali e mezze verità. Abbiamo talenti splendidi che chiedono chiarezza. E di lavorare con un progetto
Meno di un mese e sarà di nuovo Giro d’Italia di ciclocross, aprendo di fatto la stagione sui prati. Il circuito più antico del calendario riapre i battenti, proponendo sei tappe. L’ex cittì della nazionale Fausto Scotti già scalpita per rimettersi in moto e girare l’Italia con il suo staff per dare supporto alle varie società che hanno aderito al suo invito, accettando di entrare nella challenge.
A dire il vero però le gare saranno anche di più: ce ne sono infatti due a fine stagione, che pur non facendo parte direttamente del circuito, sono ad esso consociate. A spiegare l’arcano è lo stesso Scotti.
«Noi abbiamo strutturato il circuito sulle modalità dello scorso anno, quindi si parte il 2 ottobre, con 4 tappe nello stesso mese, poi un’altra a novembre e chiusura la domenica prima di Natale. Ci saranno poi due altre gare da noi allestite, il 23 dicembre a San Marco in Lamis (FG) con il Campionato Intersolidale e l’8 gennaio, il tradizionale Memorial dedicato a mio padre a Roma. Non varranno per la classifica, ma saranno comunque gare nazionali».
Fausto Scotti, ex cittì azzurro, rilancia il Giro d’Italia di ciclocross e prepara altri due appuntamentiFausto Scotti, ex cittì azzurro, rilancia il Giro d’Italia di ciclocross e prepara altri due appuntamenti
La prima cosa che salta agli occhi, guardando il calendario italiano, è il gran numero di gare. Si era detto che l’abbondanza dipendeva dalla scelta di venire incontro agli organizzatori in tempo di Covid, ma ora l’emergenza è passata…
E’ vero, ma queste sono scelte della Federazione nelle quali non vogliamo entrare, perché non è compito nostro. Noi abbiamo fatto le richieste per rinnovare il circuito e sono state accettate, anzi dirò di più. Inizialmente avevamo pensato di tirarci indietro e investire maggiormente nell’attività giovanile su strada, convinti che nel ciclocross avessimo ormai fatto il nostro tempo, ma dalla Fci ci è arrivata l’espressa richiesta di andare avanti e non cancellare un patrimonio del movimento. Resta il fatto che per fare una gara nazionale (e internazionale ancor di più) bisogna corrispondere a una serie di criteri, ma non siamo da questo punto di vista molto tranquilli.
Il calendario del GIC 2022
Il Giro d’Italia di Ciclocross si compone di 6 tappe, con l’Asd Romano Scotti a supporto delle società organizzatrici salvo che nell’ultima tappa allestita in proprio. Queste le date.
Data
Località
Organizzazione
2 ottobre
Corridonia (MC)
Bike Italia Tour
9 ottobre
Osoppo (UD)
Jam’s Bike Buja
16 ottobre
S.Elpidio a Mare (FM)
O.P.Bike Asd
30 ottobre
Follonica (GR)
Free Bike Follonichese
13 novembre
Ferentino (FR)
Mtb Ferentino Bikers
18 dicembre
Gallipoli (LE)
Asd Romano Scotti
Il circuito però è concentrato quasi interamente nella parte iniziale della stagione, non è uno svantaggio?
Dipende. Trovare spazi in un calendario così ricco non era facile soprattutto se si vogliono evitare concomitanze. La terza tappa, ad esempio, sarà concomitante con una gara nazionale a Cremona, la quarta con la prova internazionale di Brugherio e questo influirà sulla partecipazione, ma non si poteva fare altrimenti. In alcuni casi abbiamo anche provato a conciliare le nostre esigenze con quelle di altre gare, la prova di Ferentino infatti potrebbe essere anticipata al sabato per consentire ai partecipanti di raggiungere di sera Bisceglie e gareggiare il giorno dopo al Mediterranea Cross.
Le vostre gare hanno sempre avuto grandi numeri di partecipazione: che riscontri state avendo dalle società?
L’attesa è enorme e proprio il fatto che buona parte della challenge sarà a ottobre dovrebbe portare nelle nostre gare tutto il meglio del panorama italiano. Di fatto saremo il cammino introduttivo alla stagione internazionale e agli europei di novembre. Noi abbiamo avuto sempre almeno 400-500 partecipanti con punte di 800 e sarà così anche quest’anno.
Primo appuntamento a Corridonia (MC), ormai classico per il Giro (foto Lanfranco Passarini)A Osoppo la gara più a nord, garantita la presenza dei big (foto Alessandro Billiani)A Sant’Elpidio a Mare il giro di boa del circuito (foto Lanfranco Passarini)Primo appuntamento a Corridonia (MC), ormai classico per il Giro (foto Lanfranco Passarini)A Osoppo la gara più a nord, garantita la presenza dei big (foto Alessandro Billiani)A Sant’Elpidio a Mare il giro di boa del circuito (foto Lanfranco Passarini)
Sei gare sono secondo te il numero giusto?
Diciamo che una challenge può avere dalle 6 alle 8 gare. Se avessimo dovuto accettare tutte le richieste che abbiamo avuto, sarebbero state molte di più. Abbiamo avuto proposte da ogni parte d’Italia, anche da Sardegna e Sicilia, ma alla fine abbiamo dovuto privilegiare chi era già stato con noi, chi ha una struttura consolidata e, va sottolineato, ha anche investito negli anni scorsi nella nostra creatura. Qualcuno l’ha presa male, non lo nego, ma con un calendario così ricco non potevamo fare altrimenti.
Quindi vi aspettate al via tutti i migliori…
Io ho mantenuto i contatti con tutti, dopo anni alla guida della nazionale si sono ormai formati legami forti. Molti mi vedono come un fratello maggiore. So che verranno in tanti, anche Luca Braidot (bronzo ai mondiali di Mtb, ndr) mi ha detto che vorrebbe quest’anno fare più ciclocross per preparare il 2023 e conta di esserci. Il problema è vedere chi ci sarà realmente. Temo infatti che come sempre la strada fagociterà molto talenti, soprattutto fra giovani e donne elite, chi riuscirà a resistere alle pressioni dei team e fare attività invernale?
A Follonica nel 2022 pioggia e fango. Come sarà il 30 ottobre? (foto Chellini)L’Mtb Ferentino Bikers, a loro l’onere della quinta tappa (foto Bit e Led)Chiusura a Gallipoli per una gara in riva alla spiaggia (foto Roberto Roca)A Follonica nel 2022 pioggia e fango. Come sarà il 30 ottobre? (foto Chellini)L’Mtb Ferentino Bikers, a loro l’onere della quinta tappa (foto Bit e Led)Chiusura a Gallipoli per una gara in riva alla spiaggia (foto Roberto Roca)
Tornando alle origini del Giro d’Italia, quant’è cambiato da allora il movimento?
Tantissimo, i numeri sono notevolmente aumentati e soprattutto sono coinvolti grandi team al nostro fianco, ma vorrei sottolineare anche l’apporto che da quest’anno avremo con l’Iris, azienda di primissimo piano nel campo del rinnovamento ecologico. D’altronde ci sono i numeri a testimoniare il valore del Giro, come le oltre 417 mila visualizzazioni dei video sulla pagina Facebook, i 331 team accreditati nella scorsa edizione per un totale di 4.044 presenze. Hanno ragione in Fci, è un patrimonio che non si può disperdere.
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Contatto con Damilano, diesse piemontese. Propone di organizzare gare quando non ce ne sono. E la Federazione ha sbagliato con la riforma delle regionali
Guardando settimana dopo settimana l’andamento dell’attività juniores internazionale, è facile notare come ai primi posti delle grandi prove, sia a tappe che d’un giorno, ci siano due team che spopolano. Uno è l’Auto Eder che abbiamo visto essere l’emanazione fra i più giovani della Bora Hansgrohe. La storia del Cannibal Team, che già dal nome sembra incutere terrore, è ben diversa. Formazione di nascita belga, è qualcosa che va molto al di là: una vera e propria multinazionale di talenti, con corridori che provengono da ben 17 Nazioni.
Un team che fa dell’originalità il suo punto forte e lo si capisce già dalla sua singolare storia, raccontata con infinita passione dal suo direttore sportivo Francis Van Mechelen.
«L’idea è nata una decina di anni fa a me e mia moglie, Erika Aliskeviciute – spiega – che correva e che è ora la presidente del team. Eravamo in Lituania allora e volevamo dare la possibilità di fare ciclismo ai nostri figli Vlad e Gloria, ma non trovavamo un team adatto».
Erika Aliskeviciute, madre e presidentessa del team con Vlad e Gloria Van MechelenErika Aliskeviciute, madre e presidentessa del team con Vlad Van Mechelen
«Così abbiamo pensato di fare da soli, facendo una squadra solo di coetanei dei nostri figli (Vlad è del 2004, Gloria due anni più grande). Loro crescevano, passavano di categoria e lo stesso faceva il team, facendo crescere con loro altri ragazzi che arrivavano da ogni parte del mondo, fino ad arrivare alla realtà attuale con 24 corridori di 17 Paesi diversi».
Perché avete scelto questa soluzione?
Noi abbiamo scelto inizialmente ragazzi provenienti da Paesi dove il ciclismo non è uno degli sport maggiormente praticati, per dare loro modo di vivere la propria passione, ma pian piano siamo cresciuti e l’idea con noi. Noi viviamo in Lituania, il Paese di mia moglie, ma i ragazzi sono in Belgio per seguire l’attività. Abbiamo ben chiaro ciò che vogliamo fare noi e vogliono fare i nostri ragazzi, dobbiamo solo metterli nelle condizioni migliori per raggiungere i loro limiti. Non è un caso se Vlad è l’unico belga del team.
Da sinistra Ermakov (RUS), Van Mechelen (BEL), Shmidt (USA), Ragilo (EST), Chamberlain (AUS) e Rode (NOR)Da sinistra Shmidt (USA), Ragilo (EST), Chamberlain (AUS) e Rode (NOR)
La particolarità, visto il momento storico, è che al suo interno ci sono ciclisti russi, ucraini e americani…
Per noi questo è molto importante. I ragazzi sono cresciuti insieme, sono amici tra loro e la guerra gli è piovuta addosso. Sono un esempio di come lo sport trasmetta messaggi ben diversi da quelli che sentiamo nei telegiornali. Sono qualcosa da raccontare ai giovani, per far capire che è lo sport il terreno adatto per competere, in maniera leale, in comunità, restando amici. I corridori russi sono arrivati molti mesi fa, hanno iniziato ad allenarsi con gli ucraini e hanno subìto la guerra esattamente come i loro coetanei provenienti dall’altra parte. Odiano la guerra allo stesso modo, sono vittime come noi perché la guerra non ha vincitori, fa solo vittime.
Tra tanti ciclisti non ci sono italiani. Avevate pensato a qualche corridore nostrano da contattare?
Grazie per la domanda perché mi consente di sottolineare come i rapporti con il ciclismo italiano e la sua federazione siano sempre difficili. Ogni volta che partecipiamo a una gara italiana dobbiamo sempre presentare una marea di documenti, quando si gareggia in Belgio come in qualsiasi altro Paese è tutto molto più semplice. Nel corso degli anni, anche pochissime settimane fa, abbiamo ricevuto tante richieste da parte di corridori italiani e ne prenderemmo volentieri e vogliamo farlo, ma gli ostacoli che la Fci pone sono davvero enormi. Vi faccio un esempio…
Vlad Van Mechelen fra Ragilo, 1° alla Junioren Rundfahrt e Ermakov, 1° alla Route des GeantsVlad Van Mechelen, 3° nella penultima tappa in Lunigiana, con Ermakov, 1° alla Route des Geants
Prego…
Ad inizio anno mio Vlad era venuto in Italia per il Giro di Primavera a San Vendemiano, non volevano farlo partire, per fortuna ho trovato persone alla federazione belga che al sabato hanno trasmesso i documenti richiesti, così Vlad ha potuto correre e finire secondo. Bisogna che in Italia qualcosa cambi, non è possibile continuare così, sia per gareggiare, sia per favorire gli scambi, che poi rappresentano un’insostituibile esperienza di crescita.
A tal proposito, come vivono insieme?
Noi abbiamo corridori che vengono da Paesi come Usa o Australia, che hanno bisogno di un visto e possono restare 3 o 4 mesi. Sono quelli delle gare, poi ripartono e tornano successivamente. Quelli europei hanno più facilità di movimento, raggiungono il punto base per un paio di settimane legate all’evento, poi tornano a casa. Noi abbiamo una Team House frequentata da almeno 6-7 ragazzi ogni giorno: fanno tutto insieme, dalle faccende domestiche alle uscite di svago, dallo studio agli allenamenti. Si vive come una vera famiglia e questa comunanza si traduce anche in gara, dove corrono davvero come un gruppo unito.
Shmidt e il diesse Francis Van Mechelen, pronto ad allargare ancora il team (foto The Young Peloton)Shmidt e il diesse Francis Van Mechelen, pronto ad allargare ancora il team (foto The Young Peloton)
Siete collegati a qualche squadra WorldTour?
Proprio nelle ultime ore abbiamo stretto un rapporto con un team WorldTour come formazione Development, ma lo annunceranno loro. Intanto però i nostri ragazzi hanno già siglato accordi con formazioni U23 dell’area WorldTour: mio figlio e l’estone Ragilo andranno al Team DSM, l’americano Shmidt all’Hagens Berman Axeon, ma anche altri si muoveranno.
Fra loro c’è anche suo figlio Vlad: correre con tanti stranieri lo ha fatto crescere?
Enormemente e non solo come corridore. Noi abbiamo iniziato a far correre i nostri ragazzi quando avevano 10-11 anni, hanno corso in tutta Europa, anche alla vostra Coppa d’Oro, questo li ha portati a gareggiare nelle gare junior Uci senza stress, quasi fosse normale e devo dire che questo atteggiamento mentale ce l’hanno anche i ragazzi italiani, molti dei quali ad esempio parlano bene inglese. Io ho visto Vlad maturare tantissimo come persona e questo serve anche agonisticamente, come si è visto al recente Giro della Lunigiana. Ora è già stato convocato per i Mondiali e ci aspettiamo tanto.
Vlad con due dei tanti campioni nazionali del team: Tobias Nakken (NOR) e Frank Ragilo (EST)Due dei tanti campioni nazionali del team: Tobias Nakken (NOR) e Frank Ragilo (EST)
Chi sono gli elementi più promettenti?
Sono tanti quelli che possono far bene anche fra i pro’, ma il migliore probabilmente è Roman Ermakov e mi dispiace sinceramente che l’Uci non gli permetta di poter competere ai mondiali penalizzandolo solo per colpa del suo passaporto, penalizzandolo per colpe non sue. Avrà comunque un grande futuro.
Riguardo a questi ragazzi, qual è il suo sogno?
Quando i ragazzi erano piccoli, il sogno era farli salire di categoria in categoria. Ora vogliamo che arrivino al WorldTour, noi intanto andremo avanti, cercheremo di prendere 2-3 ragazzi da ogni Paese e farli crescere insieme, non solo ciclisticamente. Ad esempio i nostri ragazzi hanno tutti appreso l’inglese in massimo 3 mesi. Li facciamo crescere insieme, vivere insieme, diventare uomini veri. Siamo aperti, nonostante tutto, anche a portare da noi qualche italiano: chi volesse può scriverci a cannibalcycling@gmail.com presentandosi con il proprio curriculum. A noi piacerebbe molto…
«Lo so che faccio la figura del rompic… – esordisce Carlo Iannelli – non sono un leone da tastiera, ma che cosa devo fare? Quale altro strumento ho per far capire che si sta perpetrando una grave ingiustizia, coprendo non solo chi è stato chiamato in causa, negando la possibilità di arrivare alla verità?».
7 ottobre 2019. Quel giorno finisce, troppo troppo presto, la vita di Giovanni Iannelli, promettente corridore pratese vittima di una caduta all’87° Circuito Molinese di Molino dei Torti, gara under 23 in provincia di Alessandria. Quel giorno finisce anche la vita, per come era stata fino ad allora dedicata alla famiglia, al lavoro, al sostegno della passione del figlio, per Carlo Iannelli, avvocato toscano (padre e figlio sono insieme nella foto di apertura).
Iannelli correva per la Uniontrade-Cipriani e Gestri. Era un buono sprinter con doti di passistaIannelli correva per la Uniontrade-Cipriani e Gestri. Era un buono sprinter con doti di passista
La vita strappata a 22 anni
Ne inizia un’altra, che si tramuta ben presto in una lotta quotidiana, interminabile, per rendere giustizia a suo figlio. Un autentico inferno, fatto di aule di tribunale, carte bollate, documenti su documenti, un labirinto che non porta mai da nessuna parte.
Giovanni muore a 22 anni. Cade in volata, finisce contro un pilastro di mattoni, a meno di 150 metri dal traguardo. Le immagini tv, le foto scattate (in rete sono ancora disponibili) dimostrano chiaramente che pur essendo una gara nazionale (come se questo dovesse fare la differenza) non ci sono protezioniadeguate. Quelle protezioni minime necessarie per gestire in sicurezza un evento ciclistico, neanche le transenne se non per gli ultimi 40 metri.
La vicenda prende subito una piega strana: il rapporto dei Carabinieri segnala il loro arrivo sul luogo dell’incidente alle 16,15, la gara si conclude alle 16,24… Non vengono fatti rilievi, misurazioni, non vengono scattate foto né sentiti testimoni tra cui gli altri ciclisti coinvolti nella caduta. Sul verbale si scrive che Giovanni è caduto in maniera autonoma per l’alta velocità, in fase di sorpasso di altri corridori. Il rapporto della giudice di gara segnala che il corridore è stato “incauto”.
Il successo di Iannelli alla Coppa Caivano, seconda vittoria nel 2014Il successo di Iannelli alla Coppa Caivano, seconda vittoria nel 2014
Un cammino di umiliazioni
Questa è solo la prima umiliazione che deve subire Carlo. Nel corso dei mesi, delle udienze, delle arringhe ne arrivano tante altre, affermazioni che fanno rabbrividire come quella dell’avvocato difensore del Comune di Molino dei Torti (chiamato a rispondere in sede penale insieme alla società organizzatrice, ai due direttori di corsa, presidente di giuria e Comitato Regionale Piemontese della Fci): «I genitori hanno altri figli e i nonni altri nipoti».
A tre anni di distanza, Carlo è provato, ma non domo: «Due anni dopo è arrivata l’archiviazione da parte della giudice di Alessandria – dice – negando così la possibilità di un processo. Ho percorso mille altre vie legali per far riaprire il caso, trovando spesso porte chiuse e, quando anche qualcuno si rendeva conto di quanto stava accadendo, si scontrava con il classico muro di gomma. Ricorsi rigettati senza neanche essere esaminati nel merito, appena ricevuti. Ma io non mi arrendo, lo devo alla memoria di mio figlio».
13 aprile 2014, Iannelli alla Roubaix juniores. Finirà fuori tempo massimo, a 14’58” dal vincitore Klaris (DEN)13 aprile 2014, Iannelli alla Roubaix juniores. Finirà fuori tempo massimo, a 14’58” dal vincitore Klaris (DEN)
Le due vite di Carlo
La vita di Carlo, che ha sempre vissuto nel ciclismo, da presidente di società a giudice di gara, affiancando quella sua passione al lavoro e corroborandola al seguito di suo figlio Giovanni, passa attraverso due binari. Uno è il costante impegno in sede legale per riuscire ad avere un processo dove finalmente si possa quantomeno discutere di quel che avvenne quel maledetto pomeriggio. L’altro passa attraverso i social.
Molti avranno fatto caso chesu Facebook come su Instagram, sotto moltissimi post ciclistici ma anche di altri argomenti, compare Carlo che pubblica gli aggiornamenti su come sta andando la sua battaglia legale. Per certi versi sembra un novello Don Chisciotte, con uno smartphone al posto della lancia, unica arma per combattere uno status quo granitico.
Carlo Iannelli con in braccio Giovanni vicino a Marco Pantani. Due vite spezzate troppo prestoCarlo Iannelli con in braccio Giovanni vicino a Marco Pantani. Due vite spezzate troppo presto
La similitudine con Pantani
La sua storia per certi versi ricorda la tenacia con cui Mamma Tonina ha continuato a lottare, giorno dopo giorno, per arrivare alla verità sulla morte di suo figlio Marco Pantani.
«Io ho iniziato ad andare in bici guardando Marco – dice – custodisco in ufficio una foto con lui, mio fratello e Giovanni da bambino. Sono pienamente convinto che dietro la sua morte e le sue vicende precedenti ci sia stato un complotto, ma le similitudini si fermano qui, le circostanze sono troppo diverse».
Il dolore che traspare a ogni sua parola, tanto sofferta quanto soppesata, si mischia alla tenerezza alla domanda su chi fosse Giovanni Iannelli.
«Un ragazzo d’oro, corridore esemplare, che interpretava questo sport con una passione enorme, ma senza cedere mai a nessuna lusinga, a qualsiasi scorciatoia. Si era tesserato a 5 anni, ancor prima di avere l’età per gareggiare da bambino. Ha fatto tutta la trafila, ha iniziato a vincere al primo anno junior, vicino a Signa, battendo in un colpo il campione toscano Baldini e quello italiano Trippi.
La sua unica convocazione in azzurro fu a Roubaix, un’emozione enormeLa sua unica convocazione in azzurro fu a Roubaix, un’emozione enorme
La chiamata in azzurro
«Un giorno al suo diesse Mirco Musettiarrivò la chiamata di RinoDe Candido, selezionatore della nazionale juniores: voleva Giovanni per la Parigi-Roubaix di categoria. Mio figlio si ritrovò in squadra con Ganna, Affini, Plebani. Era entusiasta. In gara forò dopo 40 chilometri perdendo il treno giusto, ma volle finirla a tutti i costi, anche se fuori tempo massimo».
Il 7 ottobre saranno tre anni che Giovanni non c’è più. Carlo continua la sua battaglia: «Chiedo solo che un magistrato abbia il coraggio di andare contro il sistema, di esaminare tutte le carte. Di capire che quel giorno sono state commesse gravi mancanze che hanno portato alla morte di mio figlio e che le stesse sono state artatamente coperte. Io continuerò a lottare e a raccontare la mia battaglia».
Quando troverete i suoi commenti in fondo a qualsiasi post, forse da ora in poi li guarderete in modo diverso…