Quattro anni da corridore e poi altri ventisei in ammiraglia, a seguire, allenare, parlare e veder crescere giovani di generazioni tanto diverse ma con un’unica passione: il ciclismo. Le strade di Cristian Pavanello e della Borgo Molino Vigna Fiorita si sono separate dopo trent’anni, una scelta difficile ma necessaria. Il cammino intrapreso insieme è giunto a un bivio e non è stato più possibile proseguire l’uno accanto all’altro (in apertura Photors.it).
«Ho fatto il diesse per tanti anni – racconta Pavanello quando lo chiamiamo per raccontarci questa storia – ma non sono io il padrone di casa. In queste situazioni nel momento in cui non sei d’accordo con determinate scelte è il momento di voltare pagina. La stagione 2025 non è stata una delle migliori, ma in tanti anni di attività possono capitare delle annate storte. Abbiamo avuto degli infortuni che ci hanno rallentati, succede e si guarda avanti».
Cristian Pavanello dopo 26 anni lascia la Borgo Molino Vigna Fiorita (Photors.it)Cristian Pavanello dopo 26 anni lascia la Borgo Molino Vigna Fiorita (Photors.it)
Tuttavia le strade si dividono…
Chi è a capo del team ha voluto fare dei cambiamenti sui quali non mi trovavo d’accordo. Si è voluto inserire del personale nuovo che avesse un collegamento con squadre WorldTour, sinceramente mi è sembrato un passo fin troppo grande. E’ normale che dopo tanti anni si provi a cambiare, tutti cerchiamo di restare aggiornati e seguire i tempi.
Quale aspetto non ti ha convinto?
Si vogliono apportare determinati cambiamenti in una categoria, quella juniores, nella quale i ragazzi hanno ancora tante altre cose a cui pensare. Prima tra tutte la scuola. Il ciclismo in età giovanile e adolescenziale non dovrebbe essere visto come una professione, eppure questo già succede. Ci sono ragazzi che lasciano gli studi.
Il 2025 è stato un anno difficile ma non privo di soddisfazioni, qui la vittoria al GP Rinascita, la corsa di casa del team (Photors.it)Il 2025 è stato un anno difficile ma non privo di soddisfazioni, qui la vittoria al GP Rinascita, la corsa di casa del team (Photors.it)
Un mondo, in generale, nel quale si fa fatica a riconoscersi?
Sono arrivate anche qui (tra gli juniores, ndr) le società satellite dei team WorldTour. Per fronteggiare e competere contro queste armate non basta dire: «Facciamo come loro». Stiamo parlando di realtà con budget praticamente illimitati e un numero di personale decisamente superiore e qualificato. Per restare al passo con i tempi serve fare scelte ponderate, non basta la voglia di simulare ciò che fanno questi team.
In Italia è possibile?
Partiamo dal dire che il regolamento federale non aiuta, non è colpa della Federazione perché per aggiornarci serve tempo e mettere d’accordo tante teste (troppe forse, ndr). Ma facciamo un paragone.
I devo team juniores hanno alzato il livello, rendendo difficile per le squadre italiane il confronto, qui la Grenke Auto Eder in parata al 37° Trofeo GD Dorigo (foto Instagram/ATPhotography)I devo team juniores hanno alzato il livello, rendendo difficile per le squadre italiane il confronto, qui la Grenke Auto Eder in parata al 37° Trofeo GD Dorigo (foto Instagram/ATPhotography)
Prego…
Un devo team juniores può prendere ragazzi di tante nazionalità diverse, senza limiti (il Team Grenke-Auto Eder nel 2025 aveva nove ragazzi di sette nazionalità differenti, ndr). Una squadra juniores italiana può prenderne al massimo uno e poi due atleti con un punteggio superiore a 35. Va da sé che nel confronto non si parta ad armi pari, anche perché ogni domenica corri contro atleti di livello internazionale e noi abbiamo al massimo uno o due ragazzi che possono competere (ne è esempio il successo in parata della stessa Grenke-Auto Eder al Trofeo Dorigo, ndr).
Guardiamo all’estero ma il confronto è difficile?
E’ tutto completamente diverso, hanno capacità e metodi che per noi sono impossibili da replicare. Pensate al calendario, questi devo team possono correre all’estero quando vogliono. Lo staff e il personale sono pagati e fanno questo di lavoro. In Italia ci basiamo ancora sul volontariato: sacrosanto e per fortuna che esista, ma non si può competere.
In Italia il movimento juniores si è sempre basato su solide realtà, ma la crisi è evidente (Photors.it)In Italia il movimento juniores si è sempre basato su solide realtà, ma la crisi è evidente (Photors.it)
Impossibile farlo ora, ma in futuro?
Penso sia possibile, ma si deve fare tutto grado per grado. E prima di quei cambiamenti portati avanti dal team si devono fare altre cose. Ad esempio c’è il discorso dei materiali: biciclette, abbigliamento, ecc… I devo team si basano sulle squadre WorldTour, possono offrire all’atleta un supporto illimitato. Da noi avere due o tre biciclette, poi la bici da cronometro e kit nuovi ogni mese è impossibile.
Di squadre che sanno lavorare bene ce ne sono anche da noi…
Chiaramente davanti all’offerta dall’estero un ragazzo si fa attrarre, così come la famiglia. Sembra che in Italia non siamo più bravi a fare nulla, non penso sia vero. Abbiamo le nostre qualità, certo per competere con determinate realtà si fa fatica. Ma ci siamo sempre difesi.
L’accordo tra Borgo Molino e Coratti era stato siglato tra i due presidenti, Pietro Nardin e Simone Coratti. Poi il dietrofront di questi giorniL’accordo tra Borgo Molino e Coratti era stato siglato tra i due presidenti, Pietro Nardin e Simone Coratti. Poi il dietrofront di questi giorni
E’ notizia di qualche giorno fa che la Borgo Molino e il Team Coratti non si uniranno più.
Era un’iniziativa portata avanti da me, negli anni ne abbiamo fatte tante tra Italia ed estero. Non so come mai non sia proseguita la cosa. Io avevo fatto incontrare i due presidenti delle squadre che poi erano arrivati a trovare l’accordo, ma è saltato tutto. A mio avviso era una bella iniziativa. Va bene ambire al WorldTour (l’obiettivo dichiarato della Borgo Molino è diventare devo team entro cinque anni, ndr) ma prima sarebbe stato meglio aprire gli occhi e allargare il bacino d’utenza in Italia.
Manuel Oioli, talento piemontese, debutta fra gli U23 con la Fundacion Contador (vivaio Eolo-Kometa). E sui rapporti limitati fra gli juniores dice che...
A sentirlo Patrik Pezzo Rosola dà l’impressione di essere uno di quegli adolescenti sornioni, una montagna di ricci neri e gli occhi attenti, pronti a scrutare qualsiasi cosa gli passi intorno. Il suo secondo anno nella categoria juniores si è aperto con la stagione di ciclocross, nella quale il figlio d’arte ha trovato ottimi risultati. Tra questi un secondo posto al campionato europeo di categoria, chiuso alle spalle di Filippo Grigolini, un risultato dolce-amaro digerito quasi subito e accompagnato da una vittoria lo scorso fine settimana.
Ora il secondo dei fratelli Pezzo Rosola è a casa a riposare dopo uno dei tanti allenamenti. La scuola è finita questa estate, ma in famiglia c’è sempre da dare una mano e papà Paolo e mamma Paola non lo lasciano troppo tranquillo.
«Stamattina mi sono allenato – ci racconta – ora mi sto riposando un pochino. Gioco alla Playstation e mi occupo di qualche faccenda domestica, diciamo che finita la scuola ho un po’ di libertà in più, ma non troppe».
Patrik Pezzo Rosola in maglia tricolore festeggia la vittoria ad Aigle ottenuta lo scorso fine settimana (foto FCI)Patrik Pezzo Rosola in maglia tricolore festeggia la vittoria ad Aigle ottenuta lo scorso fine settimana (foto FCI)
Come sta andando questo inizio di stagione?
Bene, tra poco partiremo per la prima tappa di Coppa del mondo di ciclocross con la nazionale, correremo a Tabor. Partirò giovedì, andrò su in camper insieme ai miei genitori, mentre il resto del team arriverà venerdì. Ho scelto di viaggiare con qualche comodità in più e di arrivare un giorno prima per allenarmi là.
Ti senti pronto per il debutto?
Sì, sono abbastanza fiducioso, la condizione c’è. Mi preoccupa leggermente il rapporto con il freddo. Fino ad adesso ci è andata bene, a Tabor però ci aspettano temperature minime sotto lo zero e non sarà facile. Anche perché domenica correremo alle 8,50 del mattino.
Patrik Pezzo Rosola ha conquistato un ottimo argento all’europeo di cross a inizio novembrePatrik Pezzo Rosola ha conquistato un ottimo argento all’europeo di cross a inizio novembre
Smaltita la delusione per l’europeo?
Sì, l’ho metabolizzata subito, anche perché la sera prima ho saputo che c’erano problemi con l’omologazione delle nostre bici (il problema per cui è stata squalificata Giorgia Pellizotti, ndr) e ho avuto modo di utilizzare quella di Mattia Agostinacchio. Considerando tutta la situazione, il secondo posto è stato un ottimo risultato.
In che modo hai approcciato questo secondo anno da junior?
Convinto, sapevo di essere uscito in crescendo dalla stagione passata. Nel ciclocross ho come obiettivi la Coppa del mondo e il mondiale. Il programma fatto insieme al team Guerciotti è interessante e volto a preparare al meglio ogni appuntamento. Dopo le prime tappe di Coppa correrò un po’ in Belgio con il team. Di quei posti mi piace l’atmosfera che si respira, nessuno vive il ciclocross come i belgi, mi diverto davvero tanto.
Nel 2026 Patrik Pezzo Rosola continuerà a correre con la Assali Stefen Makro su strada (Photors.it)Nel 2026 Patrik Pezzo Rosola continuerà a correre con la Assali Stefen Makro su strada (Photors.it)
Tra cross e strada hai fatto un primo anno da junior davvero convincente, sono arrivate anche per te le chiamate dei devo team?
Qualcuno è venuto a parlarmi, così come tutte le squadre italiane. La scorsa estate è venuta la Bora a parlarmi, con l’idea di farmi fare il secondo anno da juniores con loro. Ne ho parlato con la mia famiglia e il mio procuratore, ma non eravamo convinti. Io stesso non me la sentivo di fare un salto così grande ancora da junior.
Perché?
La Red Bull-BORA è un team forte e importante, dove però le richieste e le pressioni sono maggiori rispetto a una normale squadra juniores. Queste devo guardano già alla vittoria e chiedono risultati. Io invece ho preferito restare ancora con l’Assali Stefen Makro, così da crescere e stare tranquillo. Con la squadra mi trovo bene, staff e compagni li conosco, per cui non avevo motivo di lasciarli. Ho preferito fare le cose in maniera più regolare, concedendomi il tempo per crescere e maturare.
I risultati della scorsa stagione hanno acceso i riflettori sul più giovane dei fratelli Pezzo Rosola ma per i devo team ci sarà tempo da U23I risultati della scorsa stagione hanno acceso i riflettori sul più giovane dei fratelli Pezzo Rosola ma per i devo team ci sarà tempo da U23
Invece da under 23?
Lì il discorso cambia e passare in un devo team è un mio obiettivo. Dopo l’europeo di ciclocross qualche chiamata è già arrivata. Spero di concludere la stagione del fango con un accordo già in tasca. Mi piacerebbe anche trovare un devo team che mi faccia continuare a correre nel cross, ma questo si vedrà.
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Samuele Alari è ripartito ieri, con una prima sessione di palestra seguita da una pedalata sui rulli. Test e una sgambata per iniziare a lavorare in vista della terza stagione da Under 23, che lo vedrà correre in maglia SC Padovani Polo Cherry Bank. La sua esperienza con il devo team della Tudor Pro Cycling si è conclusa senza tanti rumori, una stretta di mano e ognuno per la sua strada. Il corridore bergamasco è tornato in Italia a correre, scegliendo una realtà in evoluzione e capace di raccogliere ottimi consensi già al suo primo anno nella categoria.
«Oggi (ieri per chi legge, ndr) ho fatto dei test massimali in palestra – racconta Alari – per capire come programmare i lavori di forza. Una volta terminati sono salito sui rulli per una sgambata, tra tutto è stata una prima sessione di lavoro della durata di due ore e trenta minuti. E’ un tipo di lavoro che ho già fatto in passato, dopo la palestra si sale in bici per assimilare i lavori di forza fatti. Siccome deve essere una cosa abbastanza immediata ho preferito fare spinning per non perdere troppo tempo».
Alari ha corso i primi due anni da under 23 con la Tudor Pro Cycling DevelopmentAlari ha corso i primi due anni da under 23 con la Tudor Pro Cycling Development
La voglia di riprendere
L’entusiasmo nel tono di Alari lo si percepisce, la voce è allegra, sintomo che le vacanze hanno fatto il loro effetto ed era arrivato il momento giusto per ripartire in vista del 2026.
«Mi sono riposato bene – racconta ancora Samuele Alari – insieme al mio preparatore abbiamo deciso di fare due settimane di stacco. Sono andato prima in Sicilia con la mia fidanzata e poi a Londra con gli amici, siamo tornati domenica e da ieri mi sono rimesso al lavoro. Devo dire che mi mancava fare attività, allenarmi. Nel 2026 voglio riscattarmi dopo due anni in sordina, lo devo a me stesso e alla S.C. Padovani che ha creduto in me fin da subito».
Samuele Alari ha preso parte a diverse gare anche con i professionistiSamuele Alari ha preso parte a diverse gare anche con i professionisti
Cosa senti di dover dare a te stesso?
Diciamo che vorrei riallacciare il filo con le sensazioni che avevo nei due anni da junior, dove le cose sono andate abbastanza bene. Ho corso tanto con la nazionale e ho raccolto qualche vittoria. A fine 2023 purtroppo ho rotto il bacino e sento che tutto si è un po’ fermato lì. Nei due anni da under 23 alla Tudor ho avuto qualche problemino, il prossimo anno voglio mostrare il mio reale valore.
Alla Padovani cosa vorresti dare?
Vorrei ricambiare la fiducia mostrata nei miei confronti fin da subito. Mi hanno detto che avrei avuto il mio spazio e ancora prima di firmare Alessandro Petacchi mi ha dato una mano per risolvere il problema al ginocchio che ha condizionato il mio 2025 (in apertura Alari insieme ad Alessandro Petacchi e al vice presidente della SC Padovani Martino Scarso, Photors.it).
Al termine del suo percorso in Tudor Alari era arrivato a un passo dallo smettere (foto DirectVelo)Al termine del suo percorso in Tudor Alari era arrivato a un passo dallo smettere (foto DirectVelo)
Esci da un devo team, che esperienza è stata?
Il lato positivo è legato alle cose che sento di aver imparato alla Tudor, padroneggio meglio la lingua inglese e ho corso gare di alto livello, anche con i professionisti.
Nonostante tu abbia corso poco tutto sommato?
E’ il loro modus operandi, tutti i corridori hanno pochi giorni di gara all’attivo. Si punta molto sulla crescita in allenamento, d’altro canto io sento di essere un atleta che ha bisogno di gareggiare per avere determinati progressi. Ho anche provato a parlarne con il team, ma la loro filosofia rimane tale.
Tornando indietro rifaresti questa scelta?
Quando ho firmato con la Tudor era il periodo in cui gli juniores iniziavano a uscire dall’Italia per correre, sono stato uno dei primi a farlo. Non c’erano tanti riscontri o esperienze di altri corridori alle quali affidarsi. Alla fine non sapevo benissimo a cosa sarei andato incontro, la Tudor mi ha proposto un cammino di crescita più lungo di due anni, inizialmente.
Prima di passare under 23 alla Tudor Alari ha corso i due anni da junior alla SC RomanesePrima di passare under 23 alla Tudor Alari ha corso i due anni da junior alla SC Romanese
Poi cosa è successo?
Quando ho firmato non ero legato a dei risultati, ma solamente a un processo di crescita e maturazione. Al termine della scorsa stagione, quando si è trattato di capire cosa fare mi hanno detto di non essere sicuri di volermi tenere. Mi hanno detto che senza tanti risultati era difficile pensare di continuare. Il discorso è che non mi hanno lasciato spazio per provare a fare quello che avrei voluto, per mettermi alla prova. Devo ammettere di essere arrivato molto vicino al voler smettere.
Perché?
In due anni ho investito tempo, energie e tanto altro per poi non avere un ritorno. Mi sono chiesto se ne valesse davvero la pena, per un mese l’idea di smettere ha prevalso su quella di continuare. Mi ero detto: «Basta mi dedico alla scuola, ho anche altri interessi oltre al ciclismo e questa evidentemente non è la mia strada». Poi ho parlato con il mio procuratore, Mori, e mi sono dato ancora un anno.
Alari rimane un profilo interessante per la nazionale di Amadori, soprattutto per le prove contro il tempoAlari rimane un profilo interessante per la nazionale di Amadori, soprattutto per le prove contro il tempo
Hai avuto la forza di rimetterti in gioco, non tutti però ce l’hanno, la scelta di un devo team può bruciare alcuni?
Nel mio caso, con il senno di poi, direi che andare subito alla Tudor sia stato un errore. Tuttavia capisco che per uno junior la chiamata faccia gola, magari tornassi indietro lo rifarei. Se si va all’estero bisogna fare i conti con il fatto che i devo team sono l’anticamera del professionismo, è vero, ma se poi non si entra il rischio è che la batosta sia tanto grande. Alcuni smettono, altri no.
Serve il coraggio di ripartire…
Gli errori si fanno, nel ciclismo come a scuola o sul lavoro. Serve la forza mentale di ammettere che si è fatto un passaggio a vuoto e di voler riprovare, di dire: «Non è finita qui». Io mi sono affidato alla S.C. Padovani perché ho visto in loro il riflesso del mio voler cambiare mentalità. In squadra cambieranno alcune cose e la voglia di migliorare non mancherà, sia a me che tanto meno a loro.
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Si pensa tanto al modo per limitare la velocità delle biciclette, ma nessuno si è reso conto che la velocità da limitare è anche quella dei processi di formazione dei corridori. Gli allievi hanno già un agente che li segue. Gli juniores sono l’anticamera del professionismo. I devo team sono l’anticamera del WorldTour. E i numeri si restringono drammaticamente (almeno in Italia) perché il numero delle squadre si va erodendo progressivamente ogni anno (in apertura, immagine photors.it della Coppa Città di San Daniele).
I devo team, a ben vedere, rischiano di essere fumo negli occhi. Se non sfondi, smetti. Se ti va bene, ti prende qualche altra continental. Ma se nel frattempo sei anche diventato elite, il destino è segnato. Si potrebbe obiettare che se non sfondi dopo quattro anni da U23, forse non sei nato per fare il corridore. Ma se nel mezzo ci sono stati problemi fisici che ti hanno tenuto fuori dalle gare, ecco che la logica si inceppa.
Bryan Olivo non fa più parte del devo team Bahrain, perché è diventato elite. Come lui, Marco Andreaus (photors.it)Bryan Olivo non fa più parte del devo team Bahrain, perché è diventato elite. Come lui, Marco Andreaus (photors.it)
Dentro o fuori
Sarebbe utile che queste poche righe le leggessero i genitori dei ragazzi che corrono in bici. Sia quelli che vedono nei giovani corridori l’occasione per veder aumentare le risorse, sia quelli che ne hanno a cuore il futuro e si chiedono come gestirli.
A 17 anni sei nel meccanismo, forse anche a 16. A 18 ti consigliano di mollare la scuola e iscriverti a un corso online, così riesci a gestire meglio l’allenamento e la maturità. Poi magari diventi professionista che ne hai 19 e siccome non hai paura di niente, molli i freni e porti in gruppo la tua quota di disordine. Infine a 23 anni risiedi probabilmente in un posto dove si pagano meno tasse.
Se volete divertirvi a incrociare i nomi dei corridori, le loro scelte e gli agenti che li rappresentano, noterete che lo schema è abbastanza ripetibile. Ciascuno, giustamente, ha individuato la sua ricetta e la offre ai propri assistiti. Sulla ricetta c’è scritta anche la percentuale di riuscita?
La Repubblica di San Marino è diventata un approdo privilegiato grazie alla tassazione favorevole (depositphotos.com)La Repubblica di San Marino è diventata un approdo privilegiato grazie alla tassazione favorevole (depositphotos.com)
Le regioni fantasma
Sarebbe utile disporre di un’informazione in più rispetto a quella offerta sul sito dell’UCI, che riporta l’elenco degli agenti abilitati. Sarebbe interessante infatti avere accanto a ciascun agente il numero dei corridori seguiti. E’ vero che se guadagni sulla percentuale, è fisiologico cercare di aumentare il numero dei… contributori. Forse però non è nemmeno salutare per il movimento che si creino alte concentrazioni sotto lo stesso ombrello, escludendo di fatto chi a 17 anni non ha un agente, ha dello sport una concezione ancora relativa e pensa prima a finire la scuola e poi a buttarsi a capofitto sui pedali.
In tutto questo, avete fatto caso che sono ormai spariti i corridori calabresi, sono pochissimi i pugliesi e i laziali, mentre non ci sono quasi più siciliani, che pure negli ultimi anni hanno vinto fior di corse? Questo perché al Sud non ci sono squadre né corse e le società del Nord e i talent scout non si prendono neppure la briga di andare a vedere il poco che c’è. Tanto ci pensano i procuratori a passargli i corridori, che importa da dove vengono? Loro fanno il proprio interesse e il proprio lavoro, poco da aggiungere. Ma così si rinuncia a una fetta importantissima di popolazione e ad atleti potenzialmente fortissimi. A chi tocca fare sì che il meccanismo non sia occasionale o predatorio?
Giulio Ciccone è atterrato stamattina a Kigali. Il leader degli azzurri parla della squadra e del suo avvicinamento. E della bella intesa con il ct Villa
Il divieto di partecipazione per i corridori professional under 23 alle gare internazionali della loro categoria, di cui ci ha parlato ieri Roberto Reverberi, è stato salutato con enfasi da un paio di gruppi sportivi di casa nostra che ravvedono in questo più spazio e maggiori possibilità di prendere corridori. Il punto è capire quale sarà il destino di questi ragazzi… finalmente liberi sul mercato e quali margini di carriera sarà possibile offrirgli. Se l’obiettivo è quello a medio termine per cui la piccola squadra possa fare una bella stagione nel calendario nazionale, allora ne comprendiamo la soddisfazione. Se l’obiettivo è quello a lungo termine di creare potenziali professionisti, allora l’ottimismo viene meno, dato che le squadre italiane in grado di fare formazione per i giovani atleti (per adeguatezza dei loro tecnici e mezzi a disposizione) sono sempre meno. Non si può chiedere alle professional di avere anche il devo team, si potrebbe convincerle dell’utilità di avviare collaborazioni con squadre U23 già esistenti. Il fatto di farle correre nelle internazionali era un compromesso probabilmente accettabile.
Filippo Turconi ha conquistato il Trofeo Piva under 23: dal prossimo anno non potrà parteciparvi (foto Alessio Pederiva)Filippo Turconi ha conquistato il Trofeo Piva under 23: dal prossimo anno non potrà parteciparvi (foto Alessio Pederiva)
Cercasi squadre under 23
La situazione attuale del mercato giovanile vede i procuratori armati di setaccio, che opzionano corridori anche fra gli allievi e poi li propongono ai devo team e ai team di sviluppo U19, il più delle volte non italiani. Si parla certamente di atleti dotati di cuore, muscoli e polmoni, dato che la selezione avviene sulla base dei test. Poco si riesce a valutare, in questa fase, della maturità, dell’intelligenza tattica, della scaltrezza. I numeri comunque sono bassi: togliamo dal mazzo i grandi motori, che cosa accade a tutti gli altri?
Una delle migliori continental di casa nostra ha ricevuto 40 richieste da parte di juniores in cerca di squadra. Tanti di loro ovviamente smetteranno, anche perché nel frattempo non si registra un aumento delle società under 23, tutt’altro. Basti semplicemente annotare, un anno dopo la chiusura della Zalf Desirée Fior, che a causa della trasformazione in professional, anche il vecchio Team Colpack – dallo scorso anno Team MBH Bank-Ballan – non sarà più nella categoria under 23. Mentre il CT Friuli, diventato devo team della Bahrain Victorious, quest’anno aveva solo 8 italiani sui 15 atleti dell’organico.
La MBH Bank-Ballan-CSB diventa un team professional: i suoi under 23 potranno correre soltanto tra i pro’La MBH Bank-Ballan-CSB diventa un team professional: i suoi under 23 potranno correre soltanto tra i pro’
Motorini spinti al limite
Qualche giorno fa, Daniele Fiorin ha raccontato la difficoltà di fare formazione anche negli allievi. Ormai i ragazzi e le ragazze scelgono di investire tutto sulla strada, perché è qui che si può concretizzare il sogno di farne un lavoro. Ci si trova quindi con società e famiglie che investono (non solo tempo, anche parecchi soldi) su ragazzi di 16-17 anni, perché abbiano il livello necessario per essere notati dai procuratori e di conseguenza dagli squadroni. Ragazzi che magari avrebbero bisogno di fare due stagioni nella casetta di una squadra in cui imparare a diventare adulti e atleti, invece rincorrono il risultato e la prestazione assoluta nel momento in cui dovrebbero soprattutto maturare. Ne deriva una generazione di motori ancora da sviluppare ma spinti al limite che, qualora non trovassero lo sbocco desiderato, si ritroverebbero alle prese con i pochi posti disponibili fra gli juniores. Ha chiuso la Aspiratori Otelli e ha chiuso il Team Giorgi, le squadre che resistono sono ormai piene fino al collo.
Qualcuno dice sorridendo amaramente che se non ci fosse mai stato Remco Evenepoel, tutto questo non accadrebbe. Forse è vero. Le WorldTour sono ancora vittime della ricerca del talento in erba e hanno innescato il meccanismo di una ricerca spasmodica e autodistruttiva. Che fine fanno i diciottenni, dotati di grande motore, che non dovessero risultare appetibili per il WorldTour? Potrebbero diventare interessanti per le squadre professional, che sfrutterebbero la formazione ricevuta nei devo team e potrebbero portarli in un professionismo meno estremo.
Belletta non è arrivato nel WorldTour con la Visma-Lease a Bike e dopo un passaggio alla Solme Olmo diventa pro’ con il Team PoltiBelletta non è arrivato nel WorldTour con la Visma-Lease a Bike e dopo un passaggio alla Solme Olmo diventa pro’ con il Team Polti
Il ciclismo di una volta
La ricerca del talento passa necessariamente dai grandi numeri: se si riduce il campione, è probabile che si riduca anche la probabilità di trovare atleti su cui investire. Quante delle 10 continental italiane del 2025 possono dire di aver proposto ai loro atleti un’attività internazionale qualificata? Quanti giorni di gara all’estero sono riuscite a fare? Quante di loro dal prossimo anno pensano di poter fronteggiare i devo team nel calendario internazionale? Quante si sono date una tabella di investimenti perché i talenti scelgano di restare in Italia anziché andare all’estero?
Fa notizia per questo la scelta del toscano Del Cucina, che dopo aver svolto lo stage con la Tudor Development, ha scelto per gli U23 la SC Padovani 1909 di Ongarato e Petacchi. La sua gestione sarà la cartina al tornasole della possibilità di fare ciclismo giovanile di buon livello anche in Italia. Ma questo evidentemente non passa più per le squadre che arrivano al Giro Next Gen senza aver ancora partecipato a una corsa a tappe e si accontentano di dare ai corridori la dotazione di 10 anni fa, accompagnandola col vecchio motto: «Zitti e menare!». Il mondo è cambiato, in ogni ambito. Il ciclismo di una volta non basta più.
Ci siamo spesso ripetuti, a torto o a ragione, che se in Italia ci fosse una squadra WorldTour, sarebbe possibile tutelare meglio il vivaio e i talenti che produce. Ma è davvero così? Siamo stati spesso attaccati da procuratori e da qualche tecnico federale per aver fatto notare che l’attività U23 italiana sia ai minimi termini. Ci è stato spesso risposto, anche con sufficienza, che non è vero e che i talenti ci sono e vengono fuori ugualmente. Ci sono, certo, ma a meno di poche eccezioni, vengono fuori in squadre continental non italiane. Non avere al via delle corse italiane gli elementi più forti incide in qualche modo sul livello del movimento?
I quattro azzurri convocati per i mondiali U23 di Kigali corrono tutti all’estero. Simone Gualdi alla Wanty NIPPO ReUz, Pietro Mattio alla Visma-Lease a Bike Development, Lorenzo Finn alla Red Bull-Bora, Alessandro Borgo nel devo team della Bahrain Victorius. E non è andata meglio al Tour de l’Avenir, dove il solo “italiano” è stato Turconi che però corre già da professionista alla VF Group-Bardiani.
Gli azzurri del Tour de l’Avenir corrono tutti in team stranieri, ad eccezione del pro’ Turconi (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)Gli azzurri del Tour de l’Avenir corrono tutti in team stranieri, ad eccezione del pro’ Turconi (foto Aurélien Regnoult/DirectVelo)
Fra Palazzo e realtà
Ci rendiamo conto di essere spesso una goccia fastidiosa. Eravamo quasi rassegnati a dire che il progresso porta in questa direzione, finché ci siamo imbattuti in un paio di articoli de L’Equipe. Il più recente, dal titolo: “C’è uno spreco enorme”: la scomparsa delle squadre dilettantistiche fa temere una generazione sacrificata”. Il quotidiano francese ha messo il naso nelle cose di casa, con una lucidità e un senso di responsabilità che nessun quotidiano italiano ha mai ancora mostrato.
«Da diversi anni ormai – scriveva già il 26 novembre Eloi Thouault – il ciclismo dilettantistico, pilastro della crescita dei talenti francesi, sta attraversando una profonda crisi. Chiusure di squadre, calo del numero di gare giovanili, mancanza di volontari. La lista è lunga per molti dirigenti che faticano a vedere la luce in fondo al tunnel. Mentre la Federazione Ciclistica Francese è soddisfatta di un “aumento dell’11% delle licenze” per il ciclismo su strada dopo i Giochi, molti dirigenti non sono ottimisti. I club faticano a mantenere le loro attività. Organizzare una gara sta diventando un lusso che pochi possono permettersi».
La Groupama-FDJ è stato il primo team WorldTour francese a dotarsi di un devo team U23 (foto Alexis Dancerelle)La Groupama-FDJ è stato il primo team WorldTour francese a dotarsi di un devo team U23 (foto Alexis Dancerelle)
Talenti davvero a rischio?
La Francia ha quattro squadre WorldTour e una grande professional come la TotalEnergies. Non dovrebbe avere problemi nel tutelare il movimento di base, invece anche lì il sistema scricchiola. Paul Seixas, Lenny Martinez, Romain Grégoire, Brieuc Rolland e Paul Magnier sono i nomi da mostrare in vetrina, ma alle loro spalle la crisi galoppa.
«C’è uno spreco enorme – lamenta Anthony Barle, direttore generale del Vélo Club Villefranche Beaujolais che ha lanciato Seixas(immagine di apertura Patrick Berjot) – non vi dirò nemmeno la generazione che sacrificheremo. I corridori avranno carriere di uno o due anni e poi rinunceranno al ciclismo. E’ una cosa seria».
Victor Jean ha 21 anni e corre al CC Etupes. Nonostante 4 vittorie passerà nella continental ST Michel-Auber 93 (immagine Instagram)Victor Jean ha 21 anni e corre al CC Etupes. Nonostante 4 vittorie passerà nella continental ST Michel-Auber 93 (immagine Instagram)
Undici team in tre anni
La piramide si sta sgretolando dall’alto. Alcune squadre storiche negli U23 stanno chiudendo una dietro l’altra. La storica sezione CC Etupes, fondata 32 anni fa, da cui sono usciti Thibaut Pinot, Warren Barguil e Adam Yates, ha appena annunciato la chiusura del team U23.
«In due anni – scrive questa volta Audrey Quétard, in un articolo pubblicato il 9 settembre – il numero di queste squadre è diminuito di un terzo: 28 nel 2023, 19 all’inizio del 2025, di cui tre che non riprenderanno nel 2026».
«E’ il portafoglio che ha deciso – riassume Sylvain Chalot, presidente del CC Etupes – le competizioni di alto livello stanno diventando sempre più costose, nonostante la congiuntura economica sfavorevole. Le cose sono cambiate molto. Se non vogliamo fallire, dobbiamo prendere decisioni, anche se non ci piacciono».
Il budget per una squadra U23 di prima fascia che voglia fare attività non può scendere sotto i 350.000 euro, ma affinché il progetto sia sostenibile, è più probabile che costi circa 500.000 euro.
Seixas ha vinto il Tour de l’Avenir. La Decathlon ha pagato per lui 6.000 euro (foto Tour de l’Avenir)Seixas ha vinto il Tour de l’Avenir. La Decathlon ha pagato per lui 6.000 euro (foto Tour de l’Avenir)
Il ruolo dei devo team
Le squadre WorldTour ci sono, ma non pagano grandi indennizzi quando portano via un corridore. Per Seixas, sono stati versati appena 6.000 euro per i tre anni in cui è rimasto nella sua squadra di origine. In Francia non c’è il sistema dei punti, ma un’indennità stabilita nel 2024 e legata al lavoro fatto sull’atleta. Un club riceve 1.000 euro all’anno dal 15° compleanno fino al passaggio al professionismo in una squadra Continental, mentre sono 2.000 euro all’anno se passa in una squadra WorldTour.
«A volte – spiega ancora Barle – ci prendono i corridori senza nemmeno chiamarci, niente. E poi però trovano facilmente 2 milioni di euro per organizzare una squadra continental».
E a ben vedere, il succo sta proprio nella difficile convivenza fra le squadre giovanili e i devo team, che hanno svuotato anche il movimento italiano senza che esista ancora un’esatta contabilità dei corridori partiti e poi diventati dei professionisti. Il confine fra dilettantismo e professionismo è stato cancellato, si pesca fra gli juniores e così dal 2026 il CC Etupes punterà soltanto sui più giovani.
«Le squadre U23 – prosegue invece Barle – permettono ai corridori di diventare più esperti, di imparare a correre e a vivere in gruppo. Altrimenti, c’è un divario enorme tra juniores e professionisti. I ragazzi non hanno quasi mai corso in un gruppo d’élite. Non c’è da stupirsi che ci siano così tanti incidenti».
Ci è stato sempre detto che si tratti di una particolarità tutta italiana, ma così non è. Vogliamo scommettere che ci sarebbe davvero il margine per fare un po’ d’ordine sedendosi allo stesso tavolo con i francesi e gli altri Paesi che navigano nelle stesse acque?
PINEROLO – La mattina della tappa decisiva del Giro Next Gen, tra i mezzi della Bahrain Victorious Development Team si aggirava Roberto Bressan: lo storico Team Manager del Cycling Team Friuli ora diventato devo team della BahrainVictorious. Se li coccola e li abbraccia come fossero figli, negli occhi dei ragazzi vedi il rispetto e la fiducia che una figura come quella di Roberto Bressan è capace di trasmettere. Anche lui è emozionato, eppure in carriera ha vinto tanto. Ma ogni successo porta nuove emozioni, soprattutto se alla base c’è stato un cambiamento importante come quello avvenuto per il CTF (in apertura foto Claudio Mollero).
«Trovare una società come la Bahrain Victorious – racconta Bressan – in un certo modo fa diventare tutto un po’ più semplice. Però alla base del progetto, anche se con colori diversi, ci sono le teste e l’animo friulano che hanno contraddistinto il Cycling Team Friuli. Gli allenatori, i coach e i diesse rimangono sempre gli stessi: Mattiussi, Boscolo e tanti altri. Sono arrivate anche delle figure nuove che hanno saputo integrarsi benissimo all’interno di un sistema capace di funzionare».
Alessandro Borgo e Bryan Olivo insieme a Roberto Bressan i due italiani sono parte del team da quando era CTFAlessandro Borgo e Bryan Olivo insieme a Roberto Bressan i due italiani sono parte del team da quando era CTF
Cosa vuol dire per lei tornare a vincere una corsa così importante?
Per me non è una novità ed è in un certo senso indifferente perché è da tanti, troppi anni che sono in questo mondo. Sono felicissimo per tutti. Per noi è stato fondamentale tenere questa squadra anche a livello di staff perché avevamo già iniziato a lavorare con alcuni ragazzi: Olivo, Borgo e non solo. Poi sono arrivati ragazzi grazie al progetto devo team come Omrzel e Dunwoody.
Il cammino che avete sempre fatto con i giovani è rimasto invariato?
Quest’anno abbiamo fatto più altura, un po’ più ritiri di invernali. Prima, quando eravamo CTF, in qualche maniera dovevamo arrangiarci. Però anche in passato dal nostro vivaio sono usciti tanti nomi: Jonathan Milan, De Marchi, Aleotti, Fabbro…
Il progetto devo team ha permesso di portare anche ragazzi stranieri di grande prospettiva, come Omrzel (foto La Presse)Il progetto devo team ha permesso di portare anche ragazzi stranieri di grande prospettiva, come Omrzel (foto La Presse)
Ora che il progetto si è allargato arrivano anche tanti ragazzi dell’estero, si è aggiunta qualche responsabilità in più?
Per certi versi sì, per altri no. Dal punto di vista economico dormo la notte, mentre la responsabilità è diventata un po’ più grande. Non è facile confrontarsi con un team e una struttura così grande come quella del WorldTour, in qualche modo subisci la pressione. Prima come CTF eravamo noi ad essere esigenti con noi stessi, ora la subisco anche io. Però le cose stanno andando bene.
Cosa vogliono dire per lei queste responsabilità?
Che devo rispondere a qualcosa di cui si percepisce l’importanza. Ma a essere sincero: era il momento giusto per farlo.
Lo staff tecnico del CTF ha raccolto tanto negli anni e sta trasportando il suo metodo anche al Bahrain Victorious Development Team (foto La Presse)Lo staff tecnico del CTF ha raccolto tanto negli anni e sta trasportando il suo metodo anche al Bahrain Victorious Development Team (foto La Presse)
Perché?
Sarebbe stato difficile continuare al nostro passo perché ogni stagione che passa eravamo costretti a investire qualcosa in più. Purtroppo gli investimenti e i soldi facevano fatica ad arrivare, Bahrain ci ha supportato per tre anni, questo sarebbe stato il quarto, ma se non fossimo stati assorbiti il CTF sarebbe stato destinato a chiudere. Quando costruisci una casa e arrivi al tetto come fai ad arredarla?
Eravate arrivati alla fine di un progetto?
Il passo successivo poteva essere solamente uno: diventare devo team. Io oggi sono felicissimo ma lo sono ancora di più per i miei ragazzi perché loro hanno tante stagioni davanti. Renzo Boscolo ed io abbiamo costruito la casa e ora tocca a loro proseguire, sono il futuro. Non dico di essere alla fine della mia carriera ma ho dato tanto ed è giusto che qualcun’altro porti avanti il tutto.
Edoardo Zamperini è emigrato, ciclisticamente parlando, in Francia per correre con il devo team dell’Arkea B&B Hotels. Dopo una prima parte di stagione corsa principalmente insieme alla formazione WorldTour è tornato a correre tra gli under 23. La prima vera gara nella categoria di cui è campione italiano è stata la Gent-Wevelgem, nella quale ha trionfato Alessandro Borgo. Lo scalatore veneto, nato ad Azzago, rientrava alle corse dopo una pausa di quasi un mese.
Qualche giorno dopo Edoardo Zamperini è volato in Polonia con la nazionale di Marino Amadori per correre l’Orlen Nations Grand Prix, prova di Nations Cup che gli ha regalato una vittoria che mancava da quasi un anno. L’ultima volta che aveva alzato le braccia al cielo era stato al campionato italiano scorso a Trissino, nel suo Veneto.
Zamperini ha alzato il livello del suo calendario quest’anno correndo molte più corse a tappe rispetto al passato (foto Instagram)Zamperini ha alzato il livello del suo calendario quest’anno correndo molte più corse a tappe rispetto al passato (foto Instagram)
Un libro aperto
Dopo aver corso per tre anni in due formazioni continental italiane, prima alla Zalf nel 2022 e nel 2023 e poi alla Trevigiani nel 2024, Zamperini è uscito dall’Italia. Cambiare non è semplice, ma lui si è rimboccato le maniche e ha lavorato sodo facendo dei passi in avanti. C’è ancora da fare, ne è consapevole, ma si tratta di trovare l’equilibrio giusto.
«Questa prima parte di stagione – racconta Edoardo Zamperini – non è andata male. Sono riuscito a vincere ed è una cosa che mi rende felice. Il livello delle corse si è alzato parecchio e devo prendere bene la mira. C’è parecchia differenza rispetto agli anni in cui correvo con squadre italiane, la principale è che si va più forte. La seconda cosa che è cambiata è il calendario. Il team prende parte solamente a gare professionistiche o internazionali per quanto riguarda quelle under 23. Questo vuol dire che non si può pensare di arrivare ad un appuntamento all’80 per cento. Ci si deve far trovare pronti».
Inoltre Zamperini ha corso spesso con il team WorldTour, qui in fuga al Gran Premio Miguel IndurainInoltre Zamperini ha corso spesso con il team WorldTour, qui in fuga al Gran Premio Miguel Indurain
Un aspetto nuovo?
Per me sì. Gli anni scorsi correvo tutte le settimane mentre ora lavoro con blocchi di allenamento programmati per arrivare pronto in determinate gare. Inoltre dopo diversi anni ho cambiato preparatore, è un passaggio delicato. Ci si deve conoscere e capire quali parti prendere e quali no del lavoro.
Ad esempio?
Durante l’inverno ho fatto tanto volume, quindi lavori in Z2. Mi sono accorto che in gara, quando il ritmo è alto per tutta la giornata, riesco a fare bene. Al contrario se si va più piano per poi alzare l’andatura su strappi o salite corte vado in difficoltà. Ne ho parlato con il preparatore, andremo ad aumentare gli allenamenti dalla Z3 in su. Serve riuscire ad aprire il gas quando la corsa lo richiede.
Tutta la grinta del corridore veneto, che alla prova di Nations Cup in Polonia è tornato a vincere dopo un anno (foto Tomasz Smietana)Tutta la grinta del corridore veneto, che alla prova di Nations Cup in Polonia è tornato a vincere dopo un anno (foto Tomasz Smietana)
Sei comunque riuscito a vincere dopo tanto tempo, come ti sei sentito?
Molto felice. Per me ma anche perché sento di aver ripagato la fiducia che Marino Amadori (il cittì della nazionale under 23, ndr) mi ha dato. Al termine dei primi mesi di corse, dopo il Laigueglia, gli avevo detto che mi sarei fatto trovare pronto per l’Orlen Nations Grand Prix. Per ovvi motivi mi aveva messo tra le riserve, alla fine Chesini non è andato per motivi di salute e Amadori mi ha portato.
Avete parlato tu e Amadori prima della gara?
Con lui sono sempre stato onesto e gli ho sempre detto quali fossero le mie sensazioni. Lo scorso anno ero nella lista per il Tour de l’Avenir ma prima di fare le convocazioni gli ho detto che non ero nella condizione giusta per fare bene. Questa volta sono contento di aver mantenuto una promessa in positivo.
Per Zamperini nella seconda metà dell’anno c’è la voglia e l’ambizione di andare al Tour de l’Avenir (foto Tomasz Smietana)Per Zamperini nella seconda metà dell’anno c’è la voglia e l’ambizione di andare al Tour de l’Avenir (foto Tomasz Smietana)
Non vincevi dal campionato italiano dello scorso anno, che sensazioni avevi durante la corsa?
Ero fiducioso. Vero che il successo mancava da tanto tempo però sono sempre stato abituato a non essere un grande vincente. Lo so, mi conosco e questa cosa non mi pesa. Nel momento in cui approccio il finale di gara non ho pressioni, uso la testa e studio gli avversari.
Una decina di giorni dopo sei andato all’Alpes Isère Tour, ma non è andata come ti saresti aspettato…
No, tra l’Orlen e l’Alpes Isère non ho recuperato bene. Anche questo è un punto da capire insieme al team. Alla fine di gare a tappe, di quattro o cinque giorni, esco stanco nei giorni successivi accuso un po’. Si deve trovare il giusto equilibrio anche nel recupero. Torno a dire che rispetto agli anni passati questa è la prima volta in cui corro diverse gare a tappe, può darsi che il mio fisico si debba ancora abituare.
Ora si sta correndo il Giro Next Gen, da campione italiano ti dispiace non esserci?
Dispiace ma la squadra non ha mai fatto richiesta di partecipare. Lo sapevo e non è un problema, le corse non mancano. Uno dei prossimi grandi obiettivi è il Giro della Valle d’Aosta e poi il Tour d’Alsace. La speranza è di fare bene per cercare di guadagnare un posto per l’Avenir.
Nel panorama delle continental italiane che ogni giorno cercano di fare i conti con i devo team e con le squadre pro’, il Team MBH Bank-Ballan e la Biesse-Carrera sono due delle realtà più solide. Lo dicono i risultati e il tipo di programmazione con cui cercano di resistere all’ingerenza dei team WorldTour.
Gianluca Valoti e Marco Milesi sono due dei loro tecnici e a loro abbiamo sottoposto le stesse 14 domande per cercare di evidenziare differenze e punti di contatto.
Gianluca Valoti (classe 1973) è stato professionista dal 1996 al 2002. Qui è con Sergio Meris, ora pro’ alla Unibet-TietemaGianluca Valoti (classe 1973) è stato professionista dal 1996 al 2002. Qui è con Sergio Meris, ora pro’ alla Unibet-Tietema
1) Per far bene nella continental comanda il budget o la qualità del lavoro?
VALOTI: «Il budget, poi viene la qualità del lavoro. Adesso sono collegati molto più di prima. Negli ultimi due anni abbiamo investito un po’ di più sul lavoro, quindi con i ritiri in altura, il materiale e tutto il resto e per forza è stato necessario aumentare il budget».
MILESI: «Per stare al passo con le devo, devi investire di più sui ritiri su altura o su qualcosina da migliorare. Pertanto il budget serve soprattutto a questo».
2) Stiamo parlando di una categoria vicina al professionismo: qual è il ruolo del direttore sportivo?
VALOTI: «Nel ciclismo attuale, il direttore sportivo deve comporre il puzzle, cercare di incastrare tutte le pedine, tra corridore, allenatore, impegni e logistica. Ovviamente in corsa, rimane fedele al suo ruolo storico: quello di sempre».
MILESI: «Adesso come adesso, il direttore sportivo è una sintesi di tanti aspetti. Cerco di stargli vicino come si faceva una volta, però giustamente adesso hanno altre esigenze e bisogna dargli attenzione. Le nuove figure che sono entrate in questi ultimi anni richiedono spazio per cui devi essere una figura di raccordo tra tutte e però mantenere l’ultima parola».
3) Una volta si diceva che nei dilettanti è sbagliato imporre un ruolo ai corridori: al leader e al gregario. In continental è ancora così?
VALOTI: «Sì, noi continuiamo a gestirli al vecchio modo. Magari in certe corse dove non si usano le radio e i ragazzi possono ancora usare la loro fantasia, non ci sono ruoli immutabili. Non c’è il gregariato nel dilettantismo, non lo vedo».
MILESI: «Io cerco di lasciare a ciascuno le sue possibilità, però a conti fatti emerge sempre chi ha la condizione migliore. Non si impongono ruoli che poi non cambiano, anche se alla fine tutti notano che a fare risultato sono spesso gli stessi, dai Bessega, a Tommaso Dati, come pure Bicelli che sta andando bene».
Marco Milesi (classe 1970, qui dopo la vittoria di ieri con Bessega al GP General Store) è stato pro’ dal 1994 al 2006 (photors.it)Marco Milesi (classe 1970, qui dopo la vittoria di ieri con Bessega al GP General Store) è stato pro’ dal 1994 al 2006 (photors.it)
4) I corridori arrivano dagli juniores molto preparati: che cosa devono ancora imparare?
VALOTI: «Hanno sempre più bisogno di una persona di riferimento per quando hanno delle fasi negative e quando la condizione non gli permette di fare risultato. Sono molto deboli, quindi in certi casi il direttore sportivo deve fare anche da psicologo. La prima cosa che dobbiamo insegnargli è reagire quando ci sono dei momenti negativi».
MILESI: «Bisogna fargli capire che devono crescere, diventare un po’ più uomini e più consapevoli di sé. Tanti arrivano e pensano di essere già pronti, invece prima devono crescere di testa. Bisogna lavorare su questo, dargli la consapevolezza che ormai non sono più bambini. Chi va avanti con la pretesa di essere già arrivato, sparisce anche più velocemente».
5) Quanto è importante parlare chiaramente e non creare false illusioni?
VALOTI: «Se le cose non vanno, lo capiscono da sé. Essendo una continental, quando andiamo a fare le gare dei professionisti, vedono chiaramente che non riescono ad arrivare con i primi. Noi non facciamo gare WorldTour, per cui si rendono conto che ai piani alti c’è un livello ancora più alto. Cerchiamo di farli ragionare anche su questo. Per cui capita che qualcuno smetta o vada in squadre che fanno attività regionale per tirare avanti ancora un po’».
MILESI: «Se nascondi l’evidenza o cerchi di dipingerla in modo diverso, non gli fai un favore. Il direttore sportivo deve essere giusto e soprattutto onesto anche nel dire le cose giuste al momento opportuno».
6) La spinta verso il passaggio al professionismo genera ansia?
VALOTI: «Sì, perché arrivano e vogliono tutto subito. Magari già da juniores hanno in mano dei contratti da professionisti e allora pensano di poter bruciare le tappe».
MILESI: «Su questo aspetto preferisco prospettargli un cammino di costruzione, soprattutto i più giovani non li vedo ancora pronti per il professionismo. Secondo me, non sono maturi. Puoi trovare uno come Finn e allora benvenga, però sono casi rarissimi. Per tutti gli altri c’è una costruzione da fare e per me tre anni sono necessari. Mi rendo conto di quanto sia stressante per loro la voglia di passare professionisti».
Finn (qui primo al Belvedere) potrebbe essere l’eccezione alla gestione dei primi anni: sia Valoti sia Milesi credono in una crescita graduale (photors.it)Finn (qui primo al Belvedere) potrebbe essere l’eccezione: sia Valoti sia Milesi credono in una crescita graduale (photors.it)
7) Che rapporti avete con i procuratori?
VALOTI: «Con qualcuno lavori bene, però da quando ci sono i devo team abbiamo meno rapporti. I procuratori cercano di mandare i ragazzi più all’estero che nelle continental italiane. Siamo stati fortunati che nel 2021 i devo team non c’erano ancora, altrimenti Ayuso e forse neppure Tiberi non sarebbero venutl da noi e sarebbero finiti in una di quelle squadre. Noi italiani abbiamo subito parecchio questa situazione, eppure siamo capaci anche noi di valorizzare i migliori».
MILESI: «Bisogna conviverci, perché tanti ragazzi che prendiamo hanno già il procuratore. Prima venivano a proporti gli under 23, adesso ti offrono gli juniores. Sinceramente cerco di avere un buon rapporto con tutti cercando di capire in che modo collaborare. A volte capita che abbiano un ragazzo che non vogliono mandare nei devo team, perché non è ancora pronto. E allora lo portano da noi perché lo facciamo maturare ancora un po’. Magari il ragazzo che deve finire la scuola o che non è pronto per uscire dal suo ambiente. Io ho corso tanto in Belgio, ma ero adulto e so cosa vuol dire essere lo straniero della squadra. Non tutti i ragazzi giovani se ne rendono conto e non tutti si adattano».
8) Vi capita di osservare e ragionare sulle strutture dei devo team?
VALOTI: «Da quando sono direttore sportivo, dal 2003, ho sempre osservato le squadre più grosse. Allora magari c’erano dei team di dilettanti più grandi di noi e i ho sempre ammirati e osservati per imparare. Osserviamo anche il lavoro che sta facendo la VF Group-Bardiani. In più abbiamo alle spalle gli anni in cui Stanga e Bevilacqua avevano la squadra dei pro’ e anche allora cercavo di imparare tutti i dettagli dalla categoria superiore».
MILESI: «Sinceramente non li guardo troppo. Abbiamo da anni la nostra idea e su quella andiamo avanti. Si può sempre migliorare, questo è chiaro, ma non so quanto guardare loro e le loro realtà sia di ispirazione per farlo».
9) Con che criterio si portano i ragazzi a fare le corse dei professionisti?
VALOTI: «Prima di tutto la condizione, perché cerchi sempre di fare bella figura. Diciamo che in generale ci sono tre fattori. La condizione, appunto. La possibilità di cercare in queste corse un vantaggio per quando torneremo fra gli U23. E terzo magari la possibilità per un giovane di fare esperienza. Quando gli dico che faranno le gare coi professionisti sono contenti e più motivati».
MILESI: «Di solito mandiamo quelli che sono più pronti, i più esperti. Il giovane lo inserisco verso fine stagione, per dargli morale e fargli capire il mondo dei grandi. Poi ci sono le eccezioni. Ci hanno chiamato di recente a Reggio Calabria, ma c’era la concomitanza con San Vendemiano e le classiche di qua, così ho iscritto chi c’era. Però di solito mando i più maturi e ai più giovani anni lascio fare esperienza».
Nel 2021, Ayuso corse per un anno nell’allora Colpack, vincendo anche il Giro U23: oggi andrebbe al devo team della UAE EmiratesNel 2021, Ayuso corse per un anno nell’allora Colpack, vincendo anche il Giro U23: oggi andrebbe al devo team della UAE Emirates
10) Il primo anno di talento viene coinvolto in questo discorso?
VALOTI: «Quando ci sono le tre condizioni precedenti, non si fanno eccezioni».
MILESI: «I primi anni vanno rispettati. Ne ho avuti tanti molto forti, penso a Rota e Svrcek, ma non li ho mai buttati subito nella mischia. Il giovane deve fare il suo percorso e poi, da metà anno in poi, si può pensare di fargli fare qualche esperienza superiore».
11) Invece come si impiega il quarto anno U23 che ha ancora necessità di farsi vedere?
VALOTI: «Si cerca il risultato. Si spera sempre che il risultato gli permetta di ottenere un contratto nel professionismo, per cui si cerca anche di portarlo a fare esperienza. A volte anche un risultato o un piazzamento in una corsa professionistica gli dà qualcosa in più. Guardate Sergio Meris. Ha vinto nei dilettanti, poi ha fatto dei piazzamenti coi professionisti e la Unibet-Tietema l’ha voluto».
MILESI: «Come ha detto anche Agostinacchio nell’intervista che gli avete fatto, nel quarto non devono guardare in faccia nessuno. E’ dentro o fuori, per questo di solito i ragazzi di quarto anno sono i nostri leader. Sia che li prendiamo di proposito sia come Arrighetti che è cresciuto con noi. Quando vado in una corsa con due o tre ragazzi di quarto anno, sono loro che fanno la corsa. Sono più consapevoli degli altri di quello che devono fare. Hanno un programma pensato proprio per questo».
12) Essere stato corridore è ancora un vantaggio oppure è passato troppo tempo da quando hai smesso?
VALOTI: «E’ passato un po’ troppo tempo! Me ne accorgo osservando Martinelli, che è più aggiornato tecnologicamente. Però magari gli manca l’esperienza per cogliere piccole cose di organizzazione e di tattica che invece a me saltano all’occhio».
MILESI: «Mi aiuta su certi aspetti della gara. Capire come si muovono le altre squadre e riuscire a gestire la mia. Quando invece si tratta di parlare con i ragazzi, che ormai tengono al centro di tutto i test e i wattaggi, allora smetto di parlare come ex corridore e cerco di correggere il tiro. In questo caso l’esperienza da professionista conta al 50 per cento e il resto devi metterlo con l’aggiornamento».
Tenere le posizioni in salita in mezzo ai pro’ non è sempre agevole per le continental. Qui Dati al Giro d’AbruzzoTenere le posizioni in salita in mezzo ai pro’ non è sempre agevole per le continental. Qui Dati al Giro d’Abruzzo
13) Fino a un paio di anni fa era difficile per una continental essere accettata nella gare pro’: questo sta cambiando?
VALOTI: «La situazione è un po’ cambiata. Grazie alle continental gli organizzatori hanno un bel numero di partenti, ma dipende sempre dalla corsa, dall’organizzatore e ovviamente dala squadra. Resta superiore la divisione rispetto agli altri team. Ci rispettano e noi diciamo ai nostri ragazzi di rispettare i corridori professionisti. Però quando cerchi di andare avanti per puntare la salita, c’è un po’ di… razzismo, chiamiamolo così. Ti vedono come una continental e vorrebbero che restassimo al nostro posto. Succede fra professional e WorldTour, a maggior ragione con noi».
MILESI: «Per tenere la posizione in mezzo ai professionisti, c’è da combattere. E’ dura scontrarsi, perché sono più organizzati di noi e spesso anche più forti. E’ dura tenere le posizioni del gruppo e certamente un conto è prendere la salita nei primi 10, altro è prenderla in cinquantesima posizione. Non è bullismo, è esperienza. I professionisti sanno come muoversi, noi dobbiamo ancora imparare. Ho fatto anch’io quel lavoro, tenevo i miei capitali davanti e non facevamo entrare nessuno. Sull’altro fronte, vedo che con gli organizzatori va molto meglio. Ho avuto tanti inviti, anche nelle gare di RCS, ma ovviamente non è così per tutti. Neppure Valoti ha problemi con la sua squadra. Vedono come ti muovi, l’immagine che hai, la struttura. E’ tutto l’insieme che fa la differenza».
14) Valoti-Milesi: che cosa ti pare del modo di lavorare del tuo collega?
VALOTI: «Mi piace come lavorano, perché sono partiti da zero e hanno creato una bella struttura. Lavorano bene, è una delle squadre meglio organizzata».
MILESI: «Hanno sempre lavorato bene, con una storia importante alle spalle. Hanno un nome di prestigio, sono conosciuti e sin da quando hanno fatto la continental, sono stati il riferimento. Siamo amici/nemici, si può dire così?».