Facciamo un giro sulla Dogma F oro a Tokyo

28.07.2021
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La voce raggiante di Fausto Pinarello dopo la vittoria di Carapaz nella prova su strada delle Olimpiadi parlava di passione sportiva e realizzazione professionale. L’ecuadoriano aveva già condotto alla vittoria la nuova Dogma F al Giro di Svizzera, ma in quei giorni la bici era mascherata da F12. Questa volta invece, con un’edizione olimpica che prevedeva la bandiera della nazionale sulla forcella e quella del Giappone al posteriore, la medaglia d’oro è stata il riconoscimento più prestigioso che il trevigiano potesse immaginare.

Laboratorio Ineos

La Dogma F è l’ultima nata dell’azienda trevigiana ed è la bici destinata a dare la svolta, lanciando il brand verso il nuovo quadriennio olimpico, durante il quale vedremo anche il varo della nuova bici da crono. E ancora una volta sarà il Team Ineos il partner dello sviluppo.

La bici è stata tenuta nascosta fino a maggio, poi lo stesso Fausto ha pensato bene di farsi fotografare al Giro d’Italia, nel giorno di riposo di Canazei, mentre ne utilizzava una. La squadra correva ancora con la F12, Bernal con essa ha conquistato la maglia rosa, ma a partire dal Tour è andato in scena il cambiamento. Con la sola eccezione dei freni, non ancora a disco. Ma anche questo è destinato a cambiare a breve. I corridori hanno già le bici così equipaggiate, ma finché Shimano, ancora soffocata dai ritardi Covid, non potrà garantire la fornitura completa di ruote allo squadrone, si resterà con i rim brakes di sempre.

Fibra spaziale

La nuova bici nasce da fibra di carbonio Torayaca T1100 1K, garanzia di altissime prestazioni, grazie alla sinterizzazione che consente un controllo della struttura delle fibre a livello nanometrico. Il risultato è un sostanziale miglioramento delle prestazioni rispetto alle altre fibre di carbonio di Toray, già ampiamente utilizzate nel settore aerospaziale e in altri settori di altissima fascia. A ciò si aggiunge la nuova tecnologia utilizzata per le resine. Tramite l’utilizzo di nanoleghe, si ottimizzano in un colpo solo la resistenza alla trazione e alla compressione, dando vita a materiali pre-impregnati in grado di soddisfare i livelli di prestazioni richiesti dagli elementi strutturali nell’industria aerospaziale e anche da attrezzature sportive di fascia alta.

Il telaio è realizzato con fibra di carbonio Torayaca T1100 1K
Il telaio è realizzato con fibra di carbonio Torayaca T1100 1K

Bici all-round

Utilizzando un materiale così pregiato, gli ingegneri Pinarello e quelli Ineos hanno concepito un telaio aggressivo e filante, che al primo sguardo si fa apprezzare per il nuovo disegno del carro, la rimodulazione dei tubi del triangolo principale e la nuova forcella.

L’innesto dei foderi sul piantone è sottile e ottimamente raccordato. Il triangolo dal perimetro ridotto, che rispecchia una tendenza molto… americana, rende la bici reattiva. Al contempo, il fatto di averlo realizzato con sezioni ridotti (possibile proprio grazie alla altissima qualità del carbonio utilizzato) consente la flessione che rende la bici anche confortevole: quello di cui hanno bisogno i corridori, che qui sopra sono… condannati a starci anche per otto ore. Non è una bici aero e neppure una bici da salita: è una bici all-round che permette al professionista e a chiunque avrà il piacere di utilizzarla di avere vantaggi su ogni terreno.

La Dogma F, come nello stile di Pinarello, è asimmetrica, per compensare le sollecitazioni che sul lato destro vengono imposte dalla catena.

La zona della scatola del movimento centrale è resa più rigida del 12 per cento
La zona della scatola del movimento centrale è resa più rigida del 12 per cento

Nata in galleria

Però all’aerodinamica è stato dedicato più di un occhio. La forcella, innanzitutto. La nuova Onda discende direttamente da quella montata sulla Bolide da crono, con un disegno a lame che le permette di infilarsi nel vento e di mantenere l’ottima manovrabilità della bici.

Restando nel comparto anteriore, un grande apporto al design più filante viene anche dalla completa integrazione dei cavi sul manubrio, con lo sterzo reso più fluido dall’adozione di nuovi cuscinetti più performanti.

Nuovo è anche il disegno del tubo obliquo, con il profilo troncato che accresce la rigidità e insieme riduce la resistenza al vento laterale.

La testa della nuova forcella Onda mette in risalto l’asimmetria della bici
La testa della nuova forcella Onda mette in risalto l’asimmetria della bici

Reggisella in 3D

Osservandola da dietro, con il piantone dalla sezione a lama, si ha davvero il senso di una bici da crono e in questo contesto risalta anche il reggisella, realizzato in un pezzo unico di titanio stampato in 3D dalla tedesca Materialise. 

A Brema sono stati effettuati prima i test di simulazione virtuale, garantendo la stampabilità e l’affidabilità del risultato. Poi il team ha condiviso i progetti stampati in 3D con Pinarello perché conducesse i suoi test su un banco di prova e su strada. Alla fine il componente in titanio è risultato più leggero del 42,5 per cento rispetto alla versione originale in alluminio.

Cura dimagrante

La Dogma F nasce nella doppia versione con freni a disco e rim brakes (che hanno ancora mercato), con una diminuzione di peso di 265 grammi nella misura 53 rispetto alla Dogma F12, 250 grammi nella misura 55 da noi provata.

Il nuovo disegno della scatola del movimento ha permesso di conferire a quella zona così delicata una rigidità superiore del 12 per cento, mentre il computo complessivo della rigidità risulta migliore del 3,2 per centro nella versione con freni tradizionali e del 4,8 per cento rispetto alla versione con freni a disco.

In termini di resa, dati forniti da PiInarello, il miglioramento a 40 km/h è di 1,3 watt che diventano 2,6 watt a 50 km/h, con la sensazione di una bicicletta che ai 40 all’ora ci arriva da sé, poi ha bisogno di una… spintarella.

352 combinazioni

Il telaio della nuova Dogma F è prodotto in 11 misure, cui si sommano 16 misure di manubrio e 2 di reggisella, per un totale di 352 combinazioni. Se proprio un difetto le va trovato, quello è il prezzo. Non è una bici per tutti. Montata con lo Sram Red da noi provato, la quotazione si attesta sui 14 mila euro. Aggiungendo al carrello le Lightweight di questo test, si raggiungono i 17 mila. L’eccellenza ha il suo prezzo. E se il risultato finale è una medaglia d’oro alle Olimpiadi, si capisce che stiamo parlando di una vera macchina da corsa. Quanti di quelli che comprano una Ferrari, del resto, sono in grado di apprezzarla al massimo dei suoi cavalli?

VIDEO / Sesta tappa, quello che da casa non si è visto

19.05.2021
3 min
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La 6ª tappa del Giro d'Italia ci ha fatto conoscere la grinta di Gino Mader, vincitore a San Giacomo, e ha consegnato la maglia rosa ad Attila Valter. E' stato il giorno dei ventagli di Ganna a Forca di Presta e dell'attacco di Ciccone con Bettiol. Doveva e poteva essere anche il giorno per raccontare agli italiani che nelle terre flagellate dal sisma del 2016 le cose stavano andando a posto. Purtroppo gli elicotteri non hanno inquadrato molto. Perciò, ecco quello che vi siete persi e che magari s'è preferito non mostrare. Sono passati 5 anni, valutate voi se si possa davvero parlare di ricostruzione. La foto dell'hotel Regina Giovanna di Borgo d'Arquata, così come le riprese aeree sono state gentilmente fornite da Francesco Riti. Il resto lo abbiamo semplicemente ripreso lungo il percorso.

«Passare là in mezzo – diceva Alessandro Amadio, massaggiatore della Cofidis, facendo il pieno alle porte di Ascoli Piceno durante la sesta tappa del Giro – fa sempre male al cuore».

Già, là in mezzo. Ma chi l’ha visto davvero, da casa, che cosa ci fosse là in mezzo? E De Marchi (foto di apertura di Francesco Riti) si è accorto di quei muri squarciati? Al maltempo, che ha certamente impedito di mostrare a dovere le bellezze dei Sibillini, si è aggiunta infatti la singolare coincidenza di immagini non mostrate, per quale motivo non si è ben capito (difficile che gli operatori non si siano accorti di nulla). Sta di fatto che già nella sera della sesta tappa del Giro d’Italia, quella vinta da Mader a San Giacomo, sui forum e sui social di chi ha vissuto e fatto le spese del terremoto del 2016 è iniziato un aspro tam tam per le immagini non mostrate.

Paesi fantasma

Che cosa non si sarebbe visto? La condizione disastrosa dei paesi rasi al suolo dal sisma e non ancora ricostruiti.

Il passaggio del Giro d’Italia è spesso l’occasione per raccontare la meraviglia dei luoghi, ma poteva essere l’occasione di sottolineare lo stato di persistente emergenza. Noi però c’eravamo, ed essendo originari di quelle stesse zone e avendole molto a cuore, come forse qualcuno saprà, abbiamo documentato con una piccola videocamera e con l’aiuto del drone di Francesco Riti i paesaggi attraverso cui si è mossa la tappa.

Il peso dell’indifferenza

Questo video, montato con grande sensibilità da Federica Paglia, serve per mostrare a chi non se ne sia reso pienamente conto in quale scenario si è mossa la corsa.

Alla partenza da L’Aquila, 12 anni dopo il terremoto del 2009, si è parlato molto di come la città sia rinata. Nelle zone dei Monti Sibillini ancora non si può neppure parlare di ricostruzione. In un modo o nell’altro il Giro d’Italia porti la voce di queste persone, che dopo la distruzione continuano a sperimentare l’indifferenza.

Foglio firma chiuso. Ma Pozzovivo non c’è

14.05.2021
4 min
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Alle 12:45 di stamattina quando si è chiuso il foglio firma mancava solo il nome di Domenico Pozzovivo, unico non partente dei 178 corridori rimasti in corsa sino a quel momento. Un’altra tegola per il lucano.

Non ce ne voglia Caleb Ewan, ma la news di oggi non è tanto la sua seconda vittoria quanto il ritiro dal Giro d’Italia dello scalatore della Qhubeka-Assos.  Questa mattina mestamente, ma con la dignità che lo contraddistingue, il “Pozzo” ha lasciato la carovana. Prima di congedarsi però ha spiegato il suo abbandono.

Domenico Pozzovivo, stamattina in hotel prima di lasciare il Giro
Domenico Pozzovivo, stamattina in hotel prima di lasciare il Giro

Avvicinamento difficile

Domenico ha raccolto le sue cose dal bus, ha salutato i compagni e prima del via della tappa sono venuti a prenderlo per riportarlo a casa. E dire che anche quest’anno aveva fatto di tutto e di più per esserci. Al termine della passata stagione si era nuovamente operato al gomito e un altro intervento lo aveva fatto dopo la Tirreno

«Sono triste. Mi dispiace dover lasciare il Giro. La mia forma era molto buona, la squadra stava facendo una bella corsa. È difficile arrendersi ma il mio gomito sinistro è davvero in cattive condizioni. Servono degli accertamenti per capire l’origine del dolore. Così è impossibile pedalare, non posso stare in bici».

Sesta tappa del Giro 2021: il gruppo sale verso Forca di Gualdo, “Pozzo” era già caduto
Sesta tappa del Giro 2021: il gruppo sale verso Forca di Gualdo, “Pozzo” era già caduto

Il calvario dei Sibillini

La fasciatura bianca domina la scena, se non fosse che i suoi occhi parlano altrettanto. Forse era la sua ultima occasione e finirla così, con la corsa più amata, dispiace. Ma certo non è a Pozzovivo che si può imputare un “ritiro facile”. Anche ieri ha lottato come un leone. 

Domenico era caduto nelle fasi iniziali della tappa (intorno al chilometro 10), quando c’era nervosismo in gruppo. La corsa poi, oltre ad essere dura di suo con tutta quella salita, è stata anche flagellata dal maltempo.

I Sibillini non gli sono stati amici. Vento, freddo e lui dietro al gruppo a lottare. Nella Piana di Castelluccio, sotto il forcing della Ineos-Grenadiers è iniziato il suo vero calvario, è rimasto nel gruppo con De Marchi e alla fine ha perso oltre 20′.

«Ieri penso di essere andato oltre i limiti per finire la tappa. Come ripeto ero in grande difficoltà a restare in bici. Speravo in un miracolo nella notte, ma non è accaduto. Sarà molto difficile nei prossimi giorni guardare gli altri corridori impegnati nelle tappe di montagna».

Pozzovivo (38 anni) era 15° Giro. E’ stato l’unico a non presentarsi al foglio firma di Notaresco
Pozzovivo (38 anni) era 15° Giro. E’ stato l’unico a non presentarsi al foglio firma di Notaresco

Non si molla

Ma Pozzo non molla. Magari già pensa al Tour de France, se la sua squadra deciderà di portarlo.

«Sarò comunque impegnato a recuperare molto velocemente – ha detto Domenico – voglio tornare con maggiori motivazioni di prima».

«Il nostro team medico – ha aggiunto il diesse Missaglia – ha lavorato tutta la notte per dargli la possibilità di ripartire questa mattina, ma alla fine è stato impossibile. Auguriamo a Domenico una pronta guarigione. Sappiamo tutti che è un combattente e incarna lo spirito di questa squadra. Noi non possiamo che augurarglielo con tutto il cuore».

E noi invece non ci stupiremmo se dovessimo vederlo in sella già al Giro di Svizzera e chiudere in qualche modo la sua prima parte di stagione rispettando così, più o meno, gli impegni che presumibilmente lo avrebbero visto prendere il via al Giro, appunto, e alla Vuelta. Ma queste sono solo congetture. Per ora… forza Pozzo.

Brian’s Bike, il negozio pensato come un’azienda

02.04.2021
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Dopo Francesconi con il suo punto di vista lombardo e All4Cycling che presidia la sponda varesina e soprattutto le vendite online, questa volta l’inchiesta di bici.PRO sul singolare momento del mercato della bicicletta si sposta nelle Marche e va ad incontrare Giulio Fazzini e il suo Brian’s Bike Shop di Ascoli Piceno. Il negozio ha da poco raddoppiato gli spazi, dimostrando che a fronte del momento critico causato dalla pandemia, tutto ciò che è legato alla bicicletta ed ha alle spalle un progetto ben fatto, riesce ad attraversarlo alla velocità della luce.

Giulio Fazzini, 37 anni, titolare di Brian’s Bike Shop
Giulio Fazzini, titolare di Brian’s Bike Shop

«Oggi i negozi sono aziende – spiega Fazzini, 37 anni e un passato da dirigente in una multinazionale – per cui quelli medio-piccoli sono destinati a soffrire. Va tutto programmato, altrimenti ti ritrovi a fare come alcuni che vendono le bici senza freni, semplicemente perché i freni non glieli hanno spediti. Il ritardo dipende indubbiamente dalle case madri, ma anche dalla programmazione. E credo che andrà avanti così per il prossimi 5-6 anni. Non fosse altro perché manca la materia prima. Non solo nel ciclismo, anche nel settore auto…».

Avete diversi marchi, da Trek a Specialized, passando per Pinarello: questo vi ha aiutato a dividere le… fatiche su più brand?

Di sicuro ha aiutato e soprattutto ha permesso di evidenziare le differenze fra un’azienda e l’altra. Il negozio monomarca oggi ha problemi, perché ci sono buchi di produzione per i quali non c’è rimedio. Ad oggi credo di poter dire che l’azienda che ha reagito meglio sia Trek, che ha anche il miglior gestionale.

Quando si è capito che stava per arrivare questa ondata di vendite?

In Europa il mercato trainante è quello tedesco e loro hanno riaperto dal lockdown della scorsa primavera con 2-3 settimane di anticipo rispetto a noi. Sentivo gente di lassù e tutti raccontavano di un incredibile boom della bici. Al contrario, parlo per conoscenza diretta, in Nuova Zelanda questo boom non c’è stato, semplicemente perché laggiù il Covid non è stato così pesante. Ora c’è da sperare che questo processo dia la svolta alla mobilità urbana in tutta Italia.

Il negozio è piuttosto ricco di modelli elettrici…

Perché i nuovi clienti si avvicinano a questo tipo di bici, anche se alcuni di loro sono poi passati alla bici tradizionale. Allo stesso tempo, la vendita delle bici da strada sta andando fortissimo. L’avvento del freno a disco ha spinto tanti a cambiarla e il processo non si ferma. Quel che è cambiato è l’approccio con lo sport, forse anche per l’assenza di Gran Fondo. Si pedala per il gusto di farlo, per stare meglio con se stessi, per il gusto di avere una bella bici.

Specialized è fra i marchi venduti Brian’s Bike
Specialized è fra i marchi venduti Brian’s Bike
Ma le belle bici costano un occhio della testa…

E proprio per questo, il credito al consumo è bassissimo. Ci siamo strutturati, facendo accordi con più di una finanziaria. ci siamo imposti di offrire le migliori condizioni, mettendoci nei panni dei clienti. Chi non trova la bici economica, deve poterne comprare una migliore senza svenarsi. Detto questo, di gente che ha soldi da spendere onestamente ne vedo davvero tanta.

Infatti il target delle vostre bici è elevato.

E’ sempre stato così. Le bici da comprare ci sono, il problema semmai sono le misure. Facciamo da sempre programmazione a 400 giorni, pagando cifre importanti ogni mese, dai 150 ai 200.000 euro. Come si diceva prima, devi strutturarti come azienda, uscire dalla logica del negozio.

Come mai avete scelto di ingrandirvi proprio adesso?

Era in programma da prima ed è stato il miglior investimento degli ultimi mesi. Ho letto l’intervista in cui Ermanno Leonardi di Specialized suggerisce l’apertura di negozi specifici per l’elettrico: è un’idea, ma dipende da come sei strutturato.

Ci avete pensato anche qui?

Noi abbiamo qui tutto quello che serve. Una bici elettrica costa dai 3.000 euro in su, vendiamo soprattutto delle full. Devi saperci mettere le mani, i miei dipendenti continuano a fare corsi. Tutti possono comprare un motore nuovo o una batteria, diverso è garantire un buon servizio. Ed è proprio questo finora che ci ha permesso di fare la differenza. Nel raggio di 150 chilometri, quindi da parecchie altre province, siamo diventati il riferimento.

L’officina, con Marino e Marco, in questo periodo strapiena di bici
L’officina, con Marino e Marco, in questo periodo strapiena di bici
Quanto durerà tutto questo?

Non è un’onda che si fermerà tanto presto, anche se non abbiamo una dimensione reale. Proseguirà. Verranno fuori più noleggi e presto o tardi salteranno fuori anche le bici da metterci. La gente sta investendo. Anche noi facciamo noleggio, che richiama il nuovo cliente. Ecco cosa facciamo. Ti diamo la bici, la provi, paghi 50 euro a ogni noleggio e l’importo che hai versato te lo scaliamo, se decidi di comprare la bici che hai usato. Funziona. E c’è un bel movimento.

In che modo il negozio diventa community?

Non abbiamo un gruppo sportivo, non ci interessa. In passato organizzavamo dei test day, oggi è più complicato avere le bici. Ma il negozio è un porto di mare, sempre pieno di gente. Siamo il punto di riferimento.

Un totem di Trek permette di rilevare le quote antropometriche e di ordinare la propria bici
Un totem di Trek permette di ordinare la bici su misura
In che modo il professionismo è trainante per un negozio?

Il cliente arriva con la foto del professionista e vuole il prodotto che sta usando. Da quando è esploso Van der Poel, tutti vogliono il casco Abus. E per lo stesso motivo, prenderei volentieri le bici Canyon, se non le vendessero soltanto online.

Tira solo il prodotto straniero?

No, in alcuni si sta svegliando anche la voglia di Made in Italy. Aziende davvero italiane che lavorino bene sono poche, ma è bene averne in casa i prodotti. Guai far andare via un cliente insoddisfatto.

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Francesco Ceci, europei Chilometro da fermo, Apeldoorn 2019

La ricetta di Ceci: un tecnico e un metodo di lavoro

04.01.2021
5 min
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E’ bastata un’intervista a Roberto Chiappa per rimettere improvvisamente in moto l’attenzione attorno al settore della velocità che, come dice il gigante umbro, fra uomini e donne assegna 18 medaglie olimpiche. Può una Nazione come l’Italia rinunciarvi a cuor leggero?

L’ultimo azzurro che ha sfiorato la qualificazione per Rio 2016 è stato Francesco Ceci, ascolano classe 1989 come Guardini, sulla cui esclusione si è molto dibattuto. In sintesi, il 7 marzo del 2016, il marchigiano era convinto di aver ottenuto la qualificazione tramite ripescaggio dopo l’ultima prova di Coppa del mondo. Ma mentre i festeggiamenti erano al culmine, ci si è accorti che il suo nome non risultava fra quelli indicati dall’Uci. La federazione internazionale infatti aveva interpretato a modo suo una norma del regolamento, ripescando due giapponesi e mettendo Ceci come prima riserva. Secondo Coni e Fci, invece, non sarebbe stato possibile ripescare più di un atleta per Nazione. Si arrivò fino alle porte di un ricorso al Tas, cui però alla fine si rinunciò per i costi elevati e le ridotte possibilità di spuntarla. E indirettamente si venne ricompensati con il ripescaggio del quartetto, data l’esclusione dell’equipaggio russo.

Francesco Ceci, campionati del mondo Pista 2013 Minsk, Keirin
Francesco Ceci nel keirin, ai campionati del mondo 2013 a Minsk
Francesco Ceci, campionati del mondo Pista 2013 Minsk, Keirin
Ceci ai mondiali di Minsk 2013, nel keirin

Grazie alla possibilità di qualificarsi, tuttavia, Ceci ha ottenuto l’assunzione nelle Fiamme Azzurre e nei due anni scorsi ha riprovato a qualificarsi per Tokyo, perdendo ogni chance per una clavicola fratturata, che lo ha tagliato fuori dalle prove decisive.

Che cosa fa oggi Ceci e cosa pensa di quello che hanno detto Chiappa e Guardini?

Ceci ha ripreso ad allenarsi. Ho tolto la placca dalla clavicola e sto aspettando di avere un calendario. Dal 2015 sono nelle Fiamme Azzurre e questo mi permette di continuare a fare attività sportiva, in un settore da cui l’Italia è progressivamente scomparsa. Tirano fuori sempre la scusa che non ci sono ragazzi, ma vedendo che al mondo stanno emergendo Polonia, Lituania e Kazahstan, mi rifiuto di credere che il nostro bacino non sia alla loro altezza. Piuttosto mancano un tecnico di riferimento e investimenti adeguati.

E’ un calendario costoso?

E’ particolare. Nel mio caso, l’unico modo per andare all’estero è con la nazionale. Le Fiamme Azzurre sono un corpo operativo sul suolo italiano, per cui possono sostenere la mia attività soltanto in Italia. Quindi, se non vado con la nazionale, devo pagare da me. Noi andiamo avanti grazie alla squadra, prima Ceci Dream Bike e ora Piceno Bike, ma il calendario è limitato. In Italia nel 2020 ci sono state due sole gare.

Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Sempre ai mondiali di Minsk 2013, con Marco Villa che lo lancia in pista
Francesco Ceci, Marco Villa, campionati del mondo Pista 2013 Minsk
Con Marco Villa, ai mondiali di Minsk 2013
Davanti alla parola “investimenti” qualcuno potrebbe vacillare.

Non sto parlando di cifre proibitive, semplicemente individuare un tecnico preparato e fare la giusta programmazione. Le grandi Nazioni fanno ritiri, si allenano insieme. In Italia non servirebbero 7 mesi di ritiro ogni anno, ma se avvicini un ragazzo, per coinvolgerlo devi proporgli un programma e un metodo di allenamento.

Come funziona l’attività di un velocista?

Ho lasciato le gare su strada al primo anno da U23 ed era già tardi, perché alcuni miei coetanei si sono specializzati su pista sin da juniores. Eravamo un gruppo di una decina, con Federico Paris e Pavel Buran come tecnici e dopo di loro Collinelli e mio zio Vincenzo (Vincenzo Ceci, che partecipò alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, ndr). La stagione delle gare era prettamente invernale, con le Coppe del mondo da ottobre a febbraio, quindi gli europei e i mondiali a chiudere. A primavera un po’ recuperavi e poi ricominciavi la preparazione e le prove di qualificazione alla Coppa del mondo in giro per l’Europa. Adesso il calendario è in fase di riforma.

Francesco Ceci, campionati italiani 2018, Vigorelli
Ai campionati italiani del 2018 al Vigorelli, vince il tricolore keirin su suo cugino Luca
Francesco Ceci, campionati italiani 2018, Vigorelli
Tricolore nel keirini al Vigorelli nel 2018
Esisteva un calendario italiano?

Fino al 2010 abbiamo avuto il Giro d’Italia delle Piste, un circuito di 4 prove che non davano punti internazionali, ma servivano per visionare i ragazzi. Si correva prettamente su pista scoperta, anche perché Montichiari è stato inaugurato a maggio del 2009.

Hai letto le parole di Chiappa, che cosa pensi della situazione?

Ho sempre la speranza di uno scatto in avanti. Servirebbe trovare un tecnico con la giusta competenza, senza andare a cercarlo all’estero, come si provò a fare con Morelon, che chiese anche un sacco di soldi e alla fine non venne. La velocità è un mondo a sé, quali sono i tecnici giusti nell’ambiente si sa. Anche all’estero sono tutti ex velocisti, che sono titolari del settore oppure affiancano altri tecnici. La preparazione è molto diversa e sta cambiando.

Diversa da cosa?

Dal settore endurance, ad esempio, anche se pure loro si stanno spostando verso la forza, usando rapporti come il 60×13. Nel 2008, facevo le volate con il 48×13, nel 2019 in Bielorussia per il keirin usai il 58×13 e so che alcuni vanno più duri. C’è stata evoluzione in ogni dettaglio.

Francesco Ceci, europei Glasgow 2018, velocità
Non va bene nella velocità agli europei di Glasgow 2018
Francesco Ceci, europei Glasgow 2018, velocità
Glasgow 2018, campionati europei velocità
Cosa pensi di quello che ha detto Guardini?

Ho letto la sua intervista. Andrea me lo ricordo bene, perché nella fase di transizione dalla pista alla strada, facemmo parecchia attività insieme. Nel 2009 vincemmo insieme, con lui e mio fratello Luca, il campionato italiano della velocità a squadre. Da junior per me era imbattibile, ma già l’anno successivo iniziò a perdere smalto e specializzazione e cominciai ad arrivargli davanti.

Quindi trovi corretto quello che dice sull’incompatibilità tra velocità e volate su strada?

Sono due mondi diversi. Ricordo che fosse parecchio contento di andare di là a guadagnare di più, anche perché per noi velocisti non c’erano grandi prospettive. Ho fatto da poco il corso per tecnico di 3° livello e si è parlato molto di multidisciplina. Ai miei tempi, nessuno mi propose il cross o la mountain bike, ma certo il velocista a un certo punto deve fare una scelta. Da junior ero 71 chili, ora sono a 81, ma sono cambiamenti che fai quando sei certo che ne valga la pena.

Si può tornare a un settore pista che funzioni e richiami i ragazzi?

Alle due condizioni dette prima: un tecnico e un metodo di lavoro. Se fai vedere alle famiglie che i ragazzi non sono abbandonati, le piste tornano a riempirsi. Che poi in questo periodo di paura della strada…

VIDEO/Bennati sulla gravel? Guida come una… Jena

16.12.2020
3 min
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Dopo aver provato con Daniele Bennati la sua Wilier Filante, eccolo alle prese con la Jena, gravel della casa veneta. Un'insolita cavalcatura per il toscano che, da buon velocista e uomo del Nord, sui sassi era solito andarci con i tubolari da corsa. Ma le cose cambiano...

Bennati sulla gravel è una foto inusuale, anche se lui ammette che l’esercizio lo attiri parecchio. Dalle sue parti in Toscana le strade bianche abbondano. E anche se potrebbe passarci sopra con la bici da strada, il comfort e la sicurezza delle ruote più grosse e scolpite della Wilier Jena, che gli è stata consegnata dalla casa vicentina, sono un valore aggiunto tutt’altro che trascurabile.

Test nel Piceno

Il teatro scelto per il test sono le colline marchigiane nei dintorni di Ascoli Piceno, paradiso ciclistico già saggiato da Vincenzo Nibali che sulle stesse strade lo scorso anno girò i promo per la Regione Marche di cui è testimonial.

«Vi presento al mia Wilier Jena», inizia Bennati, poi la giornata prosegue mettendo alla prova la bici leggera e maneggevole, con geometrie che possono ricordare visivamente quelle di una bici da strada.

«Ma sbaglia – prosegue il toscano – chi pensa di poter riportare qua sopra le quote della bici da strada. Davanti è molto più alta, come è giusto che sia. Però di certo si tratta di una bici che si guida molto bene. Su strada il mio manubrio era da 42, questo nella parte bassa arriva a 50 e permette di impugnare la bici nella massima sicurezza».

Campagnolo Ekar, gravel, 2020
La Jena è montata con il Campagnolo Ekar per gravel
Sulla Jena, il Campagnolo Ekar

Solida ed essenziale

La bici, che abbiamo già visto tra le mani di Jerome Cousin alla conquista dell’Algarve, ha una grafica essenziale, come si addice a una bicicletta disegnata per avanzare su fondi sconnessi, costi quel che costi.

«Certo – prosegue Bennati – non mi avventuro su single-track estremi in cui la mountain bike avrebbe decisamente la meglio, ma di sicuro sono pochi i terreni in cui questa bici non possa portarmi».

Il telaio è realizzato in 5 taglie con l’impiego di carbonio monoscocca 60TON. Il tubo di sterzo ha, come diceva anche Bennati, un angolo più aperto che garantisce stabilità di guida anche sui terreni più impegnativi. Il carro invece è stato progettato per avere una spiccata risposta alle sollecitazioni, assorbendo buona parte delle vibrazioni provocate dai fondi sconnessi.

Daniele Bennati, Jena gravel Wilier Triestina, 2020
Foto ricordo a Casteltrosino, borgo medievale piceno
Daniele Bennati, Jena gravel Wilier Triestina, 2020
Foto ricordo a Casteltrosino, borgo medievale

Pignone a 9 denti

«Questa Jena – chiude Bennati, rimandando alla visione del video – è montata con il nuovo gruppo per gravel Campagnolo Ekar. Un gruppo 1×13 velocità, che ha un pignone minimo da 9 denti. Incredibile».

La presenza di 13 pignoni al posteriore ha reso possibile l’adozione della corona singola all’anteriore, che è un bel vantaggio nei contesti off-road dove lo sporco può sempre dare noie meccaniche.  I pacchi pignoni disponibili sono tre: 9-36, 9-42 e 10-44.