Trentin a Komenda da Pogacar: «Una vera festa del ciclismo»

16.08.2025
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Tutti da Tadej Pogacar. O meglio pochi eletti e tanto pubblico… da Tadej Pogacar. A distanza di una settimana scarsa dal suo criterium, a Komenda non si è ancora spenta l’eco di una fantastica giornata di sport che ha visto l’abbraccio dei tifosi sloveni attorno al campione del mondo (in apertura (foto @alenmilavec).

Tra gli ospiti, nella cittadina slovena che ha dato i natali a Pogacar, c’era anche Matteo Trentin. Il corridore della Tudor Pro Cycling era uno degli otto grandi atleti presenti. Alla fine Trentin è un boss del gruppo, un veterano, vive a Montecarlo come Pogacar e i due, come altri corridori, sono molto amici. Ed è proprio Matteo che ci racconta come è andata.

Tanta gente a bordo strada e circuito divertente. In tutto tra categorie giovanili ed elite hanno preso il via 350 atleti (foto @alenmilavec)
Tanta gente a bordo strada e circuito divertente. In tutto tra categorie giovanili ed elite hanno preso il via 350 atleti (foto @alenmilavec)

Criterium Tadej Pogacar

E’ la settima volta che si tiene questo circuito, una vera festa cittadina a Komenda. Di solito si corre a giugno, ma Tadej era concentrato sul Tour de France e quindi lo ha spostato a dopo la corsa francese. Così l’evento si è trasformato anche in una festa per celebrare il suo quarto successo alla Grande Boucle.

«E’ stato bello – racconta Trentin – una gara piena di gente, c’erano anche i piccoli prima di noi elite e tanta, tanta gente alle transenne. Alla fine tanti sloveni, che abitano non lontano da Lubiana, ma anche turisti. C’erano italiani, tedeschi, francesi. Sapete, bastava che chi era al mare in Istria o in Croazia o sulle coste slovene si spostasse: con un’ora e mezza di auto era a Komenda. E se sei un appassionato di ciclismo, perché perdere l’occasione di vedere il campione del mondo e altri corridori gratis a un metro da te? Questa è l’essenza del ciclismo. Sì, davvero un bell’ambiente».

Trentin racconta che Pogacar ha fatto un giro di telefonate per portare qualche collega del WorldTour. Lui era disponibile e non ha avuto problemi a dire sì a un amico.
«Ma – spiega Trentin – non è poi così facile essere presenti. Quel weekend se non ricordo male si correva su quattro fronti».

Gli 8 atelti di prima fascia presenti a Komeda (foto @alenmilavec)
Gli 8 atelti di prima fascia presenti a Komeda (foto @alenmilavec)

Pancia a terra

La giornata è iniziata alle ore 15 con le prove degli esordienti, degli allievi, degli Under 15 e Under 17, maschili e femminili. Poi è stata la volta degli Under 19 e delle donne elite. Alle 19,30 hanno preso il via gli elite uomini. Oltre a Pogacar e Trentin c’erano altri tre sloveni di grido: Matej Mohoric, anche lui super acclamato, Luka Mezgec e Matevz Govekar. Con loro i compagni di squadra di Pogacar, Tim Wellens e Pavel Sivakov.

«Ed è stata gara vera – riprende Trentin – non potete capire come siamo andati. C’erano anche diversi atleti delle continental locali, come la Adria Mobil, e delle giovanili dei team WorldTour. Questi sono partiti a tutta: i primi 15 giri… pancia a terra! Una gara super caotica, poi nel finale hanno un po’ calato. Ma che ritmi!

«Tra l’altro il circuito si prestava: misurava un chilometro circa e abbiamo fatto 35 tornate. Era carino, tutto dentro al paese che è davvero piccolino. Si partiva da una piazza, poi ricordo qualche stradina, una chiesetta e nel finale per tornare all’arrivo c’era una salitella. Mi è rimasto in mente il fatto che partendo noi al tramonto, nei primi giri quando tornavamo verso l’arrivo avevamo il sole in faccia e non si vedeva nulla. Non era facile».

Sole contro e ritmi folli… (foto @alenmilavec)
Sole contro e ritmi folli… (foto @alenmilavec)

Komenda perla slovena

Komenda è il paese natale di Pogacar. Si trova più o meno nel centro della Slovenia, a circa 25 chilometri a nord della capitale Lubiana e a 120 da Gorizia. E’ una terra collinare, poco sopra i 300 metri di quota.

«Come dicevo – riprende Trentin – Komenda è un paesino molto piccolo, ma grazioso. Io l’ho vissuto poco perché sarei dovuto arrivare un giorno prima, ma qualche piccolo intoppo familiare ha ritardato il mio arrivo. Komenda è in un catino circondato da colline, ma poco fuori ci sono anche delle montagne. Nell’hotel in cui eravamo, ad esempio poco fuori Komenda, c’era un impianto che portava su una montagna a 1.650 metri dove d’inverno si scia».

«Il programma era di allenarci tutti insieme il giorno prima, ma io essendo arrivato tardi non ho potuto. Così mi sono allenato strada facendo. E per fortuna, visti i ritmi che ci sono stati».

Trentin ha parlato di un Pogacar sereno che si è prestato all’abbraccio della su gente (foto @alenmilavec)
Trentin ha parlato di un Pogacar sereno che si è prestato all’abbraccio della su gente (foto @alenmilavec)

Tadej e Matteo al rientro

Domani Matteo Trentin correrà ad Amburgo, alla Hamburg Cyclassics. La classica tedesca sarà il suo rientro ufficiale alle gare e lui sembra stare bene. Tadej invece rientrerà il 12 settembre in Canada. Come lo ha trovato dopo essere uscito stanco, almeno mentalmente, dal Tour?

«Tutto sommato bene – dice Trentin – lui è sempre tranquillo, sorridente. Alla fine ci ho anche parlato poco perché giustamente la serata era la sua. Avrà firmato 800.000 autografi e fatto 500.000 selfie. Ma è stato bello. Questa è un po’ l’essenza del ciclismo. In quale sport vedi il tuo campione preferito a un metro, gratis, e magari gli dai anche il cinque?

«Noi del WorldTour (tecnicamente io non sono in un team WT, ma è chiaro che appartengo alla categoria dei corridori di prima fascia presenti a Komenda) dopo la corsa siamo stati un po’ insieme, abbiamo mangiato, bevuto una birra e poi con le famiglie siamo tornati in hotel. E il giorno dopo siamo ripartiti con il ricordo di un bel “casino”».

1995-2025: Nocentini, come sono cambiati gli juniores?

16.08.2025
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Leggendo l’intervista a Riccardo Del Cucina pubblicata pochi giorni fa, il nome di Rinaldo Nocentini (saltato fuori fra le righe come suo preparatore) ha acceso la nostra curiosità. In primis perché non sapevamo che l’aretino si dedicasse alla preparazione di atleti. E poi perché giusto trent’anni fa, il 30 luglio del 1995, il “Noce“ conquistava il podio ai mondiali juniores di San Marino, dietro Valentino China e Ivan Basso. Così, col pretesto di salutarlo, gli abbiamo chiesto di fare un paragone fra il suo ciclismo di allora e quello cui sta preparando il giovane atleta toscano.

Il 1995 è una vita fa. In Italia inizia la diffusione della linea GSM, con la possibilità di sfruttare la messaggistica dei cellulari. I social non esistono. Al governo c’è Dini. Di Pietro lascia la magistratura dopo la stagione di Mani Pulite e finisce a sua volta sotto inchiesta. La lira soffre sui mercati internazionali. La Juventus vince il 23° scudetto, Rominger il Giro, Indurain il quinto Tour (nell’anno tremendo della caduta di Casartelli) e Jalabert la Vuelta, come pure Sanremo e Freccia Vallone. Ai mondiali di Duitama, Olano conquista l’iride davanti a Indurain e Pantani, che subito dopo rimane coinvolto nella caduta di Superga. Quel giorno a San Marino il podio iridato e lo sventolare del tricolore annunciano una grande stagione per il ciclismo italiano.

Nel 1995 ai mondiali juniores di San Marino, podio italiano: oro a China, poi Basso e Nocentini (foto Libertas.sm)
Nel 1995 ai mondiali juniores di San Marino, podio italiano: oro a China, poi Basso e Nocentini (foto Libertas.sm)
Prima di tutto, caro Rinaldo Nocentini, perché conosci Riccardo Del Cucina?

Lo conosco perché lui è di Montemarciano, che è a un chilometro da casa mia. Conoscevo suo padre che correva da dilettante e tre anni fa mi chiese se gli davo una mano con gli allenamenti e da allora è rimasto con me. Quindi non faccio il preparatore, ma seguo soltanto lui. Le cose sono cambiate davvero molto, anche da quando correvo io (Nocentini si è ritirato nel 2019, ndr). Per fortuna, avendo passato parecchio tempo con Pozzovivo, mi sono sempre confrontato con lui sulle preparazioni moderne, per cui riesco a seguirlo bene.

In che modo ti allenavi nel 1995 quando eri uno junior?

Mi ricordo che noi, abitando qua e andando a scuola, eravamo un gruppetto di 4-5. C’era un tale di Pontassieve che veniva a prenderci con il pulmino e ci portava a San Miniato e facevamo l’allenamento tutti insieme il pomeriggio. E ci allenavamo tipo corsa, le salite si facevano a tutta. Ci allenavamo il martedì e il venerdì e poi la domenica andavamo a correre.

Facevate lavori specifici?

Proprio no. Mi ricordo d’inverno un po’ di palestra, ci facevano camminare in montagna e il resto della condizione me la dava la bicicletta. Ho iniziato a fare i lavori con Marcello Massini, da dilettante alla Grassi Mapei.

Nocentini ha affinato le sue conoscenze sulla preparazione stando a lungo con Pozzovivo
Nocentini ha affinato le sue conoscenze sulla preparazione stando a lungo con Pozzovivo
In nazionale con il cittì Fusi non facevate lavori?

Facemmo il ritiro a Livigno. Mi ricorderò sempre l’Albula fatta senza mani per il potenziamento. Senza mani perché ci dicevano di non tirare sul manubrio e allora, per evitare che lo facessimo ugualmente, facevamo le ripetute senza mani per forzare solo con le gambe.

Si correva più o meno di ora?

Si correva solo la domenica, non c’erano tante corse a tappe. Il Lunigiana, poi ricordo una corsa a tappe in Valle d’Aosta, ma per il resto l’attività era limitata. In più correvamo con i rapporti limitati, con il 52×14. Devo dire che quando passai dilettante, l’adattamento fu graduale, perché Massini ai ragazzi giovani permetteva di correre poco e di adattarsi ai ritmi e alle distanze. 

Da junior pensavi già al professionismo?

Ce l’avevo nella testa, anche perché ero uno che aveva sempre vinto. Nel senso che se al secondo anno da junior vinci dieci corse e fai terzo al mondiale, sai che il sogno del professionismo è possibile. Ma sapevo anche che la strada fosse parecchio lunga. La mia fortuna fu che dopo il primo anno da U23, la Mapei mi mise sotto contratto, a patto che rimanessi per tre anni nelle categorie giovanili. E infatti passai nel 1999.

Quanto era lunga la distanza che facevi in allenamento?

Per quel che mi ricordo, si parlava di un’ottantina di chilometri, 90 massimo. Anche perché, allenandomi dopo la scuola, si cominciava alle tre e mezza del pomeriggio e si tornava in tempo per studiare e poi andare a cena. Non si mangiavano cose particolari. Il petto di pollo e un po’ di pasta prima della corsa, però durante la settimana mangiavo quello che faceva mia mamma.

Per Del Cucina un buon 4° posto nella seconda tappa del Medzinárodné dni Cyklistiky (foto FCI)
Per Del Cucina un buon 4° posto nella seconda tappa del Medzinárodné dni Cyklistiky (foto FCI)
E adesso parliamo di Riccardo Del Cucina…

Bè, per cominciare, il Casano in cui corre lavora con Erica Lombardi, quindi hanno il supporto della nutrizionista anche per i giorni della settimana. Sono seguiti come se fossero già professionisti. Il loro preparatore è Pino Toni, ma Di Fresco ha detto che di me si fida e quindi gli sta bene che lo segua io. Per cui imposto le settimane e la stagione dopo aver visto il programma di gare. A quel punto passo il programma alla nutrizionista, che calibra la parte alimentare. Mi regolo molto anche guardando il momento del ragazzo.

Ad esempio?

Ultimamente è andato forte, ha vinto una tappa al Valdera e fatto quarto di tappa con la nazionale (foto sopra, ndr). All’ultimo però lo vedevo stanco, per cui gli ho detto di mollare, di divertirsi sulla bici. Di non fare lavori e di rilassarsi di testa. Infatti subito dopo è andato forte e ora sta lavorando per un bel finale di stagione e nel frattempo ha fatto anche lo stage di allenamento con la Tudor.

Il suo programma settimanale somiglia al tuo di trent’anni fa?

No, le ore sono di più e vedendo i suoi watt, bisogna dire che sono quasi gli stessi di quando ero io professionista. Lui il professionismo ce l’ha fisso in testa. Quest’anno ha smesso di andare a scuola, passando a un corso on line: ha fatto l’esame finale a Roma e ora può pensare solo alla bici. Lo scorso inverno il padre mi ha chiesto che cosa potesse fare per iniziare bene la stagione. Gli ho detto di portarlo a Calpe e di farlo lavorare per un mesetto, è finita che sono stati per due mesi. Però all’inizio di stagione volava, lui fa proprio tutto per la bicicletta. Il padre mi ha detto che per lui gli juniores sono il trampolino per il professionismo.

E tu sei d’accordo?

Potrebbe avere ragione. Può andare in una squadra come la Tudor, se lo prendono, in cui farebbe un calendario come quello dei Reverberi. Altrimenti ho idea che se finisce in una squadra di dilettanti che fa solo attività locale, rischia di non venire fuori.

Secondo Nocentini, lo stage con il Tudor Development Team potrebbe essere un ottimo step di crescita per Del Cucina
Secondo Nocentini, lo stage con il Tudor Development Team potrebbe essere un ottimo step di crescita per Del Cucina
Che corridore potrebbe diventare?

Lui è parecchio veloce. Prima faceva le volate di gruppo, però quest’anno gli ho fatto anche cambiare un po’ gli allenamenti, nel senso che ha fatto più salita. Non a caso, le due corse che ha vinto avevano entrambe l’arrivo in salita.

Torniamo al Nocentini del 1995: spingendo più sul gas, saresti stato in grado di passare professionista a 19 anni?

Penso di no, perché prima era totalmente un altro mondo. Non si era pronti per andare a fare i professionisti subito, mentre ora a 19 anni vedi arrivare Evenepoel che vola e non c’è soltanto lui. Prima era difficilissimo, magari ci potevi provare, però dopo un paio d’anni non ti vedevano più.

Quanto è lunga una sua distanza?

Saranno 120-130 chilometri. Però se l’anno dopo vai in una squadra che ti porta alla corsa a tappe con i professionisti, bisogna che un minimo ti abitui alla fatica. Perché di là se ne fa davvero tanta, questo glielo ripeto ogni giorno…

Romandia: ride solo Paula Blasi, dietro è caos fra UCI e team

16.08.2025
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Cinque squadre hanno ricevuto ieri il divieto di prendere il via al Tour de Romandie Feminin. Il motivo ufficiale, come scritto nel comunicato della corsa: “Rimozione, rifiuto o impedimento dell’installazione o rimozione di un dispositivo di localizzazione”. Dietro l’esclusione di Lidl-Trek, Visma Lease a Bike, Canyon Sram Zondacrypto, Ef Education-Oatley e Team Picnic PostNl c’è probabilmente anche altro. Qualcosa che ovviamente non viene mostrato e non passa nei comunicati dell’UCI, ma che probabilmente verrà fuori nell’azione legale che sta prendendo forma.

7 agosto: l’annuncio

Il 7 agosto l’UCI annuncia che in collaborazione con il Tour de Romandie Feminin e le squadre partecipanti, testerà un sistema di tracciamento GPS di sicurezza. L’iniziativa – si legge nel comunciato – parte degli sforzi costanti dell’UCI e di SafeR per migliorare la sicurezza degli atleti nel ciclismo su strada professionistico. Prevede che una ciclista per squadra indossi un dispositivo di tracciamento GPS.

La stessa tecnologia sarà poi utilizzata ai campionati del mondo di ciclismo su strada a Kigali, in Rwanda, dove tutti i corridori saranno dotati del dispositivo per essere collegati anche con i responsabili medici della corsa. Dopo la drammatica vicenda dello scorso anno a Zurigo, quando Muriel Furrer non fu trovata tempestivamente dopo la caduta e morì senza che si sapesse dove fosse, la risposta suona molto interessante. Il senno di poi dice che la collaborazione tanto sbandierata in realtà è un’imposizione. Vediamo perché.

Muriel Furrer, la ragazza svizzera morta ai mondiali di Zurigo 2024 per una caduta non segnalata
Muriel Furrer, la ragazza svizzera morta ai mondiali di Zurigo 2024 per una caduta non segnalata

L’alternativa dei team

Alla richiesta dell’UCI, le squadre WorldTour rispondono infatti di avere i device GPS di Velon che già utilizzano al Giro di Svizzera, al Tour de France e al Giro d’Italia. Sono gratis, funzionano e ce l’hanno tutti, perché non fare il test con quelli? L’UCI risponde di averne studiati di propri, che però non sono ancora in produzione, per cui ne hanno un numero limitato: solo poche atlete potranno esserne dotate.

E qui scatta la prima perplessità. Come può funzionare una sperimentazione che non riguarda tutte le ragazze? E se nel fosso ci finisce una che ne è sprovvista? E se il dispositivo, non collaudato, si stacca e provoca una caduta, a chi spetta di pagare i danni?

I GPS made in UCI

Quando l’UCI replica che il test riguarda i propri strumenti, le squadre accettano, ma invitano gli addetti dell’UCI a fare il montaggio in prima persona, perché ne conoscono certamente meglio le caratteristiche. La seconda obiezione riguarda la scelta dell’atleta: quale regolamento impone che debba essere la squadra a scegliere la ragazza? Perché non è stato previsto un criterio che impone di scegliere corridori entro un certo range di peso, in modo che i 63 grammi in più del GPS non impattino sul risultato? L’UCI replica che sta alle squadre scegliere il nome e che, in caso contrario, la squadra sarà squalificata.

I transponder di Velon sono già nel possesso dei team, che hanno proposto di usarli
I transponder di Velon sono già nel possesso dei team, che hanno proposto di usarli

Chi monta il device?

Continuano a parlare di grande famiglia del ciclismo e di azioni da fare in amicizia, ma la minaccia di squalifica rientra in certi canoni? Sono comunicazioni che si svolgono per lettera nei giorni che precedono la corsa svizzera, non si tratta di una discussione nata a sorpresa nell’immediata vigilia.

Nella riunione tecnica alla vigilia della prima tappa, la cronometro di ieri, si raggiunge l’accordo: sarà l’UCI a stabilire chi sarà l’atleta. Pare sia tutto scritto, nessun dubbio da parte di nessuno. Invece ieri mattina alla partenza, si verifica un altro cambio di linea. Quando le squadre arrivano al via e attendono che i Commissari UCI indichino le atlete, quelli cambiano versione e minacciano che in caso di mancata indicazione da parte dei team, scatterà la squalifica.

Cinque squadre fuori

E la squalifica scatta. Alle squadre che si rifiutano di indicare i nomi viene vietata la partenza. Invece di sanzionare la società sportiva, l’UCI se la prende con le atlete e impedisce loro di lavorare

«Nel regolamento – dice Luca Guercilena – non è previsto il fatto che io debba nominare un’atleta. Hanno dichiarato che noi non abbiamo voluto accettare il device, ma non è assolutamente vero. Noi eravamo là davanti aspettando che lo mettessero, come ci eravamo accordati. Invece il giudice ci ha detto che non saremmo potuti partire perché non avevamo nominato l’atleta».

Il comunicato ufficiale liquida così il rifiuto di far partire le 6 squadre
Il comunicato ufficiale liquida così il rifiuto di far partire le 6 squadre

Momenti di tensione

Si raggiungono momenti di tensione. Quando la prima ragazza della Ag Insurance arriva alla via della crono, il giudice applica il GPS sulla sua bicicletta. La ragazza parte, ma il device si stacca. Quando l’atleta raggiunge il traguardo, un alto dirigente dell’UCI attacca il direttore sportivo della squadra belga, dicendogli che l’ha fatto di proposito per boicottare l’iniziativa. Mentre quello cercava in tutti i modi di dirgli che il montaggio era stato fatto dal Commissario e che lui altro non aveva fatto che seguire l’atleta con l’ammiraglia.

La posizione dell’UCI

Con cinque squadre fuori dalla corsa, l’UCI emette un comunicato, condannando il rifiuto di alcune squadre di partecipare al test della tecnologia di tracciamento GPS per la sicurezza.

«L’UCI – si legge – si rammarica che alcune squadre iscritte alla lista di partenza del Tour de Romandie Féminin si siano rifiutate di conformarsi al regolamento della gara relativo all’implementazione dei localizzatori GPS come test per un nuovo sistema di sicurezza. La decisione di queste squadre è sorprendente e compromette gli sforzi della famiglia del ciclismo per garantire la sicurezza di tutti i ciclisti nel ciclismo su strada attraverso lo sviluppo di questa nuova tecnologia.

«(…) Le squadre erano tenute a designare una ciclista sulla cui bicicletta sarebbe stato installato il localizzatore GPS. Le squadre hanno ricevuto ulteriori spiegazioni durante la riunione dei Direttori Sportivi pre-evento. L’UCI si rammarica che alcune squadre si siano opposte al test non nominando una ciclista che indossasse il dispositivo di tracciamento e abbiano quindi optato per l’esclusione dal Tour de Romandie Féminin. Alla luce di questa situazione, l’UCI valuterà se siano necessarie altre misure in conformità con il Regolamento UCI».

Van den Abeele, responsabile dell’UCI, era presente ieri al Romandie a sovrintendere le operazioni
Van den Abeele, responsabile dell’UCI, era presente ieri al Romandie a sovrintendere le operazioni

La risposta dei team

Sembra che essere escluse dal Romandie sia una libera scelta delle cinque squadre, che diffondono un comunicato condiviso. «Siamo scioccati e delusi dalla decisione dell’UCI di squalificare diverse squadre, inclusa la nostra, dal Tour de Romandie Féminin. All’inizio di questa settimana, tutte le squadre interessate hanno inviato lettere formali all’UCI esprimendo sostegno alla sicurezza dei ciclisti, ma sollevando serie preoccupazioni circa l’imposizione unilaterale di un dispositivo di tracciamento GPS a un solo ciclista per squadra. Abbiamo chiarito che non avremmo selezionato noi una ciclista, né installato, rimosso o effettuato la manutenzione del dispositivo.

«L’UCI o i suoi partner erano liberi di selezionare un ciclista e installare il dispositivo sotto la propria responsabilità. Nonostante la nostra collaborazione e l’esistenza di un sistema di monitoraggio della sicurezza collaudato e collaborativo, già testato con successo in altre importanti, l’UCI ha scelto di imporre questa misura senza un chiaro consenso, minacciando la squalifica e ora escludendoci dalla gara per non aver selezionato noi stessi un corridore. Il motivo per cui non vogliono nominare un corridore è ancora sconosciuto e senza risposta.

«(…) Questa azione viola i diritti delle squadre e dei corridori, applica la misura in modo discriminatorio e contraddice l’impegno dichiarato dall’UCI al dialogo con le parti interessate. Siamo sempre in prima linea per rendere il ciclismo uno sport più sicuro, ma questo obiettivo deve essere raggiunto attraverso la collaborazione, non la coercizione».

Il Tour de Romandie sarebbe stato un importante passo di rientro per Gaia Realini
Il Tour de Romandie sarebbe stato un importante passo di rientro per Gaia Realini

Pagano gli atleti

Ancora una volta a farne le spese sono stati gli atleti. E’ abbastanza chiaro che nel nome della sicurezza l’UCI abbia trovato probabilmente una potenziale fonte di investimento nell’imposizione di device GPS di sua produzione. E’ anche abbastanza chiaro che la sicurezza e le istanze di SafeR stiano diventando uno strumento di potere al pari di quanto accedeva anni fa con l’antidoping. Si potevano multare le società, ma non colpire le atlete e gli organizzatori. Si potevano fare i test nelle Nations’ Cup Juniores e in gare minori, perché non si è fatto?

«Il Tour de Romandie – si legge nel comunicato della corsa – si rammarica dell’esito del disaccordo tra l’UCI e le squadre sulle quali non aveva alcun controllo. (…) Questi divieti di partenza alterano direttamente l’aspetto sportivo della corsa, interferendo anche con la preparazione degli eventi successivi, penalizzando le atlete delle squadre interessate, il pubblico e tutti coloro che sono coinvolti nella promozione del Tour de Romandie Féminin in tutto il mondo. E’ deplorevole e, per usare un eufemismo, dannoso che non si sia potuta trovare una soluzione positiva».

Abbiamo la sensazione che la storia non finirà qui. Ed è anche chiaro che per come è strutturata e concepita, l’UCI non rappresenti appieno tutte le sue componenti. Siamo certi che il progetto One Cycling non sia quello di cui ha bisogno oggi il professionismo di vertice? Non è la coercizione il modo per far crescere il movimento e andare incontro ad atleti e squadre su un tema importante come quello della sicurezza. Forse il sistema così com’è non funziona più bene. La crono ieri intanto l’ha vinta Paula Blasi in maglia UAE Adq, la corsa prosegue oggi con 30 atlete in meno.

Il bilancio di Lang, che lavora già al Tour de Pologne di domani

15.08.2025
7 min
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WIELICZKA (Polonia) – Terminato uno, ne ha iniziato subito un altro con in mezzo solo un giorno di apparente riposo. A ruota dell’82° Tour de Pologne maschile è scattato subito quello femminile, conclusosi ieri con la vittoria nella generale (e di due delle tre tappe) di Chiara Consonni. Per Czeslaw “Cesare” Lang questa prima metà di agosto è stata dedicata alle sue “creature” (in apertura foto Szymon Gruchalski).

Non è solo il presidente della sua società organizzatrice e il direttore della corsa, Lang è letteralmente un’icona nazionale. Quando si parla con l’ex argento olimpico di Mosca 1980 si viene travolti dalla sua passione per il ciclismo ed il suo Paese, che ha aiutato a far crescere in modo esponenziale negli ultimi decenni. E lui, di conseguenza, è acclamato dagli appassionati.

Quelli del Tour de Pologne diventano innanzitutto giorni di festa, oltre che una gara quasi sempre aperta fino in fondo. Rispetto al passato “Cesare” non pedala più prima delle tappe, ma si tiene in forma come nonno correndo appresso a Carolina, l’ultima nipotina arrivata e figlia di Agata e John Lelangue. Tuttavia fare un bilancio con lui è un passaggio irrinunciabile, perché non ha mai problemi e paure nel parlare.

Chiara Consonni ha conquistato 2 tappe e la generale del recente Tour de Pologne Women davanti a Zanetti e Schweinberger
Chiara Consonni ha conquistato 2 tappe e la generale del recente Tour de Pologne Women davanti a Zanetti e Schweinberger
E’ stato un Tour de Pologne incerto che si è deciso all’ultima tappa.

E’ stato molto interessante. La nostra gara ha questa caratteristica che va a scoprire tanti nuovi talenti. La gara resta aperta per tanti corridori che arrivano da noi con una bella condizione. Le grandi corse a tappe sono dedicate principalmente agli scalatori con squadre che lavorano solo per loro. Da noi invece c’è più libertà, ogni formazione ha più di una soluzione, più di un leader. E si finisce per lavorare per chi sta meglio nelle tappe finali. Grandi corridori come Kwiatkowski, Majka, Vingegaard, Almeida, Sagan, Evenepoel sono passati da noi che non erano ancora i campioni che sono poi diventati.

Bisogna essere bravi quindi a prevedere un certo tipo di corsa?

Avete visto che quest’anno abbiamo disegnato un percorso abbastanza duro in quasi tutte le tappe. Questo è dovuto anche al livello dei corridori che è molto alto. Pertanto devi inserire una cronometro individuale all’ultima tappa per definire la classifica. Però mi ha colpito in particolare un altro aspetto.

Quale?

La cosa che mi è piaciuta di più di questo Tour de Pologne è stato vedere ancora più pubblico sulle strade e nelle piazze di partenza o arrivo. Il doppio rispetto alle ultime edizioni. Al traguardo di Zakopane ad esempio c’è stata davvero tantissima affluenza. Si vede che in Polonia il ciclismo sta crescendo sempre di più.

Quanto di tutto questo è merito di Czeslaw “Cesare” Lang?

Non saprei (sorride, ndr). Quando negli anni ‘80 sono passato pro’ in Italia, qua in Polonia correvano solo contadini che portavano il latte sulla canna della bici per venderlo. Quando ho smesso di correre, sono stato il primo a portare la Mtb nel mio Paese aprendo un negozio in cui vendevo le bici di Ernesto Colnago. Nessuno conosceva quel tipo di bici, ma si sono subito appassionati e hanno iniziato a partecipare a gare di Mtb.

Czeslaw Lang abbraccia Rafal Majka che ha disputato il suo ultimo Tour de Pologne. L’atleta della UAE si ritirerà a fine stagione
Czeslaw Lang abbraccia Rafal Majka che ha disputato il suo ultimo Tour de Pologne. L’atleta della UAE si ritirerà a fine stagione
Senti di essere stato un riferimento anche a livello organizzativo?

Alcuni hanno preso spunto da me per organizzarle e si è creata una bella rete di eventi e organizzatori. Il ciclismo cresce se si fanno gare, anche le più piccole. Penso che questo ora sia un po’ il problema in Italia. Da dilettante ricordo che da voi c’era una corsa in ogni paese per qualsiasi categoria. Adesso le regole per gli organizzatori sono più dure e rigide: farle è un rischio, quindi nessuno vuole impegnarsi più. Una nazione come l’Italia che ama il ciclismo, credo che in generale stia iniziando a soffrire più del dovuto questa situazione di mancanza di gare. E’ come la mancanza di teatro per gli attori, ad iniziare da piccoli per far crescere altri.

Anche il Tour de Pologne Women ci è sembrato che sia cresciuto tanto già rispetto all’anno scorso?

Assolutamente sì. Ci siamo concessi solo un giorno di pausa per i trasferimenti tra la fine della gara maschile e l’inizio della femminile. Tutta la scenografia che si è vista per gli uomini l’abbiamo allestita anche per le donne. Abbiamo avuto due ore di diretta su Eurosport e su un altro canale sportivo polacco. Non poco, senza contare il buon livello qualitativo dei team al via. Quest’anno è stato senza dubbio un grosso sforzo fare i due Tour de Pologne attaccati, però così facendo abbiamo già avuto la conferma della crescita della corsa femminile.

Negli ultimi giorni è stato vostro ospite Francesco Moser. Rivedremo a breve le montagne trentine al Tour de Pologne come nelle prime due frazioni del 2013?

Fra tre anni faremo il centenario della nostra gara, nata appunto nel 1928. Fra tre anni però sarà anche anno olimpico e ne stiamo già parlando anche con la regione Trentino. Sapete che la promozione del territorio attraverso lo sport è molto valida. Prima di fare quelle due tappe dodici anni fa, i turisti polacchi erano al decimo posto in Trentino, ma solo dall’anno successivo i nostri viaggiatori avevano scalato moltissime posizioni. Ora il turismo polacco conosce bene Madonna di Campiglio o Lago di Garda e quei posti sono pieni di nostri connazionali. Conviene a tutti…

Cosa intendi?

Non solo alla regione, ma anche a noi organizzatori che porteremmo così nel disegno della corsa quelle montagne mitiche che in Polonia non abbiamo per la diversa morfologia del territorio. Daremmo qualcosa in più. Le grandi montagne che tutti si aspettano in una gara importante.

Sappiamo che sei sempre stato attento e meticoloso nello scegliere i percorsi delle tappe. Per l’anno prossimo hai già un’idea del tracciato?

Abbiamo l’intenzione di partire dal Mar Baltico, dobbiamo capire se Danzica o Gdynia (ultime apparizioni rispettivamente nel 2014 e 2004). Poi ad esempio ho visto che attorno a Bukowina c’è la possibilità di fare un circuito nuovo di una ventina di chilometri da ripetere 7/8 volte, con un arrivo inedito, quasi da campionato del mondo. Ho già visto le strade e ho tutto in testa. Aspetto ora le richieste delle città che vogliono essere sedi del Pologne poi vedremo. Abbiamo tanto da fare. Mentre gli altri riposeranno, io inizierò a girare per il Paese e trovare il nuovo percorso.

Jordan Jegat, un gioiello scoperto all’ultimo Tour

15.08.2025
5 min
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Quanto può valere un 10° posto al Tour de France? Molto, se sei francese e soprattutto se militi in una delle poche squadre professional invitate alla Grande Boucle per smuovere le acque. La top 10 di Jordan Jegat, il transalpino della TotalEnergies è stata una delle grandi sorprese dell’edizione di quest’anno e unita a quella di Vauquelin e all’unica vittoria di tappa conquistata da Valentin Paret-Peintre è stata un raggio di sole per il ciclismo francese, che dopo l’addio di Bardet fatica a trovare nuovi validi esponenti per le grandi corse a tappe.

Per molti Jegat è un oggetto misterioso. 26 anni, da Vannes, è arrivato a emergere al Tour senza grandi squilli: «Ho iniziato a pedalare sin da quand’ero piccolo perché mio padre faceva triathlon e da allora ho sempre voluto fare della mia passione un lavoro, perché mi dava gioia. Sono diventato professionista nella continental grazie al passaggio di livello della mia squadra dilettantistica, la CIC U Nantes Atlantique nel 2022 approdando alla TotalEnergies lo scorso anno».

Jegat ha costruito la sua classifica sulla costanza di rendimento, finendo nei primi 10 solo in due tappe
Jegat ha costruito la sua classifica sulla costanza di rendimento, finendo nei primi 10 solo in due tappe
Hai sempre corso su strada o come tanti altri francesi sei passato prima dall’offroad?

No, ho fatto solo corse su strada. Ho provato un po’ il ciclocross, ma solo per divertimento; a dir la verità non ero il massimo… No, mi sono subito concentrato sulla strada, crescendo anno dopo anno.

Prima del Tour de France avevi un palmarès più da corridore di corse in linea, ti sentivi più adatto alle gare d’un giorno?

No, sinceramente io ho sempre preferito le corse a tappe. Soprattutto quelle di media durata, come la Parigi-Nizza e il Giro dei Paesi Baschi. Mi sono sempre piaciute e volevo continuare a migliorare in particolare nelle corse brevi, perché ho sempre trovato una certa attitudine. Certamente la prestazione complessiva al Tour, una corsa così lunga e difficile, ha sorpreso anche me.

Prima del Tour il miglior piazzamento di Jegat in una corsa a tappe era stato il 6° posto al Tour de Kyushu 2024
Prima del Tour il miglior piazzamento di Jegat in una corsa a tappe era stato il 6° posto al Tour de Kyushu 2024
Alla top 10 del Tour ci credevi e come ci sei arrivato?

Devo dire grazie ai miei compagni che sono stati fantastici. All’inizio pensavo che un buon piazzamento, fra i primi 20, fosse possibile, e che magari essere tra i primi 15 sarebbe stato davvero qualcosa di grandioso per le nostre possibilità. Poi i risultati sono arrivati giorno dopo giorno. Sono salito in classifica tenendo il passo dei più forti mentre man mano vedevo avversari che cedevano. E alla fine mi sono ritrovato in una posizione completamente inaspettata, che ridefinisce tutte le mie prospettive.

Quanto è stato importante l’apporto del team?

Tantissimo, ma non solo nelle tre settimane del Tour. La squadra mi ha aiutato molto nella preparazione. Siamo andati in ritiro in Sierra Nevada a maggio, poi ho potuto partecipare al Delfinato senza specifiche richieste di risultato. Avevo chiuso 14° e lì abbiamo pensato che provare a far classifica, senza fare voli pindarici, sarebbe stato un buon obiettivo per il Tour. La squadra mi ha messo nella migliore condizione mentale possibile per l’allenamento, ho anche potuto scegliere il mio programma di gare prima del Tour de France.

I francesi si sono pian piano affezionati a lui, partito quasi come un partecipante sconosciuto ai più
I francesi si sono pian piano affezionati a lui, partito quasi come un partecipante sconosciuto ai più
Qual è stato l’impatto del tuo risultato, come di quello di Vauquelin, sui media francesi?

Enorme, sinceramente non pensavo di ricevere tutte queste attenzioni. Si è scatenato tanto clamore attorno a questo risultato, ancora oggi ricevo congratulazioni ogni giorno per il Tour de France. E’ davvero pazzesco, ma devo dire che anche nel team il mio piazzamento è stato festeggiato come se fosse stata una vittoria. La TotalEnergies è una squadra che pratica ciclismo da tanti anni e mi hanno detto che ne sono passati 10 dall’ultima volta che il team ha raggiunto un simile livello al Tour. Quindi è fantastico.

Dopo però non ti sei fermato e hai corso al Tour de l’Ain finendo 6°. Si è avuta la sensazione di un Jegat nuovo, molto più sicuro delle sue possibilità anche per lottare per la vittoria finale, è così?

Sì, è vero. Alla partenza il mio obiettivo era vincere e sapevo anche di essere in buona forma. A volte partecipi alle gare, ma non sai realmente qual è la tua forma fisica. Io sapevo di essere in buona forma dopo il Tour, quindi ero fiducioso perché sentivo che la mia condizione, dopo quelle tre settimane faticose ma anche importanti per la crescita della forma, era la migliore da tanto tempo a questa parte. E alla fine il risultato è stato comunque positivo. Tra quelli con il Tour nelle gambe sono stato il migliore.

L’Italia gli ha spesso portato bene. Qui ottiene il 3° posto al Giro di Toscana ’24, vinto da Zwiehoff
L’Italia gli ha spesso portato bene. Qui ottiene il 3° posto al Giro di Toscana ’24, vinto da Zwiehoff
Ora che cosa ti aspetta, ti vedremo a mondiali ed europei?

Spero molto di esserci, al campionato del mondo. La squadra si deciderà a inizio settembre e per questo spero di fare bene nelle gare italiane di quel periodo, in modo da convincere il selezionatore a darmi una chance per essere utile alla causa nazionale.

Tu hai il contratto con la TotalEnergies anche per l’anno prossimo, poi pensi al gran salto nel WorldTour e per avere quale ruolo?

E’ una bella domanda. E’ vero che sono ancora sotto contratto l’anno prossimo e quindi non è un problema che mi pongo ora. Poi per il 2027 vedremo in base alle offerte ma anche alla mia crescita. Non nascondo che mi piacerebbe potermi confrontare in altri grandi giri che non siano il Tour, come la Vuelta o il Giro. Arrivare decimo al Tour ti fa venire voglia di fare meglio. E perché non farlo in un altro grande giro? Ma d’altro canto penso anche che mi trovo molto bene nella squadra, quindi potrei anche rimanere. Dipende dalle richieste che arriveranno.

Facce, quote e nomi della Vuelta: Ciccone tira il gruppo azzurro

15.08.2025
6 min
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Dopo la partenza del Giro d’Italia e un pezzetto della Grande Depart del Tour 2024, Torino darà il via anche alla Vuelta. Dal 23 agosto, la corsa spagnola partirà dal capoluogo piemontese e sarà il consueto esame di fine anno per chi ha risultati da confermare e chi deve invece recuperare una stagione balbettante. La statistica racconta che il primo vincitore italiano della Vuelta, Angelo Conterno nel 1956, era proprio di Torino. Se ne andò nel 2007 a 82 anni, dopo aver vinto un Giro del Piemonte e tre tappe al Giro d’Italia.

Sono appena sei i vincitori italiani della Vuelta Espana. Ci fu Conterno nel 1956, poi Gimondi nel 1968, Battaglin nel 1981, Giovanetti nel 1990, Nibali nel 2010 e Aru nel 2015. Sono sei: uno in meno dei vincitori italiani del Tour che sono sette. Significa che non c’è niente di facile a vincere la Vuelta, ma questo crediamo lo abbiate capito da un pezzo.

Angelo Conterno, vincitore della Vuelta 1956: foto tratta dalla mostra allestita dalla Città Metropolitana di Torino
Angelo Conterno, vincitore della Vuelta 1956: foto tratta dalla mostra allestita dalla Città Metropolitana di Torino

L’assenza di Pogacar, nell’aria dopo le tante energie spese al Tour de France, sarà compensata da alcuni nomi di primissima grandezza, dando vita si spera a uno spettacolo come quello che ha reso davvero indimenticabile il Giro d’Italia di Yates. Il percorso si snoderà nella parte superiore di Spagna, con l’arrivo di Madrid che ne costituisce anche il punto più a sud. Quattro le tappe pianeggianti (una con arrivo in altitudine). Sei di media montagna, cinque di alta montagna, con tre arrivi in alta quota. Una cronometro e due giorni di riposo.

Vingegaard e il mondiale

Il favorito numero uno è Jonas Vingegaard, per nome e palmares. Il danese, che al Tour le ha provate tutte per staccare Pogacar, lo aveva detto già alla fine della sfida francese: «Prima mi prenderò una settimana di riposo e poi comincerò ad allenarmi di nuovo. E’ andata bene nel 2023, spero che funzioni ugualmente». La sua preparazione si è svolta ad Annecy, dove vive con la famiglia. Non ha svolto lavori di preparazione in altura, avendone accumulata parecchia per il Tour. A quanto risulta, nelle due settimane e mezza di allenamento, il suo unico obiettivo è stato recuperare freschezza. Come è chiaro, per averlo dichiarato da tempo, che il suo grande appuntamento di fine stagione sia il mondiale di Kigali.

«E’ stato il piano fin dall’inizio – ha spiegato il tecnico danese Michael Morkov – quando ho parlato con Jonas durante l’inverno e mi ha detto chiaramente di essere motivato per i campionati del mondo. E’ ad un punto della carriera in cui punta ai grandi appuntamenti».

Proprio per questo, in Danimarca si respira un po’ di apprensione perché Jonas non avrà abbastanza tempo per preparare i mondiali, che si correranno appena due settimane dopo la fine della Vuelta.

Vingegaard sarà il favorito numero uno della Vuelta con il supporto di Matteo Jorgenson
Vingegaard sarà il favorito numero uno della Vuelta con il supporto di Matteo Jorgenson

Ciccone alla prova

Dato il meritato spazio al più blasonato dei concorrenti, torniamo volentieri in Italia per Giulio Ciccone, che al rientro dalla preparazione in altura ha vinto a San Sebastian e alla Vuelta Burgos (foto di apertura). Il suo obiettivo 2025 sarebbe stato il Giro d’Italia, ma la caduta di Gorizia ha vanificato i suoi piani e quelli di altri corridori del gruppo. L’abruzzese ha detto chiaramente che vivrà la Vuelta giorno per giorno, ma sappiamo che per il Giro aveva lavorato tanto e bene in ottica classifica.

A chi gli contesta si aver sempre sofferto di un giorno di blackout nell’arco della tre settimane, lui per primo e la sua squadra rispondono che l’atleta è molto maturato. Vivrà alla giornata, ma non avendo mai chiuso un Grande Giro nei primi 10, è legittimo pensare che voglia mettersi alla prova.

«Mi piace confrontarmi con corridori forti – ha detto dopo aver battuto Del Toro a Lagunas de Neila, tappa più dura della Vuelta Burgos – preferisco gare così. Questa volta sapevo di avere il vantaggio di non essere in classifica e che lui avrebbe spinto a tutta. Ho approfittato della situazione e poi ho preferito non aspettare la volata. In questa corsa ci sono state diverse belle tappe, che sono state anche un’ottima preparazione per la Vuelta. Ci vado molto motivato, con l’intenzione di far bene».

Almeida e Ayuso sul Galibier al Tour 2024: i due non hanno avuto molte occasioni di correre insieme
Almeida e Ayuso sul Galibier al Tour 2024: i due non hanno avuto molte occasioni di correre insieme

Fra Almeida e Ayuso

La voglia di riscatto si respira anche in casa UAE Team Emirates. Il forfait di Pogacar è stato favorevole al ripescaggio di Ayuso: dopo il ritiro del Giro, altrimenti, lo spagnolo non avrebbe avuto un programma degno di interesse. Purtroppo per lui o per sua fortuna, dovrà fare i conti con l’identica sete di rivincita di Joao Almeida. Dopo la vittoria al Giro di Svizzera, il portoghese si è ritirato dal Tour con svariate abrasioni e una costola fratturata ed ha trascorso la convalescenza a casa. I due leader non sono mai stati grandi amici, si vedrà in che modo riusciranno a convivere.

«E’ una sensazione speciale iniziare la Vuelta da leader della squadra – ha detto Almeida – soprattutto con la forma che ho mostrato in questa stagione. Il recupero dall’incidente del Tour è stato fluido e le mie sensazioni in allenamento sono migliorate. Spero di continuare a progredire e di essere vicino al mio miglior livello all’inizio di questa Vuelta. Abbiamo un gruppo forte intorno a noi e credo che possiamo lottare per qualcosa di grande».

Dopo il passo a vuoto del Giro, Tiberi ha conquistato il secondo posto al Polonia
Dopo il passo a vuoto del Giro, Tiberi ha conquistato il secondo posto al Polonia

Tiberi per la generale

In casa Italia annotiamo anche altri nomi di sicuro interesse. Quello di Filippo Ganna, ritirato dal Tour, che avrà una cronometro in cui farsi valere. Lorenzo Fortunato, re degli scalatori al Giro d’Italia. In casa Red Bull-Bora, i nomi di Giovanni Aleotti, Matteo Sobrero e Pellizzari: pare che il marchigiano vada forte come e più che al Giro d’Italia. E’ la prima volta che Giulio affronta il secondo Grande Giro nella stessa stagione, ma non è da escludere che possa trovare il suo spazio accanto a due leader come Hindley e Vlasov.

Chi invece partirà con i gradi cuciti sulle spalle è Antonio Tiberi, affiancato da Damiano Caruso e Andrea Pasqualon. Uscito male dal Giro d’Italia, il laziale della Bahrain Victorious ha lavorato sodo in altura sul Passo Pordoi e al rientro ha centrato il secondo posto finale al Tour de Pologne.

«Dopo il Polonia – ha detto – una settimana di altura a Sestriere mi permetterà di arrivare direttamente a Torino per la Vuelta. Cercherò di rifarmi della sfortuna patita al Giro, sperando che possa andare meglio. La voglia è di fare bene, cercando di curare la generale».

Van der Breggen: il Tour, le salite lunghe e il futuro. Mondini, a te…

14.08.2025
5 min
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E’ tornata dopo quattro anni lontana dalle gare e l’ha fatto senza mezze misure. Anna Van der Breggen sta vivendo un 2025 intenso, avendo corso i tre Grandi Giri femminili e chiudendo il recente Tour de France Femmes con prestazioni di alto livello.

La campionessa olandese, sette volte vincitrice di classiche monumento, tre volte iridata e due volte oro olimpico, è stata protagonista di un rientro studiato nei minimi dettagli. Con Gian Paolo Mondini, direttore sportivo della SD Worx-Protime, abbiamo analizzato la sua corsa francese e il percorso verso un futuro che si preannuncia ancora da grande protagonista.

Gian Paolo Mondini (classe 1972) da quest’anno è alla guida dell’ammiraglia della Sd Worx
Gian Paolo Mondini (classe 1972) da quest’anno è alla guida dell’ammiraglia della Sd Worx

Un Tour di livello altissimo

Mondini non ha dubbi: quello di Van der Breggen è stato un Tour positivo. «Fino al tappone – racconta il tecnico romagnolo – Anna è sempre stata pronta, ha lottato per le posizioni alte senza commettere errori. Nella prima tappa ci sono state incomprensioni con Lotte Kopecky: l’idea era di chiudere su Pauline Ferrand-Prévot per lanciare la volata a Lotte, ma lei ha iniziato la salita troppo indietro e i piani sono saltati. Peccato, perché Lorena Wiebes ha poi fatto seconda alla tappa successiva e con un altro approccio iniziale avremmo potuto puntare anche alla maglia gialla».

Il contesto era però durissimo. L’olandese arrivava dal Giro d’Italia Women, corso a ritmi alti e con tappe impegnative, senza reali giorni di recupero. «Anche in Italia – continua Mondini – il livello era elevato e molte ragazze lo hanno pagato. Anche le prime frazioni in Normandia presentavano salite e arrivi esplosivi, in un clima di tensione degno del Tour maschile: pubblico numeroso, stress e preparazioni mirate. Pauline ha sacrificato tre mesi per arrivare al top, alzando ulteriormente l’asticella. Qualcuno si è lamentato di questo suo approccio, ma non ha fatto nulla di illegale».

Van der Breggen è sempre stata in piena lotta con le migliori e nelle prime tappe è stata vicina a Wiebes e Kopecky
Van der Breggen è sempre stata in piena lotta con le migliori e nelle prime tappe è stata vicina a Wiebes e Kopecky

Quell’ultima tappa…

Il momento più spettacolare di Van der Breggen è arrivato nell’ultima frazione, quando ha attaccato due volte, prima in pianura e poi in salita, scollinando con oltre un minuto e mezzo di vantaggio.

«Dietro non l’hanno mai lasciata andare davvero – spiega Mondini – sulla prima azione si sono mossi subito alcuni nomi pesanti fra cui proprio Ferrand-Prévot, poi in salita ha selezionato il gruppo restando con le migliori di classifica. A quel punto, con Silvia Persico che lavorava per Demi Vollering e Kasia Niewiadoma interessata al podio, la collaborazione per riprenderla è stata totale. L’hanno ripresa all’imbocco dell’ultima salita e lì non c’era più margine».

Mondini rimarca come il livello tecnico e fisico sia cresciuto rispetto a quattro o cinque anni fa. Sentite qua: «Oggi in salite lunghe da 40-50 minuti servono valori da 6 watt/kg per restare davanti. Lo sforzo che hanno espresso Ferrand-Prévot e Sarah Gigante è paragonabile a quello di scalatori maschi. Questo Tour ha confermato che non si può più improvvisare: servono preparazioni mirate e programmate con largo anticipo».

Quest’anno Van der Breggen (qui con la compagna Harvey, a sinistra) è stata due volte in altura (foto Instagram)
Quest’anno Van der Breggen (qui con la compagna Harvey, a sinistra) è stata due volte in altura (foto Instagram)

Un anno di transizione

Con un terzo posto alla Vuelta, un sesto al Giro e un undicesimo al Tour parlare di anno di transizione sarebbe stucchevole, ma la protagonista è Van der Breggen… ed allora ecco che cambia ogni punto di vista. La scelta di correre tutti e tre i grandi giri nel 2025 non è stata casuale.

«Fare i tre Grandi Giri – conferma Mondini – è parte di un progetto ponderato. Dopo quattro anni lontana dalle gare, bisognava accelerare i tempi per riadattarsi al livello richiesto. Correre Giro, Tour e Vuelta consente di accumulare giorni di corsa e stress simili a quelli che le mancavano. Non è un anno solo di transizione, perché ha chiuso terza alla Vuelta, sesta al Giro e bene anche al Tour, ma l’obiettivo era ed è costruire per il futuro».

Il calendario femminile non offre moltissime opportunità per fare gare a tappe di alto livello, perciò la programmazione ha previsto anche due blocchi di altura. Mondini spiega come servano i tempi giusti per metabolizzare l’altura. Altura che, soprattutto nei primi anni, non ti porta subito al massimo, anzi. «Spesso – aggiunge Giampaolo – bisogna ridurre i carichi per non compromettere il recupero. Il lavoro intenso va fatto quando si torna giù e noi ci siamo dovuti adattare a questa mole enorme di lavoro considerato nell’insieme dell’anno dunque non c’è stato tutto questo tempo per allenare certe caratteristiche».

Vuelta, Giro e Tour per l’olandese. Eccola vincere a Borja (Vuelta) primo successo dal rientro
Vuelta, Giro e Tour per l’olandese. Eccola vincere a Borja (Vuelta) primo successo dal rientro

Verso il 2026

«Non c’è stato tutto questo tempo per allenare certe caratteristiche»: Mondini si riferiva soprattutto al discorso delle salite lunghe, dove di fatto l’olandese ha pagato dazio.

«Anna – conclude Mondini – è soddisfatta del percorso intrapreso, pur consapevole che ci sono margini di miglioramento. Le mancano ancora le specifiche sulle lunghe salite. Quest’anno nelle tappe decisive, come il Monte Nerone al Giro o la Madeleine al Tour, ha pagato la mancanza di lavori mirati su sforzi di 40-50 minuti a quei livelli di potenza. L’anno prossimo avremo tempo per inserirli in preparazione». E qui ci si riallaccia al discorso di prima e alle determinate tempistiche da rispettare.

Una cosa è certa, la concorrenza, con nomi come Ferrand-Prévot e Gigante, ha alzato il livello e costretto tutti a rivedere gli standard di preparazione. Ma la determinazione dell’olandese lascia intendere che il suo rientro non sarà un semplice revival: il 2025 è stato il banco di prova, il 2026 potrebbe riportare la regina in cima al podio. E intanto ci sono altri appuntamenti importanti che l’aspettano: uno su tutti il mondiale.

Il Team Grenke come la UAE? La visione di Galbusera

14.08.2025
5 min
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L’Aubel-Thimister-Stavelot è una gara a tappe belga che, pur non facendo parte della Nations Cup, è un vero riferimento per la categoria juniores. Tanto è vero che vi partecipano tutte le principali squadre internazionali, soprattutto quelle che sono nella filiera di qualche formazione WorldTour. La corsa l’ha vinta, con un colpo di mano nell’ultima tappa, l’olandese Gjis Schoonvelde, portacolori del Team Grenke che già si era aggiudicato la prima frazione grazie a Roberto Capello e che ormai monopolizza il movimento giovanile.

Alla corsa erano presenti anche altri italiani, ad esempio il Team Tiepolo Udine e la Pool Cantù che ha piazzato Pietro Galbusera al 13° posto, migliore dei portacolori di casa nostra, con anche un terzo posto di tappa. Il lombardo, presente anche l’anno scorso, è uscito da questa esperienza con tante nozioni importanti che emergono già dal suo racconto.

L’olandese Schoonvelde, vincitore con 1’20” sull’americano Reitz e 1’31” sul belga Vanden Eynde (foto Team Grenke)
L’olandese Schoonvelde, vincitore con 1’20” sull’americano Reitz e 1’31” sul belga Vanden Eynde (foto Team Grenke)

«Era una gara dura, una delle gare più dure del calendario. Delle tre tappe, due erano in linea, poi c’era una cronosquadre: tutte abbastanza mosse. Non c’erano grandissime salite, ma in realtà non c’era un attimo di tregua. L’ultima tappa era quella regina, con circa 2.400 metri di dislivello e infatti è stata quella decisiva per la classifica».

La tappa dove sei arrivato terzo com’è stata?

Era la seconda semitappa del secondo giorno, quella del pomeriggio che seguiva la crono. Siamo partiti subito forte, infatti dal secondo giro i migliori hanno fatto la differenza sullo strappo e io sono riuscito a rimanere lì. Eravamo circa un gruppetto di 10, dopo più di un giro ci hanno ripreso e il gruppo si è tranquillizzato un po’. In quel momento ne ho approfittato e sono riuscito ad andare in fuga fino alla fine, insieme a 5 altri corridori.

Il lombardo era alla sua seconda esperienza belga, dove ha mostrato un ottimo adattamento (Elitophotos)
Il lombardo era alla sua seconda esperienza belga, dove ha mostrato un ottimo adattamento (Elitophotos)
La corsa l’ha vinta l’olandese Schoonvelde del Team Grenke che sta caratterizzando tutta questa stagione degli juniores un po’ come fa la UAE fra i pro’. Che impressione ti fa il team tedesco?

Stanno dominando la scena, si vede che hanno tantissime individualità forti ma che comunque sanno anche lavorare come squadra. Hanno un’impostazione diversa da tutti. E’ un altro livello rispetto a noi e si è visto soprattutto nella cronosquadre (in apertura, foto Moretti, ndr) in cui hanno dato quasi 20 secondi alla seconda compagine. Noi comunque siamo arrivati nel complesso abbastanza vicini.

Tra le altre squadre e il Team Grenke, quali sono le differenze principali?

Io penso che a monte ci sia una differenza di budget: loro possono permettersi di spendere quanto vogliono e questo si traduce anche nella ricerca. Hanno materiali quasi uguali a quelli della squadra WT, mentre noi chiaramente siamo una squadra normale. La differenza è profonda. A questo si aggiunga che loro raggruppano i migliori juniores d’Europa e li allenano nel miglior modo possibile e questo aggiunge distanza.

La volata della semitappa in linea con vittoria per Vittinghus Stokbro della Uno-X. Galbusera è a sinistra (Elitophotos)
La volata della semitappa in linea con vittoria per Vittinghus Stokbro della Uno-X. Galbusera, 3°, è poco distante (Elitophotos)
I materiali quanto influiscono e soprattutto in che occasioni (corse in linea o a tappe, prove a cronometro, ecc.)?

Per me nella gara in linea incide fino a un certo punto, mentre dove fa tanto la differenza chiaramente è nella cronometro. Si è visto anche in Belgio, ma devo dire che comunque noi con la nostra squadra non eravamo messi così male. D’altro canto non si può pretendere di avere gli stessi materiali che utilizzano loro, ma comunque noi abbiamo dei buoni materiali.

Adesso cosa ti attende per il finale di stagione e soprattutto per il tuo passaggio di categoria?

Io vorrei puntare a ottenere ancora qualche altro risultato in gare internazionali, come potrebbe essere ad esempio il Lunigiana. Per la stagione prossima non c’è ancora nulla di certo e quindi vedremo come si risolverà nei prossimi mesi, per questo fare ancora qualche piazzamento o addirittura qualche vittoria aiuterebbe.

Per Galbusera la differenza fra Team Grenke e gli altri è soprattutto nel budget e nel lavoro collegiale (Elitophotos)
Per Galbusera la differenza fra Team Grenke e gli altri è soprattutto nel budget e nel lavoro collegiale (Elitophotos)
Hai già dei contatti anche con squadre estere?

Qualche contatto nelle ultime settimane c’è stato, però è ancora tutto molto lontano dalla concretizzazione.

Fatto salvo il rapporto che hai con la tua squadra, quando corri contro team come quello tedesco provi un po’ d’invidia?

L’unica cosa per cui diciamo li posso invidiare è il calendario, perché loro fanno sempre gare di questo livello e chiaramente è molto bello e formativo per il futuro. Per il resto devo dire che nella squadra in cui sono mi trovo bene e con il gruppo di ragazzi con cui sono mi sto divertendo, c’è un bel legame in gara e fuori.

Il successo di Roberto Capello nella prima tappa aveva già indirizzato la corsa per il team tedesco (foto team)
Il successo di Roberto Capello nella prima tappa aveva già indirizzato la corsa per il team tedesco (foto team)
Le squadre straniere, il Team Grenke in particolare, fanno quasi esclusivamente corse a tappe, in Italia invece la maggioranza delle gare sono in linea. Secondo te è penalizzante questo per un italiano?

Chiaramente per lo sviluppo di un atleta fare tante corse tappe aiuta molto, d’altronde tenere come riferimento il Team Grenke è difficile, quello è un mondo a parte. Comunque il calendario italiano sta cambiando e ora abbiamo anche noi molte e valide corse a tappe e questo ci aiuta.

Una chiacchierata con Froome, tra tifosi, consigli e futuro

14.08.2025
5 min
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RYBNIK (Polonia) – Riveste sempre un’aura particolare Chris Froome quando lo incontri. Non è più quello di qualche anno fa, la brutta caduta nella ricognizione della crono del Delfinato del 2019 lo ha introdotto in una parte di carriera che meritava di non arrivare in quel modo. Nonostante tutto, non è mancato per lui il calore della gente al Tour de Pologne (in apertura autografa un libro dedicato a Marco Pantani).

Ogni mattina al bus della Israel-Premier Tech c’erano sempre tante persone, bambini compresi, che aspettavano di poter chiedere una foto, un selfie, un autografo o anche un semplice saluto al 40enne keniano d’Inghilterra. E lui sempre disponibile nel concedersi e poi gentile nel ringraziare del loro interessamento. Anche al podio-firma era tanto acclamato. Per contro quando Froome si portava in linea di partenza tendeva a restare più per conto proprio, magari per dare un’ultima occhiata alla bici, che scambiare due battute di compagni e colleghi. Forse per qualcuno incute una certa soggezione o forse i suoi pensieri sono già rivolti altrove. Notando tutto ciò da vicino, abbiamo voluto fare una chiacchierata con Chris su alcuni temi.

Froome è in scadenza di contratto a fine 2025. Nel prossimo futuro vuole aprire una scuola di ciclismo in Africa
Froome è in scadenza di contratto a fine 2025. Nel prossimo futuro vuole aprire una scuola di ciclismo in Africa

Pogacar come Froome

Lo scorso 27 luglio Pogacar ha conquistato il suo quarto Tour de France, proprio come lui. Froome sa come si vivono quei momenti a partire da ogni piccolo dettaglio. Ad esempio nel 2013 iniziò a vincere con una certa regolarità le gare a tappe, anche le più brevi. Volle farlo anche per capire soprattutto quanto tempo gli avrebbe portato via il protocollo delle cerimonie dal recupero per il giorno dopo.

Un paio d’ore circa che avrebbe dovuto imparare a gestire nelle stagioni successive, specialmente al Tour. Prendere una maglia comporta certi obblighi e infatti non c’è da stupirsi se Pogacar in Francia abbia “lasciato” quella a pois a Wellens nei primi giorni o non si sia dannato più di tanto per difendere la gialla in alcune frazioni, per non spendere troppe energie psicofisiche. La stanchezza apparsa addosso allo sloveno è lo spunto per le considerazioni di Froome.

Per Froome è normale che Pogacar apparisse stanco a fine Tour. L’inglese sa come si vivono e gestiscono stagioni al top
Per Froome è normale che Pogacar apparisse stanco a fine Tour. L’inglese sa come si vivono e gestiscono stagioni al top

«Devo essere sincero – ci risponde – che non ho fatto caso più di tanto a come appariva Pogacar, però credo che fosse normale che sembrasse stanco. Lui sta correndo ad alto livello da sempre ed ogni anno di più. Anzi, ogni anno gli viene richiesto qualcosa in più. In un certo senso mi ci rivedo un po’. Ricordo che quando ho vinto di seguito Tour de France, Vuelta e Giro d’Italia tra 2017 e 2018, ero poi arrivato in Francia stanco e scarico psicofisicamente, nonostante avessi ancora una buona condizione (chiuderà terzo al Tour dietro Thomas e Dumoulin, ndr).

«In quel momento – prosegue Froome nel suo ragionamento – capisci che devi iniziare a dire “no” a qualcosa o comunque pianificare in maniera diversa la tua stagione rispetto a prima. Questo chiaramente è il mio punto di vista. Per me, per quella che è la mia esperienza, l’unica maniera per restare lucidi e attenti in tanti anni di lavoro schematico è la motivazione. Avere stimoli nuovi ti aiuta a non perdere di vista i tuoi obiettivi, però attenzione a quello che dicevo prima. Non bisogna forzare troppo dal punto di vista mentale, perché è molto dispendioso e diventa tutto più difficile.

In carriera Froome ha vinto 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta e un totale di una cinquantina di gare. Dal 2020 è alla Israel
In carriera Froome ha vinto 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta e un totale di una cinquantina di gare. Dal 2020 è alla Israel

Ciclismo in evoluzione

Che il ciclismo stia cambiando lo si vede ad ogni gara ogni anno e lo si dice da tempo. Froome è stato uno dei primi interpreti di un certo tipo di evoluzione metodologica, anche se è curioso vederlo sempre indossare pantaloncini e maglia anziché gli ormai tradizionali body da gara.

«E’ un ciclismo – sottolinea facendo un confronto generazionale – che è cambiato molto da almeno 5/6 anni. Adesso è estremamente programmato su tutto, molto calcolato al millesimo, specie su allenamenti, dati in corsa e alimentazione. Direi senza dubbio molto più dei miei tempi. Ora ci sono davvero tanti ragazzi giovani che vanno forte, ma è tutto il ciclismo moderno che va forte. Per me non è semplice, la differenza di età si sente, però finora mi è piaciuto correre in mezzo a loro e per il momento continuo».

Africa e futuro

Gli assist per le ultime domande ce le fornisce lui direttamente. A fine 2025 scade il contratto e ancora non si sa se l’anno prossimo lo vedremo ancora col numero sulla schiena. I giornalisti britannici presenti al Tour de Pologne dicono che questa sarà la sua ultima stagione, salvo ripensamenti. Chris glissa sull’argomento. L’impressione non è tanto perché non voglia dirlo, ma perché sa che alcune situazioni non bisogna mai darle per scontate. Tuttavia è già convinto di quello che farà quando non sarà più un corridore.

«Sono in scadenza di contratto – ci dice serenamente prima di salutarci – e non so se continuerò o meno, di sicuro quando smetterò, come avevo detto già da tempo, voglio aprire una scuola di ciclismo in Africa. Voglio permettere a tanti ragazzi di pedalare e poter inseguire una carriera. Credo che sia un Continente in crescita, soprattutto in quella parte di Africa. Penso ai maratoneti e mezzofondisti etiopi o keniani. Secondo me ci sono talenti del genere anche adatti al ciclismo, solo che non avevano la possibilità di poter correre in bici prima. Non correrò il mondiale in Rwanda ed è chiaro che mi sarebbe piaciuto essere al via, però non è un grosso problema perché non cambia i miei programmi. Il mio vero obiettivo è quello di sviluppare un bel progetto che sono convinto porterà nuovi corridori interessanti».