Gli italiani a Taiwan, team diversi e diverse sensazioni

24.03.2024
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Taiwan, dall’altra parte del mondo. La locale corsa a tappe conclusasi da qualche giorno, dal punto di vista tecnico ha confermato come l’Israel Premier Tech abbia trovato nelle sue file un nuovo talento per le corse a tappe, il britannico Joseph Blackmore vincitore come lo era stato in Rwanda, ma l’aspetto che vogliamo sottolineare è un altro. Sulle strade asiatiche erano presenti molti corridori italiani, divisi fra varie squadre e ognuno l’ha vissuta in maniera diversa.

Attilio Viviani aveva iniziato bene con un 5° posto, poi non ha più trovato lo spunto (foto Facebook)
Attilio Viviani aveva iniziato bene con un 5° posto, poi non ha più trovato lo spunto (foto Facebook)

Viviani e una corsa senza controllo

L’edizione di quest’anno è arrivata in un momento politicamente delicato per il Paese, considerando l’alta tensione internazionale e la pressione sempre più forte da parte della Cina che non fa mistero di volersi riannettere l’Isola. Attilio Viviani, presente con i suoi compagni della Corratec-Vini Fantini, ha una certa esperienza di corse in Asia, anche in Cina e quanto ha visto aveva un sapore personale.

«Non è proprio come correre in Cina – dice – la noti una certa differenza intanto nell’atmosfera che si respira. E’ tutto un po’ più vicino a noi, più “occidentale”. La cosa che mi ha colpito molto rispetto alle gare cinesi è che trovi percorsi sempre molto agevoli, poco impegnativi, tanto è vero che c’è poca selezione e gli abbuoni sono ciò che fa più la differenza».

Questo però ha influito anche sull’evoluzione della corsa: «Una prova così, con squadre di 5 corridori non la controlli. Infatti la situazione di classifica è rimasta fluida fino alla fine e nell’ultima tappa dopo una trentina di chilometri la corsa è “scoppiata”».

Proprio la tappa finale poteva essere quella buona per lui: «Invece sono rimasto indietro e non ho potuto giocare le mie carte. Ero andato bene nella prima, finendo 5° ma quando abbiamo iniziato ero ancora un po’ fuori fase per il jet lag. La mia occasione era quella. Comunque abbiamo messo Monaco nella Top 10 generale, è stato un buon risultato».

Per Peron una trasferta nel complesso positiva viste le difficoltà precedenti (foto Instagram)
Per Peron una trasferta nel complesso positiva viste le difficoltà precedenti (foto Instagram)

Peron e l’esordio a 35 anni

Andamento diametralmente opposto per Andrea Peron, che a 35 anni ha fatto il suo esordio nella corsa di Taiwan. Il corridore di Borgoricco è infatti emerso proprio nella frazione finale: «Praticamente ho iniziato la stagione lì, dopo una caduta in allenamento che mi ha tolto un mese di preparazione. Non era previsto che andassi in Asia, ma avevo bisogno di correre, mettere chilometri nelle gambe e sinceramente il 6° posto nella tappa conclusiva è stato un piacevole regalo».

Anche il corridore della Novo Nordisk ha notato differenze con la Cina: «Sinceramente a me non piace molto correre le gare asiatiche, troppe differenze con le nostre abitudini, ma è anche vero che il Giro di Taiwan ha tappe un po’ più “europee”. In Cina pedali anche per 100 chilometri su strade diritte e pianeggianti, alla fine soffri soprattutto mentalmente».

La cosa che più lo ha colpito esula però dall’aspetto prettamente tecnico: «Secondo me organizzativamente devono ancora migliorare. Avevamo ogni giorno la sveglia alle 5,30, quando poi la partenza era in tarda mattinata e vicino agli hotel delle squadre. Le lunghe attese sono state la cosa più pesante, soprattutto all’inizio quando ancora non avevamo recuperato il fuso orario…».

Malucelli battuto nell’ultima tappa dall’israeliano Einhorn. Proprio come nella prima (foto organizzatori)
Malucelli battuto nell’ultima tappa dall’israeliano Einhorn. Proprio come nella prima (foto organizzatori)

Malucelli, la maledizione del 2° posto

A Malucelli la trasferta a Taiwan ha sicuramente fatto bene, al di là della doppia piazza d’onore: «Era una gara di livello anche più alto di quel che pensavo – afferma il corridore del JCL Team Ukyo – con 6 squadre professional e la differenza fra loro e le continental asiatiche era abbastanza marcata. Ho apprezzato le strade molto larghe e i percorsi ben disegnati, molto sicuri. Per il resto l’evoluzione della corsa era quella abbastanza abituale in quel tipo di corse, dove l’unico arrivo in salita fa la differenza».

Un aspetto di non poco conto è stata la tanta gente sul percorso: «Io venivo dall’esperienza in Arabia dove non trovi tanta gente neanche all’arrivo. A Taiwan invece c’era sempre una folla, anche lungo il percorso, si vede che tengono particolarmente a questa gara».

Per lui come detto due secondi posti, che alla fine hanno avuto anche un retrogusto amaro: «Per due volte Einhorn dell’Israel mi ha battuto e sinceramente per me che aspetto di vincere da due anni è stata come una beffa del destino. Sto sempre lì, però manca ogni volta l’ultimo tassello per completare il mosaico. Sarebbe ora che la fortuna si ricordasse di me…».

Riccardo Verza in azione a Taiwan. Per il suo team austriaco tre presenze in Top 10 (foto Instagram)
Riccardo Verza in azione a Taiwan. Per il suo team austriaco tre presenze in Top 10 (foto Instagram)

Il ritorno di Verza, a un livello più alto

Presente alla corsa asiatica anche Riccardo Verza (Hrinkow Advarics), una delle poche squadre continental europee presenti. Il corridore di Este aveva già corso a Taiwan, tanto da finire 8° nella classifica dello scorso anno: «Questa volta però il livello era più alto, comunque come squadra non siamo andati male, portando a casa tre piazzamenti e io ho fatto la mia parte finendo 8° nella tappa finale».

Verza ha un’opinione diversa sull’aspetto organizzativo della corsa: «Ci hanno ospitato in hotel molto belli, c’era poi un pullman a disposizione per gli spostamenti. Quando corri senza i tuoi mezzi abituali, rischi di trovarti in difficoltà, invece devo dire che sono stati molto presenti. Per il mangiare non abbiamo avuto problemi, integravamo quel che trovavamo negli alberghi con pasta e riso che lo staff preparava in camera, ci eravamo portati un po’ di scorte per non rischiare, anche memori delle esperienze precedenti».

Anche nel suo caso la corsa è servita per fare qualche passo avanti nella condizione: «Avevo disputato solo le due classiche croate finendo 5° a Umago, so che la forma buona deve ancora arrivare, ma piano piano stiamo progredendo e spero di portare quanto prima questa maglia alla vittoria».

Lo sprint ristretto a Shigang premia l’australiano Niquet-Olden, De Cassan 2°
Lo sprint ristretto a Shigang premia l’australiano Niquet-Olden, De Cassan 2°

Il migliore in classifica? De Cassan

Il migliore nella classifica generale è stato Davide De Cassan, 6°. La Polti Kometa ha corso per lui, che era alla sua prima vera trasferta all’estero in un Paese tanto lontano: «Mi ha molto impressionato la cultura asiatica, vedere posti così diversi dalla nostra normalità. Non escludo di tornarci in vacanza».

Si respirava tensione fra la gente per la situazione politica infuocata? «Io non l’ho notato, ho visto invece persone gentili, attente, molto prese dall’evento. Anch’io mi aspettavo un’atmosfera tesa, invece non è stato così, anche le forze dell’ordine non erano in sovrannumero. In questo, niente di diverso da quanto vediamo da noi».

Alla fine il suo Giro di Taiwan si è chiuso positivamente: «Ma poteva andare anche meglio, mi è davvero spiaciuto perdere lo sprint della fuga nella terza tappa. Io comunque guardavo alla classifica e sono tornato a casa con buoni segnali per le prossime

Tour 1995, quando la Motorola decise di continuare

24.06.2023
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«Quando ho sentito la notizia e il giorno dopo ho saputo che Mader era morto – mormora Andrea Peron – mi è sembrato di rivedere quel giorno. Vivo in Svizzera, l’ho visto in Svizzera ed ha avuto tanto risalto. C’è stata quasi la stessa dinamica, anche nel succedersi degli eventi dei giorni dopo. E’ stato come aver rivissuto quel Tour del 1995 in maglia Motorola…».

I compagni di Mader al team Bahrain Victorious hanno sfilato con il gruppo, ma il giorno dopo hanno lasciato il Giro di Svizzera
I compagni di Mader hanno sfilato con il gruppo, ma il giorno dopo hanno lasciato il Giro di Svizzera

La scelta di continuare

Oggi a Zurigo si svolgerà un evento commemorativo per Gino Mader, con i genitori al centro e il popolo delle due ruote che confluirà nel velodromo. La nostra memoria invece è andata a giorni che vivemmo in prima persona al Tour del 1995: quelli della caduta di Fabio Casartelli, della lenta sfilata del gruppo sul traguardo di Pau e della vittoria di Armstrong a Limoges con le dita al cielo. Non vogliamo rivangare il dolore, ma a pensarci bene nessuno ha raccontato ciò che avvenne nella Motorola quando si seppe che il loro compagno non ce l’aveva fatta. Come fu che decisero di andare avanti, mentre la Bahrain Victorious ha abbandonato il Giro di Svizzera? Perché decisero di proseguire? Come si vive in una squadra la perdita di un compagno?

«Eravamo all’Hotel Campanile – ricorda Peron – e ci ritrovammo sul prato lì fuori, davanti al laghetto. Jim Ochowitz, che era il team manager della Motorola, era venuto a chiederci cosa volessimo fare. Era la prima volta che succedeva una cosa del genere, fortunatamente non avevamo un precedente. Però conoscevamo tutti Fabio e la motivazione che aveva in quel Tour. Ci confrontammo a lungo e alla fine decidemmo di continuare, proprio per portare lui a Parigi. Perché comunque Fabio, sin da quando era partito dalla Normandia (il Tour del 1995 partì il primo luglio da Saint Brieuc, ndr), diceva sempre che voleva arrivare a Parigi».

Vi eravate preparati insieme, giusto?

Avevamo passato giugno allenandoci a Livigno e continuavamo a parlare di questo Tour e di quanto sarebbe stato bello arrivare a Parigi. E alla fine, decidemmo di continuare proprio per rispetto del nostro amico, altrimenti ci saremmo fermati. Siamo arrivati in fondo e la bici di Fabio ha sempre viaggiato sul tetto dell’ammiraglia fino all’ultimo traguardo. Per noi fu quello il modo migliore per concludere il Tour. Fu una decisione soggettiva del team, evidentemente al Team Bahrain hanno ponderato una scelta diversa, con altre motivazioni che meritano il massimo rispetto.

Credi che se l’incidente di Fabio non fosse avvenuto al Tour, ma in qualsiasi altra corsa, avreste continuato ugualmente?

Probabilmente no.

La sera sul lago ci fu qualcuno che non voleva andare avanti?

Eravamo tutti abbastanza uniti, non ci fu una votazione, fu piuttosto una terapia. Avevamo bisogno di stare tra di noi in modo più intimo. Tutti ci cercavano, tutti ci chiedevano, tutti volevano sapere, tutti volevano esserci vicino, invece quel momento fu solo per noi. Ci siamo confrontati, ci siamo parlati, ma alla fine tutti fummo concordi sul continuare. Fabio aveva un’energia e un entusiasmo contagiosi. Era sempre divertente, sempre motivato, sempre ottimista su tutto. Ce lo trasmetteva e quindi sapevamo che lui sarebbe voluto arrivare a Parigi. 

Hai parlato dell’intervento di Ochowitz, cosa venne a dirvi?

Jim era distrutto, come tutti, ma forse lui si sentiva addosso la responsabilità. Magari non dell’incidente, ma sicuramente del fatto di aver selezionato Fabio per il Tour. Ha sempre avuto un grande cuore e con Fabio aveva legato molto, visto che viveva anche lui a Como. Eravamo tutti più o meno nella stessa zona, eravamo quasi una famiglia.

Quando hai saputo che Fabio era morto?

In maniera chiara, all’arrivo. Però salendo sull’ultima salita ricordo che c’era un’atmosfera strana, quando passavamo noi della Motorola, la gente applaudiva in modo strano. Ricordo Darcy Kiefel, una fotografa americana, che sul Tourmalet mi fece una foto e intanto piangeva. E io pensai: perché sta piangendo? Poi, piano piano, ho realizzato tutto. Le radio non c’erano ancora. Della caduta e che fosse brutta l’avevamo saputo subito. In gruppo c’era ancora tantissima bagarre e mentre da dietro iniziavano a rientrare quelli che erano rimasti coinvolti, andai a chiedere all’ammiraglia se dovessimo aspettare Fabio, ma mi dissero che lo avevano portato in ospedale. Poi parlai con Perini, non ricordo se fosse caduto anche lui o avesse visto, e mi parve sconvolto. Continuammo la tappa, quasi tutti staccati, fino a Cauterets.

Al via della settima tappa del Giro di Svizzera è stata lanciata una colomba bianca, per salutare Gino Mader
Al via della settima tappa del Giro di Svizzera è stata lanciata una colomba bianca, per salutare Gino Mader
Il giorno dopo il gruppo pedalò a passo d’uomo fino a Pau: una processione lentissima, dopo la quale Bjarne Riis disse che avrebbe avuto più senso annullare la tappa, che farsi del male a quel modo…

Fu una giornata molto pesante, in un certo senso capisco Bjarne perché veramente era una tappa lunghissima con un sacco di salite. Fu pesante per tutti, anche perché eravamo svuotati. Già c’era la fatica di due settimane di Tour, ma soprattutto portavamo un macigno dentro e non avevamo l’adrenalina della gara. Se devo dirvi, di quel giorno non mi ricordo niente, se non l’arrivo a Pau e questa sfilata interminabile sui Pirenei a passo d’uomo, con tutto il gruppo che veniva a chiederci. Non mi ricordo che salite abbiamo fatto, dove siamo passati, niente…

Cosa ricordi della vittoria di Armstrong a Limoges?

Lance era motivatissimo per fare qualcosa che ricordasse Fabio. E lui quando era così, tirava fuori un’energia non comune. Fu una vittoria per Fabio, la sera non festeggiammo. Cercammo di mantenere un comportamento di rispetto, ma abbastanza leggero. Ci vuole tanta forza per continuare in quello stato. Quando ti succedono queste cose, trovare l’energia per andare avanti e fare delle tappe del Tour de France è pesantissimo. La tappa di Pau la facemmo a passo d’uomo, però poi la gara continuò, con tutte le difficoltà di un Tour de France.

Andrea Peron, casse 1971, è stato pro’ dal 1993 al 2006 (alla Motorola nel 1995 e 1996). Oggi lavora in Karpos, azienda del gruppo Valcismon
Andrea Peron, casse 1971, è stato pro’ dal 1993 al 2006. Oggi lavora in Karpos, azienda del gruppo Valcismon
Con la stessa testa?

Fummo costretti a reagire, ma almeno per me non c’era più il senso di cercare la vittoria, la prestazione, il risultato. C’era solo arrivare in fondo e portare Fabio a Parigi. La vera lotta fu non farci risucchiare dalle emozioni negative e dalla negatività di quanto era accaduto, altrimenti sarebbe stato impossibile andare avanti.

Tu eri compagno di stanza di Fabio in quel Tour?

Quando quella sera entrai in camera, ricordo benissimo che c’era la sua valigia aperta sul letto, perché l’avevano aperta, penso per cercare i documenti. C’era la valigia aperta, ma Fabio non c’era più. Fu una cosa pesante.

Patron del Tour in quegli anni era Jean Marie Leblanc, che assecondò in toto il volere della Motorola
Patron del Tour in quegli anni era Jean Marie Leblanc, che assecondò in toto il volere della Motorola
In questi giorni si è parlato di sicurezza delle corse.

Non credo che allora, come oggi, ci sia stata la colpa di qualcuno dal punto di vista delle protezioni. Gino Mader e Fabio prima di lui sono mancati facendo quello che amavano. Ogni ciclista si assume una parte di rischio come chi corre in moto, come è successo a Simoncelli e come ad esempio agli sciatori. Mi ricordo la morte di Ulrike Maier nel 1994, che conoscevo. Andò a sbattere su un paletto e morì. Penso agli alpinisti che muoiono in montagna. Quello che invece mi fa più rabbia sono le morti che si possono evitare.

Di cosa parli?

Penso al povero Davide Rebellin, che viene a ucciso perché un camionista gli passa sopra e non si accorge di lui. Oppure tutti i morti che ci sono quasi settimanalmente, tirati sotto da autisti distratti. Questo mi fa più rabbia, perché per loro si potrebbe fare qualcosa. La morte è sempre uguale, ma quelle morti lì non devono più succedere.

La prima volta di Andrea Peron, una vittoria dai mille sapori

28.07.2022
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L’aveva aspettata tanto Andrea Peron una giornata come quella di domenica. Una carriera da pro’ che va avanti dal 2013, sempre nel team Novo Nordisk del quale è ormai una colonna portante condividendone non solo l’attività ma anche le finalità, tese a dimostrare che anche un diabetico può fare sport e vincere. Per la prima parte l’atleta 33enne di Borgoricco è stato un emblema, ma per la seconda c’è stato tanto da aspettare. Fino a domenica.

Grand Prix di Kranj, una classica slovena di vecchia data. Gara dal percorso poco impegnativo solo apparentemente: «C’era da stare sempre sull’allerta – spiega Peron – ma il finale era molto nervoso, inoltre l’arrivo era in cima a uno strappo. Infatti ci siamo presentati alla sua base in una cinquantina, con un gruppo compatto, poi si è giocato tutto lì».

Peron Kranj 2022
Tutta la gioia di Peron a Kranj, primo davanti a Barta (CZE) e Finkst (SLO) (foto TeamNovoNordisk/Sportida)
Peron Kranj 2022
Tutta la gioia di Peron a Kranj, primo davanti a Barta (CZE) e Finkst (SLO) (foto TeamNovoNordisk/Sportida)

Una volata liberatoria

Peron si è giocato tutto su quello strappo, molto di più che una semplice vittoria. Davanti tanti italiani, erano presenti quasi tutte le nostre squadre continental, ma anche corridori di livello del panorama estero, in quel gruppo che si andava sempre più assottigliando verso l’arrivo spiccava il neocampione europeo Under 23, il tedesco Felix Engelhardt. Ma Peron non guardava nessuno, solo davanti, solo quell’arrivo che si avvicinava sempre più e senza che nessuno, come troppe volte era accaduto in passato, mettesse la ruota davanti. Fino alla fine.

Una vittoria attesa da una vita e accolta quasi con compostezza, perché Andrea è abituato a vivere tutte le sensazioni dentro di sé, belle e brutte: «Era un successo che inseguivo da sempre: da dilettante le mie 6-7 vittorie ogni anno le raggiungevo, ma da pro’ la musica cambia di molto. I piazzamenti arrivavano, anche di un certo peso, le top 10 non le conto neanche più, ma mi mancava il successo pieno».

Il padovano sul podio di Kranj, a fargli compagnia la coppa e il suo piccolo figlio… (foto TeamNovoNordisk/Sportida)
Il padovano sul podio di Kranj, a fargli compagnia la coppa e il suo piccolo figlio… (foto TeamNovoNordisk/Sportida)

Una gara di qualità, come le altre

Quei secondi subito dopo il traguardo sono stati interminabili, sembrava di essere su una nuvola e poco importa se quella slovena è giudicata una corsa come tante: «Il ciclismo è cambiato, quando sei in gara non ci guardi neanche più al livello della corsa perché è sempre una battaglia, ti trovi ogni volta a lottare con corridori di valore, non puoi certo stare a guardare o a giudicare il livello della gara. Vincere è difficile sempre, perché il nostro è diventato davvero uno sport universale. E ogni nazione, ogni squadra ha corridori forti».

Le prime sensazioni sono state però profondamente intime: «La prima cosa che ho pensato è stato: finalmente, era ora… Ci ero andato vicino così tante volte ma alla fine qualcosa non quadrava mai. Già al Giro di Grecia ero arrivato a un soffio dal successo, ma Moschetti mi aveva beffato. Poi mi sono reso conto di aver vinto a fine luglio, nel cuore dell’estate, io che ho sempre sofferto il caldo… Niente male davvero!».

Peron Grecia 2022
La volata vincente di Moschetti nella seconda tappa del Giro di Grecia. Peron, 2°, è all’estrema destra
Peron Grecia 2022
La volata vincente di Moschetti nella seconda tappa del Giro di Grecia. Peron, 2°, è all’estrema destra

Il covid… che covid non era

Una vittoria arrivata in una stagione piena di alti e bassi: «Non era iniziata neanche male, prima gara e un 9° posto al Giro dell’Oman, con tante squadre WorldTour al via. La prima parte è stata molto intensa, fino all’Adriatica Ionica Race. Ci sono arrivato un po’ sulle ginocchia anche se la prima tappa non era neanche stata male. La settimana prima avevo avuto addosso uno strano malessere, tanto che pensavo di aver contratto il Covid, invece tampone negativo… Alla terza tappa ero distrutto e mi sono ritirato, mi sono fermato un mese e mezzo, sono stato al mare con la famiglia e poi mi sono allenato ad Asiago dove vado spesso. La gara di Kranj era quella della ripresa».

La storia di Peron è legata profondamente con quella del team e anche grazie al suo successo il corridore padovano ha tenuto a rilanciare le motivazioni alla base della formazione americana: «A noi non basta vincere, soprattutto a noi “vecchi”. Noi vogliamo dimostrare che chi ha il diabete tipo 1 può fare sport in maniera sana come chiunque altro. Il nostro messaggio è rivolto ai più piccoli e alle loro famiglie: affrontare questa malattia senza paura, ma solo come un piccolo ostacolo in più nella vita che ti rende anche più forte».

Una gioia attesa tanto a lungo e condivisa con sua moglie Alessia (foto TeamNovoNordisk/Sportida)
Una gioia attesa tanto a lungo e condivisa con sua moglie Alessia (foto TeamNovoNordisk/Sportida)

Una storia, un esempio

Andrea non ha ritrosie nel parlare della sua esperienza: «Ho scoperto di avere il diabete a 15 anni, già facevo sport allora e non nascondo che come per tanti altri adolescenti inizialmente è stata una mazzata. Non sapevo cos’era, non conoscevo nessuno che ce l’aveva, non avevamo mai avuto casi in famiglia. Ci siamo dovuti adattare, una cosa del genere comporta cambiamenti, ma era affrontabile».

Su un aspetto in particolare Peron vuole mettere l’accento: «Non ho mai trovato alcun dottore che mi ha detto che non potevo più pedalare, né intorno a me ho notato cambiamenti, sguardi particolari, commiserazione. Ripeto, è solo un piccolo ostacolo in più che si supera. Io vivo la mia attività esattamente come ogni altro ciclista e come ogni altro gioisco per una vittoria… Beh, magari domenica, dopo tanta attesa, ho gioito un po’ di più…».

Team Novo Nordisk e Tour de La Provence: GSG c’è!

26.01.2022
4 min
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Il legame tra il brand produttore d’abbigliamento tecnico GSG ed il mondo del ciclismo professionistico è sempre stato forte e passionale. E inoltre molto proficuo, anche per quanto riguarda riscontri e risultati. Di conseguenza, anche per la stagione 2022 il marchio fondato nel 1984 dall’ex professionsita Simone Fraccaro è nuovamente partner sia del Team Novo Nordisk quanto di una delle gare più attese – e meglio organizzate – delle primissima parte di stagione: il Tour de La Provence.

Sulle maniche della divisa c’è la dedica a Leonard Thompson, il primo paziente curato con l’insulina nel 1922
Sulle maniche della divisa c’è la dedica a Leonard Thompson, il primo paziente curato con l’insulina nel 1922

Nel 2023 una maglia… centenaria

La squadra professional americana, che ricordiamo essere il primo team al mondo con in organico ciclisti tutti diabetici, continua dunque a vestire GSG. Lo farà ancora per due anni, portando complessivamente a sei le stagioni di collaborazione. Un biennio importante il prossimo, considerando che proprio nel 2023 il colosso farmaceutico Novo Nordisk taglierà il traguardo dei primi 100 anni di attività. Per quanto riguarda invece la presenza di corridori italiani in organico, sono stati confermati Andrea Peron e Umberto Poli, ai quali da quest’anno si aggiunge anche il neo professionista Filippo Ridolfi.

Maglie del Tour de la Provence disegnate da GSG
Maglie del Tour de la Provence disegnate da GSG

«Il rapporto di partnership con il team Novo Nordisk – ha dichiarato a bici.PRO Alessandro Costa, il marketing manager di GSG – è nato quattro anni fa, e siamo estremamente felici che tale collaborazione si sia rinnovata per il prossimo biennio. Le stagioni passate ci hanno fornito un bagaglio di esperienza per poter realizzare il miglior completo possibile. Sono stati anni positivi per il modo di presentarsi del team e per i risultati che i ragazzi diabetici hanno raggiunto in tutte le competizioni.

«Esperienze e know-how sono condensati nella divisa Novo Nordisk 2022: una maglia altamente anatomica e con spiccate caratteristiche aerodinamiche. Contraddistinta da un mix di tessuto strutturato da permettere un’alta traspirazione e una veloce asciugatura, dall’altro di essere anche comoda. Le esigenze dei ciclisti effetti da diabete sono quasi del tutto uguali a quelle di un qualsiasi altro corridore. Una richiesta specifica diversa da quelle di altri team, è stata quella di produrre capi super leggeri e traspiranti. Risultato ottenuto grazie alla capacità di GSG di attivarsi velocemente, gestendo internamente l’intero processo produttivo, dal dipartimento sviluppo alla definitiva produzione».

Maglia del leader della classifica generale del Tour de la Provence disegnata da GSG dedicata a Bernard Tapie
La maglia del leader del Tour de la Provence è dedicata a Bernard Tapie

Cinque maglie, una corsa bellissima

Come anticipato, GSG torna quest’anno – per la seconda stagione consecutiva – a vestire con le proprie maglie i cinque leader di classifica di una breve corsa a tappe francese in grandissima ascesa. Parliamo del Tour de Provence, in programma dal 10 al 13 febbraio. La stessa manifestazione, giunta alla personale settima edizione, potrà contare sulla presenza di ben undici squadre WorldTour.

Oltre ai tre team di casa (AG2R Citroën, Cofidis e Groupama-FDJ) tra le compagini di massima divisione sarà presente anche la Ineos Grenadiers capitanata da Egan Bernal e la QuickStep-Alpha Vinyl con Julian Alaphilippe che proprio in questa occasione farà il proprio debutto stagionale.

Le maglie disegnate e prodotte da GSG  sono complessivamente cinque: quella di leader della classifica generale, quella riservata al leader della classifica a punti, qualla per il miglior giovane, la maglia per il primo in classifica dei GPM e quella originalissima #chouchou che indosserà il corridore preferito dal pubblico.

Va ricordato che la maglia di leader della “generale”, studiata con un design speciale dedicato a Bernard Tapie, fondatore del Tour de la Provence, è già preordinabile come team replica sul sito ufficial di GSG.

GSG

La storia di Peron, dalla Cento alla conquista del mondo

03.01.2022
7 min
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Chi è Andrea Peron con cui proprio stamattina abbiamo parlato in relazione all’abbigliamento della Quick Step-Alpha Vinyl? Di lui aveva raccontato qualche giorno fa Gianfranco Contri in relazione alla Cento Chilometri a squadre, dicendo che dei tanti a dedicarsi alla specialità, il varesino fosse il più stradista. Per questo lo abbiamo cercato perché ci raccontasse la sua storia, ricordando di averlo conosciuto in una vita precedente quando nel 1992 delle Olimpiadi di Barcellona, vinse la Coppa Fiera Mercatale nella Cuoril di Ennio Piscina. Il più stradista di tutti, dice bene Contri?

«Da junior – risponde – c’era anche Rebellin, poi fra quelli della Cento Chilometri vera e propria anche Anastasia e Luca Colombo hanno fatto qualche anno da professionisti, anche Salvato, Brasi e Andriotto, però forse io sono quello che ha fatto una carriera più lunga. Ho corso per 15 anni e sono riuscito anche a togliermi qualche bella soddisfazione. Ero quello più stradista di tutti, forse è vero…».

I magnifici quattro di Stoccarda 1991, da sinistra Colombo, Peron, Anastasia, Contri
I magnifici quattro di Stoccarda 1991, da sinistra Colombo, Peron, Anastasia, Contri

Dall’Italia all’America

Nato a Besnate nel 1971, con la Cento Andrea vinse il mondiale di Stoccarda nel 1991 e prese l’argento a Barcellona, correndo sulle magnifiche e avveniristiche Colnago C35 realizzate con il contributo della Ferrari che l’Italia mise in strada per l’occasione, dopo averle presentate sul circuito di Fiorano. 

Da professionista fece i primi due anni (1993-1994) alla corte di Stanga e poi se ne andò in America con la Motorola, da lì alla Francaise des Jeux, la Once, la Fassa Bortolo e chiuse con cinque anni alla Csc di Bjarne Riis accanto a un altro varesino in rampa di lancio: Ivan Basso. Si ritirò dopo il Lombardia del 2006 (foto di apertura).

Nel 2000 corre alla Fassa Bortolo, qui nella crono finale della Vuelta
Nel 2000 corre alla Fassa Bortolo, qui nella crono finale della Vuelta
Eri uno stradista prestato alle cronometro?

Non mi sono mai visto così, perché la crono ho avuto grande voglia di farla. In quegli anni è stata il mio obiettivo principale, però ho sempre avuto la passione per la strada. Quando sono passato professionista, volevo fare risultati su strada, non fare il passista che tirava e basta. Però l’ho coltivata e ho vinto un campionato italiano di specialità.

Si poteva convivere?

La Cento Chilometri non era una specialità a sé stante, non era un condizionamento perché cambiassi qualcosa o rinunciassi a qualcosa. Non ha assolutamente modificato le mie caratteristiche. Ho sempre creduto che le due cose potessero convivere, anche se quando preparavamo le Olimpiadi o il mondiale, la crono era la priorità e la strada veniva un po’ sacrificata. Però una volta finito quell’obiettivo, riprendevo tranquillamente la solita routine. Nel 1992 vinsi anche delle belle gare su strada.

In qualche misura apriste la strada?

Facevamo parecchio lavoro specifico, però alla fine Zenoni aveva messo in atto una metodologia di allenamento basata non solo sulla potenza. Facevamo tantissimo ritmo, interval training in salita e allenamenti per velocizzare. Cose che davano vantaggi anche su strada. Non si trattava solo di spinta di grandissimi rapporti. A guardare l’evoluzione degli anni, è un po’ la stessa cosa che adesso vediamo con Ganna e prima ancora con Cancellara. Atleti veramente fortissimi e potentissimi a cronometro, che però vanno bene anche su strada.

La festa per i 70 anni del cittì Zenoni, con Pavarini, Colombo, Peron, Contri, Fina, Salvato, Rota, Aldo Fossa e Fusi
I 70 anni di Zenoni, con Pavarini, Colombo, Peron, Contri, Fina e Salvato, Rota, Aldo Fossa e Fusi
Ganna fa ancora più eccezione, essendo anche un pistard…

Prima chi correva su pista la strada non la guardava nemmeno. Invece Pippo ha dimostrato di essere in grado di prendere una maglia rosa e di vincere anche le tappe nei grandi Giri. Zenoni praticamente 30 anni fa aveva già sposato la stessa filosofia. Io non sono mai stato forte quanto Cancellara o Ganna, però era un po’ la stessa cosa. Facevo le crono e su strada riuscivo a difendermi benissimo: non solo in pianura, anche in salita. E’ chiaro che non potevo figurare sul Mortirolo, però al Tour de France dove ci sono le salite pedalabili, ho sempre detto la mia. Anche nelle classiche (nel palmares ha un 7° posto alla Liegi e un 10° al Lombardia, ndr). Non ho mai creduto a quelli che dicevano se fai la cronometro, non puoi fare nient’altro.

A un certo punto te ne andasti in America…

Ero un ragazzo molto aperto all’avventura, desideroso di provare cose nuove con la bicicletta, ma non solo legate alla bicicletta. Avevo spirito di avventura. Quando sono andato a correre all’estero, era la voglia di sperimentare. La curiosità di vedere cosa ci fosse al di là della mentalità classica degli anni 90. Non mi sono mai messo alcuna barriera e questo forse è andato anche a discapito della carriera.

In che senso?

Quando sono andato alla Motorola, l’ho visto come un’esperienza di vita. Avevo voglia di viaggiare, andare a scoprire cosa ci fosse negli Stati Uniti e presi l’opportunità di andare in questa squadra che faceva tanta attività anche in America. Se avessi pensato con uno schema classico, magari avrei accettato alcune delle belle offerte da team italiani. Sarebbe stato un approccio più classico, però per il mio modo di essere, per l’Andrea Peron di allora scelsi un’altra strada. Di cui non mi pento assolutamente.

Ha corso con la Motorola nel 1995 e 1996, centrando quattro vittorie
Ha corso con la Motorola nel 1995 e 1996, centrando quattro vittorie
Ti ritrovasti in squadra anche un giovane Armstrong?

Giovanissimo Armstrong, però aveva già vinto il campionato del mondo di Oslo e anche un paio di tappe al Tour. Abbiamo corso due anni insieme, poi lui si è ammalato di cancro, nel 1996 si è operato e la squadra ha chiuso come aveva già comunicato. Quando è tornato, ha vissuto una piccola parentesi con la Cofidis e alla fine è andato alla Us Postal, ma a quel punto avevamo preso strade diverse.

Il ricordo più forte di quegli anni è l’arrivo di Pau al Tour del 1995…

Il giorno dopo la scomparsa di Fabio Casartelli, tutta la squadra schierata davanti al gruppo. E due giorni dopo, la vittoria di Lance a Limoges. Fu un’esperienza toccante, forse la prima a contatto diretto con la perdita di una persona cara. Non un familiare, ma una persona molto vicina. Io con Fabio condividevo allenamenti, gare, la camera alle corse, momenti belli e momenti brutti di una carriera sportiva. E’ stata un’esperienza anche pesante, che ovviamente mi ha fatto anche crescere.

Sotto quale punto di vista?

Soprattutto quando sei nello sport, vedi tutto come un sogno. Non ti aspetti mai che il collega con cui cinque minuti prima stavi scambiando quattro chiacchiere o una battuta mentre eri in salita, quando comincia la discesa non lo vedrai più. Perché tu fai una curva e lui la fa in maniera diversa e la sua vita finisce lì. Fabio è spesso nei miei pensieri, come altre persone che sono scomparse lungo il cammino della vita. Purtroppo la morte è una parte di noi stessi, con cui dovremo avere a che fare o prima o dopo. L’importante è essere grati della vita che abbiamo ogni giorno, perché appunto non sappiamo cosa ci può succedere.

Tre giorni dopo la morte di Casartelli, a Limoges la vittoria di Armstrong
Tre giorni dopo la morte di Casartelli, a Limoges la vittoria di Armstrong
Dopo aver smesso, hai cominciato subito con lo sci alpino, le scalate…

E’ stato un ritorno verso la passione della montagna. Quando ero piccolino, sono sempre andato in montagna, ho sempre scalato e fatto alpinismo, ma l’ho lasciato un po’ da parte durante la mia carriera agonistica. E quando ho smesso di correre, ho ripreso a fare quelle cose che non potevo fare durante la mia carriera.

Come è stato smettere?

Dopo la bici, non volevo continuare in una squadra. Angelo Zomegnan (direttore del Giro d’Italia dal 2005 al 2011, ndr) mi diede la possibilità di lavorare in Rcs e ci sono rimasto per quattro anni. Poi è arrivata Castelli. Conoscevo l’azienda e sono entrato collaborando con il settore corsa e lo sviluppo dei prodotti. Sono nel ciclismo, insomma, ma a modo mio. E poi seguo anche Karpos, il marchio outdoor.

Qual è il tuo apporto?

Ci metto del mio nel creare i capi, do i miei consigli. Seguo lo sviluppo dei prodotti con le squadre. Provo anche qualcosa, ma è giusto che i feedback decisivi li diano i professionisti. Corridori e alpinisti. Io posso valutare, ma sono loro quelli che li usano e li portano tutti i giorni al limite.

E la tua curiosità si è assopita ?

Neanche un po’, avevo in programma dei viaggi, ma il Covid ha fermato tutto. Se si fosse spenta, adesso sarei in poltrona e non in giro per il mondo…

Quick Step con Castelli: inizia un’altra fase di sviluppo

03.01.2022
4 min
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«Alla Quick-Step Alpha Vinyl – dice Patrick Lefevere, annunciando la collaborazione fra la squadra e Castelli – abbiamo sempre cercato di innovare e trovare nuovi modi di pensare per aiutarci a migliorare, quindi siamo lieti di poter costruire questa partnership. Come noi, hanno una lunga e ricca storia nel ciclismo, eppure stanno ancora spingendo per essere i migliori, in continua evoluzione e alla ricerca di nuovi modi per migliorare il loro abbigliamento e rimanere al top. Il ciclismo è spesso una battaglia di condizioni e poter partecipare alle gare più importanti del mondo con il miglior abbigliamento tecnico disponibile, sarà un enorme vantaggio per i nostri ciclisti. Siamo lieti che si uniranno alla famiglia Wolfpack».

I corridori del team belga avranno a disposizione maglie e body da strada (foto Wout Beel)
I corridori del team belga avranno a disposizione maglie e body da strada (foto Wout Beel)

Squadra nuova

Il comunicato va avanti con varie spiegazioni, finché la palla passa ad Andrea Peron, direttore della performance di Castelli. Ed è proprio con lui che abbiamo parlato per farci raccontare che cosa significhi passare in così breve tempo da uno squadrone come il team Ineos Grenadiers a quello belga, dovendo riporre nel cassetto abitudini costruite in anni di collaborazione, per crearne di nuove.

«Si ricomincia da zero – dice Andrea, varesino classe 1971, pro’ per 15 stagioni – se non altro per l’organizzazione dei prodotti e la loro distribuzione agli atleti. Il meccanismo per il resto è abbastanza collaudato. Andiamo dalla nuova squadra e mettiamo sul tavolo i prodotti sviluppati negli ultimi anni. Loro portano la dotazione precedente e ci spiegano quali siano le abitudini dei loro atleti. E poi insieme verifichiamo se ci siano dei punti di contatto e cosa possiamo offrirgli del nostro pacchetto. Posso dire che rispetto ai precedenti, offriamo un catalogo più ampio, frutto delle nostre ricerche. Quindi si decidono i prodotti che useranno e da quel momento si inizia a ragionare con i singoli atleti».

La squadra dal 2022 passa da Vermac ad abbigliamento Castelli (foto Wout Beel)
La squadra dal 2022 passa da Vermac ad abbigliamento Castelli (foto Wout Beel)

Anche su misura

La Quick Step-Alpha Vinyl sta per iniziare il secondo ritiro della nuova stagione, dopo quello di Calpe svolto a dicembre e da lunedì prossimo anche Andrea sarà in Spagna per seguire le richieste dei corridori.

«Con il 70-80 per cento dei ragazzi – prosegue Peron – si ricorre a taglie standard. Poi si mette mano ai casi più complicati, come esempio gli atleti molto alti e molto magri, oppure quelli con il quadricipite più grosso e via dicendo. Per loro si ricorre a lavorazioni personalizzate. Diciamo che proprio guardando alla Quick Step, il più particolare di tutti è Kasper Asgreen. Nella squadra c’è una figura che filtra richieste e problematiche (lo stesso ruolo che alla Trek-Segafredo è di Leslie Zamboni, ndr) e si tratta di Ricardo Scheidecker, responsabile dei materiali. E’ una figura importante, perché deve conoscere la materia ed essere in grado di entrare nei dettagli tecnici».

Per il 70-80% dei casi valgono le taglie standard, con il resto si personalizza (foto Wout Beel)
Per il 70-80% dei casi valgono le taglie standard (foto Wout Beel)

Nuovo body da strada

E proprio i dettagli tecnici, come diceva bene Lefevere in apertura, sono quelli che fanno la differenza. Non è difficile ricordare le sperimentazioni che Castelli ha condotto negli anni a favore di Ineos e poi per ricaduta della nazionale italiana. Il lavoro fatto con i team appartiene al know-how aziendale.

«Grazie a Ineos – riconosce Andrea – il nostro reparto di ricerca e sviluppo ha continuato a progredire, mettendo a punto una grande tecnologia di cui ora godrà la Quick Step. Allo stesso modo in cui sono certo che fra tre anni, potremo dire che grazie alla collaborazione con questi ultimi, avremo fatto altri progressi. Le sinergie sono alla base del successo reciproco. Come concezione, i prodotti che forniamo loro sono gli stessi che aveva Ineos, ma ovviamente ne hanno la versione più nuova. Ogni anno si migliora qualcosa. Il pacchetto è completo e si adatta a ogni situazione. Magari i belgi, specializzati nelle classiche, stresseranno i giubbini come la Gabba più di altri. E ad esempio abbiamo già messo a punto con loro un body da strada per le gare di un giorno, che verrà bene anche nei Giri».