Vuelta Espana 2025, ultima tappa MAdrid, protesta pro Palestina, disordini, tappa annullata

EDITORIALE / La Vuelta si ferma, il resto va avanti

15.09.2025
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Dopo due tappe rimodellate per la presenza dei manifestanti pro Palestina, ieri la Vuelta ha dovuto cancellare il finale di Madrid. Il corteo è diventato distruttivo. Le transenne sono state divelte. I palchi sono stati occupati. I corridori sono stati fermati. Si parlava da giorni dell’impossibilità che l’ultima tappa si svolgesse regolarmente, ugualmente però i velocisti hanno tenuto duro sulla Bola del Mundo e ogni altra salita, sperando di avere l’ultima chance che non c’è stata.

Di questo tema abbiamo già scritto in occasione della tappa di Bilbao, privata ugualmente del finale. Avevamo trovato fuori luogo l’osservazione di Vingegaard, dispiaciuto per non aver potuto vincere l’orsacchiotto per suo figlio che compiva un anno, percependo il gruppo della Vuelta come un’entità avulsa dal contesto sociale e politico in cui viviamo. Da allora, sia il danese ledaer della corsa sia altri rappresentanti del gruppo hanno trovato però il modo per rimarcare l’orrore di quanto sta accadendo a Gaza, riconoscendo le ragioni di chi protesta, ma stigmatizzando le azioni violente. Posizione anche questa ineccepibile.

Un podio posticcio a tarda sera: così Vingegaard riceve il trofeo della Vuelta, davanti ad Almeida e Pidcock (immagine @lavuelta)
Un podio posticcio a tarda sera: così Vingegaard riceve il trofeo della Vuelta, davanti ad Almeida e Pidcock (immagine @lavuelta)

Uno sport di strada

Il ciclismo sta in mezzo alla gente ed è impossibile chiuderne l’accesso. E’ il bello del nostro sport e insieme la sua condanna, quando certi limiti non sono soltanto dati dalle transenne, ma anche dalle varie volontà politiche.

Se una manifestazione decide di bloccare una corsa, non ci sono reparti di celerini che tengano. La corsa magari passa, ma in un contesto inaudito di violenza. Vale la pena caricare centinaia di manifestanti, se l’alternativa è fermare un evento sportivo WorldTour che vede al via alcuni tra i più forti professionisti al mondo? Certo che no, il ciclismo si farà da parte per quel senso di responsabilità che l’ha sempre accompagnato. Non ci sono biglietti da rimborsare e tutto sommato i corridori sono abituati a chinare il capo.

La Gran Via di Madrid è stata invasa dai manifestanti in un baleno: la Vuelta non poteva che essere fermata
La Gran Via di Madrid è stata invasa dai manifestanti in un baleno: la Vuelta non poteva che essere fermata

Il ciclismo che subisce

Come quando lo sport decise di dichiarare guerra al doping e si lanciò in campagne sul non rischiare la salute e altri slogan vanificati dall’esperienza. Aderì soltanto il ciclismo, nel nome dello stesso senso di responsabilità. Il ciclismo sapeva – dicono i ben informati – di avere situazioni da sanare. Lo sapevano anche gli altri – si potrebbe rispondere – ma ritennero che non fosse un problema. I calciatori beffeggiarono la necessità di sottoporsi ai controlli. Rino Gattuso, l’attuale cittì della nazionale di calcio, rifiutò di sottoporsi a un prelievo ematico: poté farlo perché per loro si trattava di controlli su base facoltativa, che per i ciclisti erano invece obbligatori.

Sull’altare di quella correttezza, pertanto, il ciclismo immolò alcuni dei suoi campioni più carismatici, il più delle volte senza un’evidenza sostenuta da prove. Per delle percentuali di ematocrito, poi ritenute inaffidabili. Oppure per cervellotici algoritmi australiani, poi cancellati. Per quantitativi infinitesimali di sostanze che più di recente sono state ritenute una colpa lieve e punite con tre mesi di squalifica. Non ci stancheremo mai di ripetere che per un caso identico a quello di Sinner, Stefano Agostini prese due anni di squalifica e smise di correre. E la normativa nel frattempo non è cambiata.

Il gruppo fermato all’ingresso nel cicrcuito di Madrid. Ivo Oliveira parla con un uomo della Guardia Civil
Il gruppo fermato all’ingresso nel cicrcuito di Madrid. Ivo Oliveira parla con un uomo della Guardia Civil

Il mondo non si schiera

La protesta della Vuelta era nata per fermare la Israel-Premier Tech, poi è degenerata. Si è fatto più volte il paragone con la russa Gazprom, fermata quando la Russia iniziò l’invasione dell’Ucraina: lo abbiamo fatto anche noi. Eppure ha detto bene il presidente dell’UCI Lappartient: la disposizione scattò quando, in seguito alle disposizioni politiche internazionali, il CIO decise di fermare lo sport russo. Contro Israele nessuno ha detto nulla. Da quelle parti hanno il diritto di bombardare, affamare e azzerare una popolazione, figurarsi se qualcuno troverà mai utile parlare del loro diritto allo sport.

Per questo, di fronte alla codardia o alla convenienza politica internazionale, i manifestanti hanno attaccato uno dei pochi sport che non si può difendere, che non divide diritti televisivi e non ha biglietti da rifondere. Sarebbe invero stupendo, per quanto utopistico, che lo sport si fermasse anche solo per un minuto per commemorare le vittime di quel conflitto disumano, senza bisogno di manifestanti. E’ inutile tuttavia aspettarsi che accada. Sarà curioso invece vedere cosa accadrà il 14 ottobre a Udine, quando l’Italia si giocherà contro Israele la qualificazione per i mondiali di calcio. Di certo uno stadio dotato di cancelli e barriere sarà un luogo più facile da difendere di un viale alberato delimitato da semplici transenne.

De Marchi, la vita ricomincia dalla prima coppa

15.09.2025
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Hai davvero la prima coppa? «Ce l’ho ancora a casa dei miei – fa De Marchi, non immaginando la domanda successiva – la riconosco ogni volta che ci passo davanti». Senti Ale, la nuova vita riparte da quel trofeo, sarà come un passaggio di testimone: riusciresti a farti una foto come quel giorno del 1993? Il pezzo dovrebbe uscire domattina alle 10. «Cotta e mangiata, insomma (ride, ndr). Va bene, mi organizzo».

L’ultima corsa di De Marchi sarà il Giro del Veneto del 19 ottobre. Appena una settimana dopo, Alessandro radunerà il suo popolo a Buja e lì chiuderà la carriera di corridore. Lo farà passando il testimone a qualsiasi bambino che, giocando con la bici nella piazza del paese, sentirà scoccare la stessa scintilla di allora. Alessandro aveva sette anni quando ricevette la coppa per la gimkana alla Sagra di San Giuseppe del 1993. Cominciò tutto così. I ricordi si sovrappongono ai pensieri degli ultimi chilometri da corridore. Non è mai semplice mettere via la valigia che ti ha accompagnato fedelmente per così tante stagioni. Per questo la novità di debuttare da mercoledì al Giro di Slovacchia è diventata uno stimolo, nel momento in cui si avrebbe soltanto la voglia che tutto finisca alla svelta.

«Sono sfinito – ammette – non vedo l’ora di arrivare al 19 ottobre. Quest’anno è stato tutto un po’ così, la stagione non è mai svoltata e men che meno lo farà adesso che manca un mese alla fine. Per questo sono contento di fare una nuova corsa, che mi permette di trovare qualche motivazione».

Alessandro De Marchi è passato professionista nel 2010. Il 2025 vedrà la fine della sua carriera al Giro del Veneto
Alessandro De Marchi è passato professionista nel 2010. Il 2025 vedrà la fine della sua carriera al Giro del Veneto
Di solito quando si va in bici si pensa, a cosa pensa De Marchi in questi ultimi allenamenti?

Sto cominciando a capire quanto mi mancherà il fatto di uscire in bici, di stare fuori. Cercherò di ritagliarmi un certo tipo di routine, per garantirmi una decompressione graduale. Pedalare mi mancherà molto, ma come sto dicendo in queste ultime settimane, non mi mancheranno per niente le gare.

Com’è nata, nel momento in cui lasci il gruppo, l’idea di fare qualcosa per i bambini?

E’ nata ripassando il modo in cui tutto questo è cominciato. Ho ritrovato delle foto. Ho parlato con i miei genitori. E alla fine la mente è andata al momento in cui ho sentito iniziare qualcosa. Mi sono chiesto se questo mio addio in realtà non possa diventare il momento per festeggiare qualcosa. E allora perché non provare a ricreare la stessa situazione che a me fece scattare la scintilla?

Di quale situazione parli?

Io ho iniziato con una gimkana promozionale a Buia, una domenica di marzo del 1993. La Ciclistica Bujese organizzava questa manifestazione, in cui erano state coinvolte le scuole e io mi sono avvicinato così. E’ ovvio che poi ci sono stati mille altri passaggi, ma il vero inizio fu quello. E allora mi sono detto che ricreare una situazione simile sarebbe come chiudere il cerchio.

Perché dici che quella vota a sette anni scattò la scintilla?

Ho dei ricordi particolari. Portai a casa una coppa, perché davano qualcosa a tutti i bambini. Quel giorno a casa nostra c’erano i nonni e un po’ di parenti. Mio padre mi portò lì, facemmo la gimkana e rientrammo per il pranzo. E io ricordo di aver mostrato questa coppa ai nonni, agli zii, a tutti quelli che c’erano. Ho nella testa questi due momenti precisi, quindi quell’occasione, nonostante fosse solo il 1993, mi è rimasta molto impressa.

Tanti corridori si affrettano a dire che non vogliono la bici nella vita dei loro figli, tu invece organizzi un evento sperando che la bici ispiri altri bambini.

I miei figli si sono avvicinati alla bicicletta, senza che io dicessi niente. Oggi (ieri, ndr) sono andato in bici a una loro gara, li ho visti correre e poi me ne sono tornato a casa. Non ho alcun problema col fatto che vogliano fare ciclismo. L’essenza di quello che stanno facendo è stare insieme ad altri bambini, facendo uno sport e condividendo momenti, situazioni, esperienze. Credo che questo sia il nocciolo. Lo sport deve avere questo obiettivo di educazione. Il resto, le gare e tutto quello che viene dopo, succederà fra dieci anni, non possiamo parlarne quando hai a che fare con bambini che ne hanno sette.

Prima la bici e poi semmai il ciclismo?

Io voglio che ci siano bambini che usano la bici, che ci pensano come a qualcosa di positivo. Immagino un evento promozionale per avvicinare i bambini alla bicicletta, non necessariamente alle società. Anche se quel giorno nessuno di questi bambini si iscriverà a una delle due società, ma deciderà col papà di andare a fare una pedalata o andare a scuola in bicicletta, per me avremo raggiunto un grande obiettivo.

I bambini in bicicletta sono portatori di un modo diverso di vivere la mobilità e le città: le corse sono un’altra cosa (immagine Instagram)
I bambini in bicicletta sono portatori di un modo diverso di vivere la mobilità e le città: le corse sono un’altra cosa (immagine Instagram)
Come ti aspetti il Giro del Veneto, la tua ultima corsa?

Sarà una giornata così emotivamente carica e piena, che arriverò alla fine della giornata sfinito e contento. Ormai tutto ha un significato assoluto pensando a quel giorno. Io spero di riuscire a partire per andare in fuga, fare la cosa che mi è sempre piaciuta, interpretare l’ultimo giorno in quel modo lì. Ed è la cosa che in questo momento mi sta costando più fatica ed è forse il motivo per cui non sto riuscendo a godere appieno di questi ultimi scorci di stagione.

Ultimo giorno alla Marangoni, che vinse la sua unica corsa all’ultimo giorno di gara?

Quel giorno me lo immagino così. Proverò ad andare in fuga, fare una bella gara per poi arrivare e finire vicino a chi mi vuole bene. Sarebbe bello chiudere come Alan, però il ciclismo di Marangoni era diverso da quello di oggi. Insomma, non credo che riuscirò a vincere il Giro del Veneto…

La nuova storia di Zana, pronto a rilanciarsi alla Soudal

15.09.2025
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Ci sono tanti pensieri che passano per la mente di Filippo Zana in questi giorni, trascorsi dall’altra parte dell’Atlantico, al Maryland Cycling Classic prima e poi alle due prove WorldTour in Canada. La voglia di riemergere dopo un 2025 difficile unita al desiderio di dimostrare che nelle sue gambe il talento alligna ancora. Il regalare una soddisfazione alla Jayco AlUla ma anche la voglia di dimostrare alla Soudal Quick-Step che è l’uomo giusto su cui investire in questa fase di completo restyling.

E’ sera tardi dalle nostre parti quando il telefono di Filippo squilla, prima di riportarlo da questa parte dell’Oceano dopo le sfide in un ambiente completamente diverso dal solito e la sua voce tradisce i tanti pensieri che si rincorrono nella sua mente partendo proprio dal bilancio della trasferta americana.

«Al GP del Quebec abbiamo lavorato bene – dice – ma abbiamo sbagliato nel non chiudere subito la fuga, dovevamo mettere dentro qualcuno, alla fine poi sono arrivati quelli che avevano scelto la carta dell’azzardo. Meglio al GP de Montreal, dove sono rimasto sempre nel vivo della corsa, almeno finché Pogacar e la sua squadra non hanno cambiato marcia (alla fine vittoria per McNulty dietro grazioso regalo dell’iridato, ndr). Tutto sommato però le mie risposte sono state positive, come anche quelle in Maryland».

In Canada Zana è stato protagonista soprattutto a Montreal, chiudendo a 2’59” da McNulty
In Canada Zana è stato protagonista soprattutto a Montreal, chiudendo a 2’59” da McNulty
Tu venivi dal quattordicesimo posto in terra statunitense, replicato poi a Montreal. In che condizione sei in questo momento?

Adesso sto meglio e infatti i risultati stanno progressivamente migliorando. E’ stata un’annata un po’ difficile per me, da prima del Giro già stavo male, poi ho fatto la corsa rosa che comunque non ero a posto, dopo ho fatto tutte le analisi e si è visto che ero ancora affetto da mononucleosi e varicella. Le avevo già avute e pensavamo che erano state debellate, invece si erano come risvegliate. Ho iniziato una cura che è andata avanti per due mesi e mezzo, ora sembra che il peggio sia passato, le sensazioni sono migliori e spero di riuscire a fare qualcosa di buono da qui alla fine della stagione.

Affrontare questo finale di annata sapendo già quale sarà il tuo futuro è un aiuto per te dal punto di vista psicologico?

Sicuramente sono più tranquillo, quindi credo che sia una cosa buona. Io però non penso ancora a quel che verrà, il mio intento da qui a fine stagione è fare qualcosa di buono anche per ringraziare la squadra di questi tre anni, almeno per me belli, dove mi hanno fatto crescere molto e hanno avuto sempre fiducia in me, quindi vorrei riuscire a ricambiarla da qui a fine calendario.

Un’annata difficile quella del veneto, dove il miglior risultato è il 6° posto al Giro, nella tappa di Asiago
Un’annata difficile quella del veneto, dove il miglior risultato è il 6° posto al Giro, nella tappa di Asiago
Rispetto a tre anni fa, chi è adesso Filippo Zana?

Quando sono arrivato qua il primo anno ho avuto subito un vero salto di qualità, vedevo che riuscivo a a far bene nelle gare importanti, di fronte al meglio del ciclismo internazionale. Ho acquisito la consapevolezza che quando sto bene posso ambire a qualcosa d’importante. Il problema è che sia l’anno scorso che questo ho avuto questa mononucleosi che mi ha un po’ perseguitato e quindi non sono mai stato al mio massimo. Ma ho imparato anche a venir fuori dai momenti difficili, in cui penso che bisogna essere sempre lucidi e aver la forza di andare avanti. Ora voglio solo ritornare quello che so di poter essere.

Perché passi alla Soudal? Che cos’è che ti ha affascinato di quel team?

Penso che sarà una nuova avventura, nuovi stimoli, era quello di cui avevo bisogno. E’ una squadra che mi affascinava, che ha una storia da sempre. Già quand’ero nelle categorie inferiori il mio sogno era di passare con loro, adesso ci arrivo e spero di riuscire a dare tanto a quella formazione. Sicuramente penso sia un team che può farmi crescere ancora di più, farmi esprimere tutto quello che posso dare.

Vincitore del Giro di Slovenia nel 2023, Zana ora punta più sui successi parziali. Per questo ha scelto la Soudal
Vincitore del Giro di Slovenia nel 2023, Zana ora punta più sui successi parziali. Per questo ha scelto la Soudal
La cosa che colpisce è il fatto che arrivi alla Soudal in un momento di forte transizione del team, una squadra che vuol tornare al suo passato, a essere specialista delle corse di un giorno. Ti ci identifichi in questa impostazione?

Sicuramente sì, c’è un ricambio, ho capito che posso far bene, ambire a qualche successo di tappa nei Grandi Giri. E quindi penso sia la squadra giusta per rilanciarmi. Sì, credo che la nuova impostazione tecnica legata non più alle corse a tappe e ai grandi giri, intesi come caccia alla classifica, sia ideale per me.

Ti vedi come un cacciatore di tappe, di successi parziali, non più uno che guarda alla classifica?

Nei Grandi Giri, penso sia questa la cosa che mi può riuscire meglio. Poi può essere che riuscirò ancora a dire la mia nelle corse a tappe più brevi, ma per me adesso è tutta una scoperta. Vedremo come si evolverà la situazione nel nuovo team, che obiettivi verranno posti, che cosa mi si chiederà e che cosa potrò dare.

La vittoria di tappa al Giro d’Italia ’23, in Val di Zoldo, è il suo acuto preferito, ma è stato anche tricolore nel ’22
La vittoria di tappa al Giro d’Italia ’23, in Val di Zoldo, è il suo acuto preferito, ma è stato anche tricolore nel ’22
Tre anni nell’attuale team, qual è stato il momento più bello che hai vissuto con loro?

Beh, penso sicuramente la vittoria della tappa al Giro d’Italia è qualcosa che resta scolpito. Anche perché era la prima vittoria di spessore. Le cose giravano bene, andava tutto bene, quindi sicuramente era un periodo molto bello. Alla fine in squadra ho trovato un gruppo strepitoso, sia come staff che corridori, perché comunque penso di aver creato un bel rapporto con tutti. Avevo bisogno di nuovi stimoli per ripartire dopo un biennio sfortunato, ma è solo per questo che ho scelto di cambiare aria.

In Spagna con Castelli: dietro le quinte del nuovo Perfetto RoS 3

14.09.2025
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GIRONA – Il concetto alla base della nuova giacca Perfetto RoS 3 di Castelli è traspirabilità, con l’obiettivo di garantire al ciclista una termoregolazione perfettamente bilanciata. Non si è trattato di un lavoro semplice anche perché Castelli, in strettissima collaborazione con Polartec, ha voluto offrire un ampio raggio di utilizzo. Infatti la Perfetto RoS 3 ha un range di temperatura consigliata per l’utilizzo che va dai 4 ai 14 gradi centigradi. Se si considerano questi primi numeri è facile capire come il lavoro alle spalle sia stato improntato a questo

Abbiamo avuto modo di vedere e capire, in anteprima, la nuova giacca Perfetto RoS 3 a Girona nel mese di febbraio nel corso di una experience organizzata da Castelli con una rappresentanza molto selezionata di media specializzati.

Un tessuto che respira

Una pedalata ancora prima di immergerci nelle spiegazioni tecniche. Girona e le sue strade in quel periodo dell’anno sono già calde e vive, durante le ore centrali della giornata capita di restare in maniche corte. Questa sfaccettatura, tutt’altro che secondaria a nostro parere, rende ancor più merito ad un capo sviluppato per quella stagione di mezzo, ma capace di accontentare molti e tante necessità.

L’uscita in bici, utilizzata come test del prodotto si è svolta alle prime luci del mattino, con una temperatura intorno agli 8 gradi centigradi. La prima sensazione, indossando la giacca Perfetto RoS 3 è di avere addosso un capo invernale, quindi capace di riparare dal freddo. Tuttavia la vestibilità aderente e il tessuto non danno quel senso di costrizione e “soffocamento”, non è un capo goffo ed ingombrante. Si tratta di un prodotto che permette al ciclista di trovare il proprio equilibrio, infatti è importante capire quale sottomaglia indossare a seconda della stagione e delle temperature percepite. 

Asciutti dentro e fuori

Si ha subito l’impressione di avere addosso una giacca capace di respirare e di far respirare la pelle. Il tessuto AirCore cambia di fatto le regole poiché è in grado di mantenere asciutta la pelle del ciclista grazie alla sua membrana in nanofibra, la quale consente un flusso d’aria controllato per mantenere asciutto il corpo. Una tecnologia che funziona sia nell’evitare accumuli di sudore dovuti allo sforzo, sia in caso di pioggia e maltempo. Castelli fornisce un dato di resistenza alla pressione idrostatica di 5.000 millimetri

Cosa cercano i ciclisti?

Castelli e Polartec sono voluti ripartire da zero per creare questo capo d’abbigliamento, rivalutando le regole per offrire ai ciclisti qualcosa di unico. Alla base c’è la ricerca della performance, che passa dalla tecnica ma anche dal comfort. Pedalare ad alti livelli porta il nostro fisico a vivere in condizioni stressanti. La traspirabilità del tessuto AirCore permette al ciclista di pedalare ad alta intensità senza avere la necessità di aprire la zip frontale per mantenere costante la temperatura corporea. 

Di contro, una volta in discesa, la giacca Perfetto RoS 3 offre una protezione dal vento, evitando che l’aria fredda entri all’interno dell’indumento. Un altro ottimo valore, del quale si ha subito riscontro, è l’ottima permeabilità all’aria, pari a 0,7 CFM (Cubic Feet per Minute) ovvero piedi cubi al minuto. Un fattore banale e semplice da sviluppare? Decisamente no, considerando inoltre che nell’epoca moderna ci si allena ad elevate intensità anche con il freddo, o condizioni meteo che non sono solo quelle della zona comfort.

Castelli

L’avventura della Tripetetolo in Kosovo. Tra timori e sprint

14.09.2025
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Anche una squadra relativamente piccola nel mondo internazionale e variegato degli under 23 può vivere una bellissima avventura all’estero. Anche se quella della Polisportiva Tripetetolo era, almeno alla vigilia, ricca d’insidie considerando il teatro di gara. Parliamo infatti del Tour of Kosovo, la piccola nazione scaturita da un sanguinoso conflitto con la Serbia, dove la tensione politica fra vicini è sempre rimasta accesissima ancorché un po’ nascosta nelle cronache quotidiane. Eppure proprio quest’estate, complice il ribollire sociale serbo, del latente conflitto si è ripreso a parlare tanto che la tensione ai confini è considerata uno dei focolai di guerra più incandescenti di questi tempi molto bui.

Per esorcizzare i timori, la squadra toscana si è concentrata solo sugli aspetti sportivi perché la trasferta balcanica era forse l’evento più importante di tutta la sua stagione. Massimiliano Dinucci era l’uomo deputato a guidare i ragazzi, confidando in qualche risultato importante.

Massimiliano Dinucci, direttore sportivo della squadra con sede a Lastra a Signa (FI)
Massimiliano Dinucci, direttore sportivo della squadra con sede a Lastra a Signa (FI)

«C’è stato un invito da parte degli organizzatori scaturito dal fatto che con noi corre Flavio Venomi, che fa parte della nazionale albanese la cui federazione teneva che fossimo presenti. Per noi era importante per dare una chance ai ragazzi di correre all’estero, fare un’esperienza diversa dal solito e per questo abbiamo accettato volentieri».

Che corsa avete trovato?

Dal punto di vista organizzativo devo dire che sono rimasto molto colpito. Si correva sulle autostrade e questa non è una cosa comune. Niente traffico, niente gente ai bordi, tutto un po’ asettico. Un altro aspetto che non poteva passare inosservato era la forte presenza di polizia, sempre a farci da scorta. C’era un altissimo livello di controllo e sicurezza. Ma non era opprimente, questo lo devo dire. E’ chiaro che mancava un po’ il pubblico, quello che troviamo spesso, o almeno si trovava nelle gare italiane.

Tre tappe per la corsa kosovara, tutti disegnati su autostrade prive di pubblico (foto Federazione Kosovo)
Tre tappe per la corsa kosovara, tutti disegnati su autostrade prive di pubblico (foto Federazione Kosovo)
E dal punto di vista dei percorsi?

Tutte e tre le tappe previste prevedevano percorsi vallonati, con vari strappi, sempre su queste strade molto larghe. Poteva essere più vario, invece è stato un po’ monotono e questo influiva soprattutto dal punto di vista mentale, era più difficile mantenere alta la concentrazione per tutta la gara.

A che livello era di corsa?

Parlando di una prova di categoria 2.2, aveva un buon livello di partecipazione perché negli ultimi anni so che è cresciuta parecchio. Al Tour of Kosovo c’erano due squadre inglesi, una tedesca, una olandese che poi ha vinto anche il giro con Danijel Agricola davanti a due inglesi. Quindi c’erano squadre attrezzate e forti, con mezzi molto superiori ai nostri.

La corsa kosovara ha premiato l’olandese di origini italiane Danijel Agricola (foto Federazione Kosovo)
La corsa kosovara ha premiato l’olandese di origini italiane Danijel Agricola (foto Federazione Kosovo)
Una curiosità legata a questa corsa è il fatto che si correva in Kosovo, dove la situazione politica non è proprio delle migliori. Voi che atmosfera avete trovato?

Anche noi ci aspettavamo maggiore tensione sociale, invece abbiamo trovato un’atmosfera tranquilla, ci hanno accolto bene, non abbiamo trovato nessun problema di questo genere. Una sera siamo anche usciti girando per le strade della capitale Pristina senza alcun problema né particolari controlli. La sensazione che ho avuto è che gli italiani sono anche visti bene da quelle parti.

C’era particolare controllo da parte della polizia, dell’esercito?

A parte lo stretto controllo che c’era durante le tappe, mi ha colpito molto il rapporto che la popolazione stessa ha con le forze dell’ordine, ho visto paura. Appena interveniva la polizia, i locali si fermavano subito, non c’era il minimo accenno di discussione.

Stretto controllo della polizia, sia durante la corsa che anche in città (foto Federazione Kosovo)
Stretto controllo della polizia, sia durante la corsa che anche in città (foto Federazione Kosovo)
Veniamo alla vostra squadra, come giudichi questa stagione?

Potevamo fare meglio, non lo nego, anche se qualche attenuante c’è. A cavallo di marzo-aprile abbiamo avuto quattro ragazzi su cui puntavamo per le gare del periodo che hanno avuto la mononucleosi. Poi abbiamo avuto qualche infortunio e speravamo su Butteroni che magari ci venisse fuori dopo una stagione che aveva terminato addirittura a giugno. Ma c’è stato purtroppo anche il suo infortunio a pochi giorni da dalla partenza per il Kosovo, un infortunio grosso, 300 punti di sutura sul costato, altra stagione sfortunatamente conclusa. Ma nonostante tutto in Kosovo sono arrivati buoni risultati, diciamo che abbiamo bilanciato il tutto, almeno parzialmente.

Sei rimasto contento della loro prestazione?

Alla fine sì, perché in tutte e tre le tappe abbiamo ottenuto dei piazzamenti nei primi 10. Mi è dispiaciuto per Lorenzo Viviani perché gli avevo detto il primo giorno che secondo me la classifica si faceva subito alla prima tappa. Lui ha atteso quel secondo in più per entrare nella fuga che poi è stata decisiva, che poi ha delineato la classifica delle altre due tappe. Ha perso un’occasione, ma nel complesso si sono ben comportati.

Nella tappa conclusiva acuto per Valentino Kamberaj, il portacolori della Beltrami TSA da quest’anno albanese
Nella tappa conclusiva acuto per Valentino Kamberaj, il portacolori della Beltrami TSA da quest’anno albanese
Voi come società siete considerati tra quelle che fanno molta attività con tanti sacrifici, proprio perché siete un piccolo team rispetto ad altre squadre under 23. Come si vive l’attività adesso nella vostra dimensione?

Facciamo fatica perché già anche ottenere degli inviti e dare occasione ai ragazzi a correre in corse importanti è difficile. Più che in passato. Devo dire però che in questi anni abbiamo costruito un’immagine pulita, corretta anche con gli organizzatori e tutto questo grazie a Daniele Masiani che è il nostro team manager e che tiene i rapporti. Si fatica tanto, le trasferte sono costose, gli alberghi spesso bisogna pagarseli, insomma è pesante arrivare a fine stagione.

Due o tre (vere) chicche viste ad Italian Bike Festival

14.09.2025
7 min
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MISANO ADRIATICO – Italian Bike Festival conferma una volta di più il ruolo di expo di riferimento del settore. Un luogo per preziosi approfondimenti e una piazza importante per i marchi che trainano la categoria, quelli dei grandi numeri e volumi ma anche per le aziende medio/piccole.

Proprio queste ultime, trovano a Italian Bike Festival il momento giusto per entrare in contatto con gli appassionati, mostrare ed argomentare le produzioni. Tra le altre cose, ne abbiamo selezionate alcune.

KarbonKrone, la ruota a 12 raggi

Si chiama KarbonKrone, una vera bellezza per impatto visivo e soluzione tecnica, un vanto per Sandro Marcorin, fondatore e CEO di Alchemist, grande appassionato di bici. Il progetto KarbonKrone 40 si basa su un cerchio in carbonio da 40 millimetri di altezza, con un canale interno da 23 millimetri di larghezza. Il disegno non è hookless, ma prevede l’ingaggio dello pneumatico attraverso un mini uncino (mini-hook, oppure hookless 2.0) e prevede il montaggio del tape tubeless.

Ci sono 12 raggi per ogni singola ruota, sono in carbonio e scorrono attraverso il mozzo in alluminio. Quest’ultimo ha la meccanica interna DT Swiss (con sfere CeramicSpeed), facile, efficiente ed immediato. Una della particolarità di KarbonKrone è la possibilità di intervenire meccanicamente sui raggi, innestati all’interno del cerchio con i nipples. Significa che si possono sostituire e la ruota può essere ri-raggiata. In caso di danno e seguente intervento, Alchemist si impegna a riconsegnare il prodotto in una settimana lavorativa. Il prezzo di listino è di poco superiore ai 4000 euro.

Fasten, il sistema che fa parlare

Un sistema che coinvolge tutta la bici, anzi entrambe le ruote. E’ il primo pacchetto che permette di togliere le ruote dal telaio senza la necessità di dover smontare pignoni e dischi. Al tempo stesso si crea anche una vera e propria intercambiabilità, perché la ruota davanti si può montare sul carro posteriore, quella dietro può essere ingaggiata alla forcella.

La tecnologia sviluppata da Stefano Costamagna e dal suo staff si chiama SWS (Switch Wheels System). Include le ruote con i suoi mozzi, più stretti rispetto ai tradizionali ed i supporti da montare al telaio (carro e forcella). Questi ultimi necessitano di sedi specifiche per il montaggio, non funzionano con i telai standard, ma è pur vero che Fasten fornisce anche l’intera mappa di messa in opera del sistema. Si utilizzano i perni passanti standard. A parità di montaggio non c’è un aggravio di peso che merita di essere argomentato.

Magene è anche trasmissione

Il distributore Magene per l’Italia è Gist Italia, una compagine che ha creduto nel brand (a giusta ragione) ed ha portato una ventata di aria nuova nel settore bici. Magene rende accessibile a tutti l’elettronica, la tecnologia moderna legata a misuratori di potenza e trasmissioni, si propone in modo davvero importante come player di rilievo per gli anni a venire.

Puntando la lente sulla trasmissione, della quale non si hanno ancora tutti i dettagli precisi, sarà disponibile su due livelli (proprio come i power meter, PES in alluminio e TEO in carbonio). Il funzionamento è ibrido, con una batteria da posizionare all’interno del telaio (che va ad alimentare bilanciere e deragliatore) ed i manettini che comunicano con la batteria via wireless. Da definire i prezzi, ma seguendo il filone Magene ci potrebbe essere un risparmio del 30/40% rispetto ai competitor, a parità di categoria e posizionamento sul mercato.

Le opere d’arte esistono: si chiamano Passoni

Nell’era del carbonio il titanio trova ancora spazio e le eccellenze artigianali esistono ancora. Ad Italian Bike Festival, Passoni ha esposto il prototipo di una creazione che vedremo nei prossimi mesi. La Prototipo, per ora vogliamo chiamarla in questo modo, è la prima bici Passoni che utilizza una forcella tutta in carbonio ed un manubrio integrato, anch’esso full carbon, disegnati, sviluppati e prodotti per la prima volta da Passoni. La bici rappresenta la versione rinnovata della Passoni Titanio Disco.

In aggiunta colpiscono alcuni dettagli: il passaggio degli pneumatici fino a 32 millimetri di sezione, lo sterzo con sedi (superiore ed inferiore) da 1,5”. C’è poi il forcellino ceco dal lato guida, non in ultimo la scatola del movimento centrale con sedi T47 (filettate) e larga 68 millimetri. Importante la cura dimagrante, con un risparmio di peso compreso tra i 120/140 grammi in base alla taglia (rispetto alla Titanio Disco). Passoni Prototipo è disponibile in taglie standard (otto), naturalmente su misura, per quanto concerne quote geometriche e anche resa tecnica.

Italian Bike Festival

Vingegaard, Almeida e Pidcock: i racconti della Bola

13.09.2025
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E’ stato il grande giorno della Bola del Mundo alla Vuelta. La tappa del verdetto, quella che avrebbe decretato il re della maglia roja. La frazione è di nuovo di quelle toste, ma si sapeva già che a decidere tutto sarebbero stati gli ultimi 3.700 metri. Quelli in cemento, quelli con pendenze da MTB. Lassù avrebbe dominato la legge del più forte. E il più forte è stato Jonas Vingegaard. Per il corridore della Visma-Lease a Bike tappa e appunto… Vuelta.

Tra una fitta schiera di poliziotti e corse per contenere il pubblico più in basso, il già spoglio monte madrileno era ancora più vuoto nel suo chilometro finale. Si è sempre sul chi va là riguardo alle ormai note proteste pro Palestina.
In questo contesto vanno in scena 153 storie, tante quante i corridori rimasti in gara. Ogni scalata così estrema si trasforma per ognuno in qualcosa di strettamente personale. C’è chi vuole semplicemente arrivare al traguardo, chi vuole vincere, chi deve difendersi, chi dimostrare il suo valore, chi vuole la tappa. Ognuno ha il suo obiettivo.
Noi ve ne raccontiamo tre di queste storie e lo anche con l’aiuto di uno scalatore che sulla Bola del Mundo ci sarebbe stato alla grande: Domenico Pozzovivo.

Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca
Vingegaard sta per tagliare il traguardo. Gli inseguitori lo vedono da lontano, tra loro purtroppo non c’è Pellizzari, che perde la maglia bianca

Vingegaard campione vero

La prima storia, e non poteva essere diversamente, è quella di Jonas Vingegaard. Oggi il danese ha vinto. Ma la sua è una vittoria di chi era chiamato, e forse voleva dimostrare al mondo intero e prima di tutto a sé stesso, che è ancora forte. Che sa vincere anche senza Tadej Pogacar.
Anzi, a dire il vero era quasi obbligato a farlo.

Eppure in queste tappe è sì stato il più forte, ma non quello schiacciasassi che era lecito attendersi. Il Tour, e lo diciamo da tempo, si è fatto sentire. Jonas ha centellinato energie fisiche e mentali giorno dopo giorno.
«Dopo il Tour così duro – ha detto Pozzovivo – sinceramente mi aspettavo una Vuelta così di conserva, ma forse un po’ meno di come è stata realmente. Mi aspettavo che avrebbe cercato di addormentare la corsa e che non avrebbe corso come fa quando è contro Tadej o come fa lui stesso quando non c’è Pogacar. Penso per esempio alla Tirreno dell’anno scorso».

L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma
L’abbraccio tra Kuss e Vingegaard. L’americano è arrivato secondo, siglando una doppietta per la Visma

Jonas il chirurgo

«Anche oggi ha fatto di mille metri (è partito ai -1,3 chilometri e ha mollato ai 300 metri, ndr). Ha calcolato più la durata dello sforzo che la distanza. Sono stati 5 minuti di attacco, 5′ di fuorigiri ad una media di 13 all’ora o poco più. E’ stato un attacco chirurgico, preparato. Credo sapesse che non avrebbe aperto grandi margini e così ha fatto al massimo quello che poteva. Se fosse partito prima lo avrebbero ripreso, non avrebbe avuto la possibilità di portare un attacco simile più a lungo».

Le nostre sensazioni dunque erano giuste. Non ha sprecato nulla più del dovuto. Ha corso con grande consapevolezza dei suoi limiti. E che dire? Chapeau. Le corse si vincono anche così.
«Uno come lui – aggiunge Domenico – se fosse stato meglio avrebbe messo la firma sull’Angliru, per esempio».

Oggi Vingegaard doveva dimostrare che era comunque il miglior corridore di questa Vuelta e ci è riuscito. Onore a lui.

Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui
Almeida un leone… Ha lottato contro un gigante e forse lo è diventato anche lui

Almeida: sostanza e personalità

L’altra storia ci porta dal grande rivale di questa corsa spagnola, Joao Almeida. Chissà cosa, e se, gli ha detto Pogacar, il suo capitano, quando si è trovato a battagliare con il rivale storico del suo leader. Se gli ha svelato qualche punto debole.

Il portoghese della UAE Team Emirates si è ritrovato capitano. Sarebbe dovuto essere lo stesso Pogacar a guidare la corazzata in Spagna. Invece…
«Invece – ha detto Pozzovivo – si è ritrovato leader in modo inatteso. Ma è sbagliato dire che la sua stagione è venuta fuori in modo inaspettato. Andava già forte al Giro di Svizzera (anche prima al Romandia, ndr) e poi doveva fare bene il Tour. E invece ecco che si ritrova a fare la Vuelta e anche da capitano».

Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa
Oggi persino Ayuso ha contribuito alla causa di Almeida… almeno nelle fasi meno calde della corsa

Joao leader

E proprio sull’essere leader, sulla pressione, sulla convivenza con Juan Ayuso, Pozzovivo esalta il portoghese: «Per me è stato fortissimo e questo lo consacra sia a livello internazionale che nella sua squadra. Credo che Joao si sia gestito benissimo, anche dal punto di vista della personalità, dell’essere leader appunto. E non ha avuto un inizio di Vuelta facile, con quei problemi di “spogliatoio”. Nella tappa in cui ha accumulato il maggior distacco da Vingegaard, lui stesso al termine della frazione ha detto che la squadra non aveva lavorato al 100 per cento per lui. Credo riferendosi non solo ad Ayuso, ma anche a Vine. E se dici una cosa del genere è perché ti prendi poi pressioni e responsabilità e lui ci ha convissuto benissimo. Idem quel che ha fatto sull’Angliru. Si è messo al massimo del suo limite. Di solito quando hai avversari così forti ti lasci un minimo di margine per rispondere a uno scatto. Lui no… e ha avuto ragione».

Anche oggi sulla Bola del Mundo ha perso qualche secondo, Almeida e la UAE con corridori che gli sono diventati fedeli quali Grosschartner e Vine, non si è fatto intimorire. La mancanza del riferimento Pogacar non si è fatta sentire.
«Non credo che Almeida senta questa cosa. Anche lo scorso anno al Tour era gregario di lusso, ma Tadej spesso partiva così tanto presto che anche lui poteva correre per sé stesso. E poi ha avuto altre occasioni di essere leader. Non ha perso insomma attitudine. Discorso diverso se si fosse trasformato nel leadout che si sposta e prende 10 minuti».

Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?
Tom Pidcock (classe 1999) avrà trovato la sua dimensione definitiva?

Pidcock: ora è nel posto giusto

La terza storia ci porta a Tom Pidcock. Il folletto della Q36.5 finalmente sale sul podio di un Grande Giro. In tanti, dopo la vittoria al Giro U23, lo aspettavano al varco, ma l’inglese aveva sempre mostrato altre preferenze, sia dal punto di vista personale che tecnico.

Domani a Madrid salirà sul gradino del podio e sempre domani Van der Poel sarà al mondiale di MTB. Per Pidcock è di certo un colpo al cuore. «Io sono un biker», ha sempre detto. Oggi all’arrivo quasi non riusciva a parlare tanto era stanco.

La domanda delle domande pertanto è: da oggi possiamo dire che Pidcock è uomo da corse a tappe? Mai come stavolta l’opinione di Pozzovivo, anche lui piccolo, scalatore e persino un po’ biker, è calzante.
«La Vuelta è sempre particolare quando si parla di Grandi Giri e questa lo è stata ancora di più. C’è una dichiarazione di Tom che mi ha colpito nel post Giro d’Italia e cioè: “Ho sofferto molto il caldo”. Per uno che soffre il caldo la Vuelta non è la miglior gara, ma in questo caso si è partiti con il maltempo in Italia, si è sempre restati al Nord dove le temperature non sono mai state torride e niente Andalucia. Questo ha giocato a suo favore».

«Rispetto alle tre settimane possiamo dire che ha dimostrato di esserci. Però mancava almeno un tappone da oltre 5.000 metri. Al Giro d’Italia ce ne sono sempre almeno due se non tre. Se ci fosse stato quello gli avremmo potuto dargli definitivamente la “patente” per corridore da Grandi Giri. Però questo podio è incoraggiante per lui. Resta il fatto che è un corridore che ama la corsa secca, che ama alzare le braccia e credo che correre per la classifica sia stato un grande sforzo mentale per Tom».

Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale
Giulio Pellizzari ha ceduto proprio nel finale della Vuelta. Sulla Bola ha incassato quasi 3′ perdendo la maglia bianca. E’ comunque 6° nella generale

Chissà in casa Ineos…

Le analisi di Pozzovivo sono davvero eccellenti, ficcanti come solo chi è stato in gruppo per tanto tempo ad alti livelli può fare. E così gli chiediamo anche se domani, mentre metterà il piede sul podio, lui, ma soprattutto la Ineos Grenadiers, cosa penserà. Gli inglesi si mangeranno le mani?

«Assolutamente sì – dice secco il “Pozzo” – A loro manca un punto di riferimento per i Grandi Giri e in Ineos Grenadiers lo hanno fatto fuori con troppa fretta».

Però è anche vero che in quella squadra c’è una certa mentalità, una certa disciplina, di certo uno che vuole fare MTB non è il massimo per il team. E viceversa. Pidcock aveva perso il sorriso. In Q36.5 qualche comparsata in più offroad la può fare…
«E infatti – conclude Pozzovivo – per Tom stare in una squadra più piccola come la Q36.5 è meglio, può avere questo approccio. Alla fine è un po’ il faro, la maggior parte dei punti dipendono da lui e può permettersi di avere più spazi, di gestire un po’ di più i suoi impegni. Penso anche all’eccezione che, non essendo in una WorldTour, abbia comunque potuto disputare due Grandi Giri. Di certo è una situazione a suo vantaggio».

Alessia Orsi, un’altra “primo anno” vincente con le idee chiare

13.09.2025
7 min
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Uno dei cilindri che quest’anno sta alimentando il motore della BFT Burzoni è Alessia Orsi. Il ruolino di marcia di questa junior, che viene da Soliera nella pianura modenese e che ha voglia di crescere ancora, si è impreziosito da luglio in avanti tra strada e pista.

Finora la sua stagione da “primo anno” nella categoria (una delle tante atlete del team piacentino) parla chiaro. Due dei tre successi su strada Orsi li ha ottenuti nell’arco di quattro giorni ad inizio settembre. Ha aggiornato il suo guardaroba di “maglie” con i titoli regionali dell’Emilia-Romagna sia a cronometro che in linea. E a corredo di tutto, c’è stato spazio anche per la medaglia d’argento conquistata il 21 agosto ai mondiali juniores in pista nell’inseguimento a squadre.

Ne abbiamo approfittato quindi per conoscere meglio Alessia, che frequenta l’indirizzo turistico all’istituto tecnico “Meucci” di Carpi. Le sue parole esprimono determinazione, riconoscenza e consapevolezza di pregi e difetti. Caratteristiche non secondarie per una ragazza di 17 anni, simpatica poi a raccontare il rapporto con la gemella Martina, sua compagna di squadra.

Alessia Orsi è nata il 29 luglio 2008, vive a Soliera (MO) e frequenta un istituto tecnico a Carpi (foto Frantz Piva)
Alessia Orsi è nata il 29 luglio 2008, vive a Soliera (MO) e frequenta un istituto tecnico a Carpi (foto Frantz Piva)
Facciamo un bilancio parziale del tuo 2025?

L’annata non è partita molto bene. Ho avvertito tanto il passaggio di categoria da allievi a juniores. Ci ho messo un po’ a prenderci le misure e ambientarmi. Nella prima parte ho lavorato molto per le compagne, però non trovavo risultati che mi dessero fiducia, a parte il “regionale” a crono dove però avevo fatto quarta assoluta. Mi è spiaciuto non essermi guadagnata la convocazione per gli europei in pista.

Quando c’è stata la svolta?

E’ stata graduale. A giugno al campionato italiano sono stata in fuga per una cinquantina di chilometri, in un gioco di squadra che ha portato poi la vittoria di Matilde (la compagna Rossignoli, ndr). Oltre alla soddisfazione per il suo tricolore, ero contenta per la mia prestazione perché ero stata protagonista. Lì ho capito che stavo crescendo di condizione e il vero cambio di rotta è arrivato qualche settimana dopo vicino a casa.

Spiega pure.

Ad inizio luglio ho vinto la gara di San Felice sul Panaro davanti ai genitori, parenti e amici. Era una corsa che sentivo perché conoscevo molto bene le strade. E’ stata una vittoria arrivata al momento giusto, che ci voleva assolutamente. Ne avevo bisogno per sboccarmi. Inoltre era valida come campionato regionale e per me è stato un grande orgoglio. Da lì in avanti è stato tutto un po’ più semplice e sono arrivati altri risultati importanti.

Ti aspettavi un avvio di settembre così buono?

Al Giro di Lunigiana Donne volevo fare bene. Dopo la prima tappa vinta da Agata (Campana, ndr), mi sono messa in testa che avrei voluto vincere la seconda tappa e così è andata (in apertura foto Ptzphotolab). Poi qualche giorno dopo, in provincia di Bergamo, negli ultimi 30 chilometri ho avuto il via libera dalla squadra e sono entrata nella fuga decisiva. Eravamo in una dozzina e nel finale ho sfruttato le mie doti veloci.

Cogliamo l’assist e parliamo delle tue caratteristiche. Che corridore sei?

Sicuramente nei gruppetti ristretti posso giocarmela in volata. Mi definisco passista-veloce, che però si difende bene in salita, specie se sono lunghe per quelle che possono esserlo nelle nostre gare. Ad esempio mi sono trovata molto bene nei Paesi Baschi alla Bizkaikoloreak (breve corsa a tappe di Nations Cup, ndr). Ho capito meglio le mie caratteristiche e ho fatto tanta esperienza internazionale.

Poi è arrivata la chiamata in nazionale per i mondiali in pista.

Esatto, sono stata molto contenta perché non me l’aspettavo più di tanto. In pista ci sono sempre andata, ho vinto anche campionati italiani nelle categorie inferiori. Ad Apeldoorn ho disputato sia il chilometro che la prova del quartetto, due discipline molto differenti fra loro. A dire il vero col quartetto ho corso solo la finale, dove eravamo tutte della BFT Burzoni. E’ stata una grande responsabilità, soprattutto perché era una gara molto importante, e ho dato il meglio di me stessa. Ringrazio i tecnici per avermi dato fiducia.

Alessia ha un buon rapporto con i suoi diesse. Qui con Krizia Corradetti che la consiglia anche giù dalla bici (foto facebook/Bft Burzoni)
Alessia ha un buon rapporto con i suoi diesse. Qui con Krizia Corradetti che la consiglia anche giù dalla bici (foto facebook/Bft Burzoni)
Cosa ti ha insegnato finora questa stagione?

In squadra mi trovo bene con tutti. Ho imparato a correre di squadra molto più di quanto si faccia negli anni precedenti. Mi sono ritagliata il mio spazio e credo di aver avuto fiducia dai miei diesse perché hanno riconosciuto il lavoro per le compagne. Per me è stata una grande gratificazione e li ringrazio. A tal proposito vorrei solo spendere due parole per loro.

Prego.

Abbiamo due diesse che sono perfetti dal punto di vista tattico e umano. Vittorio (Affaticati, ndr) conosce molto bene il ciclismo e ci dice sempre come muoverci in gara, oltre poi a spiegarci tutto anche dopo. Ed è affiancato da Krizia (Corradetti, ndr) che per me è stata fondamentale. Lei è più vicina a noi come età e sa capire i problemi di noi ragazze, non solo quelli ciclistici ma quelli di varia natura. Tuttavia con lei abbiamo un rapporto professionale “dirigente-atleta” e quando si arrabbia è meglio darle ascolto.

Alessia cresce e si guadagna i mondiali in pista. Disputa la finale col quartetto e conquista l’argento (foto SWpix.com)
Alessia cresce e si guadagna i mondiali in pista. Disputa la finale col quartetto e conquista l’argento (foto SWpix.com)
Com’è invece il rapporto tra Alessia Orsi e la gemella Martina?

Ovviamente di amore e odio come una normale coppia di gemelle (dice sorridendo, ndr). Corriamo assieme da quando eravamo G2 e ci alleniamo sempre assieme. Faccio fatica ad uscire quando lei non può e viceversa. Martina è un punto fondamentale per me, ma caratterialmente siamo molto diverse. E infatti litighiamo spesso per molte cose, anche legate al ciclismo.

Puoi farci degli esempi?

Cerco sempre di stimolarla. Martina non crede abbastanza nei suoi mezzi e invece dovrebbe farlo. Non ascolta i miei consigli quando le dico che può fare risultato. Quindi ci troviamo a discutere e alla fine si ritrova a darmi ragione (sorride nuovamente, ndr).

Invece Martina cosa ti insegna?

Lei è una atleta che dà sempre se stessa in gara. La vedo spesso che quando finisce una corsa, è davvero provata e sfinita. Questa credo che sia una grande dote per un corridore. Da Martina devo imparare ad avere meno paura di non fare risultato e dare veramente tutto. Talvolta arrivo al traguardo che non mi sento stanca come dovrei perché magari ho voluto risparmiare delle energie, senza poi usarle fino in fondo.

Obiettivi a breve e lungo termine?

Dovrei fare gli italiani in pista a Noto, anche se non so in quali discipline. Ci terrei a fare l’omnium, la mia preferita, e magari la madison con Martina, oltre agli inseguimenti individuali e a squadre. Poi il 18 ottobre avremo il campionato italiano cronosquadre e puntiamo a vincerlo. Per il 2026 vorrei fare ancora più esperienza. Ho fissato qualche obiettivo. Mi piacerebbe fare bene a Cittiglio, al tricolore su strada, al Lunigiana e provare a vincere una tappa nei Paesi Baschi. So che sono tanti e difficili da conseguire, ma sono motivata a raggiungerli.

Terzo al Friuli, anche Garibbo rilanciato dal Team Ukyo

13.09.2025
5 min
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Terzo posto al Giro del Friuli per U23. Potrebbe sembrare un risultato come tanti. Per Nicolò Garibbo non è così. E’ l’apertura verso un mondo nuovo, prospettive diverse, una nuova realtà come corridore. Anzi, è quasi la scoperta di un nuovo se stesso, scaturito, lui come altri nel recente passato, dall’aver accettato la proposta di correre per una squadra del Sol Levante, il Team Ukyo.

Sembra diventato un ritornello, quello della formazione giapponese che rilancia corridori italiani ma sono i fatti a dimostrarlo. E il corridore ligure vuole inserirsi in questo fortunato filone, lanciandosi da un risultato internazionale di prestigio verso una nuova dimensione.

Il podio finale del Friuli U23, con Garibbo terzo dietro il vincitore Jasch (GER) e Umba (COL), (foto organizzatori)
Il podio finale del Friuli U23, con Garibbo terzo dietro il vincitore Jasch (GER) e Umba (COL), foto organizzatori)

«Io questo risultato non me lo aspettavo, non ero partito per questo. Sapevo di avere una buona condizione perché avevamo corso anche in Repubblica Ceca precedentemente e io non ero neanche selezionato per la corsa friulana. Poi un mio compagno ha avuto un problema fisico e quindi mi hanno inserito in squadra la settimana stessa. Il mio ruolo era quello di supportare il leader che era Fancellu o in alternativa Raccani o Zeray».

In quale maniera?

Le solite cose: entrare nelle fughe, i lavori nella prima parte, andare a prendere le borracce, ma poi la corsa si è evoluta in maniera inaspettata.

L’imperiese era già stato protagonista al Czech Tour, dopo una lunga e forzata sosta estiva
L’imperiese era già stato protagonista al Czech Tour, dopo una lunga e forzata sosta estiva
Quanto ha influito il fatto della cancellazione della terza tappa?

Secondo me tanto perché sicuramente quella tappa lì era veramente dura e avrebbe fatto dei bei distacchi. Non so se in quel caso sarei riuscito a fare classifica. Tra l’altro in quella tappa lì ero anche in fuga e quindi ci hanno ripreso poco prima della neutralizzazione. E’ l’unico rammarico, magari avendo avuto quella tappa lì più dura, potevamo vincere la generale con Fancellu perché era in una buona condizione. Alla fine si è deciso tutto l’ultima tappa, che era dura ma non abbastanza selettiva, quindi poi c’erano tanti rientri.

E’ stato un Giro del Friuli duro o meno duro degli altri anni, proprio considerando che è stata tolta la tappa principale?

Il livello era alto, considerando che c’erano praticamente tutti i devo team delle WorldTour e anche qualche corridore già titolare nelle squadre pro’. E’ chiaro però che la tappa annullata ha influito, sparigliando un po’ le carte perché la salita prevista era veramente impegnativa, quindi sarebbe rimasta nelle gambe per l’ultimo giorno.

Per tre volte Garibbo ha vinto la classifica di miglior scalatore: Tour de Kumano, Japan Tour e Czech Tour
Per tre volte Garibbo ha vinto la classifica di miglior scalatore: Tour de Kumano, Japan Tour e Czech Tour
La neutralizzazione è stata una decisione giusta?

Secondo me sì. Io non so esattamente dove sia avvenuto l’incidente, ma noi dovevamo anche rifare la salita, l’avevamo fatta in discesa per due volte, poi avremmo dovuto ripercorrerla in senso inverso. Nel caso in cui fosse stato lì l’incidente, mi sembrava abbastanza fuori luogo considerando anche la presenza di Carabinieri o comunque di chi era deputato a fare gli accertamenti e anche i sanitari. Per questo penso sia stata una decisione giusta, in certi casi l’aspetto sportivo deve passare in secondo piano.

Tu quest’anno sei nella formazione giapponese e anche tu stai raccogliendo bei risultati, sicuramente superiori a quella passata. Ma qual è il segreto del Team Ukyo, dove tanti italiani passano e rifioriscono?

Quando passiamo in questa squadra, troviamo un ambiente totalmente diverso da dove eravamo abituati prima, perché è molto professionale. Abbiamo già molto tempo prima il nostro calendario, i nostri preparatori, quindi riusciamo a programmare bene le gare e già quello è un vantaggio. Io ero abituato a correre sempre e a volte anche delle gare magari improvvisate all’ultimo, così non si riusciva mai ad arrivare agli appuntamenti importanti. Ma c’è anche altro…

Nel team giapponese il ligure ha trovato la sua dimensione ideale. E’ già confermato per il 2026
Nel team giapponese il ligure ha trovato la sua dimensione ideale. E’ già confermato per il 2026
Ad esempio?

Bisogna considerare anche il materiale: abbiamo delle belle biciclette, sicuramente performanti, leggere, doppia bici da allenamento e gara e poi credo che anche il direttore sportivo faccia la differenza. Emanuele è veramente portato per questo lavoro e alle gare comunque siamo un bel gruppo, ridiamo, scherziamo. C’è un bel clima e quello influisce molto. Boaro è davvero competente in quello che fa, noi arriviamo alle gare che sappiamo già lo svolgimento, la tattica da seguire, ma anche i punti importanti, ossia dove c’è il vento laterale, dove può esserci un punto pericoloso per le fughe. E’ un bel passo in avanti.

Tu per il prossimo anno che prospettive hai? Rimarrai nel team o stai guardando altrove?

In questo momento diciamo che il mio futuro è qua. La squadra mi ha confermato e io mi trovo bene. Poi da qua a fine stagione magari se riuscissi a ottenere qualche bel risultato e si facesse avanti qualche proposta di quelle veramente corpose, importanti, per salire di categoria allora la prenderò in considerazione. D’altronde anche per il team penso che l’obiettivo sia di cercare di farci salire ancora di livello. Qua diciamo che ho trovato la dimensione giusta, è un piacere alla fine correre per questa squadra.

Arrivato quest’anno al Team Ukyo, Garibbo ha corso 45 giorni, con 6 top 10 all’attivo
Arrivato quest’anno al Team Ukyo, Garibbo ha corso 45 giorni, con 6 top 10 all’attivo
Cambia molto per il vostro team correre in Italia, quindi dove è predominante la parte italiana, o quando correte invece in Estremo Oriente, quindi predomina la parte giapponese?

No, le uniche differenze sono magari il livello delle gare o comunque i corridori che ci sono, ma lo staff bene o male è quasi lo stesso in Italia e in Giappone. E’ un gruppo ben integrato, alla fine comunichiamo con l’inglese, è la lingua universale con cui possiamo intenderci anche con la parte nipponica.

Che cosa chiedi a quest’ultima parte di stagione?

Spero sicuramente di aver ritrovato un po’ la fortuna che quest’anno mi è un po’ mancata ad inizio stagione, quando mi ero rotto il gomito. Poi tante cadute, sembrava sempre che mi trovassi al posto sbagliato nel momento sbagliato. Nell’ultimo mese sembra che le cose girino meglio, quindi spero che da qua a fine stagione mi possa togliere qualche soddisfazione di quelle mancate quando ci speravo.