«La Jayco-AlUla che volevo»: dopo la Vuelta, Piva sorride

15.09.2024
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A luglio non era stato tenero. Avevamo chiesto a Valerio Piva un commento sul modo di correre della Jayco-AlUla e il diesse mantovano aveva detto che la squadra non rendeva come si aspettavano. Che per l’organico che hanno, sarebbe stato lecito aspettarsi altre vittorie e un altro atteggiamento. E poi aveva concluso dicendo che alla Vuelta avrebbe voluto vedere un cambio di passo e di atteggiamento.

Ora che la corsa spagnola è finita negli archivi con le due tappe vinte da Eddie Dunbar, siamo tornati da Piva per capire se quanto ha visto e vissuto sia finalmente simile a ciò che si aspettava. Davanti alla curiosità, Valerio fa una mezza risata.

«E’ stata una bella Vuelta – comincia – perché abbiamo vinto due tappe, abbiamo fatto tre secondi e altri piazzamenti. La squadra è stata presente come mi sarei aspettato quando abbiamo fatto quell’intervista. Nella prima settimana abbiamo sofferto il caldo, ma era davvero tremendo. Qualcuno l’abbiamo perso per malattia, però diciamo che da quando Dunbar ha vinto la prima tappa, tutto il gruppo ha cambiato passo. La Jayco-AlUla è diventata quello che mi aspetto da una squadra, voglio dire corridori motivati che cercano il risultato ogni giorno».

La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
La prima vittoria di Dunbar al Campus Tecnológico Cortizo Padron ha motivato la Jayco-AlUla
Senza pensare alla classifica: una scelta?

Dunbar ha perso minuti all’inizio, così abbiamo deciso di lasciarla stare. E’ stato un vantaggio, perché la prima vittoria è venuta da una fuga e lo hanno lasciato andare. La seconda invece è stata una vittoria molto importante, perché si è reso finalmente conto che ha le qualità per rimanere con i migliori in salita e l’ha dimostrato. Quindi ha superato questo periodo di sfortuna, incluso il ritiro dal Giro, con le cadute e tutto quello che è successo quest’anno. E penso che da adesso in poi avrà confidenza, morale e motivazione per se stesso e per la squadra. Quando uno vince, i compagni di squadra sono più presenti.

La seconda vittoria staccando i primi di classifica avrà dato morale certamente a lui…

Continuava a dirmi che si sentiva forte, che voleva vincere qualcosa e che la situazione di classifica non era normale. Quindi ci ha creduto fino alla fine e c’è da dargli merito. Noi l’abbiamo supportato e l’abbiamo spinto nelle fughe, perché un piazzamento nei quindici non ci cambiava nulla, invece una vittoria sarebbe stata più importante. In occasione della seconda vittoria, se fosse stato lì a lottare per i posti alti di classifica, quando si è mosso ai 5 chilometri forse gli sarebbero andati dietro. Ma è anche vero che quando dietro hanno aumentato, lui ha controllato bene.

Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
Zana è arrivato secondo ai Lagos de Covadonga, battuto solo da Marc Soler
I secondo posto di Zana ai Lagos de Covadonga è un rimpianto o un bel risultato?

E’ andato forte tutto il giorno. Gli avevo detto di stare attento a Soler, perché sapevo che era il più pericoloso. Il problema è che Soler ha una maniera di correre non facile da controllare. Si stacca, poi rientra e attacca. Filippo ci ha raccontato che un paio di volte si è staccato e lui ha controllato. Poi è rientrato e ha attaccato. E quando è partito, lui non aveva più gambe. Poi per fortuna è riuscito a controllare Poole. Secondo me il secondo posto con quel finale è stato il massimo che ha potuto tirare fuori. La vittoria sarebbe stata meglio, ma ci accontentiamo. In più Zana è uscito bene dalla Vuelta e magari lo rivedremo nelle prossime corse.

Tanti dicono che è stata una Vuelta di basso profilo perché non c’erano i tre fenomeni, altri dicono che però si è andati forte davvero…

Per gli atleti la prima settimana è stata molto impegnativa, con un caldo incredibile che ha debilitato tutti. Secondo me la tappa in cui O’Connor ha vinto non è venuta perché lo hanno lasciato andare, ma perché non ce l’hanno fatta a prenderlo. Sicuramente è stato sottovalutato, ma quel giorno faceva davvero caldo e qualcuno avrà pensato che li avrebbero ripresi tutti con il cucchiaino. Invece lui nell’ultima salita è andato più forte del gruppo e se l’è meritata. Roglic ha dovuto attaccare ogni giorno, perché l’australiano teneva bene. E quando alla fine l’ha passato, gli altri sono comunque rimasti indietro.

Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Anche Schmid, arrivato quest’anno alla Jayco-AlUla, ha fatto una grande Vuelta, con due secondi, un quarto e il quinto nella crono finale
Quindi l’australiano è andato forte: buona notizia, dato che il prossimo anno correrà con voi…

E’ stato fortissimo, ma tutti si spremuti su quei percorsi per meritarsi certi piazzamenti. Anche Roglic si è trovato un paio di volte in difficoltà, è stata una Vuelta spettacolare e non scontata come al Giro, dove Pogacar ha preso la maglia e ha chiuso tutto. Abbiamo preso O’Connor perché vogliamo un capitano nei Grandi Giri che corra davanti, aggressivo. Simon Yates ha vinto la Vuelta e portato vittorie di valore, O’Connor può essere protagonista in qualsiasi gara. Può correre in modo da stimolare anche la squadra a stare davanti, stare concentrati e poi magari anticipare e andare in fuga come ha fatto lui. Io penso che ci possa dare delle soddisfazioni.

De Marchi è stato il motivatore che ti aspettavi?

All’inizio Alessandro avuto un problema di salute. Ha preso mal di stomaco, ho avuto paura che andasse a casa perché ha perso chili, si era disidratato. Poi è stato bravo, si è ripreso ed è ritornato il leader in campo, un corridore molto importante. Il giorno che Dunbar ha vinto la prima tappa, è stato lui che gli ha detto di andare, che era il momento giusto. Eddie si è mosso, è entrato nella fuga ed è andato. “Dema” è un corridore che vede la fuga. Quando aveva le gambe, ci andava lui. Adesso in qualche situazione non riesce ad andarci più, però è uno che vede la corsa ed è utilissimo in questi momenti per dare l’input agli altri.

Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Dopo il calvario della prima settimana, De Marchi è stato decisivo per lo spirito della Jayco-AlUla
Pensi che questa Vuelta possa diventare un esempio da indicare ai ragazzi?

Sicuramente sì, è già successo. La sera quando abbiamo festeggiato, c’era anche il nostro grande capo Gerry Ryan e lo ha detto a chiare lettere (l’imprenditore australiano, sponsor principale della Jayco-AlUla, è in apertura con Dunbar, ndr). Ha detto che la squadra deve correre così, che solo così si hanno risultati. Non dico che si vince tutto, ma anche i piazzamenti possono essere positivi se sono la conseguenza della qualità della squadra. E secondo me noi, con questa maniera di correre, possiamo raccogliere tanto. Quindi alla fine, sintetizzando, adesso sono soddisfatto…

Gravel sulle Dolomiti prima della Vuelta. Che storia il Dema…

19.08.2024
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Il gravel prima della Vuelta: è quel che ha fatto Alessandro De Marchi. Il Rosso di Buja riesce sempre a stupire in qualche modo. Mai banale nelle dichiarazioni e nei fatti e anche stavolta ci ha colpito. Fino a pochi giorni prima di partire per la Spagna era nel cuore delle Dolomiti in compagnia del cugino ad allenarsi in quota… e offroad.

Giornate fantastiche, dure e divertenti tra Marmolada, Gruppo del Sella, Lagazuoi… ma anche tanto allenamento vero. Oltre 1.500 chilometri e 70 ore di sella nei giorni dolomitici di Alessandro e suo cugino Mattia De Marchi.

Alessandro, cosa avete combinato con tuo cugino?

E’ stata una bella esperienza. In realtà tutto è nato da un’idea di Mattia che doveva fare certi lavori e io ne ho approfittato per la mia preparazione, visto che anche io avevo bisogno di fare ore di sella e di stare in quota. La sua proposta è capitata a fagiolo. Posso dire che siamo davvero andati alla scoperta.

Come è andata dal punto di vista della preparazione?

Io avevo già deciso di fare altura lassù, di base al Pordoi: mi trovo bene ed è un posto ideale anche per ritrovare la concentrazione. In più il periodo era perfetto in vista di un’eventuale Vuelta. Quando sono partito infatti non avevo ancora la certezza che sarei andato in Spagna. Sapevo però che avrei dovuto e potuto lavorare bene e in pace, cosa fondamentale, perché a casa tra famiglia e il resto non è poi così facile. E così abbiamo deciso di passare 15 giorni lassù.

Con Mattia…

Esatto. Lui è uno che comunque, lo sappiamo, pedala forte. Era già stato con me a Gran Canaria e insieme abbiamo fatto molti lavori. A lui serviva qualcuno per la strada e a me per il gravel (di cui Mattia De Marchi è un esperto, ndr)

Come avete lavorato?

Dopo i primi giorni di adattamento dovevamo fare dei blocchi di carico di tre giorni ciascuno, intervallati da uno di scarico. In accordo anche con i preparatori abbiamo deciso che uno di questi blocchi sarebbe stato in gravel. Bisognava fare infatti endurance pura, ore di sella. E in queste uscite ho aggiunto anche un lavoro di nutrizione, delle sessioni low carb.

Come mai? E come le hai inserite nell’allenamento?

Primo perché le due cose (gravel e low carb) si combinavano bene, secondo perché dovevo perdere qualcosina in termini di peso. Parliamo di uscite di 6-7 ore. Così ho sbilanciato la nutrizione sulla parte proteica e dei grassi, riducendo quella dei carboidrati. Era qualcosa che già avevo fatto in passato e di cui avevo buoni feedback.

Come sono andate queste uscite? Abbiamo visto anche alcuni passaggi davvero tecnici…

Vero, sassi, pietre, ghiaia, sterrati più semplice… ma in ogni caso in salita il terreno più mosso ti costringe ad avere una pedalata “piena ma dosata”. Devi spingere, ma non strappare altrimenti la ruota posteriore slitta, perde trazione e sei costretto a fermarti. E’ stato quasi un lavoro di forza a bassa cadenza e a bassa intensità. Anche questa perfetta per fare volume.

Avete toccato punti sublimi.

Davvero… Dal Pordoi siamo andati verso Porta Vescovo e poi siamo scesi. Oppure all’Alpe di Siusi, passando dalla Val Duron (sopra la Val di Fassa e alle spalle del Sassolungo, ndr) e poi abbiamo risalito la Val Gardena, facendo la salita di Dantercepies, in pratica il Passo Gardena in sterrato.

In pratica avete percorso molte delle strade della Hero, un’importante gara di mtb. Qual è stato il momento più duro?

La parte dura? La sfida quotidiana, vale a dire non mettere il piede a terra. E ho sempre perso! Sia sul Gardena che un giorno lungo una salita verso Cortina è stato difficile non crollare a terra.

Quali pedali avevi?

Quelli da strada. Anche mio cugino… Ma ormai è così. Avete visto come vanno nel gravel ormai? Per quanto si spinge servono pedali che ti danno sicurezza, stabilità, spinta.

Le scarpe le avrete distrutte…

Un po’ sì. Ne avevo un paio sacrificabili al gravel.

Avevate gomme particolarmente tassellate?

No, semmai giocavamo più sulle pressioni. Il vero trucco è lì: capire la pressione giusta. Io partivo sempre con una pressione un po’ troppo alta, cosa tipica degli stradisti. Poi quando capivo che la bici non era guidabile, mi fermavo e sgonfiavo un po’.

Paesaggi unici che hanno fatto bene alle gambe e anche alla mente
Paesaggi unici che hanno fatto bene alle gambe e anche alla mente
Prima, Alessandro, hai parlato di un certo modo di pedalare in salita. E’ stato anche un lavoro neuromuscolare?

Assolutamente sì. Il volume totale alla fine non è cambiato di molto, mentre quello che succede nel gravel è la distribuzione dello sforzo che è sproporzionato tra salita e discesa. Su strada si spinge anche un po’ in discesa e di conseguenza un po’ di potenza la sviluppi. Nel gravel, soprattutto se la discesa è tecnica, quasi non pedali. Devi stare attento alla guida, al bilanciamento, al controllo della bici. E’ un impegno mentale, di colpo d’occhio.

Invece il ritorno sulla bici da strada si sentiva?

Sì, parecchio. La guida gravel, come ho detto, è più precisa, sensibile e anche più faticosa specialmente per me che non sono così efficiente. Al contrario Mattia quando saliva sulla bici da strada avvertiva questo beneficio di semplicità e aveva sensazioni più agevoli. Io insomma risentivo un po’ dell’utilizzo di altri muscoli, altri nervi.

Alessandro, tu sei un appassionato di gravel e hai già preso parte ad un mondiale. Questo blocco dolomitico è stato fatto anche in ottica iridata?

Sì, sicuramente sarà servito. Tuttavia non l’ho fatto pensando al mondiale, ma di certo non ci stava male e sono stato contento di aver passato delle ore sulla bici gravel. Poi anche pensando alle gare gravel, il resto dell’allenamento lo fai con il ritmo della strada e in tal senso la Vuelta potrebbe essere un aiuto proprio in vista del mondiale gravel ad inizio ottobre. E del successivo campionato europeo.

Come affronti questa Vuelta?

E’ una Vuelta classica per me. Quest’anno ci sono una miriade di occasioni e dal team ho avuto abbastanza carta bianca, visto che non abbiamo un leader assoluto per la classifica generale. Possiamo interpretarla liberamente e proveremo ad approfittarne. Magari cercherò di essere un po’ più conservativo nella prima settimana, per risistemarmi e magari salvando qualche energia, per poi provare a fare di più dalla seconda settimana in poi. E’ soprattutto questo aspetto della prima settimana che m’interessa, visto che negli ultimi due grandi Giri che ho disputato ho fatto fatica a trovare dei momenti per salvare la gamba e poter crescere.

Una bella scossa alla Jayco-AlUla che non morde come prima

31.07.2024
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Quando arrivò alla Jayco-AlUla alla fine dello scorso anno, Valerio Piva disse una frase che da allora adottammo come specchio della giusta mentalità per fare il direttore sportivo. «Mi sono sempre trovato bene con questa mentalità, con il fatto che ti lascino lavorare tranquillamente. A volte però il “good job” non mi piace tanto. Secondo me va detto se davvero hai fatto un buon lavoro o quando si vince, non quando arrivi staccato a minuti. Va bene motivare la gente e aiutarla, ma quando si sbaglia o non si lavora per come si è detto, bisogna ugualmente dirlo: con educazione, ma in modo chiaro».

La squadra australiana ha vinto venti corse e fra queste la tappa di Dijon al Tour con Groenewegen, però scorrendo l’elenco si ha la sensazione che – tolta la sfortuna – ci sia stato finora poco pepe. Quasi che la positività di fronte alle cose della vita abbia portato a una forma di strano appagamento. Magari è un’impressione sbagliata e proprio per questo ne abbiamo parlato nuovamente con il tecnico mantovano, che a breve partirà per la Spagna, sulla rotta della Vuelta. 

Valerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUla
Valerio Piva, sulla destra, assieme a Geoffrey Pizzorni dell’ufficio stampa del Team Jayco-AlUla
Che tipo di bilancio fai, dal tuo punto di vista? 

Non è un fatto legato al numero di vittorie, però la qualità non è quella che ci aspettavamo. Siamo andati vicini alla Sanremo, con il secondo posto di Matthews, che poi hanno squalificato e ha perso il terzo al Fiandre. In una squadra come la nostra ti aspetteresti vittorie più pesanti. L’anno scorso Simon Yates ha fatto quarto al Tour, quest’anno è stato dodicesimo. Abbiamo vinto una tappa e ci sono squadre più importanti di noi che non ci sono riuscite, però secondo me finora non è una stagione da incorniciare. Abbiamo avuto tanti problemi. Salute, incidenti e altri guai che però non devono suonare come scuse. Ci aspettiamo di vincere qualche bella corsa di qualità e chissà che non venga alla Vuelta o nelle corse di un giorno che stanno per arrivare.

Aver vinto una tappa al Tour salva in parte la situazione?

Sapete meglio di me quanto conti l’esposizione mediatica di una vittoria al Tour. Anche perché tolti Groenewegen e Cavendish, tutte le volate se le sono divise Girmay e Philipsen. Perciò la vittoria di Groenewegen è un bel risultato per tutto quello che ci abbiamo investito in preparazione e quello che si è fatto per portarlo al Tour. Avevamo pensato che Matthews potesse essere competitivo nelle prime tappe, ma non è andata così. Poi chiaramente Simon Yates ha preso il Covid, è rimasto al Tour e ha ricominciato ad andare bene solo alla fine. E infatti ha portato a casa un secondo posto (in apertura, a Superdevoluy, ndr) e un terzo, quindi non è andato tanto male. Però chiaramente con squadre di questo livello secondo me in ogni grande corsa a tappe devi portare a casa una tappa ed essere competitivo nella classifica. Al Giro invece non abbiamo portato a casa niente, né tappe né classifica.

La vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUla
La vittoria di Groenewegen nella tappa di Dijon al Tour è il successo 2024 più importante della Jayco-AlUla
Come mai?

Purtroppo Zana è uscito dai 10, avendo cominciato a fare classifica quando dopo due giorni si è ritirato Dunbar. Da lì abbiamo dovuto ridimensionare tutta la strategia, mettendo Filippo come leader. Questo gli è costata tanta energia. Non lo aveva mai fatto ed è saltato proprio l’ultimo giorno a Bassano. Sono fasi di crescita pensando al futuro. All’inizio dell’anno mi aspettavo che questa squadra, con questo livello di corridori e questo budget, fosse più in alto nelle varie classifiche. Chiaramente i corridori, i nomi che abbiamo cominciano anche ad avere il loro tempo…

Servirebbero forze nuove?

La squadra deve ringiovanirsi, andare in questa direzione ed è compito del manager e dei direttori cercare di individuare i corridori per il futuro. In questo momento non è semplice, con quelle corazzate che hanno dei budget stellari: competere contro di loro a livello finanziario è difficile. 

Zana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di Bassano
Zana ha fatto classifica al Giro dopo il ritiro di Dunbar: è uscito dai primi 10 nella tappa di Bassano
Può essere che alcuni dei nomi più importanti abbiano perso un po’ di cattiveria?

La mentalità anglosassone a volte non aiuta, mentre io sono di quelli che devono tenermi tranquillo. A volte me lo dico da solo: «Valerio, tranquillo: è solo una corsa in bicicletta». Chiaramente guardando le gare a volte non capisco questa capacità di farsi andare bene tutto. Io la vedo diversamente. Forse perché ero così anche da corridore, ma a me sono sempre piaciuti quelli che vanno in gara con cattiveria, aggressivi, motivati. Che hanno un piano già in testa, mentre qui a volte devi spingerli e sembra che vadano in corsa perché sono corridori e devono farlo. Essere in corsa a volte è diverso che avere il numero sulla schiena, insomma devi avere degli obiettivi già dentro di te. Anche se ti danno un ruolo, devi avere un angolino in cui vuoi dimostrare quanto vali.

Si può cambiare qualcosa?

Quest’anno ho fatto poche gare come primo direttore, ero in appoggio anche per la mia esperienza per spingere i tecnici più giovani. Alla Vuelta però sarò il primo direttore e voglio un po’ smuovere questo andazzo, che fa sembrare la squadra un po’ apatica. Con quel dire: «E’ andata male oggi, andrà meglio la prossima volta!». Tutte le volte si cerca sempre di trovare una spiegazione, invece bisognerebbe dire le cose con maggiore schiettezza. E‘ una squadra eccezionale da un punto di vista organizzativo, non manca niente. E forse quello a volte diventa il pretesto per adagiarsi.

Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?
Matthews e Durbridge, classe 1990 e 1991, hanno perso il fuoco di un tempo?
In che modo alla Vuelta puoi smuovere le acque?

I corridori ci sono, bisogna che siano entusiasti e aggressivi come gli spagnoli e gli italiani, non posati come gli anglosassoni. Quando ero alla BMC o alla High Road e dovevamo a volte competere contro questa squadra, che allora aveva un altro nome, erano aggressivi e saltavano fuori da tutte le parti. Forse perché erano giovani, ma di fatto tanti sono ancora qua. Durbridge, Hepburn, Matthews, Simon Yates… Sono tutti corridori cui forse con l’andare del tempo è venuta meno la voglia di dimostrare chi siano.  E allora forse sarebbe utile un ricambio generazionale, cercando di inserire ragazzi che quella voglia ce l’abbiano e vogliano arrivare al top. 

Ci sarebbero anche: De Pretto, Plapp, Schmid…

Davide è partito molto bene e come ci aspettavamo ha fatto un bell’inizio stagione fino alle Ardenne. Poi ha preso un periodo di recupero, è andato a preparare in altura dove si è ammalato. Al rientro è riuscito a vincere in Austria, quindi è una bella soddisfazione. E’ un corridore che secondo me vedremo ancora in futuro. Adesso andrà alla Arctic Race e chiaramente non fa la Vuelta. Ma l’anno prossimo cercheremo di inserirlo in un Grande Giro. Plapp invece è caduto nella crono delle Olimpiadi. Ha investito tanto tempo per prepararsi. Non avrebbe vinto l’oro, però avrebbe continuato facendo il Polonia, invece adesso è stato operato. Dunbar è caduto al secondo giorno di Giro. Durbridge è stato investito in allenamento… Diciamo che anche la sfortuna fa bene il suo!

Davide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUla
Davide De Pretto ha 22 anni. Al pari di Luke Plapp è uno dei giovani più promettenti della Jayco-AlUla
Cambiando per un attimo discorso, ti aspettavi la vittoria di Cavendish al Tour, tu che l’hai avuto da neoprofessionista?

Tanto di cappello, se lo merita per la sua carriera. Poteva andarci vicino l’anno scorso, invece andò a casa con la caduta. L’avevo visto al Giro di Svizzera, era magro e andava forte già lì. In salita non l’avevo mai visto andare così forte, non era mai il primo a staccarsi. Per cui gliel’ho detto: «Guarda che al Tour sicuramente quest’anno ci sarai e lascerai il segno». Ero convinto che potesse vincerne una e mi ha fatto piacere. Un altro che mi ha stupito è stato Girmay, ho avuto anche lui. Ha fatto una cosa straordinaria, fuori dal normale. L’anno scorso ha avuto una stagione davvero sfortunata. So che vale, ma quello che ha fatto è stato enorme.

E sempre a proposito di uomini esperti, che cosa diresti a De Marchi se ti chiedesse un consiglio su continuare o fermarsi?

Dipende da lui, in questo momento è un corridore importante nella squadra, che ha vinto e potrebbe rifarlo ancora. Quello che fa all’interno del gruppo e in corsa è importante, ci vogliono questi corridori. Dipende da lui se riesce a fare i sacrifici, stare via di casa per i training camp. Quello dipende da lui, però intanto sono contento di averlo con me alla Vuelta. Poi potrà diventare un buon direttore, gli ho detto che non vado avanti ancora tanti anni, quindi poi potrei passargli il testimone. Credo che un altro anno lo farebbe volentieri, ma lui non ha certo problemi di motivazioni che mancano. Mi viene in mente un aneddoto…

Il ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnico
Il ruolo di De Marchi in squadra è prezioso: per Piva sarebbe anche un ottimo tecnico
Dicci pure.

Ai tempi dell’Ariostea, quando alla fine delle riunioni prendevo la parola io, Ferretti diceva sempre che a noi vecchi si allungava la lingua e si accorciavano le gambe. Forse è così. Quando un corridore comincia a trovarsi in un gruppo da tanto tempo pensa di sapere tutto e di gestire le situazioni con l’esperienza. Certo l’esperienza è importante, ma contro le generazioni nuove e questi ragazzi che scattano, sulle salite ci vogliono le gambe. Ma voglio essere ottimista, la stagione è ancora lunga. Penso che possiamo fare molto di più e lo faremo.

EDITORIALE / Fare finta di nulla significa dargli ragione

17.06.2024
4 min
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A forza di abbozzare e non dargli troppa importanza, si finisce col dargli ragione. Il riferimento è alle parole del consigliere comunale di Milano che si è permesso di dire che i ciclisti, ammazzati da automobilisti e camion sulle strade cittadine, se la sono cercata e che a lui non dispiace più di tanto. Dice che c’è bisogno di parcheggi e non di piste ciclabili, dimostrando di non aver capito che le città andrebbero svuotate dalle auto e non riempite (in apertura, una protesta contro il nuovo Codice della strada. Foto FIAB).

Un film già visto

Al di là della considerazione che si possa avere per l’individuo in questione, la cui consapevolezza di quanto avviene nel resto d’Europa è evidentemente nulla, sembra di essere tornati al periodo in cui ci si poteva permettere di dire che i ciclisti sono tutti dopati. E a forza di abbozzare e di non rispondere per non dargli importanza, si è finito col dargli ragione. Ancora oggi, nonostante i programmi antidoping di questo sport siano all’avanguardia e al limite della violazione dei diritti basilari degli atleti, bastano pochi minuti di conversazione con persone comuni per sentire la solita battuta: i ciclisti sono tutti dopati. Il danno è stato fatto, è irrimediabile e ha investito l’immagine e le risorse del ciclismo.

Per cui se una persona, sia pure di vedute limitate, si permette di affermare che dei ciclisti ammazzati non gli importa più di tanto, bisogna trovare il modo di farglielo rimangiare con una denuncia e una condanna così pesanti da disincentivare altri dal pensarlo. Anche se in Italia certe denunce purtroppo non portano a niente. E finisce come alla Granfondo Sportful, dove ieri una signora ha pensato bene di forzare un blocco, immettersi nel percorso di gara e travolgere tre ciclisti, considerando che tutto sommato si trattava solo di una corsa di bici.

Nel 2023 in Italia sono morti 197 ciclisti, ben più ampio il bilancio degli incidenti (depositphotos.com)
Nel 2023 in Italia sono morti 197 ciclisti, ben più ampio il bilancio degli incidenti (depositphotos.com)

Il codice della strage

Nell’Italia, che dall’incentivare l’uso delle bici potrebbe avere solo vantaggi, c’è chi spinge consapevolmente per spostare la bicicletta ai margini della società. Chi invece cerca di farne un mezzo di svolta ecologica o una fonte di guadagno viene liquidato con considerazioni da farti cadere le braccia.

Il Codice della strada, che è stato ormai ribattezzato “Codice della strage”, spinge per l’eliminazione dei controlli di velocità. Siamo tutti automobilisti, sappiamo bene cosa significhi prendere una multa. Ma anziché reclamare una migliore educazione stradale e capire che quel limite potrebbe salvare la vita a un bambino, sotto sotto siamo lieti di poterlo oltrepassare senza rischiare sanzioni. I Comuni ci faranno anche cassa, ma è un fatto che i limiti vengano violati. Il ministro Salvini si oppone alle zone con velocità limitata, allo stesso modo in cui altri capi di governo sostennero che in fondo è giusto non pagare le tasse. Ne consegue che gli utenti deboli della strada continuano a morire e l’evasione fiscale sia una delle piaghe che ci mette sulle ginocchia.

La bicicletta di Rebellin, ucciso il 30 novembre 2022: il simbolo della fragilità del ciclista sulla strada
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Solo De Marchi

Su quell’improvvisa uscita del consigliere ci sarebbe piaciuto leggere una dichiarazione di alti esponenti del Governo, ma non hanno aperto bocca. Ci sarebbe piaciuto leggere la dichiarazione della Federazione ciclistica, ma non hanno aperto bocca. Il ciclismo ha risposto con Alessandro De Marchi, l’unico a metterci la faccia per la sua sensibilità di uomo e poi di ciclista.

E’ sbagliato liquidare le esternazioni del consigliere Paolo Roccatagliata ricordando i suoi svarioni passati, come quando si è presentato nudo a una commissione online dicendo di non essersi accorto di avere la telecamera accesa. E’ sbagliato fare finta di niente. In questo Paese in cui giustamente ci si indigna per i femminicidi, si continua a non notare che muoiono più ciclisti che donne (120 donne nel 2023 e 197 ciclisti) e nessuno dice niente. Anzi, qualcuno ha parlato. E ha detto che non gliene importa più di tanto.

Riecco De Marchi. Vince al TotA col suo marchio di fabbrica

16.04.2024
4 min
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STANS (Austria) – Novecentoventiquattro giorni dall’ultima vittoria. Probabilmente Alessandro De Marchi se li ricorda tutti, uno ad uno. Appena tagliato in solitaria il traguardo di Stans della seconda frazione del Tour of the Alps, il 37enne friulano tira qualcosa di molto simile ad un sospiro di sollievo davanti ai massaggiatori contentissimi della sua Jayco AlUla come a dire “ce l’ho fatta” nuovamente. Tutti si complimentano con lui, compagni e avversari. Zana lo abbraccia sapendo che lo avrebbe rivisto gioioso. Ganna invece lo fa sorridere con una battuta scherzosa.

Dal successo della Tre Valli Varesine del 2021 sembra passato molto più tempo. Per il “Rosso di Buja” la giornata vissuta in Tirolo ha il sapore di una rinascita e di istanti che gli mancavano. Un successo alla De Marchi conquistato apponendo il suo classico bollino “doc”.

Gli ingredienti sono sempre quelli. Fuga a lunga gittata (più di 150 chilometri), amministrazione delle forze e gestione dei momenti difficili quando nel finale ha dovuto ricucire assieme a Pellaud su un allungo convinto di Gamper. Infine l’attacco decisivo sfruttando il punto più congeniale sulla salita corta e dura di Gnadenwald per eliminare la scomoda concorrenza dello stesso Pellaud, più veloce di lui in un eventuale testa a testa conclusivo. Sembra facile detta così, ma nel ciclismo di adesso non c’è nulla di semplice e scontato. E De Marchi ce lo spiega con la sua solita lucidità.

De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Lo fa in solitaria, sempre col suo marchio di fabbrica
De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Lo fa in solitaria, sempre col suo marchio di fabbrica
Alessandro cos’hai pensato in quegli ultimi quindici chilometri quando eri tutto solo?

Ho pensato che se Brent Copeland (il team manager della Jayco AlUla, ndr) due anni fa non mi avesse dato una possibilità, non sarei stato qui. Fortunatamente c’è ancora qualcuno che la vede lunga e che ha intuito che potevo dare qualcosa alla squadra. La stagione scorsa è stata molto positiva e quella era già una risposta. La vittoria di oggi è la seconda risposta. Alla fine ho pensato che avevamo ragione noi.

Vinci poco, ma di qualità. Che effetto fa vincere alla tua età, considerando quello che ci hai appena detto?

In questo ciclismo riuscire a vincere a quasi 38 anni (è il secondo vincitore di tappa più anziano del “TotA” alle spalle di Bertolini, ndr) ha un valore in più. Sappiamo bene come sta andando il ciclismo e il livello di preparazione che devi avere. Ovviamente per me adesso non è semplice come a 25 anni. E poi ad uno come me non capita molto spesso, quindi me la godo di più.

Con questo risultato ti sei guadagnato un posto per il Giro d’Italia?

Credo di averlo confermato. Era già nei piani, a dire il vero. Abbiamo confermato che siamo tutti sulla buona strada. Anche il resto dei compagni sta pedalando bene. Da domani torno a lavorare per Chris Harper, che per noi è il capitano al Tour of the Alps. Il percorso di avvicinamento al Giro sta procedendo bene, dobbiamo solo continuare così.

Erano tutti felici della tua vittoria e questo rende onore alla tua persona. Che sensazione è per te?

Credo di essere sempre stato uno educato e rispettoso all’interno del gruppo e nei confronti di tutti. Forse nelle reazioni che avete visto c’è un po’ di questo. Sapere di essere apprezzato non è una cosa da poco. Di sicuro mi fa molto piacere, poi chiaramente ci sarà qualcuno che salirà sul carro come sempre, ma non mi preoccupo.

Rosso di Buja in tinta: con la vittoria di Stans, De Marchi guida la classifica a punti del TotA
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All’età di Alessandro De Marchi si fanno ancora le dedica per una vittoria?

Ci sarebbe una lista infinita. Sicuramente la prima persona a cui dovrei dedicare qualcosa è mia moglie. Per starmi dietro e seguire tutte le faccende famigliari è quella che fa più sacrifici di tutti.

Lo lasciamo allontanare in sella alla sua Giant pronti a ritrovare domattina De Marchi in tinta con la maglia rossa (leader della classifica a punti) sulla linea di partenza della terza tappa a Schwaz. Forse lo pervaderà un briciolo di emozione, lo stesso che ha fatto provare a chi lo conosce bene.

Alessandro De Marchi nuovo brand ambassador UDOG

02.03.2024
3 min
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Alessandro De Marchi è un nuovo testimonial UDOG, il giovane brand italiano produttore di scarpe ed accessori per il ciclismo fondato appena qualche anno fa da Alberto Fonte

Dal 2011, Alessandro De Marchi ha lasciato un’impronta indelebile nel mondo del ciclismo, conquistando tre tappe alla Vuelta di Spagna, il premio della combattività al Tour de France (nel 2014) e arrivando ad indossare la maglia rosa in occasione del Giro d’Italia 2021. Con il soprannome “Il Rosso di Buja”, Alessandro De Marchi è noto per la sua determinazione, per la fortissima passione e per la propria dedizione al ciclismo.

La sua carriera di successo e la sua esperienza di lunga data nel novero di alcuni dei più titolati team WorldTour, lo riconoscono quale un vero e proprio Senatore del gruppo… ma al tempo stesso anche un partner ideale per introdurre le scarpe UDOG nel mondo del professionismo di primissima fascia. Questa stretta collaborazione, inoltre, andrà ben oltre il semplice “endorsement” del brand, in quanto lo stesso De Marchi lavorerà difatti a stretto contatto con l’azienda padovana contribuendo all’evoluzione tecnica dei prodotti futuri, sviluppando innovazione e performance sulla base della sua lunghissima esperienza in bici.

Un vero… Underdog

«La strada che mi ha portato ad entrare a far parte della famiglia UDOG – ha dichiarato un entusiasta De Marchi – si può dire sia iniziata da lontano, ed è stata caratterizzata da conoscenze comuni che con il tempo non solo sono cresciute, ma hanno avuto modo anche di rafforzarsi. Mai smettere di inseguire i propri sogni: potrebbe essere questo il mio motto… e se dovessi cercare un termine, tra i tanti, per potermi definire ed identificare al meglio, scegliere sicuramente Underdog.

«Perché? Bè, perché mi sono da sempre considerato tale. Per il modo in cui sono arrivato al professionismo, per il modo in cui ho raggiunto e conquistato le mie vittorie ed i miei risultati migliori, sempre da Underdog, da sfavorito… poi vincente!».

Alberto Fonte, Founder & CEO di UDOG
Alberto Fonte, Founder & CEO UDOG

«Proprio in questo modo ho imparato il valore del lavoro, del sacrificio, del provare, del riuscire, e altre volte del non farcela. Sono davvero felice di iniziare questa avventura con la famiglia UDOG con in mente ben saldi questi concetti! Sarà certamente un gran bel viaggio».

UDOG

De Marchi accoglie Piva: porterà grinta e concretezza

10.12.2023
4 min
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TORINO – Ritorno al passato. Ritrovare Valerio Piva in ammiraglia ha un sapore speciale per Alessandro De Marchi. Il friulano è già proiettato al futuro e a un 2024 che lo vedrà guidato di nuovo da un ds con cui ha condiviso alcune delle giornate più belle della sua carriera. Al termine delle visite mediche all’Istituto delle Riabilitazioni Riba – Gruppo Cidimu, il Rosso di Buja (in apertura sui rulli, leggendo un libro, in una foto presa da Instagram) ci ha rivelato qualche retroscena e curiosità di questa liaison che si rinnova, con tanti bei sogni rosa: «Col Giro d’Italia ho sempre un po’ un conto aperto e il percorso mi piace».

Valerio Piva
Valerio Piva è stato direttore sportivo di De Marchi nei 4 anni alla BMC, poi nei 2 alla CCC
Valerio Piva
Valerio Piva è stato direttore sportivo di De Marchi nei 4 anni alla BMC, poi nei 2 alla CCC
Come hai scoperto dell’arrivo di Valerio Piva alla Jayco-AlUla?

Ho scoperto di Valerio casualmente, parlando con Brent Copeland. Io non ne sapevo niente e mi ha spiazzato, però quando me l’ha detto sono esploso in un grande sorriso.

E cosa hai risposto?

Ho detto subito che era un bell’innesto per la squadra. Darà un grande aiuto dal punto di vista organizzativo perché Valerio ha la capacità di vedere a 360°, di sapere dov’è un’ammiraglia, qual è lo spostamento migliore per un corridore, per cui è molto utile avere una persona del genere nello staff.

E in corsa?

In ammiraglia arriverà una persona che ha il pugno e la voce che serve in certe situazioni.

Non sarà facile, dunque, il primo approccio per i tuoi compagni?

Bisogna imparare a conoscerlo, perché all’inizio potrebbe sembrarti “duro”, ma in realtà è il classico direttore sportivo che è quasi lì con te sulla bici a pedalare. Valerio mette intensità e passione nel suo lavoro, facendosi sentire con la sua voce.

Ci racconti l’importanza che ha avuto per la tua crescita da corridore?

Ho trascorso con lui tutti gli anni in Bmc ed è sempre stato il mio direttore sportivo di riferimento.

Qualche aneddoto specifico che vi lega?

E’ difficile ricordarli tutti perché è passato molto tempo, però ricordo che in ammiraglia, alla radio, era sempre deciso: «Ragazzi, si fa questo». Poche parole, ma sempre preciso e coinvolto emotivamente in corsa. 

Un episodio che ti sta a cuore?

Quando ho vinto il Giro dell’Emilia, corsa che ho conquistato con lui in ammiraglia. Mi aveva dato carta bianca e mi aveva detto: «Arriva pure sul circuito, sei battitore libero, mentre per il finale eventualmente c’è Dylan Teuns».

Come hai corso?

Appena arrivato sul circuito, ho deciso subito di attaccare, forse già al primo giro e lui, un po’ spaventato, mi fa: «Ok Alessandro, è ancora lunga». Poi, riesco ad andare via da solo, a quasi tre giri dal termine, ma lui era ancora molto titubante: «Mi raccomando, Alessandro, è ancora molto lunga». Con l’andare dei giri, invece (sorride, ndr), ha cominciato a incitarmi a gran voce e mi ha caricato a mille. Avevo la pelle d’oca soltanto per la sua voce nella radio. Sul bus, quando ci siamo visti dopo il traguardo, era più incredulo di me. Ci siamo confrontati, ha ammesso: «Quando sei partito, volevo dirti di aspettare perché non ero così convinto fino in fondo, ma poi ho capito che dovevo darti fiducia e calmarti».

Questa la lunghissima fuga con cui De Marchi vinse l’Emilia 2018 con Piva in ammiraglia
Questa la lunghissima fuga con cui De Marchi vinse l’Emilia 2018 con Piva in ammiraglia
Gli hai già parlato?

Ci siamo sentiti e visti più volte. E’ stato come ritrovare qualcuno della famiglia e l’ho subito presentato agli altri due italiani, Zana e De Pretto, perché so che sarà una figura importante, soprattutto per loro che sono giovani e li aiuterà nella crescita professionale.

Pensi che Valerio possa essere un grande valore aggiunto per tutti?

Come detto, per gli italiani sarà molto utile, rendendo anche l’inserimento di De Pretto un po’ più soft, mentre Pippo può solo aver vantaggi a essere guidato da una persona così esperta e di un’altra generazione. Più in generale, a livello di squadra, sarà uno step importante per tutti i corridori e può fare la differenza.

De Marchi tira le somme: «Avrei voluto correre di più»

27.11.2023
5 min
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Il ciclismo riparte lentamente: prime pedalate, qualche mini ritiro, sopralluoghi ed esercizi in palestra. Anche Alessandro De Marchi si è rimesso in moto e guarda al 2024, prendendo spunto dalla stagione passata. Lo intercettiamo mentre è in strada, diretto dal fisioterapista. «In realtà – dice – non si smette mai. Vero che mi sono fermato quattro settimane, ma il “callo del ciclista” non si perde mai».

La stagione era iniziata con una buona prestazione alle Strade Bianche: 130 chilometri di fuga
La stagione era iniziata con una buona prestazione alle Strade Bianche: 130 chilometri di fuga

10.000 chilometri

Tra i tanti numeri accumulati dal “Rosso di Buja” quello che fa più impressione è quello relativo ai chilometri in gara: 10.448. 

«Me lo avevano già fatto notare – ammette – e devo dire che non sono pochi. Anche se, ad essere sincero, con il senno di poi li dividerei in due momenti. La prima parte di stagione è andata molto bene, se guardo fino a giugno mi posso ritenere contento. Da quel momento in poi ho ciccato un po’ di cose. Avevo in programma tante gare a settembre, ma sono arrivato con una condizione traballante, con il senno di poi avrei cambiato qualcosa. Per esempio avrei messo qualche corsa in più ad agosto, cosa che era in programma, ma un malanno mi ha impedito di correre l’Arctic Race of Norway. Ammalarsi ti fa perdere il ritmo e nel ciclismo di ora non è una buona cosa».

Al Giro due tappe sfiorate, la prima a Napoli era in fuga con Clarcke. I due sono stati ripresi a pochi metri dall’arrivo
Al Giro due tappe sfiorate, la prima a Napoli era in fuga con Clarcke. I due sono stati ripresi a pochi metri dall’arrivo
Non è bastato allenarti?

Sono abituato a fare periodi di allenamento a casa, anche ad alta intensità, cosa che con il ciclismo di ora si fa spesso. Ma quest’anno avrei preferito fare un passo verso il ciclismo vecchio stile, la pausa di luglio mi ha fatto regredire troppo. Sarebbe stato meglio accorciarla. 

Un modo per prendere le misure verso il tuo secondo anno in Jayco-AlUla, visto il rinnovo…

Devo essere sincero, il rinnovo era una certezza già dalla firma del contratto a novembre dell’anno scorso. Non ho firmato un biennale perché la proposta è arrivata tardi e la squadra aveva qualche dubbio sui vari rinnovi. Ma al Giro avevo già in tasca il secondo anno qui.

La prima parte di stagione si è conclusa con la vittoria di Zana al Giro di Slovenia, De Marchi lo festeggia a modo suo
La prima parte di stagione si è conclusa con la vittoria di Zana al Giro di Slovenia, De Marchi lo festeggia a modo suo
Com’è stato questo primo anno nel team australiano?

Come me l’aspettavo e come lo avevo percepito. Fin da subito la squadra mi ha responsabilizzato dandomi il giusto valore. Questo vuol dire molto, vedere riconosciuto i propri meriti per un corridore è importante. 

Nella prima parte, positiva, di questo 2023 c’è da inserire il Giro, no?

Sono ritornato dove ero prima del 2022. Quella è stata una stagione strana e rischiavo di far diventare quello il mio livello standard. Invece grazie alla Jayco ho ritrovato le mie migliori prestazioni e già solo potermi giocare due tappe al Giro mi ha permesso di far vedere cosa so fare. Con il giusto ambiente intorno sono tornato ai miei livelli, e per questo un grazie va alla Jayco e Copeland. Ho un altro bel ricordo di questo 2023…

Ai mondiali gravel ha ritrovato il cugino Mattia, i due hanno corso insieme con la maglia della nazionale
Ai mondiali gravel ha ritrovato il cugino Mattia, i due hanno corso insieme con la maglia della nazionale
Dicci.

Un altro bel ricordo del 2023 è stato il Giro di Slovenia vinto da “Pippo” (Zana, ndr). Abbiamo dominato come squadra ogni giorno, prendendo in mano la corsa e senza paura. Zana meritava quella vittoria e sono contento che sia toccata a lui, un giovane.

Nel 2023 sei tornato anche a correre nel gravel, una disciplina che ormai ti ha conquistato?

Già nel 2022 volevo correre il primo mondiale, quello di Cittadella. Sono stato contento di tornare a correre questo evento (il mondiale, ndr) anche quest’anno, considerando che si era ancora in Italia. La parentesi dell’europeo in Belgio mi ha fatto scoprire anche un altro modo di vivere e vedere questa disciplina. In accordo con la squadra cercherò di tornare a correre in questa disciplina che fa gola a tanti, basti vedere Mohoric. In più il gravel mi ha permesso di correre accanto a mio cugino Mattia, altro fatto che mi ha reso felice. 

Valerio Piva
Nel 2024 De Marchi ritroverà Valerio Piva, hanno lavorato insieme per sei anni, prima in BMC e poi in CCC
Valerio Piva
Nel 2024 De Marchi ritroverà Valerio Piva, hanno lavorato insieme per sei anni, prima in BMC e poi in CCC
2024 che vedrà l’arrivo di un altro giovane, De Pretto, lo hai già conosciuto?

Sì, è stato in stanza con me durante il training camp a gennaio 2023. Abbiamo passato una settimana abbondante insieme, è un ragazzo tranquillo e mi è sembrato anche timido, ma era normale visto il contesto molto grande. La cosa più importante che ho percepito è che sembra uno voglioso di ascoltare e apprendere. La Jayco per un giovane è l’ambiente giusto, dove il corridore non viene mai abbandonato. Avrà modo di lavorare con Pinotti una figura molto importante è che apprezzerà sicuramente, anche quando andrà avanti con la carriera. A mio modo di vedere è difficile trovare qualcuno come lui. 

Arriva anche Valerio Piva

Quando ho saputo di Valerio ero il più felice della squadra. Ho lavorato per sei anni con lui (quattro in BMC e due in CCC, ndr). Sono sicuro che darà un grosso stimolo e una grande spinta al team, sia dal punto di vista dell’organizzazione ma anche in corsa.

Arrighetti, un buon 2023 e già un bel nome per il futuro

26.10.2023
5 min
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Sull’altopiano di Bossico, un balcone naturale che si affaccia sul Lago d’Iseo, ci vive Nicolò Arrighetti, uno dei migliori debuttanti tra gli U23. Il bergamasco ha disputato una buona stagione con la Biesse-Carrera senza accusare troppo il salto di categoria e i suoi due tecnici sono pronti a scommettere su di lui.

Le parole spese nelle settimane scorse da Milesi e Nicoletti rappresentano una bella investitura per il futuro di Arrighetti (in apertura foto Rodella) e lui per il 2024 non ha paura di continuare a confrontarsi nelle gare più dure, anche se non bisogna correre troppo. Ora arriva lo step della crescita graduale, quello tradizionalmente più complicato di percorsi come il suo. Il diciottenne quest’anno ha ottenuto subito una vittoria a marzo a Fubine nella Monsterrato Road, battendo De Pretto in uno sprint ristretto. Ha poi infilato due podi, quattro top 5 e otto top 10, arricchendo il suo ruolino con la maglia azzurra indossata alla Corsa della Pace. Valeva la pena approfondire la conoscenza di Nicolò.

Risultati a parte, com’è andata questa prima annata da U23?

E’ stata ottima, nonostante avessi la maturità (si è diplomato in elettrotecnica, ndr). Ho fatto tanta esperienza. Mi sono rivoluzionato e migliorato su tante competenze grazie ai miei compagni, ai miei diesse e alla squadra in generale. Qualche soddisfazione me la sono ritagliata e onestamente non mi aspettavo di vincere così presto, anche se stavo abbastanza bene.

Abbastanza?

In primavera ho sofferto per l’allergia, però ho comunque conquistato un bel quinto posto con la nazionale. Nella seconda parte di stagione sono cresciuto, per merito di un periodo in altura a Livigno assieme al mio compagno D’Amato. Mi sentivo più presente in gara.

Azzurro. Arrighetti ha vestito la maglia della nazionale alla Corsa della Pace ottenendo un quinto posto nella prima tappa
Azzurro. Arrighetti ha vestito la maglia della nazionale alla Corsa della Pace ottenendo un quinto posto nella prima tappa
Principalmente che differenze hai notato dall’anno scorso?

Tante. Considerate che da junior correvo in una formazione attrezzata ma piccola, dove ero abituato a fare il leader. Qui in Biesse-Carrera invece ho imparato a lavorare per i compagni e anche a girare l’Italia per le gare, stando tanti giorni lontano da casa. E’ stata una indicazione di com’è la vita del corridore. Poi naturalmente, la differenza maggiore è legata alle corse. Un ritmo maggiore, che diventa ancora più alto quando corri in mezzo ai pro’.

Appunto, per te in certe corse è stato un salto doppio. Come te la sei cavata?

La squadra mi ha sempre portato a gare di alto livello. Devo dire che ero abbastanza preparato a correre tra i pro’ perché i compagni erano stati bravi a spiegarmi come fare e cosa avrei trovato. Ovvio però che i valori sono davvero tanto differenti. Nelle gare pro’ per noi delle continental è molto difficile arrivare in testa al gruppo e restarci. Ci sono chiaramente anche delle gerarchie. In più si soffrono le cosiddette frustate date dalla velocità. L’ho visto proprio due settimane fa al Giro del Veneto…

Racconta pure.

Stavo bene e ho cercato di limare tutto il giorno per mantenere le prime venti-trenta posizioni, ma è stata dura. A sette chilometri dalla fine ho preso un buco perché ero ormai al gancio e stanco. Fortuna che nel mio gruppetto a chiudere il gap c’era De Marchi, altrimenti non sarei riuscito mai a rientrare davanti. Alla fine ho raccolto un buonissimo piazzamento (26° posto a 15” dal vincitore Godon, ndr) che per me vale tanto.

Quali sono le caratteristiche di Nicolò Arrighetti?

Sono alto 1,88 metri e peso circa 73 chilogrammi, quindi fisicamente mi riterrei un passista che tiene bene su strappi e alcuni tipi di salite. Al momento quelle con pendenze abbordabili riesco a superarle senza grossi problemi, però io vorrei migliorare tanto in generale e su quelle più lunghe e dure. Sono ancora molto giovane (compirà diciannove anni il prossimo 23 dicembre, ndr), pertanto credo di avere ancora ampi margini su tante cose.

Sulle strade del Giro del Veneto, Arrighetti (qui con Belleri e D’Amato) è riuscito a ben figurare tra i pro’ (foto Elisa Nicoletti)
Sulle strade del Giro del Veneto, Arrighetti (qui con Belleri e D’Amato) è riuscito a ben figurare tra i pro’ (foto Elisa Nicoletti)
Che obiettivi ti sei posto per il 2024?

Ce ne sono diversi, tutti con l’intento di proseguire nella crescita affidandomi sempre alle indicazioni di Marco e Dario (rispettivamente i diesse Milesi e Nicoletti, ndr). Non vorrei esagerare o sembrare presuntuoso, ma data l’esperienza maturata nel 2023 nelle gare internazionali, posso dire che il prossimo anno mi presenterò nelle stesse con la voglia di fare bene. Spero di poter correre il Giro NextGen e anche di potermi guadagnare ancora una convocazione in nazionale. Quello è sempre un grande onore. Invece al passaggio tra i pro’ ci penserò solamente più avanti, se riuscirò a cogliere dei risultati importanti.