Cosa c’è di nuovo in casa Abus? L’AirBreaker 2.0

25.06.2025
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CAMISANO VICENTINO – Il nuovo Abus AirBreaker nasce in Italia, nello specifico a Camisano Vicentino all’interno di Maxi Studio, la medesima azienda dove ha preso forma GameChanger, il casco aero dell’azienda tedesca. Maxi Studio è stata acquistata da Abus nel 2021.

Entriamo nello specifico del nuovo casco, anche grazie al Product Manager Lukas Tamajka. Rispetto alla versione precedente, la 2.0 ha un design molto simile, ma al tempo stesso differente. Vuole essere efficiente sotto il profilo aerodinamico e massimizzare (ancora di più) la ventilazione, configurarsi al meglio con gli occhiali (le forme di questi ultimi sono cambiate moltissimo negli ultimi anni), essere un riferimento per qualità.

Ci è piaciuto definirlo un casco elegante (foto Abus)
Ci è piaciuto definirlo un casco elegante (foto Abus)

L’alta gamma di Abus è Made in Italy

«Un nuovo casco è il risultato di un insieme di fattori. Io non sono un ciclista professionista – ci dice Tamajca – non lo sono stato, ma sono un disegnatore di caschi che si affida a diversi specialisti per lo sviluppo del prodotto. Gli specialisti sono i corridori in attività ed i performance manager dei team supportati, ai quali chiedo cosa serve e di cosa hanno bisogno. Quello è il punto di partenza. Oggi si tiene conto (anche) del posizionamento nel mercato e di conseguenza del parere del reparto marketing, ma non si prescinde dalla qualità finale e dalla qualità delle materie prime.

«Un casco significa sicurezza – prosegue Tamajca – protegge la testa, non un dettaglio. Il nuovo AirBreaker 2.0 è stato rivisto, aggiornato, migliorato dove possibile, ma il progetto originale non è stato stravolto. Il DNA AirBreaker è ben visibile. Potrei riassumere i punti chiave del progetto in quattro passaggi: ventilazione, aerodinamica e sicurezza, cura maniacale di ogni dettaglio, inclusa la produzione».

La produzione italiana è sinonimo di passione

Tamajca racconta che la prima volta che è stato in Italia, all’interno di Maxi Studio, e si è trovato a contatto con i designer, non è rimasto colpito soltanto dallo studio necessario alla progettazione e la realizzazione di caschi da bici.

«Ho percepito passione – dice – la volontà di creare qualcosa a favore della sicurezza, la ricerca del miglioramento e naturalmente del buon gusto nei termini dell’estetica. Questa passione è un valore aggiunto? E’ molto di più: è il valore che fa la differenza».

Uno dei punti chiave del nuovo casco: l’inserto superiore in carbonio
Uno dei punti chiave del nuovo casco: l’inserto superiore in carbonio

I punti chiave di AirBreaker 2.0

Il nuovo AirBreaker 2.0 si basa su una struttura portante composta da una gabbia anteriore annegata nel mold EPS, sull’inserto (Aero Blade) in carbonio superiore/posteriore, oltre “all’iconica stella” sul retro che funge principalmente da estrattore. Non in ultimo dai punti di ancoraggio interni dove si innesta il sistema di ritenzione (la gabbia ed il rotore sono prodotti in Svizzera da un’azienda partner).

Inoltre, sono da considerare anche le fibbie laterali anti sfarfallamento e le imbottiture interne Made in Italy, che ora diventano flottanti (completamente diverse rispetto alla versione precedente e usate nella versione standard senza Mips, mentre la ACE adotta Mips Air Node e la chiusura magnetica delle fibbie).

Rispetto alla versione precedente

AirBreaker 2.0 ha mantenuto un impatto estetico del tutto accostabile alla versione precedente, eppure le diversità ci sono e sono importanti. Anteriormente c’è una svasatura centrale e sono state aggiunte le due bocche laterali. Queste ultima sono fondamentali per aumentare la ventilazione in punti molto critici in fatto di termoregolazione. Inoltre, la rientranza centrale bene si abbina a modelli di occhiali dotati di frame particolarmente rialzato.

Sono stati aggiunti due inserti laterali che fermano le aste degli occhiali. Non è variato il numero di asole d’ingresso per l’aria, mentre è cambiata (aumentata) la superficie di ogni singola feritoia. La sezione posteriore è più arrotondata ed è stato eliminato il piccolo spoiler, lasciando completamente libero il punto di estrazione dell’aria.

Il peso rilevato nella taglia media
Il peso rilevato nella taglia media

Alcuni numeri e dettagli

Il nuovo Abus AirBreaker è molto leggero: 205, 210 e 220 grammi dichiarati nelle rispettive taglie, S, M (quella usata da noi) ed L. Il peso ridotto? E’ un vantaggio a patto che il casco sia fatto ad hoc, grazie a materie prime di qualità assoluta e senza compromessi. Qui non manca nulla di tutto questo.

Due i prezzi di riferimento: 349 e 299 euro, con e senza Mips. Otto le combinazioni cromatiche disponibili, tre delle quali con il Mips integrato.

I nostri feedback

Il fitting è del tutto accostabile alla versione AirBraker della prima generazione. Ovvero un casco impercettibile una volta indossato, con una calzata profonda e particolarmente avvolgente, soprattutto nella sezione temporale dietro le orecchie ed in particolare su tutta la zona occipitale. Il comfort è stato ulteriormente migliorato. Grazie alle imbottiture, migliorate e più stabili, soprattutto nella parte frontale e laterale. AirBreaker 2.0 sfrutta anche una ventilazione maggiore sulla fronte e una combinazione ottimale con occhiali che hanno forme al pari di mascherine. Le due bocche laterali (aggiunte) funzionano tanto e bene, sono un altro valore aggiunto del 2.0.

Non in ultimo le fibbie, uno dei punti chiave di Abus da quando ha introdotto questo tipo di accessorio. E’ vero, non sfarfallano quando si prende velocità, rimangono perfettamente aderenti al viso e non si inzuppano di sudore, ma soprattutto non presentano i passanti in materiale plastico (e non è poca cosa). E poi c’è la cura del dettaglio, a nostro parere migliorata una volta di più ed in ogni settore del casco.

In conclusione

Un casco Abus è qualcosa che va oltre i numeri, i dati, le performance evidenziate dai protocolli. Il nuovo AirBreaker 2.0 ha il merito di non discostarsi in modo eccessivo dal “vecchio” modello, simbolo di comodità e versatilità d’impiego. E’ molto leggero e nonostante questo mette sul piatto dei valori di sicurezza che sono diventati un riferimento e dove il Made in Italy non è un dettaglio.

Cosa comporta il Made in Italy nel caso del nuovo casco Abus? Cura del dettaglio e qualità, elevati standard di sicurezza e produttivi, la capacità di combinare tecnologie macchinari all’avanguardia alla manodopera super specializzata. Macchine e tecnologie completano un processo produttivo che vede le maestranze ancora al centro.

Abus

La crescita di Vauquelin nella crisi dell’Arkéa

25.06.2025
4 min
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Kevin Vauquelin stava per riuscire in una piccola grande impresa vincendo il Tour de Suisse, peccato per lui e per la Arkéa-B&B Hotels che abbia trovato sulla sua strada un formidabile Joao Almeida e una corazzata come la UAE Emirates. Sarebbe stata la prima vittoria di un francese in una corsa WorldTour dal 2007, anno in cui Christophe Moreau vinse il Delfinato.

Vauquelin è rimasto in testa alla corsa elvetica fino alla cronometro finale. Ma per tutta la settimana ha lottato a testa alta contro tutti. Ha persino rilanciato sul traguardo di Emmetten, con una volata che per pochissimi metri non l’ha visto vincere, salvo poi cedere per pochi centimetri allo stesso Almeida. Ha utilizzato al meglio la squadra, e quei pochi uomini – tra cui anche il nostro Alessandro Verre – hanno a lungo chiuso sulle fughe e tenuto la corsa.

Arkea compatta e orgogliosa attorno al suo leader: tutti hanno reso al meglio
Arkea compatta e orgogliosa attorno al suo leader: tutti hanno reso al meglio

Tra sogno e dura realtà

Qualcosa di normale, se vogliamo, ma non nella situazione attuale della Arkéa-B&B Hotels, che naviga in acque agitate, per non dire in pieno uragano. E’ proprio in casi come questi che si vede quanto aumentino stimoli e rendimento quando ci si gioca qualcosa di grosso. Poi la cronoscalata di Stockhutte ha riportato Vauquelin e compagni sulla terra.

«Sono ovviamente deluso – ha dichiarato ai media presenti al Tour de Suisse dopo la sua prova – avevo molte aspettative su me stesso. Ho sentito molta pressione intorno a me. Mi scuso per non esserci riuscito, ci avrei voluto davvero. Avevo le gambe un po’ strane, penso che siano state tante emozioni in poco tempo, ho cercato di dare il massimo ma sentivo che mi mancava quel pizzico di grinta che si ha quando si segue qualcuno, come ieri, quando Joao ha cercato di farmi esplodere in salita. E’ ancora questo il lavoro che devo fare: in una normale cronometro individuale abbiamo la velocità che ci motiva e ci lancia, in salita no. Sentivo di avere dei watt in meno».

«Dobbiamo comunque essere contenti perché abbiamo lottato fino alla fine con squadre che hanno budget molto più elevati del nostro. E non è facile».

Vauquelin stremato al termine della crono in Svizzera dove ha chiuso 4° a 1’40” da Almeida
Vauquelin stremato al termine della crono in Svizzera dove ha chiuso 4° a 1’40” da Almeida

Una stagione importante

«Secondo nella classifica generale, non ci pensavamo davvero. Sono traguardi importanti per la mia carriera. In questa settimana ho superato limiti importanti. E’ fenomenale».

Ed effettivamente Vauquelin si lancia in un’altra dimensione dopo queste performance. La vittoria di tappa al Tour de France a Bologna, le affermazioni in primavera, il secondo posto alla Freccia Vallone… rappresentano quella continuità che fa dire che è un corridore vero. Non una meteora. Parliamo sempre di un classe 2001: ha compiuto 24 anni ad aprile.

In Francia si è parlato molto di Vauquelin. Adesso è anche dato tra i favoriti per l’imminente titolo nazionale. Un motivo d’orgoglio, da sfoggiare magari al Tour.

Soprattutto, il podio di Vauquelin in Svizzera ha riacceso i riflettori sulla situazione economica della Arkéa, che – come detto – versa in acque tempestose. Questo secondo posto, e anche i punti arrivati da Raúl García Pierna alla Route d’Occitanie e da Cristián Rodríguez all’Andorra Morabanca, servono a poco.

Primo, perché non è tanto la questione dei punti: di fatto la Arkéa è fuori dalla top 18 del triennio WorldTour già da un anno. Secondo, perché il vero problema è economico ed è legato agli sponsor.

Alla fine Vauquelin ha salvato il podio nella generale, arrivando secondo, e ha conquistato la maglia bianca di miglior giovane
Alla fine Vauquelin ha salvato il podio nella generale, arrivando secondo, e ha conquistato la maglia bianca di miglior giovane

Bravi, ma basta?

Già durante le Ardenne il team manager Emmanuel Hubert era stato chiaro: «Non so se continueremo. Servono 25 milioni di euro». E sembra anche che abbia detto ai ragazzi che se trovano una sistemazione per l’anno prossimo, di sentirsi liberi di accettarla. Non certo un bel segnale.

Questa buona prestazione, insomma, potrebbe non bastare a cambiare le sorti della squadra bretone.

«Ci troviamo in una situazione finanziaria complicata – ha detto Vauquelin, ricordando parecchio Verre all’arrivo di Sestriere – per Emmanuel Hubert è molto complicato. Spero che questi risultati possano portare sponsor e aiutare Emmanuel e il team Arkéa-B&B Hotels. Ne abbiamo bisogno. Staff e corridori stanno dando il massimo con i pochi mezzi che abbiamo. Se dobbiamo confrontarci con le grandi squadre e i grandi budget, è molto complicato. Quindi spero che questo dia un po’ di voglia a qualche sponsor di venire: nonostante le difficoltà, siamo in grado di ottenere risultati».

Per ora si sa che la Arkéa-B&B Hotels non ha ancora un roster per il 2026 e che già sei corridori – tra cui lo stesso Vauquelin e si vocifera anche Luca Mozzato – abbiano trovato una nuova sistemazione. Vedremo. Ma è certo che se per restare a galla nel WorldTour servono 25 milioni di euro, qualche domanda chi siede al tavolo dei comandi dovrà porsela.

Tricolori donne a Boario Terme. Viviani, che cosa ricordi?

24.06.2025
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Boario Terme, 2018. Si corrono i campionati italiani per professionisti e Elia Viviani conquista una delle vittorie principali della sua carriera. Sono passati sette anni da allora, fatti di grandi gioie e qualche delusione, ma il ricordo di quella giornata è ancora vivido, come se fossero passate sole 7 ore. Ora su quello stesso percorso toccherà alle donne gareggiare.

La gara lombarda fa anche parte della Coppa Italia delle Regioni 2025, il nuovo progetto voluto dalla Lega del Ciclismo Professionistico e promosso con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Sulla prova tricolore femminile è stato fatto un forte investimento che passa anche per la diffusione in diretta su Rai 2 delle sue immagini, con costi sostenuti direttamente dalla Lega, per dare ulteriore visibilità a un evento che quest’anno assume una particolare rilevanza, esattamente come la gara maschile del giorno dopo da Trieste a Gorizia.

Elia sarà fra i protagonisti in terra giuliana, ma la sua conoscenza del percorso riservato alle donne può rivelarsi preziosa anche perché sua moglie Elena Cecchini, che a Darfo Boario Terme vinse nel 2016, sarà fra le protagoniste. Quindi i supi consigli sono davvero bene accetti.

Lo sprint finale di Viviani a Darfo Boario Terme, dove mette in fila Visconti e Pozzovivo
Lo sprint finale di Viviani a Darfo Boario Terme, dove mette in fila Visconti e Pozzovivo

La scelta di tempo

«Sicuramente è un percorso d’attacco – esordisce l’olimpionico di Isola della Scala – nel senso che io quella volta ero riuscito a muovermi dal gruppo e ad entrare in un’azione corposa e importante, essendo di 7-8 corridori che poi si sono aggiunti a quelli che erano in fuga dall’inizio. Si era formato così un gruppo corposo difficile da raggiungere e io ero lì.

«Mi ricordo di aver avuto un tempismo giusto nel muovermi in pianura prima dello strappo duro, prevenendo così l’azione di chi andava più forte in salita. Poi c’è stato l’ultimo giro, molto tattico, dove in pianura aveva provato Pozzovivo ad anticipare tutti, io mi sono mosso con Oss e Visconti che sullo strappo era il più forte e infatti ci ha ripreso a me e Pozzo. Diciamo che il mio è stato un campionato vinto tatticamente, scegliendo con cura il momento dell’attacco. Se fossi arrivato con quel gruppetto ai piedi dello strappo, probabilmente Visconti sarebbe arrivato da solo e avrebbe vinto il suo terzo titolo italiano. Arrivando con loro due ero il più veloce».

Per Viviani su quel percorso è importante la scelta di tempo per portare l’attacco decisivo
Per Viviani su quel percorso è importante la scelta di tempo per portare l’attacco decisivo

Un percorso per puncheur

Qual è il punto che ricordi particolarmente, a parte l’arrivo? «Proprio il momento che ho attaccato. Non avevo più compagni che potessero aiutarmi nel tenere la corsa, così ho deciso di scattare. Sembrava un po’ un’azione folle, ma invece si è rivelata vincente».

E’ un percorso dove è difficile dire se sia per velocisti, per scattisti, per scalatori…: «E’ facile dire è un percorso per scattisti, per i famosi puncheur, atleti che in salite corte possono attaccare, sono esplosivi, perché comunque serve un po’ di sprint anche lungo il tracciato. Io dico che è un percorso per coraggiosi, perché Elena aveva vinto sullo stesso percorso, andando via da sola e alla fine arrivando a braccia alzate. Quindi diciamo che per vincere devi osare, devi muoverti, quindi non me la sento di dire che è un percorso velocissimo, è difficile che arrivo un gruppo folto, devi essere in grado di stare con 10-15 corridori».

Sul percorso dei tricolori di sabato, Elena Cecchini ha vinto il suo terzo titolo nel 2016
Sul percorso dei tricolori di sabato, Elena Cecchini ha vinto il suo terzo titolo nel 2016

Tutte contro la Longo Borghini?

Spostando un attimo l’attenzione sulla gara femminile, la maggior parte delle atlete sono di squadre WorldTour ma per questo hanno poche possibilità di collaborazione. A Elena che cosa consiglieresti? «Sicuramente di essere furba, di muoversi nelle azioni giuste. Sappiamo tutti chi è la favorita, la Longo Borghini. E’ quella più competitiva a livello mondiale, quindi è anche quella che ha vinto più italiani negli ultimi anni. Direi di essere coraggiosa e di entrare in un’azione per farsi trovare già avanti nel momento in cui probabilmente la Longo attaccherà. Per caratteristiche su quel percorso vedo bene la Persico, ma essendo compagna di team di Elisa bisognerà vedere come si gestiranno».

«E’ una gara aperta, sicuramente. Tornando a Elena, le consiglierei di ricordare come ha vinto i suoi tre titoli italiani consecutivi, con azioni lontane dall’arrivo per poi gestirle tatticamente e cercare di farsi trovare già davanti».

A Darfo Boario Terme la Longo Borghini andrà a caccia della sesta maglia tricolore in linea
A Darfo Boario Terme la Longo Borghini andrà a caccia della sesta maglia tricolore in linea

Si vince soprattutto di testa

In campo femminile c’è qualche squadra appunto a livello Continental, ma diciamo i nomi principali sono tutti in squadre estere. E’ una corsa diversa dalle altre da questo punto di vista? «Sì, è sempre un campionato italiano, è una gara dove è sempre difficile dire a degli atleti di sacrificarsi per i propri compagni, perché tutto può succedere e comunque ognuno può giocare le sue carte, soprattutto se il percorso è così. Sicuramente una corsa diversa, è una corsa dove è facile perdere il controllo perché non è detto che ci sia una squadra che gestisce la corsa fino al momento clou. Secondo me l’italiano è una gara dove si vede anche la qualità di un corridore, di gambe ma soprattutto di testa».

E si cercano anche alleanze? «E’ ovvio che dopo c’è il gioco delle amicizie, delle conoscenze, proprio per supplire a una situazione anomala. Le alleanze probabilmente si cercano nelle situazioni di gara, nel senso che un attacco lontano dall’arrivo viene condiviso, pensato anche da corridori di team diversi perché c’è un’idea che collima. Vedo un attacco da 10-12 corridori dove ci si guarda un po’ in faccia, si fa la conta di chi manca, “dai che andiamo, che ce la giochiamo noi” perché non ci sono ordini di squadra.

E’ una cosa secondo me che viene con la corsa, nel senso che in base a come si evolve la gara ci possono essere degli atleti che comunque hanno un interesse comune. E questo vale anche per le ragazze, ancor di più su quel percorso così intrigante…».

Orbea Terra Race, nata per competere nel segmento gravel

24.06.2025
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Orbea Terra si rinnova. Cambia e si evolve la bici gravel della casa basca, senza stravolgere il concetto precedente di bici versatile e di largo impiego che da sempre le appartiene. Il cambiamento ha come soggetto (sempre) il gravel e si pone come elemento perfetto di connessione con la mtb, facendo l’occhiolino a quei bikers che fanno entrare nel proprio portfolio di bici anche una gravel. Avventura e bikepacking? Certamente.

Tecnicamente, la nuova Terra aumenta lo spazio per gli pneumatici. E’ comoda e le nuove tecnologie di design funzionale, insieme all’applicazione del carbonio le permettono di essere facile ed immediata nella guida. Vediamola nel dettaglio.

Terra Race di Orbea, segmento gravel race
Terra Race di Orbea, segmento gravel race

Estetica semplice e sostanziosa

Visivamente è una Orbea in tutto e per tutto (a noi ricorda in parte anche la Denna), grazie ad un’estetica essenziale, elegante e senza troppi fronzoli. La forcella ha steli dritti e porta in dote le asole di alloggio per eventuali bag laterali, con la testa che sembra rivolgersi in avanti. Lo sterzo non è massiccio e adotta una sorta di squadratura di rinforzo dove l’orizzontale si unisce all’head tube, marchio di fabbrica Orbea. L’obliquo ha volumi più importanti, soprattutto nella sezione mediana e bassa, dove è previsto un vano porta oggetti con extra capienza. Tutto il comparto centrale ed il carro posteriore sono sfinati, il comfort ringrazia.

Il piantone è arrotondato ed il reggisella è classico, rotondo con diametro da 27,2 millimetri. Qui è possibile montare un telescopico, rispettando questa misura. Interessante sottolineare la presenza del collarino di chiusura posizionato esternamente, soluzione voluta per semplificare le regolazioni (ed il montaggio di un dropper-post). La nuova Terra di terza generazione è un monoscocca in carbonio e adotta la fibra OMR, quella meno estrema nella scala dei valori Orbea. Per avere un riferimento in termini di valore alla bilancia, il telaio ha un peso dichiarato di 1040 grammi e la forcella (sempre full carbon) di 425.

I dettagli: un valore aggiunto

Il profilato orizzontale si sfina parecchio man mano che scorre verso il retrotreno. Questo permette di smorzare e dissipare buona parte delle vibrazioni ed inoltre asseconda un movimento controllato di carro posteriore e piantone. Ne guadagnano stabilità, trazione e naturalmente la comodità. Non è inserito nessun dispositivo meccanico e/o sospensione. A questo si aggiunge anche un tubo verticale corto che, collima con un fuori-sella importante, per un’azione ammortizzata mirata e sfruttabile da chiunque.

Orbea Terra Carbon è compatibile con le trasmissioni 1X e 2X (quest’ultima solo nella configurazione gravel) ed in entrambi i casi è garantito il passaggio degli pneumatici con sezione da 50 (lasciando i 6 millimetri di luce rispetto al telaio). Non è un fattore banale, dettaglio che conferma una volta di più l’attenzione dei tecnici Orbea.

I punti di montaggio per eventuali borse sono quattro: l’orizzontale con una piccola borsa e la forcella come scritto in precedenza, sotto l’obliquo per l’eventuale terza borraccia e sotto la sella. E’ possibile montare i due parafanghi, anteriore e posteriore. Per chi volesse azzardare qualcosa in più in termini di ricerca della prestazione, è possibile montare un manubrio integrato full carbon (Orbea ha sviluppato un nuovo componente OC), considerando il disegno ACR-FSA della serie sterzo che allarga in modo esponenziale la compatibilità. Oltre alle livree da catalogo, Orbea Terra Carbon rientra nel programma di personalizzazione MyO.

Allestimenti e prezzi

I pacchetti sono sei in totale, con un range di prezzo compreso tra i 2999 euro della versione M30 Team, fino ad arrivare ai 5999 della Terra M21e Team 1X (che prevede il nuovo Force 1X13). Non sono previsti modelli che portano in dote la forcella ammortizzata, ma è possibile montare quest’ultima in versione gravel. Le taglie disponibili sono sei: XS e S, M e L, Xl e XXL.

Orbea

Mercato estivo? Una caccia ai punti per salvarsi. Sentiamo Carera

24.06.2025
6 min
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Dal primo agosto aprirà ufficialmente il ciclomercato. O meglio i vari cambi di casacca potranno essere effettivi. Ma tanto già si muove. Con l’aiuto di uno dei più importanti procuratori, Alex Carera, cerchiamo di capire in che direzione si muove questo mercato. Quanto incidono i punti dell’atleta e come i team individuano il corridore da acquistare.

Uno degli ultimi annunci è stato quello di Matteo Fabbro alla Solution Tech-Vini Fantini, ma va detto che Fabbro era svincolato. I cambi annunciati per ora sono tutti quelli che riguardano i giovani, che passano ai devo team o da questi alla rispettiva WorldTour.

Johnny e Alex Carera (a destra) della A&J All Sports, agenzia di procuratori
Johnny e Alex Carera (a destra) della A&J All Sports, agenzia di procuratori
Alex, si inizia a parlare di ciclomercato estivo. Quando iniziano le trattative? E’ un po’ come il calciomercato, che più o meno si parla sempre, o in questo periodo si rafforzano un po’ le trattative?

Il ciclomercato è cambiato moltissimo negli ultimi 4-5 anni, diciamo nel post-Covid. Prima le trattative iniziavano durante le classiche in Belgio per i corridori da classiche, mentre per gli scalatori si parlava di Giro d’Italia e soprattutto dei giorni di riposo del Tour de France. Adesso non è più così. Le squadre lavorano con grande anticipo, programmano il futuro per ingaggiarsi i migliori corridori e quindi si parla già da gennaio.

Quindi non esiste un periodo definito in cui si parla di mercato?

No, non esiste più. Certo, ci sono le regole UCI che stabiliscono che gli annunci si possono fare solo dopo il primo agosto, ma le trattative si svolgono con largo anticipo. Un altro aspetto che è cambiato molto del ciclomercato è che le squadre, con i giovani forti e promettenti, non aspettano la scadenza del contratto. Addirittura iniziano l’anno prima a programmare l’estensione. Prendiamo Giulio Pellizzari che ha un contratto con la Red Bull-Bora fino al 2027: dopo il Giro d’Italia si è già iniziato a parlare del suo futuro.

Chiaro…

E’ normale, perché nessuno si può permettere di arrivare a scadenza, ma nemmeno di entrare nell’anno di scadenza. Se un corridore forte scade il 31 dicembre 2026, tu non puoi aspettare: già a ottobre 2025 l’hai perso, sicuramente un altro team avrà già trovato un accordo. Per questo i contratti si prolungano prima.

Dicembre 2023: Uijtdebroeks in allenamento con la Visma ma con la maglia neutra in quanto ancora nel pieno della sentenza che lo voleva ancora alla Bora (foto Het Laatste Nieuws)
Dicembre 2023: Uijtdebroeks in allenamento con la Visma ma con la maglia neutra in quanto ancora nel pieno della sentenza che lo voleva ancora alla Bora (foto Het Laatste Nieuws)
Si prolungano i contratti per avere poi delle clausole rescissorie, in modo da poter acquistare il corridore invece di prenderlo a parametro zero?

Esatto. Oggi succede sempre di più. Le squadre inseriscono clausole liberatorie, anche alla luce di quanto successo con Cian Uijtdebroeks e Maxime Van Gils: la legge belga permette di svincolarsi anche senza una clausola, prevalendo sulle regole UCI. Quindi le squadre si tutelano, e anche noi agenti lo facciamo, aggiungendo clausole che proteggono l’atleta giovane. Non si tratta solo di premi a fine anno, ma anche di rinegoziazioni del contratto in base ai risultati ottenuti.

Se un corridore si trasferisce dal primo agosto dalla squadra “X” alla squadra “Y”, si porta dietro anche i punti?

No, i punti restano alla squadra di provenienza. Quelli accumulati fino al 31 luglio rimangono alla vecchia squadra. Dopo il trasferimento, i punti ottenuti sono per la nuova squadra. L’esempio è quello di Alberto Bettiol nel 2024: ha lasciato i punti alla EF Education-EasyPost.

Quanto conta oggi la capacità di un corridore di fare punti, escludendo i “mega big” del ranking UCI?

Esatto, per loro è un altro discorso. Per i big contano le vittorie e i podi importanti. Fanno parte di squadre già sicure del WorldTour, quindi i punti non sono determinanti. Ma per gli altri corridori, bravi senza essere vincenti, i punti sono fondamentali. Squadre come Cofidis, PicNic-PostNL, Intermarché-Wanty, Arkéa-B&B Hotels e Jayco-AlUla valutano un corridore anche in base ai punti che può portare, vista la lotta per restare nel WorldTour.

L’uruguaiano Guillermo Thomas Silva ha un buon rapporto “qualità/prezzo”… per determinati team che puntano a salvarsi
L’uruguaiano Guillermo Thomas Silva ha un buon rapporto “qualità/prezzo”… per determinati team che puntano a salvarsi
Incrociando la “linea” del rendimento e quella dei punti: c’è una tipologia di atleta che vale di più. Che insomma ha più mercato di quanto “valga” tecnicamente?

Sì, è il corridore da gare di un giorno. Quelle corse valgono tanti punti, anche se alla fine dell’anno magari non ha vinto molto ha racimolato un bel po’ di punti. Questo corridore potrebbe oscillare tra la posizione 30 e 60 del ranking UCI.

Volendo fare un nome, solo per esempio?

Fare nomi è sempre delicato, ma direi Harold Martin Lopez della XDS-Astana. Ha fatto quattro corse a tappe di fila nei primi tre, poco conosciuto, ma ha ottenuto un sacco di punti. Oppure l’uruguaiano Guillermo Thomas Silva, anche lui poco noto ma molto produttivo in termini di punteggio.

Alex, al primo agosto vedremo tanti trasferimenti di giovani?

No – replica deciso Carera – perché i giovani normalmente arrivano dalle squadre Devo, e lì gli annunci si fanno prima di agosto. Basta guardare la classifica del Giro d’Italia Next Gen prima della penultima tappa: tutti i primi dieci hanno già un contratto WorldTour o lo avranno a breve.

E invece che colpi ti aspetti, sempre parlando di tipologie di atleti e non di nomi?

Mi aspetto acquisti importanti da parte della Ineos Grenadiers, ma nel mercato invernale, non da agosto. Dal primo agosto si muoveranno le squadre che rischiano di perdere la licenza WorldTour. Considerando che Romain Bardet ha lasciato la PicNic, loro avranno spazio. Stesso discorso per Intermarché e Cofidis: sono le tre squadre che potrebbero agire per salvare il salvabile.

La strategia di fare molte gare minori in Asia della Solution-Tech ha portato buoni frutti. Ma la sfida delle top 30 è ancora aperta
La strategia di fare molte gare minori in Asia della Solution-Tech ha portato buoni frutti. Ma la sfida delle top 30 è ancora aperta
Cercano di andare sul mercato per salvare il salvabile, ma non per prendere i punti già ottenuti da un corridore come detto, bensì sperando che ne porti di nuovi…

Esatto. Vogliono prendere un corridore che dal primo agosto al 31 ottobre possa “garantirgli” 300-400 punti. Punti che, a fine anno, possono fare la differenza tra avere o perdere la licenza WorldTour.

Dicevi che ti aspetti i grandi colpi per l’inverno dalla Ineos. Perché?

La Ineos ha bisogno di rinforzarsi. E’ un grande team, ma ha delle lacune. Mi aspetto che finalmente investa in un settore giovanile, perché è una delle pochissime squadre senza una vera Devo.

Dalle voci che girano sembra che qualcosa si stia muovendo…

Ma le voci non bastano. Siamo a giugno inoltrato e già ora sei in ritardo nella selezione dei migliori juniores di secondo anno per una devo 2026. Possono farla, ma devono sbrigarsi.

Le italiane faranno qualcosa dal primo agosto? O vedremo solo stagisti?

No, solo stagisti. Le tre Professional italiane sono in piena lotta per il trentesimo posto (quello che consente di poter ottenere una WildCard per i grandi Giri, ndr). La Polti-Kometa ha Davide Piganzoli che può fare punti importanti. Credo che da lui dipenda molto perché questa squadra resti nelle prime trenta. La VF Group-Bardiani ha una squadra più omogenea ed è leggermente avanti. La Solution Tech-Vini Fantini ha adottato una strategia efficace: meno visibilità, ma un calendario asiatico che sta portando molti punti. Credo sarà una sfida fino all’ultima corsa in Cina tra loro.

Bahrain

Omrzel e Mattiussi: il cammino alla maglia rosa è iniziato nel 2023

24.06.2025
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Il giorno dopo Alessio Mattiussi, diesse e preparatore della Bahrain Victorious Development Team, è già al lavoro in vista dei campionati italiani under 23 a cronometro e su strada. La vittoria del Giro Next Gen è fresca e appesa ancora nella memoria ma l’ambizione non permette di fermarsi davanti a nessun traguardo. 

«Ci pensavo ieri (domenica, ndr) mentre eravamo in viaggio verso casa da Pinerolo – racconta Mattiussi – come sia un continuo porsi obiettivi. Ne avevamo appena raggiunto uno grandissimo ed è tempo di pensare ai prossimi. Il tempo di godersi ogni traguardo c’è, anche perché il telefono non smette di squillare e proprio così si comincia a realizzare l’importanza dell’impresa compiuta».

Jakob Omrzel e Alessio Mattiussi con la vittoria del Giro Next Gen hanno coronato un lavoro iniziato nel 2023 (foto Claudio Mollero)
Jakob Omrzel e Alessio Mattiussi con la vittoria del Giro Next Gen hanno coronato un lavoro iniziato nel 2023 (foto Claudio Mollero)

Un anno e mezzo dopo

Mattiussi ci dice che anche nei momenti più concitati della stagione il sonno non gli manca, appena tocca il letto dorme anche se poi domenica, prima della tappa decisiva, alle cinque di mattina era già sveglio. 

«Quando sei così vicino all’obiettivo – dice – c’è la gola di andare a prenderselo. Domenica a Pinerolo è stata una giornata incredibile. Pensate che durante la riunione pre tappa sul pullman è stato Omrzel stesso a dire che avremmo vinto. Sono io che ho dovuto trovare la mia migliore espressione da sfinge (ride, ndr)».

Dietro al palco delle premiazioni Roberto Bressan ci ha detto che con Omrzel ci lavori da quando era junior secondo anno…

Vero. Era novembre 2023 quando abbiamo iniziato, ovviamente in accordo con il team Adria Mobil (sua squadra da junior, ndr). Abbiamo curato tutta la stagione prefissando degli obiettivi sia con la squadra che con la nazionale slovena. L’obiettivo era costruire un programma di lavoro che permettesse a Omrzel di arrivare preparato alla categoria under 23. 

Com’è stato il primo approccio?

Atleticamente ho subito capito di avere davanti a me un corridore con spiccate doti di endurance. Con il passare dei giorni e dei chilometri dà il meglio di sé. La conferma è arrivata anche al Giro Next Gen, nelle ultime due tappe è stato il migliore. 

Umanamente parlando che ragazzo è?

Intelligente e ambizioso. Ogni volta che mette il numero sulla schiena vuole provare a vincere. Devo dire che appena ci siamo conosciuti mi ha fatto una bellissima impressione, inoltre si è fidato subito di me e questo ci ha permesso di costruire tanto. 

Anche perché non sono mancati i risultati.

Quando ha vinto la Parigi-Roubaix juniores abbiamo avuto la conferma che il metodo adottato stesse funzionando. Omrzel è un corridore da corse a tappe, quella vittoria sulle pietre è stata inaspettata però ha fatto intendere le grandi qualità. 

Il percorso per arrivare a vestire la rosa è stato tortuoso ed è passato anche dalla brutta caduta al Giro della Lunigiana (foto Instagram)
Il percorso per arrivare a vestire la rosa è stato tortuoso ed è passato anche dalla brutta caduta al Giro della Lunigiana (foto Instagram)
E’ un corridore dotato di grande intelligenza tattica?

Assolutamente. Nella tappa di Gavi eravamo pronti a cogliere le giuste occasioni dopo il Passo Penice. Sapevamo che gli uomini di classifica si sarebbero potuti muovere e così è stato. Omrzel ha dimostrato una grande visione di corsa, così come fatto nella seconda tappe del Giro di Slovenia. E’ difficile coglierlo impreparato dal punto di vista tattico. 

I suoi obiettivi lo scorso anno si sono fermati con la brutta caduta al Lunigiana, quanto è stato difficile ripartire?

Avevamo segnato in rosso il Giro della Lunigiana e i mondiali ed eravamo arrivati pronti. Quella brutta caduta ha fermato tutto e non solo dal punto di vista atletico. Omrzel è rimasto un mese in ospedale sotto osservazione, fosse stato per lui sarebbe tornato in bici dopo una o due settimane. Invece ci siamo confrontati con lo staff medico e gli abbiamo spiegato quanto fosse importante ripartire con calma. La stagione era finita e serviva recuperare bene. 

Una volta tornato in bici che sensazioni avete avuto?

Ha ripreso con calma a novembre con l’obiettivo di essere pronto per il mese di giugno. Nel ritiro di dicembre ero felice di vederlo di nuovo pedalare e che fosse con noi a fare gruppo divertendosi. Quando poi a gennaio abbiamo iniziato a preparare la stagione ho visto di nuovo tutte le sue qualità.

Ti saresti aspettato di vincere il Giro Next Gen?

Se me l’avessero chiesto a gennaio avrei risposto che sarebbe stato più un sogno che un obiettivo. Avrei detto che sarebbe riuscito a entrare nella top 5. La vittoria di domenica è ancora più bella proprio perché arriva dopo un lungo cammino insieme.

Baroncini: al Baloise una vittoria pesante, da leader puro

24.06.2025
5 min
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Una risposta di forza, di personalità: la vittoria di Filippo Baroncini al Baloise Belgium Tour è stata molto più di un semplice successo. Rappresenta tutta la solidità di un atleta che si propone come un perno importantissimo del nostro ciclismo.
E ora, dopo averlo sentito, abbiamo capito ancora meglio questa solidità.

L’atleta della UAE Emirates è stato esemplare nella gestione di questa cinque giorni belga: non sono state solo gambe. Questa vittoria apre altri scenari importanti per il futuro. Sia quello immediato, leggasi Campionati Italiani, sia quello a lungo termine.

Festa grande sul bus UAE. Toccante anche il rientro in Italia con l’abbraccio tra Baroncini e suo fratello Matteo che lo attendeva all’aeroporto (foto Instagram)
Festa grande sul bus UAE. Toccante anche il rientro in Italia con l’abbraccio tra Baroncini e suo fratello Matteo che lo attendeva all’aeroporto (foto Instagram)
Filippo, prima di tutto complimenti: ma te l’hanno suonato l’Inno di Mameli?

No e neanche mi hanno dato un goccio di birra… lasciamo perdere! Da non credere lassù…

Però dai, questo Belgio ci porta bene: il mondiale under 23, la tua prima vittoria da pro’, la tua prima corsa a tappe sempre lì?

Eh dai, a volte sì, a volte no, però posso essere contento. Bello, è andata alla grande stavolta.

Come è nata questa vittoria? Sei partito con i gradi di capitano?

Diciamo che sono partito sicuramente, avendo mostrato tanto al Giro d’Italia, con l’ambizione della squadra, più che altro per me e Florian Vermeersch, di fare classifica. Io mi sono fatto trovare pronto, non ho mollato dopo il Giro, anche perché vedevo che la gamba rispondeva bene. E allora ho detto: «Approfittiamone».

Cosa significa tecnicamente non hai mollato dopo il Giro?

Che ho riposato il giusto, non mi sono rilassato troppo. Ho fatto una settimana ben strutturata di allenamenti e il resto l’ha fatto il Giro d’Italia. Dopo un riposo iniziale ho fatto dei richiami di soglia e fuorisoglia. E catena in tiro con la bici da crono. Questi richiami mi hanno permesso di tenere il motore sveglio, ma al tempo stesso senza mai distruggermi, perché bisognava comunque recuperare e assimilare tutto il lavoro fatto.

Le due tappe chiave erano la crono e quella in cui sei andato in fuga?

Sì, esattamente. Comunque in Belgio non è mai semplice, ci sono sempre dei trabocchetti. Bisogna stare svegli e lontani dalle cadute. Però avevo una squadra super attorno a me, ci siamo aiutati l’uno con l’altro e il risultato si è visto.

Filippo Baroncini splendido nella sua posizione a crono. Era anche molto veloce
Filippo Baroncini splendido nella sua posizione a crono. Era anche molto veloce
Come è stato sentirsi leader? Ti è piaciuto questo ruolo?

Bello! Per una volta un feeling diverso, nel senso che ero più abituato ad aiutare gli altri e per una volta essere aiutato ripaga un po’, anche per i sacrifici che faccio per la squadra. Anche al Giro ho lavorato tanto per loro, per cui so cosa si prova e stavolta è stato bello riceverlo in cambio.

E hai sentito un po’ di pressione oppure te la sei goduta?

No, pressione no. Non sono uno che la sente tanto, anzi a volte bisognerebbe sentirla di più! E nelle giuste dosi serve.

Il giorno della crono sei stato un siluro. L’avevi vista al mattino?

L’avevo vista solo al mattino, poi avevo dato un’occhiata nei giorni prima. Di solito le crono corte le soffro un po’, preferisco quelle più lunghe. Ma è andata alla grande. Da lì ho capito che la condizione era ottima, perché sono rimasto attaccato ai più forti.

Quella sera sei andato a dormire con altra consapevolezza?

Esatto, ho iniziato a pensare che il giorno dopo poteva essere la volta buona.

Il momento decisivo dell’intero Baloise: a circa 35 km dall’arrivo Baroncini scatta e va a prendersi al maglia
Il momento decisivo dell’intero Baloise: a circa 35 km dall’arrivo Baroncini scatta e va a prendersi al maglia
Era una crono di 9,7 chilometri veloce: che rapporti hai scelto?

L’importante era fare velocità. Il rapporto contava, ma partire con dei rapportoni esagerati non è mai il massimo, nemmeno in crono brevi. Avevo un 64, né troppo grande né troppo piccolo. Mi sembrava ideale per tenere la catena dritta. Sembrava un piattone, ma c’erano due o tre rettilinei che tiravano in su.

Raccontaci il momento topico: quando E’ partita la fuga decisiva?

Volevamo essere noi ad accendere la corsa, ma ci ha pensato la Ineos Grenadiers. Io ero lì pronto, sempre vigile. C’è stato un grande forcing, mi sembra con Connor Swift, che ha ridotto il gruppo a dieci. Abbiamo provato a rientrare: prima Florian, chiuso da Ganna, poi io. Gli altri si sono fermati e sono partito in contropiede con altri quattro. Da lì è stato tutto un rincorrersi.

E il gruppo si avvicinava…

Esatto. Dietro hanno iniziato a menare. Avevamo già pianificato con la squadra che avrei provato ai 35 dalla fine. Quando siamo arrivati a quel punto, il gruppo era a 15-20 secondi. Era tiratissimo. Dopo una curva ho preso lo strappo a tutta. Mi sono detto: «O parto ora o ci riprendono». Ho dato la botta e sono andato via con Frigo, Berckmoes e Aular, che aveva anticipato.

Cosa si prova in un’azione così? Emozione o lavoro?

Non avendo sempre l’occasione di fare la corsa davvero, ogni volta è un’emozione nuova. Sei lì davanti a battagliare, è bello e ti gasa. Ho tirato tanto perché volevo portare a casa la classifica, non tanto la tappa. Se avessi voluto vincere la tappa, avrei corso in modo diverso. Ma la generale vale di più.

Il podio finale ha visto: 1° Baroncini, 2° Heyter, 3° Berckmoes
Il podio finale ha visto: 1° Baroncini, 2° Heyter, 3° Berckmoes
Adesso farai i Campionati Italiani?

Sì, sia la crono che la prova in linea. Ho visto il percorso della crono su VeloViewer. Di salita non ce n’è. E’ una crono molto lineare, da spingere. Ci sono anche curve tecniche, ma io la bici da crono la guido bene. Sono tranquillo.

Quanto sei cresciuto in questi due mesi? Al Giro tutti dicevano: “Quanto va forte Baroncini”…

Sì, l’ho notato anch’io. Fa piacere, soprattutto se i complimenti arrivano anche da altre squadre. E’ motivo d’orgoglio. Sicuramente il Giro mi ha fatto fare uno step, anche mentale. Era il mio secondo grande Giro, dopo la Vuelta, e nelle gambe ha fatto la differenza.

Chiaro…

Mi ero già abituato a quello sforzo con la Vuelta e questo mi ha aiutato a gestirmi meglio durante la corsa rosa. Però per come sono andato quest’anno, ammetto che a volte mi sono sorpreso da solo in salita!

Filippo, cosa aggiungere? Ti auguriamo di gustarti la birra che non hai preso in Belgio!

Ah quella dopo gli Italiani, sicuro! Adesso siamo concentrati e via.

Recupero e alta intensità: le due settimane post Giro di Tonelli

23.06.2025
4 min
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Rispetto a qualche anno fa, dopo il Giro d’Italia abbiamo visto moltissimi corridori continuare a correre. C’è persino chi è andato in Slovenia, in pratica una consecutio della corsa, e chi è rientrato solo qualche giorno fa. E’ questo il caso, per esempio, di Alessandro Tonelli.

L’atleta della Polti–Kometa infatti, dopo due settimane, è rientrato in gara alla Route d’Occitanie. Due settimane sono un periodo intermedio, né breve per fare solo scarico, né tanto lungo per recuperare appieno. Tonelli ha disputato quindi la corsa francese e poi ha proseguito nella nuova gara pirenaica, la prima edizione della Andorra MoraBanc Clàssica.

Dal caldo torrido della Route d’Occitanie al fresco dei Pirenei: questi sbalzi termici non aiutano
Dal caldo torrido della Route d’Occitanie al fresco dei Pirenei: questi sbalzi termici non aiutano
Alessandro, partiamo dalle tue sensazioni: come è stato rientrare in gara dopo il Giro?

Diciamo che il caldo ha influenzato molto la prestazione. In Francia abbiamo vissuto cinque giorni di tappe caldissime, a 35-36 gradi. Si sono sentiti parecchio nelle gambe e nel corpo. Ieri ad Andorra invece in tal senso molto meglio, perché era più fresco… a tratti quasi freddo, ma è stata una gara durissima: 4.000 metri di dislivello in 115 chilometri.

Al netto del caldo?

Dopo il Giro, come spesso accade, sentivo di fare una fatica bestia quando si andava piano. Ero impacciato, pesante, mentre andava meglio quando si andava forte. Ma è un classico del Giro: vieni da tre settimane in cui ti sei abituato alle alte intensità, ma non hai recuperato del tutto.

Entriamo nel cuore dell’argomento, le due settimane tra Giro e Occitanie: come le hai passate?

Nella prima settimana ho osservato un giorno di riposo totale e un giorno in cui facevo un’ora e mezza molto tranquilla. Solo al sabato ho fatto quattro ore con un primo richiamo d’intensità: 5-6 minuti facendo una progressione da Z4 a Z5.

Passiamo alla seconda settimana: il lunedì cosa hai fatto?

E’ stata una giornata un po’ particolare. Ho lavorato sulla forza. Ho fatto le classiche SFR. Essendo parecchio tempo che non andavo in palestra, poteva essere rischioso con le gare così vicine. Così ho cercato di fare la forza in bici.

Per Tonelli nella seconda settimana post Giro parecchia intensità a casa
Per Tonelli nella seconda settimana post Giro parecchia intensità a casa
Martedì?

Recupero, un paio d’ore facili…

Mercoledì?

Ho ripetuto il lavoro del lunedì.

E siamo al giovedì…

Ho fatto 4 ore, con lavori ad alta intensità. Ho fatto due salite iniziandole forte in Z5 per 4 minuti, poi 3 minuti di recupero in Z3 e poi altri 8 minuti in Z5. In totale sono stati 15 minuti di lavoro ripetuti per due volte. A seguire ho inserito un lavoro in pianura ad alta cadenza: 2×8 minuti in Z3.

Venerdì?

Scarico semplice, un paio d’ore.

E il sabato?

Ho fatto una distanza regolare, che poi distanza vera e propria non era perché in questa fase non si deve caricare tantissimo. Quindi ho fatto 4 ore e 30′ con tre salite da 25 minuti. Una di queste salite l’hanno affrontata al Giro Next Gen prima del Maniva, è il Passo dei Tre Termini, che da noi è noto come Polaveno.

E infine, Alessandro, eccoci alla domenica…

Riposo assoluto, non sono uscito. Nel limite delle possibilità la domenica per me è sacra e la dedico sempre al riposo. In compenso ho fatto ancora un richiamo il giorno successivo.

Calando i chilometri, Tonelli ha diminuito l’apporto di carbo anche in allenamento
Calando i chilometri, Tonelli ha diminuito l’apporto di carbo anche in allenamento
E cosa hai fatto di preciso?

Ero alla vigilia della partenza per la Route d’Occitanie e ho fatto 2 ore e 45 minuti con due lavori ad alta intensità di 12 minuti in salita (a varie intensità) e a seguire 5 ripetizioni da 20”-40”.

Insomma Alessandro, nel complesso non un super volume ma neanche si passeggiava. Invece da un punto di vista alimentare come hai gestito queste due settimane?

Allenandomi meno ho calato l’apporto dei carboidrati, soprattutto nella prima settimana. Sostanzialmente la regola è: ti alleni meno, mangi meno. Poi quando ho ripreso ad allenarmi mi sono rimesso al regime di 80 grammi di carbo l’ora. Io anche in gara esagero, arrivo mediamente a 110 grammi l’ora.

Avrai mangiato meno, ma qualche sgarro post Giro lo avrai pur fatto?

Ma sì, già a partire dalla cena che abbiamo fatto tutti insieme a fine Giro. Poi però, dovendo correre, non è che ti lasci andare del tutto. In quella settimana di riposo controllavo l’alimentazione, ma se volevo qualcosa, che so un gelato, un dolcetto, me lo mangiavo. Alla fine lo stacco in quei giorni era anche per la testa e non solo per le gambe.

Sul fronte dei liquidi e dell’integrazione?

In allenamento non è cambiato tanto perché alla fine di caldo vero a casa ne ho preso un paio di giorni. Ma in gara in Francia ho bevuto moltissimo.

Velodromo di Crema, un bene comune a favore dei giovani

23.06.2025
5 min
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CREMA – Siamo all’interno di un velodromo storico del nostro panorama, ovvero il Velodromo Pierino Baffi (padre di Adriano Baffi, ex corridore e ora direttore sportivo alla Lidl-Trek) di Crema. Ristrutturato e rimesso a nuovo, l’anello è da considerare anche una sorta di impianto polifunzionale dedicato alla comunità, non tanto per le attività che si svolgono al suo interno, ma per la promozione e valorizzazione (soprattutto) dell’attività giovanile.

Un anello con base in cemento, un impianto scoperto con un’area verde al centro che può essere adattata in base alle necessità. La pista ha una lunghezza di 329,25 metri. Abbiamo incontrato Graziano Fumarola, presidente del Consorzio di Gestione Pista a Crema, di fatto la società che raggruppa tutte le ASD del territorio ed ha il compito primario di gestire l’impianto.

Il Velodromo Pierino Baffi è in centro città
Il Velodromo Pierino Baffi è in centro città
Cosa rappresenta il Velodromo Pierino Baffi?

E’ il simbolo dell’interpretazione del valore della comunità, perché il velodromo è un bene di tutti. E’ ovvio che si rivolge principalmente ai ciclisti, o meglio, a quelle società che fanno promozione giovanile nel ciclismo, ma il nostro impianto vive e resta vivo anche grazie ad una serie di iniziative extra ciclismo.

Quando ha ripreso vita?

Così come lo vediamo adesso, a dicembre del 2023. Nel momento immediatamente successivo all’inaugurazione sono iniziate le attività ed i corsi di avviamento allo sport per i giovanissimi.

Graziano Fumarola è il presidente del Consorzio di Gestione Pista a Crema
Graziano Fumarola è il presidente del Consorzio di Gestione Pista a Crema
Una struttura versatile, ma c’è un punto di forza che vale la pena sottolineare?

E’ un velodromo dove possono entrare tutte le fasce di utenza. Quando è stato ristrutturato si è voluto mantenere una fascia di riposo, o di respiro, quella arancione, molto ampia e questo fattore permette l’ingresso a tutti. Questo ci permette di portare al suo interno anche i bambini, ovviamente c’è sempre l’occhio attento di tecnici laureati in scienze motorie.

Quindi gli allenatori sono tutti laureati?

Sì ed è una nostra scelta. Non solo, perché anche in questa direzione abbiamo coinvolto una serie di giovani che riescono ad interagire con i bambini, con i ragazzini nel modo adeguato. Non viene denigrato o fatto passare in secondo piano il lavoro svolto da chi ora è in pensione, oppure ha raggiunto una certa età, ma semplicemente viene data l’opportunità anche ai giovani tecnici di crescere. I piccoli corridori di oggi sono i campioni del futuro. I giovani tecnici di oggi sono i tecnici di successo di domani.

Con quale modalità viene aperto il velodromo?

Il programma di base prevede quattro giorni a settimana di apertura. Tre sono dedicati alle categorie agonistiche, uno ogni settimana è dedicato ai giovanissimi. A questo programma di base si aggiungono gli eventi di promozione ed eventuali aperture straordinarie. Inutile sottolineare che il sogno nel cassetto è quello di riportare l’impianto alle competizioni. Ci stiamo lavorando e penso anche al ciclocross come veicolo di promozione.

La categorie amatoriali e gli utenti comuni possono entrare?

Per ora no, ma stiamo lavorando anche in questa direzione per aprire il velodromo al pubblico comune, seguendo la filosofia di un bene a disposizione della società. Le difficoltà della chiusura attuale verso gli amatori sono legate alle responsabilità in caso di incidente.

In termini di gestione, quale è la parte più complicata da affrontare?

Il velodromo deve vivere, deve essere utilizzato. Ad oggi la parte complicata è la gestione delle responsabilità, la sicurezza e la gestione di eventuali infortuni. Paradossalmente non è la manutenzione, come si potrebbe immaginare.

Per quanto riguarda i costi?

Non più di tanto, nel senso che abbiamo la fortuna di essere pienamente supportati dall’Amministrazione Comunale. Certamente siamo attenti a far collimare il tutto, ma quando la politica è propositiva, tutto è più semplice, a tutti i livelli. La proposizione dell’amministrazione comunale ci ha permesso di attivare anche una serie di iniziative, una su tutte, dare in gestione il punto di ristoro alla Cooperativa Sociale La Casa del Pellegrino, allargando ancor di più il coinvolgimento giovanile ed il percorso di crescita dei ragazzi.