Il rilancio del ciclocross italiano sta passando attraverso l’insegnamento dei campioni italiani del passato, uno dei quali è Vito Di Tano (in apertura nella foto del 1979 di Carlo Carugo).
Il pugliese sta trasmettendo il suo grande sapere a un gruppo di giovani della Guerciotti Selle Italia. Non è un caso se tra questi ci siano il campione tricolore Jacob Dorigoni e le due prime donne della categoria under 23, Francesca Baroni e Gaia Realini. Di Tano d’altronde è un’istituzione del ciclocross italiano: nato a Monopoli nel settembre del 1954, da giovane si trasferì al Nord per motivi di lavoro, portando naturalmente con sé le sue bici.
«Avevo vinto un concorso alle Ferrovie – dice – ma il posto era in Lombardia. Al tempo correvo soprattutto su strada, ma con il lavoro non avevo più molto tempo per allenarmi. Così decisi di passare al ciclocross, d’altro canto in Puglia avevo vinto tutte le gare in questa disciplina e mai decisione fu più indovinata».
Due mondiali
Nel 1979 esordì ai mondiali di Saccolongo, vincendo fra i dilettanti. L’anno successivo vinse il primo dei suoi 6 titoli nazionali, mentre ai mondiali finiva quasi sempre fra i primi 10. Fino al 1986, quando a Lembeek (Belgio) centrò il bis iridato ancora fra i dilettanti.
«Ai miei tempi – dice – la Nazione di riferimento era la Svizzera, perché lì le gare richiamavano oltre 20 mila persone. Poi pian piano l’attenzione della gente si è spostata verso Belgio e Olanda, dove hanno capito quanto spettacolo possa regalare il ciclocross. Così ora le migliaia di spettatori le richiamano lì, mentre in Svizzera si dedicano più alla Mtb. Da noi il problema è sempre stato il fatto che gli sponsor non capiscono la visibilità che il ciclocross sa dare, se sufficientemente seguito dalla Tv. Le grandi manifestazioni dimostrano quanto sia visibile e divertente da vedere. Non è paragonabile alla visibilità su strada, dove la gran massa di corridori, squadre, eventi rende ogni immagine meno d’impatto».
Altri tempi
Da corridore ad organizzatore ed insegnante, Di Tano ormai è da 51 anni nell’ambiente.
«Il ciclocross ai miei tempi era un po’ diverso – sorride – le gare duravano anche un’ora e mezza. Si correva di più sulla resistenza. Ora lo sforzo dura una cinquantina di minuti, i corridori sono più esplosivi. Quel che non è cambiata è la grande utilità del ciclocross, che servirebbe tanto anche agli stradisti. Allora lo facevano tutti, ma proprio tutti. Ora non è possibile, perché la stagione su strada inizia troppo presto. Il fatto però che i 4 grandi (Alaphilippe, Sagan, Van Aert, Van Der Poel) vengano tutti dal fuoristrada non è un caso…».