Una bici al cielo, la piazza esplode per Bettiol tricolore

23.06.2024
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SESTO FIORENTINO – Quante volte hai pensato ad Alfredo Martini durante la corsa? Bettiol si volta quasi di scatto e tira su col naso. Passa la mano destra nei capelli più di una volta, per qualche prurito dopo tutto il giorno col casco sulla testa e poi guarda fisso.

«Ci ho pensato veramente tanto – dice – prima quando ho fatto la ricognizione, perché praticamente lui abitava qua, dietro la piazza, e conosco molto bene le figlie e i nipoti. Poi quando sono partito sulla salita ed ero solo a cinque dall’arrivo, mi è venuto anche un po’ da piangere. Ho pensato ad Alfredo, ho pensato a Mauro Battaglini e pensavo a quanto sarebbe stato bello che anche loro fossero qua con me oggi, con noi. Insomma, ecco… un pensiero va anche a loro due».

Una settimana difficile

Alberto Bettiol ha appena vinto il campionato italiano, con un’azione da duro sul circuito che aveva provato con la Mastromarco appena era stato ufficializzato. Ha trovato collaborazione in Rota e Zambanini e in tre si sono sobbarcati la fatica della fuga, quando Zoccarato ha deposto le armi. Era il favorito, tutti lo indicavano come tale e nessuno – noi compresi – si era fermato invece a riflettere sulla caduta al Giro di Svizzera che lo aveva costretto al ritiro.

Racconta Gabriele Balducci – suo direttore sportivo da U23, amico e padre ciclistico assieme a Carlo Franceschi – che quando è tornato a casa dal Giro Next Gen, seguito con Shimano, ha trovato un Bettiol da mani nei capelli.

«Ho cercato di non buttare benzina sul fuoco – racconta commosso e senza voce – ma la situazione era veramente brutta. Grazie alla nostra famiglia siamo riusciti a riprendere la situazione. Parlo di famiglia, perché è un gruppo allargato. Ci sono delle persone che ci stanno vicine e ci hanno dato una grossa mano».

Non sappiamo se Bettiol percepisca sino in fondo l’amore di cui è circondato in questa parte di mondo, ma a giudicare dagli sguardi delle persone che lo hanno accolto sul traguardo e spinto idealmente in ogni metro della fuga, si tratta di un fuoco davvero potente. Quando ha attaccato ed è rimasto da solo, un boato ha scosso la piazza del mercato.

Sotto il palco l’abbraccio tra Carlo Franceschi e Gabriele Balducci: il cuore di Mastromarco batte sempre forte
Sotto il palco l’abbraccio tra Carlo Franceschi e Gabriele Balducci: il cuore di Mastromarco batte sempre forte
Eri messo davvero male?

E’ stata dura ragazzi, perché faccio una cosa bene e 10 male. Ho vinto la Milano-Torino, poi sono caduto ad Harelbeke. Stavo andando bene allo Svizzera, poi sono caduto. Però questa settimana è stato bello. La mia squadra, la EF-Easy Post, mi ha supportato dandomi tutto il materiale. Ma è stata soprattutto una settimana vissuta come quando ero dilettante. Con Carlo Franceschi, con Boldrini, con Balducci, con Luca Brucini, il mio massaggiatore toscano. E’ stato bello. Ci siamo uniti e abbiamo cercato di rimediare tutti insieme a questo danno. La mia famiglia mi ha supportato. La mia ragazza mi ha lasciato tranquillo, sapeva benissimo quanto ci tenessi a questa settimana. Forse è questo il mio segreto…

Quale?

La famiglia, la squadra di Mastromarco che non mi abbandona mai. C’era Giuba, c’era anche Tiziano il meccanico a darmi l’acqua sulla salita. C’era Luca giù in pianura e Balducci era sull’ammiraglia della Work Service, che tra l’altro ringrazio perché siamo stati loro ospiti. Ringrazio Bardelli e i quattro ragazzi di oggi. Sono fortunato e questa vittoria la dedico veramente a loro.

La gente di Bettiol? Eccone una bella fetta. E stasera si fa giustamente baldoria
La gente di Bettiol? Eccone una bella fetta. E stasera si fa giustamente baldoria
Che cosa succede adesso?

Sarà un’annata lunga. Devo onorare questa maglia e ce la metterò tutta. Ma ho anche bisogno di festeggiare, perché le vittorie vanno festeggiate. E poi mi voglio concentrare, perché tra una settimana c’è il Tour de France e spero di essere un degno campione italiano.

Eri il favorito, hai avuto sempre l’espressione molto concentrata…

Oggi è stata dura. Sapevo che era una delle corse più difficili da vincere, perché ero solo e avevo davanti squadre da 17 corridori. Non potevo fare altro che rendere la corsa dura. Fortunatamente ci hanno pensato la Lidl-Trek e l’Astana, ma sapevo che a un certo punto dovevo andare. Non avendo nessuno che potesse darmi una mano, dovevo muovermi. Ho rischiato anche un po’ a farlo tanto in anticipo, però oggi sapevo che bisognava rischiare. In generale mi piace rischiare, oggi bisognava farlo un po’ di più.

Dopo aver animato la fuga, Bettiol ha rotto gli indugi sull’ultimo passaggio in salita
Dopo aver animato la fuga, Bettiol ha rotto gli indugi sull’ultimo passaggio in salita
Sembri un altro Alberto: più preciso, concentrato, anche determinato.

Si invecchia, si matura, si impara dagli errori. Più che errori, direi semplicemente che il ciclismo adesso è diventato molto difficile, molto competitivo. Quest’anno, l’ho sempre detto, è una annata particolare. I Giochi Olimpici, i mondiali, i campionati italiani a Firenze, il Tour che parte da Firenze. Ero stato a vedere il percorso un paio di mesi fa, perché sapevo che sarebbe stato molto difficile tornarci, dato che partivo per Sierra Nevada, poi per la Francia e il Giro di Svizzera.

Come è stato correre senza radio?

Avevo Daniele Bennati (sorride, ndr) che dalla moto mi dava qualche consiglio, perché non avendo la radio e nemmeno la lavagna, non sapevo neanche bene i distacchi. E’ stata veramente una bella giornata. Devo ringraziare anche Lorenzo Rota e Zambanini, che sono stati veramente bravi. E’ stato un degno podio, perché alla fine ci hanno creduto come me. Ci siamo detti di rischiare, io non credevo di staccarli tutti. Credevo comunque di giocarmi qualcosa, scollinata la salita. Ho fatto uno sforzo notevole per balzare davanti, perché ero rimasto dietro. E neanche stavo tanto bene…

Per fortuna…

Avevo i battiti un po’ alti. Era una settimana che non correvo, poi ho fatto tre giorni senza bici e ho avuto un’infezione al braccio. Ho dovuto fare gli antibiotici. Insomma non è stato facile, però avevamo un obiettivo. Dico avevamo perché le persone di cui ho parlato prima si sono sacrificate come me, nella stessa misura. Hanno sacrificato le loro famiglie, i loro impegni, il loro lavoro per dedicarli a me. Luca, il mio massaggiatore, stasera doveva andare in ospedale a lavorare e non ci va perché oggi bisogna festeggiare. Anche questo è importante.

Avevi studiato il fatto di sollevare la bici sul traguardo?

No, dico la verità. Mi sono girato all’arrivo, avevo spazio e volevo fare questa cosa perché devo ringraziare anche Cannondale: sono 10 anni che mi dà le bici e me ne ha fatta una speciale, bellissima. Martedì sera festeggeremo la bici con un grande evento a Castelfiorentino e festeggiarla da campione italiano è una bella cosa.

La partenza è stata data da Piazzale Michelangelo a Firenze: qui fra cinque giorni sbarcherà il Tour
La partenza è stata data da Piazzale Michelangelo a Firenze: qui fra cinque giorni sbarcherà il Tour
Sarai alla partenza del Tour da Firenze e per giunta in maglia tricolore…

E’ una cosa che non avrei immaginato neanche in un sogno. Essere l’unico fiorentino alla partenza era già qualcosa di speciale. Ma sfilare con la maglia tricolore non me lo so neanche immaginare. Ho fatto cinque partenze del Tour e sono state una più bella dell’altra. Però ecco ho fatto la ricognizione del trasferimento, ho fatto dei servizi per ASO e ho capito da dove passiamo. E insomma, con tutto il rispetto per le altre città, Firenze sarà Firenze…

E’ il ritratto della felicità. La sua gente lo aspetta. Il fratello, la ragazza, Balducci, Franceschi. Un sacco di gente che non conosciamo. Una famiglia allargata che da anni lo protegge, lo coccola e a volte lo ha giustificato invitando a volergli bene quando le cose non andavano. Per tutti loro stasera sarà il tempo della commozione, della felicità sfrenata e dei brindisi. Fra meno di una settimana saremo nuovamente a Piazzale Michelangelo. E il viaggio tricolore di Alberto Bettiol prenderà ufficialmente il largo.

Dalla Colombia torna Piccolo pronto per vincere

12.02.2024
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Il Tour Colombia finisce in archivio con la vittoria finale di Rodrigo Contreras e la sensazione di una macchina appena rimessa in moto, per questo bisognosa di rodaggio e sintesi. Non c’erano i corridori delle precedenti edizioni, eppure fra i nomi venuti alla luce negli ordini di arrivo, quello di Andrea Piccolo fa particolarmente piacere. Il milanese ha lavorato per il suo leader Carapaz scortandolo fino all’approdo sul podio di Bogotà e sta lanciando da qualche tempo degli ottimi segnali. La sensazione che sia prossimo alla svolta si fa largo in chi meglio lo conosce, nella squadra che ci crede e ovviamente nei tifosi che non hanno mai spesso di aspettarlo.

La trasferta colombiana, con tutti gli interrogativi di una corsa costantemente sul filo dei 2.500 metri, lo ha segnalato con un settimo e un secondo posto. E’ difficile presentarsi laggiù e portare a casa qualcosa di particolarmente pesante: sono troppe le differenze di adattamento rispetto ai corridori che a quelle quote sono nati e risiedono. Eppure nella seconda tappa, con l’arrivo a Santa Rosa de Viterbo, Piccolo si è arreso soltanto al maggior spunto e forse anche alla voglia di vincere di un colombiano come Tejada. Chi l’ha visto pedalare dice che il ragazzo spinge già forte e non ha perso l’estro di immaginare l’impossibile: buon viatico per quello che troverà in Europa.

Piccolo contro Tejada, 2ª tappa del Tour Colombia: vince di un soffio il colombiano dell’Astana
Piccolo contro Tejada, 2ª tappa del Tour Colombia: vince di un soffio il colombiano dell’Astana
Ti si vede correre davanti, bel segno. Hai fatto un bell’inverno? Come è andata la preparazione?

Sicuramente ho fatto un inverno differente da tutti gli altri anni. Il clima ci ha aiutato e nel momento in cui ha incominciato a far freddo in Europa, sono venuto in Colombia a fare un ritiro in altura per adattarmi già alla corsa. Per questo la preparazione è andata tutta secondo i piani prestabiliti da me, dalla squadra e dall’allenatore

Quanto è importante per il morale e la voglia di lavorare andare alle corse e stare davanti?

Molto! Vedere di essere davanti ti dà la forza di fare sempre una pedalata in più per non staccarti, perché sai che anche gli altri sono allo stesso limite.

Il Tour Colombia ha accolto i corridori di casa e gli ospiti internazionali con il solito calore di pubblico
Il Tour Colombia ha accolto i corridori di casa e gli ospiti internazionali con il solito calore di pubblico
Come è stato il primo anno nel WorldTour e a cosa è servito?

Lo scorso anno sicuramente non è stato semplice per me. Ho cercato sempre delle sensazioni in allenamento e in corsa che non ho mai trovato. Però ho lavorato molto per la squadra e questo mi è servito da esperienza.

Si è sempre detto che hai un grande motore, stai lavorando anche sull’aspetto mentale, magari cominciando a puntare a obiettivi definiti?

Sì, sto lavorando molto a livello mentale. Mi sto facendo seguire da un mental coach e questa cosa è molto importante. Ho notato davvero la differenza. Ho capito che per poter vincere contro gli altri, devi prima vincere te stesso. E’ stato un passaggio decisivo, che consiglierei a tutti. Si acquista una sicurezza molto superiore in se stessi.

Oltre alla soddisfazione personale, la EF Pro Cycling ha lavorato per Carapaz
Oltre alla soddisfazione personale, la EF Pro Cycling ha lavorato per Carapaz
Buttiamo via la scaramanzia: qual è l’obiettivo dei sogni?

Come ho imparato, preferisco puntare a traguardi reali e non troppo distanti. Quindi l’obiettivo sarà quello di far bene alla Liegi e provare a vincere una tappa al Giro d’Italia.

Come ti trovi alla EF?

Alla EF mi sento sereno e supportato in tutto. Ci danno tutto quello che serve per essere ai livelli top, abbiamo la possibilità per allenarci e rendere al meglio. E ho capito che essere tranquilli e sereni a livello mentale è la cosa più importante.

Dopo le varie vicissitudini delle ultime stagioni, dalla Gazprom alla Drone Hopper, ti senti più solido di quando sei passato?

Sicuramente sì. Sento di aver costruito e di avere comunque una base sotto, che prima non avevo sicuramente. Gli anni di esperienza nel WorldTour servono a questo: a creare una base solida per poi poter lavorare bene.

Andrea Piccolo è nato a Magenta il 23 marzo 2001. E’ pro’ dal 2022. E’ alto 1,81 e pesa 64 chili
Andrea Piccolo è nato a Magenta il 23 marzo 2001. E’ pro’ dal 2022. E’ alto 1,81 e pesa 64 chili
Cosa speravi di portare a casa da questo viaggio?

Da questa trasferta ho già portato a casa più di quanto sperassi. Adesso non resta che tornare a casa. Mi sono goduto l’ultima tappa, cercando il miglior risultato possibile per la squadra. Sono soddisfatto perché non mi aspettavo che il mio fisico rispondesse così bene all’altura. Per questo non vedo l’ora di tornare in Europa per scoprire le nuove sensazioni.

Carapaz e quei denti un po’ troppo stretti al Delfinato

20.06.2023
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Dopo David Gaudu ed Enric Mas è Richard Carapaz il terzo deluso del Delfinato. Il campione olimpico ha chiuso 36° nella generale ad oltre 35′ da Jonas Vingegaard. Dati preoccupanti in vista del Tour de France.

La stagione del corridore della EF Education-Easy Post è stata tutta un’altalena. Una vittoria e una battuta d’arresto. Ma se nei mesi precedenti tutto sommato le cose erano sotto controllo, adesso che il tempo stringe è allarme rosso. O quantomeno arancione.

Carapaz (classe 1993) vince il Mercan’Tour pochi giorni prima del Delfinato. Sin ad oggi solo 24 giorni di corsa per il campione ecuadoriano
Carapaz (classe 1993) vince il Mercan’Tour pochi giorni prima del Delfinato. Sin ad oggi solo 24 giorni di corsa per il campione ecuadoriano

Altalena 2023 

Carapaz ha esordito vincendo il titolo nazionale a febbraio, poi ha avuto una forte tonsillite. E’ arrivato tardi in Europa ed è quasi sempre stato costretto ad inseguire la condizione, tanto da saltare le Ardenne. Dopo i Paesi Baschi infatti c’è stato ancora uno stop per l’ecuadoriano.

Ma quando è rientrato a fine maggio ha vinto la Mercan’Tour Classic Alpes-Maritimes. Okay, non è una gara di primissimo piano, ma aveva dato pur sempre ottimi segnali.

Segnali che lui stesso aveva interpretato così: «Questa vittoria – aveva detto Carapaz – mi dà fiducia in vista del Tour. Adesso so di essere sulla strada buona e che devo continuare così al Delfinato».

Polveri bagnate 

E al Delfinato in effetti ha continuato ad attaccare, come del resto è nel suo Dna, ma il risultato non è stato lo stesso.

E’ stato proprio Richard ad aprire le danze tra i big sulla salita finale della quinta frazione. Salvo poi rimbalzare pesantemente. Eppure era partito bene con un secondo posto, nella seconda frazione. Ma forse sono stati proprio questi risultati a portarlo fuori strada.

In casa EF sembrano tranquilli. Voci non ufficiali hanno parlato di un calo prevedibile dopo cinque giorni di corsa a questi livelli. In fin dei conti era un bel po’ che Carapaz non si scontrava con certi avversari.

Però qualche dubbio resta, come per esempio nella tappa contro il tempo. Okay, Carapaz non è un cronoman e si trattava di una frazione per specialisti, però ha incassato oltre 2’30”, facendo peggio persino di Bernal e soprattutto di Gaudu che è meno cronoman di lui.

E nell’ultima frazione ha incassato mezz’ora, arrivando con l’ultimo gruppetto, scortato dal fido Amador e da Arcas. E’ chiaro che non era il corridore che conosciamo.

Anche la stampa sudamericana non è stata benevola. «Carapaz ha avuto grosse difficoltà, adesso avrà tempo di recuperare per il Tour?». E ancora: «Non è il Carapaz che c’era alla Movistar e che è arrivato alla Ineos Grenadiers».

Sui Pirenei Carapaz ha testato delle nuove ruote Vision e anche un materasso a temperatura controllata (foto EF Education-Easy Post)
Sui Pirenei Carapaz ha testato delle nuove ruote Vision e anche un materasso a temperatura controllata (foto EF Education-Easy Post)

Da Andorra al Tour

Dalla squadra non giungono commenti e neanche Richard ha rilasciato grosse dichiarazioni dopo Delfinato. Durante la corsa continuava a dire di lottare, ma tra il dire e il fare ci sono di mezzo le gambe.

Tuttavia una chiave di lettura corretta si può ricostruire dalle parole di Nate Wilson, performance manager della EF. Wilson sostanzialmente aveva detto che Carapaz e i suoi compagni avevano lavorato bene e duramente a Font Romeu, località pirenaica a 1.800 metri di quota. Aveva aggiunto che era importante arrivare al Delfinato se non proprio al 100 per cento, quasi. Altrimenti si sarebbe usciti da questa corsa peggio di come la si era iniziata.

E allora è lecito ipotizzare che una volta visto che certi fuorigiri stavano diventando dei boomerang, Carapaz e il suo staff abbiano deciso di “alzare il piede dall’acceleratore” e abbiano pensato solo a concludere la corsa, facendo un blocco di lavoro, come si usa dire oggi.

Nei giorni scorsi Carapaz è salito di nuovo in altura, ad Andorra, con alcuni compagni di squadra. 

«In questo camp – ha dichiarato Wilson – il primo step è stato il recupero. Poi abbiamo iniziato a fare l’ultimo piccolo blocco prima del Tour: grandi salite, anche dietro allo scooter per fare del buon ritmo gara».

Basterà? Lo capiremo tra pochi giorni sulle strade del Tour.

Tejay in ammiraglia per tentare il colpaccio con la EF

02.05.2023
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BRUNICO – Il preannunciato dualismo Evenepoel-Roglic che dovrebbe attirare l’attenzione maggiore al Giro d’Italia potrebbe essere spezzato da tanti altri contendenti. Leggendo la lista dei partenti, non mancano le formazioni che possono inserirsi nella lotta al podio finale. Fra queste c’è la EF Education-EasyPost che con i suoi uomini ha tutte le credenziali per sparigliare le carte in tavola.

Sull’ammiraglia rosa del team statunitense ci sarà Tejay Van Garderen (in coppia con Matti Breschel), uno che di gare a tappe se ne intende. Il 35enne nativo di Tacoma, comune dello Stato di Washington, è diventato diesse della squadra con cui ha chiuso la carriera e con la quale vuole provare ad arrivare dove non è riuscito lui. Al recente Tour of the Alps lo abbiamo incrociato ogni giorno, scambiandoci più di una chiacchiera. Ne è saltato fuori un quadro generale sulla sua nuova vita e sull’imminente Giro.

Van Garderen sta lavorando a stretto contatto con Carthy e spera possa fare una grande carriera
Van Garderen sta lavorando a stretto contatto con Carthy e spera possa fare una grande carriera

Avvicinamento al Giro

La stagione della EF Education-EasyPost si può già ritenere molto buona. Dieci vittorie (aperte da Bettiol in Australia) ottenute con sette atleti diversi, senza contare i quattro titoli nazionali tra Sudamerica e Sud Africa vinti con altrettanti corridori. L’ultimo appuntamento prima del Giro è stato proprio il “TotA”.

«Il nostro Tour of the Alps – racconta Van Garderen – è andato alla grande. La Ineos-Grenadiers è stata super forte, ma ognuno dei nostri ragazzi ha provato a mettere in piedi una bella sfida con loro e con le altre squadre. Abbiamo chiuso la generale con il secondo posto di Carthy ed il quarto di Cepeda. Poi all’ultima tappa abbiamo messo la ciliegina sulla torta con la vittoria di Carr e la seconda piazza di Steinhauser. Quindi non abbiamo molto di cui lamentarci. Al Giro sappiamo che sarà tutto diverso, ma abbiamo finito con diverse indicazioni interessanti».

Rigoberto Uran sarà l’altra punta per la generale al Giro, dove ha ottenuto due podi e due vittorie di tappa (foto EF Education/Getty)
Rigoberto Uran sarà l’altra punta per la generale al Giro, dove ha ottenuto due podi e due vittorie di tappa (foto EF Education/Getty)

Obiettivo rosa

Storicamente la EF ha sempre sfoggiato livree ad hoc e molto originali per i grandi Giri. Anche se non c’è alcuna ufficialità, facile attendersi qualche cambiamento cromatico sui due blocchi di tonalità rosa che caratterizzano la loro maglia di gara durante l’annata. Ovviamente Van Garderen e soci si augurano che il rosa possa essere il colore da indossare il 28 maggio a Roma.

«Al Giro – spiega Tejay in modo molto semplice – avremo obiettivi multipli anche se quello principale sarà la classifica generale. La cureranno Carthy e Uran, che partono come capitani mentre un cacciatore di tappe sarà senz’altro Cort Nielsen. Dobbiamo ancora sciogliere qualche riserva per la nostra formazione. Di sicuro c’è che avremo più di una direttiva e più di una pressione da parte del diesse numero uno (Charlie Wegelius è il responsabile del reparto, ndr). Studieremo diverse tattiche di gara in base agli uomini che porteremo e giorno dopo giorno. Ci saranno sicuramente corridori che dovranno lavorare per le nostre punte. Siamo fiduciosi perché tutto è possibile».

Erede in corsa

Se Uran, pur avendo perso lo smalto dei giorni migliori, rappresenta un “usato sicuro” grazie ai podi ottenuti anni fa a Giro e Tour, Carthy può considerarsi ancora un atleta da scoprire nonostante abbia già 28 anni. Il magro “lungagnone” britannico vorrebbe ripetere il terzo posto finale della Vuelta 2020 e contemporaneamente migliorare la quasi progressiva escalation di piazzamenti nella top ten al Giro.

«Hugh mi somiglia molto fisicamente – prosegue Van Garderen con un mezzo sorriso sulle labbra – ma non credo possa essere considerato un mio erede. Siamo simili, ma alla fine abbiamo caratteristiche un po’ diverse. Lui è decisamente molto più scalatore di quanto lo fossi io, mentre io andavo più forte a cronometro. Relazionandomi con lui però ho potuto capire come si sente in corsa, come gli piace correre. Spero potremo continuare in questo modo. So che mi renderà super felice e sinceramente spero che possa avere una carriera migliore della mia. Sono contento e orgoglioso di quello che ho fatto, ma ormai appartiene al passato. Il mio obiettivo del presente è rendere più sicure altre persone col mio lavoro e far ottenere loro, come ad esempio a Hugh, più successi possibile».

Hugh Carthy al Giro vuole salire sul podio come alla Vuelta 2020 (foto EF Education/Getty)
Hugh Carthy al Giro vuole salire sul podio come alla Vuelta 2020 (foto EF Education/Getty)

Vita da diesse

Fa un certo effetto vedere Van Garderen nel ruolo di diesse. Sembra ancora un corridore, tra le fila della EF ha un paio di ragazzi più vecchi di lui e non ce lo immaginiamo mentre rimbrotta severamente i suoi a fine gara. Ma è solo una questione di approcci ad un nuovo impiego.

«Mi piace tanto fare il diesse e mi diverto – continua nella spiegazione l’attuale diesse della EF Education – mi sembra di essere un regista, che deve essere un po’ audace. Sento che è un lavoro in cui posso sia portare la mia esperienza da atleta e sia impararla da chi fa questo mestiere da più tempo di me. Posso aiutare i miei corridori per la loro carriera. Sto insegnando a loro tante cose. Quale può essere la tattica più facile o come gestire la pressione. Oppure ancora a non preoccuparsi di quello che fanno o dicono gli altri. Devono concentrarsi su se stessi. Tutte cose che ho imparato dalla mia carriera. Chissà cosa avrei potuto fare diversamente se avessi avuto più saggezza o esperienza. Questo è importante da far capire ai corridori di oggi».

La gioia di Ortisei

Le frazioni del Tour of the Alps suscitano ricordi al Van Garderen corridore. Lui ha disputato solo due volte il Giro d’Italia perché era più adatto ai disegni del Tour de France (nove partecipazioni e due quinti posti finali) ma il successo più bello lo ha conquistato da noi. E’ il 25 maggio del 2017, Van Garderen si scalda sui rulli di nascosto dagli occhi indiscreti dietro al bus dell’allora BMC perché vuole andare in fuga già al pronti-via. Ha le ultime possibilità per dare un cenno di presenza a quella edizione del Giro.

«Amo assolutamente questa zona in cui ho vinto – conclude Tejay mentre con lo sguardo sembra indicare tutte le montagne attorno – pensate che quando ho finito la mia carriera ho fatto due camps proprio in cima a Passo Gardena. Amo le Dolomiti. Quel giorno di sei anni fa ho conquistato una tappa bellissima con Pordoi, Falzarego, Valparola e Gardena. Non avevo una grande condizione in quel periodo. Avevo sofferto tanto in tutte le tappe ma ero riuscito a finire con una buona forma, trasformando quella tappa in un giorno speciale. Da allora questi posti hanno un posto speciale nel mio cuore».

Ritorno a Cittadella negli appunti di Lachlan Morton

14.11.2022
4 min
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La sola volta in cui Lachlan Morton aveva partecipato a un mondiale fu nel 2015 a Richmond, ma neppure in quel caso indossò la maglia della nazionale australiana. Corse infatti la cronosquadre per club con la Jelly Belly p/b Maxxis e si piazzò al 20° posto a 3’42” dalla BMC in cui correvano anche Quinziato e Oss. Lo stesso Daniel Oss che nel giorno del mondiale gravel di Cittadella, ha preso il largo dopo 30 chilometri, conquistando l’argento alle spalle di Vermeersch. Lachlan Morton c’era, questa volta però con la maglia della nazionale australiana, e ha chiuso al 18° posto a 6’29” dal vincitore.

Nel 2022 per Morton, solo 5 corse su strada. Lo scorso anno 19: qui al Tour of the Alps
Nel 2022 per Morton, solo 5 corse su strada. Lo scorso anno 19: qui al Tour of the Alps

Tutt’altro che invisibile

Lachlan Morton, corridore della Ef Education-Easy Post, ormai non lo trovi più nei siti di statistiche del ciclismo su strada. Stando a quelli, il suo 2022 è iniziato a febbraio alla Clasica Jaen Paraiso Interior e finito con le quattro tappe del Gran Camino. In realtà, poche settimane dopo, appreso dell’invasione russa in Ucraina, l’australiano ha dato via ad una non stop in cui ha percorso 1.064 chilometri in 42 ore da Monaco a Korczowa-Krakovets, sul confine fra Polonia e Ucraina, raccogliendo oltre 250.000 euro per i rifugiati ucraini.

L’anno precedente, Lachlan aveva creato l’Alt Tour, che lo ha visto percorrere tutte le tappe del Tour de France, oltre ai trasferimenti e senza supporto. Un totale di 5.500 chilometri, l’arrivo a Parigi 5 giorni prima del Tour e soprattutto oltre 700.000 dollari raccolti per il World Bicycle Relief.

«Molte persone – racconta – sono entrate in contatto con me grazie a questo tipo di impresa. La maggior parte delle volte in cui corro su strada, non mi sento come se fossi davvero importante per qualcuno, come se mancasse qualcosa. Forse l’idea del viaggio. Invece trovo eccitante attraversare luoghi in cui non avevo mai pensato di andare e che non rientrano fra le rotte tipiche del ciclismo».

Morton Polonia 2022
Marzo 2022, sulla via del confine polacco, durante la sua raccolta fondi per i rifugiati ucraini
Morton Polonia 2022
Marzo 2022, sulla via del confine polacco, durante la sua raccolta fondi per i rifugiati ucraini

Un giorno diverso

Al via di Vicenza, quest’uomo dal grande coraggio e ideali non banali, si è ritrovato in gruppo per dare al gravel un’altra dimensione. Dopo anni di partecipazioni alle gare ultra in America e Spagna, in cui si scalano dislivelli pazzeschi in tempi dilatati, il format della corsa in linea poteva risultare per lui poco affascinante. Invece il giudizio di Lachlan è stato di segno opposto

«E’ stato sicuramente molto diverso – ha detto – dal mio solito. Ho pensato che i primi 50 chilometri siano stati disegnati insieme molto bene e poi ho pensato che il percorso avrebbe potuto essere migliore per la parte restante. Ma nel complesso, ritengo che sia stato un buon evento. Il livello era davvero alto, uno stile di corsa molto diverso. Penso che questo tipo di terreno si presti a ottime gare, mentre quelle negli Stati Uniti si svolgono solo su grandi strade sterrate».

Durante il mondiale gravel in scia del compagno di nazionale Nathan Haas, altro esperto di gravel
Durante il mondiale gravel in scia del compagno di nazionale Nathan Haas, altro esperto di gravel

Il WorldTour e il gravel

Il dubbio sul percorso aveva assalito i puristi della specialità, ma è stata l’UCI stessa a indicare a Pozzato, che ha organizzato il mondiale gravel con la sua PP Sport Events, un limite di dislivello, visto anche l’elevato chilometraggio. Tanto che lo stesso Morton alla fine ha compreso le necessità degli organizzatori e se ne è andato con un sorriso soddisfatto.

«L’inizio della gara – ha confermato – è stato più interessante di qualsiasi altra gara che io abbia fatto negli Stati Uniti. Parlo dal punto di vista del terreno, perché salti dentro e fuori da sentieri e fattorie, ogni genere di cose. Non penso che sia una minaccia per la scena del gravel degli Stati Uniti, è solo qualcosa di diverso. Non c’è niente di male nel venire e provare qualcosa di nuovo e dargli una possibilità.

«Ci sono ovviamente cose che si possono fare meglio, ma era la prima volta. Penso che sia stato spettacolare avere le strade chiuse, la folla incredibile e il terreno davvero interessante e vario. Penso che nel complesso sia stato un successo. Due settimane prima ho partecipato a un evento ultra di cinque giorni, quindi il mondiale mi è parso molto diverso. Ma è stato divertente. E come previsto, i corridori del WorldTour hanno alzato il livello e si sono dimostrati all’altezza».

E’ il Tour, nessun regalo. Bettiol e Kamna guardano avanti

12.07.2022
6 min
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Cosa ti pare del numero rosso? «Non mi garba, ragazzi, posso dirlo? Io oggi volevo vincere». Poi Bettiol allarga le braccia e si infila nel pullman rosa della Ef Education-Easy Post, in attesa che arrivi Magnus Cort, che ha vinto all’aeroporto in quota di Megeve. Il toscano ha ricevuto sul podio il numero rosso di atleta più combattivo, ma per la sua indole vincente, quel trofeo gli è parso più un contentino. Scuote il capo, le anche sporgono, la gamba pulsa per la fatica che lentamente defluisce.

Cos’era oggi, un piano o un sogno? «Non ho mai pensato alla maglia gialla prima del traguardo. Avevo in testa piuttosto di vincere la tappa – dice Kamna – e mi sono davvero impegnato a lungo per farlo. Ma ho avuto davvero la sensazione che l’intero gruppo stesse correndo contro di me. E così facendo hanno rinunciato alle loro chance». Poi il tedesco riprende a girare le gambe sui rulli, con la classifica che lo vede a 11 secondi dal primato di Pogacar. Sylwester Szmyd dà di gomito e dice che forse lo sloveno stavolta ha esagerato. E’ andato a riprenderlo alla Planche des Belles Filles e oggi lo ha rifatto. Poi allarga le braccia e va verso Vlasov, anche lui arrivato da poco.

Megeve ha accolto il Tour sei anni dopo l’ultima volta, quando si ragionava delle Olimpiadi di Rio imminenti e Nibali era qua per costruire la condizione. Fra i ricordi di quel giorno, ci fu un’intervista che Vincenzo rilasciò a Gianni Mura, parlando quasi esclusivamente dei suoi vini preferiti. Gianni manca, poco altro da dire.

Bettiol, fuga per caso

Bettiol nella fuga c’è entrato quasi per caso e ha tirato dritto. E mentre era lì che stringeva i denti, si è trovato con un fumogeno rosso in mezzo alla strada.

«Li ho visti anche da lontano – racconta – e ho capito subito che il gruppo non poteva passare, perché erano tanti e belli decisi. Sono cose he succedono, però stiamo tutti lavorando e potrebbero protestare diversamente. Fortunatamente mi hanno ridato il vantaggio. Avevo paura anche più di quello, perché in passato sotto il minuto facevano ripartire tutti insieme. Invece la giuria è stata brava».

La lunga sosta di Bettiol (e del gruppo) per la manifestazione sul pecorso
La lunga sosta di Bettiol (e del gruppo) per la manifestazione sul pecorso

«E’ stata una cosa strana – prosegue – perché non è mai bello ripartire da zero a 60 all’ora. Le gambe si sono un po’ bloccate, ma insomma… Cosa ho fatto mentre aspettavo? Innanzitutto la pipì perché mi scappava forte. Poi ho cercato di girare le gambe, ho cambiato le borracce e ho bevuto. Mi sono sgranchito un po’ le gambe e poi ho pensato di partire più forte possibile».

Kamna, nessun favore

Kamna al Tour c’è venuto dopo aver corso (e bene) il Giro. Anche da noi avrebbe potuto prendere la maglia rosa, se sull’Etna oltre a vincere, fosse riuscito a staccare Lopez. E mentre gira le gambe, gli riferiamo l’osservazione di Szmyd sul fatto che per due volte, per un motivo o l’altro, Pogacar gli abbia impedito di raggiungere il suo obiettivo.

«Penso che oggi – risponde – mi abbiano lasciato molto tempo. Alla fine è sport. Non ci facciamo regali a vicenda, perché stiamo tutti combattendo. Per un buon piazzamento, per la classifica, per qualunque cosa. E non mi aspetto che qualcuno mi regali qualcosa, soprattutto la maglia gialla. Mi è piaciuto molto il Giro, è stato fantastico, abbiamo fatto la corsa perfetta. E’ stato molto divertente, ma mi piace anche il Tour. E’ un’altra grande gara. Anche l’atmosfera è eccezionale, probabilmente un po’ più stressante». 

Bettiol, quattro volte di più

Bettiol è infastidito, quasi che parlando si renda conto che avrebbe potuto vincere. Ma parla per la squadra e spiega che i risultati di oggi saranno utili per gli uomini di classifica. Poco prima del traguardo, in uno scambio di messaggi con Leonardo Piepoli che lo allena, il pugliese ha scritto che normalmente per vincere serve essere due volte superiori, oggi forse tre.

«Oggi – sorride Bettiol – serviva essere quattro volte più forti, tanto si andava forte. Quando ho capito che stavano venendo a prendermi, ho preferito aspettarli e magari girare con loro. Riposarmi un attimo. Vedevo c’era poco accordo e ho riprovato, ma il corridore della Intermarché era più stanco di me. Comunque tutto questo lavoro alla fine è servito a Magnus per vincere la tappa, quindi sono contento per lui. Sono contento per la squadra, questa vittoria ci dà motivazione».

Kamna, domani sarà dura

Kamna è secondo in classifica, come fu secondo dopo l’Etna, ma se gli chiedi cosa farà domani, esclude nettamente la possibilità di tornare in fuga.

«Sono al secondo posto – dice – domattina cercherò di capire a che punto sono e certo non mi arrendo. In una fuga come questa perdi un sacco di energia, quindi domani dovrò stringere i denti. Cercherò di resistere il più a lungo possibile. Nessuna fuga, domani sarei contento di non saltare…».

Dopo il bagno di folla in danimarca, quando vestiva la maglia a pois, per Magnus Cort è arrivata la vittoria
Dopo il bagno di folla in danimarca, quando vestiva la maglia a pois, per Magnus Cort è arrivata la vittoria

Ha la faccia da ragazzo felice, i capelli dritti e le guance rosse. Racconta Szmyd che qui a Megeve nel 2020 aveva vinto la prima corsa da professionista. Così quando si è reso conto che ci sarebbe arrivato ancora, si è rimboccato le maniche e ha annunciato che sarebbe andato in fuga.

Bettiol, voglia di vincere

Bettiol ha voglia di tornare sul pullman e allungare le gambe. La discesa dal traguardo l’hanno fatta in bici col fischietto al collo e a quest’ora hanno bisogno di riposare e recuperare in vista delle prossime due tappe durissime.

«Ho rischiato – dice Bettiol – non volevo farlo cosi presto. Mi sono ritrovato là davanti casualmente e ho tirato dritto. Comunque sono contento, non stavo neanche troppo bene oggi perché avevo i battiti un po’ alti, forse dovuti al giorno di riposo di ieri. Spero che vi siate divertiti e spero nei prossimi giorni di divertirmi anch’io. Non mi garba quel numero ragazzi, non mi garba davvero. Spero che possiate capirlo».