Viezzi a “casa” Van Der Poel: «La scelta giusta per il futuro»

07.12.2024
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BREMBATE – Il sole cerca di salire alto nel cielo e scaldare le gambe e le guance dei corridori ma non ci riesce. E’ dicembre e al Trofeo Mamma e Papà Guerciotti, corso per la prima volta al Vittoria Park, il tempo è bello e freddo. Una vera giornata di ciclocross. I corridori, giunti in grande numero e chiamati a partecipare dal cittì Pontoni, cercano riparo sotto giacche a maniche lunghe e scaldacollo tirato su fino agli occhi. Si fa quasi fatica a riconoscerli, serve un secondo in più ma alla fine ci si riesce. Nell’arco dell’intera mattinata c’è tempo per girare tra camper e furgoni per parlare con tutti, tra curiosità e saluti ci imbattiamo in una figura alta e slanciata. Si tratta di Stefano Viezzi, campione del mondo juniores di ciclocross e da questo inverno passato under 23. Il talento del friulano ha attirato su di sé gli occhi della Alpecin Deceuninck, e dal 2025 sarà uno dei ragazzi del devo team

«La possibilità di andare a correre con loro – racconta – è arrivata alla fine della scorsa stagione di ciclocross. Tante erano le formazioni interessate ma l’unica, o una delle poche, che poteva offrirmi il binomio strada e cross era la Alpecin».

Per Viezzi futuro è chiaro: dal 2025 correrà nel devo team della Alpecin Decuninck (foto Billiani)
Per Viezzi futuro è chiaro: dal 2025 correrà nel devo team della Alpecin Decuninck (foto Billiani)

Non mollare il colpo

Sentire la voglia di Stefano Viezzi nel continuare la sua carriera sia su strada che nel ciclocross è una bella notizia. A qualcuno può risultare scontata, ma in questi anni tanti ragazzi hanno preferito smettere per dedicarsi alla strada. Vero che il talento dello spilungone friulano è indiscutibile, ma siamo certi che non tutti lo avrebbero premiato volentieri

«Per me il ciclocross è importante – continua – anche perché ormai lo faccio da un po’ di anni e penso che sia utile. Sia la strada per il ciclocross che viceversa. Sicuramente la Alpecin è un’ottima squadra, una delle top cinque, se non top tre al mondo. E’ un bel passo per la mia carriera e un grande salto di qualità che sicuramente mi aiuterà a crescere nel modo giusto». 

Viezzi al Trofeo Guerciotti ha colto un ottimo terzo posto tra gli elite
Viezzi al Trofeo Guerciotti ha colto un ottimo terzo posto tra gli elite
Correrai nello stesso team di Van Der Poel, anche se tu sarai nella development, che effetto fa?

Penso sia un buon segno perché lui è gestito dalla squadra e quindi anche io lo sarò. Da questo lato mi sento un po’ più sicuro, Van Der Poel è un grande atleta e negli anni hanno saputo come farlo rendere al meglio. Dagli allenamenti a tutto quello che ci sta dietro. 

E cos’è che ci sta dietro?

Delle piccole cose che a un certo livello possono fare la differenza, ad esempio avere la possibilità in inverno di fare dei ritiri in Spagna per farti salire di condizione è già un bel passo in avanti. 

La scelta di correre alla Alpecin Decuninck è dovuta al fatto di voler coltivare la multidisciplina
La scelta di correre alla Alpecin Decuninck è dovuta al fatto di voler coltivare la multidisciplina
Hai già parlato con il team per capire come lavorerai da gennaio? 

Mi faranno gareggiare e fare qualche gara in coppa con gli elite, di confrontarmi con una categoria superiore. Poi di farmi fare le gare più prestigiose e ovviamente c’è anche la questione nazionale. Ma in generale sono felice perché avrò parecchie chance. 

Com’è stato l’approccio con la categoria?

Sempre un po’ delicato perché affronto corridori con i quali non ho mai gareggiato e sono più grandi di me, anche di quattro anni. Un po’ me l’aspettavo, poi sto ancora recuperando dall’infortunio di questa primavera (il riferimento è alla frattura della clavicola all’Eroica Juniores, ndr). 

Viezzi correrà nello stesso team di Van Der Poel, un riferimento per il ciclocross
Viezzi correrà nello stesso team di Van Der Poel, un riferimento per il ciclocross
Quando è che fai il primo ritiro col team?

Prima del campionato mondiale di ciclocross (in programma il 2 febbraio a Liévin in Francia, ndr) in Spagna. Per una questione di allenamento andare al caldo aiuta a fare un carico di lavoro maggiore, sarà bello andare là e allenarmi come si deve. Avrò modo di conoscere la squadra, gli atleti con cui correrò e anche un po’ chi ci sta dietro.

Il primo ritiro con la squadra sarà incentrato sulla strada o sul cross?  

Sicuramente sarà un ritiro più bilanciato sulla parte del ciclocross perché a pochi giorni dal mondiale faremo una rifinitura così da arrivare al meglio. Ci saranno tutti i ragazzi della squadra, con grande probabilità ci divideremo a seconda degli impegni. 

Il friulano continuerà ad allenarsi in vista del mondiale di febbraio, per poi passare alla strada
Il friulano continuerà ad allenarsi in vista del mondiale di febbraio, per poi passare alla strada
Quando inizierai a correre su strada?

Si è parlato di qualche classica in Belgio, non penso di fermarmi ma di sfruttare la condizione fino a metà stagione. Poi inizieranno le gare a tappe. 

Grazie e in bocca al lupo! 

Crepi.

Glivar nel WorldTour, ma con la Alpecin: «Cerco i giusti spazi»

17.11.2024
5 min
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Tra i corridori che nel 2025 cambieranno squadra c’è anche Gal Glivar (in apertura foto DirectVelo/Nicolas Mabyle), lo sloveno arrivato quasi da sconosciuto nel devo team del UAE Team Emirates e che dopo una sola stagione ha già dovuto cambiare il proprio destino. Quello di Glivar è uno spunto interessante per continuare il discorso fatto sui giovani del UAE Team Emirates e lo spazio che possono trovare all’interno di una rosa estremamente competitiva. 

Se gli scout hanno evidenziato il talento del giovane sloveno un motivo ci sarà stato, vederlo andare via dopo un solo anno lascia un senso di incompiuto. Come se qualcosa di già scritto poi fosse stato improvvisamente cancellato. Non è detto che tutti i corridori dei team di sviluppo andranno a rimpolpare gli organici della prima squadra, questo è un dato di fatto sul quale si potrebbe (o si dovrebbe) aprire un altro discorso. 

Glivar lascerà il mondo UAE dopo appena una stagione nel devo team (foto DirectVelo/Nicolas Mabyle)
Glivar lascerà il mondo UAE dopo appena una stagione nel devo team (foto DirectVelo/Nicolas Mabyle)

Sempre WorldTour

Tuttavia vedere andare via un corridore come Glivar, per lo più in un team rivale come la Alpecin-Deceuninck, fa capire che a volte il rischio di intasare il sistema sia abbastanza concreto. Così il team di Van Der Poel e Philipsen ringrazia e senza troppi sforzi coglie i frutti del lavoro di qualcun altro. 

«In attesa di ripartire con la nuova stagione – spiega Glivar – sono a casa mia, in Slovenia. Sono andato cinque giorni a Mallorca in vacanza e per il resto del tempo sono rimasto qui. Da poco ho anche iniziato a pedalare e fare i primi allenamenti tra palestra e bici. A volte inserisco qualche sessione di corsa, giusto per riattivare il fisico. Sarò nell’ordine delle 13-14 ore di allenamento a settimana, non di più. Al momento non serve accelerare troppo.

«Con la Alpecin – dice – faremo il primo ritiro tra poco, sono molto contento di iniziare. Entrare nel mondo WorldTour è un sogno che si avvera, un obiettivo che avevo e sono riuscito a raggiungere».

Glivar a inizio 2024 ha corso e vinto il Tour of Sharjah, gara classificata 2.2
Glivar a inizio 2024 ha corso e vinto il Tour of Sharjah, gara classificata 2.2
Qual è il motivo che ti ha portato lontano dalla UAE?

E’ molto semplice, in realtà. Non eravamo sulla stessa lunghezza di pensiero a causa del contratto, non tanto per una condizione economica, quanto per le occasioni di correre e migliorare. Da quando ho intuito che difficilmente sarei andato avanti con loro, ho iniziato a cercare altri team. La Alpecin si è fatta avanti e la cosa è andata in porto subito. 

Secondo te mancava qualcosa per continuare con la formazione emiratina?

Ero al mio ultimo anno nel devo team visto che sono un classe 2002 e quindi dal 2025 non sarò più under 23. Continuare con la formazione di sviluppo non era un’opzione. Probabilmente sono mancati i risultati nelle corse importanti, vincere ti dà modo di avere maggiore confidenza e fiducia. 

Al Lombardia U23 l’ultimo podio di stagione, terzo dietro Rolland e Savino (foto Facebook)
Al Lombardia U23 l’ultimo podio di stagione, terzo dietro Rolland e Savino (foto Facebook)
Qualcosa poteva essere fatto meglio in questo 2024?

Tutto può essere migliorato con il senno di poi. Ho collezionato tanti secondi e terzi posti, l’ultimo dei quali al Giro di Lombardia U23. In certe gare avrei potuto rischiare qualcosa in più per cercare la vittoria, ma alla fine ho ottenuto un totale di 10 podi in stagione. La gara che mi ha sorpreso di più, in positivo, è stato proprio il Lombardia U23. Il percorso era difficile e movimentato, con tante salite, ma stavo bene e il terzo posto finale è un grande risultato. 

Glivar è stato uno dei protagonisti della primavera italiana degli U23, qui trionfa al Belvedere (photors.it)
Glivar è stato uno dei protagonisti della primavera italiana degli U23, qui trionfa al Belvedere (photors.it)
Quest’anno hai corso comunque con i professionisti, come ti sei visto in quel tipo di gare?

E’ stato bello correre con la maglia della UAE e supportare i miei compagni di squadra. Dare il massimo per cercare poi di vincere la gara è qualcosa di speciale e bello, soprattutto nel WorldTour. Mi sono sempre messo a disposizione, difficilmente ho avuto spazio per correre in prima battuta. 

Pensi che il livello sia giusto per te?

SIcuramente ci sono i corridori più forti al mondo, ma sarò felice di scontrarmi con loro e crescere. L’inizio di stagione sarà più morbido, con gare non troppo impegnative per prendere le misure. Per il tipo di corridore che sono ci saranno delle buone occasioni e penso che saprò coglierle al meglio, anche perché in Alpecin ci sarà maggior spazio.

Lo sloveno ha già corso tra i professionisti, eccolo alle spalle di Bax alla Milano-Torino
Lo sloveno ha già corso tra i professionisti, eccolo alle spalle di Bax alla Milano-Torino
E che tipo di corridore sei?

Un puncheur, vado forte nelle corse mosse e con salite brevi ed esplosive. In più ho un buono spunto veloce negli sprint, soprattutto se ristretti. Se dovessi paragonarmi a qualcuno direi che somiglio, per caratteristiche, a Tom Pidcock. 

Che cosa ti ha spinto verso la Alpecin?

Penso che sia un team veramente dedicato a un certo tipo di corse, con due o tre corridori sopra gli altri: Van Der Poel, Philipsen e Groves. Però d’altro canto non ci sono tante superstar e quindi per noi giovani c’è il giusto spazio per crescere e avere le nostre occasioni. La UAE mi ha dato tanto, con il mio allenatore Giacomo Notari ho instaurato un grande rapporto. Mi dispiace lasciarlo, ma a volte il ciclismo funziona così. 

Un obiettivo per il 2025?

Provare a vincere la mia prima corsa da professionista.

Fiandre, la patria del cross: il Belgio fa quadrato

09.10.2024
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«Se il prossimo anno Van der Poel vorrà avvicinarsi al livello della scorsa primavera – ha detto Philip Roodhooft, team manager della Alpecin-Deceuninck – dovremo pensare molto attentamente a come trascorrere l’inverno. Il cross non dovrebbe incidere negativamente sulla stagione delle classiche. Anche se vorrei sicuramente aggiungere questa sfumatura: a Mathieu piace ancora correre nel ciclocross».

In Belgio è di nuovo tempo di far festa. Con il Lombardia e le corse in Veneto che mandano in vacanza gli stradisti, da sabato a Beringen inizierà infatti la stagione del grande cross. I regolamenti dell’UCI, secondo cui la Coppa del mondo ha la precedenza su ogni altra challenge, hanno fatto riscrivere i calendari e portato spostamenti e cancellazioni. Nel Superprestige ad esempio è saltata la classica di Boom, che si arrende davanti alla data protetta della Coppa a Dublino.

La challenge UCI si svolgerà da fine novembre a fine gennaio con 12 gare: due in meno rispetto allo scorso anno. Debutterà ad Anversa il 24 novembre e proseguirà con appuntamenti internazionali come Dublino, Oristano e Benidorm. Non ci saranno invece Waterloo, Val di Sole (spostamento appunto in Sardegna) e Flamanville. Una delle novità di questa stagione saranno le doppiette, con gare il sabato e la domenica. Il 21-22 dicembre con Hulst e Zonhoven. Il 25-26 gennaio a Maasmechelen e Hoogerheide.

Il ritorno nel cross potrebbe dare a Van Aert la base per ripartire forte su strada
Il ritorno nel cross potrebbe dare a Van Aert la base per ripartire forte su strada

Uno sport delle Fiandre

Il calendario belga è ricchissimo: con le date del Trofeo X2O e con l’Exact Cross, non c’è fine settimana senza gare, senza tifosi e senza fiumi di birra. Eppure il manager di Van der Poel ha approfittato della presentazione della sua Crelan-Corendon per smarcare il cross dalla presenza dei grandi campioni e, al contempo, difenderlo da una pericolosa deriva internazionale.

«Non credo che il gravel sia una minaccia seria – ha detto a Het Nieuwsblad – perché il gravel è uno sport da fare, il ciclocross è uno sport per spettatori. Il gravel è interessante solo quando, come domenica scorsa ai mondiali di Leuven, ci sono le stelle alla partenza. Non è certamente una minaccia per il cross, non avrà mai la stessa visibilità. Però mi rendo conto che il nuovo calendario internazionale si preoccupi troppo di come possiamo migliorare il cross in altri Paesi. Io dico che innanzitutto dobbiamo assicurarci che continui a vivere nelle Fiandre, dove ha grande successo. Facciamo in modo di avere qui le date che servono. Il numero di gare trasmesse in diretta televisiva è la forza trainante dell’esistenza delle squadre professionistiche. In altri Paesi invece il cross ha vita dura a causa della mancanza di una diretta televisiva. Non ho alcun problema che la Coppa del mondo sia la classifica più importante, ma ci deve essere spazio per garantire che il ritorno per gli sponsor rimanga alto».

Uno degli astri nascenti è Tibau Nys, qui a Zonhoven lo scorso gennaio: guardate la folla sul percorso
Uno degli astri nascenti è Tibau Nys, qui a Zonhoven lo scorso gennaio: guardate la folla sul percorso

Fra cross e strada

Si fa fatica a capirlo se almeno una volta non si è stati lassù, anche solo per un weekend, immergendosi nell’atmosfera dei campi di gara. E’ un altro mondo. E’ un pubblico da stadio capace di stare per tutto il giorno lungo un anello di pochi chilometri per vederli passare, incitandoli a ogni passaggio. Pagando il biglietto. Pagando le consumazioni. Infiammandosi davanti a corridori che magari su strada non corrono e, quando lo fanno, vedono a stento l’arrivo. Non conta niente.

«Ci sono ancora molti corridori – dice ancora Roodhooft – che vincono gare o ottengono podi nel cross senza sudare sulla strada. E’ per loro che dobbiamo cercare di mantenere questo sport interessante. Meglio essere un atleta di successo nel cross, che un corridore qualsiasi su strada. Questo è più interessante dal punto di vista sportivo ed economico. E’ chiaro che per i produttori di biciclette il gravel sia più importante, perché ha molti più potenziali clienti: gli amatori che pedalano nel tempo libero. Ma il cross ha un modello economico diverso, basato sulla televisione e sugli spettatori paganti. Il fatto che possa essere incluso nel programma olimpico gli darebbe un’immagine diversa a livello internazionale. Ci sarebbe più interesse da parte dei corridori e più budget da parte delle federazioni e dei comitati olimpici. Ma non voglio nemmeno sopravvalutarne l’importanza. La mountain bike è diventata uno sport mondiale solo perché è nel calendario olimpico?».

Iserbyt è un riferimento del cross in Belgio, capace di 50 vittorie dal 2019, fra cui gli europei del 2020
Iserbyt è un riferimento del cross in Belgio, capace di 50 vittorie dal 2019, fra cui gli europei del 2020

Non di sole stelle

Richiesto infine ancora sul calendario di Van der Poel, Roodhooft ha aggiunto il suo punto di vista che, immancabilmente, dovrà fare i conti con l’estro e la voglia di vincere dell’olandese.

«Se domenica Mathieu ha detto che non lo sapeva ancora – dice – non ha mentito perché non ne abbiamo ancora discusso. La mia sensazione personale è che lo vedremo all’opera nel cross anche il prossimo inverno, ma sicuramente non gli imporremo nulla. Ci rendiamo anche conto che Mathieu è il simbolo di questo sport, ma ovunque inizi, ci si aspetta sempre qualcosa da lui. Penso anche che dovremmo avere il coraggio di guardare a questo sport in modo diverso. I cross con Mathieu e Van Aert sono uno spettacolo stellare. Ma se al via c’è solo uno dei due, spesso si ha la sensazione di guardare un criterium. Dobbiamo essere contenti dei corridori che sono presenti ogni settimana e non possiamo certo minimizzare la loro prestazione».

Conci al bivio: inseguire la vittoria o aiutare un capitano?

13.08.2024
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Dopo un buon Giro d’Italia fatto di mille fughe in montagna, lo Svizzera e il campionato italiano chiuso al tredicesimo posto, con 46 giorni di corsa nella prima parte dell’anno, Nicola Conci ha sentito il bisogno di staccare. Il trentino, che dal 2022 corre con la maglia della Alpecin-Deceuninck, si è ripresentato a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne. Nella prima tappa, che aveva l’arrivo in salita a Karapacz, ha cominciato con un decimo posto niente male a 9 secondi da Nys. L’obiettivo in queste corse è la vittoria, che gli manca da un tempo siderale.

Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin
Nicola Conci, 1,85 per 68 chili, è professionista dal 2018. Dopo 4 anni alla Trek e pochi mesi alla Gazprom, è arrivato alla Alpecin

Il tempo delle scelte

Nel frattempo nella sua testa sempre molto razionale si fa largo la necessità di scegliere una nuova strada. E’ il bivio di tanti buoni corridori che, in questo ciclismo popolato di grandi campioni, piuttosto che insistere con le ambizioni personali, si rimboccano le maniche per i più grandi, diventando parte integrante delle loro vittorie. Lo spiegava giorni fa Dario Cataldo e forse anche Conci è sulla porta di quella scelta. Nel frattempo ha cambiato i suoi procuratori e da Fondriest-Alberati è passato ai fratelli Carera.

«Insomma – dice – ho fatto un bel periodo di stacco dalle gare. Dal Polonia andrò diretto al Giro di Germania, quindi ho davanti due o tre settimane abbastanza intense. Poi ho in programma di fare il Lussemburgo e il blocco di gare italiane fino al Giro del Veneto. Sono in scadenza di contratto, stiamo lavorando su più fronti, ma ancora non sono certo di cosa farò. Mi sono diviso da Maurizio e Paolo perché dopo anni sentivo il bisogno di cambiare. Ci siamo lasciati in buoni rapporti, non è successo niente di particolare. Qui alla Alpecin sto bene. E’ un’ottima squadra, manca solo la familiarità cui noi italiani siamo abituati e che a volte farebbe piacere. Prima eravamo parecchi, ora ci siamo solo Luca Vergallito ed io. Faccio un esempio. A me piace parlare durante il massaggio, ma farlo in inglese è un po’ limitante. Non posso certo lamentarmi perché non posso parlare italiano durante i massaggi, ma sono le piccole sfumature con cui si convive».

Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
Conci è rientrato alle corse a San Sebastian e da ieri è al Tour de Pologne
A primavera ci eravamo detti che il Giro sarebbe stato un momento importante. Sei stato protagonista di tante fughe, come lo valuti?

Sono stato contento perché mi sono ritrovato. Sono soddisfatto delle sensazioni che ho avuto e di qualche tappa in modo particolare. Penso che fare meglio sarebbe stato difficile. Ad esempio quella di Torino, la prima, dove sono arrivato quinto. Sarei anche potuto star lì e provare a seguire, anche se probabilmente nessuno sarebbe riuscito a tenere Pogacar. Invece ho deciso di fare una bella azione: ho provato a vincere e mi è piaciuto. Un altro giorno in cui mi sono divertito tanto è stato quello di Livigno, la tappa più dura del Giro. Sono stato per 177 chilometri all’attacco, c’era tantissimo dislivello e alla fine sono arrivato dodicesimo. Mi hanno preso quelli di classifica a due chilometri all’arrivo, quindi è stata una bella tappa (foto di apertura, ndr). Certo mi rimane un po’ rammarico per alcune fughe come quella di Fano, in cui ha vinto Alaphilippe e io non ho trovato il momento giusto e quella del Brocon.

Dove peraltro correvi in casa, visto che sei originario della Valsugana…

Mi dispiace un po’ il fatto che non abbiano dato spazio alla fuga. Sono stato fuori per quasi 70 chilometri, poi inspiegabilmente la DSM si è messa a tirare, ha chiuso la fuga e poi si sono fermati. E in quel momento è ripartito Steinhauser, che ha vinto. Sinceramente a quel punto non avevo le gambe per seguirlo una seconda volta. Mi è dispiaciuto, sono i miei posti, volevo fare bene.

In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
In fuga anche sul Grappa, Conci ha attaccato in tutti i tapponi del Giro
Che cosa ti lasciano oltre a tanta fatica queste fughe così lunghe?

Nel giorno del Mottolino, sono stato sorpreso di me stesso. Dopo tutto il giorno all’attacco, sono riuscito a spingere bene anche sul Foscagno e a scollinare quarto. Non è scontato rimanere vicino ai primissimi nel ciclismo che stiamo vivendo, in cui c’è un gap enorme tra pochi campioni e il resto del gruppo. Se quel giorno avessi scelto di restare in gruppo, non avrei migliorato il mio risultato. Non avrei tenuto le ruote degli altri di classifica e sarei stato risucchiato indietro. Invece sono riuscito a sorprendere me stesso. Sul Mortirolo ero un po’ infastidito che molti non tirassero, così ho attaccato dalla fuga e sono rientrato davanti. Ho sprecato un po’ di energie, però è stata una bella giornata.

Sei stato uno junior da tante vittorie ogni anno, quale differenza vedi fra il Conci di allora e gli juniores di ora, che vincono il tuo stesso numero di gare e poi sono pronti per passare professionisti?

Parliamo di dieci anni fa, ma il mondo è cambiato totalmente. Da junior non ho mai fatto più di quello che dovevo, anzi mio papà iniziò a seguirmi proprio per tutelarmi. Di certo non sono uno che a quell’età faceva le 6 ore. Semplicemente andavo forte in salita e ho vinto diverse gare perché mi veniva facile fare la differenza. Poi da professionista è un’altra cosa, anche se il problema dell’arteria iliaca mi ha condizionato parecchio. Tornando al periodo da junior, non è che facessi grandi lavori. Si curava la forza, ma ad esempio non ho mai fatto dietro macchina. Cominciai da dilettante e nel dirlo sembra che parliamo degli anni 40 invece era il 2014-2015…

In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
In azione nella crono di Perugia al Giro. Oggi il Polonia propone una prova contro il tempo, ma sarà una cronoscalata
Hai 27 anni e tanti corridori alla tua età hanno già fatto una scelta quasi radicale: non vinco, meglio andare a lavorare per qualcuno che sa farlo. Inizia a balenarti per la testa?

Certamente. Stiamo vivendo un ciclismo molto particolare, ci sono certi atleti che vanno molto più forte degli altri e quindi ci sta che le squadre vengano costruite attorno a loro. Quindi quelli che non vincono, come me – perché dati alla mano non ho ancora vinto – è normale che un giorno o l’altro si mettano a disposizione. In realtà ho sempre lavorato anch’io per i miei compagni, anche se magari al Giro nelle tappe più dure avevo la libertà di andare in fuga.

Ieri sei arrivato decimo nell’arrivo in salita, quanta voglia hai di alzare le braccia?

Ci penso sempre. Ho 27 anni e non so per quanti anni correrò ancora, perché è un ciclismo spietato. Spero ancora tanto, però sarebbe un peccato chiudere senza aver mai vinto da professionista. Non è che vincere sia la cosa più importante, si può anche aiutare e avere grandi soddisfazioni. Oggettivamente mi sono reso conto che per vincere devo cercare di inventarmi qualcosa, non posso aspettare i finali. Anche ieri ho pensato diverse volte negli ultimi 2-3 chilometri di provare ad anticipare, però ero un po’ stanchino.

Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ai mondiali del 2022, Conci è entrato nella fuga in cui viaggiava anche Rota
Ci sono appena state le Olimpiadi e ora si lavora per i mondiali. Hai corso quelli di Wollongong nel 2022, Zurigo potrebbe essere adatta a te…

Sinceramente ci penso molto, ma non ho ancora sentito Bennati. In verità penso che dipenda da me e dal fatto che riesca a dimostrare di pedalare bene. Wollongong resta un bel ricordo, facemmo una bella corsa e mancò la medaglia con Rota per dei tatticismi. Rimasi in fuga per 60 chilometri insieme a lui. Fu una bella giornata, l’ho supportato per quanto possibile e venne fuori una gran corsa. Sicuramente è stato un bel onore vestire la maglia nazionale, è sempre qualcosa di speciale. Vedremo se riuscirò a conquistarla ancora.

Philipsen di rabbia. Il belga si sblocca e attacca la verde

09.07.2024
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«Sapevamo di non essere partiti al massimo della forma, ma stiamo tutti crescendo e ci sono ancora belle tappe da vincere», Jasper Philipsen, re dell’ultima Sanremo, di fatto continua il suo urlo anche dopo l’arrivo. In quel suo sprint c’erano rabbia e frustrazione. E chiaramente tanti watt.

Chi avrebbe mai detto, prima di questo Tour de France, che all’inizio della decima tappa il tabellino del corridore della Alpecin-Deceuninck  sarebbe stato ancora a zero dopo il predominio assoluto dell’anno scorso?

Tappa piatta in ogni senso, che ha vissuto in attesa dello sprint e di un maltempo finale che non c’è stato

Piattone francese

La Orléans-Saint Amand Montrond non prevede Gpm e come già accaduto in molte altre frazioni di questa Grande Boucle si è corso “da Giro d’Italia”, con la bagarre che è esplosa solo nel finale. Anche qui al Tour dunque non si fa più la fuga per far vedere la maglia, quando prima la si cercava a tutti i costi? C’è molto meno nervosismo del solito in gruppo, tanto è vero che i ritiri sono stati pochissimi sin qui, appena quattro.

Ma torniamo a Philipsen. Ieri aveva cercato di recuperare il più possibile. La sgambata con i compagni, gli autografi ai fan… ma mancava qualcosa. Secondo posto al campionato nazionale e ancora due piazze d’onore in questo Tour, più una squalifica, altrimenti sarebbero stati tre.

«Tutto sembrava andare contro di me nella prima settimana – ha detto Jasper ai media belgi – posso dirvi che non sono rimasto positivo per tutto il tempo, c’è stata delusione. Ho cercato solo di rimanere concentrato, di mantenere la calma e fare quello che dovevo. Non penso di essere meno forte dell’anno scorso. A volte è solo questione di opportunità».

E questa tappa senza Gpm era l’opportunità perfetta. E lo era anche perché una fuga, che tra l’altro ricordiamo neanche c’è stata, non avrebbe fatto paura. Si sarebbe potuti correre tranquilli, risparmiando energie… Energie quanto mai preziose quando si è in certe condizioni di tensione.

Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti
Guardate che dominio: il belga infila Girmay. Nella classifica a punti (maglia verde) ora sono separati da 74 punti

Jasper di rabbia

Neanche il maltempo o il vento, tanto attesi, ci mettono lo zampino. E il duo delle meraviglie può scatenarsi. Sembra di tornare indietro di un anno. Ai 700 metri si mette in moto il “TVP”, Treno Van der Poel”.  Mathieu schiaccia l’acceleratore. Il gruppo si allunga e Philipsen lo segue ad un centimetro (anche questa è una dote a certe velocità).

L’iridato si sposta. Come un gatto Jasper si alza sui pedali e scarica a terra tutta la sua potenza. Il tempismo e l’aerodinamica di questo momento sono perfetti. Un gesto eseguito così bene che alle sue spalle si apre immediatamente un varco. Girmay deve così lottare improvvisamente con più aria: passa dalla terza alla seconda ruota e con Philipsen già sui pedali incassa mezzo metro di distacco. In un attimo si ritrova con un buco di una bici.

«Ho già detto più volte che l’anno scorso quasi ogni sprint è stato un successo – ha ribadito Van der Poel dopo l’arrivo – tutto andava perfettamente, ma non è sempre così. Oggi eravamo tutti estremamente motivati. Ci sono poche opportunità per noi come squadra. E sono felice che ora siamo sulla buona strada. Dubbi su Philipsen? Mai avuti e neanche lui dovrebbe averne».

E dopo l’urlo la liberazione di Philipsen: «Sono molto felice per la squadra che ha continuato a crederci e ha ottenuto una meritata vittoria. Non era facile dopo cinque sprint non vinti».

L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen
L’abbraccio con Van der Poel, ancora una volta determinante per Philipsen

Maglia verde

Questa vittoria di Philipsen riapre i giochi per la maglia verde. E lo fa non tanto per i 20 punti rosicchiati all’eritreo, ma per quel click che è avvenuto nella testa dello sprinter numero uno al mondo.

«Ci sono ancora diverse occasioni per noi velocisti e tanti punti in palio – ha detto Philipsen – Biniam ha tanti punti di vantaggio ma con la squadra in crescita ci proveremo. Oggi i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro. Jonas Rickaert ha iniziato bene, Robbe Ghys e Mathieu Van der Poel mi hanno poi portato in posizione perfetta sul rettilineo finale».

Tuttavia non sarà facile battere Girmay. Anche oggi ha fatto secondo, è in una fase di sicurezza importante e lo testimonia la sua costanza di rendimento e il fatto che a Troyes sia arrivato con i big.

La lotta per la maglia verde pertanto è più accesa e intensa che mai e sembra un discorso a due. Anche se, visto il percorso del Tour, Girmay ci sembra leggermente favorito. In salita tiene meglio di Jasper. Ma adesso Philipsen è in fiducia.

L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello
L’11ª tappa: domani 211 km e ben 4.177 metri di dislivello

Big o fuga?

Infine uno sguardo a domani. Tappa ideale per le imboscate da fuga ma anche per la classifica. Il Massiccio Centrale è una trappola continua.

Probabilmente i big torneranno alla ribalta verso Le Lioran. Se oggi è stata calma piatta è auspicabile che domani se le daranno di santa ragione, tanto più visto il dislivello complessivo che li attende: oltre 4.000 metri.

Le parole forti delle conferenze stampa del giorno di riposo sembrano un lontano ricordo. Forse proprio perché già si pensava a domani. Gli ultimi 35 chilometri in particolare sono senza respiro. C’è anche un abbuono in palio sul penultimo Gpm (Col de Pertus) e il Col de Font Cère è a soli tremila metri dall’arrivo.

Il Tour di Van der Poel finisce ugualmente a Parigi

28.06.2024
5 min
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FIRENZE – Al 28 giugno, cioè oggi, Mathieu Van der Poel – il campione del mondo – ha collezionato sette giorni di corsa, con tre primi, un secondo e un terzo posto. Anche se le vittorie sono, il Fiandre, la Roubaix e il GP E3 Saxo Bank e il secondo posto la Sanremo, non sarà poco? In precedenza aveva disputato la stagione del cross, con 14 gare e 13 vittorie, staccando per 40 giorni fra il mondiale vinto a Tabor e la Sanremo.

E’ vero che i conti si fanno alla fine e che d’ora in avanti lo attendono il Tour, le Olimpiadi e poi forse anche i mondiali, ma non avremmo mai immaginato che l’olandese avrebbe preso così alla lettera i consigli di chi suggeriva una gestione più oculata degli sforzi. Lo scorso anno di questi tempi, i suoi giorni di corsa erano stati 20, l’anno precedente addirittura 31.

Van der Poel ha incontrato la stampa assieme a Philipsen: i loro obiettivi coincideranno di nuovo?
Van der Poel ha incontrato la stampa assieme a Philipsen: i loro obiettivi coincideranno di nuovo?

Settanta giorni

Il suo capo fa scudo. Christoph Roodhooft, che alla Alpecin-Deceuninck si occupa della gestione sportiva mentre il fratello Philip è l’uomo dei contratti, dice che va bene così, invitando a non guardare il dito, ma la luna.

«Ogni volta che ha corso – dice – Mathieu è stato estremamente presente. Non lo sapevamo in anticipo, stavamo correndo un rischio, ma adesso ogni scelta sembra perfettamente giustificabile. Se poi si tratti di uno scenario che possa essere giustificabile per ogni stagione, è un’altra questione. Bisogna considerare l’anno nel suo complesso e alla fine anche Mathieu avrà settanta giorni di gare, come la maggior parte dei professionisti di oggi. A lui piace molto questa pianificazione. Quest’anno abbiamo sacrificato il Baloise Belgium Tour, perché una vittoria lì o al Giro di Svizzera non cambierebbe la sua carriera. Lui ha molte pressioni quando corre, tutto è ingigantito. Per cui, quando facciamo un programma cerchiamo soprattutto l’equilibrio».

La borraccia a un tifoso: correndo così poco, l’entusiasmo di Van der Poel è sempre fresco
La borraccia a un tifoso: correndo così poco, l’entusiasmo di Van der Poel è sempre fresco

Lo sguardo del bambino

Quando ieri ha incontrato la stampa alla vigilia della presentazione delle squadre, Van der Poel aveva lo sguardo di un bambino in gita. Firenze gli porta bene, anche se forse il ricordo di quel 2013 in cui vinse il mondiale juniores davanti a Mads Pedersen ora gli sembra davvero lontanissimo.

Cosa ricordi dei mondial di Firenze 2013?

E’ successo molto tempo fa, quel giorno è sparito da tempo nei ricordi. Ma Firenze è una città bellissima in cui correre. Proprio come il fine settimana di apertura del Tour, anche quel mondiale era una corsa molto dura. Poi ho vinto, ma la differenza è che ora peso dieci chili in più.

Perché hai scelto una preparazione con soli allenamenti e senza gare?

Perché la primavera è stata lunga. La stagione del cross richiede un lungo periodo di forma e concentrazione. Avevo bisogno di una pausa dopo la Liegi. Quando ho ricominciato ad allenarmi, prima a La Plagne con la squadra, poi da solo in Spagna, ci è voluto davvero un po’ prima di avere il giusto feeling con la bici. Le Olimpiadi arriveranno presto, quindi era necessario gettare basi ampie. Preferirei correre più spesso, ma questo è il ciclismo moderno.

Il 28 settembre 2013, Mathieu Van der Poel conquista il mondiale juniores. Secondo Pedersen
Il 28 settembre 2013, Mathieu Van der Poel conquista il mondiale juniores. Secondo Pedersen
Il Tour sarebbe nuovamente un successo per te senza una vittoria di tappa?

Questa domanda mi perseguita. Non ho vinto una tappa l’anno scorso, ma ho pensato che sia stato ugualmente un successo, con molti ringraziamenti da parte di Philipsen che ha preso la maglia verde. Mi è piaciuto far parte di questo suo risultato. E il Tour mi ha aiutato tantissimo anche in vista del mondiale.

Sei qui a preparare le Olimpiadi?

Non ho detto questo. Mi sono allenato duramente per vincere una tappa. Tuttavia, le volate sono ovviamente per Jasper e ci sono pochissime opportunità per i corridori da classiche. Mi aspetto che il fine settimana di apertura sia semplicemente troppo duro. Soprattutto la tappa di domenica.

Per voi corridori del Nord potrebbe esserci la nona tappa con i suoi sterrati?

Quella dovrebbe andarmi bene. Ma un po’ mi conoscete, non ho ancora studiato molto bene il libro di corsa. Non ho guardato oltre il primo giorno di riposo.

Philipsen e la sfida per la maglia verde: dopo la conquista 2023, sarà di nuovo sua?
Philipsen e la sfida per la maglia verde: dopo la conquista 2023, sarà di nuovo sua?

Il Tour finisce… a Parigi

Che il Tour servirà principalmente in chiave olimpica è confermato nuovamente da Roodhooft e quasi sembra che si stia lavorando per costruire la… macchina perfetta. Un campione che corre solo quando è certo di poter vincere e per il resto del tempo preferisca allenarsi per i fatti suoi. Con buona pace dei corridori normali che potrebbero vantarsi di averlo battuto, trovandolo in un giorno di condizione mezza e mezza. Si è grandi anche dando dignità e spessore alle vittorie degli altri, ma di questo la modernità del ciclismo non tiene conto. In un modo o nell’altro, il Tour di Mathieu Van der Poel finirà a Parigi con le Olimpiadi.

«Ci sono poche tappe in cui Mathieu potrà perseguire obiettivi personali – dice Roodhoft – ma il resto del Tour è dedicato principalmente alle Olimpiadi. Non bisognerebbe mai definire il Tour una gara di preparazione, ma per corridori del suo calibro ci sono tappe che si possono considerare tali. Nel ciclismo moderno, ogni squadra sa cosa ciascun corridore deve fare ogni giorno. E’ diventato tutto molto ben definito e questo vale anche per lui».

Sbaragli, l’obiettivo tricolore e le sfide fra Philipsen e Merlier

22.06.2024
7 min
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Storie di campionati nazionali e strani incroci. Domani sul traguardo di Sesto Fiorentino conosceremo il successore di Velasco, mentre in Belgio sarà Zottegem a salutare l’erede di Evenepoel. Storie di campionati nazionali e strani incroci. Lo scorso anno sul traguardo di Comano Terme, proprio alle spalle di Velasco e Lorenzo Rota, Kristian Sbaragli ottenne il miglior risultato degli ultimi mesi: terzo. Poi partecipò al mondiale di Glasgow e dopo quattro anni di onorato servizio scoprì di doversi trovare una squadra. La Alpecin-Deceuninck non lo avrebbe tenuto e approdò così al Team Corratec: il campionato italiano di domani potrebbe essere il modo di affacciarsi su un palcoscenico più prestigioso.

Contemporaneamente in Belgio due suoi ex compagni di squadra della Alpecin si troveranno contrapposti dopo una settimana di schiaffoni dati e presi al Baloise Belgium Tour. Merlier e Philipsen, due tappe per il primo e una per il secondo, a tenere viva una rivalità iniziata quando già condividevano maglia e datore di lavoro. Chi meglio di Sbaragli può farci da guida in questo intreccio di storie e nomi? Caso curioso per un tricolore che si assegnerà sulle strade toscane, il favorito numero uno sarà uno dei suoi migliori amici – Alberto Bettiol – con cui ha diviso a lungo allenamenti e sogni (i due sono insieme nella foto di apertura alla Grosser Preis des Kantons Aargau, vinta il 7 giugno da Van Gils con Bettiol al secondo posto).

Kristian è rientrato da poco dall’allenamento, domani (oggi, per chi legge) farà appena una sgambata e poi aspetterà la corsa. Sulla Toscana, come già a Grosseto per le crono, grava un cielo grigio e pesante che sa di caldo, anche se le previsioni per domenica danno anche la possibilità che piova.

Il podio al tricolore del 2023 fu per Sbaragli il lancio verso la convocazione per i mondiali di Glasgow
Il podio al tricolore del 2023 fu per Sbaragli il lancio verso la convocazione per i mondiali di Glasgow
Come arrivi al campionato italiano?

In modo un po’ diverso, perché non avendo fatto il Giro, magari c’è un po’ di base in meno. Però ho fatto diverse corse, come periodo in generale ho lavorato abbastanza bene per arrivare competitivo al campionato italiano, che è un obiettivo importante della stagione.

Il fatto di conoscere le strade e che si corra vicino casa dà qualche vantaggio?

Alla fine realmente cambia poco. Penso che le strade le avranno viste tutti: quelli che hanno già corso la Per Sempre Alfredo conoscono la salita e la discesa. Faremo cinque giri del circuito, avranno tempo di prendergli le misure, non è una gara in linea in cui ti puoi inventare qualcosa. Naturalmente però correre vicino a casa è uno stimolo in più, è il primo campionato italiano che mi capita di fare in Toscana.

Fare bene l’italiano può essere il modo di dare una svolta e un rilancio alla carriera?

Sicuramente. Penso che oggettivamente ci sono tanti corridori che stanno andando forte, che magari alla partenza sono più favoriti di noi. Però faremo il massimo e l’obiettivo è sempre uno: è un obiettivo importante.

Nel 2023 Sbaragli ha corso il mondiale di Glasgow: è andato in fuga e alla fine ha chiuso al 34° posto
Nel 2023 Sbaragli ha corso il mondiale di Glasgow: è andato in fuga e alla fine ha chiuso al 34° posto
La cosa singolare è che uno dei favoriti potrebbe essere il tuo “amicone” Bettiol…

Alla fine, se si vanno a vedere i risultati e la condizione attuale dei corridori, penso che Alberto sulla carta sia il favorito numero uno. Farà una bella corsa, per cui domenica sera si tirerà una riga e vedremo come è andata.

Negli anni scorsi facevi classiche, Giro oppure Tour: cosa ti pare di questa stagione lontano dalle luci della ribalta?

E’ un po’ diverso. E’ un ambiente più tranquillo, c’è meno stress dal punto di vista del risultato in sé per sé. Come in tutte le cose, ci sono lati positivi e lati leggermente più negativi. Non essere invitati al Giro d’Italia è stata una delusione che ha cambiato i piani nella prima parte di stagione. Mi sono trovato a fare delle gare che non conoscevo, però a livello di performance sono abbastanza soddisfatto, anche se a livello di risultati non abbiamo raccolto tanto. Però c’è ancora una bella fetta di stagione, quindi penso che ci sia la possibilità di rifarsi.

Invece cosa puoi dire dei tuoi ex colleghi: andavano d’accordo quando correvano insieme?

Diciamo che la rivalità interna c’è stata al Tour del 2021. Eravamo lì con una squadra per le volate, anche se poi abbiamo tenuto la maglia gialla per la prima settimana con Mathieu. Mi pare che la prima volata la vinse Merlier e Philipsen fece secondo. Jasper ha sei anni di meno e doveva ancora diventare quello che è oggi. Per noi il velocista di riferimento era Tim e quindi oggettivamente c’era un po’ di sana rivalità.

Philipsen faceva l’ultimo uomo di Merler?

Era un vincente, forse quel ruolo gli stava stretto. Quando Tim vinse la prima volata, i ruoli rimasero quelli, fino a che Merlier finì fuori tempo massimo e dovette tornare a casa. Per cui nella seconda parte del Tour fu Philipsen a fare le volate. Fece un paio di podi (arrivò due volte terzo e poi secondo a Parigi dietro Van Aert, ndr) e non riuscì a vincere, infatti mi ricordo era un po’ deluso. Invece nel 2022 si è rifatto bene e l’anno scorso ancora di più.

Quindi era prevedibile che nel 2023 Merlier andasse via?

Sì, oggettivamente, anche vista dall’interno, era un po’ prevedibile. In tutti i team, è molto difficile tenere due corridori con le stesse caratteristiche. Magari se c’è uno scalatore o un velocista, anche se non hai un budget altissimo, si trova spesso la possibilità di tenerli. Invece due corridori con le stesse caratteristiche sono proprio un problema. Anche se non fosse un fatto economico, potrebbe diventare un problema di calendari, perché alla fine noi eravamo una squadra basata sulle gare d’un giorno e sulle tappe. Non avevamo corridori da classifica, quindi alla fine le occasioni sono quelle. E se hai due leader, è difficile che la convivenza sia possibile. Per cui alla fine fu presa una decisione.

Al Giro del Belgio se le sono suonate di santa ragione, secondo te fra loro c’è una sana rivalità o un po’ di veleno?

Non credo ci sia veleno, penso più a una bella rivalità. Anche perché soprattutto Tim è una persona veramente tranquilla, pacifica. E’ difficile discuterci, è veramente super rilassato e comunque anche al Giro d’Italia ha dimostrato di essere competitivo e sono contento anche per lui. Si portava dietro la fama di quello che non riusciva a finire i Grandi Giri, invece quest’anno ha vinto bene all’inizio e ha vinto bene anche la tappa di Roma. Penso che per lui sia stata una vera soddisfazione.

Può aver inciso nella scelta il fatto che Philipsen sia così amico di Van der Poel?

Quelle sono cose un po’ più personali. Credo che le scelte vengano fatte al 99 per cento sull’aspetto tecnico e poi sul resto. Quindi immagino sia stato solo valutato quello che Jasper poteva portare di più alla squadra e con il senno di poi, penso che ci abbiano guadagnato entrambi. Quindi alla fine, tutti contenti…

Per il giorno di vigilia (oggi) sgambatina oppure riposo?

Sgambatina. Un’oretta e mezza, due al massimo. Tranquillo. E’ il giorno prima della gara, per fare fatica ci sarà tempo domenica.

Quinto a Torino, ma Conci comincia col piede giusto

04.05.2024
5 min
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TORINO – Quando si è voltato a pochi metri dallo scollinamento di San Vito, Nicola Conci ha avuto la percezione del sogno che finiva. Quella sagoma bianca non lasciava spazio a dubbi, ma non ha cancellato la bellezza della sua azione. Il trentino ha attaccato, come pure Caruso e l’indomito Pellizzari. E per la prima volta da qualche anno ha sentito che tutto funziona come deve. La gamba spinge, il cuore la sostiene: a queste condizioni sognare non è più vietato.

Quella sagoma bianca

Prima tappa del Giro d’Italia, la sconfitta di Pogacar fa sembrare tutto più grande di quanto sia davvero. La UAE Emirates ha frantumato il gruppo e alla fine è lì a masticare sul terzo posto di Tadej. Lo sloveno non ce l’ha fatta a stare fermo e ha subito l’astuzia e la freddezza di Narvaez, ma quando ha preso e saltato Conci, la sensazione era che avrebbe fatto di tutti un sol boccone.

«E’ stata come ci si aspettava – dice Conci – una corsa dura nella seconda parte, soprattutto nel momento in cui la fuga cominciava ad avere un vantaggio discreto, considerata la lunghezza della tappa. Ho visto due ragazzi che si muovevano, uno era Honoré e l’altro Echachmann. Sono dei pedalatori, mi sono inserito ed è nata una bella azione. Stavo molto bene. Ho visto il momento in cui c’era un piccolo gap dietro di me. Ho accelerato un attimo e sono riuscito a prendere vantaggio. Fino a metà della salita finale ci ho creduto abbastanza, non nascondo che un pochino il sogno l’ho cullato.

«Poi mi sono girato. Ho visto una sagoma bianca con i colori della Slovenia e ho capito. Certo un po’ di rammarico c’è, perché sono esploso negli ultimi cento di metri di salita. Se non avessi fatto un fuorigiri così, magari sarei riuscito a rimanere con i primi tre. Anche se dubito che poi avrei avuto le gambe per fare una buona volata…».

Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe
Dopo l’arrivo, un po’ di delusione, ma soprattutto la sensazione di avere buone gambe

Lo avevamo sentito ad aprile, deluso per non aver corso le Ardenne eppure motivato per arrivare bene al Giro. Vedendolo inquadrato durante la fuga, nel box dei giornalisti all’arrivo si ragionava su quanto sembrasse predestinato da junior e i mille intoppi degli ultimi anni. Finalmente però si comincia a vedere un bel Conci al Giro d’Italia…

Era ora?

Non nascondo che il Giro sia una corsa a cui tengo fin da bambino. L’ho detto più volte: i primi quattro anni da professionista sono stati difficili. Il quinto è stato travagliato con la storia della Gazprom e l’anno scorso non nascondo di aver preso una batosta a livello morale non indifferente, dovendomi ritirare dopo solo sei tappe. Quindi quest’anno ho mantenuto la calma, ho avuto qualche malanno di influenza. Sono caduto ai Baschi, quindi non sono riuscito a esprimermi al meglio, ma negli ultimi dieci giorni ho cominciato a stare veramente molto bene.

Quel che serve per arrivare giusti alla partenza?

Sapevo di aver lavorato bene, quindi arrivo a questo Giro fiducioso di poter far bene e con la voglia di godermelo fino in fondo. Non lo nascondo, ma uno dei miei primi obiettivi è quello di arrivare a Roma e godermi queste tre settimane. Finire un grande Giro sembra scontato, una volta che si è professionisti, ma è comunque un sogno. Nel momento in cui si arriva al traguardo finale ci si rende conto di aver fatto qualcosa di grande. Quindi ho la condizione, cercherò di far bene in diverse tappe, ma uno dei miei obiettivi rimane quello di vedere il Colosseo.

L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
L’attacco di Conci è venuto nel tratto di pianura che precedeva l’ultima ascesa a San Vito
Eri partito per andare in fuga?

Sì. Ieri ho fatto un paio di lavoretti cosiddetti opener, azioni ad alti giri, e in certi momenti mi domandavo se il power meter funzionasse, perché veramente stavo bene. Oggi ero anche molto nervoso e un po’ lo sentivo nelle gambe. Poi ho visto il momento, stavo bene, ho capito che era un buon momento e sono andato. E alla fine è venuta fuori una bella prestazione.

Com’è la sensazione di quando si vede arrivare Pogacar? Probabilmente nelle prossime tre settimane la vivranno in tanti…

Sinceramente non è che fossi tanto sorpreso. Ho sentito che avevo 20 secondi sul gruppetto e 25 dal gruppo dietro. Fino a poco prima della salita avevamo un gap maggiore rispetto al grosso, quindi ho immaginato che avessero aperto il gas. Se c’era un corridore che mi aspettavo di vedere per primo era lui e così è stato.

E’ parso che per un po’ abbiate discusso in fuga…

C’era la sensazione che si andasse via con il freno non tirato, ma non al massimo. Ognuno sapeva che anche se fossimo arrivati insieme e ci fossimo giocati la tappa, avremmo dovuto combattere tra noi sulla salita, quindi ognuno giustamente ha cercato di risparmiarsi. Restano la bella sensazione e l’orgoglio di aver fatto una mossa intelligente.

Quindi è stata un’azione voluta?

Sinceramente era già qualche minuto che acceleravo, poi frenavo. Acceleravo e frenavo, perché alla fine tutti giustamente guardavano Tadej e lui ormai aveva solamente Maika a tirare. Sapevo che se ci fossero stati degli attacchi, alla fine sarebbe toccato a Rafal tirare contro gli elementi della fuga. E di conseguenza sapevo che c’era la possibilità di andare lontano. E così ci ho provato. Io e anche altri…

Van der Poel si inchina, ma non bacia l’anello

22.04.2024
4 min
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LIEGI (Belgio) – Van der Poel rispolvera un po’ di sano realismo e si arrende con l’onore delle armi. Sul podio c’è salito, sia pure a più di due minuti dal vincitore. E siccome è un ragazzo dotato di cervello fino, il suo bilancio di fine Liegi è lucidissimo.

«Anche con le gambe migliori non avrei potuto seguire Tadej – dice – non so davvero come sono riuscito a salire sul podio. Ora capisco perché dicono che la Liegi-Bastogne-Liegi sia difficile da abbinare alle classiche del pavé. Il recupero dopo il Fiandre e la Roubaix si è rivelato più complicato del previsto e ciò fornisce spunti di riflessione per il futuro. Vincere qui, se al via ci sarà anche Tadej, sarà molto difficile e forse addirittura impossibile».

Quando arriva per raccontarsi, l’olandese iridato è straordinariamente rilassato, come chiunque abbia vinto Fiandre e Roubaix e volendo potrebbe andarsene in vacanza e nessuno gli chiederebbe altro.

Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Van der Poel prima del via è stato accolto da una salva di applausi e si è concesso ai tifosi
Sei felice o pensi ti sia mancato qualcosa?

Sono felice. Fino a cinque chilometri dalla fine, non credevo nel podio. Penso che tutti abbiano capito che oggi (ieri, ndr) era il massimo possibile per me. Rientrare è stato un grande sforzo. Ero dietro per togliermi gambali e guanti, quando davanti c’è stata la caduta e la strada si è bloccata. Pensavo che non avremmo mai rivisto la parte anteriore della corsa, quindi ero già felice che dopo un lungo inseguimento fossimo rientrati. Già sentivo che le mie gambe erano un po’ stanche, ma credo che anche con gambe migliori non avrei potuto fare niente di meglio.

Un terzo a Liegi chiude un’ottima stagione delle classiche…

Penso che la mia stagione sia già più che soddisfacente, ma sono davvero felice di essere salito sul podio anche oggi. E’ stata una decisione attentamente ponderata quella di far durare il mio picco di forma così a lungo e non vedo perché sarebbe impossibile non farlo di nuovo nei prossimi anni. Dalla Sanremo alla Liegi. E’ qualcosa che conosco da quando gareggio in inverno nel ciclocross e poi passo su strada. Mi regala lunghi periodi di competizione ad alto livello. L’unico dettaglio che forse ho sottovalutato è stato il calo di tutta la squadra dopo Roubaix. Avevamo vinto i primi tre Monumenti, è stato difficile per tutti rimanere così concentrati e motivati per il quarto. Non c’è vergogna nell’ammettere che siamo stati battuti da atleti migliori di noi.

Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Tanto è potente e perfetto in pianura, per quanto appare quasi fuori posto in salita
Si è sempre detto che la Liegi sia una gara per scalatori.

Vero, ci sono stati scalatori migliori di me, ma alla fine mi sono trovato a sprintare contro altri scalatori e ho avuto io la meglio.

Ti pesa pensare che potresti non vincere mai una Liegi?

E’ una domanda che non mi pongo, siete voi giornalisti a farvela. Sono una persona abbastanza realistica, so che se Pogacar avrà una buona giornata, non potrò mai seguirlo nemmeno con le mie gambe migliori. Ho solo una cosa da sperare e cioè che un giorno non stia bene, altrimenti sarà sempre difficile vincere qui.

Non dipende da te in nessun modo?

Per pensare di vincere dovrei forse rinunciare ad altre corse e magari perdere qualche chilo. Preferisco andare per gradi. Come ho sempre fatto, mi concentro sulle cose che so fare meglio e questo per me significa fare Fiandre e Roubaix, che mi si addicono di più. Se per vincere la Liegi dovrò cambiare tutto, allora non sarà per i prossimi anni.

Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Chiamato sul podio peril terzo posto, Mathieu non sa ancora se essere felice o deluso
Arriva l’estate e arrivano le Olimpiadi: hai deciso fra strada e mountain bike?

Penso che la prossima settimana sarà tempo di vedere come riempiremo quest’estate, ma non ne ho ancora idea, altrimenti lo direi. Non so ancora cosa farò, tranne che adesso andrò a prendere un po’ di sole. Adoro ancora la mountain bike, ma è un anno speciale con le Olimpiadi. Posso vincere la strada e come ho già detto, non voglio scommettere due cavalli e poi magari fallire con entrambi. Quindi vedremo dove porta l’estate.

L’ago della bilancia si va spostando verso la strada, ma forse gli scoccia anche ammetterlo. La lezione di Glasgow è stata chiara: dopo la vittoria del mondiale su strada, quello in mountain bike contro Pidcock è sembrato un brutto sogno. E va bene che inseguirli fa restare giovani, ma siamo certi che abbia senso rinunciare a un oro olimpico su strada per inseguirne uno anche più improbabile sulla Mtb?