Verso il voto: il programma del candidato Perego

21.01.2021
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Fabio Perego è il quarto candidato, quello che nessuno si aspettava, se non altro perché è stato impegnato fino all’ultimo nelle elezioni per il Comitato regionale lombardo. Poi, sconfitto, ha scritto il secondo programma: questa volta per la Presidenza federale.

Se i candidati vanno pesati per il curriculum, di sicuro Martinello è il primo della classe come atleta, ma Perego lo è indubbiamente per i ruoli ricoperti. Atleta e tecnico. Organizzatore e politico. Forse per questo, a detta dei delegati che nelle ultime settimane si stanno concedendo interminabili call su piattaforma digitale, Fabio è quello capace di dare risposte nello specifico.

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Il Direttore Generale

Il programma è stringato: 11 pagine condensate, che fanno trapelare le idee chiare e assieme il poco tempo avuto per stilarlo. Per leggerlo è sufficiente cliccare al link precedente, mentre vogliamo soffermarci su un paio di punti che hanno richiamato la nostra attenzione. Primo fra tutti il fatto che Perego sia l’unico a proporre la figura del Direttore Generale. A sgombrare il campo, la battuta che circolava era che Di Rocco avrebbe appoggiato chiunque gli avesse garantito quel ruolo. Perego ride e comincia.

«Sono l’unico che l’ha tirato fuori – dice – perché sono convinto che sia necessario. Il Direttore Generale può anche essere la stessa figura del Segretario Generale, perché alla fine sono molto vicini, però deve avere determinate caratteristiche. E’ una figura di coordinamento che per il raggiungimento degli obiettivi è fondamentale. Non può fare tutto il Presidente. Il Direttore Generale è una figura più completa, è quello che verifica il raggiungimento degli obiettivi, le varie commissioni, le varie componenti del Consiglio Federale. Se si tornasse a quando ognuno dei componenti del Consiglio aveva una propria competenza e un budget da gestire, sarebbe giusto anche che ci fosse una figura di coordinamento che verifichi l’andamento delle cose e riferisca al Presidente. Un direttore generale d’azienda è una figura di coordinamento ma anche di controllo

Giudici di gara 

Un aspetto su cui puntano sia lui sia Martinello è quello della riqualificazione dei Giudici di gara e dei Direttori di corsa

«Se la Commissione dei giudici di gara e il suo Presidente non fossero nominati dal Consiglio Federale – dice Perego – ma all’interno della categoria, già avremmo un problema in meno. Si parla di autonomia, i giudici devono lavorare in autonomia perché non devono subite alcun tipo di influenza. Troviamo un sistema di elezione, ma nessuno potrà dire che il tale giudice è lì perché è amico di qualcuno. Tenete presente che i giudici non votano e tenete presente che la meritocrazia non sempre vince. La prima cosa è ridargli autonomia e poi forse alcune norme vanno riviste. Una è quella sul limite massimo di età: a 70 anni vai in pensione. Conosco persone che a 70 anni che sono meglio di quelle di 50. Per cui porterei il limite a 75 anni, valutando i singoli casi, in modo che i più esperti diventino una risorsa per i giovani, soprattutto all’interno delle Commissioni regionali. E poi c’è il limite dei 50 anni per prendere parte ai corsi di formazione. Io ho 54 anni e non potrei fare il giudice? Quel limite non va bene. Se anche recluti ragazzi giovani di 18-19 anni, dopo un po’ te li portano via e ti trovi senza giudici».

Delle Case e Bertolotti hanno fatto della Uec un modello di efficienza
Delle Case e Bertolotti hanno fatto della Uec un modello di efficienza

Direttori di corsa

I Direttori di corsa portano sulle spalle la responsabilità (anche penale) della carovana. E’ vero che è prevista un’assicurazione, ma è vero che un conto è dirigere una gara in pista, altrsa cosa portare in giro nei paesi gruppi di ragazzini.

«Queste persone vanno assolutamente formate – dice Perego – devono essere consapevoli di quello che stanno facendo, del loro ruolo. E quando in questo ruolo si raggiunge una certa professionalità, è giusto che in qualche modo si venga retribuiti, perché hanno delle responsabilità davvero importanti. Hanno bisogno di una tutela legale. Dovrebbero partecipare agli incontri con i Prefetti, col capo della Polizia. Per sicurezza e gestione della gara è il Direttore che comanda. E lui che dice fermiamo la gara o attraversiamo un fiume».

I tricolori

Un capitolo a parte del suo programma verte sugli standard organizzativi delle gare titolate: i campionati italiani su tutti. E’ possibile si chiede Perego che ciascuna prova tricolore, nello stesso anno, abbia standard differenti?

«Io farei come in altre federazioni, in Francia e in Belgio – dice – con una commissione (anche solo di 3 persone) che ha un capitolato tecnico a garanzia di uno standard organizzativo omogeneo almeno alle gare titolate. Ogni anno si organizzano decine di gare di campionato italiano, facciamo che i backdrop per le interviste siano omogenei? Che i palchi siano fatti allo stesso modo per montare pannelli pubblicitari di dimensioni concordate? Non è possibile avere un’organizzazione a Usmate e una a Trento. Agli sponsor devi vendere pacchetti uniformi. Ai tricolori di cross a Lecce hanno fatto tutto quello che potevano e anche di più. Potevano gestire meglio la zona box, sicuramente potevano fare meglio e ci sarebbero riusciti se la Federazione gli avesse mandato la sua commissione per dargli le linee guida. Diventa anche più facile perché alla fine la Federazione può mettere di mezzo i suoi fornitori e offrire le professionalità con cui lavorerà in modo continuativo».

Fabrizio Carnasciali, Coppa Fiera Mercatale
I giudici di gara vanno formati, retribuiti e assistiti legalmente
Fabrizio Carnasciali, Coppa Fiera Mercatale
I giudici di gara vanno formati, retribuiti e assistiti legalmente

Il fuoristrada

Il fuoristrada rappresenta più del 50 per cento dei praticanti. E come Martinello si sta circondando di personaggi che ne sono l’espressione, anche Perego drizza le antenne.

«Il fuoristrada secondo me – dice – occupa il 70 per cento dell’attività, insieme al Bmx. Il bimbo di 6 anni non lo porto in pista, lo porto con la Mtb regalata dal nonno al bike park di Usmate. Dobbiamo ripartire da qua, da questo progetto e far crescere i ciclisti di domani. Dobbiamo riprendere tutta l’attività e riportarla dove si può farla. Dove ci si può muovere. Ormai anche le stradine secondarie sono delle tangenziali. Mia moglie, che ha sposato uno che va in bici e che vive quasi di ciclismo, quando passa una volta all’anno una gara davanti casa e la fermano per 10 minuti mentre vuole andare al bar per fare colazione, perde la pazienza e dovreste sentire come sbotta. E qui entra in ballo il tema della sicurezza. 

«Se andate sul sito della Federazione c’è una tessera, creata per la gente che usa la bici per andare al lavoro, messa lì come mille progetti buttati senza esser seguiti. Quelli che usano la bici per spostarsi in città possono diventare tesserati. Se noi diamo loro in primis una garanzia assicurativa, poi delle convenzioni con il meccanico, sconti sui vestiti, sconti su vacanze in bike hotel… Sono dati che nessuno sta guardando, ma si traducono in numeri che si possono vendere. La Federazione sul territorio c’è, ma devi lasciar lavorare i singoli Comitati».

Alice Maria Arzuffi, Lecce 2021
Ai tricolori cross di Lecce hanno fatto del loro meglio, la Fci poteva aiutare a fare di più
Alice Maria Arzuffi, Lecce 2021
Ai tricolori di cross a Lecce si poteva dare più appoggio

Enti di promozione

Infine il movimento cicloturistico e quello amatoriale. Le Gran Fondo come volano per l’attività giovanile, i grandi al servizio dei piccoli. Secondo una strategia comune anche agli altri candidati. Con la differenza che Perego valta anche la collaborazione con gli Enti di promozione turistica.

«Si può fare la guerra che vuoi – dice – ma gli Enti sono emanazioni dirette di Confindustria e altri colossi. Di fatto devi trovare un sistema per collaborare e lavorare insieme. Il primo è uno standard di sicurezza e già quest’anno mi pare che abbiano obbligati ad avere il direttore di corsa. Dobbiamo sederci a un tavolo e trovare la quadra. Se gli dai appeal e gli dimostri qual è la differenza, allora riesci a portare a te i loro tesserati. Ma se continui a pensare che gli amatori siano dei bancomat, non funziona. Devi dare i servizi. Anche i Comitati provinciali ti aiutano ad organizzare, ma certo abbiamo costi di affiliazione molto superiori. Probabilmente perché loro non hanno nemmeno un carrozzone come il nostro da portarsi in giro».

Marketing e comunicazione

I dipendenti servono, ma bisogna che rendano per quello per cui sono pagati.

«Non è possibile che agli europei o ai mondiali della pista – dice Perego – la foto dell’azzurro che vince la medaglia venga dal cellulare di un addetto stampa. Non è possibile che la Fci non abbia un contratto con un fotografo che dopo 8 minuti ti mandi la foto di Ganna campione del mondo. La comunicazione e il marketing devono essere esterni, per bando, ma devono funzionare. E se non funzionano, si cambia. A noi serve uno standard di un certo tipo. La Uec è una società piccola, ha il suo fotografo, il suo operatore. Bisogna uscire dalla dimensione del volontariato…».

Verso il voto: il programma del candidato Dagnoni

20.01.2021
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Dagnoni ha la sua storia nel ciclismo ed ha alle spalle anche trascorsi da industriale che lo inducono a ricondurre anche la Federazione ciclistica nell’alveo di un’azienda. Sia pure ripercorrendo dinamiche e toni che rievocano altre discese in campo, è impossibile non dargli atto che alcune delle sue critiche siano ben più che pertinenti. L’esigenza di un bello scossone è forse la cura più adatta per un organismo, talmente abituato ad avere i tempi rallentati, da non accorgersi nemmeno più dell’anomalia.

Prosegue il nostro viaggio nei programmi dei candidati alla presidenza. E dopo aver parlato con Daniela Isetti e con Silvio Martinello, oggi abbiamo fra le mani il programma dell’ex presidente del Comitato regionale lombardo: 11 pagine con l’idea di fare della Fci un’azienda.

Attorno a Montichiari si potrebbe costruire una foresteria
Attorno a Montichiari si potrebbe costruire una foresteria

La burocrazia

“Molto spesso – si legge nelle dichiarazioni di intenti iniziali – i vertici della FCI sono scollegati dalle problematiche della base. Per questo motivo sarà rivolta la massima attenzione alla ricostruzione di uno stretto rapporto tra la FCI centrale, gli organi periferici e le società, che possa garantire un riscontro costante con le realtà dei territori. Efficienza vuol dire anche facilitare la vita delle società, che sono il cuore pulsante della nostra struttura, attraverso un’attività di semplificazione, una sburocratizzazione al fine di rendere le procedure più veloci”.

Come avrà modo di ammettere lui per primo, la parola “sburocratizzazione” non è fra le più belle, ma rende bene l’idea.

«Già da Presidente del Comitato regionale lombardo – dice Dagnoni – soffrivo i legacci che ci erano imposti. Capitava che dopo una riunione si andasse a mangiare una pizza e finivo sempre col pagare io con la mia carta e poi presentavo domanda di rimborso. Altrimenti avrei dovuto chiedere tre preventivi e accettare il più vantaggioso. E’ una cosa che ci è stata chiesta anche per l’acquisto dei fiori per il funerale di Gimondi. Per la mia concezione di Federazione, le procedure vanno rispettate, ma bisogna anche puntare a sbloccare le situazioni. Le cose vanno semplificate. Nella mia azienda ho sempre coinvolto i collaboratori, facendoli sentire parte del progetto. Adesso invece sono lì come impiegati senza stimoli. C’è da lavorare per valorizzarli. E c’è da lavorare perché questa azienda si distingua per i servizi che offre.

«Non deve esserci soltanto il culto dei profitti, ma quello di essere accanto ai propri tesserati. Sto valutando anche l’ipotesi di ricreare le tessere fisiche, come le card degli abbonamenti di calcio, caricandoci dentro servizi e convenzioni che faccia sentire i ragazzi orgogliosi di averle».

I campioni possono essere testimonial per conquistare bambini al ciclismo
I campioni possono essere testimonial per conquistare bambini al ciclismo

Il reclutamento

Un programma pratico, che non entra troppo nei dettagli e improntato all’agire dell’imprenditore che prima fa e poi semmai ne parla.

«Credo si possa definire un programma concreto – dice Dagnoni – perché se propongo di rifare la Sei Giorni di Milano, potete essere certi che ho già parlato con City Life e ho individuato anche il posto. E se parlo dell’Academy di Montichiari, è perché già da un po’ sono in contatto con il sindaco. Il velodromo è l’unico coperto in Italia, quindi è una risorsa. Ma ad esempio le nazionali spendono ogni anno dei bei soldi all’Hotel Garda, non sarebbe più funzionale costruire una foresteria, in cui giri sempre gente?

«Può esserci un’area commerciale. Ci può essere anche il centro estetico, casomai una mamma voglia farsi i capelli mentre aspetta i figli. Una struttura completa di tutti i servizi e anche la creazione di un centro di specializzazione. Si ricrea così il gruppo delle discipline veloci, da abbinare all’impianto di Bmx di Verona. Una struttura che preveda anche l’organizzazione di campus estivi, in cui alla presenza di tecnici federali, fai girare i bambini, portandoli in pista, a giocare con la mountain bike o sulla Bmx. E intanto li osservi e a loro magari viene voglia di cominciare. Al discorso delle scuole credo un po’ meno, per le difficoltà oggettive di mettere d’accordo le varie componenti, le poche ore a disposizione e i rischi cui si espone l’insegnante in caso di caduta».

La comunicazione

L’osservazione delle strade fa pensare che ci siano molti più praticanti che tesserati per la Federazione, soprattutto da quando il Covid ha messo in bicicletta schiera di appassionati dell’ultima ora cui magare sfugge anche l’utilità assicurativa di avere una qualsivoglia tessera.

«Sono convinto – dice Dagnoni – che non riusciamo a sfruttare il nostro potenziale. A parte i tesserati, c’è un pubblico molto più ampio. Il calcio può contare i suoi appassionati, perché i posti negli stadi sono numerati, noi abbiano un bacino di utenti esagerato che in qualche modo dobbiamo intercettare. Se riusciamo a sfruttarlo, diventiamo appetibili anche per le industrie che investono. Ho parlato con alcune persone e hanno detto che sarebbero disposte a puntare tanto su un progetto di qualità, mentre non sono interessate a mettere pochi soldi su qualcosa di poco spendibile. Bisogna dare per ricevere, ma credo che non si sia mai fatto.

«La Federazione è statica. Su Instagram mi arrivano le notifiche degli sport invernali, che quasi in tempo reale mandano i video delle gare e lo spot dello sponsor. La legge di Darwin dice che “solo chi sa adattarsi sopravvive e conquista il suo ambiente” e noi questo dobbiamo fare. Non credo serva molto per fare meglio, ma è certo che se sai comunicare, è anche più facile vendere il prodotto ciclismo».

Dagnoni non parla di tecnici, ma pensa a un rinforzo per Celestino nella Mtb
Dagnoni non parla di tecnici, ma pensa a un rinforzo per Celestino nella Mtb

L’aggiornamento

Il ciclismo, ricorda, si è sempre basato sul volontariato. Questo un po’ stride (dal suo punto di vista) con la qualificazione che di tante figure ha determinato l’azione del Centro Studi. Il punto a dire il vero è un po’ controverso, perché si potrebbe percepire il rischio del passo indietro. Soprattutto là dove si vorrebbero fermare gli aggiornamenti lasciando a società e tecnici il compito di decidere su cosa aggiornarsi.

Si legge nel programma che il Centro Studi dovrà recepire le esigenze della base “per elaborare soluzioni efficaci finalizzate alla crescita del movimento. In concreto saranno le società e i direttori sportivi ad evidenziare necessità ed esigenze, per fornire al settore elementi per adeguare i contenuti e le modalità della formazione alle reali necessità. Sarà introdotto un sistema dei crediti che tenga conto dell’attività svolta effettivamente dai tecnici e che eviti, almeno parzialmente, i corsi (e i costi) di aggiornamento obbligatori previsti con un’attività alternativa di formazione”.

«Il Centro Studi – dice Dagnoni – ha esasperato la formazione, al punto che adesso anche gli Asa si fanno pagare per svolgere il servizio che fino a ieri era appannaggio della Protezione Civile. Sono d’accordo che ci sia bisogno di figure professionali, ma non di professionisti».

I tecnici azzurri

L’ultimo punto, lasciando gli altri alla lettura del programma completo, riguarda le nazionali. Si sa, quando arriva il nuovo Presidente, inizia di solito anche il ballo delle ammiraglie, a volte per il semplice voler cambiare e accontentare chi ha aiutato ad essere eletti.

«Ma non è il mio caso – dice Dagnoni – anche se dei nomi mi sono stati indicati. Sino alla fine dell’anno non si tocca nulla e questo è anche positivo, perché ci sarà il tempo di guardarsi in giro e valutare chi potrà rimanere e chi eventualmente non sarà confermato. E anche capire chi sarà disponibile per essere eventualmente coinvolto. Mi viene da dire che forse metterei mano nel settore fuoristrada, perché Celestino da solo non può farcela. Magari prevedrei l’aggiunta di un tecnico per dividere il cross country dalla marathon e anche valuterei la possibilità di collaborazione fra le varie discipline. Ad esempio il ciclocross potrebbe collaborare con la Mtb, trovando modo di integrarsi durante l’estate, quando l’attività per loro è ferma.

«In ogni caso ci saranno delle cose da fare con la necessaria gradualità. Prima farei un’assemblea con i Comitati regionali e quelli provinciali, allargando la platea e coinvolgendo tutti. C’è da mettere mano allo Statuto Federale, ci sono cose che non capisco. Bugno, che ben conosciamo, voleva candidarsi come mio vicepresidente ma gli è stato impedito dato che l’anno scorso non era tesserato. Potrei trovare un top manager d’industria, che abbia voglia di impegnarsi in Federazione e non potrei coinvolgerlo perché non è tesserato? C’è davvero tanto da fare…».

Verso il voto: il programma del candidato Martinello

19.01.2021
6 min
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Tanto è organizzato e schematico il programma di Daniela Isetti, per quanto quello di Silvio Martinello è un fluire di idee: un ragionamento che va a toccare i vari aspetti della proposta evidenziando problemi e soluzioni. Due approcci completamente diversi, essendo tali anche i due candidati. Un documento di 25 pagine, suddiviso in capitoli come stazioni del viaggio.

«Immagino una Federazione – si legge in avvio – che ritorni a lavorare prioritariamente con e per la base, sostenendo i propri Comitati Regionali e Provinciali con un nuovo criterio, basato sul merito, di suddivisione dei contributi. I CR e i CP dovranno tornare alla loro funzione principale: rappresentare sul territorio il braccio operativo della struttura centrale. La FCI dovrà aiutarli a recuperare il terreno perduto dopo anni di gestione centralizzata che ha di fatto spogliato i comitati periferici (a parte qualche caso utile alla gestione del consenso) delle loro prerogative».

Tra i vari punti del programma integrale, alcuni hanno richiamato la nostra attenzione.

Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
La velocità va rifondata. Non possono essere Villa e Salvoldi a occuparsene
Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Non possono essere Villa e Salvoldi a occuparsi della velocità

Supporto alle società

Si legge nel programma: il supporto economico e formativo alle società di base, consentirà di interrompere e invertire il trend di decrescita, per consentirci di essere nuovamente attraenti e competitivi rispetto ad altre discipline sportive.

«Intendo le società – spiega Martinello – impiegate in tutta la filiera, dai giovanissimi agli juniores. Bisogna tutelarle da quella sorta di cannibalismo messo in atto da parte delle squadre più ricche, che ha portato a un impoverimento generale. Già è difficile reggere ai passaggi di categoria, ma se gli ordini di arrivo vengono decisi a tavolino da direttori sportivi che grazie ai soldi hanno a disposizione i migliori talenti, anche il reale livello di competizione viene inficiato.

«Le società – prosegue Martinello – devono essere aiutate a crescere. Dopo questa pandemia dovremo sostenerle, cercando nelle pieghe del bilancio, le risorse per non far pagare affiliazione e tesseramento. Come si è fatto nel 2020, quando sono stati stanziati 2 milioni di euro proprio per sostenerle. E poi bisogna trovare il modo affinché gli squadroni più ricchi abbiano un vincolo da rispettare nel tesseramento. E’ un problema noto da anni, cui non si è mai data una risposta».

Il ruolo di Rcs

Quando il programma affronta il settore strada, l’analisi del movimento è lucida. A fronte di una storia prestigiosa, l’organizzazione del ciclismo in Italia pecca di presunzione e il sistema traballa. I grandi sono sempre più grandi, i piccoli sono al limite dell’asfissia. L’esempio del ruolo svolto da Aso nel rilancio del ciclismo francese è un ottimo aggancio.

«E’ un punto di arrivo – ammette Martinello – altrimenti non ne veniamo fuori. Rcs prende 20 milioni di euro ogni anno dalla Rai, perché non pretenderne 21 e investire quel milione nella promozione del professionismo? Bisogna sedersi a un tavolo e occuparsi di tutto il calendario nazionale. Si può immaginare per tutte le corse un format che preveda 90 minuti di diretta, con uno studio in avvio e uno in chiusura, con un produttore che può essere la Rai. Quando Amici lascerà, chi prenderà in mano la situazione? Rcs ha la sua struttura, perché non pensare a un’economia di scala, che metta i pro’ al centro del sistema?

«Il ciclismo francese – incalza Martinello – 15 anni fa era messo malissimo, Aso se lo è caricato sulle spalle. Le corse stavano sparendo e gli sponsor volevano investire sul Tour. E il Tour cosa ha fatto? Li ha invitati a investire in nuove squadre, garantendo loro la wild card. Le 2 squadre WorldTour (fa eccezione la Fdj che c’era anche prima) e le 4 professional francesi sono figlie di questo lavoro. E’ legittimo che una società faccia profitto, ma se non costruisci il movimento, cosa ti resta? A Cairo hanno spiegato la situazione in questi termini? E’ un progetto ambizioso, ma a quel tavolo la Federazione può mediare, avendo la consapevolezza dei rischi per l’intero movimento».

A Cairo qualcuno ha spiegato che Rcs potrebbe avere un ruolo costruttivo, da cui avrebbe vantaggi a lungo termine?
Cairo vuole intervenire a favore del ciclismo italiano?

Le nazionali

La maglia azzurra è il fiore all’occhiello, ma secondo Martinello l’organizzazione su cui sono basate le nazionali è figlia di retaggi superati. Il mondo anglosassone ha indicato la via già da anni. 

«Il progetto – dice Martinello – prevede di mettere a capo delle nazionali un Team Manager con responsabilità dirette di coordinamento e di organizzazione. Non sarà un team privato, perché farà comunque capo al Consiglio federale. Si tratta del proseguimento del progetto che portai in Federazione nel 2005.

«Oggi ogni gruppo lavora col suo personale, mentre immagino una squadra di meccanici e massaggiatori trasversali a tutti. Una struttura molto più snella, composta anche da personale dipendente, che quando non è in giro, organizza materiali e magazzino. Serve maggiore efficienza operativa, dopo che è stato concordato un programma di lavoro pluriennale alla luce degli appuntamenti agonistici. La nazionale deve essere il gioiello di famiglia e deve godere anche di una comunicazione all’altezza. Non è possibile che l’unico in grado di renderla visibile sia Cassani, grazie al suo seguito personale. La comunicazione è un punto debole, la maglia azzurra deve essere oggetto del desiderio anche per chi vuole investire nel ciclismo. Da un’analisi dei bilanci fra il 2003 e il 2019 emerge che nel 2003 c’erano 810 mila euro di entrate dagli sponsor, nel 2019 siamo a 219 mila…».

Massimo Besnati, Davide Cassani, Marco Villa, Filippo Ganna
La nazionale gode di grandi risultati e poca visibilità: la comunicazione è importante
Davide Cassani, Marco Villa, Filippo Ganna
La nazionale gode di grandi risultati e poca visibilità

La velocità

Dopo anni di buio e disinteresse, la velocità su pista è diventata fortunatamente il pallino di tutti. Martinello la definisce “una lacuna vergognosa”.

«La lettura di Daniela Isetti sulle cause dell’abbandono – dice Martinello – è parziale e superficiale. La velocità ha bisogno di grande programmazione. C’è da mettere a punto un sistema per dare supporto agli atleti, con i Corpi militari, ma anche immaginando la nascita di una squadra da affidare al team manager. I fenomeni olandesi della velocità arrivano tutti dalla Bmx, tanto che accanto ai velodromi, c’è sempre un impianto per questa specialità. Perché nel progettare quello di Spresiano non se ne è parlato? Sono specialità intercambiabili e la Bmx è comunque una disciplina olimpica. Servono tecnici di livello che ora come ora non abbiamo. Non dico che si debba importarne da fuori, ma vanno mandati i nostri a fare stage all’estero. La Nuova Zelanda, grande come la Toscana, ottiene risultati in tutte le discipline olimpiche. Come mai?

«La nostra pista ha ottenuto risultati eccezionali grazie a due grandi tecnici come Villa e Salvoldi, ma non possono essere loro a occuparsi della velocità perché non ne hanno la competenza. Lo dimostra il fatto che Miriam Vece sia stata mandata ad Aigle, come accade ai Paesi in via di sviluppo. Ma se avessimo mandato un’altra ragazza, a quest’ora avremmo una squadra per la velocità olimpica».

Gare Bmx (foto Fci)
La Bmx è specialità olimpica ed è alla base della velocità su pista: i fenomeni olandesi vengono da lì
Gare Bmx (foto Fci)
La Bmx è specialità olimpica ed è alla base della velocità su pista

La sicurezza

Sicurezza nell’organizzare le gare, sicurezza nell’uso quotidiano. Se il bambino non può andare a scuola in bicicletta, magari non avrà mai la voglia di arrivarci prima del compagno e la bicicletta sarà sempre più lontana dal suo orizzonte. Il settore strada è a rischio.

«Qualche intervento nel Codice della strada c’è stato – dice Martinello – ma ci si è bloccati su quel 1,5 metri che non è la panacea di tutti i mali. Il legislatore dovrebbe sedersi al tavolo con la Federazione, lavorando a un modello educativo. Stiamo pagando un prezzo altissimo in termini di vite e di tesseramento. Nei Paesi in cui si sono fatti investimenti veri sulla sicurezza sono aumentati anche i tesserati. Per cui bisogna investire sugli impianti chiusi che permettono di fare attività in modo sicuro, ma insieme va aiutato chi ha la responsabilità di legiferare perché agisca nel modo giusto.

«Sul fronte degli organizzatori invece, che hanno costi notevoli, va creata la stessa economia di scala di cui si è parlato per le produzioni televisive, dotando i Comitati regionali e provinciali di infrastrutture e mezzi da mettere a disposizione delle società. Come vanno aiutati, magari anche con assistenza legale, i direttori di corsa, che hanno sulle spalle un peso incredibile».

Gli argomenti sono ancora tanti e spaziano dal sito web federale al doping, in cui viene stigmatizzata la gestione Uci dell’antidoping e anche la retroattività dei controlli, in cui all’aspetto punitivo fa affiancato quello educativo. La lettura del programma in questo caso completerà ottimamente il quadro.

Verso il voto: il programma del candidato Isetti

18.01.2021
6 min
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Fra i programmi elettorali dei quattro candidati al trono del Presidente Di Rocco, quello di Daniela Isetti (in apertura con Salvato, Cappellotto e Faustino Coppi) è senza ombra di dubbio il più articolato e probabilmente quello che nasce dalla miglior conoscenza della macchina federale. E proprio leggendolo e leggendo della volontà di semplificarne i meccanismi, ci si rende conto di quanto la Federazione sia diventata con gli anni una matrioska di organi sulla cui utilità si potrebbe aprire una riflessione a parte, dato che le lamentele di chiunque provi a organizzare qualcosa vertono sull’eccesso di burocrazia.

I punti sono 18 e coprono ogni angolo della vita federale e dell’attività ciclistica in Italia, a non lasciare fuori nulla, cercando di rendere solido ciò che con l’incuria è ormai scivolato nello sfacelo, come ad esempio il settore della velocità in cui è bastato mettere appena il naso, per suscitare già il dibattito fra Ivan Quaranta, Chiappa, Guardini, Ceci e Marco Villa.

Cominciamo da qui. E speriamo che quando i delegati si ritroveranno in assemblea per il voto che deciderà il futuro del ciclismo italiano, scelgano su basi tecniche e di buon senso e non come spesso è accaduto per il proprio tornaconto.

Paolo Simion
Paolo Simion corre alla Vittoria Giotti, ma è laureato in Scienze Motorie e ha l’abilitazione come tecnico federale
Paolo Simion
Simion, corridore laureato e tecnico abilitato

Semplificare

Nell’Isetti programma si parla di una Federazione di servizio, per affrontare il quotidiano avendo dietro il supporto della struttura federale per la gestione ordinaria e straordinaria. Sarà necessario avviare un piano di semplificazione che riguardi la revisione dei regolamenti e delle normative oltre ad incidere sulle pratiche burocratiche laddove possibile, rendendole più accessibili.

«Semplificare – dice Isetti – è necessario perché la Federazione sia di servizio e supporto per tutte le attività. Non cito mai una specialità o l’altra, perché a meno che non si debba entrare nello specifico, si parla della stessa grande casa del ciclismo. Bisogna abbattere i muri. Ma siccome mi hanno fatto notare che parlo poco del fuoristrada, diciamo che allo stesso modo in cui la pista ha in Montichiari la sua base tecnica, bisognerà creare un Centro Federale del fuoristrada, che poi sia ramificato sul territorio e agganciato alle realtà locali. Ci sarà un’attenzione rinnovata per tutte le specialità. Finora si è fatto tanto, ora va proposto un restyling del modo con cui ci proponiamo all’esterno, nel solco del buono che abbiamo già».

Bambini, Bormio, scuola MTB
Le scuole di ciclismo saranno al centro di un lavoro di restyling e potenziamento
Bambini, Bormio, scuola MTB
Le scuole di ciclismo saranno al centro di un lavoro di potenziamento

Sicurezza

Agganciata alla semplificazione viaggia la sicurezza. Anche attraverso lo sviluppo della Commissione Impianti Nazionale tramite referenti regionali, con budget dedicato, in cui la Federazione seguirà lo sviluppo dell’impiantistica, dalla progettazione alla messa in opera, per tutte le strutture in grado di favorire la promozione e la pratica sicura, curando anche la consulenza per finanziamenti pubblici e bandi. 

«La sicurezza – spiega Isetti – va affrontata trasversalmente, attraverso le necessarie ramificazioni sul territorio. In questo momento, con il moltiplicarsi delle biciclette in giro, dobbiamo andare in supporto alle Amministrazioni per organizzare il ciclismo in modo sicuro. Dalla pista di pump track nel parco cittadino, fino alla realizzazione e alla gestione dei velodromi».

Atleti e tecnici

Tra i punti di forza del programma, il Centro Studi da lei diretto negli ultimi anni può diventare il passe-partout per accedere trasversalmente a svariati contesti. Sarà effettuata ad esempio una valutazione delle varie Commissioni, anche per capire in che modo siano sinergiche con i territori. Ne verrà istituita una degli Atleti e dei Tecnici, con parere consultivo, e una delle categorie giovanili, che si riunirà esclusivamente online, per intercettare pareri ed idee.

«E’ importante – spiega – creare la Commissione Atleti e Tecnici perché ci sono argomenti che riguardano tutti. Abbiamo visto, nei corsi online che abbiamo svolto con il Centro Studi durante il lockdown, che gli atleti possono fornire spunti derivanti dalla loro esperienza e questo sarà fondamentale per interagire al meglio nel ciclismo giovanile. Quello che altri dicono di voler fare, noi lo abbiamo già fatto. Il giorno in cui ci fosse davvero da partire, avremmo una schiera di tecnici ex atleti e ora laureati in Scienze Motorie, come Paolo Simion, che hanno già la formazione che serve».

Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Il progetto velocità potrebbe riportare Miriam Vece in Italia
Miriam Vece, bronzo 500 mt, europei pista 2020
Il progetto velocità potrebbe riportare Vece in Italia

Velocità e nazionale

La velocità, che come disse Chiappa assegna 18 medaglie olimpiche, è al centro di un grosso lavoro di revisione, cercando di incrementare la collaborazione con i gruppi sportivi dei Corpi Militari, come già avviene con le ragazze.

«L’abbandono del settore – spiega Isetti – è coinciso con il declino della pista. Quando siamo ripartiti, ci siamo dedicati maggiormente alle specialità più affini alla strada, avendo un tecnico come Marco Villa che tutto il mondo ci invidia e due motori come Viviani e Ganna, che Madre Natura ha fatto nascere in Italia. Ma sono convinta che l’esperienza e l’organizzazione del settore endurance possa essere esteso anche ad altre situazioni. Fermo restando che i velodromi vanno tutti messi nelle condizioni di lavorare meglio».

Sarà lo schema stesso delle nazionali ad essere rivisto dal punto di vista organizzativo, con l’istituzione del Coordinatore Sport Science, che collaborerà con i tecnici nazionali e sarà il responsabile della parte scientifica ed atletica del team.

«Cambia l’approccio organizzativo gestionale – aggiunge – mentre non entro nel discorso dei nomi dei tecnici. Hanno il contratto fino a settembre e non vedo perché chi ha lavorato bene non possa essere confermato. Ma di certo si può fare tanto per aiutarli a lavorare meglio».

Alessandro Greco, Team Nibali
Alessandro Greco, corridore del Team Nibali: per il Sud c’è tanto da lavorare
Alessandro Greco, Team Nibali
Greco, corridore del Team Nibali: a Sud c’è tanto da fare

E a Sud cosa si fa?

Restano due punti, il Sud e gli amatori, con spinosità diverse ma a dir poco velenose. Come tante volte in passato, per il Meridione si è ideato il nome di un progetto – Progetto del Sole – che va però riempito di contenuti per evitare che finisca come il Progetto Sud e altre amenità che negli anni hanno sprofondato il ciclismo più a Sud di Arezzo nella desolazione.

Chi dice che le cose vanno bene e si sta lavorando nella giusta direzione ha evidentemente qualche interesse da difendere.

Nel programma si legge che saranno premiate le società virtuose e sarà garantita la partecipazione a gare, attraverso la calendarizzazione e organizzazione di manifestazioni che offrano momenti di confronto agonistico, con la speranza di eliminare le gare in cui le categorie giovanili corrono in mezzo agli adulti.

«Conosco il Sud abbastanza bene – dice Isetti – sono vicina ai meccanismi e credo di aver individuato le necessità. Lo ritengo un progetto che possa dare la giusta valorizzazione a territori che ci hanno sempre dato grandi campioni. Anche con la creazione di una rappresentativa che porterà i ragazzi più meritevoli a correre in tutta Italia, coprendo le spese».

Amatori e turisti

Infine gli amatori e i cicloturisti, che da una parte rappresentano una bella fonte di entrata, dall’altra potrebbero sposare un certo modo di fare promozione sportiva sul territorio, ma che nulla c’entrano con la finalità agonistica di una Federazione affiliata al Comitato Olimpico: una visione che nel programma del candidato Isetti trova un’interessante integrazione.

«Ho tenuto tanto – dice – alla formazione delle Guide Cicloturistiche, perché non possiamo restare fuori dalle dinamiche con cui il ciclismo si diffonde nella società. Tutto quello che succede attorno alla bici può servire a dare maggiore consapevolezza della dimensione olimpica. Abbiamo corridori che sono diventati guide. Altri che sono diventati allenatori. Con queste figure di fatto le due dimensioni si avvicinano. Il fatto di esserci porta ad esempio alla promozione delle categorie giovanili, ad entrare nelle scuole e alla ricerca dei talenti. Inoltre saranno valorizzate le manifestazioni che sapranno creare eventi collaterali dedicati al ciclismo giovanile. La mia idea è ridurre gli attriti fra i settori e la parte amatoriale può essere proattiva rispetto all’agonismo vero». 

Fabio Perego

Presidenza Fci, c’è anche Perego. Ecco perché

30.12.2020
4 min
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La Lombardia è spaccata e dall’assemblea regionale che ha portato all’elezione di Stefano Pedrinazzi salta fuori a sorpresa la candidatura di Fabio Perego, il candidato sconfitto, alla Presidenza nazionale della Fci. Abbiamo sentito diversi commenti sul gesto del tecnico brianzolo , ma siccome è troppo facile ricondurlo alla ripicca per la mancata elezione, abbiamo provato a vederci chiaro, nel momento in cui si registrano in tutte le regioni repentini cambi di corrente, maglia e ideologia.

«Non è una ripicca – dice Perego – mi sono accorto proprio all’assemblea regionale che di fatto ci sono poche idee vere. Chi ha vinto ad oggi non ha una squadra, non ha ancora formato le commissioni, siamo fermi. Ha prevalso ancora una volta la politica del voto di scambio e io ci ho lasciato le penne. Dagnoni sa che come Lombardia non avrei sposato a prescindere la sua candidatura. E così si è spostato di là, con l’idea di continuare a guidare il Comitato regionale con un Presidente senza grande esperienza e con il comprensibile contributo di suo fratello, diventato vicepresidente vicario».

Fabio Perego, Cordiano Dagnoni
Perego e Dagnoni, una lunga collaborazione finita male
Fabio Perego, Cordiano Dagnoni
Perego-Dagnoni, la coppia è scoppiata

Classe 1966, promotore finanziario, Perego è sposato e ha un figlio di 21 anni. Dopo aver corso in bici essendo stato anche per cinque anni azzurro su pista, è diventato direttore sportivo di 3° livello. Ha guidato team femminili e juniores, fino a diventare tecnico regionale della pista e poi anche della strada. E’ stato Vicepresidente Vicario del Comitato regionale ed è Presidente dimissionario del Consorzio Velodromo Dalmine. La sua candidatura si aggiunge appunto a quelle di Cordiano Dagnoni, Silvio Martinello e Daniela Isetti.

Perché non avresti sostenuto Dagnoni? Era il presidente uscente, avete lavorato insieme negli ultimi 10 anni…

Per questo gli avevo chiesto di sostenermi. Se avessimo fatto una campagna con Cordiano a Roma e io in Lombardia, avremmo fatto male a tanti. Quando non lo ha fatto, gli dissi che avrà pure avuto i suoi motivi, ma io a quel punto mi sarei sentito libero di fare la mia gara, puntando a fare grande la Lombardia e senza sposare la sua candidatura prima di conoscerne i contenuti (a tutt’oggi ancora riservati). Forse proprio questa chiarezza mi si è ritorta contro. Adesso però di fatto la Lombardia è spaccata.

Hai sentito dire che dietro Dagnoni probabilmente ci sarebbe la regia dell’attuale Vicepresidente federale Rocco Marchegiano?

So che sta lavorando per lui, dicono in giro che voglia fare il presidente ombra. Se Silvio Martinello ci mette la faccia e va avanti diritto, se Daniela Isetti ci mette la faccia e va avanti diritta, perché non dovrebbe essere così per tutti?

Fino a un mese fa avresti immaginato uno scenario come questo?

Nemmeno per sogno. Ero convinto di avere un supporto importante in Lombardia per fare quello che avevo in mente. Ma ora la regione è spaccata. So che fra i 39 grandi elettori che votano per il Presidente, molti sono con me, non avendo gradito la manovra che mi ha privato all’ultimo momento dei voti necessari per la Presidenza del Comitato regionale lombardo. Chiaro che se li chiamo, tutti mi diranno di andare avanti, ma lo so che non è così. Sto correndo da solo e sono partito per ultimo, quindi è una gara a handicap. Devo capire se effettivamente potrò dire la mia. Oppure, parlando con i candidati, se sarà più opportuno appoggiare uno di loro.

Roberto Bettini, Stefano Bertolotti, Fabio Perego
A destra, con Roberto Bettini e l’addetto stampa della UEC agli europei pista 2017 a Berlino
Roberto Bettini, Stefano Bertolotti, Fabio Perego
Agli europei 2017, sulla destra, con Bertolotti e Bettini
Non era meglio avere una Lombardia compatta per indirizzare il voto nazionale?

Non ho ancora parlato con gli altri candidati, ma se succederà, parlerò come fossi il presidente della Lombardia. Perché vederla così smembrata è un dispiacere. Una regione che ha il 25-30 per cento del movimento nazionale poteva incidere molto di più. Mi fa sorridere il presidente di Bergamo che nella sua assemblea, rivolto al sottoscritto, ha detto: «Auspico che fra 4 anni ci sarà una Lombardia unita, perché quest’anno non siete stati capaci». Non siamo? E’ il presidente che comanda, spetta a lui la gestione politica del Comitato non ai vice o ai consiglieri (ma era comunque l’avvisaglia di come si sarebbe comportato al momento di votare): è questa la sua gestione? Con 39 voti nostri, più quelli che saremmo andati in giro a negoziare, Cordiano avrebbe vinto con un grande vantaggio

E così ti sei candidato…

Mancano quasi due mesi, mi sto dando da fare. Entro il 10 gennaio si dovranno presentare i programmi. Se devo spendere un grazie, lo faccio per Di Rocco, per quello che ha fatto. Ma se oggi vuoi cambiare qualche cosa, non puoi farlo con chi di fatto ha lavorato per anni direttamente o indirettamente con l’amministrazione uscente. Io corro per me, voglio vedere dove posso arrivare. Non voglio assolutamente che sembri una ripicca. Sono uno del fare, più che uno della politica. E qua da fare c’è veramente tanto.

Gilberto Simoni, Giro d'Italia 2001

Facciamo con Simoni il gioco delle parti

27.12.2020
5 min
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Prendi Simoni, mettilo seduto, assicurati che sia concentrato e chiedigli che cosa farebbe nei panni di qualcun altro. E’ un vecchio giochino giornalistico, che funziona soltanto se hai davanti l’interlocutore giusto. E Gibì è sicuramente uno dei migliori. Anche perché pur essendosi tirato fuori dal frullatore del ciclismo, dedicandosi spesso ad altro, il trentino osserva tutto. Al Giro d’Italia ha corso fra quelli delle bici elettriche, anche se a un certo punto hanno dovuto rimandarli a casa per la positività dei 17 poliziotti in moto. E così, alla vigilia dei vent’anni del suo primo Giro d’Italia (foto di apertura), gli abbiamo chiesto di giocare con noi.

Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Vincenzo Nibali, qui sull’Etna: per lui un Giro d’Italia pesante da mandare giù
Vincenzo Nibali, Etna, Giro d'Italia 2020
Per Nibali, un Giro difficile da digerire

Se fossi Nibali

Che cosa faresti se fossi Nibali, a 36 anni, nella stagione in cui si ritroverà fra i piedi i ragazzini che l’hanno… schiaffeggiato al Giro?

«Difficile da dire – comincia Simoni – ma la prima cosa è che a quell’età non devi preoccuparti degli altri e puntare su te stesso. Così starei tranquillo e mi giocherei sapendo che non sarò io l’uomo faro della corsa. Tornerei a puntare sull’effetto sorpresa come quando ero giovane. Anche sul fronte della preparazione forse farei una riflessione, perché quello che andava bene a 30 anni magari adesso non vale più. Voglia di vincere ne avrei ancora tanta, ma se lo facessi vedere mi passerebbero sopra. Meglio stare accorti. Sarei sempre un riferimento, consapevole del fatto che quei ragazzini magari hanno cominciato sognando di diventare come me. Non correrei mai contro qualcuno, se non contro me stesso per superare qualche limite».

Tadej Pogacar, Parigi, Tour de France 2020
Tadej Pogacar, un Tour vinto molto presto: il difficile inizia adesso
Tadej Pogacar, Parigi, Tour de France 2020
Pogacar, Tour a 21 anni: il difficile viene adesso

Se fossi Pogacar

Hai vinto il Tour a 21 anni e adesso che ne hai 22 sono tutti lì ad aspettarti. Cosa fai, ci credi o te la fai sotto?

«E’ un problema essere giovani adesso – dice – perché hanno cominciato ad andare forte troppo presto. Belle le soddisfazioni, belli i soldi, ma non è tutto rose e fiori. Da dilettante può anche essere divertente essere sotto i riflettori, ma ora cominci a renderti conto che non hai contro solo degli avversari, ma intere squadre, direttori sportivi che vogliono farti perdere. Nel professionismo ci sono tante invidie, meglio capirlo presto. Fra un po’ si accorgerà che qualche amico diventerà avversario. Allora se fossi in lui, mi troverei due corridori tutti miei. Compagni di squadra, di stanza, di allenamento, compagni di avventura. Gente trattata bene, che mi tenga al riparo. Finché sei ragazzo, tutti ti aiutano. Poi devi saperti gestire, perché altra gente vuole partecipare alle tue vittorie».

Chris Froome, Vuelta 2020
Froome, vita nuova alla Israel Start-Up Nation o buco nell’acqua?
Chris Froome, Vuelta 2020
Froome, ci sarà rilancio nel 2021?

Se fossi Froome

Ti sei appena ripreso da un infortunio e scopri che la tua squadra ti preferisce le forze più fresche, cosa fai?

«Bel dilemma – dice Simoni – perché Froome si è sempre chiuso in se stesso, senza lasciare capire molto di sé e sfinendosi in allenamento. Se fossi vissuto tanti anni in quella squadra, avrei addosso l’ansia dei miei compagni che sono anche i miei avversari. Saprei di aver sempre vinto essendo capitano a metà, perché al primo intoppo ne saltava fuori un altro. Secondo me tutto questo gli ha tolto tranquillità. Io non ci credo che ancora abbia tanti strascichi dell’infortunio, secondo me come tanti della sua età ha sbagliato la preparazione durante e dopo il lockdown. Comunque bisognerà vedere quali conclusioni ha tratto dalle esperienze precedenti. Se insiste a voler correre come ha fatto finora, temo che alla Israel Sart-Up Nation farà un buco nell’acqua. Se invece prova a cambiare, allora magari tira fuori qualcosa».

Giacomo Nizzolo, Davide Cassani, europei Plouay 2020
La Federazione si occupa solo delle medaglie o sta costruendo il futuro?
Giacomo Nizzolo, Davide Cassani, europei Plouay 2020
La Fci pensa alle medaglie o anche al futuro?

Se fossi il Presidente

Se fossi uno di quelli che si candida alla Presidenza della Federazione, che cosa faresti?

Questa volta, la prima dall’inizio del gioco, la risposta non arriva subito. Ci pensa. Il silenzio dura qualche secondo.

«Mi auguro che cambi qualcosa – parte dritto Simoni – ma qua tutti vogliono i numeri, le vittorie, le medaglie che sono il gran segreto della Federazione. Anche Cassani si preoccupa troppo delle medaglie. Ne abbiamo di forti, che andrebbero forte anche senza la Federazione. Ma dietro non c’è niente. La Fci dovrebbe eliminare la burocrazia e riscrivere certe regole, che sono più vecchie di me. Siamo allineati con gli altri sport. Nel calcio e nello sci si parla di talenti di 10 anni che quando arrivano a 15 non li ricorda più nessuno. Bisognerebbe che il Coni ci mettesse mano, lasciando che fino alle medie lo sport lo gestissero le scuole. E poi l’Uci, cui basta che paghi e puoi correre anche nelle gare WorldTour. Hanno tolto il gusto del successo per molti sponsor. Come se una squadra di prima categoria nel calcio si svegliasse un giorno e potesse giocare in serie A solo perché ha trovato lo sponsor. Tanto ormai si paga per passare e per correre, si paga per tutto. E poi basta con queste categorie. Via i dilettanti, gli under 23, le continental. Facciamo gli juniores fino alla scuola e poi tutti professionisti. Che senso ha il mondiale under 23 cui partecipano i professionisti? Se fosse ancora vivo Dante Alighieri, farebbe il girone del ciclismo, non dei ciclisti. Una bolgia in cui c’è il peggio del peggio di questo sport bellissimo. Cosa farei se fossi il presidente della federazione? Anche Roma ha dovuto bruciare perché la ricostruissero».

Filippo_Ganna_crono_Palermo_Giro2020
Ganna, come Boardman, potrebbe conquistare con i prologhi le maglia di tutti i Giri
Filippo_Ganna_crono_Palermo_Giro2020
Ganna per Simoni punti su crono, prologhi e Ora

Se fossi Ganna

Hai vinto tutte le crono e un arrivo in salita e adesso sono tutti a tirarti per la manica perché punti al Giro. Sei d’accordo?

«Se fossi Ganna – dice Simoni – andrei a leggermi la storia di Boardman e quella di Olano. Anche se Olano ha vinto una Vuelta, che poi magari… vabbè! Se fossi Ganna andrei a leggermi la storia di Chris Boardman che ha la collezione delle maglie di leader di tutte le corse a tappe. Forse gli manca quella del Giro e avrebbe dovuto provarci. Come Boardman, mi porterei a casa tutte quelle cronometro, magari come lui punterei al record dell’Ora e vedrai che prima o poi salta fuori pure un mondiale su strada adatto alle sue caratteristiche. Puntare alla classifica di un Giro? Secondo me è presto. E’ vero che ha vinto a Camigliatello, ma con una fuga da lontano. La stessa salita con il peso di una maglia addosso sarebbe un’altra cosa».

Crescendo D'Amore, Davide Balboni, mondiali San Sebastian 1997

Balboni-De Candido: botta e risposta sugli juniores

24.12.2020
7 min
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Ce lo siamo chiesti mille volte nelle ultime settimane, per spiegare come mai arrivino professionisti di vent’anni e siano già in grado di sbaragliare il campo: quanto sono cambiati gli juniores negli ultimi anni? Pensi alle foto di una volta e li ricordi più tondetti di oggi. Pensi alle bici che avevano. E magari pensi ai direttori sportivi che facevano tutto loro. Ma per dare al discorso un’impronta più seria e uscire dai ricordi personali, abbiamo pensato di mettere a confronto le risposte di Davide Balboni e Rino De Candido, tecnici della categoria rispettivamente il primo dal 1995 al 1998 e il secondo negli ultimi 15 anni. Gli abbiamo fatto le stesse domande, ecco le loro risposte.

Antonio Tiberi, Rino De Candido, Harrogate 2019
Rino De Candido con Antonio Tiberi, iridato nella crono ad Harrogate 2019
Antonio Tiberi, Rino De Candido, Harrogate 2019
De Candido, con Tiberi ad Harrogate 2019

A scuola fino al diploma?

Balboni: «Andavano a scuola e avevamo il grande orgoglio di avere in nazionale ragazzi prossimi al diploma. Anche fra loro, il fatto di finire gli studi veniva sentito come un obiettivo. Qualcuno mollava prima, ma forse non si arrivava al 10 per cento».

De Candido: «Non tutti finiscono, qualcuno molla per fate attività, anche col fatto che adesso alle professionali puoi fare solo il biennio. Le famiglie si oppongono, a volte, ma i ragazzi non danno retta».

Juniores e la vita da atleti

Balboni: «Riuscivano a studiare e ad allenarsi. Chiaro che non facevano la vita al 100 per cento. Si allenavano dal primo pomeriggio, andando molto a sensazione e mangiando quello che la mamma gli faceva trovare in tavola. A letto presto, ma solo dopo aver finito i compiti».

De Candido: «Pensano di essere pronti per essere professionisti, ma sono ragazzini. Per fare la vita vera devi avere una preparazione prima mentale e poi fisica. Ci provano in tanti a bruciare le tappe, ma non solo per colpa loro, anche per personaggi che gli promettono di portarli in questo o quello squadrone».

Davide Balboni, Claudio Astolfi, terzo mondiali juniores, Novo Mesto 1996
Balboni con Claudio Astolfi, terzo ai mondiali juniores di Novo Mesto 1996
Davide Balboni, Claudio Astolfi, terzo mondiali juniores, Novo Mesto 1996
Balboni con Astolfi, 3° ai mondiali di Novo Mesto 1996

Quante corse nel calendario?

Balboni: «Il regolamento imponeva un limite per le corse a tappe. Potevano farne una con la società e due con la nazionale. Poi la stagione andava da marzo a settembre, mediamente con una corsa per ogni weekend».

De Candido: «Non fanno troppe gare a tappe. Con me si fa solo attività internazionale, perché prendano botte e capiscano di dover lavorare. Le società tendono a farne troppe, ma non posso intromettermi. Di base cerco di tutelare quelli buoni, concordando dei programmi. Basta poco a far andare forte uno junior, basta allenarlo di più. Quello che accade spesso sotto la pressione di tecnici che vengono confermati anche in base al numero delle vittorie».

Di che livello le loro bici?

Balboni: «Un po’ scarsino. Erano bici di media gamma».

De Candido: «Certe squadre hanno un parco bici meglio di alcune squadre pro’, certo meglio delle continental. Bici da 7-8.000 euro con i freni a disco. Ma poi quando passi che cosa devono darti perché tu abbia uno stimolo? A loro basta essere fighi. Se poi si staccano, cambia poco. Si dà tanto spazio all’apparenza, mentre si dovrebbe insegnare prima di tutto a conoscere la fatica. Mi pare che si valutino molto le cose superflue e non l’aspetto mentale. Si mette pressione, invece di insegnare a individuare l’obiettivo, programmarsi, lavorare e raggiungerlo».

Come è organizzata la squadra?

Balboni: «Faceva tutto il direttore sportivo. Le più attrezzate avevano il meccanico, ma solo per il giorno della gara. Il massaggiatore saltava fuori solo nelle corse a tappe importanti, che erano il Lunigiana, dove si va per Regioni, la 3Tre Bresciana e il Basilicata…».

De Candido: «Attualmente sono come squadre di professionisti. Hanno il direttore sportivo, il preparatore, il nutrizionista, il massaggiatore per due volte a settimana. E i ragazzi hanno anche il procuratore.

Nial, juniores, anno 2011
Pullman e furgoni in una foto del 2011: il settore era già in crescita
Nial, juniores, anno 2011
Pullman e furgoni già nel 2011

Hanno il preparatore?

Balboni: «Anche in questo caso, era tutto nelle mani del direttore sportivo. Di solito si trattava di un ex corridore, che gestiva i ragazzi con grande esperienza».

De Candido: «E’ pieno di ex atleti che sono capaci e altri che si sono buttati dentro per trovare un modo di guadagnare, come i procuratori. Ce ne sono un’infinità. Moltissimi fanno pratica con gli amatori, ma se devi fare la preparazione di un ragazzino, devi studiare. Se funziona, i diesse sonno contenti, visto che ormai tanti lo fanno per i soldini. Se non funziona, è colpa del preparatore».

Chi gestisce l’alimentazione?

Balboni: «La mamma e poi il cuoco dell’hotel quando eravamo in ritiro, con il menu fatto dal tecnico o dal massaggiatore. Infatti erano più grassi di oggi. La crostatina del Mulino Bianco era la loro droga, oggi è veleno. Secondo me viaggiavano con un 5% di grasso più di oggi».

De Candido: «Il nutrizionista. E se non ce l’ha la squadra, vedrai che alcuni ragazzi ce l’hanno personale».

Ci sono procuratori in giro?

Balboni: «Zero assoluto. Per portare Pozzato alla Mapei, il padre parlò con me e con Roberto Damiani».

De Candido: «Quelli buoni ce l’hanno. Non entrano nell’attività, ma se fai credere al ragazzino che lo porterai nello squadrone, quello si gasa e non ascolta. Uno mi ha detto che sarebbe andato nella continental e gli avrebbero dato 1.200 euro più di sua madre. Vaglielo a spiegare che un operaio forse guadagna di più e che certamente in cambio di quei soldi dovrai dare qualcosa…».

Andrea Piccolo, Rino De Candido, 2° europei strada 2019
De Candido con Andrea Piccolo, 2° su strada e oro nella crono agli europei 2019
Andrea Piccolo, Rino De Candido, 2° europei strada 2019
De Candido con Piccolo, due medaglie agli europei 2019

Quanti ritiri in un anno?

Balboni: «Solo con la nazionale, tranne magari quelli della Vigorplant, lo squadrone, che ne facevano uno a inizio stagione. Andavamo ad agosto a Livigno o Pontresina in vista dei mondiali di fine agosto. Quando furono spostati a ottobre, modificammo le date. D’Amore vinse il mondiale il primo ottobre del 1997 (foto di apertura)».

De Candido: « Inizialmente vanno quasi tutti al mare, al Sud o in Riviera. D’estate c’è l’altura, ma non penso per tutti. Di certo fanno preparazioni abbastanza mirate».

Che rapporti fra team e nazionale?

Balboni: «Intensi nelle tante telefonate, ma non si entrava mai nella preparazione. Si spiegavano le scelte. Il vero momento di contatto erano le corse. C’era grande voglia e l’orgoglio di mandare un ragazzo in maglia azzurra. Erano anni in cui per la categoria non c’era tanta visibilità al di fuori degli eventi con la nazionale, mentre oggi con i canali social e i siti web ognuno può farsi da sé la sua comunicazione».

De Candido: «Buoni, perché sanno che con me stanno zitti e fanno quello che dico. Certi direttori mi seguono sulla strada della disciplina, ad esempio, ma è chiaro che il cittì ha più potere di loro. Tante squadre sono costrette a cedere per tenersi buono il corridore forte. La maglia azzurra interessa a tutti, ma gli dico che per vestirla devono abituarsi e fare quel che è giusto per la loro età. Mi piace parlarci in modo diretto».

Come si comportano in giro?

Balboni: «Erano super educati. Avevano il senso della maglia azzurra, con i più grandi che erano di esempio per i più piccoli. C’era anche enorme rispetto nei confronti del personale, anche perché meccanici e massaggiatori erano spesso persone anziane. Il rispetto veniva spontaneo darglielo e loro erano bravi a ottenerlo».

De Candido: «Ho un decalogo e glielo consegno. Voglio che salutino e dicano grazie a chi lavora per loro. Al secondo giorno che a colazione non ricambiano il saluto, picchio il pugno sul tavolo finché non lo fanno. Quando si rivolgono al personale, devono chiedere: «Posso prendere?», non rivolgersi loro e dire: «Dammi!». Sono cose che mancano. La soddisfazione, quando incontro al mondiale pro’ dei ragazzi che sono stati con me, è vedere quanto siano diventati educati. A casa nessuno gli impone delle regole, sembra assurdo ma dobbiamo farlo noi».

Eros Capecchi, tricolore juniores 2004
Capecchi tricolore 2004: quella Rimor contribuì a portare gli juniores a un livello molto alto
Eros Capecchi, tricolore juniores 2004
Capecchi tricolore 2004 e già ad alto livello

Trasferte e tempo libero…

Balboni: «Stavano molto in camera a riposarsi e parlare fra loro. Durante i ritiri, prima di cena, a tavola e dopo, scendevano per andare dai meccanici o trovarsi nella hall. Si parlava di tutto. Della scuola, di come sarebbe stato fra i dilettanti. Io ero vicino di età, avevo 35 anni, per cui si parlava anche di ragazze, ma dipende da come ti ponevi. E siccome non c’erano i telefonini e per chiamare si intasava il centralino dell’albergo, il giorno dopo mi toccava ricordargli di scendere a pagare le telefonate».

De Candido: «L’unica cosa che si riesce a ottenere è che non usino il cellulare a tavola, per il resto è una piaga. Prima e dopo cena, in hotel, non parlano più fra loro. Si mettono su un divanetto e chattano col mondo. Hanno una manualità impressionante. Dovrebbero parlarsi, far crescere la complicità che poi in gara si rivela decisiva. Invece si isolano e il gruppo ne risente. Quando c’era Manfredi, era meglio. Lui era capace di parlare di tutto e li coinvolgeva».

Come va con le ragazze?

Balboni: «L’ormone era a mille. E siccome lo sapevamo, anche se la cosa faceva scandalo, avevamo lo psicologo della nazionale, il dottor Rota, che in alcune sedute gli spiegava quanto fosse più dispendiosa la prestazione con la miss piuttosto che con la propria ragazza. I corridori per questo sono sempre stati piuttosto svegli».

De Candido: «Hanno tutti la morosa, che magari soffre e gli rinfaccia già le lunghe assenze, oppure vuole uscire e non li lascia studiare o allenarsi. Alcuni già convivono. Anche per questo sono attaccati al cellulare, magari silenziato. E se mentre quasi dormono la lucina lampeggia, si tirano su e rispondono al messaggio. Non sono concentrati. E non capiscono che le ragazze sono più furbe di loro. rispetto a una volta, sono degli allocchi. Anche perché oggi l’approccio funziona al contrario. Sono le ragazze che arrivano».

Sono più smaliziati o ingenui?

Balboni: «Di base ingenui. Credo che a sgamarli di molto sia stato l’avvento dei social».

De Candido: «Sono ingenui. Vogliono fare vedere che sono fighetti, ma hanno sempre 17-18 anni…».

Federico Morini, Michele Scartezzini, ritiro Noto, 2020

Scartezzini, la bilancia e il cronometro sovrano

18.12.2020
5 min
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La Sicilia è un buon posto per allenarsi e riflettere, pensa Scartezzini dalla sua stanza d’hotel a Noto. Il quartetto dell’inseguimento è volato giù dal 7 dicembre e rimarrà fino a domani, poi si sposterà a Formia per gli ultimi quattro giorni di lavoro prima di Natale.

«Stiamo facendo prevalentemente strada – dice il veronese, che nella foto di apertura è con Federico Morini – ma solo ieri siamo andati in velodromo per provare un po’ di partenze. Era pieno di bambini venuti a vederci e a girare in pista. Come quando arriva in paese la Juventus. E’ un altro mondo. Caldo, percorsi pedalabili. Siamo sempre in maglietta e pantaloncini. Eravamo già venuti a Noto per un solo giorno l’anno scorso durante un raduno sull’Etna, ma in questa fase l’altura non serve».

Michele Scartezzini, individuale a punti, mondiali Berlino 2020
Michele Scartezzini impegnato nell’individuale a punti ai mondiali di Berlino 2020
Michele Scartezzini, individuale a punti, mondiali Berlino 2020
Scartezzini nell’individuale a Berlino 2020

Agli ordini di Marco Villa, in questo angolo incantato d’Italia più a sud dell’Africa, ci sono Scartezzini, appunto, più Bertazzo, Lamon, Simion (fresco di firma con la Giotti Palomar), Plebani, Pinazzi, Gidas Umbri e Tommaso Nencini. Come dire lo zoccolo duro dell’inseguimento a squadre, più qualche giovane e senza i due o tre nomi da aggiungere in vista di Tokyo: Consonni, Ganna, Milan e Viviani.

Cominciate a essere in tanti…

Si è visto al mondiale. Siamo un gruppo forte con esigenze diverse. Noi che siamo qua abbiamo corso poco e abbiamo bisogno di fare allenamenti di sostanza, mentre Viviani, Ganna e Consonni tutto sommato hanno avuto una stagione frenetica ma quasi normale. E comunque non è più come una volta, la differenza tra stradisti e pistard si sta facendo più netta.

Che cosa intendi?

Io ormai faccio quasi solo pista. In allenamento non serve che faccia chissà quali dislivelli, come se dovessi prepararmi per una gara a tappe. Mi sto concentrando molto più sulla forza rispetto a un tempo, che mi agevola per le partenze. Debutterò in Argentina alla Vuelta San Juan, ma sarà per avvicinarmi meglio al calendario della pista. Siamo tanti per quattro posti, prima o poi saremo scelti sulla base dei tempi che saremo in grado di fare.

Nazionale a Noto Cinelli
La nazionale di Marco Villa a Noto per la seconda volta
Nazionale a Noto Cinelli
La nazionale di Villa a Noto per la seconda volta
Quindi la prima sfida è interna?

Prima dell’europeo mi sentivo davvero in palla e non tutti fra noi andavano allo stesso modo. Se il Covid non ci avesse decimato, durante gli allenamenti ci sarebbe stata la selezione. Poi magari stavo lo stesso a casa perché altri andavano meglio, ma l’importante era sapere di aver fatto tutto il massimo.

Non ti dà fastidio pensare che probabilmente alla fine arriveranno gli altri quattro dalla strada e tanto lavoro sarà vanificato?

No, per due motivi distinti. Il primo è che le Olimpiadi sono una cosa immensa, ma l’anno prossimo ci sono anche gli europei, i mondiali e un calendario molto ricco. Il secondo è che davanti a un atleta capace di fare tempi migliori, hai poco da restarci male. Certo, sportivamente rosichi. Siamo cresciuti insieme nello stesso gruppo, è brutto che qualcuno parta e qualcuno no. Però è lo sport. Non ne conosco tanti di fenomeni, ma noi ne abbiamo un bel concentrato. E se di colpo arriva uno come Milan, che dopo un solo anno in pista fa certi tempi, posso solo togliermi il cappello.

Michele Scartezzini, ritiro Noto 2020
Per Scartezzini, momento di sosta con vista mare durante il ritiro che finirà domani
Michele Scartezzini, ritiro Noto 2020
Sosta con vista mare, ma domani si riparte
Le Olimpiadi, dicevi…

Per la prima volta sono alla nostra portata. Prima le vedevamo come irraggiungibili. A Londra ci andò Viviani e fece anche bene. A Rio arrivammo quasi per caso. Intorno a noi erano tutti serissimi, noi sembravamo superficiali. Ma adesso che siamo nella situazione per cui la medaglia è alla nostra portata, vogliamo esserci a tutti i costi. Sarà una sfida anche fra noi, altrimenti sarebbe troppo facile, ma non sarà certo l’esclusione a chiudere la mia carriera. Sono nelle Fiamme Azzurre. Mi hanno preso per la pista e posso lavorare sereno. Se salto Tokyo, c’è Parigi quando avrò 32 anni. Non sono un atleta tanto sfruttato. Sto facendo molta meno strada, perché ho individuato la mia dimensione. Non serve sfinirsi sulle salite per fare qualche risultato di là e poi spremersi per tirare fuori qualcosa su pista. Una volta che ho capito questo, ho cominciato a cambiar pelle.

Che cosa significa?

Nel 2019 pesavo circa 62 chili, ma agli europei mi ero sentito spesso in debito di forza. Così sono andato da una nutrizionista. Le ho spiegato che volevo privilegiare l’aspetto della forza, per la durata delle prove che devo fare. Da allora ho messo su circa 10 chili di massa magra. Adesso ho più forza, ma ammetto che inizialmente mangiare così tanto mi faceva quasi star male.

Michele Scartezzini, ritiro Noto 2020, cannolo, colore
Un ritiro in Sicilia significa anche stare bene. Bella la Spagna, ma non c’è storia…
Michele Scartezzini, ritiro Noto 2020, cannolo, colore
Un ritiro in Sicilia può essere anche piacevole…
Mangiare e basta?

Mangiare, ma non a caso. E palestra. Da quando ho cominciato, mangio 500 grammi di alimenti pesati a crudo, nel senso che quando poi vengono cotti, con l’aggiunta dell’acqua il peso aumenta. E poi ho lavorato sul tronco, perché in partenza certi sforzi di gambe si ripercuotono sulla schiena. In sostanza sono alto 1,83 e ora peso 72 chili con la mezza idea di arrivare a 75. Non sono più un passista scalatore, ma se osserviamo lo sviluppo degli stradisti ci si accorge che gli scalatori da 58 chili stanno scomparendo e quelli che fanno classifica sono tutti intorno ai 70 chili. Perché con l’avvento delle compact, più del peso conta la potenza. Se sul Mortirolo riesci a demoltiplicare i rapporti fino a trovare la cadenza che ti fa esprimere al meglio i tuoi watt, non serve essere leggerissimi come quando avevi soltanto il 25.

Renato Di Rocco, Thomas Bach, Imola 2020

Di Rocco, passo indietro e avanti Isetti?

05.12.2020
4 min
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Di Rocco aveva deciso che non si sarebbe ricandidato alla presidenza già ai mondiali di Imola (in apertura è con Bach, Presidente del Cio). Però dice che avrebbe aspettato volentieri il 6 dicembre per annunciarlo, in occasione del 135° compleanno della Federazione Ciclistica Italiana. Stamattina pare non sia riuscito a fare colazione dalle telefonate che ha ricevuto. Tutto sommato era prevedibile, dato che la sua presenza copre più di un terzo di quei 135 anni.

A questo punto, dunque, la contesa elettorale di febbraio vedrà tre candidati di cui abbiamo già esposto le idee: Daniela Isetti, Silvio Martinello e Cordiano Dagnoni

Presentazione DDL salva ciclista - Camera dei deputati - da sx: Marco Benedetti, il senatore Michelino Davico, e Renato Di Rocco presidente Federazione Ciclistica Italiana (foto Scanferla=
Alla Camera con Benedetti e il senatore Davico, per il DDL Salva i Ciclisti (foto Scanferla)
Presentazione DDL salva ciclista - Camera dei deputati - da sx: Marco Benedetti, il senatore Michelino Davico, e Renato Di Rocco presidente Federazione Ciclistica Italiana (foto Scanferla=
Alla Camera, presentando il DDL Salva i Ciclisti (foto Scanferla)

Al fianco di Isetti

Siccome è prassi che il presidente uscente conceda una sorta di investitura, la prima cosa da chiedere a Renato è se abbia intenzione di schierarsi al fianco di uno dei tre.

«Di sicuro non con Silvio – dice senza esitare – perché ha portato il discorso su polemiche che non si vedevano da tempo. Non entro nel merito della sua squadra, mi limito a dire che al momento quello che più mi preme è che venga ultimata la palestra del centro di Bmx a Verona, in cui proprio oggi stanno scaricando gli attrezzi. E che Montichiari torni al massimo delle sue potenzialità. Mentre una parola voglio spenderla per Daniela Isetti. Sarebbe potuta salire già quattro anni fa, se a me non avessero concesso un altro mandato. Ha ottime competenze e le donne spesso hanno più determinazione degli uomini. L’attività del Centro Studi durante il lockdown e tutti quei corsi che i ragazzi hanno apprezzato sono stati farina del suo sacco ed è giusto che se ne goda il merito».

Mondiali juniores su pista, Montichiari 2017, Renato Di Rocco, Letizia Paternoster
Mondiali juniores su pista, Montichiari 2017, con Letizia Paternoster (foto Scanferla)
Mondiali juniores su pista, Montichiari 2017, Renato Di Rocco, Letizia Paternoster
Mondiali juniores Montichiari 2017, con Paternoster (foto Scanferla)

Una scelta astuta?

Chiaramente ogni mossa in politica ha la doppia lettura e così c’è già chi agita il più classico dei “te l’avevo detto” ragionando sul fatto che Di Rocco, dirigente super esperto, avendo capito la difficoltà di essere rieletto, abbia preferito fare un passo indietro che incassare la sconfitta.

«Quello che ho sempre detto agli atleti – dice Di Rocco sornione – è ritirarsi quando sono ancora in buona forma e per me è arrivato questo momento. Voglio prendermi cura di me stesso e della mia salute. Lo stress dei primi quattro anni non li auguro a nessuno. E forse, se avessi saputo di trovare quella situazione, non avrei accettato di tornare. Ma grazie al ciclismo ho vissuto una carriera che mi ha divertito, per la quale devo essere grato. Sono entrato negli anni peggiori del doping, con Petrucci che dalla presidenza del Coni proponeva di fermare il ciclismo. Invece ci abbiamo messo la faccia e ne siamo usciti meglio di prima. Nei cassetti di Roma c’erano anche 28 vertenze legali, appalti assegnati senza criteri trasparenti. Una situazione che abbiamo risanato e di questo vado fiero. Certo non sarò a Tokyo, ma fino a settembre sarò presente tramite la Commissione dei giudici di gara a vegliare sulle nostre squadre».

Presentazione Giro d'Italia U23, 2017, Renato Di Rocco, Marco Selleri
Alla presentazione del Giro U23, nel 2017, assieme all’organizzatore Selleri (foto Scanferla)
Presentazione Giro d'Italia U23, 2017, Renato Di Rocco, Marco Selleri
Con Selleri alla presentazione del Giro U23 nel 2017 (foto Scanferla)

Futuro Direttore?

L’ultima domanda riguarda un’altra delle voci o leggende che circolavano, secondo cui Di Rocco stesse cercando di ricavarsi un posto di Direttore Generale della Fci e avesse bisogno di un candidato presidente che glielo permettesse.

«Quello che mi preme dire adesso – prosegue Di Rocco – è che ai candidati lascio strada bianca. E’ giusto che facciano la loro campagna in autonomia, senza che io mi metta di mezzo. Un ruolo dopo l’elezione? Di certo non è un mistero che io abbia delle conoscenze a Roma, in sede sportiva e politica. Come è vero che rispetto ad altri presidenti di federazioni, che hanno costanza di rapporti con certe strutture, io sia stato parecchio lontano dalla Capitale. Se può servire una figura di raccordo fra il palazzo e i nostri uffici, sono ovviamente a disposizione. Direttore Generale? Non l’ho mai fatto, mi manca. Ma non mi dispiacerebbe».