A Kranj si rivede Capra, che ha un po’ di conti in sospeso

04.09.2025
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Ci sono piazze d’onore che non sai come interpretare, soprattutto se sei un ciclista al quale hanno insegnato che è solo uno quello che vince. Perché è anche vero, ma bisogna anche guardare a come e quando arriva, quel secondo posto. Nel caso di Thomas Capra, la seconda piazza al GP di Kranj, che era un obiettivo dichiarato per molti partecipanti, ha un significato particolare, di rinascita in una stagione che aveva preso una china davvero difficile.

Il podio del GP di Krany vinto dal messicano Prieto della Petrolike al termine di una volata generale (foto organizzatori)
Il podio del GP di Krany vinto dal messicano Prieto della Petrolike al termine di una volata generale (foto organizzatori)

Il trentino del devo team della Bahrain Victorious era partito per questo 2025 con tante aspettative, ma poi le cose non erano andate come si aspettava: «Diciamo che per me ora l’importante è la seconda parte di stagione visto com’è andata la prima. All’inizio dell’anno mi sentivo bene, ho fatto anche qualche bel piazzamento come il 5° posto alla Youngster in Belgio e anche al Tour de Bretagne ero andato forte, con 3 Top 10. A giugno ho però avuto un calo di rendimento, a luglio ho dovuto fare un ciclo di antibiotici. Quindi riprendermi era complicato. Sono stato al West Bohemia Tour prendendolo soprattutto come un allenamento, la gara in Slovenia era la prima davvero adatta a me e nella quale volevo emergere».

Quindi hai visto il risultato in maniera positiva…

Non del tutto, perché alla fine era una gara che si era messa particolarmente bene, ma ho sbagliato proprio l’ultima curva, sono uscito troppo largo. Io credo che con un po’ più di attenzione nella guida avrei anche potuto precedere il messicano Prieto, ma guardandomi indietro dico comunque che è sì una vittoria mancata, ma dà comunque morale.

Capra ha corso per 42 giorni, con 9 top 10 e una vittoria in una gara nazionale greca
Capra ha corso per 42 giorni, con 9 top 10 e una vittoria in una gara nazionale greca
Eri partito con l’obiettivo di vincere?

Sì, sicuramente, come in tutte le corse, ma questa era particolare. Sapevo che era molto adatta alle mie caratteristiche, anche perché aveva la conclusione leggermente in salita e a me piace molto quel tipo di volate.

Nel team come ti sei trovato? Tu sei al secondo anno con la Bahrain…

Molto bene, perché comunque molti dello staff rimasti dall’anno scorso quand’era ancora CTF. E’ arrivato qualche altro diesse straniero, qualche nuovo compagno ma si è creato un bel clima, dove i nuovi si sono integrati bene. Abbiamo fatto una bella squadra nella quale si collabora molto.

Si è sentita la differenza con l’entrata in scena direttamente del team WorldTour? La squadra mantiene la sua impronta italiana almeno nel livello inferiore?

Sì, c’è comunque una preponderanza italiana, ma dal punto vista organizzativo, anche come spostamenti, c’è stato un notevole progresso. L’organizzazione è tutta un’altra cosa, si sente che ora siamo parte del WorldTour, siamo al massimo livello. C’è chiarezza anche nel futuro, a me ad esempio hanno già garantito il rinnovo per il prossimo anno.

Capra è al secondo anno nel devo team della Bahrain, ha vissuto quindi il cambio di denominazione dal CTF (foto Instagram)
Capra è al secondo anno nel devo team della Bahrain, ha vissuto quindi il cambio di denominazione dal CTF (foto Instagram)
In questo è prevista anche maggiore attività con la prima squadra?

Nei programmi sì. Avendo un anno in più di esperienza, l’obiettivo sarà quello di fare molte corse con i professionisti e di crescere sotto quell’aspetto, perché gareggiare al massimo livello è qualcosa di completamente diverso. Io quest’anno ho fatto due gare con il team principale ed è tutta un’altra cosa, hai una spinta in più.

Adesso cosa ti aspetta, quali sono le gare dove vuoi prolungare questa forza d’inerzia positiva?

Non rimangono molte corse e questo mi dispiace. C’è il Giro del Friuli ma lo staff lo ha valutato troppo duro, dirottandomi sul Giro di Romania. Lì ci sono, su 5 tappe, almeno tre che ho già visto essere molto adatte alle mie caratteristiche, quindi è il posto giusto dove poter far bene. Provare a cogliere finalmente quella vittoria che per me sarebbe importante sia per com’è andata complessivamente la stagione, sia per proiettarmi bene verso la prossima. Poi spero di chiudere l’annata tornando a fare una gara con la squadra dei “grandi”. D’altronde in Italia le gare nazionali non possiamo farle e quindi corriamo solo le internazionali che non sono tante.

Il trentino ora punta con decisione al Giro di Romania, che ha tappe adatte alle sue caratteristiche (foto Instagram)
Il trentino ora punta con decisione al Giro di Romania, che ha tappe adatte alle sue caratteristiche (foto Instagram)
A proposito di questo, tu salvo San Vendemiano e il campionato italiano hai gareggiato sempre all’estero: questo è un vantaggio o è penalizzante per un italiano che è in un devo team?

A me piace molto correre all’estero, perché per la maggior parte sono percorsi nei quali mi trovo meglio, o come punta per le volate o anche per lavorare per i compagni. Non poter correre in Italia non è penalizzante, io mi trovo proprio il mio agio ovunque. Dipende molto da che tipo di gara troviamo. In Italia ad esempio ora c’è il San Daniele, che è troppo duro per me. E poi all’estero ci sono sempre tante corse a tappe e in quelle c’è spazio per tutti i tipi di corridori.

“Nando” Casagrande al CPS. Un jolly in bici coi ragazzi

04.09.2025
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Qualche giorno fa, tramite le pagine social del CPS Professional Team, Clemente Cavaliere, patron e team manager dello stesso team, aveva annunciato l’arrivo di Francesco Casagrande, per tutti “Nando”, nello staff tecnico della formazione juniores.

«Siamo felici ed onorati di arricchire il nostro staff con persone d’esperienza come Francesco – aveva detto Cavaliere – in questi anni ha dimostrato di fare bene con la categoria immediatamente inferiore, lo dimostrano non solo i risultati, ma anche l’alto spessore tecnico degli atleti da lui guidati. Sono sicuro che godremo di tante belle emozioni».

L’ex professionista e biker toscano torna così protagonista in una nuova sfida: trasmettere la propria esperienza a un gruppo di giovani corridori, con lo stesso spirito combattivo che lo ha reso celebre negli anni ’90 e 2000.

Francesco Casagrande (classe 1970) fu assoluto protagonista al Giro d’Italia 2000 quando indossò la maglia rosa per ben 11 giorni
Francesco Casagrande (classe 1970) fu assoluto protagonista al Giro d’Italia 2000 quando indossò la maglia rosa per ben 11 giorni

L’arrivo al CPS

E’ stato un percorso naturale quello che ha portato Casagrande al CPS. Negli ultimi due anni aveva seguito gli allievi dell’Iperfinish, costruendo con loro un rapporto forte, tanto che alcuni ragazzi, salendo tra gli juniores, hanno chiesto espressamente di proseguire il cammino con lui. «Tre o quattro mi hanno chiesto di rimanere al loro fianco – racconta Casagrande – e siccome la squadra è vicina a casa mia, con Cavaliere abbiamo trovato subito l’accordo».

Il contatto con il manager era già avviato: si conoscevano da tempo e la presenza di alcuni corridori legati al vivaio, come Matteo Luce, ha reso più semplice la convergenza. La squadra juniores nasce così dall’unione tra i ragazzi provenienti dall’Iperfinish e quelli del Casano, per un gruppo totale di quattordici corridori, divisi tra Centro-Nord e Centro-Sud. Una fusione che punta a garantire qualità e prospettiva, con l’esperienza di Casagrande come valore aggiunto.

Francesco a ruota dei suoi ragazzi nella distanza fatta giusto ieri
Francesco a ruota dei suoi ragazzi nella distanza fatta giusto ieri

Il ruolo? Un jolly

Casagrande non avrà un incarico rigido, anche perché ancora non ha ufficialmente una tessera valida per essere diesse tra gli juniores, ma un ruolo trasversale che lo rende prezioso in ogni ambito.

«Sarò un po’ un jolly – spiega – seguo gli allenamenti, la preparazione e poi sarò presente a quasi a tutte le gare. Non ho ancora il patentino da direttore sportivo, ma vivrò il gruppo giorno dopo giorno. La mia figura sarà quella di un riferimento costante, dentro e fuori dalla bici. L’idea è quella di condividere fatica e sacrificio: trasmettere ai ragazzi certi valori.

«Esco in bici con loro due volte alla settimana… e mi tirano anche il collo! Pedalando insieme puoi capire come stanno davvero. Una tabella non basta: se uno è stanco non ha senso caricarlo di ore e lavori. E’ fondamentale ascoltare le sensazioni del corpo. Ecco: il sapersi ascoltare, conoscersi è un aspetto su cui insisto molto».

Un approccio che si lega a una visione più umana della preparazione. Pur riconoscendo che oggi gli juniores lavorano già con cardiofrequenzimetro e potenziometro, Casagrande rivendica l’importanza di un percorso graduale: «Ai miei tempi servivano due anni tra i dilettanti prima di passare professionisti. Oggi tutto è accelerato, ma credo che il ciclismo abbia ancora bisogno di maturazione e sinceramente resto fedele a questa vecchia scuola, diciamo così».

Anche ai fini della tecnica Casagrande sarà un valore aggiunto con la sua esperienza nella MTB
Anche ai fini della tecnica Casagrande sarà un valore aggiunto con la sua esperienza nella MTB

Sul campo con i ragazzi

E’ in strada che Casagrande dà il meglio. Non come preparatore da scrivania, ma come ex corridore che conosce bene fatica e sacrifici. Condividere chilometri può essere un valore aggiunto.

«I ragazzi – dice Francesco – studiano la mattina, tornano a casa, devono allenarsi anche con la pioggia: se vedono che io ci sono, con la mantellina, hanno una motivazione in più. Se fossero soli, magari rinuncerebbero. Magari telefonerebbero e direbbero: “Faccio i rulli”. No, non è così. Nessuna forzatura, ma voglio fargli capire che servono i sacrifici. Che si devono impegnare».


Il suo metodo mescola disciplina e passione, carota e bastone, con un obiettivo chiaro: far capire che impegno e costanza fanno la differenza. «Gli spiego che io ho già corso, che la mia carriera l’ho fatta e che se vogliono i risultati devono lavorare, altrimenti restano indietro. Ogni tanto vanno spronati, ma è giusto così».

E qui, in parte, emergono anche i dettami dell’ex biker: in inverno porta i giovani anche in mountain bike, per variare e divertirsi.

«La mtb – dice Casagrande – resta un gioco, ma è utile per la tecnica e la motivazione. Il bosco, la discesina tecnica, le due ore scarse fatte al pomeriggio d’inverno… sono diversivi che fanno bene. Tra novembre e dicembre spesso siamo usciti in MTB e ci siamo divertiti.

«Inoltre quest’anno abbiamo pure preso due corridori che porterò su qualche gara off-road».

Per il prossimo anno il CPS si avvarrà di 14 corridori (almeno per ora sono questi i numeri)
Per il prossimo anno il CPS si avvarrà di 14 corridori (almeno per ora sono questi i numeri)

Aspettative ed emozioni

E’ inevitabile chiedersi se i giovani sappiano davvero chi sia stato Francesco Casagrande. Alcuni sì, spiega “Nando” altri meno.

«Immersi nell’epoca di Mathieu Van der Poel, Tadej Pogacar e Wout Van Aert…. Ogni tanto li invito a cercare qualche video su YouTube dei miei tempi o di qualche impresa, tipo alla Freccia Vallone, il Giro di Svizzera o al Giro d’Italia. E allora poi li vedi un po’ stupiti, compiaciuti. E tutto sommato fa anche piacere».

La sua vera soddisfazione arriva da altro: «La cosa più bella è quando i ragazzi ti cercano, hanno piacere ad ascoltarti, a chiedere consigli. Questo ti fa sentire importante per loro e ti gratifica».
E’ una sfida che coinvolge anche le emozioni personali. Casagrande ritrova nel ciclismo giovanile lo spirito puro del pedalare, lontano dalle pressioni del professionismo. Ogni crescita, ogni miglioramento dei suoi ragazzi è un piccolo successo che lo riporta indietro… ma sempre pensando a quel che sarà.
Per il movimento juniores, avere un ex professionista del suo calibro non capita spesso. E pedalarci fianco a fianco è un valore raro.

Bilbao, la Vuelta ferita. Ma l’indifferenza non risolve

04.09.2025
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«Oggi è il compleanno di mio figlio – ha detto Vingegaard dopo la tappa della Vuelta annullata a Bilbaoha un anno e volevo davvero alzare le braccia al traguardo per lui. Abbiamo lavorato tutto il giorno per questo e non avere la possibilità di vincere è stato piuttosto deludente. Avevo davvero questa ambizione di vincere la tappa ed ero in una buona posizione per provarci. Sono comunque riuscito a tagliare per primo il nuovo traguardo, a 3 chilometri da quello vero. E’ un peccato non portare a casa un orsacchiotto per mio figlio oggi, ma spero di averne due domani».

Kiko Garcia ha gestito al meglio delle sue possibilità la situazione della tappa di ieri
Kiko Garcia ha gestito al meglio delle sue possibilità la situazione della tappa di ieri

Il senso della protesta

Nessun vincitore. L’undicesima tappa della Vuelta è stata fermata a 3 chilometri dall’arrivo di Bilbao. L’attacco di Pidcock sulla salita di Pike aveva permesso al britannico di fare il vuoto, con il solo Vingegaard nella sua scia. Gli altri invece avevano pagato con 12 secondi di ritardo. Poco dopo le cinque del pomeriggio invece, gli organizzatori hanno deciso di ridurla per evitare i rischi connessi alle proteste pro Palestina inscenate al traguardo da un folto gruppo di manifestanti. Nei Paesi Baschi hanno la rabbia dentro, gente di sangue forte. E se nella cronosquadre di Figueres le proteste avevano portato al rallentamento della Israel-Premier Tech, ieri si è preferito non correre rischi (in apertura immagine ANP/EPA).

Lo scrivemmo dopo il Giro d’Italia. Il ciclismo si corre sulle strade in mezzo alla gente e può diventare la cassa di risonanza per manifestazioni di ogni tipo, a patto che non si mettano a rischio i corridori. Ricordiamo quando gli operai della Piaggio fermarono la Sanremo o quando i sindaci dei paesi alluvionati del Piemonte rallentarono la partenza di tappa del Giro dal Santuario di Vicoforte. Ma adesso in ballo ci sono una guerra. Oltre 40 mila morti. Un primo ministro che teorizza invasioni e attua massacri senza che al mondo nessuno gliene chieda ragione. Che cosa volete che possa fare la gente se non protestare? E a cosa serve una protesta se nessuno se ne accorge?

La polizia ha respinto i manifestanti, ma le condizioni dell’arrivo non erano sicure (foto EFE)
La polizia ha respinto i manifestanti, ma le condizioni dell’arrivo non erano sicure (foto EFE)

La posizione del CPA

Avvisaglie purtroppo c’erano già state. Nella cronosquadre di Figueres, quando la Israel-Premier Tech è stata rallentata e la giuria ha poi bilanciato il distacco. E poi nella tappa di martedì con arrivo a El Ferial Larra Belagua, quando i manifestanti hanno tentato di attraversare la strada al passaggio del gruppo, provocando la caduta di Petilli, che corre con la Intermarché-Wanty. Dall’inizio della Vuelta, come già fatto al Tour de France, attorno alla Israel-Premier Tech sono state rinforzate le misure di sicurezza. L’imprenditore israeliano-canadese Sylvan Adams è ritenuto uno stretto collaboratore del primo ministro Netanyahu e un sostenitore delle sue politiche. Per questo il pullman e i mezzi della squadra viaggiano senza la dicitura Israel.

Va bene protestare, tuttavia, ma non danneggiare o colpire i corridori. Mercoledì pomeriggio, il CPA ha rilasciato una dichiarazione. Vi si esprime «la sua profonda preoccupazione e la ferma condanna per le azioni che hanno messo in pericolo i corridori della Vuelta a Espana. E’ inaccettabile che le associazioni, qualunque sia la loro natura o le loro motivazioni, si permettano di compromettere la sicurezza e l’integrità fisica degli atleti sulla strada. Chiediamo inoltre ai servizi di sicurezza spagnoli di fare tutto il possibile per garantire il regolare svolgimento dell’evento e proteggere i corridori. Tutti hanno il diritto di protestare, ma non può essere a spese degli atleti che stanno facendo il loro lavoro».

Prima della neutralizzazione della tappa, Pidcock e Vingegaard avevano infiammato la corsa
Prima della neutralizzazione della tappa, Pidcock e Vingegaard avevano infiammato la corsa

Chi deve decidere

La tappa di Bilbao sarebbe stata forse la più spettacolare della Vuelta e si è trasformata in una ferita. L’organizzazione si è vista costretta alla neutralizzazione delle classifiche, a capo di una giornata a dir poco impegnativa. Dopo gli esiti della giornata, il direttore della Vuelta Kiko Garcia ha spiegato la scelta di ieri e risposto a fatica alle domande sulla possibilità di ritiro della squadra israeliana.

«E’ stata una giornata difficile per tutti – ha spiegato – come potete immaginare. Sapevamo che ci sarebbero potute essere delle proteste, ma la verità è che la portata del movimento ci ha colti di sorpresa al primo passaggio del traguardo. Abbiamo visto che la situazione era tesa e che dovevamo prendere una decisione in fretta. C’erano due opzioni: annullare tutto o almeno provare a offrire uno spettacolo al grande pubblico ciclistico dei Paesi Baschi. E’ quello che abbiamo fatto. Ho parlato un po’ con le squadre e tutti hanno capito che era la decisione migliore.

«Sapevamo che se non avessimo reagito, le proteste sarebbero continuate. Dobbiamo seguire le regole. La partecipazione della Israel-Premier Tech è obbligatoria, non possiamo decidere diversamente. Fermarla compete semmai a un organismo internazionale. Il nostro compito è cercare di proteggere i corridori, le squadre e la corsa, ovviamente. Ed è qui che siamo. Abbiamo parlato con la squadra per ore ieri sera, esponendogli la situazione, vedendo se anche loro sentivano la pressione aumentare. Non c’è molto altro che io possa fare».

Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili, come ci ha raccontato Marco Frigo qualche giorno fa
Dalla cronosquadre, non sono stati giorni facili, come ci ha raccontato Marco Frigo qualche giorno fa

La posizione dell’UCI

Perché il CIO dispose lo stop delle società e degli atleti russi dopo l’invasione dell’Ucraina e non dice nulla contro Israele? Tirata per la manica, l’UCI ha pubblicato un comunicato di facciata.

“Condanniamo fermamente queste azioni. Sottolineiamo l’importanza fondamentale della neutralità politica delle organizzazioni sportive unite nel Movimento Olimpico, nonché il ruolo unificante e pacificatore dello sport. I grandi eventi sportivi internazionali incarnano uno spirito di unità e dialogo, al di là delle differenze e delle divisioni. Lo sport, il ciclismo in particolare, ha lo scopo di unire le persone e superare le barriere tra loro e non deve in nessun caso essere utilizzato come strumento di punizione. L’UCI esprime la sua piena solidarietà e il suo sostegno alle squadre e al loro staff, nonché ai corridori, che devono poter esercitare la loro professione e la loro passione in condizioni ottimali di sicurezza e tranquillità“.

La Israel-Premier Tech non molla: «Creeremmo un precedente pericoloso»
La Israel-Premier Tech non molla: «Creeremmo un precedente pericoloso»

La Israel rimane

Chiedere il ritiro spontaneo della Israel-Premier Tech sarebbe pretendere che siano loro a togliere le castagne dal fuoco all’UCI. Ieri in serata una dichiarazione della squadra spiega la sua posizione e il perché rimarrà in corsa.

“Israel-Premier Tech – si legge – è una squadra ciclistica professionistica. In quanto tale, la squadra rimane impegnata a partecipare alla Vuelta a Espana. Qualsiasi altra linea d’azione costituisce un pericoloso precedente nel ciclismo, non solo per Israel-Premier Tech, ma per tutte le squadre.

“Israel-Premier Tech ha ripetutamente espresso il suo rispetto per il diritto di tutti a protestare, purché tali proteste rimangano pacifiche e non compromettano la sicurezza del gruppo. L’organizzazione della Vuelta a Espana e la polizia stanno facendo tutto il possibile per creare un ambiente sicuro e, per questo, la squadra è particolarmente grata. Tuttavia, il comportamento dei manifestanti oggi a Bilbao non è stato solo pericoloso, ma anche controproducente per la loro causa. E ha privato i tifosi baschi, tra i migliori al mondo, del traguardo di tappa che meritavano.

“Ringraziamo gli organizzatori della gara e l’UCI per il loro continuo supporto e la loro collaborazione. Così come le squadre e i corridori che hanno espresso il loro sostegno sia pubblicamente che privatamente e, naturalmente, i nostri tifosi”.

Anche al Tour, nella tappa di Tolosa, un tifoso ha invaso il rettilineo di arrivo manifestando per la Palestina
Anche al Tour, nella tappa di Tolosa, un tifoso ha invaso il rettilineo di arrivo manifestando per la Palestina

C’è da capire se gli esiti di ieri fomenteranno altre proteste o se l’aumento delle misure di sicurezza basterà a mettere in sicurezza la Vuelta e i suoi attori. Nel prendere posizione di ciascuna parte in campo, rileviamo con malinconia che non una sola parola è stata pronunciata dallo sport su quanto sta accadendo a Gaza. Dispiace anche a noi che Vingegaard non abbia potuto donare quell’orsacchiotto a suo figlio. Dispiace ancora di più che dall’inizio della guerra siano stati uccisi 13 mila bambini. Da quelle parti avere o non avere un orsacchiotto è l’ultimo dei problemi. Laggiù muoiono a colpi di fucile, sotto le bombe oppure di fame. Dirlo e manifestare empatia potrebbe forse rasserenare in qualche modo gli animi.

Baroncini a casa. Il saluto di Gazzoli ricordando Leuven 2021

03.09.2025
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Filippo Baroncini è tornato a casa giusto ieri. Ha salutato l’ospedale in cui era ricoverato e finalmente ha potuto iniziare a riprendersi la sua vita. Quella di uomo e quella di corridore. Se c’erano dubbi circa il suo futuro, questi sono stati spazzati via dalla notizia della firma del contratto per ulteriori due anni con la UAE Emirates.

La terribile caduta al Tour de Pologne dunque sta man mano svanendo alle spalle. Tuttavia vogliamo guardare ancora più indietro per salutare il “Baro”. Visto che siamo nel mese dei mondiali, con Michele Gazzoli ricordiamo il mondiale di Leuven 2021. Il mondiale che incoronò Filippo Baroncini e che vide l’amico e compagno di team e di nazionale, appunto Gazzoli, fare festa con lui.

Michele e Filippo. Filippo e Michele, quanto hanno condiviso…

Marino Amadori tra i suoi ragazzi a Leuven 2021. Gazzoli è il primo da sinistra. Baroncini in maglia iridata. Poi Frigo, Colnaghi, Coati e Zana
Marino Amadori tra i suoi ragazzi a Leuven 2021. Gazzoli è il primo da sinistra. Baroncini in maglia iridata. Poi Frigo, Colnaghi, Coati e Zana
Michele, partiamo da quel gruppo di Leuven 2021, un gruppo che forse nasceva prima di quel fantastico mondiale belga, no?

Diciamo che è un gruppo che si è creato durante quell’anno. Poi io ho fatto quattro stagioni tra gli under 23, quindi ne ho vissuti un po’ di gruppi, però quello del 2021 era un po’ più solido. Lo abbiamo dimostrato durante l’anno, vincendo anche la World Cup. Il titolo iridato di Baroncini è stata la ciliegina sulla torta, però era veramente un gruppo bello, divertente, forte.

Chi era il guascone del gruppo?

Sicuro Baro, avendo vinto il mondiale, era il numero uno. Poi da under 23 fai gare diverse durante la stagione, ma tutti in quel gruppo andavano forte. Non c’era uno che non facesse risultato.

La riprova del fatto è che di quel gruppo in quattro siete nel WorldTour…

Vero, infatti Marino Amadori ci aveva visto bene. Aveva fatto un bel gruppo, lo aveva consolidato con ritiri e appuntamenti. Ci si trovava veramente bene e avevamo ruoli precisi… Oltre che gambe!

Quando arrivaste a Leuven avevate la sensazione che davvero si potesse vincere questo mondiale?

No, alla fine lo sai solo a cose fatte, anche se la consapevolezza di fare una bella gara c’era. Eravamo preoccupati per altre Nazioni che potevano metterci in difficoltà, ma sapevamo di avere grandi potenzialità. Amadori temeva soprattutto il vento, con belgi e squadre del Nord pronte a far casino, ma poi non accadde nulla di ciò.

Michele tagliò il traguardo a braccia alzate. Era felice come se avesse lui stesso
Michele tagliò il traguardo a braccia alzate. Era felice come se avesse lui stesso
Come avete vissuto quella vigilia? Tu che ricordi hai?

Un clima di grande serenità. Eravamo rilassati, tranquilli. La tattica era pronta. Solo in corsa ci fu un momento difficile: nello strappo in pavé del giro grande ci fu un rallentamento, due caddero davanti a Filippo e lui non poté evitare di finire a terra. Si capottò, ma poi riprese bene. Quello fu l’unico attimo di tensione. Baroncini era il nostro leader.

Lo hai sentito in questi giorni?

Sì. All’inizio quando era in Polonia parlavo col fratello, poi direttamente con lui. Sono rimasto colpito, anche perché io ero lì al Polonia.

Giusto…

La neutralizzazione, la notizia che era caduto ed era stato portato via… una tensione incredibile. Per me Baro è come un fratello. Abbiamo corso insieme alla Colpack e poi in azzurro. Al Trofeo Del Rosso, la nostra ultima gara da elite, arrivammo in parata io e lui con la maglia iridata. E il giorno prima avevamo vinto il tricolore nella cronosquadre. Fu davvero un bell’anno, tutto veniva facile e ci si divertiva tanto.

E che corsa che faceste…

Tutto andò secondo programma. Lui doveva attaccare e lo fece, riuscendo a fare la differenza. Io arrivai quarto in volata, preceduto da Biniam Girmay e Olav Kooij. Partii lunghissimo, ai 400 metri. Subito fu una gioia arrivai a braccia alzate. La sera cenammo insieme, ma senza esagerare perché avevamo altre gare. Io dopo tre giorni avrei corso in Sicilia. Però a fine anno facemmo una gran festa con la Colpack.

Gazzoli (XDS-Astana) sta preparando le ultime gare dell’anno. Inizierà da GP Industria e Artigianato
Gazzoli (XDS-Astana) sta preparando le ultime gare dell’anno. Inizierà da GP Industria e Artigianato
Questo è il mese del mondiale, come vedi i nostri under 23 quest’anno?

Abbiamo un buon gruppo. Li seguo e sono andato anche a vedere il Giro Next Gen. Lorenzo Finn è molto bravo e anche Filippo Turconi. Credo siano due ottimi corridori. Non so la selezione precisa che ha in mente Marino, ma mi sembra una buona squadra. Certo, c’è gente come Jarno Widar e Paul Seixas che va fortissimo, ma sarà un mondiale particolare per tutti laggiù. Non è neanche facile fare pronostici.

Di quella squadra di Leuven avete un gruppo WhatsApp?

No, però ci sentiamo uniti in qualche modo. Siamo amici, alle corse ci parliamo e resta un filo che ci lega.

E tu adesso come stai Michele?

Esco da un periodo un po’ difficile. A metà luglio sono tornato dalla Cina con il Covid. Ho avuto febbre a 38°-39° per una settimana. Sembrava passata, poi sono andato al Polonia ma non andavo bene. Dagli esami risultavo ancora positivo. Correre così non è stato il massimo. Ora spero di fare bene nelle gare italiane che arrivano. Inizierò con le prove in Toscana la prossima settimana.

Gare a tappe per allievi: formula che convince, ma senza esagerare

03.09.2025
8 min
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Che la categoria allievi sia diventata la nuova Eldorado per quelle successive è ormai un dato assodato con tutti i se e i ma, i pro e i contro del caso. Si parla di ragazzini di 15/16 anni che stanno correndo per divertirsi e per inseguire un sogno, tenendo conto dell’impegno scolastico e di tutte le variabili che può avere quella fascia di età.

Tuttavia da un paio di stagioni sono nate alcune gare a tappe per far avvicinare gli allievi a ciò che potrebbero (e vorrebbero) vivere da grandi. Considerando che molti di loro nel 2026 passeranno juniores, all’uscita dei calendari agonistici di questa stagione molte società avevano controllato le date di queste corse per potersi organizzare: il Giro dei Tre Comuni in Toscana (dal 31 maggio al 2 giugno), Le Fiumane in Friuli (dal 17 al 20 luglio) ed infine il Giro delle Tre Province in Emilia (dal 21 al 24 agosto).

Proprio con quest’ultima corsa – organizzata dai comitati provinciali di Reggio Emilia, Parma e Piacenza con la supervisione di quello regionale – siamo tornati sull’argomento. Abbiamo voluto sentire il punto di vista di un diesse, cercando di capire come è stata vissuta ed interpretata dai protagonisti, e se funzionano queste corse a tappe per allievi all’interno di un ciclismo in costante cambiamento. Le parole sono quelle di Alberto Puerini, tecnico della Petrucci Zero24 Cycling Team che ha conquistato due tappe e la generale con Andrea Gabriele Alessiani e che a sua volta, da corridore, militò nella Sicc Cucine di Jesi.

Partiamo dalla pianificazione della trasferta. Come l’avete impostata?

Abbiamo preso una certa confidenza con questo tipo di corse dato che le avevamo fatte anche l’anno scorso. Per venire in Emilia abbiamo prenotato uno degli hotel segnalati dagli organizzatori. Eravamo in otto: cinque atleti, il meccanico, il massaggiatore ed io. Siamo partiti il mattino presto del giovedì sapendo che la prima tappa era un cronoprologo pomeridiano. Ci siamo poi trasferiti a Tabiano Bagni dove siamo rimasti per tre notti visto che era vicino ai paesi delle tappe successive. Alla domenica poi siamo rientrati.

Gli hotel erano a carico dell’organizzazione?

No, ce lo siamo pagati noi, ma avevano tariffe scontate apposta per la gara. Gli organizzatori ci hanno garantito invece sempre i pranzi ogni giorno per ognuno di noi all’interno delle sedi di partenza. Anche in Toscana in primavera era stato uguale.

Il menù del Giro delle Tre Province prevedeva l’apertura a crono, una tappa pianeggiante e due ondulate (photors.it)
Il menù del Giro delle Tre Province prevedeva l’apertura a crono, una tappa pianeggiante e due ondulate (photors.it)
Avevate fatto anche la gara a tappe in Friuli?

Quella l’abbiamo saltata a malincuore per una questione economica. Noi siamo una formazione marchigiana e i nostri spostamenti sono sempre mediamente lunghi. E’ vero che siamo discretamente organizzati, ma diventava una spesa eccessiva e non era giusto sostenerla. Magari cercheremo di andarci nel 2026.

In Emilia com’era la vostra giornata tipo?

In hotel avevamo il trattamento di mezza pensione, quindi colazione e cena. Nel mezzo preparavamo la gara. Al mattino abbiamo fatto le ricognizioni dei percorsi di gara con i ragazzi sul pullmino, tranne che per la crono che l’hanno fatta in bici e per l’ultima tappa della domenica mattina che l’abbiamo fatta il giorno prima. Per la verità avevamo già visto quelle strade su Google Maps grazie ad un nostro ex corridore che ci aiuta su questi aspetti. Ovvio che vederle dal vivo ti dà un’altra indicazione. Si rientrava in hotel dopo le gare per le sessioni di massaggi e per sistemare le bici.

A livello tattico cambia qualcosa rispetto al solito?

Personalmente cerco di non guardare mai alla generale, ma dico ai ragazzi di interpretare ogni tappa come se fosse una gara singola. Credo che con gli allievi non sia giusto partire con i ruoli già assegnati di capitani, vice e gregari. E’ giusto che tutti partano alla pari, tanto poi sono gli stessi ragazzi che si mettono d’accordo su chi può fare la gara. Naturalmente è ovvio che cerchiamo di tenere gli occhi aperti in corsa, ma non partiamo con i piani già fatti.

Gli allievi sono una categoria dove devono ancora imparare tanto?

Al netto di chi va forte o meno, a mio modo di vedere l’insegnamento più grosso è sempre quello dopo la fine della gara, che sia andata bene o male. In quel momento devi aprire la visione tattica e mentale dei ragazzi. Non è detto che una tappa per velocisti debba arrivare in volata o che un velocista non possa andare in fuga. Non bisogna restare legati a questi canoni. La seconda tappa infatti è finita in modo non scontato.

Cosa intende?

Sulla carta era l’unica frazione dedicata ai velocisti perché il tracciato era totalmente pianeggiante. Si correva in circuito e il finale era particolarmente tortuoso. Avevo detto ai miei ragazzi di leggere la gara e magari seguire l’istinto, la fantasia. Così dopo un traguardo volante, Alessiani ha tirato dritto assieme ad altri due ragazzi prendendo un vantaggio incolmabile per il gruppo. Lui ha vinto la tappa e in pratica ha ipotecato subito la generale. Il giorno successivo ha rivinto e nell’ultima tappa ha gestito il vantaggio e gli attacchi degli avversari.

I vostri ragazzi come hanno vissuto questa esperienza?

A loro è piaciuta molto. Per prima cosa è piaciuto il fatto che la generale fosse a tempi e non a punti come l’anno scorso. Quindi subito dopo ogni tappa, erano curiosi di vedere come erano andati e quanto avevano guadagnato o perso sui rivali. Si percepiva soddisfazione, emozione o delusione. In una gara a tempi, i ragazzi vengono messi molto più alla prova. Poi c’è l’aspetto umano o morale.

Ovvero…

La cosa più bella di queste corse a tappe è stata l’atmosfera che hanno trascorso i ragazzi fra loro. Hanno assaporato quel ciclismo che sognano di raggiungere. Hanno respirato l’aria agonistica dall’inizio alla fine assieme a noi accompagnatori, come una grande squadra. Talvolta succede che al rientro da una gara, a casa ci sia un genitore che dica una cosa di troppo che magari non viene ben compresa dal ragazzo e nascono i malumori. Invece così tra compagni puoi parlare con un altro o chiedere qualcosa in più ai dirigenti. In questo senso, queste trasferte aiutano il ragazzo a crescere come persona prima che come atleta.

Altre note positive?

Sicuramente l’organizzazione del Giro delle Tre Province è stato all’altezza in tutto. Devo fare loro i complimenti perché abbiamo corso sempre in un regime di grande sicurezza. Tutti gli allievi erano tutelati e i pericoli sempre molto ben segnalati. Devo dire che è difficile trovare un suggerimento da fare per migliorare perché abbiamo avuto un servizio incredibile.

Esistono invece dei contro a queste corse a tappe? C’è il rischio di creare troppe pressioni ad un allievo?

Sì, rischio può esserci, ma non perché va a correre per quattro giorni consecutivi. Il rischio c’è già, se non stiamo attenti, nella corsa singola perché dopo il 2020 il livello si è alzato tanto in questa categoria. Nessuno vuole restare indietro e tutti vogliono che il proprio ragazzo vada sempre forte. Personalmente sono favorevole alle gare a tappe per una questione di esperienza e purché non si vada oltre i quattro giorni, che sono già tanti. Anzi, a me piacciono anche le formule due semitappe in una giornata.

Il diesse Alberto Puerini con Andrea Gabriele Alessiani, che nel 2026 passerà juniores nel GB Team Pool Cantù
Il diesse Alberto Puerini con Andrea Gabriele Alessiani, che nel 2026 passerà juniores nel GB Team Pool Cantù
Secondo lei potrebbero nascere nuove gare a tappe in altre regioni?

Non so, ma non credo anche per una questione di regolamento. Ad oggi un allievo non può disputare più di due gare a tappe e deve esserci almeno un mese di distacco tra l’una e l’altra. Infatti se fossimo andati in Friuli avrei portato altri cinque ragazzi. Noi ce lo saremmo potuti permettere perché abbiamo 22 allievi e siamo un caso a parte se vogliamo, però alcune società non hanno certi numeri. E’ più importante che organizzino più cronometro che piacciono ai ragazzi e fanno crescere il movimento in quella specialità.

Chiudiamo su Alessiani. Che tipo di corridore è?

Andrea ha le caratteristiche del corridore completo e moderno, con un gran fisico. E’ forte a crono, va benissimo in salita ed ha uno spunto discretamente veloce nei gruppetti ristretti. Aveva già vinto la gara a tappe in Toscana e sembra portato per questo genere. L’anno prossimo passerà juniores nel GB Team Pool Cantù di Bortolami. Però Andrea prima di tutto è un ragazzo molto intelligente, con grandi voti al liceo. Quella è la cosa più importante.

Van der Poel è tornato in mtb. Avondetto, come l’hai visto?

03.09.2025
6 min
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Una domenica diversa per Mathieu Van der Poel, che mentre molti dei suoi abituali rivali sono alla Vuelta o preparano il prossimo mondiale in Rwanda, è tornato a uno dei suoi vecchi amori, la mountain bike gareggiando nella prova di Coppa del mondo a Les Gets. L’olandese non ha mai nascosto che uno dei suoi grandi obiettivi è essere il primo atleta capace di vincere il titolo iridato con 4 tipi di bici diverse (ciclocross, strada, gravel, mtb) e gareggiando in Francia ha tenuto a ribadire che, piuttosto che sobbarcarsi i rischi del viaggio in Africa su un percorso a lui avverso, preferisce tentare la sorte il prossimo 14 settembre in Svizzera.

L’olandese in mtb vanta il titolo europeo 2019 e il bronzo mondiale 2018. Colto sempre in Svizzera, un buon auspicio… (foto Alpecin Deceuninck)
L’olandese in mtb vanta il titolo europeo 2019 e il bronzo mondiale 2018. Colto sempre in Svizzera, un buon auspicio… (foto Alpecin Deceuninck

«Nella prima parte è andato tutto storto…»

La sua gara a dir la verità non è stata neanche male, avendo chiuso al 6° posto. «Se fossi stato più fortunato avrei potuto fare meglio – ha dichiarato a WielerFlits – ma nel primo giro è andato storto davvero tutto. Ho anche fatto molti errori e mi sono trovato dietro corridori che erano in difficoltà e mi hanno frenato. Ho visto che mi mancava quello spunto che serve per emergere nella mtb, ma per essere la prima dopo tanto tempo va bene così».

L’olandese della Alpecin Deceuninck ha chiuso appena dietro al campione europeo 2024 Simone Avondetto, protagonista di un’ottima prestazione come anche l’altro italiano Luca Braidot, addirittura secondo alle spalle del francese Luca Martin. Avondetto ha quindi avuto un occhio privilegiato verso VDP, partendo dal tipo di percorso.

Gli ultimi controlli prima del via per VDP, sfavorito dal fatto di dover partire dalle retrovie (foto Alpecin Deceuninck
Gli ultimi controlli prima del via per VDP, sfavorito dal fatto di dover partire dalle retrovie (foto Alpecin Deceuninck

«Il tracciato di Les Gets non è cambiato molto negli anni, è un percorso non tanto tecnico, anche se hanno aggiunto qualche rockgarden. Diciamo che è un percorso un pochino più vecchio stile con tanta salita sui pratoni, dove insomma la tecnica di guida incide meno che in altri luoghi».

Tu nel corso della stagione hai avuto modo di affrontare adesso Van der Poel e precedentemente Pidcock. Come specialista puro della mountain bike, come li vedi, hanno un approccio diverso alle gare?

Tutti e due hanno dimostrato di essere più che competitivi anche in mountain bike quando si preparano. Probabilmente il britannico ha una propensione maggiore e ci spende un pochino più di tempo, quindi quando torna è sicuramente più avvezzo di VDP, nel senso che impiega meno a riprendere tutti quei meccanismi tipici della nostra disciplina. Ma devo dire che anche il neerlandese si è difeso bene. Tra due settimane ai mondiali sarà un problema per tutti noi anche perché Pidcock, che è alla Vuelta, non ci sarà.

Il vincitore Alex Martin. Il francese ha prevalso per 12″ su uno straordinario Luca Braidot (foto UCI)
Il vincitore Alex Martin. Il francese ha prevalso per 12″ su uno straordinario Luca Braidot (foto UCI)
Proviamo a mettere in relazione il francese Martin che ha vinto domenica e che viene considerato come uno dei nuovi talenti puri della mtb e chi viene da fuori come Pidcock o Van der Poel. Tecnicamente si vedono differenze in gara?

No, nel senso che campioni di questo calibro, che hanno comunque praticato la mtb in passato, anche a livello tecnico sono molto ben preparati, hanno solo bisogno di quel lasso di tempo necessario per riprendere dimestichezza. E’ difficile far paragoni, cioè loro sono tra i pochi che riescono a fare tutte le discipline e andare forte dappertutto.

Come si è svolta la tua gara in relazione a quella dell’olandese?

Io partivo un paio di file davanti a lui in partenza e questo mi ha agevolato un po’. Nella prima parte di gara sono riuscito a rimanere subito nel gruppetto di testa, mentre lui ha dovuto rimontare giro dopo giro. Dopo la metà gara è riuscito a raggiungerci, sicuramente però ha speso molte energie per rientrare. In particolare in discesa perdeva sempre qualcosa, quindi è arrivato sicuramente agli ultimi due giri un po’ a corto di energie. Fino alla penultima tornata eravamo in gruppo tutti assieme, poi all’ultimo giro ognuno ha dato il suo massimo e lì sono nate le differenze.

Van der Poel ha fatto una gara di recupero nella prima parte, chiudendo a 1’00” dal vincitore Martin (foto Alpecin Deceuninck)
Van der Poel ha fatto una gara di recupero nella prima parte, chiudendo as 1’00” dal vincitore Martin (foto Alpecin Deceuninck)
Tu eri concentrato sulla tua gara, ma essendo vicino a lui come lo hai visto, che impressione ti ha fatto, anche in considerazione delle frequenti disavventure occorsegli in mtb nelle sue ultime uscite?

Effettivamente ho visto che le ultime esperienze non sono state molto positive quindi credo che a Les Gets sia stato anche abbastanza cauto, senza prendersi tanti rischi. Credo che volesse finire la gara e ritornare un po’ nel mondo della mountain bike per preparare i mondiali. Per lui, proprio dopo quel che è successo anche quest’anno a Nove Mesto, era importante riuscire a finirla (a maggio era caduto due volte riportando la frattura dello scafoide, ndr).

Lui ambisce a fare il Grande Slam dei titoli mondiali, cioè completare la collezione dei titoli nelle varie discipline. Secondo te ci può riuscire?

Sicuramente ci può riuscire. Le capacità e il talento non si discutono, tutto sta a vedere se questo breve lasso di tempo per il suo riadattamento sarà sufficiente. Ma se non sarà quest’anno io penso che ci riproverà. Un po’ di anni fa, quando faceva mountain bike seriamente aveva dimostrato di essere il più forte. Io comunque  tra i papabili per la vittoria in Svizzera ce lo metto…

Per Simone Avondetto un più che positivo 5° posto, proprio davanti a VDP (foto Di Donato)
Per Simone Avondetto un più che positivo 5° posto, proprio davanti a VDP (foto Di Donato)
Tu come ti stai avvicinando all’appuntamento iridato?

Ho fatto un periodo in altura ad agosto e adesso abbiamo fatto questo blocco di gare, concluso con Les Gets, per riprendere un po’ il ritmo dopo la pausa estiva. Ora sono ancora in altura e poi andremo direttamente in Svizzera. Questa settimana è andata bene, quindi spero che la forma sia buona anche tra due settimane. Bisognerà vedere come mi adatto al percorso, che per me è del tutto sconosciuto.

Chi daresti come favorito?

Non c’è un solo nome. Abbiamo visto che in Coppa del mondo i vincitori sono cambiati spesso, credo che saranno in 4 o 5 a giocarsi il titolo. Io tra questi ci metto anche l’olandese e spero tanto di esserci anch’io…

Lidl-Trek, l’anno dei punti. Con Bennati fra Giro, Tour e Vuelta

03.09.2025
5 min
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Pedersen al Giro, poi Milan al Tour e ora di nuovo Pedersen, che guida la classifica a punti della Vuelta con 9 lunghezze di vantaggio su Vernon (in apertura Mads con la sua maglia verde, accanto a Vingegaard in rosso). Per la Lidl-Trek non sarà ancora la stagione dei record, ma la prospettiva di portare a casa le tre maglie è certo interessante. E allora ci siamo chiesti quali differenze ci siano nella lotta per la classifica punti fra Giro, Tour e Vuelta. E ci è venuto in mente di chiederlo a Daniele Bennati, che ha vinto la maglia verde spagnola nel 2007, la ciclamino del Giro nel 2008. Era invece terzo nella classifica a punti al Tour del 2006, dietro McEwen e Freire, quando una caduta lo rispedì a casa a cinque tappe dalla fine. In aggiunta, Bennati fu uno dei primi corridori nel 2011 a firmare per l’allora Leopard Trek di Luca Guercilena, restandoci per due stagioni con 7 vittorie, che anni dopo sarebbe diventata l’attuale Lidl-Trek.

«Senza dubbio la maglia verde al Tour – dice il toscano – è quella più difficile da conquistare. Devo essere sincero, nel 2006 ero abbastanza vicino a McEwen. Probabilmente non l’avrei vinta, però me la sarei giocata. Caddi nella discesa del Telegraphe dopo aver scalato il Galibier e dovetti tornare a casa prima. In termini di difficoltà la maglia verde al Tour è molto più complicata rispetto al Giro e alla Vuelta, ma è inevitabile che per vincerle bisogna andare super forte in tutti e tre».

Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
A parte la caduta del 2006, nel 2007 hai vinto due tappe al Tour, ma arrivasti sesto nella classifica a punti. Come mai la verde era così ostica per te?

Ero una vera frana nei traguardi volanti, penso di non averne mai vinto uno in vita mia e di aver perso anche contro corridori che sulla carta erano molto meno veloci di me. Questo mi ha penalizzato molto al Tour, perché gli sprint intermedi sono sempre molto importanti per conquistare la maglia verde, oltre al vincere le tappe e fare tanti piazzamenti. Io vinsi due tappe e poi feci un sesto e un quarto posto. Petacchi ad esempio conquistò la maglia nel 2010, vinse due tappe, ma per cinque volte entrò nei primi tre. Quando va così, sei avvantaggiato, perché un po’ puoi disinteressarti dei traguardi volanti.

Puoi tornare sul tuo essere una frana negli sprint intermedi?

Non avevo la capacità di fare la volata a metà tappa. Forse un problema di motivazione, ma non riuscivo a dare tutto me stesso nei traguardi volanti. Per vincere la maglia verde al Tour devi avere anche la capacità di sprintare dopo 20 chilometri oppure dopo 80 e questo sicuramente Milan ce l’ha nelle sue corde. Ne ha vinti diversi e questo è sicuramente un valore aggiunto, forse perché, essendo un pistard, ha la capacità di andare fuori giri anche dopo pochi chilometri.

Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
C’è differenza nella lotta per la classifica a punti fra i percorsi dei tre Grandi Giri?

Quando ho vinto la maglia a punti della Vuelta, fino all’ultima tappa non l’avevo ancora indosso. Negli anni il regolamento è cambiato. In quel 2007, le tappe di montagna e quelle di pianura davano lo stesso punteggio. Per noi velocisti diventava ancora più complicato. Io avevo vinto tre tappe, però mi ricordo che in quella finale di Madrid la maglia verde ce l’aveva Samuel Sanchez. Anche lui aveva vinto tre tappe, quindi era più avanti di me. Riuscii a conquistare la maglia a punti battendo Petacchi su quell’ultimo arrivo.

Invece al Giro?

Nel 2008 davano gli stessi punti per le tappe pianeggianti rispetto a quelle di montagna. Ricordo che Emanuele Sella aveva vinto anche lui tre tappe e un giorno venne a dirmi: «Stai attento, Benna, perché ti rubo la maglia ciclamino!». Infatti arrivò secondo nella cronoscalata di Plan de Corones e ci ritrovammo molto vicini nella classifica a punti (51 punti, ndr). Per fortuna nelle ultime tappe feci anche qualche altro piazzamento in tappe intermedie e mi salvai. Ma il fatto di avere per tutte le tappe lo stesso punteggio faceva sì che dovessimo lottare contro quelli di classifica e chi vinceva le tappe di montagna. Magari dalla mia c’era il fatto che essendo più veloce rispetto a quelli di classifica, qualche traguardo volante andando in fuga potevo vincerlo e comunque portare a casa un po’ di punti.

Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Quindi, che si tratti del Giro, del Tour o della Vuelta, la maglia a punti non viene per caso, ma c’è da studiare il modo per conquistarla?

Esatto. Dosando il lavoro dei compagni in rapporto al percorso della tappa. Giusto la UAE Emirates fa eccezione, ma solo perché hanno Pogacar e quando c’è lui, non portano il velocista. Anche perché Tadej volendo potrebbe vincere anche la maglia a punti. Per il resto si studiano i percorsi e si mette a punto la miglior strategia per portare a casa la maglia a punti. 

La Lidl-Trek al Tour aveva soltanto Milan, data la caduta di Skjelmose. Al Giro e alla Vuelta ha Pedersen e Ciccone, dovendo aiutarli entrambi. Un super lavoro?

Se in squadra c’è l’uomo di classifica, il velocista deve accontentarsi di un paio di compagni. Ormai le squadre sono attrezzate e possono reggere insieme l’uomo di classifica e il velocista. Poi, come per Pogacar, dipende anche dal livello dell’uomo di classifica. Quando a fine carriera ho corso per Contador, non c’era maglia a punti che reggesse: si tirava per lui e basta.

Trittico Rosa, la prima edizione è un successo. E si guarda al futuro

03.09.2025
5 min
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Una serie di gare dedicate al ciclismo giovanile femminile, dalle esordienti alle allieve, arrivando anche alla categoria juniores. Il nome dell’evento è Trittico Rosa Alta Marca Trevigiana e uno dei promotori e organizzatori dell’evento è l’Unione Ciclistica Giorgione, nelle figure di Enrico Bonsembiante e Alessandro Ballan. Il campione del mondo di Varese 2008 è diventato presidente dello storico team lo scorso anno e da allora ha lavorato per allargare gli orizzonti del movimento giovanile femminile. 

«La risposta – racconta Ballan – è stata più che positiva da parte delle partecipanti. Il livello dell’organizzazione, invece, è stato di altissimo profilo e i feedback ci hanno fatto grande piacere. Le ragazze si sono trovate benissimo, e per quanto riguarda la categoria juniores hanno preso parte anche le atlete di riferimento del movimento».

Alessandro Ballan, presidente dell’UC Giorgione, è uno degli organizzatori dell’evento
Alessandro Ballan, presidente dell’UC Giorgione, è uno degli organizzatori dell’evento
Tre giorni di gare che hanno permesso a tante atlete di correre…

Le presenze sono state davvero elevate, siamo stati leggermente sfortunati perché il tempo ci ha penalizzati nella giornata di venerdì. Era prevista gara su un circuito cittadino a Castelfranco Veneto, della quale abbiamo ritardato la partenza perché abbiamo aspettato che asciugassero le strade. 

I numeri parlano di 600 presenze…

E’ stato un bel segnale. Chiaramente il numero si riferisce alle partenze totali, considerando che erano tre giorni di gare abbiamo avuto atlete che hanno gareggiato su più giorni. Le adesioni ci hanno fatto capire che questi eventi servono e fanno bene al movimento, il ciclismo giovanile si sta spostando tanto sulle corse a tappe e questo è un primo passo anche per noi. 

La prima edizione del Trittico Rosa Alta Marca Trevigiana era riservato ad atlete delle categorie: esordienti, allieve e juniores
La prima edizione del Trittico Rosa Alta Marca Trevigiana era riservato ad atlete delle categorie: esordienti, allieve e juniores
Che cosa dite di questa prima edizione?

Siamo soddisfatti, ci sono delle cose da sistemare ma parliamo di dettagli che vengono fuori solamente quando si è sul campo. Ad esempio credo sia meglio organizzare una corsa a tappe piuttosto che una tre giorni, in particolare per la categoria juniores. L’impegno e le adesioni potrebbero essere maggiori o comunque si avrebbe un numero costante tra le tre prove.

Avete corso tra Castelfranco Veneto e le Colline di Valdobbiadene, come avete scelto i luoghi?

Castelfranco è casa mia e avevo l’intenzione di fare una gara lì, solo che è difficile organizzare tutto a causa del traffico e dei permessi. Sembra piccola, ma stiamo parlando di una cittadina di 30.000 abitanti. Insomma non è facile mettere tutti d’accordo, con il circuito cittadino ci siamo riusciti. Poi il coinvolgimento di Mosnigo e della zona del Valdobbiadene Prosecco è arrivata grazie al figlio di Angelo Presti, storico organizzatore e figura che ha dato tanto al ciclismo nella zona di Mosnigo.

La prima delle tre giornate prevedeva una corsa in linea in notturna a Castelfranco Veneto
La prima delle tre giornate prevedeva una corsa in linea in notturna a Castelfranco Veneto
Come avete suddiviso le gare?

Dopo la prima sul circuito cittadino di Castelfranco Veneto ci siamo spostati nella zona di Valdobbiadene. Il secondo giorno era in programma una cronometro, volevamo disegnare un percorso più ondulato, ma non è stato possibile a causa delle direttive sulla chiusura del traffico. Abbiamo virato su due circuiti cittadini: uno più corto sul quale hanno corso le esordienti. L’altro, più lungo, era per le allieve e le juniores.

Il terzo e ultimo giorno?

Avevamo la prova in linea, per le esordienti si è trattato di un percorso pianeggiante a Mosnigo. Le allieve hanno fatto lo stesso ma con una variante all’ultimo giro sulla salita verso Follo per rendere la gara dura. Per quanto riguarda le juniores, invece, hanno corso per cinque giri su quest’ultimo percorso molto impegnativo. 

Avete curato anche l’aspetto tecnico?

Molto. Nonostante il circuito cittadino di Castelfranco fosse di soli 1,3 chilometri abbiamo inserito un tratto in pavé. Non una cosa impossibile, però è giusto far capire alle ragazze come si corre su percorsi che non prevedono solo asfalto. Allo stesso modo, nella gara in linea abbiamo inserito tante stradine strette dove era importante correre davanti e restare concentrate. Insomma, un assaggio di ciclismo vero.

Altri appunti che portate a casa?

Uno importante è che il prossimo anno vorremmo anticipare l’evento di una settimana. La vicinanza al Lunigiana e la concomitanza di una corsa in Emilia-Romagna per le juniores (inserita successivamente a calendario, ndr) ci ha tolto qualche partecipante. Il mese di agosto per noi è perfetto, sia per il traffico che per le famiglie, le quali possono seguire le ragazze con maggiore partecipazione.

Berton, nel dopo gara con i protagonisti c’è sempre lui

02.09.2025
6 min
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Ci vuole sicuramente tanta preparazione professionale e, perché no, anche quella fisica per il suo lavoro. Pochi istanti dopo la fine di una classica o di una tappa di un grande giro, Andrea Berton deve trovarsi al posto giusto al momento giusto per intercettare e inseguire le prime battute dei protagonisti. Anche poco fa a El Ferral Larra Belagua, traguardo della decima frazione de La Vuelta (vinta da Jay Vine e con Jonas Vingegaard tornato leader), ha esattamente fatto questo, ma non solo.

Il curriculum del giornalista milanese è degno del palmares di un grande corridore. La sua voce ha riempito tanti pomeriggi degli appassionati di ciclismo durante le telecronache su Eurosport Italia fino al 2014, poi ha cambiato ruolo all’interno del network della Warner Bros Discovery. Da dieci anni i compiti di Berton hanno preso un respiro molto più internazionale diventando “reporter on site” in lingua inglese al seguito delle gare. E così, vedendolo sempre nel vivo del post-azione, abbiamo voluto approfondire l’argomento, cercando di scoprire difficoltà, vantaggi o aneddoti della sua più recente esperienza lavorativa. C’è spazio anche per un piccolo grande insegnamento per chi vorrebbe fare una carriera come la sua.

Dopo tanti anni di telecronache, Andrea Berton dal 2016 è “reporter on site” per Eurosport in lingua inglese (foto Julian Verlay)
Dopo tanti anni di telecronache, Andrea Berton dal 2016 è “reporter on site” per Eurosport in lingua inglese (foto Julian Verlay)
Andrea proviamo a spiegare meglio il tuo lavoro?

Certo. Sono impegnato sia prima della partenza che dopo l’arrivo della tappa con le interviste. Al mattino tastiamo umori e sensazioni di atleti e direttori sportivi. Essenzialmente però posso dire che la parte più impegnativa è dopo l’arrivo. Eurosport da qualche tempo vuole le “instant reaction”, ovvero le impressioni a caldo dei corridori.

In cosa consiste?

Innanzitutto dobbiamo rispettare una zona riservata alle televisioni molto dopo la linea del traguardo. Ci posizioniamo dove sappiamo possono fermarsi i corridori, più o meno dove ci sono i massaggiatori che li attendono. Poi cerchiamo di andare a sentire subito i compagni del vincitore oppure quei corridori che si sono piazzati alle sue spalle. Per regolamento noi non possiamo intervistare né lui né chi porta le maglie di leader delle varie classifiche. Tutti loro prima devono passare dai microfoni del segnale internazionale, quindi ci concentriamo su altri protagonisti.

Le tue impressioni a mente fredda quali sono in quei frangenti?

Sono momenti bellissimi ed intensi per me. Magari dopo un arrivo in volata, vedi da vicino l’eccitazione di chi ha fatto il leadout al proprio capitano che ha vinto la tappa oppure la delusione di chi è stato battuto. Oppure nelle tappe di montagna puoi osservare chi ha appena compiuto un grande sforzo.

Hai qualche aneddoto da raccontare?

Ricordo ancora Dani Martinez l’anno scorso al termine dell’arrivo al Mottolino di Livigno. Restò quasi quattro minuti seduto contro una transenna a capo chino per recuperare dalla fatica. Era provatissimo. Oppure invece mi ha sempre stupito la freschezza di Pogacar dopo ogni sforzo, proprio per il suo grande livello. Per me, ripeto, o per chi fa il mio mestiere è un grande privilegio vivere questi momenti.

Piccolo inciso, Pogacar ti è sembrato stanco al Tour come è stato detto a più riprese?

In Francia quest’anno non c’ero, ma ho parlato con i miei colleghi di questo argomento. Loro mi hanno detto che non lo hanno visto così tanto provato e che avrebbe potuto vincere qualche tappa in più. Però mi limito alle loro impressioni.

Berton è rimasto impressionato dalla freschezza di Pogacar nelle interviste post-gara (foto Julian Verlay)
Berton è rimasto impressionato dalla freschezza di Pogacar nelle interviste post-gara (foto Julian Verlay)
Il rapporto con i corridori invece com’è negli attimi vicini alla corsa?

Partiamo dal presupposto che tutti i momenti degli atleti vanno rispettati. Sia prima del via quando può esserci un po’ di tensione perché “si sente la gara”, sia dopo il traguardo anche quando vai a parlare con qualcuno felice per il risultato di squadra. Ogni corridore ha il proprio carattere, quindi c’è sempre qualcuno che parla più volentieri e qualcuno meno.

Possiamo fare degli esempi?

Senza andare tanto indietro nel tempo, mi limito a queste prime tappe di Vuelta. Ciccone non è uno che abbia molta voglia di parlare, specie prima di una tappa in cui è uno dei pronosticati. Se non viene in mixed zone, il giorno successivo magari passa, si scusa e fa l’intervista. C’è invece l’altro Giulio, Pellizzari, che è molto più loquace. Lui ha sempre la battuta pronta e il sorriso, anche quando non è stata una grande giornata. Non si sottrae mai alle domande e spesso risponde stemperando la tensione. Oppure ancora c’è Edward Planckaert, il pesce-pilota di Philipsen, che ti racconta sempre tantissimo delle volate che quasi te le fa vivere.

Hai notato qualche cambiamento sotto il punto di vista del rapporto corridore-giornalista?

Di sicuro posso dire tranquillamente rispetto al passato, soprattutto quando ho iniziato a fare questo lavoro ormai trent’anni fa, che adesso il corridore ha una capacità e una disponibilità migliori di rapportarsi con i media. Adesso ti vengono a cercare per le interviste. Parlo di italiani ed stranieri. Si vede che c’è tanta professionalità. In generale, tranne qualche eccezione, trovi corridori più preparati a parlare, anche a caldo. E per questo li devo ringraziare perché facilitano il mio lavoro.

Quali sono le difficoltà principali del tuo ruolo?

Direi che la logistica è la cosa più complicata e rende la giornata lunga. Siamo sempre sia in partenza che in arrivo e di base con l’ultima intervista del dopo-gara, finisce il nostro lavoro di giornata. Talvolta è capitato di arrivare tardi al traguardo perché trovi traffico oppure un incidente o perché non ci sono molte strade alternative per arrivare. Ricordo una tappa del Tour Femmes di tre anni fa ed una di montagna al Giro d’Italia dell’anno scorso. Comunque ce l’abbiamo sempre fatta per arrivare in tempo prima dell’arrivo.

Può incidere questo sul rendimento del tuo lavoro?

Quando siamo in trasferimento, non sempre abbiamo un segnale forte sul cellulare o altri dispositivi per vedere la tappa in streaming, pertanto questo aspetto può limitarci. Vedere com’è andata la gara ti aiuta nelle interviste o considerazioni. Tuttavia talvolta capita che debba fare domande al buio proprio per quello che vi dicevo all’inizio. Essendo posizionati lontani dal traguardo e dal maxischermo, e non avendo sempre la possibilità di vedere il finale sul cellulare un po’ per la concitazione, un po’ per la differita, dobbiamo affidarci alle parole dei corridori. Per non sbagliare in quelle circostanze, specie dopo uno sprint, chiedo “com’è stato il finale?” e l’atleta ti racconta tutto.

Il lavoro di Berton inizia già al mattino poi trasferimento verso il traguardo (foto Julian Verlay)
Il lavoro di Berton inizia già al mattino poi trasferimento verso il traguardo (foto Julian Verlay)
Quanto è importante conoscere il ciclismo soprattutto nelle interviste post-arrivo?

Certamente molto. Credo che sia nostro dovere arrivare preparati e sapere tutto dei corridori, comprese le curiosità oltre ai risultati. Bisogna stare sul pezzo, essere aggiornati. Fa parte del nostro mestiere. Ma non tutti considerano che questo lavoro non lo puoi fare da solo.

A cosa ti riferisci?

E’ vero che faccio io le interviste, però se non hai un collega cameraman che ti segue e capisce in anticipo le tue mosse, allora non fai granché. Infatti a tal proposito ci tengo a ringraziare Phil Bryden con cui lavoro da tanto tempo (in apertura foto Julian Verlay). Lui è un grandissimo intenditore di ciclismo, anche più di me, e fra noi basta davvero un’occhiata per intenderci.

A proposito di preparazione, Andrea Berton possiede ancora quella chiavetta contenente tutte le info dei corridori?

Sì, certo (risponde sorridendo, ndr). Quando facevo le telecronache non esistevano i siti di adesso dove trovi tutti i risultati, così mi ero creato un database su chiavetta dove indicavo piazzamenti e curiosità. La attaccavo al computer e la consultavo in tempo reale quando serviva. Ora ho trasferito tutto su un cloud e lo vedo anche dal cellulare. Molte cose ormai le sappiamo già e ce le ricordiamo, specie se le hai viste dal vivo. Però nel nostro lavoro per essere preparati non bisogna mai smettere di studiare e avere sempre passione per ciò che fai.