A voler fare come nel tennis o negli sport in cui le statistiche la fanno da padrone, lo score di Lennard Kamna quando va in fuga era già davvero da record. Dopo la vittoria di ieri sull’Etna, lo è anche di più.
«Quest’anno ha preso 4 fughe – sorride Enrico Gasparotto – in 3 occasioni ha vinto e nella quarta è arrivato terzo».
La sua gestione della scalata finale dell’Etna è stata di una lucidità pazzesca, mentre il friulano che lo seguiva sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe, racconta di non aver avuto mai un dubbio sul fatto che il suo corridore avrebbe vinto.
La gestione del finale di tappa di Kamna è stata lucidissima anche dall’ammiragliaLa gestione del finale di tappa di Kamna è stata lucidissima anche dall’ammiraglia
«Nemmeno quando Oldani aveva un minuto di vantaggio – spiega – in nessun momento. E dire che non conosceva la salita, perché non siamo soliti allenarci quaggiù. Sapevamo che la prima parte era inedita, poi ci si immetteva su un troncone fatto nel 2018 e si chiudeva con gli ultimi 3 chilometri più classici. Forse gli abbiamo presentato una buona spiegazione della salita. Abbiamo i nostri software che indicano bene la variazione delle pendenze…».
Il colpo vincente
Quando Kamna attacca, è assai probabile che vinca. E se si rende conto che non ci riuscirà? Ragiona ancora una volta in modo lucidissimo.
«Gliel’ho fatto notare quando ha vinto alla Ruta del Sol – dice ancora Gasparotto – sebbene non fosse in condizione come oggi. Vinse l’ultima tappa, dopo che nei giorni precedenti aveva provato ad attaccare. Due tappe prima, ha scelto il tempo giusto. Si è ritrovato solo davanti a tutti, ma ai meno due lo ha ripreso Sheffield, che poi ha vinto. E lui cosa ha fatto?
La vittoria alla Ruta del Sol (secondo Fortunato) è stata il primo esempio di luciditàLa vittoria alla Ruta del Sol (secondo Fortunato) è stata il primo esempio di lucidità
«Non ha tenuto duro: ai due chilometri ha smesso di pedalare. Voleva prendere tempo per essere certo di avere più libertà la volta dopo. E infatti dopo due giorni ha vinto. Questa lucidità dovrà usarla in carriera. Probabilmente è un corridore da corse a tappe, ma non ancora perché è troppo crudo. Quando sarà pronto, ragionare così gli permetterà di sfruttare meglio tutte le occasioni».
Profumo di rosa
Ieri mattina le opzioni erano diverse. La fuga serviva per tappa e maglia. Ma se non fosse andata, il suo compito sarebbe stato quello di assistere i capitani, che stanno andando bene, oppure staccarsi per avere libertà di movimento nel fine settimana.
Davvero Kamna ha evitato di staccare Lopez per non prendere troppo presto la rosa? A domanda, sorride…Davvero Kamna ha evitato di staccare Lopez per non prendere troppo presto la rosa? A domanda, sorride…
«Quando ieri sono rientrato in hotel – dice Gasparotto – gli ho chiesto se avesse pianificato di non prendere la maglia rosa. Sarebbe stato bello, ma poteva essere troppo lavoro per la squadra. E lui ha sorriso. Secondo me, ci ha pensato eccome. Fra i ragazzi della sua età, questa capacità di ragionare è molto più che rara. Sono molto contento, perché è uno dei miei sei corridori. Riusciamo a parlare bene e chiaramente. Oggi tutto questo sembra facile, ma perché l’ha reso facile lui. Dire sin da adesso cosa farà nei prossimi giorni è presto. Oggi si dovrebbe arrivare in volata. E chissà che nel fine settimana non si arrivi alla maglia rosa. Se Kamna collega la testa con il corpo, diventa difficilmente battibile».
«L’Amstel è stata bella – dice Gasparotto – salire il Cauberg ha riportato a galla delle emozioni. Non guidavo io l’ammiraglia, parlavo alla radio, quindi ero super concentrato su questo. Più che la corsa infatti mi sono goduto la ricognizione. Avevo pensato di portare la bici per farla con i corridori, ma il mio stato di forma non me lo avrebbe permesso. Invece ho portato le scarpe per fare come a Leuven, quando la sera sono uscito da solo a fare un giro sul percorso e fu bellissimo. Sarei andato con Benedetti, ma pioveva e alla fine ho lasciato perdere».
Tecnico della Bora-Hansgrohe da quest’anno, per Gasparotto è la prima campagna del Nord in ammiragliaAlla Bora-Hansgrohe da quest’anno, per Gasparotto è la prima campagna del Nord in ammiraglia
Ricognizione sul percorso
Due giorni alla Liegi. Alcune squadre, fra cui Intermarché, Ineos e Trek, hanno anticipato al giovedì la ricognizione sul percorso. La Bora-Hansgrohe come le altre è rimasta fedele al rituale del venerdì.
«Il rischio anticipandola di un giorno – spiega Gasparotto – è che non avendo recuperato gli sforzi della Freccia, soprattutto ai debuttanti le salite sembrassero troppo dure. Dipende molto da quanti ne hai. Noi ad esempio abbiamo Vlasov, Hindley e Aleotti che non l’hanno mai fatta. Non ricordo molto del sopralluogo della mia prima Liegi, ma ricordo che fu nel 2009 e tirai per Cunego dalla Redoute al Saint Nicholas».
Il direttore sportivo della squadra tedesca sarebbe poi arrivato terzo nel 2012, alle spalle del compagno Iglinskij che batté Nibali. Per uno che a queste strade ha legato alcuni dei ricordi più belli della carriera, come le due Amstel vinte nel 2012 e nel 2016, queste giornate non passano via indifferenti.
Nel 2012 Gasparotto sprinta per il terzo posto alle spalle di Iglinskij vincitore e Nibali battutoNel 2012 Gasparotto sprinta per il terzo posto alle spalle di Iglinskij vincitore e Nibali battuto
Che effetto fa?
Da una parte non è automatico essere un buon direttore nelle corse in cui sei andato forte. Per contro, arrivare in forma qua mi è sempre costato caro, non sono mai stato un campione cui vengono le cose facili, come Nibali o Sagan, che potevano essere meno accorti tatticamente, compensando eventuali errori con il talento. Questa consapevolezza mi può aiutare a dare le dritte giuste ai corridori. Come con Vlasov alla Freccia. Ieri abbiamo festeggiato, era il primo podio per la squadra…
Che cosa hai detto a Vlasov?
L’ho detto a lui e agli altri, che se fosse arrivato ai piedi dell’ultimo Muro d’Huy sulla destra della strada, il gruppo lo avrebbe chiuso facendo la svolta a destra e recuperare sarebbe stato impossibile. Sono le cose che hanno sempre insegnato Valverde e Purito Rodriguez e tutti quelli che hanno vinto la Freccia. Eppure a un certo punto l’ho dato per perso. Ai due chilometri era in ventesima posizione, in auto abbiamo alzato gli occhi al cielo. Poi si è bloccata l’immagine alla televisione e quando è ripartita l’abbiamo visto a ruota di Valverde. Non so dove sia passato, ma evidentemente mi ha ascoltato.
Il podio di Vlasov alla Freccia, dietro Teuns e Valverde, è stato anche merito dei consigli di Gasparotto alla vigiliaIl podio di Vlasov alla Freccia è stato anche merito dei consigli di Gasparotto
Ci sono altri aspetti pratici che hai portato con la tua esperienza ancora fresca?
Qualcosa sì. Ad esempio per l’Amstel avevamo pianificato la ricognizione al venerdì, per avere più recupero. Poi per una serie di motivi i leader sono venuti meno e l’abbiamo spostata al solito sabato. Come per la Liegi, il fatto di anticiparla al giovedì non è da scartare, ma come ci siamo detti, bisogna vedere che corridori si hanno e la loro esperienza.
Pochi italiani in questi ordini di arrivo, non trovi?
Sono diventate corse in cui performano gli scalatori. C’è meno specializzazione di una volta, quando il cacciatore di classiche veniva qui per vincere e poi puntava alle tappe. Oggi trovi davanti quelli che hanno vinto i Baschi o il Catalunya e che poi faranno classifica nei grandi Giri. Sono sempre gli stessi. E se non abbiamo ancora uomini di classifica là, difficile averne vincenti di qua.
Hindley di buon umore, il 2021 è dimenticato. Dice di stare bene e si informa sulla salute di UmbertoneHindley di buon umore, il 2021 è dimenticato. Dice di stare bene e si informa sulla salute di Umbertone
Voi avete qui Aleotti…
Che è molto adatto per queste corse, anche se per motivi di salute non ci è arrivato come volevamo. Può fare bene, deve amarle e capire come funzionano. Alla Liegi sarà meno libero di come è stato all’Amstel, perché avremo i nostri leader, ma lo stesso cerco di spiegargli quali siano i punti importanti per uno che deve aiutare e per uno che invece fa la corsa. Gli ho detto di memorizzare i passaggi, perché gli tornerà utile. E gli ho detto anche che a me è sempre stato utile registrare le corse e poi riguardarle perché mi permetteva di analizzare gli errori che dall’interno non riuscivo a cogliere.
Ad esempio?
Ad esempio la Freccia del 2012 in cui arrivò secondo Albasini. Avevo preso come riferimento gli 800 metri ed ero in seconda fila a 11” dalla testa. Pensavo di essere abbastanza avanti, invece sono arrivato in cima undicesimo con lo stesso distacco. In quella corsa soprattutto, pensi di essere davanti perché magari vedi i primi, ma non lo sei mai abbastanza. A volte sei troppo indietro e non te ne rendi conto. L’occhio della televisione in questo non sbaglia.
Aleotti è uno dei giovani su cui il team punta molto per queste classiche in futuroAleotti è uno dei giovani su cui il team punta molto per queste classiche in futuro
Andare in fuga per Aleotti potrebbe essere un bel modo per memorizzare i passaggi?
Non serve che lo faccia. Piuttosto gli ho detto di tenere gli occhi aperti a partire dalla Cote de Haute Levée, la quint’ultima, dove sicuramente si muoverà qualcosa. Quello potrebbe essere il suo momento.
Ecco, parliamo un attimo del percorso…
Hanno tolto la Cote de Forges dopo la Redoute e questo in teoria renderà il finale meno duro. Di conseguenza, può darsi che la corsa esploda prima come è successo finora in tutte le classiche ad eccezione della Freccia Vallone. La serie di salite che inizia con la Cote de Wanne, poi lo Stockeu, Haute Levée e Rosier è un punto ottimo per fare casino. Poi un po’ di fiato e si va verso Desnié, Redoute e la Roche aux Faucons. Detto questo, io ero un estimatore dell’arrivo di Ans. La Liegi con l’arrivo in città ha cambiato faccia.
Ieri sera è arrivato Sergio Higuita, con Vlasov e Hindley uno dei leader del team tedescoIeri sera è arrivato Sergio Higuita, con Vlasov e Hindley uno dei leader del team tedesco
Ogni giorno si alza questo vento strano, pensi che cambierà tempo?
Il meteo, altro fattore caldo. Fino a ieri mettevano pioggia. Oggi danno nuvoloso perché dovrebbe piovere lunedì. Un altro aspetto con cui fare i conti, bisognerà aspettare ancora qualche ora per avere un’idea.
Il suo sorriso è contagioso perché lo incroci ogni mattina al foglio firma della Settimana Internazionale Coppi e Bartali e poi a fine tappa, anche quando è stata una giornata dura. Cian Uijtdebroeks ha compiuto 19 anni poche settimane fa e il suo nome ti rimane impresso perché è un mezzo scioglilingua (ce lo siamo fatti dire da lui e non è poi così difficile da pronunciare) e perché si dice un gran bene di lui da diverso tempo.
Il belga della Bora-Hansgrohe arriva direttamente dagli junior ed in patria lo definiscono il nuovo Evenepoel. Certi paragoni però non ci fanno impazzire, perché rischiano di schiacciare l’atleta e perché alla fine non rendono giustizia ai diretti interessati.
Enrico Gasparotto sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe. E’ il suo primo anno da diesseEnrico Gasparotto sull’ammiraglia della Bora-Hansgrohe. E’ il suo primo anno da diesse
Gasparotto crede in lui
«Cian era nella nostra formazione development U19 (il Team Auto Eder, ndr) – ci spiega Enrico Gasparotto, suo diesse alla Bora – gli abbiamo dato la possibilità di passare per tenerlo sotto controllo e fargli fare delle esperienze giuste per la sua età e per fargli fare salti in avanti. E’ facile fare paragoni con Remco, ma credo che sia la cosa peggiore che si possa fare. Le somme si tirano a fine carriera, non si può generalizzare. E’ per questo che è in una formazione tedesca e non belga. Da parte nostra non ha alcuna pressione. Lo abbiamo mandato al Saudi Tour (dall’1 al 5 febbraio, ndr) dove ha dovuto lottare con i ventagli, ad esempio, cosa che non aveva mai fatto prima. Ed è stata dura. Ha iniziato il 2022 con un bell’impatto forte con la nuova categoria. Vederlo davanti alla Coppi e Bartali ci sta rendendo molto felici. Noi ci crediamo tanto in lui (ha un contratto con la Bora-Hansgrohe fino al 2024, ndr) però dobbiamo stare bene con i piedi per terra. Deve imparare ancora tante cose tattiche e non».
Cian è Uijtdebroeks, un ragazzo che vive in Vallonia ad Abolens, un paese di 700 abitanti, dove ci sono più animali che persone come ci ha detto lui quando lo abbiamo incontrato in hotel per conoscerlo meglio.
Come sono stati questi primi mesi con la nuova categoria?
Arrivo da situazioni molto difficili. Al Saudi Tour ho preso la salmonella e non sono partito per l’ultima tappa. Ho avuto la febbre a 40 per un paio di giorni. Quando poi sono arrivato a casa ho preso il Covid. Volare per sei ore con l’aria condizionata, anche se ero ben coperto, non mi ha aiutato. Aver avuto nuovamente la febbre mi ha debilitato. Con la preparazione ho dovuto ricominciare da zero e ho ripreso ad allenarmi normalmente solo da tre settimane. E’ stato importante non tornare subito alle corse, così ho potuto recuperare bene dopo l’infezione e il Covid e ricostruire più facilmente la mia condizione.
Le prime corse come sono andate?
Ho faticato perché sentivo ancora nelle gambe il carico di lavoro fatto in inverno e poi perché sapevo che si va sempre forte quando parte la stagione. Ora finalmente la mia forma è quasi buona, anche se deve migliorare ancora.
Cian Uijtdebroeks si disseta alla Coppi e Bartali, sua seconda gara a tappe di inizio 2022
A Cian Uijtdebroeks il sorriso e la cordialità non mancano mai
Cian Uijtdebroeks si disseta alla Coppi e Bartali, sua seconda gara a tappe di inizio 2022
A Cian Uijtdebroeks il sorriso e la cordialità non mancano mai
Quali sono le tue impressioni qui alla Coppi e Bartali?
Essere in gruppo con atleti come Froome, Geraint Thomas o Nibali mi fa un certo effetto. Anzi, alle partenze ho sentito un sacco di gente che gridava “Vincenzo, Vincenzo”. Io mi giravo, vedevo che era dietro di me ed è stato bellissimo. E’ davvero incredibile per me. Sto correndo con tanti dei miei idoli e nel finale di queste tappe arrivare accanto a loro mi ha impressionato. Nei miei sogni c’è di vivere almeno un giorno di quelli vissuti da uno di questi campioni.
Cosa ti aspetti da questa stagione?
Penso che se guardo al futuro, vorrei diventare un corridore da classifica generale. Ora voglio solo crescere. Mi sono fatto trovare pronto, ho fatto tanti lavori specifici. Come la nutrizione. O come la percentuale del grasso corporeo, che adesso ho all’11%. Oppure come il peso che può variare, stando attento a non perderne troppo. Dal punto di vista agonistico devo fare esperienza, diventare più potente e forte al mio massimo possibile. Così come devo imparare a curare i dettagli. Tutto ciò però non devo farlo quest’anno ma nelle prossime tre stagioni.
Che gare farai? Possibile vederti al via ad un grande Giro?
Quest’anno non credo ancora. Farò brevi corse a tappe, come la Coppi e Bartali e il Tour of the Alps, ma anche altre gare di un giorno. Con la mia nazionale U23 farò il Tour de l’Avenir, dove l’obiettivo, la speranza, è quello di vincere o comunque di ottenere il miglior risultato possibile sia nelle tappe che per la classifica generale. Cercherò di arrivarci in ottima forma perché troverò avversari molto forti come Juan Ayuso e Marco Brenner (rispettivamente di Team UAE Emirates e Team DSM, ndr). Da lì escono sempre gli scalatori e i corridori del futuro.
Cian Uijtdebroeks, qui alla crono mondiale 2021, è stato campione nazionale e vicecampione europeo della specialità Cian Uijtdebroeks, qui alla crono mondiale 2021, è stato campione nazionale e vicecampione europeo della specialità
Ti abbiamo visto andare forte un po’ su tutti i terreni. Quali sono le tue reali caratteristiche?
Mi trovo bene a crono (nel 2021 è stato campione belga e vicecampione europeo, ndr). Normalmente invece le salite lunghe sono quelle più adatte a me, specie quando sono fresco. Devo scoprire però come recupererò e come andrò giorno dopo giorno. Il mio fisico era abituato alla categoria junior dove c’erano dei limiti di gara. Per il momento sta andando tutto bene ma lo sapete anche voi, è difficile sapere come vanno i giorni successivi in corsa. D’altronde è tutto nuovo per me quest’anno.
Il tuo nome nelle categorie giovanili è sempre stato considerato importante. Come gestisci la pressione?
Generalmente in Belgio ce n’è tanta. Evenepoel ha iniziato a fare subito dei risultati nei pro’, ma io non ho fatto neanche un pochino di quello che ha fatto lui, anche se ho già collezionato qualche piazzamento finora. I miei programmi non cambiano. La Bora è la squadra perfetta per me. Qua posso crescere step by step con uno staff fantastico. Non ho pressioni da parte loro, forse sono io che me ne metto addosso, perché vorrei vincere subito o lottare per questo. Se però rifletto bene, gente come Dumoulin, Froome o Nibali hanno vinto un grande Giro che avevano più di 25 anni. Ora sì, ci sono Pogacar e Bernal ma sono delle eccezioni, perché sono dei fenomeni. So che ho tempo per fare tutto e che sono sulla strada giusta per farlo.
La vittoria ottenuta da Lennart Kamna alla Vuelta a Andalucia-Ruta del Sol aveva davvero un sapore particolare: era come ritrovare la luce dopo mesi e mesi trascorsi in un buio impenetrabile, nel quale il tedesco era piombato improvvisamente lo scorso anno. Cercare di capire le cause è impresa difficile, solo lui probabilmente lo sa, nel fondo del suo animo.
Partiamo dai fatti: nel 2020, l’anno stravolto dal Covid con tutte le gare concentrate in tre mesi, Kamna esplode in maniera fragorosa. Vince una tappa al Criterium du Dauphine e una al Tour de France e fa capire di essere un validissimo prospetto soprattutto per le classiche, avendo solo 23 anni.
Nel 2021 parte alla grande vincendo una tappa alla Volta a Catalunya, poi corre la Volta ao Algarve e dal 9 maggio sparisce dai radar. Non se ne sa più nulla, tanto che come spesso succede nel mondo dello sport si ha quasi timore a fare il suo nome in giro.
Un forte rifiuto verso la bici: quello di Kamna è forse l’ennesima crisi psicologica, dalla quale è uscitoUn forte rifiuto verso la bici: quello di Kamna è forse l’ennesima crisi psicologica, dalla quale è uscito
Kamna come Dumoulin
Bisognerà attendere 10 mesi per rivederlo in gara, il 1° febbraio al Saudi Tour e subito sembra in grado di riannodare i fili della sua carriera: finisce 16° in classifica, va più che bene anche nella Clasica Jaen Paraiso Interior sulla gravel (4°) e sempre in Spagna riassapora il successo. Tutti a quel punto gli hanno chiesto che cosa fosse successo e Kamna ha ammesso di aver sofferto la stessa crisi interiore di Dumoulin: la perdita d’interesse per il ciclismo, la ricerca di una serenità interiore che aveva perso e che, tornando pian piano, gli ha restituito anche la voglia di pedalare, sacrificarsi, soffrire.
La saggezza del “Gaspa”
Volevamo sapere qualcosa di più di questa storia in piena evoluzione, così ci siamo rivolti a Enrico Gasparotto, suo nuovo diesse alla Bora Hansgrohe.
«Del passato non posso parlare perché non c’ero – risponde – ma gli ho detto subito di guardare al presente, non a quello che è stato. Io cerco di trasmettergli la mia esperienza, il mio modo di vivere il ciclismo, senza affannarmi a cercare di capire il perché della crisi. E’ acqua passata, deve solo restare tranquillo».
Enrico Gasparotto sull’ammiraglia della Bora Hansgrohe. E’ il suo primo anno da diesseEnrico Gasparotto sull’ammiraglia della Bora Hansgrohe. E’ il suo primo anno da diesse
Che impressione ne hai tratto, lavorando con lui?
E’ un grande talento, questo ve lo posso assicurare. Ha una dote rarissima, sa interpretare le corse con una sagacia unica, sa scegliere sempre il momento giusto per attaccare. Questo è incredibile per un ragazzo della sua età, sembra un corridore di 30 anni e oltre. Va tenuto conto che sta correndo senza essere al massimo della forma, anzi ne è ancora lontano. A Jaen, ad esempio, se l’è cavata benissimo sullo sterrato senza avere esperienza. Alla Volta a Andalucia aveva già provato a vincere la terza tappa e se fosse stato in forma ci sarebbe riuscito, ma poi due giorni dopo ha colto il risultato, proprio perché le gambe giravano sempre meglio.
Sa quindi tirare fuori il meglio di quello che ha…
Esatto, è un valore aggiunto. Nella tappa vinta era già andato all’attacco, ma era stato ripreso a 70 chilometri dal traguardo. Poi è ripartito nel finale grazie anche al lavoro di copertura di due compagni di squadra e ha tenuto al veemente ritorno di Fortunato. Mi ha davvero impressionato proprio perché è stata una vittoria soprattutto tattica. Io sono convinto che potrà togliersi grandi soddisfazioni.
Kamna dietro Lutsenko, poi vincitore. L’esordio su sterrato del tedesco è stato più che positivoKamna dietro Lutsenko, poi vincitore. L’esordio su sterrato del tedesco è stato più che positivo
Come corridore dove lo vedi meglio?
E’ un atleta che può emergere su vari terreni, il classico passista-scalatore, forte soprattutto in quelle gare di medio livello, anche come salite, dove può fare la differenza. Sa muoversi perfettamente in gruppo, soprattutto sa interpretare i ventagli, dove non perde mai terreno. Non è corridore da classifica nei grandi Giri, ma può sicuramente cogliere tanti traguardi nel corso dell’anno.
E come persona come lo definiresti?
Un bravo ragazzo, molto educato, che sa stare in gruppo. Parla molto bene inglese e questo gli consente di fare amicizia con tutti, ha un modo di fare “easy way”, non ha grilli per la testa. Soprattutto sa fare gruppo, ridere quando è il momento, ma è concentratissimo quando serve.
Il successo del tedesco a Villard de Lans nel 2020. Il Tour aveva mostrato di che pasta è fattoIl successo del tedesco a Villard de Lans nel 2020. Il Tour aveva mostrato di che pasta è fatto
Per la Bora è un po’ il beniamino da coccolare, visto che parliamo di una squadra tedesca?
Non direi, certamente in Germania puntano molto su di lui, ma in un team multinazionale come la Bora ci sono 30 corridori e ognuno conta, ognuno lavora per un bene comune. Non importa chi vince, quel che conta è che si vinca… Il nostro compito è portare ognuno di questi 30 ragazzi al suo miglior livello, per questo ogni diesse ha con sé 6-7 corridori e non di più, per dare loro il massimo dell’attenzione e metterli nella miglior condizione per emergere.
Dove lo vedremo?
Intanto correrà nel fine settimana in Francia e poi sarà alla Strade Bianche. Non l’ha mai corsa e lo ha chiesto espressamente. Non gli si chiede nulla di particolare. Sarà comunque al Giro d’Italia e sono convinto che per allora vedremo il miglior Kamna.
Jai Hindley, 25 anni da Perth, Australia, secondo al Giro d’Italia 2020. Lo scalatore adesso alla Bora-Hansgrohe aveva stupito tutti in quella particolare edizione autunnale della corsa rosa.
Sembrava lanciatissimo verso tanti altri successi. Ecco l’ennesimo ragazzino rivelazione. Poi però qualcosa si è inceppato.
Lo scorso anno il suo rendimento è stato decisamente più basso. C’è chi dice fosse troppo magro, chi avesse pagato lo scotto di aver perso il Giro nella crono, fatto sta che Jai ha rincorso la condizione tutto l’anno e quando stava iniziando ad andare meglio ecco la rottura della clavicola.
Ma i corridori sono tosti, Hindley (nella foto di apertura Veloimage) non è da meno e il suo diesse, Enrico Gasparotto, ce lo conferma.
Crono di Milano, Hindley ha appena perso il Giro 2020. Partì in rosa con pochi decimi di vantaggio su Geoghegan HartCrono di Milano, Hindley ha appena perso il Giro 2020. Partì in rosa con pochi decimi di vantaggio su Geoghegan Hart
La forza della sua storia
Il Gaspa è approdato questo inverno al team tedesco, come Jai del resto. Il friulano ha avuto modo di osservare da vicino l’australiano e di conoscerlo.
«Durante i ritiri – racconta Gasparotto – ho conosciuto bene la sua storia. Una storia incredibile. Il fatto che questo ragazzo lasciasse casa sua per venire a fare il corridore in Italia mi ha davvero colpito, non è stata una cosa da poco. Credetemi che non è facile partire dall’altra parte del mondo, dove tra l’altro le cose funzionano bene, per passare in una squadra a conduzione familiare come l’Aran Cucinedi “Umbertone” (Umberto Di Giuseppe, ndr). Ci vuole coraggio e questo la dice lunga sul suo carattere e la sua condizione. Già solo per questo lo ammiro molto, Jai è un coraggioso e sa quel che vuole».
Gasparotto parla dell’inseguire il sogno. Dall’Australia all’Italia non è come andare dalla Sicilia alla Toscana: «Se lo fai è perché sei convinto. Pensate che Jai a causa del Covid non vede la sua famiglia da due anni.
«Doveva andare nei primi giorni di febbraio. Sembrava che l’Australia avesse dato qualche apertura in più ma invece niente. Tutto rimandato. Per fortuna che qui ha la sua ragazza. Immagino sia stata una bella botta morale, anche se lui non lo dà a vedere».
Per Gasparotto Hindley ha svolto una buona preparazione col suo nuovo team (foto Instagram Veloimages)Per Gasparotto Hindley ha svolto una buona preparazione col suo nuovo team (foto Instagram Veloimages)
L’amico Kelderman
Gasparotto parla poi di un Hindley davvero disponibile e tranquillo. Si è integrato bene nel nuovo team e il Giro d’Italia è già forte nei suoi pensieri. Anche se non è facile giudicare adesso quando tutto va bene: «Ottimo ambiente, preparazione svolta senza intoppi e quasi sempre con un ottimo meteo… insomma senza stress. E’ in gara che si possono dare poi dei giudizi. Poi lui è davvero attento e volenteroso e come tutti i giovani di oggi devi quasi fermarli»
«Jai – dice – è un ragazzo che ascolta molto e non un principino. Sa rispettare i ruoli. Per esempio ho sentito che con Wilco (Kelderman, ndr) non andasse d’accordo dopo il Giro 2020, invece sono in sintonia e quel Giro non ha lasciato strascichi. Evidentemente tra loro due le cose erano chiare. Quando Jai ha firmato anche Wilco è stato contento».
«Hindley è nel gruppo del Giro dove sarò presente anche io – spiega Gasparotto – ma non è uno degli atleti sotto il mio diretto controllo. In ogni caso siamo una squadra, c’è sempre una grande condivisione d’informazioni. Abbiamo già fatto dei meeting per la corsa rosa e lui ha mostrato un grande entusiasmo. Non vede l’ora di tornare e di mettersi alla prova».
Hindley e Kelderman: l’azione di Jay sullo Stelvio mise in difficoltà l’allora capitano WilcoHindley e Kelderman: l’azione di Jay sullo Stelvio mise in difficoltà l’allora capitano Wilco
Ma quale meteora
Però la domanda che in molti si chiedono è: ma Hindley è davvero forte o si è trattato di una meteora? La sua prestazione è stata figlia di un Giro particolare?
«Jai sta bene, è ad un buon punto con la condizione. Chiaro che un Giro ad ottobre è particolare, ma uno non lotta per la vittoria per caso. Significa che il motore c’è. Chi ha dei dubbi è superficiale. E non a caso la nostra idea è di mettergli attorno una squadra che possa aiutarlo a confermarsi».
«Poi è chiaro che un giovane possa avere delle difficoltà, soprattutto se deve riconfermarsi subito. Ci mette del tempo a processare la sua dimensione. Questo tempo è passato e noi vogliamo portarlo al Giro nel massimo delle condizioni».
Nei ritiri spagnoli in Bora hanno lavorato molto anche sulla crono (foto Instagram Veloimages)Nei ritiri spagnoli in Bora hanno lavorato molto anche sulla crono (foto Instagram Veloimages)
Tre punte al Giro
«Abbiamo tre capitani al Giro. Oltre ad Hindley ci saranno anche Buchmann, quarto al Tour 2019 e che ha perso il podio solo per pochi secondi, e ci sarà appunto Kelderman che è stato terzo al Giro, quarto alla Vuelta e quinto al Tour. Insomma tutti e tre hanno già performato nelle grandi corse a tappe: vogliamo unirli per fare qualcosa di grande.
Gasparotto dice che per Hindley è stato rivisto il suo calendario. Col fatto che ci sono stati dei rimescolamenti a causa di alcune positività al Covid e che non deve più andare in Australia salterà le gare majorchine. Di certo farà l’UAE Tour (20-26 febbraio, ndr) e prima un’altra corsa a tappe
Riecco Gino Mader. Lo svizzero, una delle rivelazioni del 2021, quest'anno si è visto poco. Il Covid ci ha messo lo zampino. Ha lavorato sodo e adesso sta bene
La notizia era di quelle super interessanti. La EF Education First-NIPPO apre alla continental e crea la EF Education-NIPPO Development Team, sposando la Nippo Provence Continental di Marcello Albasini, in cui per una stagione ha lavorato anche Enrico Gasparotto. Il direttore sportivo sarà ancora Albasini e proprio con lui abbiamo fatto due chiacchiere, per capire quanto e come sia strutturata la nuova squadra facente capo al team di Jonathan Vaughters.
Albasini è il diesse del team, dopo aver lavorato al Team Cervelo e alla Iam CyclingAlbasini è il diesse del team, dopo aver lavorato al Team Cervelo e alla Iam Cycling
«Un bell’annuncio – sorride Albasini – ma adesso è tutto da strutturare. Non abbiamo grandi rapporti con la EF, se però uno dei nostri giovani andrà davvero forte, magari proverà a fare qualche corsa con loro. Per il resto, siamo sempre noi. Abbiamo cambiato qualche corridore, abbiamo un giapponese in più che ci ha mandato Nippo e siamo arrivati a 16 corridori. Abbiamo qualche elemento di staff in più, dopo le difficoltà dell’anno passato. Insomma, tutto va bene se non ci chiudono di nuovo per il Covid. Qua in Svizzera la situazione non è delle migliori…».
Le stesse bici
Un primo passo, insomma, che ha permesso alla EF di mettersi al passo con le direttive dell’Uci, avendo già… sposato la Tibco-Silicon Valley Bank femminile per essere presente nel WorldTour delle ragazze.
Le stesse Cannondale della Ef del WorldTour, anche quelle da cronoLe stesse Cannondale della Ef del WorldTour, anche quelle da crono
«Abbiamo cominciato – conferma Albasini – vediamo come andrà avanti. Loro non hanno personale dello staff da condividere con noi, perciò ognuno farà la sua strada. Avremo le stesse bici, anche da crono: questo è importante. Invece per abbigliamento, gomme, caschi e scarpe continueremo con i nostri sponsor. La parte amministrativa è a carico loro e questo è un grande supporto. Quello che mi fa ben sperare è che Klier e Wegelius, che sono direttori sportivi EF sono stati miei corridori. E poi loro hanno Bissegger, che è stato corridore nel mio velo club per dieci anni e che ancora oggi preparo io. Grazie a questo collaboro con la squadra e prima di ogni gara devo mandargli via mail un report, per dare feedback sul corridore e come sta».
Gasparotto addio
Uscito Gasparotto, a prenderne il posto è arrivato Bosseau Boshoff, tecnico sudafricano che vive in Gran Bretagna. Sarebbe dovuto arrivare già dal 2021, ma a causa dei vari lockdown non ha potuto lasciare il Regno Unito e ha seguito solo un paio di corse a fine stagione.
Il team ha partecipato al Giro del Friuli 2021, guidato da GasparottoIl team ha partecipato al Giro del Friuli 2021, guidato da Gasparotto
«L’uscita di Gasparotto – ride Albasini – è un male per me, ma è l’occasione che lui meritava. E’ un ottimo acquisto per la Bora e una grande perdita per noi, perché avere per tecnico un corridore che ha appena smesso è un valore aggiunto molto importante. Sono sicuro che farà molto bene. Ma a me serve un secondo, perché facciamo la doppia attività e avendo un ritiro in cui vivono gli stranieri, c’è bisogno di qualcuno che se ne occupi».
Debutto in Turchia
Dopo le Feste natalizie, la EF Education-NIPPO Development Team svolgerà il primo raduno 2022 e poi si sposterà in Turchia per le prime corse.
Il prossimo anno la squadra inizierà a correre dalla TurchiaIl prossimo anno la squadra inizierà a correre dalla Turchia
«Non abbiamo ancora deciso dove andare – dice Albasini – non so se a Girona dove andrà la EF del WorldTour. Dipende da dove potremo andare e se potremo spostarci. Vogliamo fare una bella attività, ma l’ultima stagione è stata piena di costi soprattutto per le procedure Covid. Perciò speriamo di poter correre. Il debutto lo faremo in Turchia. Faremo qualche giorno di ritiro al caldo e poi le prime corse. E poi, speriamo bene…».
Guillaume Martin, corridore filosofo della Cofidis, ha scritto un altro libro. Il primo si intitolava “Socrate a velò”, cioè Socrate in bicicletta. L’altro, il secondo, l’ha chiamato “La Société du peloton”, vale a dire la società del gruppo. Gli spunti che offre sono molteplici, ma attraverso un paio di essi cerchiamo di leggere quanto accade nel ciclismo, lanciato verso il 2022 con l’affanno di riprendersi ciò che il Covid s’è portato via.
Martin è l’uomo di punta della Cofidis per la salita, ma è noto più che altro per i suoi studi di filosofiaMartin è l’uomo di punta della Cofidis per la salita
Il gruppo e il campione
Una volta un corridore scherzando sul suo piazzamento nelle retrovie, disse che per dare grandezza ai primi c’è bisogno anche dello scenario composto da quelli che vengono dopo.
«Non possiamo vivere senza gli altri – scrive Martin – biologicamente, sociologicamente o economicamente. Resta da vedere come collaborare con loro senza dimenticare se stessi, come uscire dal gioco senza danneggiare il gruppo senza il quale non esisteremmo. Il campione ha bisogno di un gruppo per affermare le sue ambizioni. Emana da esso e ne fa parte e tuttavia cerca di distinguersi da esso, di sfuggirgli».
Sembra invece che lo stesso affanno di cui si diceva in avvio si sia impadronito anche dei ragionamenti dei manager, che dovrebbero essere più lungimiranti. Nei giorni scorsi, Gasparotto ha esposto il problema con grande lucidità.
«Ai miei corridori ho da raccontare esperienze pratiche che a me sono costate – ha detto – io ho avuto tempo per rimediare, loro non ce l’hanno. Bisogna tirare fuori il meglio da tutte le situazioni, perché oggi il margine di errore è davvero ridotto».
Oggi si investe per cercare i primi, rovistando fra gli juniores, lasciando che gli altri smettano. Va bene che il professionismo è composto dall’elite del movimento mondiale, ma in nome di cosa chi ne faceva parte ieri, ne è fuori oggi?Non fuit in solo Roma peracta die: Roma non fu costruita in un solo giorno.
Al Tour del 2018, Dumoulin finì 2° dietro Thomas, Roglic fu 4°. Dopo il… buco del 2019, tutt’altro scenarioAl Tour del 2018, Dumoulin finì 2° dietro Thomas, Roglic fu 4°. Dopo il… buco del 2019, tutt’altro scenario
Dumoulin e Roglic
Il collegamento con il passaggio successivo del libro di Martin è a questo punto immediato. «Viviamo in un mondo che esaspera le piccole differenze – scrive il francese – che le amplia. Oggi sono diventato il leader di una squadra e come tale godo di uno status radicalmente diverso da quello di corridori che ho a malapena dominato nelle categorie amatoriali».
Vengono in mente Dumoulin e Roglic, due corridori che si sono spesso sfidati prima di diventare compagni di squadra. Fino alla caduta nel Giro del 2019, lo score era tutto dalla parte dell’olandese. Poi il blackout e lo sbocciare dell’altro. In un’intervista pubblicata su Cyclingnews, uno dei tecnici della Jumbo Visma dice che l’olandese è ancora un corridore da grandi Giri e come tale potrebbe tornare al Tour de France nel 2022.
Nessuno di quelli che conosce Dumoulin lo ha mai messo in dubbio. Fra i due la differenza l’ha fatta la testa. Eppure, nonostante sia tornato ai vertici con una medaglia olimpica nella crono, c’è stato bisogno dell’intervento del preparatore. Il ciclismo era già passato oltre.
Martin si stupisce dei continui paragoni del ciclismo di oggi con quello di un tempoMartin si stupisce dei continui paragoni del ciclismo di oggi con quello di un tempo
Un’insolita bulimia
E alla fine è ancora il libro di Martin a fornire una lettura chiara di quello che vivono oggi i corridori. Si parte tuttavia dal presupposto che ciascuno ha la percezione dell’epoca in cui si muove e che il peso della storia sia un carico difficile da sostenere. E’ così in ogni ambito: dalla durezza della scuola rinfacciata ai figli, a quella del lavoro.
«Sono stupito – scrive Martin – dei profili Twitter che esaltano il ciclismo di una volta. E’ facile suggerire che noi ciclisti contemporanei siamo pigri rispetto ai nostri gloriosi predecessori. Nel percorso del prossimo Giro appena svelato, nessuna tappa supera i 200 chilometri. Non credo però che siamo meno coraggiosi dei ragazzi che ne facevano 400. Da un lato, tutto dipende dall’intensità. Dall’altro, la nostra vita è un impegno costante e alla sopportazione chilometrica si somma ogni dettaglio della quotidianità. Non scaliamo l’Alpe d’Huez a tutta, come non facciamo 400 chilometri. Quando arriviamo ai piedi di una salita, il nostro cuore è già a 180 battiti e sappiamo che passeremo mezz’ora ad un’intensità che Henri Cornet o Maurice Garin non hanno sperimentato. Non possiamo proiettarci nei corpi di un’altra epoca».
Questo ciclismo così veloce li divora, ne rende alcuni indubbiamente ricchi e altri li abbandona. Accettarlo senza mettersi di traverso è il modo migliore perché la velocità aumenti. Martin in apparenza non si chiede chi abbia convenienza da tutto questo: forse sarebbe utile chiederselo e trovare una risposta.
La quotidianità non ammette grossi recuperi e tolta la settimana di vacanza, non c’è spazio per altro. A volte si parla di carriere più corte a causa dell’impegno precoce. Quella di Dumoulin ha rischiato di finire anche per quest’ansia di riempire, sfruttare, produrre e ripagare gli investimenti che a tratti assume i contorni di un’insolita bulimia. Dopo qualche mese di stacco, il suo talento è tornato a brillare.
Al Tour del 2018, Thomas guadagnò a crono, contenne i rivali in salita e li bruciò nei finali. Secondo Malori, Pogacar e Roglic attuano lo stesso schema
Gasparotto ha già cominciato a lavorare. Martedì si è caricato in macchina Matteo Fabbro e, approfittando del fatto che il biondo vive vicino ai suoi genitori, sono andati insieme a vedere la tappa del Santuario di Castelmonte, terzultima del Giro.
«Tappa interessante – dice prima di rimettersi in viaggio per Lugano – in zone che non ho mai frequentato. Quello è il feudo di De Marchi, che abita ai piedi delle prime salite di tappa. La salita di Kolovrat che parte dalla Slovenia vicino Caporetto è davvero dura. Sale su uno di quei passi su cui le dogane non sono controllate. Là in cima hanno tutti il fucile in casa. E’ un po’ lontana da Castelmonte, perché prima di scendere su Cividale c’è una serie di su e giù. Ma è dura…».
Un post su Instagram per annunciare il passaggio alla Bora-HansgroheUn post su Instagram per annunciare il passaggio alla Bora-Hansgrohe
Progetto Bora-Hansgrohe
Il “Giallo” è uno dei nuovi direttori sportivi della Bora-Hansgrohe ed è stato bravissimo a tenersi il segreto in pancia, dato che le trattative sono iniziate molto presto nel corso della stagione. Dice che al momento dei primi contatti era concentrato su altre cose e che lo ha conquistato il fatto che si sia parlato di un progetto a lungo termine.
«Hanno parlato di anni futuri – spiega – e questo mi convince, perché non è facile cambiare tanto in una squadra in poco tempo. Avevo diverse idee per la testa. Nel 2021 ho avuto la fortuna di capire come si lavora in un’organizzazione come Rcs. Poi ho avuto la possibilità di sperimentarmi nel ruolo di direttore sportivo, sia pure in una continental (in apertura, sull’ammiraglia della Nippo Provence, in una foto scattata da sua moglie Anna Moska, ndr). E’ presto per dire se quello che sto iniziando è ciò che mi piacerebbe fare da grande. Adesso siamo tranquilli, vedremo come andrà sotto stress».
Gasparotto ha partecipato al Giro d’Italia del 2021 come regolatore in moto, assieme a Velo, Longo Borghini e BarbinGasparotto ha partecipato al Giro come regolatore in moto, assieme a Velo, Longo Borghini e Barbin
Giovani direttori
I team manager hanno capito che puntare su direttori sportivi appena scesi di bici offre un enorme vantaggio nel rapporto con i corridori. Perché sanno cosa vivono i ragazzi, avendo ancora sulla pelle e nella testa le stesse sensazioni. Parlano la stessa lingua. E gli atleti giovani, che credono ai fatti più che alle parole, ascoltano più volentieri un tecnico che fino al giorno prima era in mezzo a loro e aveva una voce forte nel gruppo. Uomini che hanno vissuto la schiavitù dei watt, ma sanno che in un corridore c’è tanto di più. E’ così con Pellizotti al Team Bahrain Victorious, con Tosatto alla Ineos e sarà così con Bennati in nazionale.
Si dice che da grandi si tende a imitare quello che si è vissuto. Quale sarà il tuo riferimento?
Per me Rolf Aldag è stato un bel modello e ho la fortuna di lavorarci anche alla Bora. Poi un altro bell’esempio è stato Marcello Albasini, con cui ho lavorato nella continental. Lui è stato illuminante per la capacità di essere padre dei corridori nonostante la grande differenza di età, il fatto di saperli ascoltare. Da tutti si può prendere qualcosa, non vorrei fare nomi…
Nemmeno di Fortunato Cestaro?
Fortunato fu un secondo padre, abbiamo lavorato insieme nei dilettanti e purtroppo non c’è più. Porto con me tutto il buono che mi ha insegnato. E a questo punto, parlerei anche di Franco Cattai, che mi ha messo in bici e che diceva allora in dialetto veneto le cose che ora vengono dette in inglese. Da tutti ho imparato qualcosa, che mi tornerà utile. Il ciclismo è cambiato molto. E’ tutto o niente, è diventato totalizzante. Si rischia di trascurare l’aspetto umano e le esigenze dei ragazzi.
Sai già i nomi dei corridori con cui lavorerai?
Ne avrò sei e alcuni che mi intrigano, perché hanno dei caratteri particolari. Ci sono anche gli italiani…
Nel 2005 Gasparotto è passato alla Liquigas, qui al Trofeo LaiguegliaNel 2005 Gasparotto è passato alla Liquigas, qui al Trofeo Laigueglia
Cosa ti pare di Aleotti?
Quando su un atleta si fanno programmi a lungo termine, vuol dire che la squadra ci crede. Giovanni ha caratteristiche simili alle mie, sarebbe intrigante portarlo alle classiche del Belgio e provare a fare qualcosa di buono.
Credi che questo incarico pareggi i conti con la cattiva sorte che ha condizionato tanto la tua carriera?
Non pareggia i conti, perché in definitiva nonostante gli alti e i bassi, sono contento della strada che ho fatto. Non ho rimpianti e rifarei certe cose, perché tutto, anche gli errori, mi hanno consentito di essere la persona che sono oggi. E sono contento perché entro in un ambiente che, tolti Aldag ed Eisel, non mi conosce…
Che cosa intendi?
Se mi avessero conosciuto 10 anni fa, magari il ricordo li condizionerebbe. Il “Gaspa” di oggi non è quello di prima e devo ammettere che mi piace più quello di oggi di quello di allora. Riconosco che ero un bel testone…
Ti sei fatto da solo la prossima domanda…
In che senso?
Che cosa diresti al “Gaspa” di allora se fossi il suo direttore sportivo?
Eh… (ride, ndr). Cercherei il canale giusto. Gli spiegherei quello che ho vissuto, sperando che accenda la lampadina anche a lui. Ho da raccontare esperienze pratiche che a me sono costate, io ho avuto tempo per rimediare, loro non ce l’hanno. Bisogna tirare fuori il meglio da tutte le situazioni, perché oggi il margine di errore è davvero ridotto.
Fabbro e Aleotti sono due dei corridori che lavoreranno con GasparottoFabbro e Aleotti sono due dei corridori che lavoreranno con Gasparotto
Come si fa a conquistare la fiducia dei corridori?
Ve lo dico l’anno prossimo (ride nuovamente, ndr). Siamo tutti diversi, per questo è bello e interessante farne parte. Non si può avere con tutti lo stesso approccio, con ciascuno va trovato quello giusto ed è parte del mio lavoro. Arrivo da un corso all’Uci, in cui erano comprese quattro ore di coaching per spiegare come essere a capo di un gruppo di corridori. L’ho trovato molto interessante.
Prossimi passi?
Ritiro in Germania per programmi e misure. Poi liberi fino a gennaio e a quel punto si andrà in ritiro a Mallorca. La squadra ha deciso di lasciarli liberi a dicembre, perché i ragazzi sono veramente professionali. Ai miei tempi c’era da puntare il fucile perché ci allenassimo, qui bisogna frenarli perché fanno anche troppo. Aleotti e Fabbro andranno alle Canarie, molti si stanno attrezzando in questo senso. Stressarli adesso non serve. Saltato il Tour Down Under, si comincerà tutti più avanti. E la stagione sarà ancora una volta lunghissima…
Al Tour in qualche modo si complica la vita, alla Vuelta domina: lo “strano” caso di Primoz Roglic, un po’ come nel celebre romanzo di Stevenson. Con l’aiuto di quattro figure analizziamo il cambiamento dello sloveno tra Francia e Spagna.
Soprattutto quest’anno Primoz ha vinto a mani basse, dominando dalla prima all’ultima tappa. L’anno scorso aveva un po’ traballato nel finale, complice un’annata particolare con un calendario iper caotico, e i fantasmi del Tour perso poche settimane prima in modo rocambolesco.
La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…La caduta di Roglic al Tour di quest’anno…
Il corridore: Gasparotto
Partiamo con l’occhio del corridore. Abbiamo chiesto ad Enrico Gasparotto fresco ex, e quindi con giudizio più libero, ma che ha visto Roglic in gruppo, anche alla Vuelta 2020.
«Prima di analizzare il Roglic tra Tour e Vuelta – dice Gaspa – per me bisogna concentrarsi sulla differenza delle tre corse a tappe.Il Giro è quello più imprevedibile. E lo è non tanto per le cadute ma per la morfologia del nostro territorio. In ogni tappa, dal Nord al Sud, c’è una salita, una discesa, un tranello. Ricordo che ogni volta che c’era un capitano che lottava per la classifica c’era tensione in squadra, perché ogni situazione poteva volgere in peggio.
«Il Tour è la gara a tappe più importante, la più seguita e questo genera tensione nei ragazzi e nei team. E la riportano in corsa. Il percorso sarebbe più facile, ma questa voglia di stare davanti, di farsi vedere e i corridori che sono tutti al super top della condizione, genera una grande tensione globale in corsa e fuori. E poi c’è la Vuelta che ha salite più corte ma strade ampie e buone ed è più facile da interpretare anche tatticamente.
«Al Tour è fondamentale avere uomini capaci di stare davanti per davvero. E anche l’atleta deve saper guidare perfettamente la bici e forse in questo senso, venendo da altri sport, a Roglic manca quello 0,01% di abilità nel districarsi nelle situazioni estreme. Anche alla Vuelta ha preso dei rischi esagerati in certe situazioni. Però so che la Jumbo ci sta già lavorando su con l’ex downhiller Sainz. Lui ha collaborato con altri team, anche con noi alla Ntt. Ha aiutato nella tecnica la nazionale svizzera di Mtb, che infatti ai recenti mondiali ha fatto tripletta».
Sepp Kuss il suo gregario più fidatoSepp Kuss il suo gregario più fidato
Il diesse: Zanini
Dal corridore, passiamo al diesse. Ci siamo rivolti a Stefano Zanini, in forza all’Astana-Premier Tech. E anche lui punta forte sul discorso dello stress in gara. «Probabilmente – spiega Zazà – perché dei tre grandi Giri la Vuelta è quello meno stressante. In Spagna si prende tutto con più calma e parlo anche dell’ambiente di contorno».
Con Zanini emerge il discorso della squadra. In Francia Roglic aveva anche Van Aert che in qualche modo ha calamitato attenzioni e richiesto uomini.
«Dite che potrebbe aver influito la presenza di altri big? Ci può stare. Io non conosco bene Primoz e non so che carattere abbia realmente. Da fuori sembra tranquillo, poi bisogna vedere se magari soffre la presenza di chi può essere leader al posto suo. Io gli metterei vicino un uomo completamente per lui. Il classico gregario super fidato. E Kuss è il più vicino (ma in pianura fa fatica visto che è uno scalatore, ndr) a ricoprire questo ruolo. Fatto sta che per me un capitano lo devi “coccolare” e dargli fiducia al 100% fino alla fine, anche se un giorno perde 2′. Poi, ovvio: se qualcuno in squadra va più forte devi rivedere le cose, ma devi fare il tutto e per tutto per stargli vicino».
Infine Zanini interviene sui rischi presi da Roglic e dalla sua ammiraglia anche in quest’ultima Vuelta.
«Certi rischi non glieli farei prendere, sicuro. O guadagni bene, altrimenti un’azione come quella nel giorno in cui è caduto in discesa per pochi secondi non è necessaria. Con questo non voglio giudicare la Jumbo-Visma, ognuno fa la sua corsa. Magari per come hanno perso il Tour l’anno scorso, non vogliano più rischiare e guadagnare il più possibile ogni volta che si presenta l’occasione».
In Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassantiIn Spagna, anche in corsa, ci sono momenti più rilassanti
Il preparatore: Cucinotta
Ma non si vince senza gambe buone e per questo ecco l’intervento di Claudio Cucinotta, sempre in forza all’Astana, ma preparatore anche di molti biker di livello internazionale.
«Bisognerebbe capire bene come si prepara Roglic per l’una e per l’altra corsa – dice il tecnico – ma questo lo sa solo lui realmente. Sicuramente in Spagna rispetto al Tour incontra dei livelli di concorrenza e ritmi leggermente inferiori. Non tanto sulle salite, quanto per arrivarci. E questo genera un livello di pressione diversa che magari al Tour può metterlo in difficoltà. E’ un fatto che alla Vuelta Primoz sbagli meno. L’anno scorso quando ha perso il Tour ha avuto un calo di testa e non fisico, perché fino al giorno prima aveva dominato. In un lasso di tempo così breve non può cambiare la situazione in quel modo».
In Spagna, a parte qualche caso, ci sono salite più corte del Tour. Primoz è un ottimo cronoman e in teoria dovrebbe essere sfavorito su questa tipologia di percorso.
«Roglic è tutto! E’ uno scalatore, ma è esplosivo. Se andiamo a vedere vince spesso gli sprint con arrivo in salita e per me le scalate brevi lo avvantaggiano. Ma non è che sulle salite lunghe vada male…
«Se c’è differenza nei valori espressi nelle due corse? Quest’anno non lo sappiamo perché al Tour si è ritirato presto (e la metà di quelle poche tappe le ha fatte in modo malconcio, ndr) dopo la caduta. L’anno scorso invece i suoi valori erano molto simili tra le due gare. Per me quindi la differenza del suo rendimento non è fisica».
Sulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezzaSulle strade di Spagna Roglic mostra sempre grande autorevolezza
La mental coach: Borgia
A questo punto il giudizio della psicologa diventa forse il più importante visto che la parola stress è quella che è emersa praticamente sempre. Parola ad Elisabetta Borgia, che collabora con la Trek-Segafredo e molti altri atleti.
«Si è parlato di stress, ma non credo sia la parola chiave. Dopo quel Tour perso in quel modo contro Pogacar è chiaro che su Roglic c’è una pressione super al Tour. La corsa francese è più stressante della Vuelta e lo stress incide sugli atleti. E un atleta chiamato a vincere nel bene o nel male è più esposto alla pressione. Detto questo però Roglic ti vince le Olimpiadi che non sono propriamente una corsetta! Che ci abbia lavorato su? Che abbia imparato dai suoi errori? Poi è anche vero che la pressione in una gara secca è diversa da quella prolungata in tre settimane».
A questo punto la Borgia apre un “capitolo” molto interessante.
«Un aspetto molto importante nella prestazione è il senso di auto efficacia. Questo è un costrutto dello psicologo Bandura che dice che è fondamentale nel benessere della persona, e nello sportivo ancora di più, quanto ti senti forte. E un Roglic che ha già vinto due Vuelta arriva in Spagna in modo diverso da come farebbe in Francia, dove ancora non è riuscito a vincere, anche se ci è andato vicino. Alla Vuelta sa di essere forte, si sente “a casa”, è in una “comfort zone”. Al Tour magari non è riuscito a tirare fuori il Roglic migliore. Poi è anche vero che è caduto in questa Vuelta e viene da chiedersi se sia consapevole dei propri limiti, se sia sempre lucido».
Infine vogliamo capire se il fatto che la Vuelta per molti sia un obiettivo di “riparazione” o comunque non il primo goal della stagione, possa incidere sull’approccio mentale. Ho sbagliato al Tour o al Giro e vado alla Vuelta per raccogliere qualcosa…
«Sicuramente si hanno sensazioni diverse: un conto è preparare il primo obiettivo e un conto il secondo, specie se è l’ultimo ed è “o la va o la spacca”. Quest’anno poi, con le Olimpiadi di mezzo, ci sono stati tanti approcci differenti. Una cosa fondamentale di Roglic è che ha una resilienza non da poco. Fa flop al Tour, va alle Olimpiadi e vince, va alla Vuelta e vince. E lo stesso ha fatto l’anno scorso. Segno che comunque questo ragazzo ha delle risorse importi. E’ sul pezzo. Okay lo stress e la testa, ma è forte. Perché comunque, e lo dico sempre, la testa conta, ma le corse si vincono con le gambe. Se hai 50 watt in meno anche se di testa sei forte non vinci».