La prima di Copenhagen nel WorldTour. Guarischi, dicci tutto

01.07.2025
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Da sabato 21 giugno, il WorldTour ha una nuova classica al suo interno. La Copenhagen Sprint ha portato il meglio del ciclismo mondiale sulle strade della capitale danese, una città a misura di bici dove l’utilizzo delle due ruote è quasi privilegiato rispetto a quello delle auto. Dove c’è una disciplina rigorosa in fatto di circolazione stradale e un rispetto enorme per chi va in bici. La città si è dedicata per due giorni alla corsa ciclistica (al sabato le donne, alla domenica la prova maschile) e non c’è stata alcuna lamentela da parte degli automobilisti per una Copenhagen senz’auto, anzi…

Barbara Guarischi ha vissuto la Copenhagen Sprint lanciando la volata vincente della Wiebes
Barbara Guarischi ha vissuto la Copenhagen Sprint lanciando la volata vincente della Wiebes

Barbara Guarischi, in gara con la SD Worx è stata testimone diretta di come la città ha reagito al nuovo evento, per il quale si è preparata per un anno: «E’ stata una bellissima esperienza, posso dire che ci vorrebbero altre prove in grandi metropoli come questa, perché credo che criterium simili siano uno splendido messaggio promozionale per il ciclismo. Una prova ben organizzata, soprattutto nella parte del circuito finale, con tutto il centro città coinvolto. In Danimarca ho gareggiato spesso, per due anni ho fatto parte del Virtu Cycling Team, la squadra gestita da Bjarne Rijs, andavo lì anche per i ritiri e mi è sempre piaciuta parecchio».

Com’era il percorso?

Si partiva da Roskilde, fuori dalla città e la prima parte era tutta in campagna. Lì secondo me qualcosa va rivisto, alcune rotonde e alcune segnalazioni non sono state gestite al meglio, si passava in stradine un po’ strette dove infatti ci sono state parecchie cadute. Abbiamo avuto vento a favore fino a entrare in città e infatti la media è stata sempre molto alta.

La prima parte, da Roskilde, andrebbe rivista, soprattutto nel gestire l’avvicinamento alla città
La prima parte, da Roskilde, andrebbe rivista, soprattutto nel gestire l’avvicinamento alla città
E in città?

Si è andati davvero forte e non era facile gestire la corsa. Noi ci siamo messe davanti per tenere Lorena Wiebes fuori dai guai, ma è stata una gara dall’alto stress. Le cadute ci sono state anche nel gruppo, che si è spezzato e davanti sono rimaste abbastanza poche. Due ragazze del nostro team sono cadute e questo ci ha messo in difficoltà, ma siamo riuscite ugualmente a gestire il finale.

Infatti si è visto che a giocarsi la corsa era un gruppo molto ristretto…

Infatti nel penultimo giro c’è stata un’altra caduta e il gruppo si è sfilacciato, davanti siamo rimaste una ventina e per noi è stato oro, perché avevamo meno avversarie da controllare. A quel punto abbiamo potuto gestire lo sprint anche senza che ci fosse il treno perché ero rimasta solo io con Lorena. Ci siamo un po’ arrangiate, io sono dovuta partire un po’ presto rispetto alo solito e anche lei si è trovata a lanciare la sua volata molto da lontano, ma ha guadagnato metri importanti, vincendo in maniera netta.

C’è stato qualche momento di difficoltà? Le immagini televisive mostravano che la campionessa europea, nel giro conclusivo, era spesso intruppata nel gruppo…

Siamo sempre rimaste in contatto salvo in un frangente dove me l’ero persa in una curva, poi l’ho riportata davanti. Con lei è molto facile correre, mi segue con piena fiducia, posso gestire la corsa sapendo che lei c’è, per questo quando non l’ho vista alla mia ruota mi sono un po’ preoccupata, non capivo che cosa potesse esserle successo.

Tornando all’accoglienza della città, come ti è sembrato che abbia risposto?

Chiaramente nel corso delle fasi finali della corsa siamo molto concentrate e ci si accorge poco di quel che c’è attorno a noi, ma devo dire che si sentiva il calore della gente, lungo le strade ce n’era tantissima. L’organizzazione è stata molto buona per essere una prima edizione, se dovessi dire consiglierei solo di impiegare più gente nella gestione della parte iniziale, di avvicinamento a Copenhagen e nel circuito finale di renderlo un po’ più semplice, con qualche tratto dritto sulle lunghe strade di cui la città è piena. Nel complesso mi sono sentita abbastanza sicura, ma qualche accortezza in più sarebbe utile, ridurrebbe di molto anche il rischio di cadute.

Tantissima gente per le strade di Copenhagen, lungo un circuito altamente spettacolare
Tantissima gente per le strade di Copenhagen, lungo un circuito altamente spettacolare
E’ una corsa per velocisti?

Sicuramente, anche se nella prima parte il vento può avere un effetto sulla corsa. Ma a 100 chilometri dalla conclusione è difficile che cerchi di creare un ventaglio, avrebbe poche possibilità di portare a qualcosa di buono…

Da Biella ecco Andersen, che vuole riprendersi tutto

06.05.2025
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In danese che ha vinto al Giro della Provincia di Biella non è uno qualunque. Kasper Andersen è un giovane dal passato illustre e anche se la frase sembra un po’ contraddittoria, rispecchia almeno in parte la sua storia di corridore che a 22 anni riallaccia il feeling con la vittoria, perduto tanto tempo fa. Ci riesce in Italia, dove ha trovato la possibilità di rilanciarsi attraverso lo Swatt Club, che rappresenta sempre più qualcosa di originale nel nostro ambiente.

La volata vincente di Andersen a Biella, battendo Turconi e il francese Raugel (foto Previdi)
La volata vincente di Andersen a Biella, battendo Turconi e il francese Raugel (foto Previdi)

Dopo Biella, era quindi il caso di andare alla scoperta del ventiduenne di Bagsvaerd, passato anche, fugacemente, attraverso il WorldTour con la UAE e che ora è nel pieno di una difficile risalita.

«La mia storia inizia da lontano – racconta – dall’ispirazione che mi è venuta dai miei genitori ma anche dalla voglia di fare qualcosa di alternativo rispetto allo studio. Facevo solo un po’ di ciclismo su strada e, crescendo, ho iniziato a fare anche molto ciclismo su pista e in inverno anche un po’ di ciclocross. Ho provato un po’ di tutto, ma poi mi sono concentrato sulla strada».

Plouay 2020, Andersen vince l’europeo juniores battendo Bittner e De Lie. Che poi avranno più fortuna
Plouay 2020, Andersen vince l’europeo juniores battendo Bittner e De Lie. Che poi avranno più fortuna
Tu hai vinto nel 2020 il titolo europeo juniores, che ricordi ti sono rimasti di quella giornata?

Il mio maggior ricordo di Plouay è quando ho tagliato il traguardo ed ero abbastanza sicuro di essere tra i primi tre, ma non sapevo se avevo vinto perché eravamo in tre sulla stessa linea. Ero già molto contento del terzo posto, finché non sono arrivate tutte le telecamere e i miei compagni di squadra erano lì e mi hanno detto che avevamo vinto. La felicità che ho provato in quel preciso momento, poterla condividere con i miei compagni di squadra quando erano lì anche loro, è stato davvero speciale.

Secondo arrivò Bittner oggi alla Picnic PostNL, terzo De Lie che non ha bisogno di presentazioni. Anche tu hai avuto le tue chance. Sei anche stato alla Hagens Berman per tre anni. Come ti sentivi lì? E cosa ti è mancato per fare il grande salto nel WorldTour?

E’ difficile dirlo, trovare un’effettiva ragione. Mi è piaciuto molto essere alla Hagens Berman. Ho incontrato persone fantastiche e anche l’ambiente nel suo complesso era ideale, sicuramente tutti sapevano quello che facevano. Ho stretto molte amicizie e ho imparato molto. Cosa è successo? Non credo che ci sia una cosa specifica. A volte un cambiamento di ambiente può semplicemente fare la differenza, oppure sono le circostanze, il fatto che non tutto collimi alla perfezione. Io però cerco di guardare la vita in positivo: ho un nuovo allenatore e ho fatto dei cambiamenti, penso che in questo momento le cose stiano iniziando ad andare a posto. Sono felice ora come lo ero alla Hagens. Penso che ora sia solo un altro momento. E a volte, quando cambiano alcune piccole cose, ne cambiano altre e magari le occasioni si ripresentano.

Tre anni passati alla Hagens Berman Axeon, ma poi il passaggio fra i pro’ non è arrivato
Tre anni passati alla Hagens Berman Axeon, ma poi il passaggio fra i pro’ non è arrivato
Che differenze trovi nel correre in un team italiano?

Non è stato facile, tutti parlano italiano che per me è un po’ ostico, ma tutti si sforzano di mettermi a mio agio con l’inglese. Noto però che sono molto moderni e consapevoli di come sia correre oggigiorno, dell’alimentazione, dell’aerodinamica e tutto il resto, ne sanno molto e ottimizzano molti aspetti diversi, è molto piacevole essere in squadra e sapere che stanno facendo tutto il possibile per far rendere al meglio i corridori. Penso che sia una squadra in forte crescita e in rapida evoluzione, che sa il fatto suo e cerca di fare tutto.

Tu ancora non avevi vinto fra gli under 23, com’è stata la vittoria di domenica a Biella?

E’ stato molto importante perché ci puntavo da molto tempo ormai, quindi essere finalmente riuscito a fare il primo passo è fantastico. La vittoria ha qualcosa di speciale ovunque avvenga, perché condividi gioia con le persone che ti amano e che tu ami e diventa qualcosa di speciale. E’ stato davvero fantastico e lo è ancora adesso quando ci ripenso. E’ difficile credere quante persone ci fossero a festeggiare con noi, e ancora di più, a quante persone fossero a casa a festeggiare questa vittoria per il nostro team e per me. Poter condividere il momento è magico.

Il movimento danese è in pieno sviluppo, con tanti junior e under 23 che si stanno mettendo in evidenza
Il movimento danese è in pieno sviluppo, con tanti junior e under 23 che si stanno mettendo in evidenza
Quali sono le tue caratteristiche?

Sto un po’ cambiando, negli ultimi anni ho fatto più sprint, ma ora ho un po’ più di potenza e penso che alcuni percorsi più corti siano piuttosto soddisfacenti per me. Per ora, ho mantenuto il mio sprint praticamente intatto, quindi spero di migliorare la mia potenza in salita. Per essere lì nel finale anche in giornate più dure e calde.

Nelle ultime settimane tanti ciclisti giovani danesi si sono messi in evidenza: avere tanti talenti insieme, di 20 anni o poco più è effetto dell’esempio di Vingegaard o di che cosa?

Sì, credo che Jonas abbia smosso qualcosa, penso che sia questo il motivo principale per cui molti di questi ragazzi sono così bravi su strada e in pista. Io ora sto correndo gare nazionali nel mio Paese e si vede come tutti vogliano emergere, ma soprattutto la passione che c’è intorno, il ciclismo è diventato uno degli sport più seguiti. Devo essere super forte e super intelligente per vincere le gare e penso che, con l’aumentare della competizione, devi migliorare sempre. Penso che sia proprio quello che sta succedendo.

Per Andersen dal 2020 tanti piazzamenti, quest’anno 3 prima del successo di Biella
Per Andersen dal 2020 tanti piazzamenti, quest’anno 3 prima del successo di Biella
Che cosa ti aspetti ora da questa stagione?

Non ho sogni particolari, iI mio obiettivo è continuare così e non voglio che questa sia l’ultima vittoria, ma la prima di una serie, ma soprattutto voglio che la squadra nel suo complesso ottenga più vittorie e che io restituisca loro ciò che mi hanno dato. Quindi sì, portare a casa altre vittorie è sicuramente l’obiettivo. E poi godermi il mio tempo qui nella Swatt e godermi ogni singolo attimo con loro.

C’è qualche squadra in particolare nella quale vorresti correre passando professionista?

Non credo ci sia una squadra specifica o particolare che sia nel mio obiettivo in questo momento. Mi piacerebbe molto andarci e penso che se ne avessi l’opportunità non potrei mai dire di no. Sì, ovviamente ce n’è una che mi piace più delle altre ma non la cito per scaramanzia. Quel che conta è che io possa trovarmi in un buon ambiente, allenarmi e stare con i ragazzi, è la cosa più importante per me.

Ciclismo e innovazione: Alé vestirà la Federazione danese

24.01.2025
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Alé e la Federazione Ciclistica Danese hanno ufficializzato la definizione di una prestigiosa collaborazione tecnica della durata di ben quattro stagioni. Il celebre marchio veronese è difatti il nuovo fornitore ufficiale di abbigliamento tecnico per le squadre nazionali danesi (tutte le discipline). Alé contribuirà anche allo sviluppo di una collezione replica dedicata ai fan del ciclismo danese.

L’azienda veronese fornirà agli atleti di tutte le squadre nazionali capi della linea PR-S 2.0, progettati specificamente per i professionisti. Questa linea rappresenta un vero e proprio punto di eccellenza per quanto riguarda l’abbigliamento tecnico per il ciclismo, grazie all’utilizzo di tecnologie tessili avanzate che garantiscono alta traspirabilità, comfort e resistenza, anche nelle condizioni più impegnative.

Tra i volti della nazionale danese ci sono Alberte Greve e Rebecca Koerner, entrambe corrono per la formazione femminile WT Uno X-Mobility
Tra i volti della nazionale danese ci sono Alberte Greve e Rebecca Koerner, entrambe corrono per la formazione femminile WT Uno X-Mobility

Entro la fine del mese, la Federazione Ciclistica Danese svelerà ufficialmente il nuovo design del kit di abbigliamento che verrà indossato dagli atleti delle squadre nazionali nei prossimi anni. Questo design esclusivo sarà anche disponibile per tutti gli appassionati come parte della collezione replica, offrendo così l’opportunità di sentirsi più… vicini ai propri campioni!

Questa nuova collaborazione tra Alé e la Federazione Ciclistica Danese non solo celebra l’unione di due eccellenze nei rispettivi campi, ma rappresenta anche un passo significativo nel mondo del ciclismo professionistico, dove innovazione e prestazioni continuano a essere il fulcro di ogni successo. Grazie a questa partnership, gli atleti danesi avranno dunque accesso a capi di altissima qualità: un valido supporto per il raggiungimento di nuove vette sportive.

Uno dei protagonisti della prossima Olimpiade sarà Sebastian Carstensen Fini, impegnato nella mtb
Uno dei protagonisti della prossima Olimpiade sarà Sebastian Carstensen Fini, impegnato nella mtb

Obiettivo Los Angeles

«Per noi – ha dichiarato Alessia Piccolo, CEO di APG, azienda proprietaria del brand Alé – è un vero onore essere stati scelti da una federazione che si è affermata come riferimento per quanto riguarda il ciclismo su pista e che punta a ottenere risultati straordinari nei prossimi campionati mondiali su strada. Alé metterà a disposizione tutte le sue tecnologie e il suo know-how per supportare gli atleti nel raggiungimento dei loro obiettivi».

«Siamo entusiasti di lavorare con Alé – ha ribattuto Ulrich Gorm Albrechtsen, il responsabile Comunicazione e Partnership Commerciali della Federazione Ciclistica Danese – un partner solido con una vasta esperienza nel settore. Alé è in grado di sviluppare e produrre abbigliamento di altissima qualità per le nostre squadre nazionali, e la collezione replica rappresenta un’opportunità unica per i fan del ciclismo danese. Siamo certi che questa partnership ci permetterà di fare un ulteriore passo avanti nello sviluppo del miglior abbigliamento ciclistico a livello mondiale».

Alé Cycling

Selva, il Natale in Danimarca come “coach” da velodromo

28.12.2024
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Forse nel suo immaginario Francesca Selva non poteva desiderare un Natale migliore di questo. L’idoneità sportiva arrivata qualche settimana fa dopo un inaspettato allarme fisico. Il soggiorno in Danimarca a Roskilde a casa del fidanzato. Il velodromo iridato di Ballerup a venti minuti. E la famosa madison di 100 chilometri in mezzo agli amici-colleghi nel doppio ruolo di atleta e coach.

Il legame col Paese nordico è sempre stato profondo per Selva, ma nell’ultimo anno si è rafforzato ulteriormente da quando ha conosciuto il velocista Oskar Winkler poco prima della Champions League della pista nel 2023. Nonostante i suoi soli 25 anni, la veneziana ha maturato una grande esperienza in pista, intravedendo nel suo compagno potenzialità da esprimere in modo più completo. Francesca si è messa al servizio di Oskar come allenatrice o, come dice lei, consulente e pianificatrice, tanto che sono arrivati subito un paio di risultati importanti, col beneplacito dello staff della nazionale danese. E siccome proprio in questi istanti Selva sta correndo sull’anello di Ballerup, l’abbiamo sentita alla vigilia della gara per farci spiegare come sta vivendo questa fase della sua vita.

Winkler ha vinto i titoli nazionali nell’inseguimento a squadre e nel keirin. Nel 2025 correrà anche su strada (foto Skovbolle)
Winkler ha vinto i titoli nazionali nell’inseguimento a squadre e nel keirin. Nel 2025 correrà anche su strada (foto Skovbolle)
Francesca sei una presenza fissa nel velodromo danese in questo periodo, giusto?

Sì, è vero. E’ un evento incredibile questa gara di Capodanno, come la chiamano loro. Gli uomini corrono questa madison di 100 chilometri, mentre per noi donne è più corta, e il pubblico si gode lo spettacolo. Poi alla fine si festeggia in anticipo l’arrivo del nuovo anno. Per loro è una grande tradizione. E quest’anno ha un sapore particolare…

Come mai?

Perché è l’ultima gara da pro’ di Morkov, che correrà il coppia con Mads Pedersen. Ma è l’ultima gara anche per Julie Norman Leth (un argento olimpico, due ori europei e due mondiali proprio quest’anno tra madison e corsa a punti, ndr) e per la mia storica compagna di Sei Giorni e meeting Amalie Winther Olsen (nove titoli nazionali, ndr). Insomma, stavolta non potevo proprio mancare.

Naturalmente in gara ci sarà anche il tuo fidanzato Winkler. Che tipo di corridore è?

Oskar ha un anno in meno di me. Alto, fisico potente da passista, ha ricominciato a correre circa cinque anni fa. In Danimarca c’è un regolamento diverso dall’Italia con tre categorie, dove un elite sale in base ai punteggi ottenuti anziché per età. Lui è come se fosse ripartito dagli amatori e tra strada e pista è tornato nella categoria in cui possono aprirsi porte importanti. Avendo corso quando era più giovane, ha dovuto solo togliersi un po’ di ruggine di dosso. I risultati infatti si sono visti.

Quali sono stati?

Lui nasce come velocista, tant’è che da U23 aveva corso un europeo in pista facendo il chilometro da fermo. Contemporaneamente faceva anche lo scratch, ma ha voluto dedicarsi maggiormente alle discipline endurance. Così in un anno e mezzo di lavoro è riuscito ad andare alla prova di Nations Cup a Il Cairo nel 2023. Ora Oskar è entrato nel gruppo della nazionale danese, specialmente quello del quartetto. E sapete meglio di me quanta concorrenza ci possa essere in una nazionale di così alto livello. Pochi giorni fa, ha vinto il titolo danese del keirin e dell’inseguimento a squadre. Nel frattempo la sua formazione Team Give Steel-2M Cycling è diventata continental e nel 2025 potrà fare maggiore attività su strada.

Donegà ha corso in coppia con Winkler, notando le sue potenzialità e gli aspetti da migliorare
Donegà ha corso in coppia con Winkler, notando le sue potenzialità e gli aspetti da migliorare
Tu ti sei definita sua “coach”. Come mai?

Non pensate alla preparazione atletica perché lui ha già il suo allenatore, che è uno dei cittì della nazionale. Sto seguendo Oskar più dal punto di vista della gestione psicofisica della gara e degli altri eventi. Gli ho visto vincere degli scratch con tre giri di anticipo, poi però non aveva la stessa energia per primeggiare nelle altre specialità dell’omnium. Ha corso la Quattro Giorni di Ginevra in coppia con Donegà. Anche lui mi ha detto che saper dosare la potenza, sincronizzando gambe e testa. E quando lo farà potrebbero essere dolori per tutti (dice sorridendo, ndr). Ma gli curo anche altri aspetti.

Quali?

Si sa che noi pistard facciamo una vita un po’ nomade e dobbiamo quindi sempre organizzarci da soli facendo incastrare tante cose. Ho proposto ad Oskar una serie di gare in Europa per fargli fare esperienza non solo in pista, ma anche a livello organizzativo. Così gli ho pianificato le gare e i relativi spostamenti. Avevamo un planning preciso (ride, ndr). Ad esempio l’ho voluto portare alla Sei Giorni di Fiorenzuola, anche perché era in concomitanza con la partenza del Tour de France da Piacenza. Il suo cittì mi ha detto che ho fatto bene a farlo girare. Più si confronta, più cresce.

E come ti trovi in questo ruolo?

Mi sono sempre reputata un buon corridore senza aver il talento di altre atlete. Tuttavia penso di conoscere bene questo mondo e di sapermi destreggiare in tutto, facendo pure la meccanica. Vorrei insegnargli i trucchi del mestiere e come la testa può colmare il gap con le gambe. Oppure come ci si sposta finché non fai parte di una squadra in modo stabile. Questa estate ho fatto quasi 11.000 chilometri in 40 giorni con l’auto piena di quattro bici. Da Marcon, casa mia, a Praga, poi in Belgio nella casetta della Torelli per andare in traghetto alla Ride London. Quindi rientro in Belgio e ripartenza per la Danimarca. Infine ritorno in Italia. Per queste pianificazioni mi sento molto preparata e mi piacerebbe un domani fare questo di mestiere, magari anche in un team pro’ seguendo la logistica.

Che annata è stata per te invece?

Devo dire che questi ultimi mesi, seguendo i progressi di Oskar, sono stati la mia rivincita. Lui è stato la mia motivazione per tante cose. Ho avuto una stagione difficile, dove non mi sono mai sentita bene. Prima della Tre Giorni di Londra a fine ottobre ho preso il Covid. Le gare successive le ho sofferte tutte, finché non ho fatto dei controlli. A novembre sono andato dal dottor Moretti che mi ha trovato una miocardite da Covid. Lui è il medico che aveva curato Colbrelli dopo il suo malore e per un attivo ho rivisto in me lo stesso problema di Sonny. Ho curato la miocardite facendo due settimane di riposo assoluto, poi il 7 dicembre ho avuto l’idoneità sportiva dopo tante visite.

Francesca sorride. L’idoneità sportiva è arrivata dopo una miocardite e i suoi consigli hanno portato il fidanzato in nazionale
Francesca sorride. L’idoneità sportiva è arrivata dopo una miocardite e i suoi consigli hanno portato il fidanzato in nazionale
Cosa chiedi al 2025?

Onestamente non saprei, però sicuramente di non avere più noie fisiche o di salute. Per il resto vorrei continuare come sto finendo quest’anno. Nuovi stimoli e nuove obiettivi da raggiungere. Per la prossima stagione ho deciso di tesserarmi con la società del mio paese. Si chiama ASD Velodrome Marcon e per me non poteva esserci soluzione migliore.

L’addio da leader di Morkov, che indossa la giacca di cittì

25.10.2024
7 min
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Con la medaglia di bronzo conquistata nella madison dei mondiali, Michael Morkov ha chiuso da par suo la sua lunghissima carriera, iniziata da professionista nel 2009. A 39 anni il corridore di Kokkedal appende la bici al chiodo con 6 vittorie al suo attivo, tra cui 3 titoli danesi e una vittoria di tappa alla Vuelta di Spagna. Ma è soprattutto su pista che sono arrivati i suoi sigilli, tra cui un oro olimpico a Tokyo 2020 nella madison (ma anche l’argento nell’inseguimento a squadre in quella palpitante finale con l’Italia) e 4 titoli mondiali.

Se su pista Morkov è stato un leader, su strada ha elevato a questo rango il ruolo forse più subordinato di tutti, quello di ultimo uomo, divenendo per acclamazione planetaria il migliore interprete. Un maestro che lascerà un vuoto. Morkov però non resterà inattivo: per lui è già pronta l’ammiraglia di responsabile della nazionale danese su strada. Una nuova sfida, alla guida di una delle Nazioni più forti del momento.

Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Morkov con la sua famiglia sul podio di Ballerup: il modo migliore per chiudere la carriera
Domenica hai chiuso la tua carriera con l’ennesima medaglia, oltretutto davanti al tuo pubblico. Che sensazioni hai provato nel tagliare l’ultimo traguardo?

Sono davvero orgoglioso di aver concluso a un livello molto alto. Nei miei ultimi campionati mondiali stavo ancora lottando per la medaglia d’oro e, naturalmente, non è mai piacevole perdere, ma sono comunque felice che abbiamo ottenuto la medaglia di bronzo e abbiamo fatto felice il pubblico danese. Non potevo chiudere meglio.

Tu hai vissuto due carriere parallele: maestro nell’aiutare i velocisti e grande specialista del ciclismo su pista. Quale delle due ti ha dato maggiori soddisfazioni?

Beh, penso che sia una combinazione perché in pista ho ottenuto le mie soddisfazioni, i miei obiettivi e i miei grandi risultati. Sulla strada, ero completamente determinato ad aiutare i miei compagni di squadra, quindi penso che sia stato il giusto mix.

La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
La gioia del danese per la vittoria di un compagno, pilotato verso il successo
L’ultimo uomo del treno dello sprint: per chi interpreta questo ruolo, che cosa significa vedere il leader vincere?

E’ come vincere la gara da soli, perché tu come uomo di testa sei molto concentrato per vincere la gara con il tuo velocista e per tutto il giorno lavori duramente per organizzare l’intera squadra e fare che tutto funzioni fino a quegli ultimi 200 metri, quando sarà lui a giocarsi la vittoria e devo metterlo nella posizione migliore. Bisogna avere fiducia in se stessi e guidare gli altri come leader. Posizionare il mio velocista e vederlo alzare le braccia è come una mia vittoria. Quindi questa è la sensazione migliore.

Qual è la più grande emozione che hai vissuto in bicicletta?

La risposta è semplice: vincere la medaglia d’oro olimpica a Tokyo. In quella madison c’erano grandi campioni tanto è vero che ce la giocammo tutta sugli sprint, senza guadagnare giri. C’erano grandi interpreti come Hayter e Thomas, eppure io e Lasse Norman Hansen ce la facemmo per tre punti. Penso che sia la medaglia più bella che puoi vincere come atleta. E sì, è stato molto emozionante.

La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
La vittoria di Tokyo 2020 è stata il suo momento più alto, il premio a una carriera
Hai lavorato con tutti i migliori velocisti dell’ultimo decennio, chi è stato il migliore ma sopattutto quello che hai sentito più vicino?

Credo di aver stretto un rapporto molto stretto con tutti i velocisti con cui sono cresciuto e penso che questo rapporto umano sia anche una parte importante del successo che ho avuto con ognuno di loro. Direi sempre che il mio migliore amico è Cavendish: i suoi risultati parlano da soli, ma ha anche una conoscenza incredibile dello sprint, della tecnica pura. Sa esattamente cosa fare, il suo istinto e il suo tempismo sono perfezione pura. Ma c’è un corridore con cui ho un legame speciale…

Chi?

Viviani. Ora posso guardare indietro e vedere che forse i due migliori anni che ha avuto come professionista sono stati quelli in cui l’ho aiutato a vincere dappertutto, nel 2018 e 2019. Abbiamo vissuto un biennio speciale e penso che Elia sia il corridore che è riuscito a ottenere il massimo dal suo talento sapendo sfruttare una squadra molto forte. Aveva dei compagni di squadra molto bravi intorno a lui e quando i compagni di squadra facevano un buon lavoro per lui, riusciva sempre a concludere con una vittoria. Molti dei successi con Elia sono speciali, di cui sono orgoglioso.

Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Michael insieme a Viviani dopo la vittoria ad Amburgo nel 2019. I due sono molto amici
Ora passerai sull’ammiraglia della nazionale danese: quali sono i tuoi obiettivi nel nuovo lavoro?

Battere i miei amici italiani – dice ridendo – No, a parte le battute, sono davvero motivato per questo nuovo incarico. Soprattutto per trasmettere tutta la mia esperienza ai giovani corridori danesi e spero davvero di poterli aiutare a crescere e diventare buoni professionisti e vincere gare in futuro. Quindi la mia ambizione è quella di poter gioire di altre vittorie non personalmente mie, ma nelle quali sento di averci messo qualcosa.

Oggi la Danimarca è uno dei Paesi leader nel ciclismo professionistico, ma non ha un suo team WorldTour: pensi che sia un problema?

Io non penso, corridori danesi bravi ci sono e sono riusciti a firmare con tutte le migliori squadre del WorldTour. Quindi non penso che sia strettamente necessario avere una squadra danese al massimo livello. E’ invece fondamentale avere è una squadra Continental o Professional, per tutti i ragazzi che hanno bisogno di imparare. Ci sono corridori capaci di entrare subito nel WT, ma tanti altri hanno bisogno di più tempo, di avvicinarsi con più calma, maturano più lentamente. Questo possono farlo se hai una squadra Continental molto buona. Poi abbiamo la Uno-X che è sì norvegese, ma con una forte componente nostrana ed è molto importante nello sviluppo dei talenti danesi.

Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Morkov con Hansen, una coppia che ha fatto storia nella madison e portato la Danimarca a svettare nel quartetto
Che cosa c’è dietro i Vingergaard, Pedersen e gli altri big del ciclismo danese?

C’è molto lavoro sui talenti, esattamente come dicevo prima. Provengono da un livello molto alto di squadre Continental in Danimarca con un livello molto, molto alto di professionisti. Hanno un grande fisico e capacità non comuni, ma sono frutto di un ottimo programma di sviluppo per i giovani corridori.

In prospettiva vedi Albert Withen Philipsen come un altro grande campione del WorldTour?

Andiamoci piano. In tutti gli anni in cui sono stato coinvolto nel ciclismo, ho visto molte volte corridori estremamente talentuosi da junior che poi non riescono a trovare gli stessi guizzi quando le cose si fanno serie. Albert è un corridore molto promettente, ma deve ancora migliorare molto per diventare il prossimo grande nome del World Tour. Io ovviamente non vedo l’ora di supportarlo e spero che diventerà presto quello che sogna di essere lui e tutti noi danesi.

Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Il danese con Cavendish, con cui ha condiviso molte delle sue vittorie, compreso il record di tappe al Tour
Rispetto a quando hai iniziato, che ciclismo ti lasci alle spalle?

Un ciclismo molto professionale, molto più di quando iniziai vent’anni fa. Molte cose che si facevano allora, oggi sono considerate superate. In termini di allenamento, alimentazione, altitudine, sonno, campi di allenamento, equipaggiamento, dinamiche… Sono tutti aspetti che incidono molto. Per questo il ciclismo attuale corridori molto più talentuosi rispetto al passato, forse allora era più difficile diventare professionisti. Forse ora è più facile trovare i grandi talenti.

Uscendo dai confini danesi, c’è un altro Morkov, un corridore nel quale rivedi la tua storia e le tue capacità?

Oh, ci sono un sacco di grandi corridori in giro per il mondo, penso che la bellezza del ciclismo sia che siamo tutti diversi e veniamo da realtà differenti. Naturalmente ho uno spazio speciale nel cuore per i corridori che corrono in pista e che arrivano con le abilità della pista. E anche per quelli molto bravi nel gruppo. I ragazzi che hanno il potenziale per aiutare i migliori velocisti a diventare i più veloci. Quindi è lì che terrò gli occhi per il futuro.

EDITORIALE / I danesi a Parigi portano Morkov su strada. E noi?

15.04.2024
4 min
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Sarà un puzzle difficile da comporre. Con quale criterio saranno fatte le scelte dei corridori per le Olimpiadi, alla luce delle cervellotiche regole imposte dal CIO e recepite senza neanche un fiato dall’UCI? Mentre la nazionale della pista è di rientro dal Canada, una news rilasciata non troppi giorni fa dalla Danimarca a proposito di Morkov offre lo spunto per una riflessione.

La squadra danese, che ha chiuso il ranking 2023 al secondo posto alle spalle del Belgio, correrà su strada con quattro uomini. E siccome in pista anche loro puntano forte sul quartetto, si sono inventati uno stratagemma per consentire a Michael Morkov di difendere la sua medaglia d’oro della madison. La Danimarca ha infatti già dato le convocazioni per tre dei quattro stradisti, puntando su Mads Pedersen, Mathias Skjelmose e appunto Morkov. Il quarto nome verrà fuori ai primi di giugno dalle ultime corse utili.

«La selezione di Michael – ha spiegato a Cyclingnews il tecnico danese Anders Lund – si basa sulla considerazione delle ambizioni complessive della Danimarca per la medaglia olimpica in tutte le discipline del ciclismo. Ma detto questo, Michael ha anche delle ottime capacità su strada, di cui trarremo beneficio a Parigi. Negli ultimi tre campionati del mondo su strada, Michael ha svolto un lavoro di supporto esemplare per la squadra nazionale. La sua grande esperienza e la capacità unica di guidare il suo capitano attraverso una lunga corsa su strada saranno senza dubbio preziose per le possibilità di Mads Pedersen di vincere la medaglia che sogniamo».

Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni
Negli ultimi tre mondiali su strada (qui a Glasgow con Magnus Cort), Morkov ha lavorato per i compagni

Morkov e la madison

La Danimarca, come pure l’Italia, su pista affida delle grandi speranze al suo quartetto e questo fa sì che nelle scelte dei tecnici della pista ci sia stato un certo sbilanciamento verso il gruppo degli inseguitori. E Morkov, che pure ha fatto parte di quartetti vincenti in Coppa del mondo e nella specialità ha conquistato l’argento a Pechino 2008, probabilmente non dà le garanzie necessarie per puntare all’oro, neppure come riserva. Di conseguenza, non potendo essere selezionato per una sola disciplina (la madison di cui è campione olimpico assieme a Lasse Norman Hansen), si è ritenuto di portarlo anche su strada. Il suo avvicinamento alle Olimpiadi passerà per il Tour de France, dove scorterà Cavendish nel tentativo di battere il record di tappe detenuto da Merckx.

«Michael – ha detto ancora Lund – vuole difendere la sua medaglia d’oro nella madison. Tuttavia, possiamo selezionare solo quattro corridori per tutti gli eventi di ciclismo su pista, ovvero inseguimento a squadre, madison e omnium. Fortunatamente, i Paesi possono anche “prendere in prestito” corridori da altre discipline, quindi se Morkov viene selezionato come ciclista su strada, potrà competere in entrambe le discipline. In questo modo possiamo convocare un corridore in più in pista, in modo che i nostri corridori rimangano abbastanza freschi per completare tutti gli eventi».

Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto
Ganna e Milan, oro e bronzo nell’inseguimento di Glasgow, con Villa: i due fanno parte del quartetto

La strada azzurra

La scelta danese apre uno spiraglio anche per le altre Nazioni? In che modo saranno distribuite le quote azzurre? A quanto si è saputo, uno stradista azzurro potrebbe essere chiamato a correre anche la crono, per affiancare Ganna che farà il quartetto e la prova contro il tempo. Sappiamo che Milan correrà soltanto su pista e non su strada, ma non potrebbe essere lui il secondo cronoman? Si è discusso e si continuerà a farlo dell’impiego di Elisa Balsamo anche su strada. I tecnici hanno davanti a sé ancora due mesi e mezzo per comporre il puzzle perfetto, sapendo che l‘Italia maschile correrà su strada con soli tre uomini (quattro invece le donne), a causa del ranking per nazioni che a fine 2023 ci ha visto in ottava posizione.

La pista è il settore che probabilmente dà le maggiori garanzia di medaglia con gli uomini e con le donne, al pari della cronometro individuale maschile. Stando così le cose, è immaginabile che fra i tre della strada approdi un pistard, che però non sia un inseguitore, consentendo a Villa di chiamare un uomo in più? E se così sarà, visti i risultati azzurri nelle grandi classiche, con quale potenziale arriveremo alla sfida di Parigi su strada? Come detto, sarà un puzzle difficile da comporre. Almeno su questo non ci sono dubbi.

L’eredità di Vingegaard: il WorldTour approda in Danimarca

26.12.2023
5 min
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La notizia, ufficializzata appena prima di Natale, è passata un po’ sotto traccia dalle nostre parti, ma merita invece un approfondimento: la Danimarca dal 2025 avrà una propria prova nel WorldTour. Una gara in linea sia al maschile che al femminile, che resterà nel programma del massimo circuito almeno per tre anni. Il progetto è figlio diretto della partenza del Tour de France nel 2022 che destò tantissimo scalpore in Patria e fuori, amplificato poi dalle imprese di Jonas Vingegaard: su quella base si è lavorato duramente, per realizzare un progetto importante.

Vingegaard con le sue vittorie al Tour ha dato nuovo impulso al ciclismo danese
Vingegaard con le sue vittorie al Tour ha dato nuovo impulso al ciclismo danese

Città a misura di bici

Il fatto che la Danimarca abbia una prova in linea nel WorldTour va a colmare una lacuna. E’ bene dirlo subito: se Nazioni come Olanda e Germania fanno leva soprattutto sulla cultura delle due ruote, non avendo una tradizione solida e radicata come il Belgio e i Paesi affacciati sul Mediterraneo, era assurdo che la Danimarca rimanesse in serie B e lo si capisce facendo un giro per la sua Capitale, Copenhagen, che sarà l’epicentro del nuovo progetto.

Partiamo dall’aspetto urbanistico: una Capitale fatta di grandi strade che collegano i vari quartieri e confluiscono nel centro città. Ogni strada (e sottolineiamo “ogni”, anche le piccole traverse) ha uno spazio ciclabile, con il disegno della pista che è stato studiato nei particolari. L’incidenza con il traffico veicolare è estremamente ridotto, si cammina davvero in parallelo, anche perché le strade (salvo le grandi direttrici) sono a senso unico permettendo comunque una circolazione abbastanza semplice, anche senza affidarsi alle varie app direzionali.

Le strade di Copenhagen sono invase da una stragrande maggioranza di ciclisti rispetto alle auto
Le strade di Copenhagen sono invase da una stragrande maggioranza di ciclisti rispetto alle auto

L’esempio di padre in figlio

La cosa che colpisce girando per la città è l’enorme numero di ciclisti. La bici è uno strumento prioritario per spostarsi: mezzi molto economici (in un Paese dove il costo della vita, in paragone al nostro, è molto alto pur con il cambio 7 corone=1 euro) che devono avere l’unico scopo di essere affidabili negli spostamenti. L’utilizza una grande parte della popolazione per essere al lavoro molto presto (si sfruttano al massimo le ore di luce d’inverno) e l’osservanza del codice stradale è massima: non troverete mai un ciclista che passa col rosso non vedendo altri veicoli vicini…

Tutto ciò è importante perché è l’humus dove si coltiva anche la passione sportiva. In tal senso esemplari erano state le parole di Albert Philipsen, il campione del mondo junior su strada e mtb che raccontava come la voglia di gareggiare sia emersa andando dietro al padre non tanto nelle gare quanto nelle escursioni, vivendo quella profonda gioia di pedalare in mezzo alla natura, condividendo l’esperienza con gli altri.

Il passaggio davanti alla Sirenetta probabilmente non mancherà nella classica del 2025
Il passaggio davanti alla Sirenetta probabilmente non mancherà nella classica del 2025

Un progetto ben definito

Il Giro di Danimarca è da anni un appuntamento importante della seconda parte di stagione, richiamando anche team del WorldTour ma dopo quanto avvenuto in Francia c’era bisogno di un’ulteriore salto di qualità.

E’ stato messo insieme un consorzio di forze a sostegno del progetto, comprendente i comuni di Copenhagen e Roskilde sede di partenza, la Federazione ciclistica nazionale, la Sport Event Denmark, Wonderful Copenhagen principale riferimento di promozione turistica della capitale, i ministeri statali della cultura e degli affari. Tutti insieme ci si è presentati davanti all’Uci, mostrando un programma dettagliato, articolato in ogni aspetto e la federazione internazionale ha dato il suo placet, a partire dal 2025.

Nyhavn, uno dei centri nevralgici della capitale, turisticamente ma anche come socializzazione
Nyhavn, uno dei centri nevralgici della capitale, turisticamente ma anche come socializzazione

Percorso da classica del Nord

Il percorso è naturalmente in via di definizione, ma già si sa che partirà da Roskilde, sede storica di uno dei più grandi festival musicali sin dal lontano 1971 attraverso il quale sono passati tantissimi nomi di spicco europei, americani e non solo, per poi concludersi nel centro di Copenhagen, forse con un circuito finale.

«Vogliamo creare un percorso spettacolare – ha affermato il responsabile eventi della federciclismo danese Jesper Tikiob – che possa concentrare tutto il meglio che offre la regione dello Zealand. Useremo le strade di campagna, da affrontare con attenzione perché molto ventose ma anche gli spazi aperti e le lunghe strade a ridosso della corsa. Ne verrà fuori una gara incerta, che vogliamo disegnare ispirandoci anche alle classiche del nord, nell’uso ad esempio di curve strette e passaggi tecnici. Ma in testa alla nostra agenda ci saranno sempre gli aspetti della sicurezza e dell’interesse comune».

La sindaca Sophie Haestorp Andersen insieme al presidente Aso Prudhomme (foto Getty Images)
La sindaca Sophie Haestorp Andersen insieme al presidente Aso Prudhomme (foto Getty Images)

Un festival delle due ruote

Il progetto, che come detto prevedrà una prova al maschile e una per le ragazze (da vedere se nella stessa giornata o nell’arco di due giorni) va anche oltre: «Copenhagen è la miglior città ciclistica del mondo – ha sottolineato la sindaca Sophie Haestorp Andersen annunciando l’accettazione della proposta – e i pro’ contribuiranno anche al ciclismo di tutti i giorni. Intendiamo abbinare alla gara del WT un grande festival delle due ruote ma non solo: dopo la gara libereremo le strade perché la gente comune possa prenderne possesso e pedalare senza la presenza di auto». Si prospetta un grande evento, tocca solo aspettare…

Tour de l’Avenir, il ciclismo è un fenomeno mondiale

04.09.2023
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Il Tour de l’Avenir ha confermato la sempre più grande internazionalizzazione del ciclismo. La maglia gialla è stata addosso a diverse nazioni, ma quando le tappe si sono fatte impegnative il simbolo del primato è rimbalzato dagli Stati Uniti al Messico. Isaac Del Toro (in apertura la vittoria nella tappa del Col de la Loze, foto Tour de l’Avenir) si è aggiudicato questa edizione, confrontandosi con gli amici e rivali Piganzoli, Pellizzari e Riccitello. Quest’ultimo ha perso la maglia proprio l’ultimo giorno a vantaggio del messicano. 

L’occhio del cittì

Marino Amadori, storico cittì della nazionale under 23 ha guidato i suoi ragazzi a due posti sul podio. Un risultato promettente e ottenuto con prestazioni solide, solamente Del Toro si è dimostrato superiore. Ma in queste otto tappe cos’ha visto Amadori, che livello ha percepito del ciclismo italiano e di quello estero?

«Il Tour de l’Avenir – ci dice – è il campionato del mondo delle corse a tappe. Qui si sfidano i giovani corridori più forti al mondo, è sempre un bel banco di prova per capire il livello generale. In contesti del genere bisogna arrivare pronti, ormai ogni dettaglio conta, ci stiamo avvicinando sempre più al professionismo. Considerando anche che alcuni ragazzi già corrono tra i grandi (Riccitello, Piganzoli e Christen che dall’1 agosto è alla UAE Emirates, solo per fare alcuni nomi, ndr). I primi dieci della classifica generale sono tutti corridori importanti e per di più giovani: 2002 e 2003. Molti ragazzi passano professionisti direttamente dalla categoria juniores, il mondo va così, lo si diceva e l’Avenir è stata una conferma».

Mondializzazione

Il ciclismo come detto ha aperto le porte a tutto il mondo, non ci sono più limiti o confini che reggono. E il mondo dei giovani è quello dove questo si vede maggiormente, la bici non è più solamente “europea”. 

«Il ciclismo giovanile – riprende Amadori – si è aperto totalmente, l’UCI ha lanciato la mondializzazione del ciclismo. E’ uno sport che ormai si evolve a 360 gradi e ti trovi questi ragazzi ovunque. Del Toro stesso si è preparato al Sestriere, nello stesso periodo in cui eravamo su noi. I messicani hanno fatto altura per 30 giorni, sono andati a visionare tutte le tappe. Hanno fatto, più o meno, quello che abbiamo fatto noi. Non ci sono più differenze tra europei e non, ma è giusto che sia così. Molte nazioni extra Europa lavorano come dei team WorldTour, arrivano agli appuntamenti importanti, come l’Avenir, al 100 per cento.

«A livello di rose – continua Amadori – le differenze rimangono, alla fine nelle tappe dure Del Toro rimaneva abbastanza isolato. Quando il gruppo era composto da una ventina di corridori i messicani rimanevano in due. Noi come Italia avevamo una squadra molto forte, nata anche dal fatto che abbiamo molti atleti forti, che però vanno tutelati».

Tutte le formazioni si preparano al meglio per gli appuntamenti più importanti (foto Tour de l’Avenir)
Tutte le formazioni si preparano al meglio per gli appuntamenti più importanti (foto Tour de l’Avenir)

Gli europei

Anche le nazioni europee sono andate forte, sia chiaro, con l’Italia in grande spolvero. Molte nazioni hanno ben figurato, a partire dalla Danimarca, non nuova al ciclismo di alto livello, visto che hanno vinto gli ultimi due Tour de France. E’ stato proprio un danese, Foldager, a soffiare la prima maglia gialla al nostro Giacomo Villa, suo compagno di squadra alla Biesse-Carrera. 

«Foldager – aggiunge il cittì – andava come un missile, lui come tutta la Danimarca, che infatti ha vinto la cronometro a squadre. Le squadre europee però si sono messe in mostra tutte più o meno, le tappe erano così dure che ognuno ha avuto la sua occasione. Da sottolineare c’è l’incidente che ha messo fuori gioco Staune-Mittet, uno di quelli che avrebbe potuto dire la sua per la classifica finale. Nonostante questa sfortuna la Norvegia ha comunque piazzato due corridori nei primi dieci: Svestad e Kulset. A testimonianza di quanto detto prima.

«Quando si viene a correre in questi grandi appuntamenti – conclude Amadori – bisogna guardare l’età dei corridori e non da dove vengono. Sono tutti pronti, i nostri ragazzi devono essere preparati a loro volta. Il calendario è diverso ma non così tanto, Del Toro ad esempio ha corso il Giro della Valle d’Aosta e il Sibiu Tour. Sono le stesse gare che corrono i nostri ragazzi che militano nelle migliori continental e professional. L’ho detto spesso ai miei corridori in questi giorni “se hai qualità e dote non ci sono scusanti” e non ne hanno trovate».

Parentini con la Danimarca: mondiale 10 e lode!

26.08.2023
4 min
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Al maglificio sportivo Parentini, i recenti campionati del mondo di ciclismo andati in scena a Glasgow, in Scozia, hanno assicurato una visibilità ed una ribalta mediatica di grandissimo valore. Il merito? Tutto degli atleti, uomini, donne, giovani e paralimpici della federazione danese – che ricordiamo essere fornita da moltissimo tempo proprio dalla realtà toscana di Giampaolo Parentini – che con le proprie squadre nazionali, impegnate su più fronti in tutte le discipline di quelle che quest’anno sono state definite con ragione delle piccole “Olimpiadi del ciclismo”, ha trionfato e comunque sempre ben figurato in moltissime delle competizioni in programma.

La Danimarca ha brillato con il quarto posto di Pedersen nella prova dedicata ai professionisti
La Danimarca ha brillato con il quarto posto di Pedersen nella prova dedicata ai professionisti

Su tutti, i due ori conquistati dal talento Junior Albert Philipsen, capace di vincere a distanza di appena una settimana sia la prova in linea su strada quanto quella Mtb. Un ragazzo fortissimo, Philipsen del quale sentiremo parlare presto anche in ambito di ciclismo professionistico… E poi il quartetto dell’inseguimento su pista in grado di sconfiggere in finale la nostra selezione, e detentrice del titolo olimpico in carica, capitanata da Filippo Ganna.

Tra le due nazionali la sfida e la rivincita sarà programmata a Parigi nel 2024 in occasione delle prossime, attesissime Olimpiadi… Non è mancato un titolo femminile sempre su pista nella disciplina dell’omnium, oltre all’argento su strada di Amalie Dideriksen, al bronzo di Cecilie Uttrup Ludwig nel Cross Country Mtb e alla terza piazza del podio, sempre nella Mountain bike, nella particolare gara a staffetta “Mix Relay”.

Grazie Danimarca

«Vogliamo congratularci di cuore con tutto il team danese – ha dichiarato Giampaolo Parentini, il titolare dell’omonimo maglificio toscano – dagli atleti allo staff tecnico, per le loro eccezionali performance colte in questa rassegna iridata. Ogni chilometro percorso, ogni spinta verso il traguardo ci ha fatto sentire parte di un grande successo. I campionati del mondo sono finiti ma il ricordo delle vittorie danesi e delle sfide superate con successo continuerà a brillare nella nostra memoria.

«Desideriamo ringraziare ciascun singolo membro del team per le emozioni e per l’ispirazione che ci ha regalato, spingendoci ad innovare costantemente per così poter essere in grado di offrire agli atleti di tutto il mondo capi tecnici all’altezza delle loro sfide».

Non sono mancate le gioie nemmeno sul parquet in queste “Olimpiadi del ciclismo”
Non sono mancate le gioie nemmeno sul parquet in queste “Olimpiadi del ciclismo”

Attenzione all’ambiente

Il marchio Parentini, da sempre legato al mondo del ciclismo agonistico, nasce quasi cinquant’anni fa, nel 1976, quando Gianpaolo Parentini – tuttora amministratore delegato – assume la gestione della maglieria di lana e sport di suo padre. Nel corso degli anni, l’azienda ha sviluppato la propria esperienza e competenza nel design, nella stampa e nell’utilizzo di tessuti tecnici e sperimentali da impiegare appunto nella disciplina del ciclismo. Nel 1982 il primo grande successo ai Mondiali di Goodwood, in Inghilterra, con la maglia iridata conquistata da Giuseppe Saronni. Il quale, l’anno successivo, sempre in maglia Parentini, conquista il Giro d’Italia!

Fin dai primi passi sul mercato, l’azienda è cresciuta in ogni singola stagione. L’intera produzione è realizzata a mano in Italia, o meglio in Toscana, all’interno dei propri laboratori. Non da ultimo è importante sottolineare quanto Parentini sia una realtà che ha fatto della sostenibilità una propria filosofia di lavoro. Qui si ha realmente a cuore l’ambiente, e conseguentemente si crea abbigliamento da ciclismo – lo sport “green” per eccellenza – impiegando macchinari ecologici, con un impatto ambientale pari quasi a zero.

«Dopo aver sostituito le macchine da stampa – ammette Gianpaolo Parentini – abbiamo anche provveduto a modificare le linee dei tessuti. Oggi utilizziamo solo ed esclusivamente filati provenienti da plastiche riciclate, e proprio con questi tessuti realizziamo i nostri completi e i nostri fondelli. Mantenendo e migliorando la performance tecnica creiamo orgogliosamente un prodotto pensando al futuro… per il quale l’ambiente ringrazia».

Parentini