Vito Di Tano, uno scrigno di aneddoti ed emozioni

05.02.2025
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Grande. Nell’accezione più totale e completa che questa parola può assumere. E’ la prima che viene in mente nel parlare di Vito Di Tano, nel raccontare la sua figura nel giorno della sua scomparsa, dopo che una terribile quanto veloce malattia se lo è portato via a 70 anni. Grande intanto nella sua figura fisica, quasi imponente ed era così quando correva, che quasi ti chiedevi se nell’affrontare il ciclocross non potesse essere un handicap. E infatti su certi percorsi lo era. Grande nel suo curriculum di ciclocrossista, illuminato da ben due titoli mondiali a distanza di 7 anni l’uno dall’altro, con l’aggiunta di 6 maglie tricolori. Grande anche per la sua statura morale, che lo ha accompagnato per tutta la sua vita e che contraddistingue i ricordi di ogni persona che lo ha conosciuto.

Vito Di Tano era nato a Monopoli (BR) il 23 settembre 1954. Due volte iridato, non passò mai professionista
Vito Di Tano era nato a Monopoli (BR) il 23 settembre 1954. Due volte iridato, non passò mai professionista

Con Pontoni, suo erede in tutto

Daniele Pontoni ha condiviso con lui moltissime esperienze, da corridore prima, da dirigente poi fino a confrontarsi con lui in veste di commissario tecnico, carica che Vito aveva rivestito anni prima di lui, con il pugliese di Fasano che da parte sua è stato per anni diesse della Guerciotti.

«Ma prima di questo io ricordo le nostre esperienze in nazionale. Con lui ho vissuto esperienze mondiali bellissime da corridore, lui era cittì azzurro quando conquistai il bronzo a Corva da dilettante nel 1993, il suo primo anno nella carica e soprattutto quando vinsi nel ’97 a Monaco di Baviera. Eppure il ricordo che mi viene subito in mente è legato a una gara lussemburghese a Petange, il GP du Nouvel An. Due giorni prima pensavo di essermi rotto una gamba, invece era stata solo una grande botta, ma lui insistette per farmi correre, mi mise letteralmente in bici. In gara ricordo un cambio bici, su questo terreno tutto bianco, con lui che mi incitava “Vai Daniele, battili tutti”. E così fu».

Da sinistra Martinelli, Di Tano, Bertolini, Pontoni, Paolo Guerciotti, Dorigoni, Alessandro Guerciotti
Martinelli, Di Tano, Bertolini, Pontoni, Paolo Guerciotti, Dorigoni

L’ultima volta che si sono visti è stato all’ultima edizione del Guerciotti, nella serata del 60° anno che vedeva presenti tanti campioni del mondo passati per le mani del team, lombardo. «Abbiamo ricordato tanti episodi, si vedeva già che il male lo stata logorando. Da lui ho imparato tanto, come corridore e anche come cittì, come vivere l’ambiente della nazionale. Diciamo che per me è stato l’anello di congiunzione tra corridore e dirigente».

Arzuffi e una giornata speciale

E’ difficile per Alice Maria Arzuffi (con lui nella foto di apertura) trattenere le lacrime, trasparse anche virtualmente attraverso un sentito post su Instagram. «Vito l’ho conosciuto approdando alla Guerciotti, da 2° anno junior – racconta dagli Emirati Arabi, in procinto di prendere parte all’Uae Tour – In quei 6 anni insieme sono cresciuta, non solo come ciclista e il nostro legame è sempre rimasto saldo. Tanto che quando avevo un problema, un dubbio, mi sono sempre confrontata con lui che aveva ogni volta una parola di aiuto per capire. Mi ha insegnato a vivere badando alle cose semplici, mantenendosi umile, lui che era un campione del mondo.

«Quando arrivai ero la più piccola e io lo vedevo quasi come un nonno – ricorda – lui da parte sua mi coccolava e mi insegnava tutto quel che serviva in questo mondo. Ricordo in particolare nel 2022 come, durante un pranzo con la mia famiglia, lo abbia incontrato per caso a Gallipoli. Da lì decidemmo di passare la giornata insieme e ci portò ad Alberobello, facendoci vedere il trullo dov’era nato. Una giornata che esprimeva la semplicità di cui dicevo prima».

Insieme ad Alice Arzuffi e alle rispettive famiglie, una giornata che le è rimasta nel cuore
Insieme ad Alice Arzuffi e alle rispettive famiglie, una giornata che le è rimasta nel cuore

Imparare dai propri errori

«A me ha preso sotto la sua ala a 17 anni – la parola passa a Gioele Bertolini – e sotto di lui mi sono evoluto come corridore. Ho sempre apprezzato la sua fierezza di come interpretava il suo ruolo di direttore sportivo. Nell’ambiente era circondato da rispetto e simpatia, credo nessuno l’abbia mai visto litigare, affrontava tutto con calma, senza per questo non essere fermo nelle sue intenzioni, nei suoi insegnamenti e questo vale molto come insegnamento.

«Una cosa che mi resta in mente era il suo modo di confrontarsi con i giovani. Lui lasciava mano libera, voleva che imparassimo dai nostri errori e questo è un aspetto fondamentale nell’evoluzione di un corridore. Poi con calma ci si confrontava e capivo dove avevo sbagliato. Miglior modo d’insegnare non c’è».

L’ultima volta che lo aveva sentito era stata dopo la conquista del suo ennesimo titolo italiano: «Durante tutta la telefonata c’era questo sottofondo di non detto: sapevamo entrambi che non ci saremmo più sentiti e questo mi fa particolarmente male, ora a ripensarci».

Insieme a Bertolini dopo la conquista del titolo italiano. Per Gioele è stato un maestro
Insieme a Bertolini dopo la conquista del titolo italiano. Per Gioele è stato un maestro

Il risultato non è tutto

Un po’ gli stessi pensieri attraversano la mente di Jakob Dorigoni, grande rivale di Bertolini e suo pupillo negli anni alla Guerciotti. L’altoatesino sente profondamente il dolore della sua scomparsa e si limita a poche parole: «Vito era più come il papa nella famiglia Guerciotti, quando c’era un problema si andava da lui. Quel che contava era l’impegno delle persone e per questo mi stimava molto. E proprio questo apprezzavo di Vito. Il risultato non era la priorità più grande. Naturalmente erano tutti contenti se si vinceva e si festeggiava perché era una vera famiglia. Penso che anche per questo con lui ho ottenuto molte vittorie. Riusciva a toglierci la pressione e così noi corridori potevamo concentrarci al meglio sui nostri doveri».

Con Gaia Realini un legame indissolubile, rimasto anche quando la marchigiana ha lasciato il ciclocross
Con Gaia Realini un legame indissolubile, rimasto anche quando la marchigiana ha lasciato il ciclocross

Realini e quella telefonata…

Chi gli deve molto è anche Gaia Realini: «E’ lui che mi ha svezzata, ciclisticamente parlando. Io venivo da un team piccolo, non pensavo neanche di arrivare al team principale in Italia nel ciclocross. Lui mi ha fatto fare il salto di qualità, facendomi crescere attraverso le gare più importanti. Ma quel legame andava al di là, perché Vito era un esempio, ci si poteva parlare di tutto. Mi ha fatto crescere anche come carattere, al di fuori del mondo ciclistico».

Il confronto non è mancato anche dopo che Gaia ha deciso di dedicarsi totalmente alla strada: «Anzi, abbiamo continuato a sentirci e anch’io quando avevo un momento difficile lo chiamavo, ai ritiri del team o anche dopo una gara. Ad esempio, sentendo le critiche per il mio modo di andare in discesa, mi sono confrontata con lui, mi spiegava che cosa fare e ricordo che dopo una tappa al Giro dove avevo ottenuto un risultato importante mi ha chiamato e senza neanche salutarmi mi ha detto “allora, lo vedi che sai andare in discesa…”».

Di Tano con la famiglia Guerciotti tra cui Alessandro ancora piccolo
Di Tano con la famiglia Guerciotti tra cui Alessandro ancora piccolo

Per Guerciotti un uomo di famiglia

L’ultima parola spetta ad Alessandro Guerciotti. Con Di Tano se ne va un pezzo importante della sua vita: «Per me era parte della famiglia, l’ho conosciuto che ero un bambino piccolo e tutta la mia vita lo ha visto presente, fino a quando abbiamo condiviso la responsabilità del team nelle nostre rispettive vesti. Ero stato da lui una settimana prima del mondiale, sapevo che non ci saremmo più rivisti e anche lui sapeva che si stava spegnendo, ma dovevo salutarlo.

«C’è un lato che tutti, indistintamente, mettono in evidenza parlandone ed è la sua grande bontà d’animo. Una persona seria, disponibile con tutti, che ci metteva il cuore e sul quale potevi davvero contare. Soprattutto capace nel lavorare con i giovani e non è un caso se tanti talenti sono sbocciati sotto le sue grandi e sapienti mani».

Grande. Torna questa parola, che tutti hanno espresso. Legata al suo carattere, alla sua persona. Una parola forse spesso abusata. Sicuramente non nel suo caso.

Laboral Kutxa, a casa del team basco sempre più tricolore

07.11.2024
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Gli arrivi di Alice Maria Arzuffi e Arianna Fidanza alla Laboral Kutxa hanno fatto scalpore. Il contingente italiano nel team basco sale a 5 atlete (si aggiungono a Debora Silvestri, Laura Tomasi e Cristina Tonetti riconfermate nel team) e fa della squadra una delle formazioni estere a più alta conformazione tricolore. Anche perché le due atlete in questione aggiungono ambizioni alla formazione iberica, che nel medio-lungo periodo vuole fare il grande salto nel WorldTour.

Ion Lazkano, 35 anni, al timone del team femminile basco dal 2021
Ion Lazkano, 35 anni, al timone del team femminile basco dal 2021

Le due azzurre non sono gli unici acquisti della Laboral Kutxa, che ha pescato con profitto anche nei Paesi dell’Ex Unione Sovietica, ma il gruppo tricolore è il più numeroso, quasi quanto quello delle padrone di casa e questo solleva curiosità. Che il direttore sportivo, il giovane Ion Lazkano, in carica dal 2021, è pronto a soddisfare.

Come giudichi la stagione vissuta dalla squadra?

E’ stata sicuramente una buona annata, con 6 vittorie (tra cui l’ultima della Silvestri alla Pionera Race, ndr) e con due titoli nazionali vinti con la Ostolaza in Spagna e la Yonamine in Giappone. Lottare per le wilcard era uno degli obiettivi della squadra ed è stato positivo alla fine perché abbiamo lottato duramente fino all’ultimo e anche se non ci siamo riusciti, siamo andati vicini ai 3.000 punti e questo è un grande risultato. Io sono molto soddisfatto del lavoro svolto e soprattutto dei passi avanti che la squadra sta facendo.

L’ultima vittoria del team nell’anno, grazie a Debora Silvestri alla Pionera Race davanti alla compagna Soto
L’ultima vittoria del team nell’anno, grazie a Debora Silvestri alla Pionera Race davanti alla compagna Soto
Il prossimo anno ci saranno 8 straniere su 14 atlete: la squadra ha ancora un’anima legata ai Paesi Baschi?

Io direi di sì. Il progetto è che per quanto possibile abbiamo il numero massimo di corridori baschi, il prossimo anno saranno 5 le atlete che vengono dai Paesi Baschi in aggiunta a un’altra spagnola. Per noi è importante avere questo segno distintivo. Noi siamo un po’ il riferimento di tutta la nostra terra, dobbiamo prendercene cura, ovviamente. E lavorare per questo senza alcun dubbio.

Ci sono ben 5 italiane: come mai avete tanta fiducia nelle cicliste del nostro Paese?

Nei nostri anni di esperienza, lavorando con cicliste italiane ci siamo sempre trovati molto bene. Diciamo che la mentalità o la cultura ciclistica che possiamo avere in Spagna come in Italia sono molto simili, d’altronde fa parte un po’ della nostra storia il legame stretto fra i nostri due Paesi. Alla fine è una miscela che abbiamo visto funzionare bene e siamo andati avanti su quella strada con gli ingaggi di Arzuffi e Fidanza perché crediamo che daranno un contributo decisivo alla crescita di tutta la squadra.

Usoa Ostolaza, per lei 3 successi in stagione e buone prove al Giro e al Tour
Usoa Ostolaza, per lei 3 successi in stagione e buone prove al Giro e al Tour
Alla Arzuffi chiederete un ruolo più da leader?

Sì, vediamo che Alice viene da una bella stagione, quest’anno si è visto un suo deciso salto di qualità, sia nelle gare WorldTour che in altri appuntamenti. Credo che anche nel nostro team potrà avere quello spazio per continuare a sviluppare quelle capacità. Cercheremo ovviamente di coprire tutte le esigenze e di darle quella fiducia affinché possa continuare a fare passi avanti nella sua carriera sportiva.

Perché avete scelto Arianna Fidanza?

Noi dobbiamo anche guardare al discorso legato ai punti Uci, al ranking. Arianna è molto quotata ma al tempo stesso può darci un contributo importante per raggiungere bottini significativi di punti. Sarà importante nel suo caso scegliere un buon calendario, che possa garantire un buon carico di punti grazie alle sue doti di velocista, quindi guarderemo al livello delle competizioni ma anche ai percorsi più adatti alle sue caratteristiche. Lei può essere un’arma in più nel cammino verso la licenza World Tour che speriamo di ottenere nel 2026.

Ci sono altre cicliste italiane che seguite, magari anche fra le più giovani?

Sì, noi guardiamo sempre con molto interesse al mercato italiano, visioniamo un sacco di gare. Non abbiamo una squadra di riferimento, né pensiamo di stabilire un legame particolare, andiamo random e se capita una buona occasione, un posto disponibile per un nuovo talento saremo pronti a valutare la cosa.

Tra il vostro e un team WorldTour ci sono tante differenze?

Molte. D’altro canto vediamo che ci sono differenze anche tra le stesse squadre del massimo circuito, legate alla forza economica di ogni team. Se parliamo del paragone fra noi e loro è chiaro che la prima discriminante è il calendario. Noi dobbiamo guadagnarci l’opportunità di essere nelle grandi gare che per loro è garantita. Poi c’è il discorso relativo agli stipendi, nel WT ci sono dei minimi. Oggi non possiamo raggiungere quei livelli di budget e questo influisce molto. Noi dobbiamo ragionare su quel che possiamo fare, sul massimizzare i risultati in relazione ai nostri sforzi e le nostre possibilità.

Laura Tomasi, riconfermata nel team iberico dopo una buona seconda parte di stagione
Laura Tomasi, riconfermata nel team iberico dopo una buona seconda parte di stagione
Che ambizioni avete per la prossima stagione?

Soprattutto fare ancora meglio di quanto ottenuto nel 2024, ma non parlo solo di risultati, quanto anche di dinamiche di gruppo, di crescita nella gestione. La stagione appena chiusa è stata anche difficile perché non avevamo preventivamente le garanzie per andare avanti secondo i nostri progetti. Ora possiamo pianificare meglio in modo che alla fine la prestazione sia ottimale.

La nuova avventura della Casasola, e già arrivano podi…

29.10.2024
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Gli effetti della nuova avventura si vedono già. Sara Casasola (in apertura, foto Mtb Nazgul) ha iniziato alla grande la sua avventura alla Crelan Corendon: dopo un decimo posto d’assaggio al Be-Mine Cross non è più scesa sotto il quarto posto, con subito due prestazioni di grande effetto nel Superprestige. Challenge di grande richiamo che noi italiani eravamo soliti snobbare un po’ privilegiando la Coppa del Mondo. Ma ora Sara fa parte di uno dei team di punta del movimento belga e quindi la situazione cambia tanto è vero che sta scalando a grandi passi il ranking internazionale.

Una scelta la sua coraggiosa, ma fondamentale per la sua carriera e che ha avuto tanti motivi alla base, primo fra tutti il prestigio del team: «Sapere che l’Alpecin aveva interesse nei miei confronti è stato un vero colpo al cuore. Mi hanno proposto un contratto di tre anni, per dedicarmi a questa attività nella loro patria, sarebbe stato folle rifiutare. Era quello che volevo, per fare il definitivo salto di qualità. Non che prima alla Guerciotti non mi trovassi bene, anzi devo solo dire grazie ad Alessandro e al suo staff perché è merito loro se sono qui».

Il podio di Overijse, con la Brand al centro fra Van Empel e l’azzurra, già quarta a Ruddenvoorde
Il podio di Overijse, con la Brand al centro fra Van Empel e l’azzurra, già quarta a Ruddenvoorde
Hai già tastato con mano le differenze rispetto al passato?

E’ un altro mondo. Tutto un altro livello, altra attenzione, questo è ciclocross al massimo grado in un territorio dove questa disciplina è davvero amata. Tra l’altro sono rimasta sorpresa dal mio livello, subito molto alto, pensavo e temevo di pagare lo scotto, invece ho visto che posso giocarmela.

Quanto in questa scelta ha inciso il puntare sul ciclocross in luogo della strada?

Non è proprio così, anzi uno dei motivi che mi ha spinto a questo investimento umano prima ancora che professionale è proprio il fatto di poter fare attività con loro per tutto l’anno. Prima, appena finivo l’attività di ciclocross dovevo passare a un altro team per un altro livello di gare su strada. Qui no, c’è continuità, credono in me anche per le gare da primavera in poi, vogliono investire su di me a 360°.

Sara davanti ai microfoni della Tv belga. Sta già diventando un personaggio nel mondo del ciclocross
Sara davanti ai microfoni della Tv belga. Sta già diventando un personaggio nel mondo del ciclocross
Le gare sono abbastanza diverse rispetto a quelle che affrontavi di solito…

Qui è come se fossi all’università, posso approfondire la mia tecnica, imparare anche quegli aspetti sui quali mi sentivo meno sicura come pedalare sul fango o in contropendenza. C’è un lavoro oscuro durante la settimana, prima di arrivare alle gare e gli effetti già si vedono.

Come ti sei trovata al tuo approccio con il team? La Arzuffi che ti ha preceduto ha raccontato di una realtà a due facce…

Ho letto con molta attenzione le sue parole. Io mi sono sorpresa inizialmente nel trovarmi davanti una struttura professionale così qualificata. Ci sono mezzi e personale a nostra disposizione, dobbiamo pensare solo a correre. Penso che rispetto a quando lei militava qui le cose siano cambiate perché c’è stata una crescita anche dello staff, poi le dinamiche sono in continua evoluzione. Vedremo come andranno le cose, io spero che si continui su questa falsariga.

La Casasola ha militato due anni nel team Guerciotti, vincendo molte classiche nazionali
La Casasola ha militato due anni nel team Guerciotti, vincendo molte classiche nazionali
Hai iniziato alla grande, con addirittura un podio in una classica come quella di Overijse…

Effettivamente è un grande risultato. La squadra mi ha dato subito fiducia, alla vigilia mi avevano detto che poteva essere una prova su misura per le mie caratteristiche, di provare a tenere il ritmo delle migliori. Mi è mancato un po’ il finale, spesso mi succede soprattutto a inizio stagione, infatti quando stavo a ruota tenevo bene ma quando dovevo imporre io il ritmo faticavo. Ma alla fine il terzo posto mi gratifica considerando chi mi è arrivata davanti.

A tal proposito sei rimasta sorpresa dalla vittoria della Brand sulla Van Empel? Si dice che questa sia la stagione del definitivo cambio generazionale, ma l’ex iridata non sembra d’accordo…

So che la Brand è già in buona forma, la Van Empel invece a dispetto dei risultati ottenuti dice che ancora deve lavorare tanto e che ha grandi margini. A ben guardare, la Brand è un po’ un’eccezione con i suoi 38 anni, perché se guardate le Top 10 di queste gare internazionali sono quasi tutte atlete Under 30. Io credo che il cambio generazionale sia davvero in corso d’opera e sono contenta di fare parte di questo momento di passaggio.

La tricolore insieme alla campionessa belga Sanne Cant: la friulana è l’unica non belga o olandese
La tricolore insieme alla campionessa belga Sanne Cant: la friulana è l’unica non belga o olandese
Ora ti aspettano gli europei.

Sicuramente sarà una gara veloce, non proprio nelle mie corde, so che Pontoni ha già visto il tracciato e ci ha detto che ne verrà fuori una gara molto tattica. Io cercherò di giocarmela, ma poi c’è anche il fattore climatico da considerare: se piove tutte le gerarchie della vigilia verranno stravolte.

Sei l’unica straniera del team: non temi che ci sia un po’ di nazionalismo, come raccontava la Arzuffi?

Al team interessa che arrivino i risultati, su questo sono stati molto chiari. Anzi, temo il momento che le cose possano non andare nella maniera migliore. Tutti hanno gli stessi materiali, lo stesso supporto, non mi sento per nulla penalizzata. Probabilmente c’è sempre un po’ di patriottismo, ma se anche fosse non lo fanno vedere, questo lo posso assicurare.

L’esperienza in Belgio della Casasola e i consigli della Arzuffi

22.10.2024
4 min
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Sara Casasola non è la prima italiana andata a correre in un grande team straniero di ciclocross. Anzi, ha avuto un illustre predecessore in Alice Maria Arzuffi, che ha vissuto per ben 4 anni in Belgio alla 777 che altri non è se non la stessa Crelan Corendon, la formazione di Sara quando però non aveva le stesse credenziali di adesso.

La Arzuffi con la maglia 777, sponsor diverso ma stesso team della Casasola. Un’esperienza controversa
La Arzuffi con la maglia 777, sponsor diverso ma stesso team della Casasola. Un’esperienza controversa

Alice ormai è abbastanza lontana dall’attività sui prati, se non per qualche sporadica apparizione durante la sua preparazione invernale anche per romperne la monotonia, ma ricorda bene quegli anni, con sentimenti contrastanti: «Sapevo che prima o poi sarei dovuta tornare a occuparmene – afferma con un sorriso amaro – perché la mia esperienza in quella squadra ha avuto due facce».

Racconta…

Se devo giudicare i primi due anni, non posso dire davvero nulla. E’ stata un’esperienza molto formativa, non solo dal punto di vista tecnico perché ho imparato tante cose, tanto per cominciare l’utilizzo assiduo dell’inglese, io che come tanti avevo un uso scolastico. Ora ormai parlo inglese per il 50 per cento della mia giornata e lo devo a quell’esperienza, senza avere paura di sbagliare, intessendo contatti umani anche grazie ai piccoli errori.

Alice Maria Arzuffi ha corso in Belgio dal 2017 al 2021, conquistando anche 2 vittorie nel Superprestige
Alice Maria Arzuffi ha corso in Belgio dal 2017 al 2021, conquistando anche 2 vittorie nel Superprestige
Come ci arrivasti?

Tramite Scotti che al tempo era cittì della nazionale e sapeva che volevo provare ad affrontare un’esperienza internazionale a tutto tondo, correndo nella patria del ciclocross. Io venivo dalla realtà di Guerciotti che era – ed è – leader in Italia, ma sapevo che correndo sul posto sarebbe stato tutto diverso. Mi accorsi quanto fosse importante viverlo, parlando di tecnica, conoscenza della bici, l’abitudine al fango e al cattivo tempo. Furono due anni stupendi, ma due…

Poi che successe?

Dopo divenne una sofferenza, perché non venivano incontro alle mie esigenze, ma direi alle esigenze di chi è straniero in terra belga. Ero espiantata dalle mie radici, soffrivo la lontananza da casa nella quotidianità, non trovavo comprensione nella nostra realtà e nei nostri sacrifici. Io vivevo da sola in un paesino sperduto, nella casa messa da loro a disposizione e la solitudine divenne pesante. Loro si mettevano sempre di traverso se volevo tornare a casa perché dicevano che lì avevo tutto.

Sara Casasola si sta già mettendo in luce nel nuovo team. Qui seconda a Essen dietro la Norbert Riberolle
Sara Casasola si sta già mettendo in luce nel nuovo team. Qui seconda a Essen dietro la Norbert Riberolle
Pensi che con la crescita del team, diventato oggi un riferimento assoluto sia fra gli uomini che fra le donne, le cose siano cambiate?

Voglio sperarlo, anche perché al tempo io mi trovavo a fare un po’ di tutto. Dovevo curare le iscrizioni alle gare, fare le prenotazioni per l’albergo, curare gli orari di partenza e organizzare tutta la trasferta per il nostro camper, quindi io e altre due persone. Non erano questi i miei compiti, erano distrazioni dall’attività che la rendevano molto più complicata.

Secondo te quella della Casasola è una scelta giusta?

Io penso proprio di sì, come anche quella della Baroni, perché da quelle parti vivi veramente il ciclocross. Se ha fatto questa scelta è perché vuole migliorare davvero, credo che stando sul posto potrà crescere tanto. Ci sarà da fare i conti con il maggiore stress perché lì il ciclocross è vissuto con una passione quasi calcistica. Spero soprattutto che anche la gestione del team sia cambiata, sia cresciuta, tenga conto anche delle diverse esigenze di ogni tesserato, perché un corridore di casa non è la stessa cosa di chi viene da lontano.

Anche Francesca Baroni sta facendo la sua carriera in Belgio, alla Proximus Cyclis Alphamotorhomes
Anche Francesca Baroni sta facendo la sua carriera in Belgio, alla Proximus Cyclis Alphamotorhomes
Secondo te, che hai adesso anche vasta esperienza nel ciclismo su strada, c’è una disparità di trattamento nei team fra i corridori di casa e gli stranieri?

Parliamoci chiaro, un pochino è anche normale, succede anche da noi in Italia. Nella Ceratizit posso dire che ci sono solamente tre atlete tedesche che non sono di primo livello su strada, mentre sono molto forti su pista, ma vedo in giro che è sempre un po’ così. Poi comunque quel che conta sono i risultati e chi ne porta di più. Contano il lavoro e l’impegno che ognuno ci mette a prescindere dal passaporto. Sinceramente questo problema non me lo sono mai posto.

Il nuovo mondo di Arzuffi? Nel gravel una nuova dimensione

06.09.2024
5 min
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«Al gravel non ci avevo mai pensato fino a quest’anno, poi ad aprile mi era arrivata una proposta dagli organizzatori della Monsterrando, ma guardando il calendario non mi sembrava così fattibile. Ad inizio agosto sono tornati alla carica, ho visto che la domenica era libera e gli ho detto sì. Il mio esordio è nato così». Parole di Alice Maria Arzuffi, presentatasi al via della tappa italiana delle World Series da completa neofita e da completa neofita tornata a casa con un successo clamoroso, soprattutto per com’è arrivato.

Arzuffi sul podio della Monsterrando, vinta in campo maschile da Vakoc (CZE)
Arzuffi sul podio della Monsterrando, vinta in campo maschile da Vakoc (CZE)

Partire insieme agli uomini

«Dopo il Tour volevo concentrarmi sulla strada, ma come detto la domenica era libera e non nascondo che avevo molta curiosità per affrontare questo mondo del quale parlano in tanti. Così mi sono detta che si poteva provare. E’ un misto di strada e ciclocross, due specialità che amo quindi mi sono trovata bene.

«L’idea di base era partire forte e tenere lungo i suoi 152 chilometri. Partire insieme agli uomini ha un certo peso anche nella tattica. Mi sono detta che dovevo tenere un ritmo alto facendo attenzione di non andare fuorigiri, quindi dovevo trovare ruote adatte per il mio scopo. Dopo una ventina di chilometri mi trovavo già da sola, parlando relativamente alla classifica femminile, quindi a quel punto dovevo solo attuare il piano stabilito in precedenza».

Arzuffi con Elena Cecchini, compagna di nazionale e terza al traguardo
Arzuffi con Elena Cecchini, compagna di nazionale e terza al traguardo

L’esperienza nel ciclocross

Alla fine Arzuffi ha chiuso rifilando alle avversarie distacchi d’altri tempi: la specialista polacca Karolina Migon ha chiuso a 5’44”, Elena Cecchini a 7 minuti, per le altre basti dire che solo in 8 hanno tenuto il distacco sotto l’ora… A prescindere dall’esito, per la ciclista di Giussano è stata comunque un’esperienza illuminante: «Non è facilissima, al contrario di quel che si potrebbe pensare è una specialità più vicina al ciclocross che alla strada per la sua intensità, perché come sui prati, detta in parole povere “se ne hai, vai”. Le velocità non sono elevatissime, forse anche perché la Monsterrato aveva un buon dislivello».

Il team, la Ceratizit-WNT era favorevole alla sua partecipazione? «Diciamo che non l’hanno ostacolata, temendo sempre qualche caduta, un infortunio che può sempre avvenire. Il fatto è che adesso mi è venuta una certa voglia di riprovarci…».

Per il team la partecipazione dell’azzurra è stata tollerata più che incoraggiata
Per il team la partecipazione dell’azzurra è stata tollerata più che incoraggiata

Ora europei e (forse) mondiali

Rivedremo quindi Alice nelle prove titolate, a cominciare dall’europeo? «La corsa continentale la faccio sicuramente, vedremo come andrà e poi si deciderà per i mondiali, ma visti i risultati mi piacerebbe provarci, anche perché non è necessaria, almeno per me, una preparazione specifica. Io continuo la mia attività su strada e quella è utile anche facendo questa virata verso l’offroad».

Conoscendo il suo passato c’è da chiedersi se questa esperienza non le stia riaccendendo la voglia di cimentarsi anche nel ciclocross: «No, non c’è pericolo, quello è un capitolo chiuso. Non perché non mi piaccia più, ma la mia attività su strada richiede il massimo della concentrazione soprattutto nella preparazione invernale. Quest’anno, dedicandomi agli allenamenti senza distrazioni ho trovato molto giovamento nel mio rendimento generale a differenza dei due precedenti dove iniziavo il calendario su strada senza aver riposato e pagandone poi le conseguenze. Ho bisogno di staccare, è il fisico che me lo chiede».

La lombarda era uscita con una gran gamba dal Tour, vissuto sempre in prima linea
La lombarda era uscita con una gran gamba dal Tour, vissuto sempre in prima linea

Preparazione specifica? Non serve…

Venendo all’attività su strada, che stagione è stata finora? «Direi positiva, vengo da un Tour de France finalmente buono, affrontato con valori fisici che non riscontravo da almeno 6 anni a questa parte. Sono sempre rimasta nelle posizioni di avanguardia, ho chiuso al 20° posto, ma anche prima le cose erano andate bene, con qualche Top 10, un rendimento generale alle classiche molto positivo lavorando per le compagne, un buon piazzamento finale anche al Giro. Ora mi attende il Romandia, spero di continuare sulla stessa lunghezza d’onda».

Per europei e mondiali prevedi qualche allenamento specifico? «No, anche alla Monsterrato sono arrivata senza alcuna preparazione, la strada ti dà quello che serve. Per quel che ho visto, la gravel segue la scia delle prove su strada aggiungendoci quelle caratteristiche legate alla tecnica precipue del ciclocross, per questo mi piace molto. Diciamo che per certi versi si avvicina anche alla corsa a piedi, forse perché a differenza delle altre discipline prevede la partenza condivisa con gli uomini, che sicuramente  influisce nell’impostazione della corsa».

Una stagione finora positiva per la ciclista di Giussano, con 40 giorni di gara e 6 Top 10
Una stagione finora positiva per la ciclista di Giussano, con 40 giorni di gara e 6 Top 10

Gli stradisti e quel qualcosa in più

Chi viene dalla strada, in confronto a chi invece del gravel è specialista, ha qualcosa in più? «Secondo me sì, perché la condizione fisica che è in grado di darti un Giro o un Tour non la puoi acquisire in altra maniera. Hai un livello di rendimento più alto, poi da quel che ho visto il gravel richiede sì un po’ di tecnica, ma non è certo qualcosa di improponibile anche a chi non ha esperienza nell’offroad. Quel che cambia è la velocità sostenuta, basta abituarsi».

In Catalogna rispunta Arzuffi che ha un piano per il Giro

16.06.2024
4 min
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Tra coloro che attraverso un piazzamento hanno riassaporato il gusto della ribalta dopo un periodo di tempo piuttosto lungo c’è anche Alice Maria Arzuffi. E’ vero, qualche top 10 in stagione l’aveva già conquistata, anche a maggio, ma cogliere il 10° posto alla Volta a Catalunya ha un sapore maggiore perché parliamo di una corsa a tappe, che non è proprio il suo forte ma che testimonia più di tanto altro come la gamba stia diventando quella giusta per puntare in alto.

Al suo secondo anno alla Ceratizit-Wnt, l’ex campionessa italiana di ciclocross, ormai concentrata in pieno sulla sua carriera da stradista, ha accolto il piazzamento quasi come una liberazione: «Soprattutto perché il periodo delle classiche belghe non era andato come volevo, soprattutto quelle sul pavé che sono le mie preferite quest’anno sono state caratterizzate da problemi meccanici proprio nel momento clou, estromettendomi da qualsiasi discorso».

Le classiche sono state il suo periodo più nero, con problemi tecnici nelle gare a cui teneva di più
Le classiche sono state il suo periodo più nero, con problemi tecnici nelle gare a cui teneva di più
In Spagna invece le cose sono andate meglio…

Sì, nelle corse iberiche mi trovo sempre bene, sono gare che mi si adattano. Man mano ho sentito la condizione aumentare, ma non ho avuto occasioni per provare a fare qualcosa d’importante al di là di qualche piazzamento. Il 10° posto al Catalunya però ha un valore in più perché conferma che la gamba è quella giusta, anche perché è una corsa a tappe e quindi significa che pur non essendo una scalatrice ho tenuto bene in salita.

Come ti trovi nel team? L’impressione è che spesso tu sia un po’ “imbrigliata” nelle tue aspirazioni…

Effettivamente non ci sono molte occasioni, a volte vorrei poter giocare le mie carte più liberamente. Non dimentico però che questo è un lavoro e ci sono delle gerarchie, quindi svolgo il compito che mi viene dato, quel che devo fare faccio. Io per prima so che non posso essere io la capitana per fare classifica, ho altre caratteristiche. Cerco di coprire le fughe iniziali, di entrarci dentro anche se è difficile che arrivino. Io sono per natura un’attaccante, mi basterebbe avere qualche occasione in più per provarci e magari cogliere quella vittoria che mi è sempre mancata.

Nel team Ceratizit-Wnt la lombarda si è spesso trovata a correre per le compagne
Nel team Ceratizit-Wnt la lombarda si è spesso trovata a correre per le compagne
Ora che gare farai?

Per ora nulla. Sono a Livigno per preparare i campionati italiani, poi tornerò in altura a La Thuile per il Giro d’Italia. Alla corsa rosa tengo tantissimo e voglio presentarmi nelle migliori condizioni.

Parti per il Giro con quali ambizioni?

Io punterò alle tappe, so che la classifica non è per me e per quella credo che sarà la francese Kerbaol la nostra punta di diamante, pronta a scalare le gerarchie. Io vorrei trovare la fuga buona per mettere il mio marchio sulla corsa. Di frazioni adatte, con qualche asperità ma non durissime, adatte a colpi di mano, ci sono.

La Arzuffi insieme a Cédrine Kerbaol, punta della squadra per il prossimo Giro donne
La Arzuffi insieme a Cédrine Kerbaol, punta della squadra per il prossimo Giro donne
Sentendo in giro però, molte ragazze dicono che una corsa così dura come il prossimo Giro Donne non l’hanno mai vista…

Studiando le altimetrie c’è davvero da pensare, ci sono tappe improbe. Io ho parlato anche con alcune ragazze che sono andate a visionare le tappe più dure e mi hanno confermato come alcuni dislivelli siano tutti nella parte finale della tappa. Il tracciato va studiato con attenzione, voglio trovare le frazioni più adatte a me considerando anche una variabile che viene messa poco in evidenza: il caldo di quei giorni in Italia, che sarà sicuramente molto forte.

Dopo il Giro farete un punto della situazione?

So già che andrò di nuovo in altura per preparare il Tour, ma è chiaro che molto dipende da come andrà la corsa rosa. Se andrà tutto bene, faremo anche la corsa francese con le stesse ambizioni e forse, guardando il percorso, anche con qualche chance in più.

Per Arzuffi arrivano in sequenza tricolori, Giro Donne e Tour Femmes
Per Arzuffi arrivano in sequenza tricolori, Giro Donne e Tour Femmes
Questi sono giorni delicati anche per il tuo fidanzato Luca Braidot, che si sta giocando una delle due maglie azzurre per i Giochi di Parigi nella mountain bike. Come vivete l’attesa?

Sa bene che si gioca tutto, soprattutto nella tappa di Coppa del Mondo in Val di Sole che ha preparato minuziosamente. Deve esprimere il suo potenziale che è altissimo, se guardiamo il quadriennio nel suo complesso nessuno ha avuto il suo rendimento. So come lavora, deve solo raccogliere quanto ha seminato. Cerco di tenerlo tranquillo, ma in questi giorni mi sentivo in gara per lui…

Arzuffi cerca su strada lo stesso percorso del cross

04.01.2024
6 min
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Il suo processo di trasformazione in stradista ha avuto una netta e decisiva impennata durante il 2023. Nella stagione alle porte, Alice Maria Arzuffi è pronta per fare uno step ulteriore in questa nuova parte di carriera (in apertura foto Arne Mill).

Un dato che aiuta meglio a capire la tendenza intrapresa dalla brianzola di Seregno sono i giorni di gara. Quest’anno sono stati 51 – il massimo per lei – con un podio di tappa al Baloise Ladies Tour e circa una decina di top 10, di cui una ottenuta nella quarta frazione del Tour de France Femmes. D’altronde, prima Baldinger la scorsa primavera e poi Lacquaniti pochi giorni fa ci avevano spiegato quanto credano nelle doti di Arzuffi, specialmente nelle corse a tappe. Così, tra un’uscita in bici e l’altra in Friuli a casa del suo fidanzato Luca Braidot, abbiamo voluto sentire l’ex tricolore di ciclocross per conoscere le sue mire con la Ceratizit-WNT.

Arzuffi al Tour Femmes 2023 ha conquistato un decimo posto di tappa al termine di una lunga fuga
Alice che stagione è stata quella passata?

E’ stato un anno buono. Anzi direi che il 2023 è stato un anno di rodaggio. Il primo in cui ho fatto praticamente solo strada, a parte tre gare di ciclocross lo scorso gennaio corse senza troppe tensioni. Ho capito quanto sia importante fare una sola attività per andare meglio. Attualmente è difficile essere competitive in entrambe le discipline. Quest’anno ho avuto la possibilità di restare ben concentrata sulle corse, sapendo che poi in questo periodo avrei avuto un break per rifiatare e riprendere con più calma.

Non sono mancati nemmeno i risultati.

E’ vero, sono soddisfatta di ciò che ho raccolto. Tuttavia il miglior risultato credo sia stato quello di aver trovato una maggiore consapevolezza. Certo quando arrivi davanti ne acquisisci molta di più, però le prestazioni sono state buone. Poi per me è stato un motivo di orgoglio e stimolo sapere che i miei diesse hanno fiducia in me.

Alla tua prima annata con la Ceratizit hai ritrovato Lacquaniti dopo dieci anni. Ha contribuito a farti ambientare meglio?

Sì, esatto, Fortunato è stato il mio primo diesse quando ero in Faren nel 2013, anche se abbiamo fatto pochissime corse assieme perché all’epoca avevo la maturità. L’ho trovato un po’ cambiato da allora, ma il mio rapporto con lui è molto positivo. Anzi mi piace molto lavorare con lui. In alcune corse in Spagna ha saputo farmi tirare fuori il massimo da me stessa. In generale però mi sono trovata benissimo con tutta la squadra, anche con i materiali. Dopo gli anni di ciclocross avevo bisogno di trovare un ambiente sereno, dove si puntano agli obiettivi con meno pressione, pur mantenendo molto alto il livello.

Che effetto fa quindi ad Alice Maria Arzuffi passare l’inverno senza ciclocross?

Sicuramente è tanto diverso, ma onestamente sto meglio adesso. Ero arrivata ad un punto, specie negli ultimi due anni, che non riuscivo più a sostenere quella vita né fisicamente né psicologicamente. Ho vissuto quattro anni da sola in una casa nelle campagne di Herentals, il paese di Van Aert. Mi passavano a prendere solo per le gare e lassù l’inverno è difficile lontano dalle corse. Tornavo a casa con una frequenza irregolare. Solo 2-3 giorni ogni due o tre settimane. Spesso ero l’unica italiana in corsa. Ho saputo adattarmi, ma iniziava a mancarmi la famiglia.

Nel ciclocross sei stata l’unica italiana a vincere nel Superprestige. Su strada vuoi ripetere lo stesso percorso?

Diciamo che l’intenzione è quella, anche se è passato del tempo e quest’anno compirò trent’anni (il 19 novembre, ndr). Nel ciclocross sono voluta andare in Belgio per crescere ancora e sono riuscita nel mio intento. Fare altrettanto su strada è difficile, ma ci sto lavorando. Vorrei avere più coraggio. Dovrei osare di più rispetto a quello che potevo fare già nel 2023, perché non ero sicura delle mie potenzialità. Vorrei fare un salto in più, visto che oltretutto sia per me che per la Ceratizit sarà il primo anno nel WorldTour.

Avete già stilato il tuo programma gare?

Indicativamente sì. La mia predisposizione fisica è quella per le gare a tappe, nelle quali ho sempre cercato di fare bene. Inizierò a Maiorca, poi Valenciana e classiche del Nord. Gand, Fiandre e Liegi su tutte. A maggio farò le gare in Spagna. Ai Paesi Baschi dovrei fare classifica come prova generale in vista del Giro d’Italia Women. Al Tour Femmes invece dovrei correre in appoggio alle compagne o giocare le mie carte per le tappe. La seconda parte di stagione la vedremo più avanti.

Come giudichi il percorso del Giro?

Sarà una gara in cui si dovrà centellinare le energie. Già la crono di Brescia non è così semplice come sembra. Bisognerà perdere pochi secondi sia lì che in tutte le tappe prima delle ultime tre. Personalmente il tracciato mi piace, si addice alle mie caratteristiche e alla mia buona capacità di recupero. In compenso non sono per niente veloce e mi sto allenando per colmare questa mia lacuna.

Obiettivo Giro Women. Arzuffi punta a fare classifica sfruttando le sue doti in salita e di recupero (foto Arne Mill)
Obiettivo Giro Women. Arzuffi punta a fare classifica sfruttando le sue doti in salita e di recupero (foto Arne Mill)
Nel ciclocross hai vestito l’azzurro tante volte. Ci fai un pensierino anche su strada?

Certo, perché no?! E’ sempre un onore indossare quella maglia. Nel cross ho il rammarico di non aver mai corso il mondiale al top della forma, su strada mi basterebbe guadagnarmi una convocazione. In realtà però penso che se metterò assieme prestazioni o risultati, la chiamata in nazionale potrebbe essere una conseguenza. Intanto un mio primo obiettivo sarà la Strade Bianche. Vorrei migliorare il piazzamento del 2023 (19° posto, ndr) e restare più a lungo e fino in fondo nel gruppo di testa.

Guerciotti-story, un tuffo fra i campioni di casa

20.12.2023
7 min
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La famiglia-azienda Guerciotti nella sua storia ha prodotto bici, formato corridori, allestito squadre e gare. E quando si è prossimi a festeggiare i primi 60 anni di attività, diventa complicato battezzare i momenti più importanti.

Con l’organizzazione del campionato italiano il prossimo 14 gennaio a Cremona – dove negli ultimi due anni si è disputato il Trofeo Guerciotti – abbiamo colto l’occasione per chiedere ad Alessandro Guerciotti (in apertura con Sara Casasola a Vermiglio) quali sono stati i campioni di casa a cui sono più legati. Un compito di memoria, cuore e speranza forse non facile, sicuramente piacevole.

I big del passato

Appena concludiamo la nostra introduzione, Alessandro Guerciotti ha già pronta la risposta. I primi nomi sono quelli del passato, gli stessi che ha apprezzato anche papà Paolo.

«Vado abbastanza sul sicuro – racconta l’amministratore delegato – nominandone tre. Il primo non può che essere Vito Di Tano. Lui ha fatto la storia prima e dopo per noi. E’ stato un nostro corridore ed ora è il diesse. Ha corso praticamente sempre solo con noi per 13 stagioni vincendo da dilettante sei campionati italiani e due mondiali. Scontato dire che siamo molto legati a lui. L’altro nome è Daniele Pontoni, l’attuale cittì della nazionale. E’ stato con noi 7 anni vincendo tanto, soprattutto manifestazioni importanti. Oltre a diversi tricolori, detiene due primati tutt’ora imbattuti ottenuti con la nostra maglia. Nel 94/95 ha vinto Coppa del Mondo, unico italiano a riuscirci, ed il mondiale elite nel 1997, ultimo italiano a vincerlo».

«Se invece penso ai campioni stranieri – prosegue Guerciotti – non posso che fare il nome del belga Roland Liboton. Per darvi l’idea, lui negli anni ’80, la sua epoca era un cannibale del ciclocross. Una vera star, ciò che adesso lassù sono Van der Poel e Van Aert. Con noi ha vinto due dei suoi quattro mondiali e cinque dei suoi dieci campionati belgi. Ancora adesso quando vado in Belgio per le gare, trovo persone che ricordano bene il connubbio Guerciotti-Liboton di quel periodo. E naturalmente per noi è motivo di orgoglio e soddisfazione».

Marco Aurelio danza e vince nel fango l’italiano 2008. E’ stato lanciato da Guerciotti, ha ricambiato con risultati e visibilità
Marco Aurelio danza e vince nel fango l’italiano 2008. E’ stato lanciato da Guerciotti, ha ricambiato con risultati e visibilità

Epoca recente

L’arco temporale si sposta più avanti con atleti che hanno smesso da poco e le cui imprese appaiono più fresche. E c’è spazio anche per ricordare quei talenti inespressi che avrebbero potuto raccogliere di più.

«Certamente Marco Aurelio Fontana – va avanti Alessandro Guerciotti – è quello che ha contrassegnato un determinato periodo. E’ rimasto da noi per quattro-cinque anni nei quali lo abbiamo fatto sbocciare e lui ha contraccambiato dandoci tanta visibilità. Ha vinto un titolo italiano U23 ed elite, tanti podi in Coppa del mondo da U23 e sempre da U23 nel 2006 ha conquistato un incredibile quarto posto al mondiale che valeva una vittoria. In pratica fu il primo degli umani arrivando dietro a Stybar, Boom e Albert, ovvero tre extraterrestri in quegli anni. Quella per Marco Aurelio fu una grande stagione. Poi ha scelto la Mtb e guardando poi i risultati ottenuti, come il bronzo olimpico di Londra, direi che ha fatto bene».

«Con noi c’è stato anche Franzoi – continua – che avevamo inseguito a lungo. Purtroppo ha vinto meno di quello che poteva, anche per sfortuna. Dorigoni negli ultimi anni ci ha regalato bei successi, tra campionati italiani e tappe del Giro d’Italia del ciclocross. Però l’atleta che ritengo il più grande rimpianto in maglia Guerciotti è Elia Silvestri. Ragazzo dotato di tantissima classe e grande potenza che invece si è perso. Da junior era già con noi facendo quarto al mondiale (dove secondo chiuse Sagan, ndr) poi ha conquistato un argento all’europeo U23. Purtroppo talvolta la testa non segue le gambe e si spreca un talento. Peccato, aveva un potenziale incredibile, che avrebbe potuto vincere molto».

Le grandi ex

I vari team Guerciotti che si sono succeduti nel corso del tempo, hanno poi visto nascere anche le formazioni femminili negli ultimi 15 anni. Una realtà che vanta nomi di spicco.

«La nostra atleta più rappresentativa – spiega Alessandro – è sicuramente Alice Maria Arzuffi. La sentiamo un nostro prodotto. Ha vinto cinque tricolori tra juniores e U23, categoria quest’ultima con cui ha conquistato un argento e un bronzo agli europei. Andando ancora più indietro, ricordo con piacere Sanne Cant, una che poi ha vinto tre mondiali consecutivi da elite. L’abbiamo avuta solo nel suo secondo anno da junior con cui ha vinto a Oderzo e il titolo belga, ma è stato un vero piacere. Passa sempre a salutarci quando ci incontriamo alle Coppe del Mondo».

Fino a pochi anni fa con la maglia Guerciotti correva Gaia Realini. Non era ancora l’atleta di adesso ma già mostrava grandi doti. «Siamo legati a Gaia. Per un paio di stagioni è stata con noi, riuscendo a vincere anche un campionato italiano U23. Aveva ancora un anno di contratto, ma non potevamo chiederle di correre ancora. Abbiamo assecondato la sua volontà di abbandonare il ciclocross per la strada dove andava fortissimo. Siamo molto contenti per quello che sta facendo, è già una delle migliori in assoluto. Quest’anno ci siamo sentiti spesso per tutti i suoi risultati».

Presente e futuro

L’attualità del team FAS Airport Services-Guerciotti-Premac è proprio l’ingresso dei due nuovi sponsor, ormai già inseriti da tempo nel ciclismo. La filosofia per Alessandro sembra essere cambiata, andando verso una linea decisamente giovanile che sta regalando buone prestazioni a tutti i marchi della società.

«Tra gli uomini – chiude Alessandro Guerciotti – oggi ci simboleggia Gioele Bertolini. Ha raggiunto undici anni con noi seppur non consecutivi, ma è il secondo per militanza dietro Di Tano. Gioele ha tagliato tanti traguardi importanti con la nostra maglia. E’ stato il primo italiano U23 ad indossare la maglia di leader di Coppa del Mondo. Da U23 ha vinto il campionato italiano elite, come aveva fatto tra l’altro Silvestri. Ha vinto tappe al Giro d’Italia. E può raccogliere tanto».

«Nelle donne stiamo portando Sara Casasola a livelli sempre più alti. Stiamo facendo un buon lavoro con lei e gli sforzi stanno pagando. Il terzo posto agli europei è un grande risultato. Anche lei correrà su strada, ma al momento il ciclocross resta la sua prima disciplina. Tra le U23 la sorpresa migliore è senza dubbio Valentina Corvi se pensiamo che la sua prima gara di ciclocross l’ha fatta ad inizio novembre. A Vermiglio sulla neve ha chiuso sesta assoluta e seconda U23, prestazione grandiosa.

«Tra i più giovani stanno venendo su molto bene Mattia Proietti Gagliardoni ed Elisa Ferri. Sono al primo anno junior e non gli chiediamo subito i risultati. Vogliamo che crescano con calma per vederli protagonisti più avanti. Il ciclocross non perdona e tutto è possibile, ma nelle tre categorie femminili spero di centrare un bel tris ai prossimi campionati italiani».

Guerciotti e Selle Italia si salutano dopo 30 anni di successi

07.08.2023
4 min
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Per oltre trent’anni Guerciotti e Selle Italia hanno affrontato fianco a fianco, anzi spalla a spalla, i circuiti di ciclocross di tutto il mondo. Insieme hanno scritto pagine importanti nella storia di questa nobile disciplina. Oggi, dopo aver ottenuto insieme tanti prestigiosi successi, le due aziende hanno deciso di intraprendere percorsi differenti. Non si tratta però di un addio, ma di un arrivederci.

L’hanno voluto sottolineare Paolo e Alessandro Guerciotti attraverso un comunicato stampa fatto per ringraziare Selle Italia per la storica e fruttuosa collaborazione e nello stesso tempo anticipare l’arrivo a breve di un nuovo partner. Tutto ciò ci conferma che continueremo a vedere ancora per lungo tempo sui campi di gara la storica maglia giallonera di Guerciotti con la stella al centro, da sempre simbolo del marchio milanese.

Anche il titolo mondiale

La collaborazione fra Guerciotti e Selle Italia ha portato in dote tantissimi trofei. Tra questi spicca il titolo mondiale conquistato a Monaco di Baviera da Daniele Pontoni nel 1997. A ripercorrere le tappe più significative di una storia ricca di successi è Alessandro Guerciotti, team manager Selle Italia – Guerciotti. Un’occasione questa per ringraziare l’azienda di Casella d’Asolo, in provincia di Treviso, per il sostegno dato in trent’anni di attività sportiva.

«Ringraziamo Selle Italia per averci sostenuto in questi anni – ha affermato Alessandro Guerciotti – ed aver contribuito a rendere grande il nostro team. In questi 30 anni abbiamo scritto pagine storiche del ciclocross italiano e internazionale. Abbiamo conquistato l’ultimo titolo iridato elite da parte di un italiano con Daniele Pontoni, oltre ad una storica coppa del mondo di ciclocross, senza contare i numerosi titoli italiani conquistati. I più grandi ciclocrossisti italiani degli ultimi anni hanno corso con il binomio Selle Italia-Guerciotti sul petto. Tra di loro citiamo Marco Aurelio Fontana, Enrico Franzoi, Sanne Cant, Gioele Bertolini, Alice Arzuffi.

«In tutti questi anni, il Team Selle Italia-Guerciotti è stato il sogno per qualunque ragazzo iniziasse a correre il ciclocross e molti di loro sono riusciti ad esaudirlo. Difficilmente si riuscirà a costruire una collaborazione cosi vincente e longeva in una disciplina sportiva». 

In passato un altro grande nome del mondo fuoristrada ha corso con la maglia Selle Italia Guerciotti: Marco Aurelio Fontana
In passato un altro grande nome del mondo fuoristrada ha corso con la maglia Selle Italia Guerciotti: Marco Aurelio Fontana

Un nuovo sponsor

Una delle caratteristiche che contraddistingue la famiglia Guerciotti, ed in particolare papà Paolo, è la capacità di rimboccarsi sempre le maniche e guardare avanti. Sarà così anche per il team che il prossimo autunno si presenterà sui campi di gara. A breve sarà annunciato un nuovo sponsor che figurerà come primo nome sulla maglia.

«Tutte le cose belle prima o poi sono destinate a finire – ha affermato Paolo Guerciotti – ma siamo entusiasti del nuovo corso che stiamo prendendo e della nuova collaborazione che abbiamo appena siglato con una importante azienda esterna al settore del ciclo. L’obiettivo non è solo quello di ripetere le vittorie che hanno costellato il nostro passato, ma anche arrivare a superare traguardi ancora più ambiziosi. Non possiamo che ringraziare la Selle Italia e, soprattutto Giuseppe Bigolin, per tutti questi anni di collaborazione, accompagnati da numerose vittorie. Ma nella vita non si può mai sapere, potrebbe solo essere un arrivederci”.  

Il nuovo sponsor verrà rivelato nelle prossime settimane. Nel frattempo prosegue la promozione Guerciotti dedicata al modello Lembeek Disc rivolta a tutti i tesserati FCI e altri enti. L’utente finale che presenterà la propria tessera al rivenditore di riferimento, potrà acquistare la bici completa montata con ruote in carbonio Ursus Orion Disc a partire da 2.520 euro IVA inclusa.

Guerciotti