Alessandro De Marchi, ritiro dicembre 2025, Denia, Team Jayco AlUla, direttore sportivo (immagine Instagram)

Fra De Marchi e l’ammiraglia è già scoppiato l’amore

12.12.2025
6 min
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La prima differenza rispetto a quando correva non ha nemmeno bisogno di dircela, dato che il 12 dicembre si trova in vacanza con sua moglie Anna a Berlino e i bimbi sono rimasti a casa. Lo scorso anno di questi tempi, Alessandro De Marchi era reduce dal primo training camp di Denia e a quest’ora sarebbe stato lì a macinare chilometri con il cruccio del peso forma. A Denia c’è andato anche quest’anno, sempre nello stesso hotel, però nei panni del direttore sportivo. E la valigia e le giornate gli sono parse (ed effettivamente sono state) completamente diverse.

Lo intercettiamo durante un tragitto in tram verso le vestigia del Muro, poi dice che andrà a visitare un carcere della Stasi. E intanto, avendolo lasciato a Buja da corridore all’ultimo atto e avendo visto sui suoi social una serie di foto della nuova vita, ci facciamo raccontare come proceda. Scusandoci con Anna, che speriamo vorrà capire!

«Stavolta siamo fuggiti – sorride il friulano – abbiamo fatto il ritiro relativamente presto e poi via. Altre volte siamo partiti a dicembre, ma non era una vacanza. Mi seguivano a Gran Canaria, quindi io mi allenavo. Era sicuramente una situazione piacevole, ma non era una vacanza. Mentre questa è davvero la prima che facciamo senza figli. In ritiro ho fatto dieci giorni belli pieni, sono stato anche un po’ più a lungo, perché servivano dei direttori per seguire gli allenamenti negli ultimi giorni e mi sono offerto di restare, anche per entrare nella parte».

De Marchi sta trascorrendo qualche giorno di vacanza a Berlino con sua moglie Anna. Qui alla Porta di Brandeburgo
De Marchi sta trascorrendo qualche giorno di vacanza a Berlino con sua moglie Anna. Qui alla Porta di Brandeburgo
De Marchi sta trascorrendo qualche giorno di vacanza a Berlino con sua moglie Anna. Qui alla Porta di Brandeburgo
De Marchi sta trascorrendo qualche giorno di vacanza a Berlino con sua moglie Anna. Qui alla Porta di Brandeburgo
Quando hai avuto la certezza che questo sarebbe stato il tuo futuro nella Jayco AlUla?

Ne parlavamo da un po’, però la certezza vera l’ho avuta in questa stagione. Avevo già fatto il corso nel 2024, mi ero portato avanti. E con Brent (Copeland, il team manager della squadra, ndr) all’inizio del 2025 abbiamo iniziato a dare una forma quello che ci eravamo già detti. Quando sono arrivato qui alla Jayco-AlUla, questa era una delle ipotesi che si era messa sul tavolo. Così durante i primi sei mesi dell’anno ci siamo allineati e ora eccomi qua.

Questo significa che durante l’ultimo anno da corridore hai iniziato a esercitare lo sguardo da direttore?

In realtà è una cosa che ho sempre fatto, ma nella seconda parte della stagione ho iniziato a sbirciare, a guardare, a seguire certi ragionamenti sulla logistica e su aspetti più pratici. Non ero ovviamente coinvolto in decisioni legate ai corridori, però ho iniziato ad avvicinarmi e a confrontarmi.

Sei partito senza lo zainetto con il casco e gli scarpini. Che effetto fa?

Una valigia leggerissima. L’unica cosa che ho messo di extra – un po’ per curiosità e un po’ per necessità – sono state le scarpe da running. Mi sto adeguando alle abitudini dello staff, dato che correre a piedi è la cosa più facile per tenersi in forma quando sei in giro. Perciò ho iniziato, ma finora con risultati abbastanza scarsi. Le scarpe, quindi, e per il resto la divisa casual della squadra e nessun completino da bici.

Il salone di Monte Buja si è animato dalle 18, fra immagini di gara, racconti di De Marchi, vino e buon cibo
A fine ottobre, avevamo lasciato De Marchi a Buja fra la sua gente nella festa di addio alle corse
Il salone di Monte Buja si è animato dalle 18, fra immagini di gara, racconti di De Marchi, vino e buon cibo
A fine ottobre, avevamo lasciato De Marchi a Buja fra la sua gente nella festa di addio alle corse
I tuoi ex compagni come l’hanno presa?

Molti sorrisi, quando mi hanno visto. Hanno detto che adesso le cose cambieranno ed erano sorpresi, nonostante sapessero che questa cosa sarebbe successa. Scherzando, ho iniziato subito a mettere i puntini sulle “i”, dicendo che non possono più chiamarmi “Dema”, ma voglio essere chiamato “direttore” (ride, ndr).

Aspettarli in cima alla salita e seguirli in macchina ti è parso tanto strano?

Moltissimo, perché il ritiro si è svolto a Denia, nell’hotel che ho frequentato sin dagli anni della BMC, per un secolo in pratica. Perciò questa novità si è sovrapposta a una serie di luoghi che conosco alla perfezione, ma sempre visti da un punto di vista completamente diverso. Questa è stata una cosa che ho subito percepito. E poi ovviamente gli allenamenti, il fatto di seguirli in macchina, è stata una cosa abbastanza strana. Non dico così spiazzante, però ho pensato che dovrò crearmi dei nuovi riferimenti. Dove aspettarli, dove seguirli, dove assecondarli quando si fermano. Ho percepito subito che il vero trucco di questo ruolo sia creare un rapporto molto stretto con i corridori.

Non dovrebbe essere un problema, dato che fino a due mesi fa eri uno di loro.

Questo aspetto è venuto fuori anche nei tre giorni iniziali dedicati ai meeting fra direttori sportivi. Mi sono trovato in una situazione molto strana, perché sono venuto a contatto con la loro visione della stagione e dei singoli, che a volte non combaciava con quella che avrei avuto io da corridore. Una cosa che durerà forse per quest’anno, poi ovviamente andrà un po’ a sparire. Però, da quello che ho capito, il gruppo dei direttori sportivi vuole sfruttare questo aspetto.

Una grande differenza rispetto al De Marchi dello scorso anno è la possibilità di mangiare quel che vuole
Una grande differenza rispetto al De Marchi dello scorso anno è la possibilità di mangiare quel che vuole (immagine Instagram)
Una grande differenza rispetto al De Marchi dello scorso anno è la possibilità di mangiare quel che vuole
Una grande differenza rispetto al De Marchi dello scorso anno è la possibilità di mangiare quel che vuole (immagine Instagram)
Hai avuto un pizzico di nostalgia della vecchia vita?

No, perché quei dieci giorni mi sono piaciuti proprio tanto. Mi sono trovato bene, ero felice di essere dall’altra parte. Poi è ovvio che se vedi il termometro che indica 20 gradi e strade molto belle, vorresti avere una bici e pedalare. Quello mi manca, ma non mi manca la gara, pesare il cibo e tutte queste cose.

Probabilmente a tavola hai notato altre differenze…

Ho percepito il piacere di non avere l’assillo di pensare esattamente a cosa mangiare e pianificarlo: quello era diventato impegnativo. E nonostante, ad esempio, come staff non avessimo un buffet incredibile, ho apprezzato di poter mangiare quel che trovavo. Sembra una stupidaggine, ma è stato come liberare lo spazio nella mente. 

Sai già con quali corridori lavorerai?

Con Covi e Conca. Gli ho detto che li disturberò una volta a settimana per sentire cosa hanno da raccontare e per mantenere un certo tipo di rapporto, ma siamo ancora in una fase tranquilla. Il grosso sicuramente inizierà con gennaio.

La squadra ha rinnovato i quadri tecnici: riesci facilmente a interfacciarti con tutti?

Capire quali siano i meccanismi forse è stata la cosa più delicata. Per mantenere un certo ordine, una certa efficacia in ogni aspetto, devi riuscire a comprendere chi si occupa di cosa, a chi devi chiedere le cose. C’è un certo tipo di sequenza nel processo ed è un aspetto che dovremo affinare ancora. Però rispetto al passato si è fatto un grosso passo in avanti e ce ne siamo resi conto in questi due mesi di lavoro dietro le quinte e poi arrivando in ritiro. Il cambio di rotta è stato apprezzato, c’è più ordine nella gestione delle cose che forse era mancato nell’ultimo periodo.

De Marchi è del 1986 ed è stato professionista dal 2011 al 2025. Il passaggio sull’ammiraglia segue uno sviluppo piuttosto logico
De Marchi è del 1986 ed è stato professionista dal 2011 al 2025. Il passaggio sull’ammiraglia segue uno sviluppo piuttosto logico
Riuscirai a tradurre in pratica le osservazioni che muovevi da corridore?

In questi mesi, come ho detto prima, mi sono messo dall’altra parte. Ho cercato di guardare le cose dal loro punto di vista, ho già fatto notare aspetti legati a certe fasi della gara, certe fasi di preparazione e di post-gara. Quindi il debriefing e aspetti simili, che hanno spazio per essere migliorati. Aspetti che mi sono stati chiesti nei meeting e che avevo già iniziato a condividere con Gene Bates, il nuovo sporting manager. Sarà una cosa che cercherò di fare, penso sia utile, almeno finché ho la mente fresca da corridore. Poi non tutte le cose verranno accettate o condivise, però è importante metterle lì e ragionarci sopra.

Si respira aria nuova?

Abbiamo fatto un vero brain storming e da tutti quanti sono arrivati un sacco di impulsi e di suggerimenti. Abbiamo voglia di dare una bella svolta e certamente io non farò mancare il mio apporto.

Festa Alessandro De Marchi, Buja, 25 ottobre 2025, torta con i bambini

Con De Marchi nell’abbraccio di Buja, per il passo dell’addio

26.10.2025
8 min
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BUJA – «Adesso vi dirò una cosa che secondo me non vi aspettate – dice De Marchi quando gli viene chiesto quale sia il momento più indimenticabile della sua carriera – perché andremmo tutti alle immagini che abbiamo visto poco fa. In realtà uno dei momenti che ho più nella memoria è il mio compleanno. Io compio gli anni il 19 maggio e maggio significa Giro d’Italia. Per il compleanno del 2018, i miei tifosi della Red Passion (si sono definiti così), mi aspettavano sullo Zoncolan. E durante la tappa del Giro d’Italia, io li ho raggiunti, mi sono fermato, mi sono fatto cantare tanti auguri da tutti loro, ho bevuto un bicchiere di birra e poi sono andato all’arrivo. Quello è uno dei momenti che rimarrà indelebile nella mia memoria».

E’ la festa di addio di Alessandro De Marchi e non poteva che svolgersi nella Buja che gli ha dato i natali e il soprannome. Il Rosso non ha mai pensato di andarsene all’estero, anche se avrebbe potuto. Ha costruito la sua casa non lontano dal paese, perché fra lui e le sue montagne c’è un legame che solo qui, vedendolo fra la sua gente, si riesce a capire a fondo. E’ cominciato tutto nel primo pomeriggio con la gimkana per i bambini, voluta per ricreare la magia che tanti anni fa lo rese corridore.

Poi il gruppone si è spostato in questo spazio delle feste sul Mone di Buja, nello scorrere delle immagini e dei ricordi. Quando smette uno che ha solcato il professionismo per 15 stagioni, il lascito delle emozioni e delle lezioni è per forza enorme. Il senso che non andrà tutto sprecato trova conferma nell’annuncio che il prossimo anno De Marchi salirà sull’ammiraglia della Jayco-AlUla e il suo lavoro accanto ai giovani proseguirà, sia pure con un registro diverso.

L’aria frizzante dell’autunno

L’aria fuori inizia a farsi freschina, l’autunno ha portato colori e temperature adeguate. I bimbi continuano a giocare con le bici, ma uno dopo l’altro vengono fatti rientrare dai genitori, perché lunedì c’è da andare a scuola e non è davvero il caso di prendersi un malanno. Alessandro si trattiene fuori, osserva e intanto racconta. La sensazione che ancora non si renda conto è forte e la riconosce lui per primo.

«E’ arrivato il momento di dire basta – sussurra – è arrivato con il sorriso e la serenità giusta. Non è stato un fulmine a ciel sereno, l’ho comunicato prima e per me è stato importante. Forse non è stata una scelta che tutti hanno compreso, però io avevo il bisogno di essere chiaro prima con me stesso e poi con chi mi seguiva. Quindi è stato giusto dirlo, per non tornare indietro. E’ stato un lento processo che è arrivato al momento culmine nell’inverno scorso. Poi piano piano l’ho condiviso con i più vicini, poi con la squadra e con il resto del mondo delle due ruote».

Le montagne del Friuli

Sua moglie Anna sembra una trottola, presa tra i figli Andrea e Giovanni, le cose da fare per la festa e i tanti saluti. Per fortuna ci sono i nonni e gli amici che la sollevano da una parte delle incombenze. Ma del resto basta guardarsi intorno per capire che i bambini sono sicuri, guardati da tutti, come in una grande famiglia di paese.

«L’idea di fare qualcosa per i bambini – prosegue Alessandro – è venuta un po’ più tardi durante l’estate, quando si pensava a come festeggiare. E alla fine ricordando come ho iniziato io, ci siamo chiesti perché non ricreare una situazione simile e chiudere in qualche modo il cerchio. Non so se i miei figli diventeranno corridori, ma sono contento che amino la bicicletta. L’importante è che trovino il modo per esprimersi, qualunque esso sia, anche suonando uno strumento. Anche io ero un bambino, il percorso è stato lungo e a un certo punto mi ha spinto a partire.

«Sapete che da queste montagne mi sono sempre staccato, ma in un certo senso mai completamente. Adesso le guardo con un occhio diverso e continueranno a essere il luogo di cui non riesco e non voglio fare a meno. Voglio continuare a starci, anche se la mia vita continuerà nel mondo del ciclismo, sia pure dall’altra parte della barricata. Il primo effetto dell’aver smesso? Poter bere qualche birra di più ed essere meno severo con me stesso…».

Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata

L’onore delle ruote

Il momento del saluto alla Veneto Classic lo ha commosso. L’onore delle ruote. Le bici tutte in piedi e lui, come altri prima, a passarci in mezzo lungo il corridoio che di lì a poche ore lo avrebbe portato fuori dal gruppo. 

«E’ stato bello – dice – perché ormai è diventata una sorta di tradizione ed era una cosa cui guardavo con voglia. Esci dal tuo mondo di corridore e intanto speri di aver lasciato qualcosa. Il desiderio di seguire i propri istinti, continuare a fare le cose che ti piacciono. Ovviamente in questo lavoro si è portati sempre a rispondere a delle esigenze diverse, della squadra, del mondo che hai intorno. Invece forse, per continuare a gioire ed essere contenti di questo tipo di lavoro, devi riuscire a rimanere fedele allo slancio grazie al quale hai scelto la bicicletta. Non sarà facile, sappiamo bene come va il ciclismo, ma mi piacerebbe essere riuscito a far capire questo messaggio a quelli che mi sono stati più vicini».

Le interviste impegnate

E qui il discorso si fa più intimo, in una sorta di confessione che ci viene di fargli soprattutto osservando gli ultimi eventi mondiali e spesso il silenzio del gruppo e delle sue voci più autorevoli. Mentre la Vuelta veniva strattonata e fermata dalle proteste pro Palestina, quasi nessuno di quelli che c’erano dentro ha detto una sola parola sull’argomento, quasi fossero abitanti di mondi diversi. Invece dopo il Tour, De Marchi aveva ammesso in un’intervista con The Observer che avrebbe avuto difficoltà oggi a correre con la maglia della Israel Premier Tech indossata per due stagioni. E’ inevitabile così ora chiedergli se tanto esporsi e la nostra richiesta di farlo gli sia pesato e se tante interviste “impegnate” gli abbiano impedito di ricercare la leggerezza in quello che faceva.

«Forse a volte – ammette – avrei potuto essere più leggero, una cosa di cui abbiamo parlato spesso tra noi, soprattutto con mia moglie Anna e con i più vicini. Però alla fine uno trova il modo di esprimersi con un certo stile e in realtà chi mi conosce bene, sa che anche io ho i momenti in cui ricerco la leggerezza».

Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e Giovani
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e il piccolo Giovanni
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e Giovani
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e il piccolo Giovanni

Il senso della comunità

Non ci aspettavamo una risposta diversa e forse è questo il motivo per cui il Rosso di Buja è diventato una sorta di bandiera per la gente che si riconosce nel suo essere trasparente, a costo di sembrare spigoloso. E oggi che sono tutti qui per lui, il senso di appartenenza si percepisce davvero molto saldo.

«Speravo e sapevo che Buja avrebbe risposto così – dice – è la natura di questa zona e di questa gente. Quando viene chiamata è pronta a farsi comunità, a essere disponibile, ad aiutare, a partecipare. Per questo abbiamo unito alla festa la voglia di stare vicino al gruppo di Diamo un Taglio alla Sete, un gruppo di volontari che mi segue da un sacco di anni e che io seguo facendo delle cose insieme. Lavorano tantissimo, ci si può fidare. Sono stati i primi che ho contattato e i primi a rispondere in modo positivo. Sappiamo che quello che raccoglieremo questa sera va in una buona direzione, per scavare pozzi dove l’acqua manca e questo rende tutto più bello, no?».

Lo richiamano da dentro. Il ricavato del contributo di ingresso e della vendita del vino avranno una nobile destinazione. Perciò è tempo di riempire i calici che gentilmente ci hanno appeso attorno al collo, come si usa in Friuli, e iniziare la seconda parte della festa. Quando alla fine della serata il taglio della torta sancirà la fine della carriera di Alessandro De Marchi anche noi avremo la sensazione per una sera di aver fatto parte di una grandissima famiglia.

Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli

Boscolo: «De Marchi è stato capace di incarnare lo spirito del CTF»

23.10.2025
5 min
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Alla Veneto Classic si è conclusa la carriera di Alessandro De Marchi, il Rosso di Buja ha appeso la bicicletta al chiodo, ma le sue idee e quello che ha regalato al ciclismo rimarranno vive a lungo. Professionista dal 2011, quando di anni ne aveva 24, ha corso per quindici stagioni ai massimi livelli con l’istinto di chi ama attaccare. La squadra che lo ha lanciato nel professionismo è stato il CTF Friuli di Roberto Bressan e di Renzo Boscolo. Per De Marchi, friulano DOC non ci poteva essere altra maglia per arrivare tra i grandi

Durante la sua ultima gara sono tante le figure che sono venute a vederlo e salutarlo. Tra tutti c’è stato lo stesso Renzo Boscolo. 

«E’ stato un piacere e un onore essere presente all’ultima corsa di De Marchi – dice il diesse friulano – anche se i sentimenti erano contrastanti. Da un lato c’era l’amarezza di vederlo in gara per l’ultima volta, mentre dall’altra parte prevaleva l’orgoglio. Per salutare Alessandro abbiamo fatto un giro di chiamate tra staff e vecchi corridori del CTF e sulle strade della Veneto Classic ci saranno state un centinaio di persone solamente per lui. Insomma, fa capire cosa è stato capace di lasciare Alessandro De Marchi al ciclismo».

Alessandro De Marchi, Veneto Classic, ultima gara
Alla Veneto Classic Alessandro De Marchi ha corso la ultima gara in carriera
Alessandro De Marchi, Veneto Classic, ultima gara
Alla Veneto Classic Alessandro De Marchi ha corso la ultima gara in carriera
Il CTF lo ha lanciato nel professionismo, cosa ha significato per voi?

Alessandro ha concretizzato l’idea che Roberto Bressan ed io avevamo a proposito del Cycling Team Friuli. Ha dato un’anima a quella squadra e alla nostra passione per il ciclismo. De Marchi è stato l’atleta che per tenacia e combattività ha mostrato cosa fosse il CTF. Il grande ciclismo ai tempi era fuori dal Friuli e sono tante le squadre che nel corso degli anni lo hanno cercato, dal Veneto, dalla Toscana e dalla Lombardia. 

Ha sempre avuto un attaccamento forte alla propria terra?

Lui è il rappresentato del Friuli a livello ciclistico, non c’è strada che De Marchi non abbia solcato. Per noi è stato importantissimo, così come Fabbro gli anni successivi. Ecco, loro due sono i corridori friulani che sono stati capaci di aprire una strada per gli altri. 

Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli, Renzo Boscolo
Il Rosso di Buja è passato al Cycling Team Friuli al primo anno elite, era il 2009
Alessandro De Marchi, CTF, Cycling Team Friuli, Renzo Boscolo
Il Rosso di Buja è passato al Cycling Team Friuli al primo anno elite, era il 2009
Quali erano gli ideali che De Marchi rappresentava per voi?

L’attaccamento alla maglia, vi posso raccontare un aneddoto: è una casualità, ma riceveva davvero tante proposte da squadre molto più grandi della nostra. Lo chiamavano offrendogli soldi che noi all’epoca non avevamo. Lui rifiutava dicendo: «Sono già in una grande squadra. E se non lo è, la farò diventare». 

Com’è arrivato da voi?

Da under 23 è passato con la Bibanese ed è stato quattro anni con loro. Al CTF è arrivato al primo anno elite. La prima corsa vinta è stata al quarto anno da under 23, una tappa del Giro delle Pesche Nettarine. Quell’anno vinse ancora qualche gara e poi venne da noi e rimase per due stagioni.

Quindi passò professionista alla fine del secondo anno elite, una cosa che sembra preistoria…

Già all’epoca cominciava già a essere molto difficile passare da elite. De Marchi però era molto forte in pista, aveva vinto dei titoli nazionali 

E’ sempre stato un attaccante nato?

Già da junior era conosciuto per le fughe e i numerosi piazzamenti, anche se non aveva mai vinto una gara. Quando vinse il premio come corridore più combattivo al Tour de France 2014, qualcuno disse che era il premio che meglio rappresentava Alessandro De Marchi

Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo durante un incontro sulle strade spagnole in un ritiro invernale
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo
Da sinistra: Roberto Bressan, Alessandro De Marchi, Renzo Boscolo durante un incontro sulle strade spagnole in un ritiro invernale
Che figura era all’interno del CTF?

All’epoca avevamo anche corridori più grandi di lui, perché c’era l’accordo con la pista. Ma il soprannome che gli diedero in squadra fu: “il capitano”. Tutti si fidavano di lui, il suo carisma era incredibile e polarizzante. De Marchi aveva una determinazione, una grinta e una voglia immensa. Ricordo che andavamo a fare le gare a tappe in Romania o all’estero e partivamo in furgone da casa. Era bellissimo viaggiare con Alessandro perché si parlava di tutto, c’era una grande vitalità nei suoi discorsi. 

Quindi è sempre stato un uomo con le idee chiare, precise e con dei valori e dei principi saldi?

E’ sempre stato un uomo molto attento alla società, a quello che è il sociale, pronto ad aiutare gli altri, è una persona di principi e con un’etica estremamente forte. Questo lo si vede anche dall’evento che ha voluto organizzare sabato e domenica (25 e 26 ottobre, ndr) interamente dedicato ai giovani e ai bambini. Inoltre il ricavato di quella manifestazione andrà in beneficenza. Però Alessandro ha sempre avuto un’attenzione particolare agli altri, non c’è premiazione, evento o gara regionale alla quale rifiuti di partecipare se invitato. E’ un modo di fare che nei giovani si vede sempre meno.

Cycling Team Friuli, festa, Alessandro De Marchi, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Jonathan Milan
De Marchi a un festa insieme ai tanti atleti passati dal Cycling Team Friuli
Cycling Team Friuli, festa, Alessandro De Marchi, Nicola Venchiarutti, Matteo Fabbro, Jonathan Milan
De Marchi a un festa insieme ai tanti atleti passati dal Cycling Team Friuli
Che effetto vi ha fatto vederlo crescere e diventare l’uomo che è ora?

De Marchi nella sua vita ha dato molto di più di quanto ha ricevuto. Sicuramente all’inizio di carriera questo divario era ancora più grande perché ha fatto la scelta di venire da noi al CTF quando la società era nata da poco. Non era scontato avere un atleta del genere. Lui ha creduto nel progetto e ha creduto principalmente in noi. Il merito va a Roberto Bressan, il quale lo ha fortemente voluto, perché in De Marchi ha visto il prototipo di corridore e persona che volevamo in squadra. La tendenza di Alessandro è sempre stata quella di non mollare mai, di volersi migliorare ed è sempre stato ambizioso.

Moreno Biscaro è un mental coach trevigiano che lavora anche nel ciclismo dal 2021

Moreno Biscaro, il mental coach e le dinamiche del ciclismo

18.10.2025
6 min
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VICENZA – Cerca sempre di non mancare alle gare che ha vicino a casa, seppure non abbia una estrazione ciclistica di lunga data, a parte una normale passione per lo sport. Il ciclismo è arrivato nella vita del mental coach Moreno Biscaro da pochi anni e probabilmente questo suo essere “meno coinvolto” ha giocato e sta giocando a suo favore nel lavoro con i tanti atleti.

I giardini di Campo Marzo sono l’area deputata ad accogliere tutti i bus delle formazioni in gara al Giro del Veneto. Lungo i viali del parco vicentino incontriamo Biscaro intento a salutare alcuni corridori che segue o con cui ha lavorato. L’ottimo clima meteorologico autunnale sommato a quello tipico senza pressione di fine stagione sono il contesto migliore per scambiare impressioni, fare piccoli bilanci e fissare nuovi obiettivi. Intanto che attendiamo l’avanti-indietro delle squadre per il proprio turno di presentazione sul palco, approfondiamo il metodo del professionista trevigiano.

Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Biscaro assieme a Zana e De Marchi. Attraverso i ciclisti, ha visto il cambiamento e problematiche del movimento
Prendiamo spunto da un tuo recente post instagram su Filippo Fontana che ci ha colpito. Su cosa avete lavorato?

Filippo è stato un grande. A giugno si è rotto tibia e perone in Austria in una prova di Coppa del mondo. Lui voleva tornare in bici in 26 giorni come fece Valentino Rossi dopo un suo infortunio. Ci siamo sentiti per telefono diverse volte e lui si era creato questa suggestione come ideale. Parte del mio lavoro è convincere le persone che possono perseguire quello che ci prefiggiamo. Filippo ed io abbiamo trovato fin da subito un linguaggio comune, ma in questo caso non è andato proprio così (dice sorridendo, ndr).

Per quale motivo?

Il paradosso è che quando ho visto Filippo dopo l’incidente l’ho trovato molto centrato sull’obiettivo di voler tornare entro quel termine che si era dato. Il mio ruolo è stato molto marginale e lo dico con un po’ di rammarico (sorride ancora, ndr). Non mi sono neanche sforzato di mettergli in testa certe cose. Significa che avevamo fatto un gran lavoro prima. Il segreto è stato solo di averlo aiutato ad allargare un po’ i suoi orizzonti e crederci ulteriormente. Mi prendo solo questo merito. Alla fine è tornato sulla bici a 28 giorni dalla frattura e ad inizio settembre ha portato a casa un ottavo posto al mondiale Mtb che se non somiglia ad un miracolo, non saprei come altro definirlo.

Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
Dopo la frattura ad una gamba a giugno, Fontana chiude 8° ai mondiali Mtb grazie al lavoro con Biscaro (foto Radek Kasik)
La tua esperienza con i ciclisti quando inizia?

Ho sempre pedalato per tenermi in forma e mi piaceva il ciclismo, tuttavia senza essere appassionato di gare. Ho cominciato a lavorare con questi atleti nel 2021, quando dopo l’Olimpiade è stata sdoganata maggiormente la figura del mental coach nello sport. Io ad esempio ho sempre lavorato con gli imprenditori. La prima con cui ho iniziato è stata Soraya Paladin, che abita a pochissimi chilometri di distanza e tutto è nato in modo simpatico. Lei mi seguiva sui social ed io stavo cercando atleti non tanto per lavorarci, quanto per intervistarli e capire come utilizzavano la parte mentale nello sport.

Com’è proseguito il rapporto di lavoro?

Avevo scritto a Soraya proprio per farle alcune domande e abbiamo iniziato a collaborare. Lei nel 2021 aveva perso la motivazione per continuare a correre, anzi era quasi convinta a smettere. Nel frattempo era riuscita a passare dalla Liv Racing alla Canyon//Sram (dove corre tutt’ora, ndr) e ricordo che alle prime gare del 2022 mi raccontava di aver ritrovato fiducia, voglia e soprattutto il divertimento. E’ diventata una ragazza importantissima per la squadra ed anche per la nazionale. Non è una che vince, ma contribuisce con un grande lavoro ai successi della squadra in tutti i sensi. Dall’anno scorso non collaboriamo più, ma siamo in buoni rapporti. E’ normale che talvolta certi percorsi giungano alla fine.

Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c'è un bel rapporto
Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c’è un bel rapporto
Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c'è un bel rapporto
Tanti giovani collaborano con Biscaro: qui con Luca Paletti, con cui c’è un bel rapporto
Invece con Sacha Modolo com’è andata?

Ho un grande rapporto anche con lui, con cui è nato tutto per caso. Una dichiarazione di Vendrame dopo una sua vittoria al Giro d’Italia aveva fatto venire a Valentina, la moglie di Sacha, l’idea rivolgersi a me. Sacha era entrato in una spirale negativa nonostante fosse alla Alpecin e anche lui stava pensando di smettere ad inizio 2021. Ho “corteggiato” Sacha affinché si affidasse e fidasse del mio ruolo. Lo faccio sempre quando riconosco un talento con cui si possono fare cose interessanti. Alla fine del nostro lavoro, andò alla Vuelta e ne uscii con una gamba incredibile tanto da vincere una settimana dopo una tappa al Giro del Lussemburgo. Quella fu la sua ultima vittoria, ma riuscii a trovare un contratto con la Bardiani nel 2022. Furono grandi soddisfazioni anche per me.

La tua rete si è ampliata molto?

Ho avuto un bel movimento di atleti in questi anni. Con le donne collaboro con Vitillo, Silvestri, Basilico, mentre tra i giovani ho Paletti, Matteo Milan, Olivo e in passato anche con Borgo. Tra i pro’ ci sono Zana e De Marchi. Mi fermo con i nomi perché ne ho tanti altri e non vorrei dimenticarmi qualcuno. La cosa che mi piace è che sono tutte gran brave persone ed è facile quindi instaurare un rapporto di lavoro sia professionale, sia più leggero quando è necessario. Con tantissimi di loro parliamo la stessa lingua e ci troviamo subito in sintonia.

Che idea ti sei fatto del mondo ciclistico? Te lo aspettavi meglio o peggio?

Dal 2021 ad oggi il ciclismo è cambiato tantissimo. Sono stati tutti anni molto intensi e pieni. L’emblema di questo cambiamento è stato proprio il “Dema” (Alessandro De Marchi, ndr). Con lui ho percepito quanto il cambiamento stia diventando sempre più faticoso e difficile. Ho capito quanto ci sia da gestire oltre al correre in bicicletta. E’ una opinione mia, ma secondo me questi atleti dovrebbero prevalentemente pensare a pedalare e divertirsi.

Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Paladin è stata la prima atleta a collaborare con Biscaro. Era il 2021, lei voleva smettere, lui le ha dato nuove motivazioni
Gli altri aspetti sono difficili da arginare?

Adesso subentrano mille dinamiche a cui nessuno li introduce e che non sanno come gestire. Pressioni della squadra, degli sponsor, della famiglia, di altri fattori esterni. Sono un esperto di performance, anche nei rami di azienda, e so quanto queste influenze esterne incidano a performare meglio o peggio. Anzi, in alcuni casi se non si gestiscono in modo corretto, diventa tutto controproducente alla prestazione.

Per Moreno Biscaro è più facile lavorare con le donne o con gli uomini?

Non ci sono grandi differenze, ho sempre di fronte una persona in quanto tale. Non voglio nemmeno generalizzare, ma direi che le ragazze sono più emotive, si lasciano più trasportare. I ragazzi invece ascoltano meno le proprie emozioni e in molte situazioni sono bloccati da queste. A seconda dei casi, può essere un vantaggio, come uno svantaggio, l’importante è saper trovare il giusto punto d’incontro per le motivazioni necessarie per i propri obiettivi.

De Marchi, la vita ricomincia dalla prima coppa

15.09.2025
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Hai davvero la prima coppa? «Ce l’ho ancora a casa dei miei – fa De Marchi, non immaginando la domanda successiva – la riconosco ogni volta che ci passo davanti». Senti Ale, la nuova vita riparte da quel trofeo, sarà come un passaggio di testimone: riusciresti a farti una foto come quel giorno del 1993? Il pezzo dovrebbe uscire domattina alle 10. «Cotta e mangiata, insomma (ride, ndr). Va bene, mi organizzo».

L’ultima corsa di De Marchi sarà il Giro del Veneto del 19 ottobre. Appena una settimana dopo, Alessandro radunerà il suo popolo a Buja e lì chiuderà la carriera di corridore. Lo farà passando il testimone a qualsiasi bambino che, giocando con la bici nella piazza del paese, sentirà scoccare la stessa scintilla di allora. Alessandro aveva sette anni quando ricevette la coppa per la gimkana alla Sagra di San Giuseppe del 1993. Cominciò tutto così. I ricordi si sovrappongono ai pensieri degli ultimi chilometri da corridore. Non è mai semplice mettere via la valigia che ti ha accompagnato fedelmente per così tante stagioni. Per questo la novità di debuttare da mercoledì al Giro di Slovacchia è diventata uno stimolo, nel momento in cui si avrebbe soltanto la voglia che tutto finisca alla svelta.

«Sono sfinito – ammette – non vedo l’ora di arrivare al 19 ottobre. Quest’anno è stato tutto un po’ così, la stagione non è mai svoltata e men che meno lo farà adesso che manca un mese alla fine. Per questo sono contento di fare una nuova corsa, che mi permette di trovare qualche motivazione».

Alessandro De Marchi è passato professionista nel 2010. Il 2025 vedrà la fine della sua carriera al Giro del Veneto
Alessandro De Marchi è passato professionista nel 2010. Il 2025 vedrà la fine della sua carriera al Giro del Veneto
Di solito quando si va in bici si pensa, a cosa pensa De Marchi in questi ultimi allenamenti?

Sto cominciando a capire quanto mi mancherà il fatto di uscire in bici, di stare fuori. Cercherò di ritagliarmi un certo tipo di routine, per garantirmi una decompressione graduale. Pedalare mi mancherà molto, ma come sto dicendo in queste ultime settimane, non mi mancheranno per niente le gare.

Com’è nata, nel momento in cui lasci il gruppo, l’idea di fare qualcosa per i bambini?

E’ nata ripassando il modo in cui tutto questo è cominciato. Ho ritrovato delle foto. Ho parlato con i miei genitori. E alla fine la mente è andata al momento in cui ho sentito iniziare qualcosa. Mi sono chiesto se questo mio addio in realtà non possa diventare il momento per festeggiare qualcosa. E allora perché non provare a ricreare la stessa situazione che a me fece scattare la scintilla?

Di quale situazione parli?

Io ho iniziato con una gimkana promozionale a Buia, una domenica di marzo del 1993. La Ciclistica Bujese organizzava questa manifestazione, in cui erano state coinvolte le scuole e io mi sono avvicinato così. E’ ovvio che poi ci sono stati mille altri passaggi, ma il vero inizio fu quello. E allora mi sono detto che ricreare una situazione simile sarebbe come chiudere il cerchio.

Perché dici che quella vota a sette anni scattò la scintilla?

Ho dei ricordi particolari. Portai a casa una coppa, perché davano qualcosa a tutti i bambini. Quel giorno a casa nostra c’erano i nonni e un po’ di parenti. Mio padre mi portò lì, facemmo la gimkana e rientrammo per il pranzo. E io ricordo di aver mostrato questa coppa ai nonni, agli zii, a tutti quelli che c’erano. Ho nella testa questi due momenti precisi, quindi quell’occasione, nonostante fosse solo il 1993, mi è rimasta molto impressa.

Tanti corridori si affrettano a dire che non vogliono la bici nella vita dei loro figli, tu invece organizzi un evento sperando che la bici ispiri altri bambini.

I miei figli si sono avvicinati alla bicicletta, senza che io dicessi niente. Oggi (ieri, ndr) sono andato in bici a una loro gara, li ho visti correre e poi me ne sono tornato a casa. Non ho alcun problema col fatto che vogliano fare ciclismo. L’essenza di quello che stanno facendo è stare insieme ad altri bambini, facendo uno sport e condividendo momenti, situazioni, esperienze. Credo che questo sia il nocciolo. Lo sport deve avere questo obiettivo di educazione. Il resto, le gare e tutto quello che viene dopo, succederà fra dieci anni, non possiamo parlarne quando hai a che fare con bambini che ne hanno sette.

Prima la bici e poi semmai il ciclismo?

Io voglio che ci siano bambini che usano la bici, che ci pensano come a qualcosa di positivo. Immagino un evento promozionale per avvicinare i bambini alla bicicletta, non necessariamente alle società. Anche se quel giorno nessuno di questi bambini si iscriverà a una delle due società, ma deciderà col papà di andare a fare una pedalata o andare a scuola in bicicletta, per me avremo raggiunto un grande obiettivo.

I bambini in bicicletta sono portatori di un modo diverso di vivere la mobilità e le città: le corse sono un’altra cosa (immagine Instagram)
I bambini in bicicletta sono portatori di un modo diverso di vivere la mobilità e le città: le corse sono un’altra cosa (immagine Instagram)
Come ti aspetti il Giro del Veneto, la tua ultima corsa?

Sarà una giornata così emotivamente carica e piena, che arriverò alla fine della giornata sfinito e contento. Ormai tutto ha un significato assoluto pensando a quel giorno. Io spero di riuscire a partire per andare in fuga, fare la cosa che mi è sempre piaciuta, interpretare l’ultimo giorno in quel modo lì. Ed è la cosa che in questo momento mi sta costando più fatica ed è forse il motivo per cui non sto riuscendo a godere appieno di questi ultimi scorci di stagione.

Ultimo giorno alla Marangoni, che vinse la sua unica corsa all’ultimo giorno di gara?

Quel giorno me lo immagino così. Proverò ad andare in fuga, fare una bella gara per poi arrivare e finire vicino a chi mi vuole bene. Sarebbe bello chiudere come Alan, però il ciclismo di Marangoni era diverso da quello di oggi. Insomma, non credo che riuscirò a vincere il Giro del Veneto…

EDITORIALE / Il Papa, le voci di Gaza e il ciclismo che tace

04.08.2025
5 min
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Quando il pullman della Israel-Premier Tech entrava nel parcheggio al raduno di partenza del Tour, accanto gli camminavano diversi gendarmi ben armati. Assistevano alle operazioni di parcheggio e poi, anche se disinteressati alle cose del ciclismo, sostavano nei dintorni perché nulla turbasse i preparativi della squadra israeliana. Ugualmente dopo la tappa, così raccontano gli autisti degli altri mezzi, quello della Israel era l’unico bus a poter infrangere i limiti di velocità fino a raggiungere l’hotel assegnato. Già da un anno, dalle sue fiancate come da quelle di tutti gli altri mezzi del team, per motivi di sicurezza è stata cancellata la scritta Israel.

Quello che succede a Gaza è sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno nel mondo dello sport ha pensato di fermare la squadra israeliana, come venne fatto nel 2022 per la Gazprom al tempo dell’invasione russa dell’Ucraina. Perché?

La Israel Premier Tech appartiene Ron Baron e a Sylvan Adams, presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele
La Israel Premier Tech appartiene Ron Baron e a Sylvan Adams, presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele

Le parole di Sylvan Adams

Non si può chiedere al ciclismo e allo sport in genere di risolvere questioni politiche di immensa tragicità, ma neppure si può rimanere indifferenti quando si muove con diversi pesi e diverse misure e ci si comporta come se nulla fosse.

La Israel-Premier Tech appartiene a Ron Baron e Sylvan Adams, miliardario canadese-israeliano e presidente del Congresso Ebraico Mondiale per la Regione di Israele. Adams era presente all’insediamento di Donald Trump e in una lettera al neo rieletto presidente americano lo aveva invitato a schierarsi apertamente a favore dell’intervento contro il “flagello” iraniano.

A febbraio invece, recatosi in visita in un’area confinante con il territorio di Gaza, annunciò investimenti per costruire infrastrutture ciclabili e sportive nella regione devastata dal massacro di Hamas del 7 ottobre 2023.

«Questi mostri – dichiarò all’agenzia JNS, Jewish News Syndicate – sono venuti qui con l’intento malvagio e premeditato di torturare, stuprare, mutilare, profanare, prendere in ostaggio il nostro popolo e distruggere il più possibile. Ma hanno fatto male i calcoli: i terroristi sono riusciti a unirci, non solo in Israele, ma tutti gli ebrei ovunque. Manterremo i nostri valori ebraici e continueremo a essere una forza positiva nel mondo. Siamo resilienti, abbiamo attraversato terribili tragedie in passato, nel corso della nostra storia».

«Sono stati uccisi 18 mila bambini a Gaza – scrive Iacomini, portavoce Unicef – non è una questione di definizioni. Sono MORTI» (@unicef)
Hanno ucciso 18 mila bambini a Gaza – scrive il portavoce Unicef Andrea Iacomini – non è una questione di definizioni. Sono MORTI (@unicef)

Le parole di De Marchi

Ora che invece la tragedia sta dilaniando Gaza e nell’indifferenza sta portando alla morte per fame dei suoi abitanti, con un bilancio provvisorio di oltre 40.000 vittime (nell’attentato al rave del 7 ottobre ne furono uccisi 1.200 e 250 vennero rapiti dai terroristi di Hamas: una risposta era necessaria, ma si è decisamente passato il segno), il mondo del ciclismo tace e va avanti. E’ il periodo dei rinnovi dei contratti, il Tour è appena finito e si va verso Vuelta, mondiali ed europei. Alcuni tifosi lungo la strada hanno sventolato bandiere palestinesi, mentre al Tour nel giorno di Tolosa (foto di apertura) un ragazzo ha corso con una maglietta che inneggiava all’espulsione della squadra. Ma ovviamente nulla è accaduto a livello ufficiale.

«Farei molta fatica ora – ha dichiarato invece Alessandro De Marchi al britannico The Observer – a indossare quella maglia. Non voglio criticare nessuno perché ognuno è libero di decidere per chi correre, ma in questo momento non firmerei un contratto con la Israel. Non sarei in grado di gestire i sentimenti che provo. Nel 2021 mi diedero la possibilità di continuare a correre ai massimi livelli, mi diedero un buon contratto e un buono stipendio e io guardavo alla casa che dovevo costruire e alla mia famiglia. Anche per altri colleghi è lo stesso. Ora mi rendo conto che nella vita ci sono momenti in cui, anche se può essere difficile, è meglio seguire la propria morale. Adesso farei le cose in modo diverso. E forse come mondo del ciclismo dobbiamo dimostrare che ci preoccupiamo dei diritti umani e delle violazioni del diritto internazionale».

Alessandro De Marchi ha corso con la Israel-Premier Tech nel 2021 e 2022, indossando anche la maglia rosa
Alessandro De Marchi ha corso con la Israel-Premier Tech nel 2021 e 2022, indossando anche la maglia rosa

Le parole del Papa

Ieri a Roma più di un milione di ragazzi da tutto il mondo ha pregato per Gaza e per l’Ucraina con il nuovo Papa americano. Difficile immaginare che qualcosa cambierà. Difficile anche decidere di scrivere questo editoriale in un magazine che si occupa di ciclismo. Eppure qualcosa bisognava dire, un segnale è necessario. Gino Bartali, che salvò così tanti ebrei dalla deportazione, sarebbe rimasto in silenzio davanti a questo scempio delle vita umana?

«Noi siamo con i ragazzi di Gaza – ha detto il Papa al termine della messa – dell’Ucraina e di ogni terra insanguinata dalla guerra. Voi siete il segno che un altro mondo è possibile, un mondo di amicizia in cui i conflitti non vengono risolti con le armi ma con il dialogo».

Un mondo che esiste soltanto nei raduni religiosi? Alcuni dei politici che ieri ci hanno riempito di parole sulla grandiosità del raduno e la sua spiritualità sono gli stessi che assecondano le teorie di Trump, accolgono a braccia aperte Netanyahu e offrirebbero ristoro ai soldati israeliani stremati dalla guerra, mentre a Gaza si continua a morire per i cecchini, le bombe e la fame. Non è certo colpa dei corridori della Israel, come non era colpa di quelli della Gazprom. La colpa è come sempre del potere dei soldi. Di chi lo ha e di chi non ce l’ha: non è antisemitismo è pietà. E se è abbastanza evidente che il denaro basti spesso per comprare la felicità, di certo non è servito (finora) per comprare l’umanità. Fermare la Israel-Premier Tech sarebbe servito e probabilmente ancora servirebbe a far capire che noi non siamo d’accordo.

Fughe del Tour, è sparita la fantasia: la lezione di De Marchi

12.07.2025
7 min
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«Quest’anno è capitato che abbiamo fatto andar via un corridore per 80 chilometri da solo – dice De Marchi – e che nessuno lo abbia seguito. Insomma, il gruppo è fatto da 180 corridori e la maggior parte non ha grandi occasioni. Ci sarebbero molte più possibilità di quelle che vengono veramente sfruttate, invece ci si limita alle tappe più scontate. E questo comporta che in quei 5-6 giorni tutto il mondo voglia andare in fuga e ti ritrovi con gruppi di 30 corridori pieni di seconde linee che potrebbero tranquillamente essere leader e sono lì a giocarsi la tappa».

Le fughe del Tour sono state l’ispirazione per un interessante confronto con il friulano della Jayco-AlUla, che sulle grandi cavalcate ha costruito i momenti più belli della carriera. La sua ultima partecipazione alla Grande Boucle risale al 2020 ed è del 2014 il numero rosso ricevuto sul podio di Parigi. Giovedì Ben Healy ha conquistato la prima tappa che sia sfuggita al gruppo (foto di apertura). Sono serviti quasi 100 chilometri per portare via il gruppo decisivo, poi è stato tutto un fatto di scelta di tempo e gambe. Una fuga andata via di forza, come ormai accade sempre più spesso. Quella di ieri verso il Mur de Bretagne è stata invece neutralizzata dal gruppo dei migliori, che ancora una volta hanno scelto di fare la corsa.

Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
E’ così difficile andare in fuga al Tour?

E’ sempre stato difficile, ma forse adesso le occasioni sono ancora meno: l’offerta è diminuita e la richiesta è aumentata. A parte quei pochi che curano la classifica e che a volte puntano anche sulle briciole, adesso si gioca il tutto per tutto solo in alcune giornate. E’ un’altra storia.

Perché?

Perché prima i corridori di classifica pensavano alla classifica. Capitava quello che si buttava, ricordo Contador che ogni tanto faceva qualche attacco. Ma erano episodi sporadici, che non stravolgevano la corsa. Così ad andare in fuga eravamo solo noi seconde linee, tra virgolette, mentre adesso ti rendi conto che nelle fughe c’è dentro veramente di tutto. Guardate il gruppo da cui ha vinto Healy e dentro c’erano fior di campioni (con Healy c’erano, fra gli altri, Simmons, il vincitore del Giro Yates, Van der Poel, Storer, ndr). Giornate come quella diventano delle gare di un giorno all’interno di una gara tappe. Giovedì ci hanno messo 100 e passa chilometri a far partire la fuga. E’ come l’approccio a uno sprint, perché la minestra è la stessa ed è uguale anche il modo di affrontare il percorso.

Al Giro d’Italia è più facile?

In realtà si sta uniformando tutto. Ovviamente al Tour c’è qualcosa in più, ma era lo stesso 15 anni fa. Al Tour è sempre andato chiunque avesse l’un per 100 in più di condizione, motivazione e voglia. E questo, moltiplicato per 200, crea l’effetto Tour de France. Però la sostanza non cambia, anche al Giro quest’anno le fughe andavano così. Un’altra cosa che è cambiata parecchio è che le fughe sono molto più numerose, è difficile trovarne una di 5-6 corridori

La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
Che cosa cambia?

E’ una gestione completamente diversa. Replichi nella fuga la gara che di solito faresti in gruppo. Diventa una questione non solo di gambe, ma di strategia, necessità di leggere la corsa e i movimenti degli altri. Per me è sempre stato meglio andare in fughe meno numerose. Magari essere in tanti ti permette di arrivare più avanti, ma se il gruppo è grosso, c’è anche meno accordo. Giovedì, Healy ha scelto il momento giusto e poi le cose hanno avuto il solito svolgimento.

Quale?

Si crea il gap. Chi è davanti va alla stessa velocità di chi è dietro, che non ha più le forze per chiudere. Si congelano i distacchi, a meno che uno non salti per aria, cosa sempre più rara da vedere. Quindi alla fine diventa fondamentale fare la prima mossa e prendere subito vantaggio. Poi non ti prendono più.

Quanta concentrazione serve per prendere la fuga?

Tantissima, al punto che nei momenti topici nemmeno senti il baccano del pubblico. Devi tenere tutto sotto controllo. E’ super impegnativo, niente di diverso da un finale di gara, dalla preparazione di una volata. Con la tattica fai la differenza, perché un conto è fare due ore e mezza a tutta, altra cosa è mettersi nelle prime posizioni senza mai affondare, stare coperti e ritrovarsi ugualmente in fuga avendo speso un quarto rispetto agli altri. Quella è una cosa che cambia tanto e che una volta si faceva di più. Invece vedo gente che vuole andare in fuga solo di gambe. Si sa che al dato chilometro c’è lo strappo o la strada stretta, si aspetta solo quello e vanno via di forza, raramente d’astuzia o esperienza.

Sono così mediamente giovani che l’esperienza non possono averla.

Forse è vero, ma secondo me dipende dal fatto che le gambe sono diventate lo spartiacque. Quando hai un certo tipo di livello e di gambe, puoi fare il doppio delle cose di chi quelle gambe non le ha. Nove volte su dieci, ci riesci. E’ cambiata molto anche la voglia di rischiare e sorprendere il gruppo in giornate che sulla carta non sono adatte alle fughe. Se si prevede che finirà in volata, nessuno ci prova. Mi dispiace che sia così, vuol dire che non c’è poi tanta fantasia, non c’è tutta questa libertà.

Si fa solo quello che può riuscire?

Ricordo delle tappe da volata, con la fuga che riusciva quasi a farcela o addirittura ce la faceva e metteva in scacco tutti quanti. Al Delfinato del 2019, nella quinta tappa ero in fuga anch’io. Tutti aspettavano la volata, però siamo arrivati all’ultimo chilometro che ancora non ci avevano preso. Ce la siamo giocata fino in fondo, ma sono cose che succedono sempre meno. Vi anticipo: non darei la colpa alla radio, anche se in qualche misura incide. La verità è che secondo me nell’animo dei corridori di quest’epoca manca un po’ di spirito di iniziativa. Se il corridore vuole, ha la libertà di muoversi come vuole.

Quanto è importante saper leggere le dinamiche del gruppo?

Devi sapere come sono andate le giornate precedenti, se ad esempio c’è già stata una fuga, se qualcuno l’ha provata e non l’ha presa. Devi tenerlo in considerazione, devi conoscere gli eventuali rumors. Al Delfinato di quest’anno, si sapeva che la EF Education volesse andare in fuga, ma non ci erano ancora riusciti. Finché a un certo punto, mi pare nella quinta tappa, alla partenza si sono schierati tutti davanti e alla fine hanno messo Baudin nella fuga. Ci sono movimenti da leggere nei primi chilometri. Vedi la squadra che all’inizio chiude perché attende un tratto in salita più adatto al suo scalatore. Però sono finezze cui pochi fanno attenzione. Molti sono concentrati sullo sforzo, sul fatto di avere nelle gambe la botta al posto giusto e nel momento giusto. Invece ci sono anche altri aspetti da valutare.

La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
Ad esempio?

Ad esempio il punto in cui attaccare oppure come farlo in base al vento. Alla Boucle de la Mayenne, la corsa che ho fatto prima del Delfinato, un giorno c’era terreno tutto su e giù, che alla fine vai velocissimo. C’era gente che scattava in cima agli strappi, anzi in discesa. Seguirli e mettersi a ruota era la cosa più semplice. Oppure capita che ci sia vento contro e la gente attacchi dalle prime file, con altri che gli prendono la ruota e si vede che non vai da nessuna parte. Sarebbe meglio arrivare da dietro lanciati e magari far partire un compagno e poi attaccare in prima persona. Sono cose che si vedono raramente.

Cosa pensi quando passi davanti al tuo numero rosso?

Mi ricorda che c’è stato un periodo in cui avevo anch’io la cartucciera piena e non avevo paura di sparare e tentare. Il momento della giovinezza, ma anche di quando hai un sacco di fiducia e voglia di provarci.

Il tempo è volato. Alessandro è appena rientrato dall’Alto Adige con la famiglia ed è in partenza verso l’Austria per fare altura con la squadra. L’ultimo anno della sua carriera entra nella seconda parte e i programmi sono ancora da farsi. Durante lo scorso inverno, con ottima scelta di tempo, il Rosso di Buja ha fatto e superato il corso per diventare direttore sportivo e si sta guardando intorno per capire cosa fare da grande. Sarebbe davvero utile avere in ammiraglia qualcuno capace di insegnare certi concetti e certi movimenti.

De Marchi, il dado è tratto, ma c’è ancora tanto da fare

30.04.2025
6 min
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«Se ti ricordi, ci siamo visti a dicembre – attacca De Marchi – e sei partito subito con la domanda secca: è l’ultimo anno da corridore? In realtà lì non c’era di niente di deciso, ero ancora in una fase molto riflessiva, mettiamola così. Ho finito di riflettere e ho preso la decisione una quindicina di giorni dopo che ci siamo visti. Stavo per andare a Gran Canaria con la famiglia per allenarmi e poco prima di partire ne ho parlato con Anna ed ero arrivato a questa conclusione».

Dopo tanti anni, finisce che basta uno sguardo. Per cui, quando il 9 dicembre ci trovammo faccia a faccia, fu subito chiaro che avevamo di fronte un uomo al bivio e venne naturale fargli la domanda diretta per osservarne la reazione. Si era quasi alla fine del viaggio, serviva il tempo per dirselo nel modo giusto.

Lunedì 9 dicembre, primo pomeriggio ad Altea, Spagna. Si capiva che i pensieri di De Marchi fossero in subbuglio
Lunedì 9 dicembre, primo pomeriggio ad Altea, Spagna. Si capiva che i pensieri di De Marchi fossero in subbuglio

Lo capisci che si emoziona quando le frasi si allungano e le parole si ripetono, a tratti faticano per uscire. Non è facile raccontare quello che hai dentro. Non è facile mettere il punto e forse per questo il modo che ha scelto per farlo è stato un video molto emotivo in cui ha potuto dire la sua senza altri occhi addosso che la lente della telecamera.

Quando l’hai capito?

Non è stata una fase brevissima, è servito qualche mese e la calma dell’inverno è stata l’occasione giusta per mettere insieme i pezzi e guardarmi indietro.

La somma dei segnali?

Sembra assurdo, ma ho realizzato che uno dei campanelli d’allarme era suonato quando l’anno scorso ho vinto la tappa al Tour of the Alps. E’ stato stato sicuramente un giorno memorabile, di quelli belli che ti ricordi. Però pensandoci bene dopo, ho realizzato che rispetto ad altre vittorie e altre giornate, quello che avevo ricevuto indietro in termini di energia e di spinta era parecchio meno rispetto al passato. Quella cosa mi ha aperto gli occhi.

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Eppure non è il giorno speciale che pensava
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Eppure non è il giorno speciale che pensava
Ti ha dato la spinta per guardarci davvero dentro?

Alla fine, se ci pensi, la cosa difficile, almeno per me, è stato avere il coraggio di guardarmi allo specchio e ammettere che quello che ho fatto per 15 anni inizia quasi a non a non piacermi più. Che non è più la cosa principale in cui mi vedo guardando un poco più avanti. E’ stato decisivo anche capire che, quando pensavo al futuro, la prima cosa che mi immaginavo era diverso dall’essere vestito in lycra e correre in bici.

Hai pensato di far finta di non aver capito?

E’ la prima tentazione che ti assale: ignorare i segnali e rientrare nella solita parte. Non puoi farlo, è pericoloso, però è anche difficile prenderne atto. Significa smettere di essere la persona che sei stato per 15 anni. Devi fartene una ragione da un momento all’altro. Andare avanti significherebbe recitare una parte, ma perché dovrei farlo? Per come sono io, ho sempre corso per il piacere, per la passione, per riuscire a fare certe cose. Nel momento in cui ho capito che avrei potuto firmare un altro contratto solo per prendere i soldi, proprio in quel momento ho iniziato a vacillare.

Ci sarà tutto il tempo per fare bilanci, la sensazione di adesso qual è?

Mi sono tolto un peso. Il video è stato la fine di questo percorso. Il primo passo è stato ammetterlo a me stesso, dirlo a ad Anna, alla mia famiglia e quelli più vicini. Poi parlarne con la squadra. Avevo in mente da tempo questa cosa del video e devo dire che le ultime settimane, quando era tutto pronto e stavamo aspettando il momento giusto, sono state interminabili. Aspettavo con ansia quel martedì e quando il video è andato online, mi sono tolto effettivamente un peso.

Volta Catalunya, De Marchi al via della 15ª stagione da professionista, accanto ad Aleotti, altro figlio del CTF
Volta Catalunya, De Marchi al via della 15ª stagione da professionista
Sai che su ogni palco da qui a fine anno ti chiederanno cosa si prova a fare la tale corsa per l’ultima volta?

E’ già cominciato. E’ successo ogni giorno (ride, ndr), però ci si fa il callo, come per tante altre cose. E poi devo dire che è bello vedere la reazione di persone, amici e tifosi. Qualche giorno fa sono andato a vedere una gara di Andrea (il suo primo figlio, ndr) che corre nei giovanissimi. E sono stato letteralmente travolto da questa cosa. Persone che hanno visto il video e mi hanno fatto i complimenti per il modo in cui io l’ho annunciato. C’è stata una bella reazione e per me è la conferma di aver interpretato bene il mio mestiere in tutti questi anni.

Cancellara annunciò che avrebbe smesso e poi vinse l’ultima gara della carriera: le Olimpiadi di Rio a crono. Serve tanta testa: un annuncio del genere toglie motivazioni?

Ammetto di aver risentito soprattutto di questo processo di riflessione e poi l’attesa dell’annuncio. Non nascondo che questo mi ha tolto un po’ di energie. Ma dal momento in cui l’ho detto, è tornata la solita concentrazione. Ci tengo veramente tanto a fare bene il mio lavoro e questo ha ripreso il sopravvento. Correrò sicuramente con una nuova consapevolezza, cambia un po’ tutto. Adesso sono in preparazione per il Giro d’Italia, la testa è lì. Per essere perfetto o almeno il migliore possibile.

Come l’hanno presa Anna e i bambini?

Anna, ovviamente, era la prima ad aver intuito tutto. Mi ha lasciato fare i miei ragionamenti. E poi quando gliel’ho detto, mi ha confermato che lo sapeva già. E’ contenta, perché sa cosa significhi fare questo lavoro. I bambini hanno visto il video e soprattutto Andrea ne è rimasto sicuramente colpito, però sono sereni.

Uomo da grandi fughe e grandi tirate, De Marchi correrà domani a Francoforte, poi è atteso dal 9° Giro della carriera
Uomo da grandi fughe e grandi tirate, De Marchi correrà domani a Francoforte, poi è atteso dal 9° Giro della carriera
Quindi adesso una settimana a casa e poi si parte per l’Albania?

Anche meno, in realtà. Dopo il Tour of the Alps sono stato due giorni a casa. Poi si parte per Francoforte (la Eschborn-Frankfurt si correrà domani, ndr). Quindi torno a casa e, come tradizione vuole, farò un pranzo con gli amici più stretti del CTF Lab e compagnia, e poi si parte per il Giro.

E allora ci vediamo in Albania…

Volentieri. Però la prossima volta che dovremo parlare di cose serie, lo faremo con una birra davanti. Lo sapete che sono aperto a tutte queste cose…

De Marchi fa la sfinge: ultimo inverno da corridore?

10.12.2024
6 min
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ALTEA (Spagna) – «Voglio darmi una scadenza – dice De Marchi – non arrivare a ottobre l’anno prossimo e annunciare che smetterò di correre. Se, come immagino, sarò al Giro d’Italia, che è l’obiettivo della primavera, voglio sapere che potrebbe essere l’ultimo. Se deciderò di smettere, lo dirò prima della partenza. Credo che sarebbe il modo migliore per viverlo davvero a fondo».

Si parla al futuro e anche un po’ al condizionale. De Marchi ha la faccia di chi aveva un gran bisogno di tornare al lavoro. Sembra in forma, ma sull’argomento oppone le mani, come per dire: lascia stare! Qua nessuno ti regala niente e non puoi lasciare niente indietro. C’è il peso da mettere a posto, anche se il blu della tuta sfina, perché aver finito la stagione al gancio non ha aiutato a tenerlo a bada. Il mare riempie l’orizzonte dietro le chiome dei pini, per uno scenario che conosciamo alla perfezione. Certe volte ti sembra quasi di essere a casa, perché sono gli stessi posti che frequenti ogni anno e da anni.

«Ci stiamo pensando – prosegue – anche perché c’è una serie di cosette messe vicino che mi hanno costretto a riflettere. Non ho voluto prendere una decisione adesso, nel mezzo dell’inverno e lontano dalle corse e dalla squadra, per cui magari avrei avuto solo una visione. Però è una domanda che mi sto facendo e piano piano sto cercando di arrivare a una risposta. Se dovessi ascoltare il cuore o la mente, andrei avanti per sempre. Ma ci sono i segnali che il fisico ti manda e la mente può arrivare fino a un certo punto, ma non può portare indietro il tempo. I vent’anni non torneranno».

Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese
Richiesto dalla stampa internazionale, De Marchi si è raccontato anche in inglese

La vittoria in primavera

Il 2024 del Rosso di Buja è stato un anno strano. In primavera è tornato alla vittoria (una tappa al Tour of the Alps), come non gli capitava dal 2021. Il Giro d’Italia lo ha visto a un ottimo livello e infatti ne è uscito con un buon sapore in bocca. E’ stato quando ha insistito per fare la Vuelta che la stagione ha preso la piega che non si aspettava e che lo ha turbato.

«Visto il trend positivo della primavera – dice – credevo di fare quello che mi è sempre venuto meglio, cioè i Grandi Giri. Solo che mi sono preparato un po’ di corsa e nella prima settimana sono stato condizionato da un virus. L’ho superato a fatica anche a causa di quel caldo pazzesco e non riuscire a essere quello che sono sempre stato, quindi uno che prende la fuga e sempre nel vivo della corsa, mi ha acceso la lampadina. Forse il mio cruccio è non essere pronto o capace di cambiare ruolo. Una volta che ammetti questo, puoi anche decidere di non arrivare allo sfinimento. Questa è un’altra cosa che mi preme molto. Non vorrei continuare solo perché ho trovato un contratto e smettere dopo un anno di troppo. Per fortuna qui ho un interlocutore con cui si può parlare. Si tratta di tirare le somme e prendere una decisione».

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna a vincere: non accadeva dalla fine del 2021: 924 giorni

Uno spiraglio di sole

Tutto un altro parlare rispetto a quando la Israel Premier Tech aveva deciso di non confermarlo, lasciandolo nel mezzo di una velata disperazione. E’ più accettabile smettere quando si decide di averne avuto abbastanza, piuttosto che essere costretto a farlo. L’arrivo alla Jayco-AlUla ha aperto una nuova pagina della sua storia.

«Lo step che sono riuscito a fare già nel 2023 ritornando del vivo della corsa – dice – mi rende orgoglioso. Solo che devi fare i conti con questo tipo di ciclismo, diverso da quello di dieci anni fa in cui un uomo come Tosatto è stato di grande supporto fino ai 40 anni. Adesso è difficile da immaginare, quindi vediamo. Sto cercando di non focalizzarmi solo sul ricordo della Vuelta e delle ultime gare in Italia, quando ero davvero cotto. Meglio pensare alla vittoria, che ha significato un sacco perché è stato come dare un senso al nuovo corso iniziato con il nuovo contratto in questa squadra. A Brent Copeland sono sempre stato molto molto riconoscente perché ha portato uno spiraglio di sole nel disastro totale. La vittoria è stata la conseguenza di aver trovato un ambiente sano, in cui anche io che venivo da un certo tipo di esperienza e con la mia storia sulle spalle, mi sono sentito valorizzato. E’ stata una bellissima chiusura del cerchio, anche se la Vuelta a quel modo mi ha tolto il buon sapore dalla bocca».

Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio
Alessandro De Marchi, classe 1986, compirà 39 anni il 19 maggio

Il bello del ciclismo

E’ il guaio di chi è abituato a pensare e sa farlo nella giusta direzione. Se in più senti il passare del tempo e sei di te stesso il giudice più severo, allora è impossibile ignorare i segnali. Il ciclismo ha mille pretese, ma forse inferiori rispetto agli standard che un professionista come De Marchi vorrebbe per sé.

«Mi hanno detto che quest’anno – dice – solo pochi hanno vinto e io ci sono riuscito. Devo trovare l’equilibrio. Io ho sempre avuto voglia di migliorare, ma probabilmente il ciclismo adesso ha una marcia in più. E’ ancora bello e mi piace perché nell’essenza è rimasto lo stesso. Devi essere preciso, puntare a tirare fuori il massimo, ma è come se si fossero aggiunte nuove sfide alle solite sfide. Vado orgoglioso della Vuelta che ho fatto, perché non era da tutti risollevarsi. Aver accettato che non potevo stare in prima fila, mi ha permesso di aiutare i ragazzi che invece avevano le gambe. E’ stato particolare perché ho usato tantissimo la radio. Li ho aiutati a dosare le forze e a non sparare tutto per entrare nella fuga o all’interno della fuga stessa. E’ stato Piva a suggerirmelo e sono stato i suoi occhi in corsa. Perché dalla macchina non vedi niente, invece avere uno nel gruppo che riesce a intervenire in tempo reale può fare una grande differenza».

Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia
Prima settimana durissima, poi la Vuelta di De Marchi ha cambiato faccia

Un’idea per il futuro

Come un direttore sportivo, ma in corsa. Scherzando gli diciamo che proprio per questo non lo lasceranno smettere, ma nell’osservarlo sembra quasi che l’idea gli vada a genio e abbia individuato il modo per farne parte, sia pure con abiti diversi.

«Dare certi suggerimenti dall’ammiraglia – dice – sarebbe più difficile perché sei completamente cieco. Il modo per essere incisivi è il lavoro dietro le quinte. Una fase molto importante è far funzionare il debrief. Sta diventando uno dei momenti più importanti per fare il riassunto della giornata, avere bene chiaro quali sono stati gli errori e quali sono state le cose fatte bene. Perché ormai in macchina non si sa niente e con la gara sempre più veloce, la difficoltà aumenta. Anche per questo credo che Piva alla Vuelta abbia spinto molto su di me. Avevano me che parlavo e avevano radio corsa, quindi più cose messe insieme. Però ammetto che diventare direttore sportivo è una cosa che mi piacerebbe e su cui sto riflettendo. Non so quando sarà, ma non aspetterò troppo per prendere una decisione».