Search

Malucelli riparte dal Giappone: un reset totale per rinascere

10.11.2023
5 min
Salva

Come quando sbagli il primo bottone e tutto il resto si storce, la carriera di Matteo Malucelli si è inceppata sulla chiusura della Gazprom. Quei pochi mesi di ciclismo ad alto livello sono stati la sua fortuna e la sua condanna, perché nulla di tutto quello che è venuto in seguito gli è parso all’altezza. Per cui al momento di ripartire e ritenendo chiuso il suo periodo alla Bingoal, l’ingegnere romagnolo si è trovato davanti a un bivio. Da un lato, la scelta di smettere. Dall’altro la possibilità di un reset totale, andando a correte nel JCL Team Ukyo di Alberto Volpi. Una continental che farà prevalentemente attività in Oriente.

«Il paragone del primo bottone – riflette Malucelli , in apertura con la compagna Martina durante le recenti vacanze – calza a pennello. Vengo da due anni di camicie storte. Adesso che l’ho sbottonata tutta, proverò a chiuderla dritta. La sfortuna più grande che ho avuto non è stato che abbiano fermato la Gazprom, ma il fatto che io abbia toccato con mano che cos’è una squadra che funziona. Da lì, dovunque andassi, vedevo solo le cose negative e quando entri in quel vortice, è finita. Sono convinto che se non avessi fatto quei due mesi con loro, probabilmente sarei rimasto in piccole squadre senza avere metri di paragone così diversi. E’ stato come avere fra le mani un’auto di lusso e poi farsela portare via senza averla usata davvero».

Il 10 febbraio 2022, Malucelli debutta ad Antalya in maglia Gazprom e vince
E’ il 10 febbraio 2022: Malucelli debutta ad Antalya in maglia Gazprom e vince
Come è arrivato il Team Ukyo?

Moreno Nicoletti, il mio procuratore, me ne aveva parlato già a settembre. Io avevo capito che alla Bingoal non sarei andato avanti, per cui sapeva che avrei voluto cambiare. Abbiamo sentito altre squadre, ma alla fine quella è stata la proposta rimasta nel piatto. Ho voluto parlare con Volpi per togliermi tutti i dubbi e lui mi ha illustrato il progetto, che mi è piaciuto.

Che cosa ti ha convinto?

E’ un progetto nuovo e io ho voglia di rimettermi in gioco, perché secondo me valgo più di quello che ho dimostrato. In vita mia ho avuto due mesi per provare ad essere a un certo livello e mi sembra di averlo dimostrato. Volpi non lo conoscevo tanto. Ci eravamo salutati qualche volta in giro per aeroporti, ma nulla di più. Mi ha convinto perché è stato molto trasparente.

In azione sul Muro di Grammont al Renewi Tour, accanto a Martinelli: la parentesi belga si è chiusa
In azione sul Muro di Grammont al Renewi Tour, accanto a Martinelli: la parentesi belga si è chiusa
Che cosa ti ha detto?

Intanto mi ha ringraziato per avergli voluto parlare. Poi mi ha detto: abbiamo questi materiali, questo è il budget, queste le corse che possiamo fare, anche se cercheremo di farne anche in Europa. Non mi ha raccontato favole. La squadra è continental, ha il progetto di diventare professional, ma non si sa in che tempi. E’ stato molto chiaro e a me, da ingegnere, questa cosa piace.

Di quali materiali ti ha parlato?

Le bici Factor montate in tutto e per tutto con Shimano, ruote, caschi e scarpe compresi. Avremo pneumatici Vittoria. Mi ha parlato dei pedali e dei direttori sportivi. Ha detto tutto quello che mi doveva dire e mi ha fatto sentire importante. Non che ne avessi bisogno, non mi devo sentire una prima donna. Sono stato in squadre con gente molto più forte di me e questo tante volte è stato uno stimolo. Ma è gratificante che un direttore sportivo che nemmeno conosci dimostri che si era davvero accorto di te, parlando di questa o quella volata. E poi non mi ha chiesto niente, vittorie o altro. E devo dire che il suo peso nella decisione di accettare l’ha avuta anche la presenza di Boaro.

Nel 2023 la squadra giapponese ha corso su bici Factor montate 100 per cento Shimano: così anche il prossimo anno (foto Team Ukyo)
Nel 2023 la squadra giapponese ha corso su Factor montate 100 per cento Shimano: così anche nel 2024 (foto Team Ukyo)
Che cosa significa che correrai prevalentemente in Oriente?

Da quello che mi hanno detto, non dovremmo correre in Cina, perché fra i giapponesi e i cinesi non c’è un grande feeling. Quest’anno, hanno corso in Corea, Taiwan, Giappone, Langkawi, Filippine, poi Saudi Tour e Oman. Cercheranno di inserire qualche corsa in Europa, ma alla fine devi averne 60 adatte alle tue caratteristiche, non c’è bisogno che ce ne siano 120. In ogni caso, dopo aver parlato con Volpi, un po’ sono stato titubante. Per cui ho detto a Moreno che sarei andato in vacanza e avrei deciso quando fossi tornato, perché con la mente fresca si decide meglio. E alla fine ho deciso di fare questo vero reset. Guadagnerò meno, ma penso che solo ripartendo dal basso potrò tornare al livello migliore. Ho pensato a Finetto, che era con me alla Trevigiani e aveva già 30 anni. Poi è passato ancora e ne ha fatti altri quattro alla Delko, vincendo corse.

Perché ripartire da un team più piccolo ti dà motivazione?

Ho il desiderio di rimettermi in discussione, come da neoprofessionista. Sono all’anno zero, tutto quello che ho fatto finora mi ha portato in Giappone, evidentemente non è stato così grande. Perciò riparto da una piccola squadra. Se va bene, potrò correre ancora. Se va male, andrò a lavorare un anno più tardi.

Malucelli ha preso la decisione di firmare con il Team Ukyo al ritorno dalle vacanze, a mente fresca
Malucelli ha preso la decisione di firmare con il Team Ukyo al ritorno dalle vacanze, a mente fresca
La nuova bici è arrivata?

Dovrebbe arrivare in settimana, non vedo l’ora. E’ questo che mi dà morale, la voglia di quando sei giovane che negli ultimi anni era un po’ calata.

Ci saranno altri italiani in squadra?

Oltre a Volpi e Boaro qualcuno dello staff e anche un corridore giovane, che è stato inserito nel gruppo Whatsapp, ma ancora non è stato annunciato. Sono appena tornato dalle vacanze e anche se ho trent’anni e per qualcuno potrei essere vecchio, non vedo l’ora di ripartire. Ho fatto sette anni da pro’, chi dice che non potrò farne altri sette?

Boaro: il tempo di dire addio, poi quella telefonata…

29.10.2023
6 min
Salva

Neanche il tempo di appendere la bici al chiodo, di assimilare un totale cambio di vita che Manuele Boaro si è subito rituffato nel mondo del ciclismo. «Il giorno dopo la mia ultima corsa, la Veneto Classic, è squillato il telefono. Dall’altra parte c’era Alberto Volpi che mi ha chiesto se me la sentissi di affiancarlo nella guida del JCL Team Ukyo, il team giapponese del quale è diventato manager. Non ci ho pensato un attimo, gli ho detto subito sì. Mi sono tuffato in una nuova avventura con lo stesso entusiasmo di quando 13 anni fa ho iniziato il mio cammino fra i pro’».

Boaro ha chiuso a 36 anni con convinzione. Non perché il fisico gli dicesse di smettere, anche se le varie stagioni passate in giro per il mondo si facevano sentire. Questo ciclismo però non riusciva più a gestirlo dal di dentro.

«Sapendo che avevo il contratto in scadenza – spiega – ho provato a muovermi. Dopo anni i manager li conosco tutti, li ho contattati personalmente. Ma al di là di un po’ di “vediamo, ti faccio sapere” non avevo avuto nulla. Qualcosa magari sarebbe anche saltato fuori, ma mi sono chiesto se avrebbe avuto un senso. Poi ho saputo che la Veneto Classic passava proprio per il mio paese, davanti casa mia. Allora ho pensato che sarebbe stata la maniera migliore per chiudere».

La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo
La grande festa per il suo ritiro all’ultima Veneto Classic, con il fans club schierato al completo

L’ultimo dei veri gregari?

Una decisione presa proprio qualche giorno prima, ma il poco tempo è bastato per allestire una grande festa per salutarlo come si conveniva: «Sono venuti in tanti, il fans club si è mobilitato alla grande e quel giorno è stato un turbinio di emozioni. Posso dire di aver chiuso in bellezza, credevo che la mia storia ciclistica si sarebbe chiusa lì. Invece neanche poche ore dopo rieccomi coinvolto, ma in maniera completamente diversa».

L’addio di Boaro è anche l’addio di uno degli ultimi veri gregari. Il suo racconto della ricerca vana di un contratto non fa che confermare la sensazione che questa figura stia ormai sparendo: «In questo ciclismo, fatto di numeri, siamo noi quelli che vengono penalizzati. Le squadre chiedono corridori che portino punti, il principio del “siamo tutti capitani” è ormai imperante. Ma attenzione: chi lavora per la squadra nella prima parte di gara, quando non ci sono le telecamere, quando si gettano le basi della corsa e bisogna proteggere e stare vicino al capitano di turno?

«Il risultato è che le corse professionistiche stanno diventando come quelle dei dilettanti – prosegue Boaro – pronti via ed è subito bagarre. Ma a lungo andare questo modo di correre logora, bisognerà vedere come l’intero ambiente reagirà quando corridori come me o come Puccio non ci saranno più».

L’esempio di Rijs

Boaro è sempre stato molto convinto della sua scelta: «Non ero un campione quando sono passato professionista e ho capito presto che dovevo trovare una mia dimensione. Ho avuto la fortuna di correre insieme a grandi campioni come Contador, Nibali, Sagan e posso dire di aver contribuito ai loro successi. Il che mi ha permesso di vivere una carriera densa di bei momenti e di soddisfazioni, ma anche di contatti umani, il che è fondamentale».

Ripercorriamo allora la sua carriera, fatta di poche squadre perché quando Manuele era nel team, ne diventava una colonna: «Ho iniziato con la Saxo Bank diventata poi Tinkoff, ben 6 anni in quel gruppo. Avevo Bjarne Riis come manager ed è stato preziosissimo, mi ha insegnato tanto su come vivere questo ambiente, tutte nozioni che mi saranno ancora utili ora che passo dall’altra parte… Era davvero un numero 1 nel ciclismo, ma anche fuori sapeva far gruppo. Alla sera ad esempio, se si poteva ci faceva anche andare in discoteca, oggi quando mai? Mi dispiace che non sia più nell’ambiente. Poi le cose con la Tinkoff non sono cambiate: era un gruppo bellissimo, andare in ritiro era un piacere».

Nel 2017 Boaro approda alla Bahrain-Merida, per due anni, ma quella era una squadra ben diversa da quella di oggi: «Stava nascendo allora, dal niente. Mi ritrovai in una squadra tutta da impostare, non fu facile. Di quegli anni ricordo il primo Giro al fianco di Nibali: mamma mia quanta gente, quanto entusiasmo. Peccato che finimmo terzi e uso il plurale volutamente perché con Vincenzo era davvero un lavoro di gruppo e mi dispiacque tanto che non riuscì a cogliere il risultato pieno, la gente l’avrebbe meritato. Con lo Squalo siamo rimasti sempre in contatto, ritrovandoci all’Astana e ancora adesso ci sentiamo spesso».

Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse
Sul palco con le piccole Matilde e Sofia. Ora inizia la sua nuova carriera da diesse

Lopez, talento cristallino

Astana, un’avventura iniziata nel 2019 e portata avanti fino a qualche giorno fa: «E’ una squadra in forte cambiamento. Io arrivai che avevano Fuglsang che era uno dei grandi per le classiche e Lopez per le corse a tappe e a proposito del colombiano devo dire che è un corridore fortissimo. Abbiamo condiviso anche la camera insieme, io ho provato a consigliarlo, a stargli vicino, può ancora fare tanto. Purtroppo ha cambiato numero e ci siamo persi di vista, ma io non posso dirne che bene».

Torniamo però al cambiamento: «L’Astana è un team in cerca d’identità, era nato per i grandi Giri ma ora sta progressivamente diventando una squadra per le corse d’un giorno. Anche per questo non avevo più molto spazio. Io però le sono ancora molto legato».

Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012
Boaro ha sempre avuto grande predisposizione per le cronometro, finendo 2° ai tricolori 2012

In Giappone per imparare

Ora comincia una nuova avventura: «E’ la dimensione giusta, una squadra piccola, ma che ha una lunga storia alle spalle. Io devo imparare tutto, farlo in un team continental che ha però prestigio e ambizioni è la cosa giusta. Starò al fianco di Alberto per imparare ma lo farò in prima linea. Avrei potuto farlo anche all’Astana, ma sarei stato il nono diesse, in fondo alla gerarchia, non era giusto per loro e per me».

Chiudendo c’è qualche rammarico? «Se mi guardo indietro no, sono contento di come sono andate le cose. Forse l’unica che mi manca è una maglia tricolore nella cronometro, perché quando ho iniziato da pro’ andavo piuttosto bene, ma nel 2012 persi con Malori per soli 7”. Vestire il tricolore sarebbe stato bellissimo. Ma va bene così: molti mi dicono che nessuno farà più quello che ho fatto e forse, visto il ciclismo di oggi, sarà proprio così».

Volpi cambia tutto: «Ecco il mio team giapponese»

12.10.2023
6 min
Salva

Ci vuole davvero grande coraggio per rimettersi in discussione a sessant’anni suonati. Alberto Volpi questo coraggio ce l’ha, tanto da lasciare un posto da diesse in uno dei team di vertice del WorldTour per mettersi alla guida (e usiamo questa frase non a caso, come si vedrà) di un pressoché neonato progetto giapponese, a livello continental. Qualcosa di piccolo che vuole diventare estremamente grande.

Volpi dal prossimo anno sarà il manager del JCL Team Ukyo. E’ una squadra rimodellata quest’anno nel Sol Levante per volontà di Ukyo Katayama, ex pilota di Formula 1 e secondo alla 24 Ore di Le Mans del 1999 (ecco il perché della guida…), che insieme a Seiko Hashimoto, presidente del comitato organizzatore di Tokyo 2020 ha voluto investire su una nuova creatura ciclistica. Obiettivo: farne il veicolo per far crescere il suo Paese anche nel ciclismo su strada, in una Nazione dove l’unico sfogo agonistico di vertice è nella pista e nella velocità in particolare, per il sistema delle scommesse ad essa legato.

«I contatti con Katayama – racconta Volpi che già dalla voce tradisce l’entusiasmo per la nuova avventura e la grande voglia di fare – risalgono al novembre 2022. Con Ukyo ci conosciamo da oltre 15 anni, l’ho anche ospitato sull’ammiraglia Barloworld al Giro d’Italia 2009, nella tappa di San Martino di Castrozza. Lo scorso anno mi parlò di questa idea che aveva avuto e gli sarebbe piaciuto coinvolgermi per la mia esperienza. Abbiamo continuato a sentirci nel corso della stagione, ho visto come ha agito la squadra in questo primo anno. Ukyo mi ha chiarito gli ambiziosi progetti e alla fine mi sono convinto».

Ukyo Katayama, 60 anni, è stato pilota di F1 dal 1992 al 1997. Nel 1999 è salito sul podio della 24 Ore di Le Mans (foto Miguel Bosch)
Ukyo Katayama, 60 anni, è stato pilota di F1 dal 1992 al 1997. Nel 1999 è salito sul podio della 24 Ore di Le Mans (foto Miguel Bosch)
Lasci però una realtà consolidata come la Bahrain Victorious: perché?

Perché dopo oltre 25 anni di ciclismo di vertice, sempre in grandissime squadre, avevo bisogno di nuovi stimoli. Alla Bahrain sono stato benissimo, avrebbero voluto che rimanessi. Mi accorgo però che gli anni passano e avevo bisogno di cambiare qualcosa per avere sempre quel sacro fuoco dentro. Questa è una grande sfida, c’è tantissimo da lavorare perché è qualcosa che va creato praticamente dal nulla.

Su alcuni media abbiamo saputo che la squadra verrà affiliata in Italia, è vero?

No e ci tengo a chiarire la questione perché sono uscite delle inesattezze. Il team continua ad avere la sua affiliazione in Giappone, ma da quest’anno svolgerà buona parte della sua attività in Europa e avrà la sua base in Italia. Precisamente a Colle Brianza, dove sono andato personalmente a visionare una sede adeguata. Ho scelto una confortevole casa dove i ragazzi e lo staff risiederanno per due periodi l’anno. Il primo da febbraio ad aprile e il secondo da agosto a ottobre. Per il resto svolgeranno la loro attività seguendo il calendario asiatico. Il Giro del Giappone sarà l’obiettivo primario, per il team e per chi lo finanzia.

Benjamin Prades, spagnolo di 39 anni, è il più esperto. E’ in Giappone dal 2016 (foto team)
Benjamin Prades, spagnolo di 39 anni, è il più esperto. E’ in Giappone dal 2016 (foto team)
Come sarà composta la squadra?

Parliamo di un team continental che già al suo primo anno ha avuto 11 corridori di cui 3 stranieri. Siamo orientati a mantenere la stessa struttura, con l’esperto australiano Nathan Earle, 35 anni, che resterà al fianco di un gruppo di corridori giapponesi. Sto lavorando però per portare nel team altri 3 corridori europei e non mi dispiacerebbe se fra loro ci fosse anche un italiano. I contatti li sto definendo in queste settimane.

Perché questa struttura internazionale?

E’ una precisa strada che abbiamo intrapreso e che è alla base del progetto. Il team deve servire a far crescere il ciclismo giapponese, portando i migliori prospetti del Paese a affrontare il ciclismo vero, quello che si fa nel Vecchio Continente, ma serve anche il confronto interno, quotidiano, con realtà diverse, culture diverse. Vogliamo che i ragazzi capiscano e imparino che ciclismo significa anche alimentazione corretta, allenamenti mirati, gestione della giornata nelle sue 24 ore vivendo da ciclista. Il team sarà comunque sempre di un massimo di una dozzina di corridori, più un meccanico, un massaggiatore e un accompagnatore.

Il JCL Team Ukyo è è stato reimpostato quest’anno, ma esisteva già dal 2012 (foto team)
Il JCL Team Ukyo è è stato reimpostato quest’anno, ma esisteva già dal 2012 (foto team)
Qual è il progetto alla base del team?

Katayama mi ha spiegato che l’obiettivo è arrivare più in alto possibile: entrare nel futuro come prima squadra giapponese del WorldTour, essere invitati al Tour de France, competere per il podio. Già nel suo primo anno il team ha preso parte al Tour of Oman e al Saudi Tour arrivando addirittura a vestire virtualmente la maglia di leader. Sono primi passi, nel 2024 vedremo di fare qualche altro piccolo passo in avanti, ma è chiaro che le idee restano tali se non ci sono finanziamenti a supportarle.

Stai trovando interesse nella tua ricerca di corridori?

Il mio telefono intanto non smette di squillare per le chiamate dei procuratori che mi stanno proponendo di tutto e di più… Quando poi vai a stringere, è chiaro che è difficile: i corridori di fronte alla chiamata di una professional non hanno dubbi, ma noi per ora siamo una continental e qui poi c’è davvero da mettersi in gioco in toto. Trovare gli elementi giusti, sia ciclisticamente che dal punto di vista umano non è facile, ma sono ottimista.

Masaki Yamamoto, laureatosi quest’anno campione nazionale dopo il 2° posto a cronometro (foto team)
Masaki Yamamoto, laureatosi quest’anno campione nazionale dopo il 2° posto a cronometro (foto team)
Parlavi di due periodi dei ragazzi in Europa. Anche tu però dovrai trasferirti per un periodo in Giappone…

Sicuramente. Sto cercando un diesse che segua la squadra in tutto il suo cammino, ma io come general manager sono il garante del team di fronte a Ukyo e all’intera proprietà. Vorrò esserci, vedere tutto, capire il più possibile di questa realtà. Già nei prossimi giorni partirò per il Giappone per conoscere gli sponsor e le strutture a disposizione in loco.

C’è anche il problema della lingua…

Masuda, che con i suoi 39 anni è il più anziano del gruppo, è stato con me alla Cannondale nel 2013. Parla bene inglese e anche un po’ italiano, nel gruppo fa da traduttore, ma abbiamo anche un factotum che parla bene italiano e ci aiuterà nei periodi qui. Anche a questo serve la multinazionalità del team, per uscire da certi schemi e comunicare il più possibile. Ma è tutto in divenire, intanto abbiamo stretto un rapporto con la Subaru Italia, che tramite la casa madre giapponese fornirà le auto del team e l’assistenza. Il progetto va avanti e vuole andare molto lontano.

Landa li ha visti scappare. Ma si è preso il podio con i denti

08.10.2022
4 min
Salva

Si staccava e rientrava. Sempre mani basse, sempre composto e sempre a tutta. Mikel Landa riesce a trovare l’ennesima buona prestazione. Peccato per lui che sulla sua strada incontri ogni volta qualche fenomeno. Se ci fosse un “Giro della regolarità” lui sarebbe di certo in maglia rosa.

A Como il corridore della Bahrain-Victorious agguanta un terzo posto che dà speranza per l’inverno. Dà morale. E’ una piccola gioia. Alla fine è su un podio importante, in una classica monumento tra un fenomeno, Pogacar, e un gran corridore, Mas.

Landa (classe 1989) con il suo stile impeccabile in salita. Dopo la Vuelta il basco era tornato in corsa al Gran Piemonte
Landa (classe 1989) con il suo stile impeccabile in salita. Dopo la Vuelta il basco era tornato in corsa al Gran Piemonte

Fiducia in Landa

«Io ci credevo – racconta dopo la corsa Alberto Volpi, diesse della Bahrain – Ci credevo perché sapevo che stava bene. L’ho visto dopo la ricognizione fatta nei primi giorni della settimana. Avevo fiducia in lui. E a chi mi chiedeva chi vincesse rispondevo: “Occhio a Landa”. E mi guardavano storto».

«Tutti noi eravamo per Mikel – dice Edoardo Zambanini, soddisfatto per aver concluso la sua prima classica monumento – io dovevo stargli vicino fino al Ghisallo e invece sono arrivato fin sotto il San Fermo. In corsa mi diceva che stava bene. Gli ho dato da mangiare, più di qualche volta sono andato all’ammiraglia a prendere l’acqua. Sapevamo che Mikel c’era e per questo eravamo motivato anche noi».

Edoardo Zambanini (classe 2001) è stato vicino a Landa ben oltre il Ghisallo
Edoardo Zambanini (classe 2001) è stato vicino a Landa ben oltre il Ghisallo

Preparazione ok

Nel finale i due davanti giocavano un po’ come il gatto col topo. Acceleravano e si fermavano e, come detto, Mikel rientrava. Anche mentalmente non è facile. Perché se è vero che tu stai bene, è anche vero che ci sono due che ne hanno più di te.

«Poteva essere frustrante questa situazione – spiega Volpi – ma Mikel è stato a bravo a stare lì con la testa, ad avere i nervi saldi. Io per radio gli davo dei riferimenti, dei distacchi… ma neanche più di tanto, perché comunque in certe situazioni il corridore va lasciato concentrato».

«Da parte mia sono molto contento – ha spiegato Landa – ho cercato di arrivare qui al Giro di Lombardia al meglio. Mi sono ritrovato tra Pogacar e Mas, sapevo che ne avevano di più e ho cercato di fare la mia corsa e di dare il massimo».

«Il suo podio – riprende Volpi – Mikel lo ha conquistato sul Civiglio, salita durissima, perché restare con quei due lassù significava appunto salire sul podio. E non era così scontato. Andare come è andato lui su quella salita significa stare bene davvero.

«Anche per questo voglio fare un plauso alla squadra, che a ha lavorato bene, e al preparatore che è riuscito a portarlo in condizione. Dopo la Vuelta Mikel non aveva più corso. Avevamo pensato alla CRO Race, ma ci era sembrata troppo impegnativa. Così ha corso solo giovedì scorso al Gran Piemonte».

Landa con Pogacar e Mas. Loro due erano su un altro pianeta a sua volta lui ha fatto il vuoto su tutti gli altri

La Bahrain c’è

Lasciare dietro il vincitore del Tour de France, staccare tanti altri bravi corridori per un ragazzo che non metteva il numero sul dorsale da tanto tempo, eccezion fatta per il Gran Piemonte, non era scontato per Volpi. 

E tutto sommato il diesse non aveva torto in quanto abbiamo visto che i più forti hanno gareggiato parecchio in questo scorcio di stagione. Il ritmo nelle gambe, tra l’altro quello esplosivo delle corse di un giorno, c’era eccome. E quando si scatta con violenza la differenza si sente.

«Vorrei aggiungere una cosa – sottolinea Volpi – abbiamo iniziato le classiche monumento con una vittoria, quella di Mohoric alla Sanremo a marzo, e la chiudiamo con un podio in un altra classica monumento. Questo significa che la Bahrain Victorious c’è. E’ sul pezzo».

Quattro diesse italiani in vetta al Giro: i voti di Cassani

30.05.2022
5 min
Salva

Ci sono quattro direttori sportivi italiani alla guida dei primi quattro della classifica generale del Giro: non è davvero per caso. Gasparotto nella Bora-Hansgrohe di Hindley. Tosatto nella Ineos Grenadiers di Carapaz. Volpi al Team Bahrain Victorious di Landa (in apertura sul podio come miglior team). E Martinelli nell’Astana con Nibali.

«Ho sempre detto – dice Davide Cassani – che abbiamo i tecnici più bravi al mondo. Il ciclismo italiano ha alcune eccellenze e i direttori sportivi ne sono una parte integrante. Sono bravi e soprattutto hanno la stima delle squadre e dei corridori».

Mondiali di Ponferrada 2014, nel primo mondiale di Cassani come cittì, Bennati era il regista
Mondiali di Ponferrada 2014, nel primo mondiale di Cassani come cittì, Bennati era il regista

L’occhio dell’esperto

Il cittì degli ultimi nove anni azzurri (Cassani è stato in Federazione dal 2014 al 2022) ha seguito il Giro con attenzione. Non dalla moto RAI come lo scorso anno, ma con lo sguardo attento di un professionista che nel ciclismo ha vestito i panni del corridore, dell’addetto stampa, dell’opinionista televisivo e del tecnico della nazionale. A lui abbiamo chiesto una valutazione di quei tecnici che con le loro tattiche hanno animato le tappe del Giro. A dire il vero alla fine abbiamo anche provato a chiedergli qualche rivelazione sulla possibilità che crei davvero una squadra, ma a quel punto Davide ha chiuso il discorso, pregandoci di avere pazienza.

Gasparotto, qui con Benedetti, ha dato nuova linfa alla Bora
Gasparotto, qui con Benedetti, ha dato nuova linfa alla Bora

Imprevedibile Bora

Gasparotto è arrivato alla Bora-Hansgrohe da quest’anno. Al Giro dello scorso anno era sulla moto come regolatore dei mezzi in corsa. Ha sicuramente imparato a leggere meglio certi movimenti della carovana, ma la sua capacità tattica è stata per certi versi inattesa.

«Sono stati – dice Cassani – l’unica squadra che abbia provato a inventarsi qualcosa. Non hanno avuto una condotta banale, che in certi momenti si è prestata a qualche critica, ma alla fine hanno avuto ragione loro. Gasparotto ha dimostrato di avere polso e carattere, con sui ha gestito la squadra più forte.

«Sono passati da tirare tutti insieme come a Torino al mettere un uomo nella fuga. Sono stati imprevedibili e mai schematici. Di sicuro Gasparotto conosceva bene pregi e difetti di Hindley. Essere corridori è una cosa, fare il diesse è un’altra. Ma Enrico è sempre stato intraprendente, sempre un uomo squadra. Per tutta la carriera ha sempre dimostrato una bella visione».

Hindley ha interrotto il filotto della Ineos Grenadiers di Matteo Tosatto: Giro sfuggito il penultimo giorno
Hindley ha interrotto il filotto della Ineos Grenadiers di Matteo Tosatto: Giro sfuggito il penultimo giorno

Ineos in difesa

A Tosatto e al Team Ineos Grenadiers non si può imputare certo qualcosa rispetto al crollo di Carapaz sul Fedaia. Anzi, forse essendosi reso conto che il suo leader non fosse al 100 per cento, il tecnico veneto ha cerato di mascherarne i limiti.

«Anche secondo me lo sapeva – dice Cassani – infatti hanno cercato di addormentare la corsa, sempre tenendo Carapaz davanti. Che Richard non avesse il colpo del kappaò si è visto sul Blockhaus. Così hanno cercato di difenderlo. Paradossalmente però, l’unico giorno in cui la squadra si è dissolta, è coinciso con l’unico in cui Carapaz ha cercato di anticipare i rivali.

«La sconfitta del Fedaia non è stata della squadra. Sabato lo hanno portato davanti fino agli ultimi 5 chilometri. La loro speranza secondo me era che Carapaz crescesse con il passare delle tappe, ma purtroppo non è successo».

Alberto Volpi è stato il diesse del Team Bahrain Victorious assieme a Pellizotti
Alberto Volpi è stato il diesse del Team Bahrain Victorious assieme a Pellizotti

Perplessità Bahrain

La condotta di gara del Team Bahrain Victorious ha suscitato qualche perplessità. Secondo alcuni la squadra ha lavorato per portare Landa al terzo posto e Pello Bilbao al quarto, rinunciando a correre rischi.

«Si sono mossi inseguendo da una parte la vittoria di tappa – dice – dall’altra la classifica. A Landa è mancato qualcosa e non so se sacrificando Pello si sarebbe potuto cambiare qualcosa. Pensavamo un po’ tutti che anche lui nella terza settimana potesse dare in colpo e aveva per sé una super squadra, ma se poi ti stacchi sugli arrivi in cui devi esserci in prima persona, la squadra può farci poco.

«Si è detto che avrebbero potuto inventarsi qualcosa. Ma cosa? Potevano sganciare Bilbao, ma bisogna vedere se ne aveva le caratteristiche e la condizione. Se ci pensate, il vantaggio della Bora è stato che Kelderman sia uscito subito di classifica. Magari avrebbe lavorato ugualmente per Hindley, ma diciamo che si sono tolti il dubbio. Il fatto è che Landa sia mancato e che sul Fedaia abbiano provato a vincere la tappa dimostra che sapevano che Landa non avrebbe potuto fare altro».

Martinelli ha restituito serenità e motivazioni a Nibali, che ha chiuso il Giro al quarto posto. Con lui anche Zanini
Martinelli ha restituito motivazioni a Nibali, che ha chiuso al 4° posto (con lui anche Zanini)

Un Nibali inaspettato

Il quarto è Martino, quello che è sceso di sella prima di tutti e che dall’ammiraglia ha vinto Giri, Tour e Vuelta in numero industriale. Uno che non avrebbe bisogno di presentazioni e che quest’anno ha riaccolto Nibali e l’ha condotto fino al quarto poto finale. Ed è servita la sua maestria, perché la squadra doveva essere a disposizione di Lopez, che dopo poche tappe se ne è andato.

«Un direttore sportivo è bravo – dice Cassani – quando riesce a fa andare i propri atleti al loro meglio. E Nibali ha fatto quello che non mi sarei aspettato. E’ andato forte, restando sui tempi dei migliori, in un Giro in cui le salite sono state fatte forte. Il quarto posto non basta?

«Quando sei come Nibali, che hai vinto due Giri, un Tour e la Vuelta, andare fuori classifica significa fallire. Puoi farlo nell’anno in cui punti alle Olimpiadi, altrimenti non lo fai. Soprattutto nell’ultimo Giro della carriera. Devo dire che ho apprezzato più quel suo tenere duro fino al quarto posto, piuttosto dell’eventuale tentativo di vincere una tappa. Martino conosce Vincenzo. E’ allo stesso tempo tecnico e padre. Martino è Martino…».

Volpi: «A Landa do 7, ma d’ora in poi lo voglio più coraggioso»

21.05.2022
4 min
Salva

Non saranno ancora le grandi montagne delle Alpi, ma di fatto oggi con la Santena -Torino, si comincia a salire. E quando si parla di salite Mikel Landa è a suo agio. Il suo direttore sportivo, Alberto Volpi, lo sta guidando alla grande.

E Landa, lo diciamo senza troppe riserve, ha bisogno di una guida. Anche domenica scorsa ha rischiato di mandare tutto all’aria. E’ caduto. Però è riuscito ad arrivare davanti. Volpi dovrà tenerlo a riparo da se stesso. Ma il ragazzo e il suo motore non si discutono.

Nella crono di Budapest Landa ha “incassato”, per Volpi tutto secondo la norma
Nella crono di Budapest Landa ha “incassato”, per Volpi tutto secondo la norma

L’insidia di Torino

«Sì, l’altro giorno Landa ha rischiato, ma sapete anche voi che nell’economia di un Giro capita sempre la giornata più o meno fortunata – dice Volpi – e per fortuna nostra, non è stato niente di grave. L’anno scorso è stato molto peggio. Diciamo che il conto con la sfortuna lo abbiamo saldato». 

«Sono fiducioso perché il percorso del Giro è adatto a lui. E lo è già da questo weekend che propone due tappe impegnative. E sono preoccupato soprattutto per quella di Torino, che è meno dura, ma anche meno lineare. E’ una frazione insidiosa adatta non a scalatori, ma a gente che pedala forte in salita. E c’è una bella differenza».

Volpi la sa lunga e il fatto che sia più preoccupato per questa frazione e non per quella di Cogne “fa scopa” con quello che abbiamo sostenuto: le insidie planimetriche (e tattiche).

Per Mikel Landa davvero una brutta caduta. Per fortuna nulla di grave
Per Mikel Landa davvero una brutta caduta. Per fortuna nulla di grave

Verso la terza settimana

Ma sarà soprattutto la terza settimana quella che deciderà tutto e che ci dirà davvero se Landa ha compiuto questo salto di qualità. Dal Tour of the Alps, Mikel ha parlato pochissimo, come se volesse starsene sulle sue e non attirare troppi i riflettori. Anche le mattine prima del via, in zona mista, è alquanto telegrafico.

«A partire dal giorno di riposo – spiega Volpi – l’ultima settimana è davvero severa e credo che i giochi si decideranno prima. Ma la penultima tappa (quella della Marmolada, ndr) potrà ancora dire qualche cosa, nel caso uno volesse rimediare o allungare un po’ sugli avversari. Per cui credo che per noi e per il nostro corridore sia un percorso strutturato bene.

«Rispetto agli altri anni arriviamo a questo punto bene direi, nonostante le cadute appunto. E credetemi, per come è caduto poteva andare molto peggio. E’ caduto in malo modo. Poi nel rientrare, in discesa, credo abbia fatto una curva troppo all’interno trovando dello sporco ed è caduto ancora, stavolta rompendo la tacchetta della scarpa. Però non ha perso la testa».

E questo punto lo hanno sottolineato in molti. Era facile saltare di testa. Affrontare una salita così dura, potenzialmente decisiva, con una scarpa diversa non è facile (un diesse avversario ci ha fatto notare che lo scarpino di Landa non fosse il suo, ndr). Segno davvero di un grande stato di forma.

Scarpe diverse per il basco nella salita del Blockhaus
Scarpe diverse per il basco nella salita del Blockhaus

Più coraggio

«Se dovessi dargli un voto? Finora gli do un sette perché è stato bravo, ma non di più perché spero possa avere più coraggio».

E questo a dire il vero un po’ ci ha stupito. Di solito il problema di Landa è che attacca un po’ troppo, si espone molto. Volpi lo vorrebbe più aggressivo. 

«Sì, sì… spero che possa avere più coraggio perché lui le gambe per fare certe azioni ce le ha. Ma per fare delle cose che da buone diventano eccezionali serve coraggio. Mi aspetto un po’ più di spregiudicatezza».

E per essere spregiudicati serve anche la squadra e a Landa proprio non manca. La Ineos-Grenadiers forse è un po’ più forte nel complesso, ma non in salita. Due scalatori come Buitrago e Pello Bilbao non li ha nessuno.

«Siamo attrezzati bene – dice Volpi – ma anche la Bora Hansgrohe, per esempio è molto forte ed anche imprevedibile. Hanno vinto due tappe, corrono con serenità… Magari non hanno il super scalatore, ma messi insieme fanno la differenza. E comunque anche la Ineos Grenadiers resta sempre una grande squadra. Mi aspetto di avere un giro di grande equilibrio, vincerà uno che è forte forte in salita».

Attacchi di squadra, Volpi ne sa qualcosa da diesse e da corridore

11.03.2022
6 min
Salva

Attacchi di squadra: un qualcosa di raro nel ciclismo. Ma anche di affascinante se dietro c’è un disegno tattico. In ogni caso vedere tante maglie uguali all’attacco fa un certo effetto. Negli ultimi giorni questa situazione si è verificata due volte: il UAE Team Emirates a Laigueglia e la Jumbo Visma nella prima tappa della Parigi-Nizza (nella foto di apertura).

Ma in passato ce ne sono state altre. Vengono in mente la Mapei alla Roubaix del 1996, la Gewiss alla Freccia del 1994 e l’Mg Technogym al Giro d’Italia 1997. Quest’ultimo attacco fu particolarmente spettacolare, specie se si pensa che avvenne in un’apparentemente banale tappa di pianura, la Borgomanero-Dalmine.

Giorno afoso, tappa piatta, terza settimana di gara ed energie al lumicino. Al rifornimento attaccano quattro corridori della Mg, si agganciano Fabio Roscioli e Alberto Volpi, oggi diesse alla Bahrain-Victorious.

Alberto, come andò quel giorno? Avevi capito che stava per succedere qualcosa?

Sì, capii che qualcosa stesse per accadere perché i corridori di Giancarlo Ferretti si stavano muovendo. Erano compatti su un lato e avanzavano e soprattutto erano inferociti. In più, il giorno prima non andarono bene. Fu una debacle per loro: cercavano il riscatto. Quel giorno vidi dei movimenti in testa al gruppo di quelle belve! La tappa era di pianura il che era strano per un attacco. Però c’era anche del vento.

E cosa accadde?

Prima del rifornimento si misero in fila Lecchi, Fontanelli, Loda e Pistore. In più ci agganciammo Roscioli ed io. Ricordo una “tirata di collo” da mille e una notte. Faticavo a dare cambi ma glieli diedi lo stesso, perché se si voleva provare bisognava collaborare tutti. Partimmo a una cinquantina di chilometri dall’arrivo. E li facemmo tutti con 30”-50” di vantaggio.

Per un tratto arrivaste anche a una dozzina di secondi…

Vero, per poco ci ripresero dopo un cavalcavia. Loro, gli Mg, stavano decidendo chi doveva vincere o fare la volata. Dovevano capire chi si sarebbe dovuto sacrificare. Invece poi tornammo ad avere di nuovo un piccolo vantaggio. Ci ripresero sul rettilineo d’arrivo con Magnusson, Rossato e Cipollini che riagganciarono la fuga sulla linea, ma ormai era tardi. Fontanelli vinse la volata. Io comunque non avrei vinto. C’era gente più veloce e poi loro erano in quattro.

Ci si poteva aspettare allora, come oggi, un’azione simile?

È stata un’azione a sorpresa, perché estemporanea. Già in quel ciclismo attacchi ai rifornimenti non si vedevano dai tempi di Merckx e Gimondi. Una volta era più normale attaccare quando qualcuno forava o al rifornimento. Oggi a meno che si è ai -20 dall’arrivo e la bagarre è già scoppiata, si aspetta la maglia rosa in quei frangenti. E’ un codice non scritto.

Nibali alla Sanremo del 2018, l’attacco sul Poggio fu inventato da lui stesso sul momento
Nibali alla Sanremo del 2018, l’attacco sul Poggio fu inventato da lui stesso sul momento
Che differenza c’è tra quell’azione della Mg e quella della Jumbo Visma?

Io dico che azioni come quella della Jumbo sono dettate dalla forza. E rispetto al mio ciclismo questa conta ancora di più. E più c’è la forza e meno c’è la sorpresa. Quella della Jumbo non è stata una sorpresa, ma una dimostrazione di forza appunto.

E secondo te visti i blocchi dei team che si stanno schierando, queste azioni ce le dobbiamo aspettare di più?

Per me sì, ma rientrano in una logica di attacchi. Ricordo anche quella di Carapaz e Kwiatkowski al Tour del 2019, fu un bel vedere. Anche quella fu un’azione di squadra e di forza. Erano in una fuga e ne restavano sempre meno. In passato è successo: ricordo Hinault e Lemond sull’Alpe d’Huez, la tripletta della Mapei alla Roubaix…

Qualche giorno fa Chiappucci ha detto che oggi con i direttori sportivi che dall’ammiraglia vedono la corsa in tv è impossibile fare certe imboscate: è così?

Non sono d’accordo. Non credo che dalla macchina si possa modificare a tal punto l’andamento della corsa. Poi non bisogna fare un uso improprio delle radioline. Anche il poliziotto ha la pistola, ma non la usa se un signore calpesta un’aiuola. Io non mi sento di aver manipolato mai una corsa guardando la gara in tv dall’ammiraglia.

Però si ha l’occasione di avere tutto sotto controllo…

Posso assicurare che da dentro è così: non si decide la corsa. Ma posso capire che agli occhi dei tifosi possa non essere vero. Il nostro lavoro da direttori sportivi è quello di preparare tatticamente i corridori, alle loro gambe ci pensano i preparatori. Dobbiamo intervenire sulle tattiche, seguirli nelle decisioni… sennò facciamo la riunione sul bus e lì restiamo. Quando noi diesse facciamo una tattica non ci basiamo solo sulla forza di quel corridore. Ci sono tanti accorgimenti che teniamo in conto: per esempio come sta quell’atleta quel giorno, come ha dormito, se ha recuperato o meno… e anche in base a questo fai la tua tattica. E poi, ragazzi, parliamo noi del ciclismo: tempo fa si era detto che volevano dotare i calciatori di radioline perché l’allenatore parlasse con loro dalla panchina…

La tripletta del UAE Team Emirates a Laigueglia e pochi giorni dopo la Jumbo Visma si è ripetuta alla Parigi-Nizza
La tripletta del UAE Team Emirates a Laigueglia e pochi giorni dopo la Jumbo Visma si è ripetuta alla Parigi-Nizza
Prima Alberto hai parlato di “uso improprio delle radioline”: cosa intendi?

Intendevo dire che c’è chi esagera. Prendiamo la Milano-Sanremo che si sta avvicinando. Non puoi, tu diesse, fare 300 chilometri attaccato alla radio. Alla fine dici delle banalità, cose scontate. Invece alla radio devi dire poche cose, quelle utili e concrete. Non puoi dire a un corridore di stare attento alla discesa del Turchino o che a Voghera c’è un passaggio sul pavè. Mi viene da ridere… Si prendono quelle 3-4 note prima del via e si decide come affrontarle, se stare a ruota o avanzare. Il tutto pensando che alcune decisioni possono cambiare in corsa, che la tattica non è blindata. Quando pensi ad una strategia, non sei da solo, devi vedere anche cosa fanno gli altri e lo scopri solo strada facendo.

Bisogna essere reattivi, verissimo, ma un conto è che lo sia il corridore da solo e un conto che sia richiamato dall’ammiraglia…

Nibali con me ha vinto una Sanremo. Ma non gli ho detto io di attaccare, di muoversi in quel preciso momento. Vincenzo era libero di muoversi come voleva, la prima punta era Colbrelli. Quell’azione è stata tutta sua. Ha trovato le gambe, l’ispirazione e la situazione giuste per attaccare sul Poggio. E lo ha fatto.

Quindi spazio ai corridori, che magari possono decidere attacchi di squadra…

Difficile da dire, ma certo quando hai delle eccellenze come Roglic e Van Aert insieme e per di più che stanno entrambi bene è una conseguenza logica. Come gli UAE a Laigueglia….

La Bahrain riordina le idee: Valls “farà il Caruso”

18.05.2021
5 min
Salva

Casa Bahrain Victorious. «Abbiamo la maglia rosa della sfortuna», dice Alberto Volpi. «Abbiamo avuto due dolori e una gioia», gli fa eco Franco Pellizotti.

Il sole splende sulle colline umbre che circondano Perugia. Fa caldo ma non troppo. E’ l’ideale per passare il giorno di riposo al Giro d’Italia e per riordinare le idee dopo quasi metà corsa, ma con il grosso che deve arrivare. La Baharain ha perso Landa e tre giorni dopo anche Mohoric, come si riorganizza la squadra in questi casi? Tra l’altro una squadra fortissima, che in qualche modo è stata stravolta.

Gino Mader ha vinto ad Ascoli (San Giacomo) ed è in lotta per la maglia blu
Gino Mader ha vinto ad Ascoli (San Giacomo) ed è in lotta per la maglia blu

Mader un trionfo importante

«Quando perdi il tuo capitano perdi un po’ l’orientamento della squadra – dice Volpi – per fortuna il giorno dopo aver perso Landa abbiamo vinto con Gino Mader a San Giacomo. Questo è stato importante per il morale e per accettare la delusione di non aver più Mikel. Però per me il bilancio sin qui è positivo. Siamo stati davanti, abbiamo fatto quello che dovevamo fare, abbiamo vinto una tappa… Questo non significa che continueremo a chiedere il massimo ai nostri corridori, dobbiamo valorizzare Caruso».

Per Volpi comunque bisognerà continuare anche a fare la corsa che si era impostata dopo l’abbandono di Landa e cioè andare anche a caccia di tappe, compatibilmente alle possibilità. Pello Bilbao magari starà più vicino a Damiano, Mader potrà fare entrambe le cose, Tratnik avrà di fatto solo la tappa di Gorizia per cercare una fuga.

«Pello era venuto al Giro per tirare per Landa, qualcosa che sa fare. Nelle tappe più facili o intermedie doveva risparmiare, per questo a volte lo abbiamo visto dietro».

Pello Bilbao è al suo quinto Giro, l’anno scorso terminò quinto nella generale
Pello Bilbao è al suo quinto Giro, l’anno scorso terminò quinto nella generale

Il passato insegna

Volpi però non perde il suo ottimismo e ricorda quando nel 1985 al suo primo Giro d’Italia, il capitano Argentin cadde e si ritirò.

«Divenni co-capitano con Tommy Prim e questo mi consentì di vincere la maglia bianca. Ma poi non serve andare tanto indietro nel tempo. Guardiamo cosa ha combinato una sola borraccia l’anno scorso. Senza di quella Tao Geoghegan Hart non avrebbe vinto.

«Io dico che l’arma di Damiano può essere la sua regolarità. Magari non ha lo spunto dei migliori, ma il non avere “giornate no” può aiutarlo. E se poi deve vincere il Giro dovrà trovare un acuto, anche perché dovrà guadagnare qualcosa in vista della crono finale. Per non dire direttamente che dovrà guadagnare su Evenepoel».

Mohoric si è mostrato fortissimo su tutti fronti, una grave perdita per la Bahrain
Mohoric si è mostrato fortissimo su tutti fronti, una grave perdita per la Bahrain

E Pellizotti cosa dice?

E da un diesse passiamo all’altro. Con Franco Pellizotti si parla nello specifico dei sei uomini rimasti alla Bahrain in corsa: come verrano utilizzati, sapendo che non solo manca il capitano ma anche Mohoric che si è mostrato più importante del previsto? Anche il friulano conferma che correranno da battitori liberi, ma con un occhio di riguardo per Caruso.

«Damiano è il nostro leader. Pello o Mader saranno gli uomini per la salita. Chi sarà l’ultimo dei due lo decideremo giorno per giorno, in base a come staranno e alle situazioni. Anche perché Mader è in lotta per la maglia dei Gpm, non dimentichiamolo. Noi non possiamo gestire la corsa. Un conto era con Landa leader che dava determinate certezze e con Caruso al suo fianco e l’organico pieno. E un conto è adesso. Prima sì che potevamo attaccare o impostare la corsa, come si è visto poi a Sestola. 

«Sappiamo che Bernal è quello che sta meglio e che ha una squadra fortissima. Toccherà alla Ineos quindi controllare la corsa e noi ci regoleremo di conseguenza. Loro sono abituati a gestire certe situazioni».

Una situazione tattica che quasi, quasi fa comodo alla Bahrain. In questo modo la squadra di Volpi e Pellizotti non avrà il controllo della corsa, tanto più con i ruoli di ciascuno che sono rivisti.

«Quando si costruisce una squadra tutti hanno il proprio ruolo e tutti sono determinanti per quel lavoro. Anche Arashiro nelle tappe piatte è fondamentale. Venendoci a mancare non solo il leader ma anche Mohoric ci viene meno un uomo importantissimo, in grado di lavorare su più fronti».

Rafael Valls (in testa) diventerà il capitano in gruppo, di fatto quello che faceva Caruso
Rafael Valls (in testa) diventerà il capitano in gruppo, di fatto quello che faceva Caruso

I nuovi ruoli

E quindi chi sostituirà chi? Pellizotti parla di un Tratnik duttile. Lo sloveno si sa muovere bene in gruppo e dice la sua nei percorsi misti.

«Senza Mohoric, Jan entrerà in scena nelle tappe facili e in quelle miste e aiuterà a portare gli scalatori avanti ai piedi delle salite. E’ il nostro apripista, mettiamola così.

«Valls adesso dovrà aiutare molto in salita. Lui è un corridore esperto e ha una buona condizione, come ha dimostrato al Tour of the Alps. Il suo ruolo sarà quello di far lavorare il meno possibile Bilbao e Mader».

Infine c’è Caruso. Solitamente Damiano è il capitano in corsa. E’ lui che gestiva tutto e tutti, leader compreso. Cambierà qualcosa anche per il siciliano?

«Vero – conclude Pellizotti – Caruso è il nostro “road capitan” e alla fine lo sarà anche in questa situazione, ma l’idea è di alleggerirlo molto e pertanto credo che questo ruolo passerà a Valls. Sarà Rafael che gestirà la situazione in gruppo. E’ importante che Damiano corra come deve correre un leader e cioè pensando alla corsa, stando davanti ed avendo qualche pressione (e pensiero) in meno».

Si chiama Gino, non sa nulla di Bartali, però sa vincere

13.05.2021
4 min
Salva

«Ieri è stato un giorno molto triste – dice Gino Mader – ma quasi subito abbiamo trovato nuovi obiettivi. Non abbiamo più Landa da proteggere e così potremo correre in modo più aggressivo. Oggi Mohoric ha fatto una corsa incredibile. Credeva in me già da ieri. Non faceva che ripetermi che questa tappa fosse adatta a me e alla fine aveva ragione lui».

Matej Mohoric si è sacrificato per Gino Mader, risultando decisivo
Matej Mohoric si è sacrificato per Gino Mader, risultando decisivo

La reazione

Sembrerebbe una storia già vista, come quella della Ineos dello scorso anno che, perso Thomas, si rimboccò le maniche e tirò fuori il Giro più bello. Ieri la caduta di Landa ha privato la Bahrain Victorious del suo leader, ma il gruppo ha saputo reagire.

«Nessuna alchimia strana – spiega Alberto Volpi, di ben altro umore stasera rispetto a ieri – si sono guardati in faccia e hanno capito di dover fare qualcosa. I più giovani magari no, ma quelli esperti sanno che queste cose accadono di continuo e si deve andare avanti. Sicuramente stiamo parlando di una squadra di valore. Uomini di qualità selezionati per stare accanto a un leader forte, che ora dovranno fare la loro corsa.

Ganna si è preso in spalla il Team Ineos dal cuore dei Sibillini fino a parte della salita finale
Ganna si è preso in spalla il Team Ineos dal cuore dei Sibillini fino a parte della salita finale

«Mohoric, che oltre alle gambe ci mette tanta testa e oggi ha pilotato benissimo il ragazzino. Caruso, decimo al Tour e sapete meglio di me quale sia la sua storia. Pello Bilbao. Insomma, non proprio gli ultimi arrivati. E Mader, anche se è la prima corsa che facciamo insieme, lo ricordo lottare nelle corse a tappe da più giovane con Hindley e Pogacar. Ha dei numeri, verrà fuori».

La bici e la gioia

Gino Mader ha i capelli ricci e il suo inglese ha le durezze del tedesco. Quando gli dicono che un Gino vittorioso al Giro prima di lui faceva di cognome Bartali, lui forse un po’ arrossisce, ma neanche tanto. Spiega che quella storia del ciclismo è troppo indietro rispetto ai suoi anni e che gli piacerebbe scoprirla, ma che al momento la stessa domanda bisognerebbe farla ai suoi genitori che ne sanno certamente di più.

La sua storia recente parla di alcune beffe. Come quella alla Vuelta del 2020, battuto Gaudu all’Alto de la Covatilla. E quella di quest’anno alla Parigi-Nizza, preceduto da Roglic nel giorno delle polemiche.

Evenepoel e Bernal hanno sprintato per gli abbuoni e ha avuto la meglio il colombiano
Evenepoel e Bernal hanno sprintato per gli abbuoni e ha avuto la meglio il colombiano

«Se c’è una lezione che ho imparato – Gino sorride – è che se in corsa non sei il più forte, per vincere puoi soltanto andare in fuga. E io oggi ho dato tutto me stesso fino alla riga. Se anche sai di avere alle spalle tutti i più forti, il tuo spirito non deve esserne condizionato. Lo spirito fa la differenza. La bici mi sta dando tanto. Ricordo benissimo quando nel 2019 andammo con la Dimension Data in Sudafrica a consegnare delle biciclette ai bambini. Ricordo i loro sorrisi e pensai che anche io voglio la stessa gioia quando vedo la mia bicicletta. Voglio divertirmi a correre, voglio una vita felice e la bicicletta me la può dare».

Giro che passione

Alle spalle c’è la scuola svizzera del ciclismo, che sin da piccoli permette ai ragazzi di provare tutte le discipline e li guida poi nella scelta della più adatta.

Ora è Caruso l’uomo di classifica della Bahrain Victorious: 7° a 39″
Ora è Caruso l’uomo di classifica della Bahrain: 7° a 39″

«Ho avuto dei buoni mentori – dice – come Daniel Gisiger (professionista dal 1977 al 1988 e vincitore di due tappe al Giro, ndr) che mi ha portato in pista e poi su strada e alla fine mi ha aiutato a trovare la mia strada. Non so dove mi condurrà o come proseguirà questo Giro, Nel bus parleremo. Potrei andare ancora in fuga o tirare per un compagno, sarò ugualmente contento di farlo. Voglio godermi il Giro d’Italia, ho sempre pensato che sia la corsa più bella del mondo».