Doppio mondiale per Milan? Bettini dice di sì

16.06.2023
6 min
Salva

Da corridore ha vinto i mondiali e le Olimpiadi, poi da tecnico ha guidato gli azzurri sugli stessi traguardi. Per cui quando ci siamo trovati a ragionare sulle prossime sfide di Glasgow, che si incrociano pericolosamente fra strada e pista, l’idea di interpellare Paolo Bettini è stata una delle prime. Soprattutto dopo che il Giro d’Italia ha mostrato la forza di Milan in volata, alla vigilia di un mondiale che in teoria potrebbe strizzare gli occhi agli uomini veloci. Tu che faresti con uno come Johnny: lo mandi su pista o lo porti anche su strada?

Il discorso è interessante per i tanti risvolti, anche perché sono diversi i corridori di spessore che potrebbero essere chiamati al doppio impegno. Certo Milan, ma anche Ganna, Viviani e anche Consonni. Proprio per questo occorre partire dalla grande concretezza, perché tutto questo non si trasformi in una chiacchiera da bar.

«Il ragionamento deve essere sottile – dice subito Bettini – nel senso che si deve partire dalla probabilità di medaglia. Se Milan fa il quartetto, anche se non conosco la condizione di tutti e quattro e quella degli avversari, hanno abbondantemente dimostrato che possono vincere il mondiale. E’ anche vero che un mondiale su pista, dopo che si sono portati a casa un oro olimpico, non cambia la vita. Mentre sono sincero, un mondiale su strada è una medaglia pesante. Ha il suo peso specifico come merito sportivo, ma anche come potere contrattuale. Insomma, è un mestiere, ti togli le tue soddisfazioni, però poi rinegozi il tuo valore in base ai risultati».

Alle Olimpiadi è già capitato di far correre lo stesso atleta su strada e in pista, giusto?

Esatto. Quando ero a Londra da Commissario tecnico, le indicazioni federali furono di privilegiare la multidisciplina e io schierai Viviani anche su strada. Forse proprio quella volta capì come poteva vincere su pista, non credo che la strada gli abbia precluso la medaglia dell’omnium. Magari non aveva ancora esperienza per giocarsi il titolo. Tradotto in parole povere: ci può anche stare il doppio impegno, ma dipende sempre dalla condizione. Se uno ha una condizione stratosferica, alla fine i 4 chilometri dell’inseguimento che ti vai a giocare in pista sono più psicologici che un fatto di energie.

Parlando di Milan, quando capiterà nuovamente un percorso così?

Allora dobbiamo fare un altro ragionamento e vedere su chi possiamo contare per il mondiale strada. Milan può essere buono in caso di arrivo in volata, ma siamo sicuri che a Glasgow si arriverà in volata? Per esperienza, i percorsi li valuto quando li vedo e io questo non l’ho visto. E’ certo che lui in volata ha dimostrato che le sa suonare a tutti. Non proprio tutti, in realtà, perché a maggio non c’erano proprio tutti. Comunque è una delle ruote veloci più importanti che ci siano in circolazione.

L’incognita è dunque se il mondiale dovesse rivelarsi più duro…

Esatto, io infatti me la giocherei diversamente, pur portando Milan, che in una rosa di nove corridori ci sta bene. Parlerei chiaro e gli direi: «Sei da potenziale medaglia in pista con Marco Villa, ma io ti do la possibilità di starci anche su strada, però sappi che non si può correre per ammazzare la corsa. Ci sono altre nazionali che lo faranno e noi dovremo tutelare gli uomini da classiche. Tu vieni e te ne stai nella pancia del gruppo. Se poi all’ultimo giro non è successo nulla, ti si compatta la squadra addosso e fai la tua volata. Quel che viene viene». Potrebbe essere anche il modo per fargli fare un mondiale senza la pressione e lasciarlo tranquillo in ottica pista.

Viviani agli ultimi europei di Monaco ha corso su strada e dopo 5 ore ha vinto l’eliminazione su pista
Viviani agli ultimi europei di Monaco ha corso su strada e dopo 5 ore ha vinto l’eliminazione su pista
Di sicuro non ruberebbe il posto a nessuno.

Ai miei tempi, veniva fuori un problema con chiunque lasciavano fuori, semplicemente perché andava forte. Lasciavano fuori Di Luca e lui andava forte. Rebellin, la stessa storia. Lasciavano fuori Petacchi e lui vinceva. Tutti gli anni era scontato che ci fossero 4-5 o addirittura 6 scontenti che andavano forte. Oggi questa problematica non c’è.

Dici di no?

Bennati che mettesse dentro Milan, lascerebbe a casa qualcuno che va così forte? Chi si offende? Chiunque pensi di meritare un posto al mondiale, da qui al 20 luglio deve vincere tre corse vere e allora può alzare la mano e dire: «Presente! Milan vada a fare la pista, qua ci penso io!». Ma alla fine la strada è sempre democratica.

Ganna ha stupito alla Sanremo e il sesto posto di Roubaix per Bettini è un altro ottimo risultato
Ganna ha stupito alla Sanremo e il sesto posto di Roubaix per Bettini è un altro ottimo risultato
Citazione di Alfredo Martini, giusto?

Una volta, quando tutti ci chiedevamo come facesse Alfredo a mettere insieme tante teste, lui ci rispose sempre: «Ma state tranquilli, settimane prima hanno tutti le loro pretese. Poi, quando si arriva a ridosso del mondiale, la strada è democratica e mette ognuno al suo posto». Se poi la democrazia della strada ti porta cinque atleti ad alti livelli, a quel punto subentra il commissario tecnico che non è un allenatore, ma è molto più psicologo e selezionatore. Sta a lui fare il lavoro sottile di amalgamare la squadra e di fare le proprie scelte. Però non credo che in Italia in questo momento ci sia questo tipo di problema, purtroppo no.

Per lo stesso discorso e senza chiedergli la luna, ci starebbe anche Ganna?

Potrebbe essere. Allora vi dico che a me Ganna ha veramente stupito alla Sanremo, perché non solo ha tenuto le accelerazioni, ma ha risposto alle accelerazioni di quelli che sapevamo essere tre spanne superiori agli altri. Qualcuno dice ha fatto flop alla Roubaix, ma chi corre oppure ha corso in bici sa che fare sesto alla Roubaix non è proprio una cosa dell’ultimo momento. E allora perché non buttarlo dentro? Se ti viene la corsa un pochino più dura, ti trovi davanti in un gruppetto di una decina che ha qualche minutino di vantaggio, non ci sono salite impossibili, solo nervose… Perché non contare anche su di lui?

Giro 2023, Bennati parla con Consonni: Simone è un altro pistard che potrebbe fare il mondiale su strada
Giro 2023, Bennati parla con Consonni: Simone è un altro pistard che potrebbe fare il mondiale su strada
Forse passate le prossime Olimpiadi per tutti loro la strada avrà un richiamo diverso, non trovi?

Io dico che erano anni che l’Italia soffriva su pista e ora è giusto portare a casa il più possibile. Poi i ragazzi crescono e si diventa vecchi tutto d’un colpo, perciò bisogna che siano bravi loro a trovare il limite. Il quartetto olimpico va difeso a prescindere. Se venisse la seconda medaglia, ci sarebbe da togliersi il cappello, anche se non fosse d’oro. In Italia bisogna andare sulle le discipline che fanno 18 finali, tipo il nuoto o la scherma, per avere due medaglie in due Olimpiadi consecutive. Poi però credo che ci sarà un po’ di ricambio, per cui dal 2024 direi: «Sai cosa c’è? Intanto penso esclusivamente alla strada per tre anni, poi guardiamo cosa succede nell’anno olimpico».

Cosa potrebbe succedere?

Che se poi nell’anno olimpico mi qualifico, mi qualificano o mi ripescano, allora se sono ancora utile alla causa, magari in pista ci torno. Ma prima faccio due anni a dedicarmi alla strada senza guardarmi indietro…

Pasqualon, il Giro con Milan è un messaggio al cittì

07.06.2023
6 min
Salva

Andrea Pasqualon ha ripreso a pedalare dopo il Giro d’italia. Primi passi con calma e poi si tratterà di alzare sempre di più il ritmo, con la testa sui campionati italiani e poi quelli del mondo. Sempre che Bennati decida di portarlo. Di sicuro il corridore che da quest’anno è approdato alla Bahrain Victorious (in apertura al Giro con la figlia Joyel) ha cambiato marcia e sicurezza e questo non è passato inosservato, soprattutto nei giorni in cui si è preso Milan sulle spalle e o ha lanciato nelle sue volate.

Che cosa hai fatto dopo il Giro? Dove sei?

Sono in Italia, perché il campionato italiano sarà qua in Trentino. Tornerò ad Andorra appena dopo il tricolore. Finito il Giro sono andato a fare la kermesse di Pieve di Soligo e poi quella del martedì a San Daniele del Friuli. I corridori italiani della squadra c’erano tutti ed è stato bello, veramente molto ben organizzato. Ci hanno lavorato Enrico Bonsembiante e Alessandro Ballan e hanno fatto veramente un ottimo lavoro. C’era tanta gente, si respirava l’aria di festa, l’aria di fine Giro. Sono le kermesse che portano pubblico, portano i ragazzini e anche amore per il nostro sport. In pratica ho fatto il Giro più altre due tappe. 

Un Giro molto positivo per la Bahrain Victorious e per Pasqualon, salito spesso agli onori della cronaca
Un Giro molto positivo per la Bahrain Victorious e per Pasqualon, salito spesso agli onori della cronaca
E poi?

Poi da mercoledì ho fatto qualche giorno di riposo e ho ripreso un po’ con palestra e da ieri anche in bici, con la prima uscita dopo 5 giorni. Abbiamo voluto fare uno stacco fra il primo periodo e l’inizio del secondo.

L’anno scorso sognavi di andare al mondiale e alla fine rimanesti con un pugno di mosche.

E il sogno è rimasto lì. Io ci metterò nuovamente il massimo per arrivare pronto a quel periodo. Dopo i campionati italiani andrò sicuramente una settimana ad Andorra e poi con la squadra cercheremo di preparare la seconda parte di stagione. Se sarò nel gruppo del mondiale, farò il Polonia che servirà per mettere a posto la gamba. Penso sia la cosa giusta che potrebbe darmi il ritmo giusto.

Hai già avuto contatti con Bennati?

Ci siamo parlati. La possibilità c’è, però giustamente dovrò meritarla. Sono anni che voglio indossare la maglia azzurra in un mondiale, ma non è mai arrivata. Penso che quello di Glasgow sarà uno degli ultimi percorsi che mi si addice, anche perché ho già 35 anni. I prossimi mondiali saranno anche duri e quindi non sarà facile entrare nella selezione. Quest’anno invece con un percorso così tecnico, penso di poter fare un determinato lavoro. Limare, stare davanti e soprattutto proteggere un capitano. Potrei essere una pedina importante, quindi stiamo a vedere se ci sarà la possibilità di farlo.

Arrivato nel team come appoggio per Mohoric, già alla Sanremo Pasqualon ha mostrato grande determinazione
Arrivato nel team come appoggio per Mohoric, già alla Sanremo Pasqualon ha mostrato grande determinazione
A proposito del tuo ruolo, sei stato decisivo anche in squadra al Giro d’Italia.

E’ un ruolo sicuramente che mi si addice e che mi piace. In precedenza non avevo un corridore di riferimento, adesso invece con Jonathan Milan ho trovato un gran velocista. Abbiamo visto tutti cosa riesce a fare, perciò da inizio anno abbiamo cercato di creare il miglior feeling fra la mia testa e la sua potenza.

Ha funzionato?

Abbiamo raccolto una vittoria al Giro e poteva scapparci sicuramente qualcosa in più, visti i quattro secondi posti che sono arrivati. Non è stato facile, perché tante volte ci trovavamo solamente in due. La squadra era costruita soprattutto in ottica classifica, con Jack Haig e Damiano Caruso. Non abbiamo pensato di portare una squadra per Jonathan, come penso che invece accadrà nei prossimi anni. 

In effetti sei parso spesso da solo…

Tante volte dovevo anticipare, fare da me la parte del penultimo uomo e anche dell’ultimo. Invece nell’ultima tappa a Roma tutta la squadra ha lavorato per Milan, abbiamo fatto un lavoro eccezionale e io ho corso davvero da ultimo uomo. Purtroppo però, Jonathan aveva avuto problemi intestinali due giorni prima, quindi si è ritrovato con le gambe vuote e non ha sprintato.

Secondo te si è convinto di essere un velocista o lo sta capendo piano piano?

Si sta convincendo che può essere uno dei velocisti del futuro. Il fatto di essere caduto alla Gand-Wevelgem e aver lasciato il Nord gli ha permesso di arrivare al Giro con una condizione eccezionale, ha trovato il picco di forma al Giro d’Italia ed è stato fantastico. E alla fine è stato la rivelazione di tutti, ma io lo sapevo. Lo avevo già visto.

Al via della tappa delle Tre Cime di Lavaredo da Longarone, per Pasqualon la visita dei genitori Ennio e Carmen
Al via da Longarone, per Andrea Pasqualon la visita dei genitori Ennio e Carmen
Quando?

Nel ritiro in Spagna. Una volta uscivamo da una rotonda e abbiamo fatto una volata. E questo qui mi ha tolto di ruota restando seduto, mentre io ero in piedi. Mi sono guardato con Mohoric e ci siamo detti che non avevamo mai visto quella potenza. E io ho detto a Matej: «Questo qui sarà il nuovo Cancellara». Al Giro faceva di quelle rimonte… Partiva dalla dodicesima posizione e andava a vincere le tappe oppure arrivava secondo. Questo vuol dire avere una marcia in più.

Che rapporto si è creato fra voi?

Oltre che di lavoro, un rapporto di amicizia. Siamo sempre insieme da dicembre, dividiamo la camera. Abbiamo fatto tutto il Nord insieme e adesso il Giro d’Italia. Abbiamo creato veramente un legame che va oltre il lavoro. Per questo mi dispiace che Johnny se ne vada. Ci tenevo a lavorare ancora con lui per anni, però non è detto magari un domani ci ritroveremo.

Un’intesa perfetta che però a Caorle non c’è stata: tappa a Dainese, Milan secondo e tu settimo…

Purtroppo ci siamo fatti fregare nell’ultima curva, quando io pensavo di averla ruota e invece non c’era. E’ stato un po’ ostacolato da Gaviria all’ultima curva. Pensavo che comunque avesse come punto di riferimento me, così ho cercato di andare a destra per metterlo a ruota di Dainese. Infatti ai 300 metri sono a ruota di Alberto, invece Johnny ha fatto la volata per conto suo, mentre io sono arrivato settimo per non buttare il lavoro fatto per metterlo alla ruota giusta.

L’intesa con Milan è nata già dal Saudi Tour, con la prima vittoria 2023 del friulano
L’intesa con Milan è nata già dal Saudi Tour, con la prima vittoria 2023 del friulano
Ti capita mai di sentire la mancanza della Intermarché?

No, perché ho trovato un gruppo bellissimo anche qui in Bahrain. Mi hanno subito voluto bene e mi hanno dato un ruolo fondamentale all’interno del team, un ruolo che mi piace veramente. Tante volte sono quello che parla con l’ammiraglia, parla con i ragazzi e decide anche le tattiche. Un ruolo in cui sono cresciuto negli anni e che sto facendo al meglio.

Siete un bel gruppo.

Una grande squadra. Anche con i direttori sportivi ho trovato subito un gran feeling e poi anche con i corridori. Con Caruso, Buitrago e Jonathan abbiamo creato il gruppo più bello con cui abbia corso in questi ultimi anni. E i risultati l’hanno dimostrato.

Ieri junior, oggi tra i pro’. Belletta, raccontaci l’esordio

21.04.2023
6 min
Salva

«Sto vivendo un sogno, sono tra i professionisti e mi sto giocando una vittoria». Un pensiero di corsa a 10 chilometri dall’arrivo. Dario Igor Belletta, 19 anni compiuti il 27 gennaio, ha esordito tra i pro’ e lo ha fatto con la maglia della nazionale maggiore al Giro della Città Metropolitana di Reggio Calabria. Si è portato a casa un settimo posto e un bagaglio di esperienze pieno di emozioni, stupore, errori e tanta voglia di fare parte di quel mondo lì.

Al telefono Dario ha la voce squillante e piena di entusiasmo, ma sembra avere la testa ben salda sulle spalle. Forse anche grazie alla corazzata Jumbo-Visma Development Team che lo sta guidando passo a passo nel mondo del ciclismo europeo. Junior fino a 4 mesi fa, il giovane lombardo si è svegliato una mattina con la convocazione via whatsapp del cittì Bennati. Facciamoci trasportare nel suo esordio tra i pro’…

L’esordio di Belletta con la nazionale maggiore
L’esordio di Belletta con la nazionale maggiore
Com’è nato questo esordio?

Era una corsa che non era in programma nel mio calendario, però quando il CT ti convoca non puoi di certo dire di no, anzi… (ride, ndr). Alla Jumbo andava molto bene, per svezzarmi un po’. In realtà è stato organizzato tutto all’ultimo. 

Quando hai ricevuto la convocazione?

Mi hanno chiamato subito dopo il Circuit des Ardennes dove era presente la nazionale under 23. Ho avuto modo di parlare con Mario Scirea. Mi ha visto in ottima condizione e soprattutto in crescita. Ero stato fermo dieci giorni per un’influenza che mi aveva colpito circa due settimane prima.

Come l’hai ricevuta questa chiamata in nazionale?

Tramite Gianluca Bortolami che è un po’ il mio padre ciclistico e conosce molto bene Bennati che mi ha fatto questa proposta. Dopodiché mi sono trovato una mattina con il messaggio del commissario tecnico che mi chiedeva com’ero andato alle Ardenne e che appunto mi faceva questa convocazione. Io gli ho risposto immediatamente che non c’era nessun motivo per non dire di sì. Non vedevo l’ora di vestire la maglia della nazionale maggiore ed esordire tra i pro’. 

Qui la ricognizione sul circuito, casco giallo Jumbo per Belletta
Qui la ricognizione sul circuito, casco giallo Jumbo per Belletta
Te l’aspettavi?

In realtà avrei dovuto debuttare tra i professionisti alla Volta Limburg Classic con la squadra WorldTour. Però appunto essendo stato fermo dieci giorni per l’influenza, ho dovuto posticipare l’esordio. La squadra è stata molto soddisfatta sia dell’interesse della nazionale e così ha anche avuto l’occasione di vedermi esordire tra i grandi. 

Ti sei sentito pronto fisicamente?

La mia condizione era in crescita, era una settimana che pedalavo bene alle Ardenne. Ne parlavo già con il mio preparatore e mi diceva che i valori che esprimevo stavano salendo e io effettivamente mi sentivo sempre meglio.

Che emozione è stata arrivare lì tra i pro’?

Ovvio la corsa tra i professionisti è sempre emozionante e nei giorni prima il fatto di andare a dormire nello stesso hotel di Viviani è stato un’emozione diversa. Per un ragazzo che ha appena compiuto 19 anni è qualcosa di forte. Inoltre non correvo in Italia dall’anno scorso. Aggiungici uscire il giorno prima vestito con la maglia della nazionale in mezzo alla gente che ti guarda e magari si avvicina incuriosita per scambiare due parole. E’ stato tutto speciale ed è un mondo che sinceramente devo ancora conoscere

Viviani capitano e faro di Belletta e compagni
Viviani capitano e faro di Belletta e compagni
Viviani lo conoscevi già?

Sì. Entrambi siamo molto attivi in pista. Lui ovviamente con un altro tipo di risultati rispetto ai miei (ride, ndr). Elia è un ragazzo che sinceramente non so descrivere. Dire che è un atleta formidabile è riduttivo, perché è anche una persona di cuore. Ad esempio quando abbiamo fatto un giro per il centro lo avranno fermato 10 volte per delle foto e lui si è fermato a farle tutte con il sorriso.

Come nazionale eravate perlopiù giovani a parte appunto Elia. Che capitano è stato?

Ci ha trasmesso tranquillità e sicurezza ed è stato il nostro faro. Nella riunione pre gara è stato molto attivo e si vedeva che aveva voglia di insegnarci. Noi anche avevamo ancora più voglia di imparare da un’atleta e persona così. Tra l’altro c’era anche Marco Villa. Lui mi dipinge un po’ come un piccolo erede e vederci in azione ha emozionato in primis Marco. Io so che ho molto da imparare da Elia e sono felice di avere l’opportunità di farlo. 

Con i compagni hai condiviso qualche emozione pre gara?

Più o meno ci conoscevamo già tutti. Con quelli della mia età ci avevo già corso, ad esempio con Andrea Raccagni Noviero che corre nella Soudal-Quick-Step Devo Team, abbiamo scherzato su quando ci incontravamo da giovanissimi, mentre invece ora ci siamo ritrovati a vestire insieme la maglia della nazionale maggiore. Questo ci ha strappato un sorriso e qualche battuta. 

Raccagni Noviero, Garofoli e Belletta, la next-gen scalpita
Garofoli e Belletta, la next-gen scalpita
Veniamo alla corsa. Sei riuscito a stare concentrato?

Mi son fatto forse un po’ influenzare dall’atmosfera che c’era. Io pensavo che Reggio Calabria fosse una città grande, ma non una città metropolitana. Correre tra i pro’, battendomi per la vittoria, in una città di quasi 200.000 persone che si è fermata per vederti è qualcosa di pazzesco. Non me lo aspettavo. Vedere tutto quel pubblico forse non ha giocato a mio favore perché mi sentivo tanta responsabilità. C’erano davvero un sacco di persone. L’emozione ha un po’ preso il sopravvento.

Un settimo posto alla prima corsa tra i professionisti. Raccontaci le sensazioni in corsa…

Stavo davvero molto bene. Sapevo che avrei dato il massimo delle mie possibilità. Sotto il punto di vista mentale devo dire che ho pagato l’inesperienza. Mi stavo giocando una vittoria, mi son fatto influenzare dal pubblico e facevo quella tirata di troppo che non era necessaria. Non essendo abituato ad un arrivo di gara dei pro’, che è ovviamente diverso da quello juniores, mi sono fatto condizionare più dall’aspetto mentale che da quello fisico perché stavo davvero bene. Tutta esperienza che sicuramente mi gioverà. 

Se tornassi indietro quindi, faresti qualche tirata in meno e un finale diverso?

Sì, esatto. Mi ricordo che negli ultimi 10 chilometri in mezzo alla folla tremavo dall’emozione e mi dicevo: «Sto vivendo un sogno, sono tra i professionisti e mi sto giocando una vittoria». Però sono cosciente che sia meglio sbagliare adesso che ho 19 anni che farlo in un futuro prossimo quando ci sarà da dare il meglio. Era scontato che facessi questi errori, però è vero che fanno parte tutti del bagaglio delle esperienze che mi sto costruendo. 

Il debutto di Belletta con la WT è previsto per maggio
Il debutto di Belletta con la WT è previsto per maggio
Hai notato differenze di corsa tra le prime gare in Jumbo-Visma Development Team e questa?

Correndo con la Jumbo siamo abituati a controllare la corsa e ad essere sempre nelle prime posizioni del gruppo, parlare con i compagni alla radio e andare all’ammiraglia. Tutte cose che arrivando dal mondo juniores non si sanno fare, ma che crescendo in questo team mi hanno subito insegnato e trasmesso. Sotto quel punto di vista ero già abbastanza preparato. 

Ora che fai?

Sto a casa un po’ di giorni, poi vado in ritiro con la squadra e da lì riprendo ad allenarmi in modo più continuativo e impegnativo. In generale alterniamo periodi in cui facciamo molte gare a periodi dove recuperiamo e ci alleniamo.

Prossimi obiettivi?

Spero che Marino Amadori mi tenga in considerazione per qualche corsa a tappe all’estero perché ci tengo ad indossare la maglia azzurra. A breve farò il debutto con la squadra WT, dovrebbe essere nel mese di maggio. Dopodiché il mio obiettivo è quello di fare bene alla Parigi-Roubaix Espoirs. Un po’ per riscattare quello che è successo alla squadra maggiore quest’anno. Noi ragazzi Jumbo ci crediamo e vogliamo portare una maglia gialla sul gradino più alto del podio. Dopodiché si vedrà, il programma di corsa ce l’ho ma preferiamo adattarlo e vedere come si evolve la stagione in base al mio andamento. 

Con Bennati, curva dopo curva, sul percorso di Glasgow

07.04.2023
6 min
Salva

Dopo aver letto il comunicato con cui la Federciclismo raccontava il sopralluogo dei tecnici azzurri sul percorso dei mondiali di Glasgow (foto FCI in apertura), abbiamo bussato alla porta di Daniele Bennati per approfondire il discorso. Mancano due giorni a Pasqua. E mentre in Francia sta per andare in scena la Parigi-Roubaix, il cittì azzurro si cura qualche malanno di stagione e si gode la famiglia.

Buongiorno Daniele, come è stato pedalare in maglia azzurra su quelle strade?

Sono andato piano, perché comunque c’era il traffico aperto. Ho fatto 20 di media e pure sotto l’acqua. Stavo guarendo dall’influenza, invece mi sono ammalato di nuovo (sorride, ndr).

Il via del mondiale sarà dato da Edimburgo e dopo il tratto in linea si arriva a Glasgow, sede del circuito
Il via del mondiale sarà dato da Edimburgo e dopo il tratto in linea si arriva a Glasgow, sede del circuito
Ci fai un riepilogo?

Si parte da Edimburgo e si fanno questi 128-129 chilometri in linea. Non c’è granché da segnalare, se non una salitella, dopo un centinaio di chilometri. Le strade sono prevalentemente belle, in alcuni tratti si trova qualche tratto leggermente più stretto alternato a stradoni più grandi. Il tratto è vallonato, l’unica insidia potrebbe essere il vento. Magari ad agosto non dovrebbe tirare in maniera esagerata, però sono zone aperte. Arrivati a Glasgow, si entra nel circuito.

Come è fatto?

Si fanno 10 giri da 14 chilometri. E’ prettamente cittadino, un susseguirsi di 42 curve. Si attraversano due parchi, per cui nell’arco di questi 14 chilometri, ci sono alcuni passaggi un po’ più stretti, soprattutto uno, quando si va ad affrontare lo strappetto più impegnativo.

Come sono fatti questi strappi?

Sono tutti molto brevi. Nel più lungo si fa fatica ad arrivare a un minuto di sforzo. La corsa sarà lunga 271 chilometri e l’organizzazione indica 3.500-3.600 metri di dislivello. Dai calcoli e dalle tracce che abbiamo registrato noi, dovremmo essere sui 3.300. Alla fine è sempre un mondiale, quindi anche se il percorso personalmente non mi fa impazzire, ci sarà da faticare.

Il Bennati corridore come si sarebbe trovato?

Penso bene. E’ un percorso che diventa esigente. Si torna sempre lì. Van Aert e Van der Poel ci vanno a nozze. Hanno la capacità di cambiare ritmo continuamente, di fare queste fiammate quando sono già a tutta, dando qualcosa in più rispetto agli altri. E’ gente abituata dal ciclocross a cambiare continuamente ritmo. E’ un mondiale strano, molto veloce, ma non si può dire che sia duro.

Difficile da interpretare?

Premesso che non sono veramente allenato, appena mi alzavo sui pedali ero già in cima ai vari strappi. A livello di sforzo, non è un mondiale duro. Però poi, ragionandoci bene, non è nemmeno scontato che si arrivi in volata con un gruppo molto numeroso. Anzi, la corsa potrebbe dinventare quasi incontrollabile.

Perché?

Perché è un percorso difficile da interpretare. Il rettilineo più lungo che ho misurato è di 850 metri, quindi qualsiasi tipo di azione prenda 30-40 secondi, non la vedi più. Se tiri con più uomini, forse fai meno fatica rispetto a chi sta dietro e andrà molto a strappi. Puoi sfruttare la squadra meglio che a Wollongong, dove c’erano stradoni larghi e quindi a ruota si stava bene. Però è anche vero che…

Il 12 agosto del 2018, proprio a Glasgow, Trentin diventa campione europeo. Dietro esulta anche Cimolai
Il 12 agosto del 2018, proprio a Glasgow, Trentin diventa campione europeo. Dietro esulta anche Cimolai
Che cosa?

Un corridore come Van der Poel potrebbe stare lì tutta la corsa e sull’ultimo strappetto ti dà una botta come alla Sanremo e non lo vedi più. Si parla di un minuto di sforzo e dalla cima mancano 2,8-3 chilometri all’arrivo, con altre 5-6 curve. Quindi uno che fa un’azione violenta, rischia veramente di arrivare. Se poi si nasconde bene, con tutte quelle curve non lo vedi più.

Il percorso ha qualcosa a che vedere con quello su cui Trentin batté proprio Van der Poel e Van Aert nel 2018?

Credo che si passi dal parco dove lui ha vinto l’europeo, dove c’era l’arrivo. Il traguardo ad agosto sarà in centro, però fondamentalmente le strade sono quelle. Inoltre all’arrivo la strada scende un po’ prima dei 400-500 metri all’arrivo.

Le 42 curve si faranno veloci o ci sarà da rilanciare tanto?

Molto dipenderà da quanto restringeranno la carreggiata e dalla velocità di crociera. Però è chiaro che in un mondiale con 170-180 corridori, i primi 20 non frenano, a tutti gli altri toccherà rilanciare.

Il rettilineo di arrivo si trova nel centro di Glasgow: la sede stradale non è ampia (foto Daniele Bennati)
Il rettilineo di arrivo si trova nel centro di Glasgow: la sede stradale non è ampia (foto Daniele Bennati)
Si fa fatica a capire quale tattica impostare…

E’ difficile da interpretare. Se entri nel circuito e vanno via 15 corridori che prendono un minuto, fai veramente fatica per andare a chiudere. Non li vedi mai, non hai un rettilineo in cui fare velocità vera. E’ sempre su e giù, destra e sinistra. Se poi dovesse piovere, concedere un vantaggio a qualcuno diventerebbe veramente pericoloso. L’asfalto comunque è abbastanza buono, mi sembra che tenga abbastanza. Quando ha vinto Matteo, la selezione c’è stata e il percorso non era impossibile. Quindi c’è tutta la possibilità per fare selezione. Spesso e volentieri non è l’altimetria, ma proprio il modo di correre.

Chi può vincerlo?

Per assurdo, un Philipsen o anche Evenepoel. Credo che Remco, essendo campione del mondo, sicuramente vorrà partecipare e fa parte a pieno titolo di questa tipologia di corridori imprevedibili. Sa limare e guida bene la bici e magari, in un percorso come quello, se va via da solo negli ultimi due giri, con le tante curve che ci sono, non lo vedi più.

E noi?

Ci sarà da vedere. Ragionando in termini di squadra, Trentin è una garanzia e sai che alla fine può fare il lavoro e anche il risultato. Sarebbe un percorso molto adatto anche a Ballerini. Poi c’è Affini che lavora per Van Aert e sa come ci si muove. Sto facendo dei nomi per dare l’idea, ovviamente è ancora presto. Sarebbe un percorso molto interessante anche per Nizzolo e Viviani che fossero al livello di un paio di anni fa. Un altro che può fare bene è Dainese, ma bisognerà vedere che calendario farà.

Il toscano ha provato in bici il circuito finale di Glasgow, gli strappi e le 42 curve (foto Daniele Bennati)
Il toscano ha provato in bici il circuito finale di Glasgow, gli strappi e le 42 curve (foto Daniele Bennati)
Il Tour sarà un passaggio obbligato?

Sta cambiando. Fino a qualche anno fa, quasi tutti volevano passare attraverso un grande Giro. Oggi la tendenza è contraria ed è legata al modo in cui si corre. Una volta potevi partecipare al Tour o alla Vuelta avendo l’obiettivo del mondiale. Oggi si va così forte ogni giorno, che se anche volessi fare una tappa tirando i remi in barca, non potresti. Non tutti hanno un motore così grande e rischiano di uscire dai grandi Giri addirittura peggiorati. Invece c’è quello che ha bisogno di fare tanta fatica per arrivare in condizione e perdere i due chili che mancano.

Domenica a Roubaix rientra Moscon.

Glasgow non è proprio il percorso per lui, però sarebbe veramente importante recuperarlo. Lui è uno che sa limare e al mondiale, quando è stato convocato, ha sempre corso bene. Sto già lavorando alla lista, non ho mai smesso di farlo.

Baroncini cade ancora, Bennati lo chiama e non lo molla

06.03.2023
4 min
Salva

Rialzarsi immediatamente dopo una caduta fa parte del ciclismo, prima risali in bici e meglio è, così da non perdere tempo nei confronti dei rivali. La caduta di Baroncini alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne si è però rivelata più tosta delle altre. Infatti, il referto medico parla di frattura del radio al braccio destro, non il modo migliore per iniziare una stagione che voleva essere quella della ripartenza dopo le sfortune dello scorso anno.

In aeroporto – racconta Baroncini con la voce frustrata – prima di partire per il Belgio ho comprato un libro: “La sottile arte di fare quello che c***o ti pare” di Mark Manson. Parla di come affrontare le situazioni negative che ti si parano davanti, al di là del titolo è un libro davvero interessante. Sembra che lo abbia comprato apposta (dice con un sorriso appena accennato, ndr). Quello che l’autore scrive, già lo faccio di mio, quindi mi dà anche un po’ di morale, come se fossi sulla strada giusta per riprendermi».

La voglia di ripartire di Baroncini era molta, tant’è che era ripartito addirittura dal ciclocross quest’inverno (gs_ph.oto)
La voglia di ripartire di Baroncini era molta, tant’è che era ripartito addirittura dal ciclocross (gs_ph.oto)

Di nuovo ai box

Baroncini si trova di nuovo fermo ai box, in attesa di poter impugnare nuovamente la bici: potrebbe già mettersi a pedalare sui rulli, ma per il momento aspetta ancora. Da quando è passato professionista ha subito continui rallentamenti, degli stop che possono fare male, sia dal punto di vista fisico, ma soprattutto da quello psicologico. Il corridore della Trek Segafredo ha trovato però un grande alleato nella strada verso la convalescenza: il cittì Daniele Bennati

«Ci siamo sentiti subito dopo la caduta di domenica – dice Bennati, mentre viaggia verso Siena alla volta delle Strade Bianche – sicuramente è frustrato. Si tratta della terza frattura al radio, è un evento singolare. Gli ho telefonato anche questa mattina (venerdì, ndr) ero in compagnia di un mio amico ortopedico. Ci siamo confrontati ed è stato rassicurato anche da lui, l’intervento, dal suo punto di vista, è andato molto bene. Chiaro che non vogliamo scavalcare i medici della Trek ma un parere in più fa bene dal punto di vista morale, soprattutto se positivo».

Baroncini poi era volato in Spagna con la Trek per il ritiro di gennaio
Baroncini poi era volato in Spagna con la Trek per il ritiro di gennaio

La forza della mente

Quello che deve affrontare Baroncini è l’ennesimo stop in pochi mesi. Ad aprile del 2021 aveva subito la frattura del radio, allo stesso braccio. Un anno fa lo stop è durato 38 giorni, ora pensare di star fermo così tanto dà fastidio, soprattutto quando ormai credeva di essersi lasciato tutto alle spalle. 

«Ora – riprende il cittì – il problema lo vedo più dal punto di vista mentale, la squadra sicuramente ha tutti gli strumenti per seguirlo al meglio. Ma per la testa è un brutto momento, Filippo ha bisogno di qualcuno che gli stia accanto. Credo che la figura del cittì debba ricoprire anche questo lato: quello umano. La voglia di ripartire deve iniziare da lui, non deve fare in modo che questo evento rallenti la sua carriera. Di certo non è iniziata nel migliore dei modi. L’anno scorso, nello stesso periodo, aveva subito il medesimo infortunio e anche l’anno scorso lo abbiamo aspettato. Sono e sarò sempre fiducioso nei suoi mezzi, e il fatto di averlo portato al campionato europeo di Monaco di Baviera ne è la testimonianza. Può essere uno dei corridori sui quali costruire la nazionale».

La stagione di Baroncini era partita presto: dall’Australia e dal Tour Down Under
La stagione di Baroncini era partita presto: dall’Australia e dal Tour Down Under

Obiettivo ripartire

L’obiettivo di Baroncini deve essere quello di ripartire, non con la fretta ma con giudizio. Percorrendo volta per volta i passi giusti, con la consapevolezza di avere al suo fianco la fiducia del cittì Bennati

«Bisogna prendere atto della sfortuna – continua Bennati – con la consapevolezza che ha un conto aperto contro di lei. Chiaro che c’è poco da fare, ma non sarà la prima e l’ultima caduta. Deve pensare che la sua carriera da qui in poi sarà in discesa, perché ora la sfortuna lo ha ostacolato. In questi mesi da cittì, conoscendo Baroncini, ho capito che ha tanta determinazione, è un ragazzo che non fa fatica a fare sacrifici. A me è successa la stessa cosa quando mi sono rotto due volte la clavicola. Nell’inconscio ti rimane un po’ la paura ma questi rischi fanno parte dell’essere corridore, non ci deve pensare. L’unico modo che ho per dargli una mano è questo: stargli vicino e sostenerlo. Come ho fatto con il messaggio che gli ho mandato su Instagram: “Non importa quante volte cadi, ma quante volte cadi e ti rialzi”».

«Le parole del cittì – ci dice infine Baroncini – mi fanno piacere, sapere di essere considerato per la maglia azzurra è un grande onore. Diciamo che è uno degli obiettivi che mi spinge a ripartire e non arrendermi, la fiducia di Bennati mi fa vivere questa, ennesima, brutta esperienza con maggiore tranquillità».

De Marchi: 100 chilometri di fuga, poi i crampi

04.03.2023
3 min
Salva

«Lo ripeto spesso anche a mio figlio – dice Bennati sull’arrivo, mentre davanti passa De Marchi – che mi piacerebbe un giorno portarlo dopo l’arrivo di una corsa come questa per fargli capire la vera essenza del ciclismo. Ci porterei tutta la gente che parla del ciclismo senza sapere cosa sia. Un arrivo come questo. Un passaggio su una salita dolomitica o pirenaica, per vedere proprio i corridori in faccia. Da quando ho finito la carriera, nei due anni che ho fatto con la Rai al Giro d’Italia mi piaceva mettermi sulla linea d’arrivo proprio per guardare i corridori in faccia. E sinceramente fa un certo effetto. La televisione non mostra certe cose…».

Impossibile seguire Pidcock per De Marchi, l’errore forse è stato non aspettare subito gli inseguitori
Impossibile seguire Pidcock per De Marchi, l’errore forse è stato non aspettare subito gli inseguitori

De Marchi e i crampi

Il tempo per il tecnico azzurro di dire queste parole e De Marchi, in fuga per un centinaio di chilometri, si ferma accanto. La divisa del Team Jayco-AlUla è una crosta di sudore e sali. La smorfia sul volto del friulano parla di dolore, prima ancora che di fatica. Il crampo arriva e se ne va senza avvisaglie. Così De Marchi si accosta alla transenna dove lo aspetta il massaggiatore e si china sul manubrio. Poi si fa passare una bottiglietta d’acqua. E quando la vita riprende a pulsare nelle gambe e nelle tempie, inizia il suo racconto.

«Era la tattica della squadra – dice – dovevamo mettere uno davanti e alla fine è toccato a me. Dopo tanti, tanti tentativi. Sono abbastanza contento, perché il treno di quelli che mi hanno ripreso era quello che è arrivato davanti. Potevo provare a fare un piazzamento. Quando Pidcock mi ha ripreso, avrei dovuto avere il coraggio di aspettare quelli dietro di lui, perché non avrei mai potuto tenere lui. Piuttosto, chi ha vinto?».

Fuga alla Strade Bianche

Pensiamo sia uno scherzo, ridiamo con lui. Poi ci rendiamo conto che non lo sa davvero e gli rispondiamo che ha vinto proprio il britannico. E allora De Marchi allarga le braccia. Sul percorso oggi c’erano anche sua moglie Anna e i bambini, forse la loro presenza è stato l’incentivo a combattere anche più del solito.

«Ha vinto lui? Vedi che non potevo tenerlo?», fa una risata un po’ amara e un po’ ironica. «Potevo cercare di andare più avanti possibile, però insomma le gambe erano queste. E’ stato il primo giorno da De Marchi, da parecchio tempo a questa parte. Ma vai tranquillo, che ne vedremo tanti di giorni alla De Marchi d’ora in avanti. Intanto sono orgoglioso di essere andato in fuga alla Strade Bianche. Non lo avevo mai fatto ancora…».

Zana ha fatto corsa di testa ed è stato fra gli unici a rispondere agli scatti di Van der Poel
Zana ha fatto corsa di testa ed è stato fra gli unici a rispondere agli scatti di Van der Poel

Lo scatto di Bettiol

Bennati intanto si è avvicinato e lo ha ascoltato parlare. Mano a mano che gli italiani sfilano sul bordo di Piazza del Campo, il cittì li apostrofa con battute e incoraggiamenti.

«Ho visto una bella corsa – dice – spettacolare, con tanta gente. Sicuramente a livello tecnico è stata un po’ addormentata dal fatto che tanti aspettavano Van der Poel, forse anche la sua squadra e quindi da dietro ci sono state azioni, ma non troppo convinte. La prima e più solida l’ha fatta Alberto (Bettiol, ndr) e proprio quando si è mosso lui, si è visto che Van der Poel non aveva le gambe dei giorni migliori. In compenso ha vinto un corridore che se l’è meritato alla grande. Senza dubbio i complimenti vanno anche a De Marchi perché ha fatto veramente una grande corsa. Ho visto molto bene Bettiol e Bagioli. Anche Zana pedalava molto bene. Non conosco ancora i piazzamenti finali perché qui c’è un po’ di confusione però abbiamo vissuto una gran bella giornata. Guardateli in faccia, ecco cosa significa fare il corridore».

Emirati, si corre nel deserto: ventagli in agguato…

12.02.2023
4 min
Salva

Dici UAE Tour e pensi ai ventagli. Quest’anno in corsa non ci sono solo gli uomini, negli Emirati Arabi Uniti si stanno dando battaglia le donne (nella foto di apertura) e giusto l’altro ieri il vento e i ventagli l’hanno fatta da padroni. Atlete sparse ovunque. Sabbia che tagliava le grosse lingue d’asfalto del deserto.

Scenari tosti, scenari che conosce bene, molto bene, Daniele Bennati. L’attuale cittì era stato leader della nazionale nel famoso mondiale del Qatar nel 2016. E a dargli i gradi di capitano furono soprattutto la sua capacità di correre nel vento e la sua dimestichezza con certi territori.

Bennati con a ruota diversi belgi (tra cui Boonen) al mondiale del 2016. “Benna” era un riferimento anche per gli avversari
Bennati con a ruota diversi belgi (tra cui Boonen) al mondiale del 2016. “Benna” era un riferimento anche per gli avversari
Daniele, partiamo proprio da quel mondiale: cosa ricordi di quella di quella corsa? 

In realtà non ero il leader della squadra, ero il regista designato da Davide (Cassani, ndr). Ero il suo uomo di fiducia, quindi in quell’occasione avevo il compito di guidare la squadra, soprattutto dal momento in cui fossimo entrati nel deserto. C’era un punto in cui si girava a destra e si sapeva che il Belgio avrebbe potuto fare la differenza.

Ecco, hai detto praticamente tutto: “Si girava a destra, c’era il deserto”… Basta una curva perché cambi tutto. Come si corre da quelle parti? E quanto è importante la squadra?

Innanzitutto bisogna avere delle caratteristiche particolari per correre in quelle condizioni. Io ero un po’ uno specialista. Tutti avevano quasi il timore del sottoscritto quando si affrontavano quelle tappe e quel tipo di gare. Pertanto ero anche un punto di riferimento per il gruppo e infatti me ne ritrovavo anche dietro di gente a controllarmi! Poi con l’età, non ero un ragazzino, avevo acquisito tanta esperienza. Sembra banale, ma nel vento non è solo una questione di gambe. E’ anche e soprattutto una questione di esperienza: sapersi muovere in quei frangenti, saper cogliere l’attimo giusto per entrare in testa nella curva decisiva prima che si crei il ventaglio decisivo….

Ventaglio, forse la parola chiave…

La mia prima gara da quelle parti la feci nel 2002: era il Tour of Qatar ed era la prima edizione. E per tanti anni ho sempre fatto Qatar e Oman, Qatar e Oman… Quindi a febbraio andavo là e ci restavo quasi un mese. E sì, laggiù la difficoltà maggiore è quella dei ventagli. Ed è molto più problematico rispetto a quando si creano in Francia o in Italia.

Perché?

Perché da noi è una situazione variabile, non tutti sanno quando e come può avvenire. Da quelle parti invece, in quella determinata tappa, tutti sanno che quando si arriva al “chilometro X”, a quella tale curva, il gruppo si spacca.

Prima dei punti nevralgici, dove si sa che girerà il vento, c’è una vera lotta per le posizioni. Una volata continua
Prima dei punti nevralgici, dove si sa che girerà il vento, c’è una vera lotta per le posizioni. Una volata continua
Come fa a spaccarsi il gruppo se tutti lo sanno?

Ritorno al discorso che facevo prima: non basta una grande condizione, ma anche la capacità di muoversi in certe situazioni. Le gambe ci vogliono sempre, sia per farsi trovare davanti nel punto X, sia per rimanerci una volta che si è aperto il ventaglio. E poi serve la squadra, altro fattore fondamentale. Perché tu puoi essere forte da solo, ma se non hai due, tre o anche quattro compagni di squadra che viaggiano sulla tua stessa lunghezza d’onda non è facile. O sei Cancellara, che aveva una potenza enorme, oppure Sagan che rientra da solo nel ventaglio buono  – e va vincere il mondiale – o si fa dura. Devi avere il supporto di qualche compagno. Saper sfruttare gli altri non è così facile.

Quindi il punto X, quella curva… diventano un po’ come quando si avvicina un settore di pavè della Roubaix o un muro del Fiandre, c’è una volata…

Sì, sì, c’è un tatticismo vero e proprio. Mettiamo che prima di arrivare al punto X c’è vento contrario, è chiaro che tu non puoi stare davanti, devi sfruttare i tuoi compagni. Il problema è che lo sforzo maggiore lo fai nel chilometro prima di arrivare al punto X. In quel momento è una volata continua e una guerra di posizioni, perché se entri nel punto X, trentesimo o quarantesimo sei già fuori. Devi essere nelle prime 15 posizioni. Sono quelli che per primi si mettono a ventaglio, ma posto per tutti non c’è sulla strada e per forza di cose qualcosa succede. Quel chilometro dunque è una sorta di arrivo.

Secondo te i rapporti super lunghi di oggi incidono tatticamente?

Faccio una premessa: io non sono d’accordo con questi rapporti così lunghi per una questione di sicurezza. Si va troppo forte. Comunque sì: incidono assolutamente. Quando hai vento favorevole e laterale, se hai il 58, il 56 cambia parecchio, hai qualche possibilità in più di stare davanti. Ma poi, ripeto, devi avere gamba e ti devi saper muovere.

Albanese è pronto per tornare nella fossa dei leoni

26.12.2022
7 min
Salva

Una vittoria al Tour du Limousin, tre podi in Slovacchia, poi la stagione di Vincenzo Albanese si è conclusa sulla giostra del Covid, che gli ha impedito di chiudere come aveva immaginato. Chissà se all’inizio del 2022 nei suoi piani ci fosse un anno travolgente, per spiccare il volo. Forse no, dato che la Eolo-Kometa lo ha rilanciato quando pochi erano disposti a scommettere, forse sì. In ogni caso, l’Albanese che abbiamo incontrato nell’hotel di Oliva in cui si è riunita la squadra di Basso e Contador, ha voglia di rifarsi e insieme poca voglia di sbilanciarsi.

Il corridore è ritrovato, si capisce dai tanti dettagli e dai piazzamenti importanti, ma questo era il giorno del discorso in cui Contador ha spronato i suoi corridori perché corrano sempre per vincere. E forse essere messo davanti a certi imperativi può mettere in difficoltà chi fa i conti con la propria normalità.

«Eppure –spiega Albanese – spero che l’anno prossimo ne vincerò abbastanza. Nel 2022 ho 6-7 fra secondi e terzi posti, non mi ricordo neanche. Due volte ho trovato Yates e una salita nel finale. Lui staccava tutti e poi magari arrivava un gruppetto di 10 e io vincevo la volata. Quando è così, non c’è tanto da fare. Un’altra volta ho trovato Van der Poel e Girmay, che sono superiori. Alla Challenge de Mallorca, è andato via McNulty da solo ed è stata forse una cosa tattica. Sono sincero, ho trovato corridori più forti, quindi per vincere bisogna sperare che non ci siano e di non sbagliare nulla».

A Peccioli, nella Coppa Sabatini, per Albanese è arrivato un bel 6° posto alla vigilia della CRO Race
A Peccioli, nella Coppa Sabatini, per Albanese è arrivato un bel 6° posto alla vigilia della CRO Race

Batoste e tranquillità

Alla base resta la consapevolezza che il team si aspetta da lui le cose migliori. E se tenere lontana la pressione può esser il modo per non farsene schiacciare, la consapevolezza resta lì.

«Voglio partire subito bene – racconta – col piede giusto. Perché quando si parte bene, le cose vengono più facili anche durante l’anno. Quindi sicuramente la prima parte sarà fondamentale e poi il Giro d’Italia, ovviamente. Sono cambiato parecchio dagli inizi. Passare presto in questa categoria ha dei lati buoni e dei lati meno buoni. Fra le cose positive c’è che comunque mi ha fatto anche prendere delle batoste che mi stanno servendo adesso, mettendomi in un’ottica diversa. Sto affrontando un bell’inverno, non sono mai stato così. Faccio le cose con tranquillità, perché c’è una stagione davanti e ne ho appena finita una abbastanza impegnativa. Quindi voglio lavorare per bene, senza però farmi prendere dalla foga e dalla voglia di fare risultato».

Una ripresa tranquilla

L’aspetto è già tirato, in allenamento lo hanno visto brillante e attento nelle altre fasi di preparazione: dalla palestra (foto Borserini in apertura) alla tavola.

«La ripresa è stata un po’ strana – spiega – perché ho finito anche in modo strano. Stavo bene. Il giorno dopo che sono tornato dal Croazia ho preso il Covid, quindi sinceramente non me l’aspettavo. Dovevo fare il Lombardia e le gare in Italia, ma a quel punto, visto che mancavano poche gare alla fine della stagione, con la squadra ho preso la decisione di chiuderla lì. Sono stato tanto tempo a casa e tanto tempo a riposo. Mi sono goduto la famiglia e poi ho ripreso piano piano.

«In tutto sono stato per 17 giorni senza bici. La prima settimana di ripresa è andata via molto tranquilla, andando a camminare un giorno sì e un giorno no. Le solite cose. Bici, mountain bike, ma proprio tranquillo. Finché dalla metà di novembre ho iniziato a fare cose un po’ più serie per arrivare qua. Abbiamo fatto un bel blocco di lavoro e dopo le feste natalizie ci rivedremo a gennaio per mettere a puntino gli ultimi dettagli e poi iniziare a correre».

Albanese è arrivato al primo ritiro con la Eolo-Kometa con circa 3 settimane di allenamento (foto Maurizio Borserini)
Albanese è arrivato al primo ritiro con la Eolo-Kometa con circa 3 settimane di allenamento (foto Maurizio Borserini)

Fra sogni e realtà

Un sorriso scanzonato. La consapevolezza che il ciclismo non ha più distrazioni in cui il gruppo lascia fare e la necessità di essere sempre al massimo, sperando nell’occasione giusta.

«Sinceramente è bello lavorare per obiettivi – dice – ma di solito mi faccio trovare sempre in condizione. Ovviamente punto a vincere, però ormai è diventato sempre più difficile. Per cui tutti i risultati che vengono sono una cosa buona. Lo so che magari come ragionamenti uno dovrebbe essere più cattivo, più deciso e più motivato. Però comunque sono uno che si accontenta perché nel ciclismo moderno non è facile dire: vado e vinco. O almeno pochi si possono permettere di farlo.

«Io voglio andare e voglio vincere, però… se faccio secondo e terzo dietro a calibri così, mi dico bravo lo stesso. Quindi adesso sono qua, sono contento, sono in una bella squadra, un bell’ambiente. Una squadra molto giovane, molto affamata. Abbiamo dei ragazzi parecchio interessanti e sono stati bravi a trattenerli, visto che oggi appena c’è uno che va forte, se lo vogliono tutti accaparrare. Quindi io penso che faremo una bella stagione».

Azzurro dolce e amaro

Per ultima, resta una mano tesa alla nazionale, dopo che l’esclusione dai mondiali Albanese l’ha vissuta quasi come un fatto personale, su cui ancora va rimuginando.

«Con Bennati sinceramente non ho più parlato – dice – perché comunque non c’è niente da dire. Alla fine ha fatto le sue scelte, a me va bene così. Per il futuro, per il mondiale di agosto, io darò il massimo come ho fatto anche quest’anno e l’anno scorso. Mi impegnerò in tutte le gare, non so neanche com’è il percorso, però mi farò trovare pronto. Magari è un obiettivo che ho. L’ho fatto in tutte le categorie, ci tengo anche a farlo nel professionismo».

Per il corridore che si è finalmente ritrovato, si apre un anno molto importante. Il ritornello che lo ha accompagnato per anni dice che nelle categorie giovanili era abituato a vincere senza doversi troppo allenare: l’impegno di adesso fa pensare che quella svolta c’è stata. All’elenco dei giovani italiani da seguire, sebbene ne abbia già 26, sentiamo di voler inserire anche lui.

Covi, il coraggio di essere normale e un messaggio a Bennati

25.12.2022
6 min
Salva

Il giorno dopo il Giro avrebbe affrontato il Fedaia. L’ultima volta che eravamo saliti lassù con una corsa era stato nel 2019 col Giro d’Italia U23. Quel giorno, Alessandro Covi affrontò la salita finale stretto nella morsa dei colombiani. Era secondo in classifica, concluse quarto, respinto dai loro attacchi. Perciò avendolo visto al villaggio di partenza, gli dicemmo convinti che il giorno dopo si sarebbe preso la rivincita. Lui ricambiò lo sguardo e allontanò il pronostico, salvo andare in fuga il giorno dopo e vincere la tappa (foto di apertura).

«Quel giorno – sorride – mi hanno rincorso e incoraggiato tutti gli italiani. Mi ricordo che quando passavo in mezzo alla folla, guardavo il computerino e mi aumentavano i watt. Sessanta in più ogni volta e non vedevo l’ora di capitare in un’altra bolla di folla per aumentare il vantaggio su quello dietro. E’ stato come in un film: da quando mi sono svegliato a quando sono andato a letto. Proprio me lo ricorderò per sempre. Non è stata la mia prima vittoria, ma forse dentro di me è stata la prima vera».

Abbiamo incontrato Covi a Benidorm al ritiro del UAE Team Emirates
Abbiamo incontrato Covi a Benidorm al ritiro del UAE Team Emirates
Dice Ulissi che siete spesso in camera assieme e gli chiedi consiglio…

Mi sono sentito spesso come i neoprofessionisti di una volta. Ormai sono passato da tre anni, ma ho sempre chiesto consiglio ai più esperti e anche grazie a questo sono riuscito a raggiungere qualche risultato. Non sono come tanti giovani che arrivano e spaccano tutto, sono uno di quelli che ha bisogno di tempo. Sto migliorando ogni anno e attendo di fare un altro salto. La squadra ha fiducia in me e quindi cercherò di ripagarla.

Hai capito che corridore diventerai?

Non sarò mai un corridore per corse a tappe. Mi trovo bene nelle gare un po’ mosse e penso di essere abbastanza simile a Diego, di cui abbiamo appena parlato. Anche per questo gli chiedo più consigli possibile, perché abbiamo più o meno le stesse caratteristiche e mi potrà essere molto utile per il presente e per il futuro.

Ulissi è per Covi un bel riferimento per la sua esperienza e per caratteristiche simili
Ulissi è per Covi un bel riferimento per la sua esperienza e per caratteristiche simili
Come è cambiata la vita fra il primo e il terzo anno da pro’?

Prima era più un gioco che un lavoro e ancora adesso resta una passione. Cosa è cambiato? Qualche sacrificio in più sul mangiare e sull’allenamento. Però alla fine sono cose che ti vengono naturali, perché se poi vai alla corsa e sei indietro di condizione, fai più fatica. Quindi è meglio fare di più la vita da corridore a casa, per arrivare pronto alle corse.

Una vita tanto dura?

Alla fine è il nostro sport e sono cose che ti vengono naturali. Facciamo i training camp, in cui sei seguito da tanti esperti. Così quando torni a casa, cerchi di seguire il più possibile la linea e viene tutto da sé. Poi iniziano le corse e sei di nuovo seguito dagli esperti, quindi torni a casa per 3-4 giorni ed è tutta una ruota che gira. Quando entri in questo loop, è tutto più facile. Nei dilettanti, non ci sono tante persone dietro alla squadra e sei più libero di fare ciò che vuoi.

Alla vigilia dell’allenamento. Covi è del 1998 ed è pro’ dal 2020
Alla vigilia dell’allenamento. Covi è del 1998 ed è pro’ dal 2020
Un po’ quello che hai consigliato a Romele?

A Romele ho detto di non bruciare le tappe fra i dilettanti. Secondo me fra i 18 e i 20 anni c’è bisogno di fare altro, anche di godersi un po’ la vita, perché sono gli anni migliori. Non devi lavorare, quindi puoi permetterti qualche svago, sempre rimanendo concentrato su quello che ti piace. Perché poi, quando passi, inizia un lavoro e devi fare tutto al 100 per cento. Io ho seguito questo percorso e non mi è mai pesato 

Finito il tempo dello svago?

C’e un tempo per ogni cosa. La cosa più faticosa forse è tenere la testa, ma dipende da come la vivi. Se lo fai in maniera tranquilla, allora non ti pesa. Se invece fai tutto all’estremo, può darsi che con gli anni ti renda conto di non aver avuto una vita. Fare questo sport per lavoro è una fortuna. Io ho trovato il mio equilibrio e per ora mi ha dato i risultati.

Firmando autografi a Monaco, prima della partenza di Beking 2022
Firmando autografi a Monaco, prima della partenza di Beking 2022
La vittoria è la conferma del buon lavoro svolto?

Nel 2021 ci ero sempre arrivato vicino e mi scocciava non aver mai gioito. Poi è arrivato il 2022 e ne ho vinte tre. Questo mi ha reso più consapevole. La vittoria al Giro è stata stupenda. Vincere una gara WorldTour è importante perché capisci che puoi ambire a successi nel livello top del ciclismo.

Avevi già vinto in Spagna…

Quelle due vittorie sono venute all’improvviso, perché non pensavo di essere in condizione. Invece forse ero nel momento di miglior condizione dell’anno e avrei potuto vincere qualunque corsa. Quando non te l’aspetti, non ti cambia più di tanto. Invece la vittoria al Giro la cercavo. E averla raggiunta mi ha fatto capire che se lavori per gli obiettivi, puoi arrivarci.

L’ultimo mondiale di Covi risale al 2019 fra gli U23, qui con Dainese. La maglia iridata andò a Battistella
L’ultimo mondiale di Covi risale al 2019 fra gli U23, qui con Dainese. La maglia iridata andò a Battistella
Che cosa ti aspetti dalla prossima stagione?

Un’annata in cui avrò i miei spazi. Partirò già dall’Australia e poi ripeterò il calendario dell’anno scorso, puntando a fare più vittorie nelle gare in cui avrò spazio. Spero solo di non avere intoppi di salute.

Qual è stato il giorno in cui ti sei divertito di più in bici quest’anno?

Al Lombardia, anche se ho faticato tanto. Sono stato davanti al gruppo dal primo chilometro fin sotto il Ghisallo, quindi per 200 chilometri. Ho gestito la fuga, ma non è stato stressante, perché sapevo che il mio lavoro finiva in quel punto e poi sarebbe entrata in azione la squadra. Andavo forte, quindi è stato tutto più bello. 

Covi racconta che il Lombardia, in fuga fino al Ghisallo, è stata la corsa in cui si è più divertito
Covi racconta che il Lombardia, in fuga fino al Ghisallo, è stata la corsa in cui si è più divertito
Si è parlato di te a proposito del ciclocross.

Mi piace tanto. Seguo le gare in televisione, ho tanti amici nel cross e scherzando ci diciamo di tornare a fare qualche garetta. Però è difficile riuscire a organizzarsi. Magari prima o poi proverò a chiedere alla squadra, però solo se capirò di essere competitivo, altrimenti sarebbe inutile. Non andrei mai per fare figuracce. Ora come ora puntiamo alla strada.

Uno come te, cresciuto sul Muro di Taino e con l’amore per il cross, non avrebbe il diritto di provare il Giro delle Fiandre?

Il Tainenberg… (sorride, ndr). Il Fiandre non lo farò neanche quest’anno, però è una delle gare che mi piace di più. Anche guardandolo in televisione, mi ha sempre emozionato e spero nel futuro di poterlo fare, perché mi si addice davvero tanto. Allo stesso modo mi piacerebbe fare il mondiale, quindi proverò a cambiare qualcosa per arrivarci in buona condizione. Ci sarà gente che esce dal Tour e non sarà facile, però è uno dei miei obiettivi principali. Sono già tre anni che non vesto l’azzurro, l’ultima volta ero dilettante. Per un italiano, quella è la maglia più bella.