Mondiale appena finito, il punto con Amadio

14.08.2023
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GLASGOW – Il mondiale scozzese è finito, si vedono valigie e facce stanche. Intorno al quartier generale della FCI si sono formati capannelli. C’è Tommaso Lupi, cittì del BMX fresco del bronzo juniores di Tommaso Frizzarin. C’è Davide Plebani che ha corso il tandem con Bernard e ora ha raggiunto Elisa Balsamo. E c’è anche Roberto Amadio, team manager di tutte queste nazionali che hanno in comune la maglia azzurra e poco altro. Ciascuna ha le sue specifiche, il suo personale, le sue esigenze e metterle tutte insieme nello stesso evento deve essere stato un bel… giochino, di cui gli chiediamo conto.

Amadio è team manger delle nazionali. Qui è con Mario Scirea, suo diesse alla Liquigas
Amadio è team manger delle nazionali. Qui è con Mario Scirea, suo diesse alla Liquigas
Che cosa diresti volendo fare un bilancio a caldo?

La formula va sicuramente migliorata, ma potrebbe anche funzionare. Per quanto riguarda l’Italia, analizzando un po’ tutti i settori, sono abbastanza soddisfatto.

Cominciamo dalla pista?

Considerando il poco tempo che hanno potuto lavorare assieme con Villa, è andata anche bene. Con le ragazze non abbiamo raccolto medaglie, però siamo lì. C’è da aggiustare il tiro per quanto riguarda la preparazione e che le stesse ragazze siano consapevoli dei loro mezzi e determinate per fare questo tipo di lavoro. Fra gli uomini, abbiamo la garanzia di Ganna e Milan per l’inseguimento individuale e siamo sempre fra i primi con il quartetto. Anche Viviani con il bronzo ha fatto quello che doveva, ma lui non si accontenta mai. La cosa positiva è che ho visto un Elia ad altissimi livelli e questo in prospettiva è molto importante.

Ha detto che il prossimo anno vorrà correre di più in pista.

E questo vale per lui, ma un po’ per tutti i ragazzi e le ragazze. L’americana non puoi inventartela mezz’ora prima di salire in pista, sia come tattica sia come sincronismo nei cambi. Dobbiamo rimboccarci le maniche e lavorare sodo in prospettiva olimpica, perché abbiamo gli atleti per risultati importanti.

Viviani ha centrato il bronzo nell’eliminazione, mentre ci sono stati problemi di intesa nella madison
Viviani ha centrato il bronzo nell’eliminazione, mentre ci sono stati problemi di intesa nella madison
L’impressione è che l’avvicinamento delle ragazze a questo mondiale sia stato troppo pesante.

Il problema che ho evidenziato fin dall’inizio a Villa e Sangalli è che il calendario WorldTour è sovradimensionato rispetto alla qualità delle ragazze che ci sono. Di conseguenza sono quasi obbligate a farle tutte e arrivano in sovraccarico o con una preparazione inadeguata ad alcuni appuntamenti. In previsione delle Olimpiadi bisognerà vedersi con i manager delle squadre World Tour e capire con loro qual è l’avvicinamento migliore. Non vogliamo mettere in difficoltà le squadre, ma le squadre non mettano in difficoltà le ragazze, perché l’obiettivo Olimpiadi è importante e porta un valore anche a loro. Con Guercilena ho già parlato qualche mese fa e non ci saranno problemi.

Nonostante tutto e nonostante ragazze chiamate al doppio impegno strada e pista, ci sono i margini per recuperare?

Le ragazze sono quelle, sia per la strada che per la pista e dobbiamo averne la consapevolezza per gestirle nel modo migliore. Anche per loro però è importante capire quali sono gli obiettivi principali per la prossima stagione. Credo che siamo nella condizione di raddrizzare benissimo la situazione. Abbiamo 4-5 quarti posti sul filo dei centesimi di secondo, che potevano benissimo essere delle medaglie, quindi da questo punto di vista mi sento sereno. Credo che dopo questo mondiale siamo ancora più consapevoli di quello che bisogna fare.

Per quanto riguarda la strada uomini?

Abbiamo raccolto meno di quello che si poteva. Parlo degli juniores con Sierra che è arrivato quarto, ma senza un po’ di sfortuna poteva benissimo essere in lotta per la seconda o la terza posizione. Milesi è stato bravissimo nella crono, ma se negli ultimi 4 chilometri della gara su strada fosse stato più lucido, avrebbe portato via un’altra medaglia. Fra le donne elite non c’è stata storia, ma se avessimo avuto Longo Borghini, vedendo come sono andate le cose per tutta la stagione, lei sarebbe stata davanti a giocarsi la medaglia.

Montrose Street è stata l’emblema del circuito di Glasgow, ma il mondiale si è svolto su più sedi
Montrose Street è stata l’emblema del circuito di Glasgow, ma il mondiale si è svolto su più sedi
Medaglia che invece è venuta dalla mountain bike.

L’argento di Paccagnella fra gli juniores è un buon segnale, il settimo posto di Braidot conferma che siamo parecchio avanti. Chiaro che si guarda sempre alle medaglie, però guardando la qualità degli avversari, si può essere soddisfatti. Idem nella BMX, dove siamo andati in finale con tre ragazzi e non è poco. Negli elite siamo a livello di semifinali e anche lì c’è da lavorare nel senso della specializzazione. Col gruppo performance quest’anno abbiamo fatto dei passi in avanti che si vedono.

La velocità?

Era un settore scomparso da anni, al pari del paralimpico su pista: estinti proprio dalla Federazione. Col paralimpico in pochi mesi abbiamo dimostrato che ci siamo e abbiamo raccolto anche qualche medaglia. Stesso discorso con lo sprint: siamo lì, noni o decimi, a poco dalla qualificazione. E’ stato fatto un lavoro eccezionale, perché in un anno e mezzo non ci si inventa niente. Però la cosa positiva è che su ogni competizione abbiamo margine e le professionalità per lavorare bene.

Ti occupi anche del freestyle?

Quello è un mondo a sé, un po’ più difficile. Purtroppo credo che la qualificazione per le Olimpiadi sia molto lontana e quindi dovremo valutare di orientarci verso i giovanissimi per costruire qualcosa in prospettiva.

Il settore prestazione, guidato da Diego Bragato sta ottenendo ottimi riscontri
Il settore prestazione, guidato da Diego Bragato sta ottenendo ottimi riscontri
Sei soddisfatto della struttura che hai messo insieme?

Devo ringraziare innanzitutto le segreterie. Quella della strada, con Giorgio Elli, Elisabetta Tufi e Italo Mambro, e quella della pista con Francesca Butrico. Insomma, è stato un mondiale impegnativo perché abbiamo spostato quasi 300 persone, con la complicazione di non essere nella Comunità Europea. Però devo dire che è andato tutto molto bene.

Sul fronte tecnico?

Magari ci prendiamo quei 15-20 giorni per riflettere un po’ su quello che è successo. Qualcosa da rivedere c’è, non mi nascondo, anzi sicuramente qualcosa dobbiamo rivedere, però come ho detto prima: non siamo messi male. A Parigi, che sarà l’appuntamento principale dell’anno prossimo, arriveremo sicuramente bene.

Hai fatto spesso riferimento al gruppo performance.

Il gruppo di Bragato sta facendo un ottimo lavoro, sono molto contento di quello che stanno realizzando. Abbiamo fatto anche molta ricerca a livello di materiali e innovazioni. C’è da lavorare tantissimo ancora su questo, perché abbiamo degli atleti esigenti come Filippo che giustamente non lascia nulla al caso. Si è visto che si vince e si perde per delle sfumature che alla fine fanno la differenza. Ecco, per tutto questo, direi che alla fine è stato un buon mondiale.

Kopecky, un vero gigante: Glasgow sbancata con tre ori

13.08.2023
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GLASGOW – Forse è la vita che l’ha fatta arrabbiare e adesso ogni volta che sale sulla bicicletta, Lotte Kopecky ha una dedica da fare. L’ultimo inverno è stato duro. La morte di suo fratello Seppe, che era il suo idolo e l’aveva convinta a correre in bici, l’ha scossa fino alle fondamenta. Erano sempre insieme, anche nel fare le cose sbagliate. Poi la separazione da Kieran De Fauw, compagno e allenatore, che lo scorso anno l’ha guidata alla vittoria della Strade Bianche e del Fiandre e al secondo posto ai mondiali di Wollongong, l’ha costretta a riorganizzarsi la vita. Colpi che avrebbero potuto abbatterla, dai quali invece la fresca campionessa del mondo è uscita più dura e determinata.

Sul podio ai fianchi di Kopecky, la compagna Vollering e Cecile Ludwig
Sul podio ai fianchi di Kopecky, la compagna Vollering e Cecile Ludwig

Un anno molto duro

Così oggi, sul circuito di Glasgow che tanti avevano descritto come cucito sulle sue caratteristiche, Kopecky si è messa la vita sulle spalle e ha giocato le sue carte incurante delle altre. Soprattutto quando si è resa conto che le altre avevano riconosciuto la sua forza e mai e poi mai la avrebbero aiutata a raggiungere il suo obiettivo: il terzo titolo mondiale nella stessa settimana, dopo quelli dell’eliminazione e della corsa a punti in pista (cui va sommato il bronzo dell’omnium).

«Non so a cosa stessi pensando quando ho tagliato il traguardo – racconta – finora è stato un anno fantastico, ma anche molto duro. Non so cosa continui a spingermi, ma questa vittoria significa molto per me. Davanti alla morte di mio fratello avrei potuto decidere di restare sul divano di casa o di ripartire in bici: ho scelto la seconda. E questo è un sogno che si avvera. Sono migliorata tanto. Conosco il mio corpo e come reagisce. Penso di aver trovato buon equilibrio tra l’allenamento e la parte divertente del ciclismo. L’aspetto mentale è importante, mentre prima pensavo sempre e solo ad allenarmi. Invece ho imparato a stare bene come persona, quando non sono una ciclista».

E’ stato un anno pieno di successi, ma anche molto duro: commozione più che giustificata
E’ stato un anno pieno di successi, ma anche molto duro: commozione più che giustificata

Una gara nervosa

Potente come quando le gambe andrebbero anche da sole, Kopecky ha corso per tutto il giorno al vento, al punto da far pensare che la volesse buttare a tutti i costi, spalancando la porta a Vollering e Van Vleuten, ma anche a Marlene Reusser e la solita Cecile Ludwig. Invece quel che non era chiaro era la quantità pazzesca di forze ancora a sua disposizione.

«E’ stata una gara molto nervosa – dice – la collaborazione davanti non è stata la classica cosa che racconteresti quando torni a casa. Le incitavo perché mi aiutassero, ma non sapevo quale fosse la loro condizione, per cui ho cominciato a guardare solo me stessa. Non ero nervosa per le mie condizioni, ma Elise Chabbey era un minuto e mezzo davanti a noi e avevamo visto che su questo percorso non è facile riportare qualcuno indietro. Ero venuta a vederlo e avevo capito quanto fosse importante e necessario correre davanti, anche se significava spendere di più». 

Il diritto di vincere

La corsa infatti è cambiata dopo che Chabbey è stata ripresa e Kopecky ha potuto guardare finalmente in faccia le avversarie e attaccare per andare al traguardo. Lo ha fatto a 7 chilometri dalla fine e poi non si è mai voltata indietro.

«Devo ringraziare Sanne Cant per i suoi sforzi nei primi giri – spiega – e anche Justine Ghekiere ha fatto bene quando le ho chiesto di tenere il ritmo. Julie Van de Velde mi ha aiutato a rientrare nel gruppo dopo che ho dovuto cambiare bici. Ma ho davvero sentito che avrei vinto in cima a Montrose Street. La corsa è stata allo sfinimento. Non ero sicura, ma una volta che sono arrivata in cima a 1,5 chilometri dall’arrivo, ho capito che ce l’avrei fatta. Non è stato facile lottare contro le mie compagne di club, anche perché siamo ottime amiche. Ma oggi ognuna di noi sapeva di avere il diritto di vincere. Poi fuori corsa ci saremmo fatte reciprocamente i complimenti, come poi è successo».

Tre mondiali in 7 giorni

Dicono che in Belgio sia diventata popolare anche giù dalla bici, che non possa andarsene in giro senza essere fermata, al pari di quanto accade ai colleghi maschi. Lei arrossisce e ride, quasi non spiegandosi il perché ciò accada. Però poi tira fuori la grinta e molla un altro scatto.

«Il Belgio è un grande paese del ciclismo – dice – ma la parte femminile è in ritardo. Sono orgogliosa di aver dimostrato di poter vincere anche le corse più importanti. Spero che queste vittorie servano per convincere le ragazze e gli sponsor che c’è spazio anche per noi. Dopo i due mondiali in pista, ho pensato che sarebbe stato quasi impossibile aggiungerne un altro oggi. Tre volte campione del mondo in sette giorni. Troppo pazzo per spiegarlo con delle semplici parole…».

Batosta Italia, ma per queste ragazze togliamoci il cappello

13.08.2023
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GLASGOW – La corsa delle donne si è conclusa da poco. Tutto nel centro città parla di smobilitazione: un clima percepibile già dal mattino, rispetto al solito in cui l’ultima domenica viene dedicata alla corsa dei pro’. E in qualche misura anche la gara delle nostre ragazze ha avuto il sapore di una resa, dettata dalla stanchezza più che dalla mancata volontà. Così adesso le azzurre vogliono andarsene da questo circuito che le ha viste soffrire e perdere la bussola.

Cecchini ha provato da sola a entrare sulla testa della corsa, con la sensazione che la squadra non funzionasse
Cecchini ha provato da sola a entrare sulla testa della corsa, con la sensazione che la squadra non funzionasse

Cecchini in lacrime

Eppure con grande dignità, pur pensando di non avere nulla da raccontare, sono passate per la zona mista rispondendo alle domande. Elena Cecchini ci ha messo cuore, responsabilità e gambe e forse per questo alla fine è quella che (senza motivo) si sente di più addosso la sconfitta.

«Boh, non lo so cosa pensare di oggi – dice con la voce che si increspa – è come se non siamo mai state in gara. Mi sento un po’ la responsabilità di questa cosa, perché le mie compagne mi dicevano di prendere le decisioni, ma in quei momenti non è mai facile. Avevamo una squadra meno forte degli altri anni, senza la Longo che è un elemento sempre importante. Forse non avevamo dei ruoli ben specificati. Non piango solo perché non sono soddisfatta per oggi, ma anche perché è stata durissima. Penso che ci siano sempre tante aspettative su questo gruppo, perché negli anni abbiamo sempre fatto bene e ci rifaremo».

Dalle parole di Sangalli si capisce che solo Persico dava certe garanzie e in parte anche Paladin
Dalle parole di Sangalli si capisce che solo Persico dava certe garanzie e in parte anche Paladin

L’analisi di Sangalli

Il cittì Sangalli cerca di fare un’analisi rapida. Il mondiale di agosto ha sconvolto le preparazioni capitando nella stagione dei Giri, ma una cosa è certa: chi vorrà correre le Olimpiadi dovrà sottostare a qualche indicazione in più. Anche se sono le squadre a pagare gli atleti e oltre un certo limite non si può andare.

«Nella prima fuga dovevamo esserci e non c’eravamo – dice Sangalli – quindi ci siamo un po’ complicati la vita. Poi fortunatamente abbiamo rimediato, siamo entrati nel circuito e finché Silvia (Persico, ndr) è stata bene, siano stati presenti su ogni su ogni attacco. La situazione è stata questa, può succedere.

«Non avendo comunicazione con le ragazze, riuscire a impostare una tattica non era facile, ma non è un alibi. Abbiamo provato finché Silvia ha avuto forze. Credevo tanto in lei, però a sua difesa va detto che ha fatto una stagione molto intensa. Sta venendo fuori quello che sostenevo all’inizio dell’anno, che per arrivare a certi appuntamenti bisogna allenarsi e non solo correre. Ma il calendario è così intenso e le ragazze sono sempre le stesse…».

Persico la migliore dell azzurre: 12ª a 4’34”
Persico la migliore dell azzurre: 12ª a 4’34”

Gli straordinari di Persico

Silvia Persico ha sempre la battuta pronta, anche se è sfinita. Il percorso strizzava gli occhi agli atleti del cross? Ebbene, lei dal cross viene, ma oggi forse non ci ha pensato troppo. Ha corso il Giro e poi anche il Tour, perché la squadra l’ha convocata e ora la sensazione è che sia stato troppo. Ma lei cerca una via d’uscita nell’ironia. Il suo piazzamento se l’è guadagnato in volata (foto di apertura) ed è pronta a scherzarci sopra.

«Ho dato tutto quello che avevo – dice – ma oggi è stata una gara davvero dura fin dall’inizio. Una volta arrivati su questo circuito, ho capito di aver sprecato un po’ troppo a inizio gara seguendo Kopecky dovunque andasse, ma era quello che dovevo fare. Diciamo che non sono soddisfatta di questa prestazione, ma comunque ho dato tutto. Sono felice di quello che ho fatto e non devo avere impianti. Sapevo che potevo andare bene, però ho cercato di non farmi mettere troppa pressione. Alla fine volevo tirare per Chiara (Consonni, ndr) che era nel mio gruppo e avrebbe fatto dello sprint. Ma su uno strappo, si è staccata quando mi stavo staccando anch’io, quindi ho dovuto tener duro e fare lo sprint». 

Due mesi fa. Elisa Balsamo era ancora fuori combattimento: recupero sicuramente generoso
Due mesi fa. Elisa Balsamo era ancora fuori combattimento: recupero sicuramente generoso

Balsamo così e così

Elisa Balsamo al mondiale c’è arrivata di volata e forse a ben vedere, avrebbe potuto prendersela comoda e pensare prima a recuperare. Invece ha issato la bandiera della generosità e si è rimboccata le maniche. Ha corso il Tour fermandosi dopo sei tappe e poi è venuta qui.

«Per me sinceramente – dice – è già un ottimo risultato essere arrivata al traguardo. Non ho neppure avuto il problema di alimentarmi, perché su questo circuito si prendevano zuccheri liquidi, gel e quindi almeno quello non è stato un problema. E’ difficile essere soddisfatti, perché quando uno viene al mondiale vorrebbe sempre essere al 110 per cento della forma. E’ frustrante essere qui e sapere di non essere al massimo, però sinceramente se vado a vedere dov’ero due mesi fa, se riguardo l’immagine della mia faccia, sinceramente direi che va bene così».

Rimasta fuori dalla prima fuga, Paladin è entrata nella seconda, poi chiusa dalla Germania
Rimasta fuori dalla prima fuga, Paladin è entrata nella seconda, poi chiusa dalla Germania

L’anticipo di Paladin

Soraya Paladin ha mancato la prima fuga e si è sfinita in salita contro vento cercando di rientrare. Poi ha preso la seconda, ma era un tentativo a orologeria: destinato a finire presto.

«Sono finita, in tutti i sensi – dice – purtroppo è subito andata via la fuga e non c’era nessuna di noi. Allora in salita ho provato a chiudere, però c’era tanto vento contro e sono rimasta un po’ a bagnomaria. Ho sprecato tanto e poi siamo entrate nel circuito ed è andata via un’altra fuga ed ero dentro, però la Germania ha chiuso. E a quel punto le energie erano quelle. Era un giro impegnativo, quindi più risparmiavi, più ne avevi nel finale. Sapevo che con gente così era meglio provare ad anticipare. Poteva andare bene o anche male: diciamo che non è andata bene».

Cosonni è rimasta a galla almeno fino a che le ragazze più forti hanno aperto il gas: una bella prova di consistenza
Cosonni è rimasta a galla almeno fino a che le ragazze più forti hanno aperto il gas: una bella prova di consistenza

Sopresa Consonni

Chiara Consonni è stata forse la sorpresa. Mai avremmo immaginato che potesse tenere fino a quel punto, per le caratteristiche del percorso e per la pista che poteva avere ancora nelle gambe. Invece fino al momento in cui i grossi motori hanno alzato i giri, la bergamasca è stata lì.

«Non ho più energie – sorride – poteva andare meglio per Silvia (Persico, ndr), però davanti andavano davvero come delle moto. Per quanto riguarda la mia prova, sono abbastanza contenta. Peccato che potevamo fare di più, sono mancate le gambe quando hanno aperto il gas. C’è mancata un’ora di gara, l’ultima. Penso che chi ha vinto se lo meriti, perché hanno tutte una marcia in più. E’ stato un mondiale dove non ci si poteva nascondere, è stato durissimo».

La considerazione da fare, che non è un alibi, è che senza Elisa Longo Borghini e una Marta Cavalli al top della condizione, l’Italia delle ragazze non ha grosse carte da giocare su percorsi da classiche. Niente da recriminare, per questa volta anche le attese non erano stellari. Contro una iella come quella che ha colpito queste ragazze, forse neanche Lotte Kopecky avrebbe potuto fare qualcosa.

Francesca Polti, la sua azienda e i valori del ciclismo

13.08.2023
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Dall’altra parte di Linkedin, una decina di giorni dopo aver scritto il post alla vigilia del Giro d’Italia, Francesca Polti si trovò davanti al messaggio firmato da Basso. Come sia nato l’accordo fra l’azienda lombarda e la squadra di Ivan e Alberto Contador lo abbiamo raccontato la scorsa settimana parlando con il varesino. Ci incuriosiva però il punto di vista Polti, tornata al ciclismo 23 anni dopo il ritiro dalle scene. Intercettiamo perciò Francesca Polti, Presidente e Amministratrice Delegata presso Polti Group, con una chiamata da Glasgow. Il timbro di voce è schietto, il modo di affrontare gli argomenti diretto e con un fondo di passione che traspare nella scelta delle parole.

Qualche mese fa avevamo parlato con Emauele Galbusera, sponda Lampre, che con Polti divise la maglia del 1993 con cui Fondriest vinse la Sanremo e la Freccia Vallone. Raccontò il bello della lunga sponsorizzazione, ma spiegò che a suo avviso il ciclismo per un’azienda come la sua non sia più il veicolo promozionale più adatto. Parlare con Francesca Polti, ne eravamo certi e ne abbiamo avuto conferma, ci ha offerto un’altra prospettiva.

Buongiorno Francesca, facciamo un passo indietro. Si può pensare che in questi anni altri team manager siano venuti a cercarvi?

In realtà no. Abbiamo sponsorizzato singoli eventi oppure realtà molto locali. Va detto che l’azienda ha affrontato un periodo di crisi importante ed è cambiata molto da com’era prima. Per cui sponsorizzare un team non era neppure nelle nostre intenzioni.

Torniamo allora a Linkedin: lei scrive il post e Basso risponde…

In realtà non mi pare che abbia risposto subito. Quel post non avrei neanche dovuto farlo: ho un piano editoriale, ma non mi piaceva quello che mi avevano proposto. Così ho scritto io il testo. Ivan ha risposto dopo una decina di giorni. La mia assistente me lo ha segnalato, ma non ero neppure certa che fosse lui davvero. Invece mi hanno consigliato di rispondere e l’ho fatto.

Che cosa aveva scritto Ivan?

Non chiedeva sponsorizzazione. In questo messaggio scritto molto bene, raccontava il suo progetto, traspariva la sua passione nel parlare delle prospettive di futuro. Così ci siamo scambiati i numeri ed è finita che ci siamo visti con i nostri team ristretti a fine giugno. Fra le decisioni più importanti, è stata quella presa nel minor tempo.

L’azienda Polti fu fondata da Franco Polti nel 1978 a Olgiate Comasco (foto La Provincia)
L’azienda Polti fu fondata da Franco Polti nel 1978 a Olgiate Comasco (foto La Provincia)
Che cosa significa per Polti tornare in gruppo?

Nel momento in cui ci siamo scelti – mi piace parlarne così – abbiamo lavorato per adattare la nostra strategia a questa scelta, a livello di cambio di comunicazione istituzionale. Non stavamo cercando niente del genere, ma abbiamo capito subito che gli obettivi si sovrappongono perfettamente, per i Paesi dove la squadra andrà a correre e per la nazionalità dei corridori. Abbiamo assunto di recente un Direttore Commerciale Mondo, per agire nei Paesi dove il ciclismo e anche il marchio Polti sono ben conosciuti. Pertanto, ho messo tutto sul tavolo.

Tutto?

Ho spiegato le nostre possibilità e Ivan in risposta ci ha spiegato il mondo del ciclismo per come è cambiato negli ultimi anni, indicandoci anche le opportunità di crescita. Abbiamo visto una possibilità per entrambe le nostre squadre, perché mi piace considerare squadra anche la nostra azienda. Abbiamo visto una sovrapposizione di vedute in termini dei valori espressi dagli atleti. Nessuno si aspetta di vincere il Giro d’Italia il primo anno, tranne forse mio papà (ride, ndr). Ma nulla vieta che si possano vincere tappe e lavorare nel modo giusto per offrire un’immagine all’altezza.

Cosa ricorda degli anni del Team Polti?

Mio padre in quel periodo sponsorizzava la Benetton in Formula Uno, il Cantù nel basket e poi c’era il Team Polti. Si andava a vederli in elicottero. Sposando questo progetto ho risentito le emozioni di allora. Non ricordo episodi, solo emozioni. Di quando la gente fermava mio padre e lo incitava. Il ricordo della fatica dei corridori e la grande emozione di salire sul palco di una premiazione, come nella foto di quel post. Eravamo circondati dall’affetto dei tifosi.

Secondo Galbusera, il ciclismo potrebbe non essere più il veicolo giusto.

Secondo me invece funziona ancora e lo dimostrano gli investimenti che vengono fatti fuori dall’Italia. Noi dalla nostra parte abbiamo anche la storia. Dal 21 luglio quando è stato fatto l’annuncio, abbiamo avuto una grande visibilità mediatica. Non solo sui giornali di sport, molto anche sui social. Arrivano complimenti, suggerimenti, messaggi di bentornato, qualcuno ha già chiesto la maglia. Abbiamo il booster di poter sfruttare il nostro passato. Come dice Ivan, andiamo a prendere quelli che erano bambini e venivano alle corse con i nonni e ora sono i genitori e portano i figli a vedere il Giro d’Italia.

In cosa una squadra può essere funzionale alla vostra immagine?

Con i mezzi di oggi si può fare tanto. Quello che successe nel ciclismo quando anche noi uscimmo ha fatto sì che pochi poi ci abbiano creduto. Non ho cercato questa occasione, è venuta, ho studiato e ho la presunzione di dire che spero sia solo l’inizio di un bel ritorno. Il ciclismo è uno sport democratico che avvicina la gente. Quando si deve raccontare un prodotto, in comunicazione si parla di tutto meno che del prodotto stesso, perché si dà per scontato che funzioni e sia fatto bene. Oggi si punta sul far vivere un’esperienza e il ciclismo in questo può aiutare, perché racconta esperienze notevoli.

Con l’arrivo del nuovo sponsor, il progetto di Basso e Contador acquisisce più credibilità e nuovo vigore
Con l’arrivo di Polti, il progetto di Basso e Contador acquisisce più credibilità e nuovo vigore
In che nodo vi muoverete?

Io ho una visione aziendalistica e so bene che questo progetto ha bisogno di un’attivazione sul piano della comunicazione affinché alla lunga generi fatturato. Penso di riuscire a dare supporto al team anche in termini di idee. Ci può essere uno scambio, che sarà la nostra forza. Ivan lo trovo molto preparato, si percepisce che abbia studiato e non sia un ex atleta che si improvvisa nel nuovo ruolo.

Su cosa si basa per ora questa collaborazione?

Ci sono ascolto, fiducia e rispetto e non è così scontato metterli insieme in tre settimane. Un ascolto attento, senza la presunzione di dire all’altro come vanno le cose. Ci siamo incontrati con le nostre squadre. Ho coinvolto tutte le mie persone chiave e lo stesso hanno fatto loro. Abbiamo condiviso il nuovo modo di lavorare. E come punto di partenza, devo dire che non è affatto male.

Una sera d’agosto. Lariano saluta la sua Marta

13.08.2023
8 min
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LARIANO – Il ponentino romano, il tramonto che è nascosto dall’ombra dei Castelli Romani e una comunità che saluta la sua campionessa, Marta Bastianelli. Lariano festeggia la fine della carriera di una sua figlia che qui – e non solo, visto che ormai è anche per metà abruzzese – è di casa. E mentre oggi a Glasgow tra poche ore scatta il mondiale femminile, questa cerimonia sembra quasi un passaggio di testimone. Un passaggio che la stessa Bastianelli coglie in pieno.

«Potevo essere lì, qualcuno ci ha anche provato a farmi restare in corsa fino a fine stagione, ma dico la verità: sono felice di essere ora qui a festeggiare col mio paese. Sarei stata felice anche lì, però ho deciso questo e lo faccio con molta serenità».

È una festa vera ed ufficiale quella di Lariano. Ci sono i sindaci dei Comuni che riguardano Marta. Dopo gli omaggi nella sala consiliare, che il sindaco ci tiene a sottolineare essere la sala più importante del suo Comune, la cerimonia passa all’esterno, tra la piazza e le vie del paese riempite con foto di Marta quasi ad ogni angolo. E qui tra un piatto di pasta e un panino alla porchetta iniziano i racconti.

Anello magico

Si ripercorre la carriera di Marta e si parte dalla biciclettina rossa e verde – una delle tante esposte in piazza – con cui ha iniziato. 

«Una biciclettina che potrebbe essere quella con cui ho iniziato – racconta Bastianelli – ma che in realtà è di mio cognato Alessandro Proni, col quale in questi anni mi sono allenata per chilometri e chilometri. 

«Avevo 10-11 anni quando sono salita in sella. I miei cugini pedalavano e ogni volta restavo sola ad aspettare che tornassero. Così ho deciso di andare anche io. Di provare. Ma ero la sola ragazzina del gruppo Larianse e questo un po’ mi frenava. Però mi divertivo».

I ragazzi di Lariano pedalavano in un anello in un bosco. Era una striscia di asfalto fatta appositamente per loro. Su quei 1.200 metri, senza saperlo stava nascendo una campionessa.

«Fu costruita dai genitori, tutti misero un pezzettino. Si pedalava in sicurezza. C’era una sbarra e quindi senza macchine noi giocavamo. Mentre i genitori restavano lì a chiacchierare».

«Ricordo Marta che si allenava su questo anello – racconta Roberta Bartoli, vicesindaco di Lariano, e poco più grande di Bastianelli – e per noi bambine era strano vedere una bambina appunto, pedalare. Fare questo sport prettamente maschile. Ma Marta lo faceva con una naturalezza unica, lo faceva, e ce lo faceva percepire, come se fosse la cosa più femminile al mondo. E’ stato importante per noi. Fin quando poi negli anni a seguire quando c’erano le sue gare il paese si fermava a guardarla alla tv e anche in quel caso era motivo esempio, orgoglio, stimolo».

Nel 2007 Marta Bastianelli vince il mondiale elite, al primo vero anno da pro’. Da lì cambia tutto
Nel 2007 Marta Bastianelli vince il mondiale elite, al primo vero anno da pro’. Da lì cambia tutto

Donna e sport

Le parole della vicesindaco ci portano ad un altro tema, quello della Marta Bastianelli donna, mamma che fa sport ai livelli più alti.

Il suo percorso è stato specchio di un cambio del ciclismo e della società. Oggi è molto più normale che una ragazza pedali, prima Marta doveva andare in Toscana per fare qualche gara con le bambine, tanto per rendere l’idea. E riguardo all’evoluzione del ciclismo vissuto da Bastianelli lei stessa ha ricordato la grande evoluzione che ha vissuto con questo esempio: «Ho iniziato che avevamo delle maglie enormi e ho finito che delle maglie aderenti e su misura. Prima non c’era la maternità, ora sì. Ora siamo professioniste a tutti gli effetti».

Ma essere una pro’ e al tempo stesso moglie e mamma non è facile. Tutto è più duro. E oltre agli allenamenti, alle gare, all’acido lattico, alle problematiche che ci possono essere in una squadra ci sono i pensieri “di casa” e di chi per settimane a casa, appunto, non c’è .

Ma anche in questo caso Marta stessa spiazza tutti con una frase mica da poco, facendo emergere la parola più gettonata da coloro che, intervistati, la ricordano: determinazione.

«Io – dice Bastianelli – ho avuto il privilegio di vincere da mamma. Ad un certo punto della mia carriera, della mia vita, sentivo che mi mancava qualcosa. Volevo una bambina… ed è arrivata Clarissa. 

«Vero, dopo la sua nascita ho anche pensato di lasciare. Credevo tutto sommato di aver conquistato quasi tutto quello che potevo, ma poi la mia famiglia, i miei suoceri, i miei zii che mi hanno seguita sempre… mi hanno incentivato a continuare. Oggi mi rendo conto che per il successo la famiglia conta il 110 per cento. E’ il fulcro di tutto. E’ la squadra che c’è a casa».

Lituania e ritorno

I racconti proseguono. Servirebbe un libro per elencarli tutti. Uno dei momenti salienti è la prima trasferta con la maglia azzurra. 

Marta Bastianelli è una juniores. Una ragazzina che parte dietro ad un sogno che forse neanche lei in quel momento poteva capire quanto potesse diventare grande e concreto.

«Prima trasferta con la nazionale – racconta Marta – papà mi porta a Fiumicino e mi mette su un aereo per la Lituania. Lì facemmo una gara e la vinsi. Telefonai a casa due giorni dopo. Non c’erano gli smartphone all’epoca. Mi chiesero se ero arrivata, se il viaggio fosse andato bene. E io: “Sono arrivata, ho corso e ho anche vinto. Domani venitemi a prendere all’aeroporto”.

«Era diverso. Lì ho capito che sarei diventata un’atleta professionista».

Piazza Santa Eurosia si riempie per la sua Marta. La serata è stata presentata dal giornalista Jacopo Forcella
Piazza Santa Eurosia si riempie per la sua Marta. La serata è stata presentata dal giornalista Jacopo Forcella

Le ultime stagioni

E così è andata. Il mondiale al primo anno tra le elite… (tra l’altro prima vittoria da pro’), le tante gare, gli infiniti podi, l’Europeo, il Fiandre. I ricordi si accavallano e si susseguono mentre la piazza guarda il bellissimo video che racchiude queste perle e i commenti di familiari e amici che le sono stati vicini.

«Quando ho deciso di smettere? Dopo le Olimpiadi di Tokyo, non ricordo il giorno preciso, ma in quel periodo. Io avrei chiuso al termine di quella stagione, ma la mia squadra, la UAE ADQ , ha insistito per farmi andare avanti. Loro volevano una donna di esperienza, visto che il gruppo è piuttosto giovane. Sono andata avanti e anche se dovevo chiudere l’ho fatto con la massima serietà, la massima determinazione durante l’inverno. E infatti quest’anno ho vinto tre gare». 

«A volte penso che ci sarebbe stata ancora qualche gara da vincere, penso alla Roubaix, io voglio sempre vincere… ma ad un certo punto capisci che devi dire basta, che ti devi accontentare. Ho deciso di chiudere al Giro Donne perché è qui, in Italia, che tutto è iniziato.

«Nell’ultima tappa ad Olbia le altre ragazze, anche le campionesse, tutto il gruppo veniva a salutarmi, ad omaggiarmi. E’ stato un momento toccante, ma anche una festa. Quella tappa me lo sono proprio goduta».

«Nell’ultimo mese allenandomi sulle strade di casa mia a Lariano o a Notaresco, spesso avevo il magone. Qualche volta pensando che era l’ultima volta che avrei fatto quella salita o quella strada piangevo. Allora chiamavo mio marito (Roberto De Patre, ex pro’ anche lui, ndr) ma non ho mai avuto nessun ripensamento e Olbia stata una festa».

Marta Bastianelli (classe 1987) 55 vittorie nel sacco. Eccola ad Olbia, tappa finale del Giro Donne e ultima gara della carriera
Marta Bastianelli (classe 1987) 55 vittorie nel sacco. Eccola ad Olbia, tappa finale del Giro Donne e ultima gara della carriera

Futuro da scrivere

L’abbraccio di Lariano è davvero intenso. Più passano le ore e più la piazza si riempie. I momenti istituzionali si alternano con quelli informali. Ed è qui che forse si chiude il cerchio. Perché un’atleta gira il mondo, calca palcoscenici importanti, tv, interviste, fama… ma poi c’è il paese. C’è casa. E lì dove tutto è più concreto, tangibile ci si rende conto di quanto fatto di fronte a quelle persone che in qualche modo sono il tuo “specchio”.

«Effettivamente – conclude Marta – ti rendi conto di dove sei arrivata anche da queste piccole cose, che poi sono grandi cose. C’è qualcosa di più dell’atleta, probabilmente ho lasciato qualcosa anche come persona e questo credo sia la parte più importante».

Se l’atleta è completa, la donna ancora no. Il futuro è tutto da scrivere. E Marta Bastianelli ha tantissime pagine bianche da riempire, con suo marito, sua figlia, la sua enorme famiglia, il suo paese, la sua professionalità.

La tirano in ballo per molte iniziative con i giovani soprattutto. In effetti il suo è un patrimonio che sarebbe un delitto perdere. Di certo farà qualcosa con le Fiamme Azzurre, che ha ringraziato. Ma adesso è il tempo della festa, del riposo e della sua famiglia.

Pidcock folletto iridato, Van der Poel si ferma subito

13.08.2023
6 min
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GLASGOW – Sugli sterrati di Glentress Forest, delle polemiche e dei regolamenti su misura, la maglia iridata va a Tom Pidcock, che passa sul mondiale di cross country da specialista e non certo da stradista in gita premio, come purtroppo sono parsi Van der Poel e Sagan.

C’era così tanta attesa per la prova dell’olandese iridato su strada, da aver dimenticato che in questo ciclismo così specializzato, la mountain bike non fa certo eccezione. E se Ganna potrebbe aver avuto problemi nel passare dall’inseguimento alla crono, figurarsi se in sei giorni e senza una preparazione specifica, Van der Poel avrebbe potuto lottare ai massimi livelli nel fuoristrada.

Al via non hanno guardato in faccia più nessuno: la partenza è stata data ieri alle 15,30
Al via non hanno guardato in faccia più nessuno: la partenza è stata data ieri alle 15,30

Dalla quinta fila

La norma “salva star” che ha consentito a Pidcock, Van der Poel e Sagan di partire dalla quinta fila, ben più avanti di quanto il loro ranking avrebbe consentito, è servita quindi soltanto al britannico, che comunque ha dovuto inseguire per un bel po’ prima di arrivare in testa alla gara. Pensando ai tentativi della Ineos Grenadiers di farne un uomo da Tour e a quanto questo gli pesi, si capisce che il luogo della spensieratezza per Pidcock sia questo e nessun altro.

«I primi 4-5 giri sono stati velocissimi – ha commentato il fresco vincitore – è stato difficile tornare davanti dalla posizione mi trovavo. Un percorso super duro. Ma lo sapevo dall’anno scorso: il mondiale ha un livello diverso rispetto alle gare di Coppa del Mondo».

Sagan non ha fatto mancare le sue acrobazie, ma alla resa dei fatti ha pagato il conto in salita
Sagan non ha fatto mancare le sue acrobazie, ma alla resa dei fatti ha pagato il conto in salita

La regola riscritta

Il fatto, in breve. Per agevolare la partecipazione delle tre star della strada, l’UCI ha modificato il regolamento, consentendo loro di partire a ridosso delle prime file. Un bel vantaggio, se ricordiamo ad esempio la rimonta cui fu costretto Sagan alle Olimpiadi di Rio, quando partì dall’ultima fila. Uno strappo alla regola piuttosto evidente: basti pensare che nei giorni scorsi Viviani non ha potuto partecipare all’individuale a punti al posto dell’infortunato Consonni, perché non aveva i punti per farlo. Nella mountain bike hanno fatto finta di niente.

E così in un giorno luminoso e polveroso a due ore e mezza da Glasgow (dove non ha fatto che piovere), i nostri eroi sono partiti con grande enfasi. E mentre Sagan si è prudentemente defilato (chiuderà al 63° posto, a 7’14” da Pidcock), Tom ha dimostrato di sapere il fatto suo, mentre Van der Poel è caduto a una delle prime curve.

Vam der Poel è partito come Sagan e Pidcock dalla quinta fila, ma ha sbagliato per la foga di rimontare
Vam der Poel è partito come Sagan e Pidcock dalla quinta fila, ma ha sbagliato per la foga di rimontare

Imbarazzo Van der Poel 

Seduto davanti al camper della squadra olandese, l’iridato della strada è parso piuttosto scocciato e anche in imbarazzo. Dopo aver dichiarato per giorni di non avere un reale interesse per la mountain bike, la sua reazione e le sue parole hanno fatto pensare all’esatto opposto.

«La vittoria di domenica scorsa – ha detto, con una ferita sul viso e una sul ginocchio – è una bella consolazione, ma questa caduta toglie l’euforia e penso che sia la vergogna più grande. Ho battuto sulla stessa parte della gara su strada, quindi la ferita si è riaperta. Tuttavia questo è secondario: penso che la delusione superi il danno fisico. Mi è scivolata la ruota anteriore e ho fatto tutto da me. Sono piuttosto incavolato con me stesso, è stato uno stupido errore in una delle parti più facili del percorso. Continuare non era un’opzione, la botta è stata troppo forte. Parigi 2024? Sicuramente non smetterò di andare in mountain bike, ho notato in questa settimana quanto mi piaccia. E se andrò alle Olimpiadi, devo ringraziare Tom Schellekens, che sabato ha conquistato un posto per l’Olanda. Quindi sono stato fortunato».

La sicurezza di Van der Poel non trova grande corrispondenza nelle parole del tecnico olandese Gerben de Knegt: «Abbiamo visto che se Mathieu vuole trovare il tempo – ha detto a Het Nieuwsblad – può farcela. Ma deve essere in grado di dedicare del tempo al suo programma e questo è il più grande punto interrogativo. Non andremo a Parigi per finire decimi, sia chiaro. E un risultato migliore qui avrebbe comunque aiutato».

Guai per Pidcock

Intanto Pidcock, che alla fine di tutto ha dato un abbraccio di grande complicità alla compagna di club Ferrand-Prevot che si è ripetuta fra le donne, tira un sospiro di sollievo e sta alla larga da polemiche e rimostranze. Anche perché lui è il meno alieno fra gli ammessi in extremis, avendo già vinto due mondiali, gli ultimi campionati europei a Monaco ed essedo campione olimpico in gara.

«Alla fine della gara – ha detto visibilmente sollevato – si deve essere allentato qualcosa nel cambio, tanto che se forzavo, avevo continui salti di rapporto. Non sapevo se fermarmi e stringerlo di nuovo, perché temevo che la mia gara potesse finire da un momento all’altro. Non potevo andare a tutto gas per non sollecitare troppo la trasmissione, devo dire che gli ultimi giri sono stati parecchio stressanti».

Braidot si è piazzato settimo all’arrivo: lui è poco soddisfatto, ma alla base ci sono stati problemi tecnici
Braidot si è piazzato settimo all’arrivo: lui è poco soddisfatto, ma alla base ci sono stati problemi tecnici

L’onestà di Braidot

Migliore degli italiani è stato Luca Braidot, settimo all’arrivo, con un distacco di 1’41” che fa pensare comunque a una condizione molto buona.

«Sono un po’ deluso – ha detto – ma la gara è andata così, molto veloce. Ho avuto un piccolo problema tecnico al secondo giro e ho dovuto gestirla sino alla fine. Sono rimasto nel secondo gruppetto e nell’ultimo giro sono riuscito a staccare i 3-4 che erano con me e a guadagnarmi la 7° posizione.

«Riguardo la polemica sull’ordine di partenza dei tre stradisti, non trovo corretto che l’UCI abbia cambiato le regole all’ultimo giorno, però è un onore correre con questi atleti. E’ importante che vengano a correre da noi e sono felice della loro presenza. Pidcock è rientrato su di me veramente forte, aveva la gamba per vincere e l’ha dimostrato».

Iride U23 alla Francia. Milesi prova, gli altri cadono

12.08.2023
7 min
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GLASGOW – A Loch Lomond la pioggia ha dato tregua giusto il tempo che gli under 23 partissero, poi sul penultimo mondiale di questa rassegna così enorme si è abbattuto il diluvio universale. E lo scenario, anche quello tecnico, è cambiato dal giorno alla notte. Per questo, quando Milesi ha visto partire una fuga più numerosa di altre, si è infilato dentro e ha preso il largo. Non si poteva prevedere, ma certo immaginare in che razza di toboga si sarebbe trasformato con l’acqua il circuito finale. E’ bastato metterci sopra le ruote e tutti i piani sono saltati.

Milesi si è giocato la corsa: è arrivato quinto, ma ha avuto a lungo una medaglia nel mirino
Milesi si è giocato la corsa: è arrivato quinto, ma ha avuto a lungo una medaglia nel mirino

L’attacco e la borraccia

Tre ore e mezza dopo, il cielo di Glasgow è ugualmente grigio, ma per fortuna ha smesso di piovere. Il mondiale degli under 23 è andato nelle mani di Axel Laurence, compagno di squadra di Van der Poel, che per vincere ha scelto un attacco simile, ma da più lontano. C’era anche lui nella fuga del mattino assieme a Milesi e sarebbe forse ingeneroso nei suoi confronti dire che per staccarli di ruota ha aspettato il momento in cui l’italiano si spostava dalla fila su Montrose Street per prendere un rifornimento. L’attacco lo ha raggiunto come un colpo sotto al mento e per qualche centinaio di metri non è stato in grado di reagire.

«Diciamo che in quel momento – spiega trafelato Milesi dopo l’arrivo – stavo prendendo la borraccia. Lui ha attaccato sulla sinistra e ho perso un attimo. E se concedi quei 2-3 metri e sei già al limite, rientrare diventa dura. Ho rischiato 5-6 volte di cadere, ho scodato un po’ dappertutto, però vabbè, ci sta: era uguale per tutti, quindi va bene così».

Il tempo che il gruppo mettesse le ruote nel circuito (questa è Montrose Street) e la corsa è esplosa
Il tempo che il gruppo mettesse le ruote nel circuito (questa è Montrose Street) e la corsa è esplosa

In fuga da lontano

Laurence corre con la Alpecin-Deceuninck Development Team e non è un ragazzino qualunque. Quest’anno ha vinto tappe al Circuit des Ardennes e al Tour of Alsace, gare di classe 2, ma lo scorso anno, quando ne aveva 21, ha avuto la… sfrontatezza di arrivare secondo dietro Van Aert a Plouay.

«Non era nei piani attaccare dal mattino – dice della sua presenza nella prima fuga – ma a causa della pioggia la corsa è diventata dura e nervosa in ogni curva, così ho deciso di seguire un gruppo. Alla fine è stato meglio essere davanti e mantenere il mio ritmo. Ho aspettato a lungo per attaccare e sapevo che la differenza era costantemente di circa 40-50 secondi. Sono stato in grado di salvare le gambe il più possibile e quando da dietro sono arrivati i primi inseguitori, io me ne sono andato. Dovevo provarci e le gambe sono andate bene».

Tutti giù per terra

Il primo dei nostri a cadere è stato Belletta che ne esce con due punti sul ginocchio, a causa del taglio rimediato: il rischio concreto è di non andare al Tour de l’Avenir. Nella stessa caduta sono andati giù anche Busatto, Buratti e Romele. I nostri avevano un piano che prevedeva la superiorità numerica, invece in pochi giri gli azzurri si sono ritrovati uno per angolo, senza la possibilità di comunicare fra loro.

«Milesi – racconta Amadori davanti al pullman – era nell’azione giusta al momento giusto. Sapevamo che in un percorso del genere, specialmente se pioveva e la strada era bagnata, chi si trovava davanti, faceva meno fatica di quelli dietro. Con Milesi dovev esserci anche un altro, ma va bene così. Invece quello che è successo dopo non è dipeso da problemi fisici, ma da incidenti e cadute. Romele è stato eliminato. Buratti è stato eliminato. Busatto e Belletta, la stessa storia. Se questi ragazzi fossero rimasti in gara, nel finale con Svrceck e Morgado ci sarebbe stato anche uno di loro veniva tutta un’altra corsa».

«Questi mondiali li abbiamo preparati tantissimo. Abbiamo fatto altura, abbiamo fatto una corsa in Francia proprio in preparazione. Abbiamo lavorato tantissimo a questo mondiale perché ci credevamo e avevamo dei corridori adattissimi a questo tipo di percorso e l’hanno dimostrata. Peccato, perché purtroppo contro la sfortuna possiamo fare ben poco».

Attacco per il podio

A questo punto del discorso, Milesi fa fatica a sentirsi deluso. Gli scoccia il modo un po’ frettoloso con cui ha gestito il finale, tirando quasi la volata agli altri, ma mettendo sulla bilancia la vittoria nel mondiale a cronometro, questo quinto posto è un podio sfumato, ma anche la conferma della condizione e della consistenza.

«C’è un po’ di disappunto per come me la sono giocata alla fine – ammette – però ci ho provato ed è andata come è andata. Non posso essere deluso. Due giorni fa ho vinto la crono e non posso dire che fosse un discorso scontato. Ero venuto per provare il podio, ma non puoi mai sapere come andrà a finire. Oggi ho fatto quinto: una medaglia era meglio, ma sono contento.

«Era difficile fare diversamente. Ho provato ad attaccare sull’ultimo strappo per provare a prendere il francese, ho visto che c’era un piccolo buco e ho deciso di tirare dritto per fare almeno il terzo posto. Invece hanno chiuso. Se si poteva prendere prima? Quando sono rientrati da dietro, potevano benissimo lasciarci lì, allora ho fatto un po’ il furbo e dopo un po’ che tiravano i livelli si sono avvicinati e ce la siamo giocati quasi alla pari».

Ha visto le stelle

Lo scorso anno, come molti, Laurance è rimasto senza squadra per lo scioglimento della B&B Hotels-KTM. Per questo si è accasato nel team belga, correndo a metà fra la continental e la WorldTour. La sua scelta di partire in contropiede ha pagato, anche se il suo vantaggio è rimasto sempre intorno ai 15 secondi e la sensazione che potessero riprenderlo non se ne è andata se jon sul traguardo.

«Sapevo che su questo percorso era possibile fare qualcosa del genere – dice – ma non ci ho creduto fino agli ultimi 500 metri. Ero completamente al limite. E’ incredibile, ho dato tutto e nell’ultimo giro ho visto le stelle».

Sul podio l’hanno raggiunto i genitori, in uno di quei fuori programma cui fi fa fatica a credere trattandosi di un mondiale. Quella foto la terranno sul camino per il resto dei loro giorni. Anche se la qualità del ragazzo fa pensare che altre vittorie di certo verranno.

Bilancio e futuro del Tour de Pologne: ecco Lang e Lelangue

12.08.2023
5 min
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«Quale bilancio? Direi formidabile. Avevamo tre tappe per velocisti, una crono, tre di montagna e non è mai successo che arrivassero alla vigilia dell’ultima tappa con due corridori staccati tra loro da meno di un secondo!». Czeslaw Lang è euforico della “sua creatura”, il Tour de Pologne. E ne ha ben ragione. In effetti è stato uno spettacolo assistere a questa corsa e lo è stato per più motivi, primo dei quali quello tecnico.

Rafal Majka sempre applauditissimo dal pubblico polacco
Rafal Majka sempre applauditissimo dal pubblico polacco

Con Lang

Con appunto il patron Lang e il suo braccio destro, nonché direttore di corsa John Lelangue, che quest’anno si è unito al gruppo del grande ex pro’ polacco, ripercorriamo i punti salienti di una corsa che cresce sempre più e che ormai è un caposaldo del WorldTour nonostante venga immediatamente dopo il Tour e quest’anno, immediatamente prima dei mondiali.

Signor Lang, si cresce…

Guardando al totale dico che è una bellissima gara, con grandi corridori e tantissima gente lungo le strade. 

E questo è un elemento che abbiamo notato e che le avremmo chiesto: la gente.

In Polonia amano il ciclismo. Due anni fa su sette tappe abbiamo contato 4,5 milioni di spettatori e credo che quest’anno siamo stati su quei livelli (nonostante si siano riaperte le frontiere e la gente vada in vacanza dopo il Covid e la vicina guerra ucraina, ndr). E poi tanti fanno il tifo, partecipano, tutte quelle bandiere polacche… c’era felicità. Portiamo energia positiva.

La Polonia è molto grande, ma le tappe sono solo sette. Avete delle richieste dalle vostre città?

Ogni anno cambiamo zona e diamo un po’ la possibilità a tutti, perché una gara ciclistica non è solo sport, ma è anche promozione del territorio. E in questo abbiamo ripreso molto dagli italiani, dai francesi. Dalle località c’è richiesta. Anche perché abbiamo cambiato modo di fare vedere la gara, nelle immagini, nelle ore di diretta televisiva… e ora tutti si vogliono far vedere.

Sempre belle le location del Tour de Pologne. Quest’anno si è toccato molto più il sud della nazione
Sempre belle le location del Tour de Pologne. Quest’anno si è toccato molto più il sud della nazione
Avete investito molto sulla sicurezza. Abbiamo visto le transenne Boplan nei 500 metri prima dell’arrivo e i 50 metri successivi.

Questo aspetto lo abbiamo sempre curato. Sempre. Ma siamo anche stati sfortunati. Abbiamo Boplan, abbiamo tanto personale. Lungo la crono, per esempio, su 16,6 chilometri c’erano dislocate oltre 400 persone.

Ultima domanda Signor Lang, una domanda di colore: Kwiato ha vinto il mondiale, recentemente anche la tappa al Tour, eppure quando arriva Majka il tifo aumenta. Come mai?

Eh – ride Lang – perché Rafal è più aperto. Lui ride, scherza, si concede di più alla gente. Michal invece è più concentrato sulla gara, ma posso garantirvi che anche a lui vogliono tanto bene.

Sicurezza in pole position con Boplan al Polonia dopo l’incidente di Jakobsen
Sicurezza in pole position con Boplan al Polonia dopo l’incidente di Jakobsen

Con Lelangue

Da Lang a Lelangue… e non è uno scioglilingua. John è stato team manager della Lotto fino allo scorso anno. Poi ha ripreso il suo ruolo di organizzatore. Agisce con passione e sembra far parte del Tour de Pologne da anni.

John sei stato un team manager e ora fai parte della macchina organizzativa: cosa significa “incastrare” questa gara tra due eventi così importanti?

Penso che il calendario è complicato. Ma meglio così, che anticipare al lunedì dopo il Tour. Io credo siano delle buone date. E’ di certo un anno particolare, tanto più con il mondiale multidisciplinare. E’ complicato per l’UCI e anche per i team WorldTour. Ma nonostante tutto abbiamo avuto un ottimo livello e un’ottima starting list.

La Polonia è grande e come ci ha detto anche Lang c’è tanta richiesta da parte delle città per ospitare il Tour de Pologne: si può pensare di aumentare il numero delle tappe in futuro?

No, o comunque è molto, molto difficile. Con il calendario del WorldTour una settimana per una corsa a tappe, grandi Giro esclusi, va bene. Altrimenti tutto si comprimerebbe troppo. Sarebbe troppo complesso. Un giro di 10-12 giorni non avrebbe senso nel calendario attuale. Credo che mantenere questo numero di frazioni sia giusto. In questo modo hai una bella lista di partenti, i corridori possono preparare bene i loro impegni successivi e anche gli staff non sono enormi. In questo modo qualcuno può sfruttare l’onda lunga del Tour. Con più tappe non sarebbe possibile. Idem guardando alla Vuelta. Vero, la Polonia è grande ma una volta andiamo più a Nord un’altra più a Sud, una volta ad Est…

Verso Bielsko-Biala tanto dislivello e ritmi alti ma nessun attacco. Ha inciso anche il fatto che l’ultimo strappo duro fosse a 41 chilometri dall’arrivo?
Verso Bielsko-Biala tanto dislivello e ritmi alti ma nessun attacco
Tornando all’edizione di quest’anno, forse è mancata una grande salita o una delle salite più dure più vicine all’arrivo. Cosa ne pensi?

C’era un tappone con 3.100 metri di dislivello ma se il gruppo non ha attaccato noi cosa possiamo fare? Non fa differenza. Noi facciamo il percorso. Quella tappa era pensata per far esplodere la classifica. Ci sono stati scalatori che non hanno fatto niente, se non impostare un grande ritmo. Ma alla fine sono arrivati 80-100 corridori. Oggi spesso la selezione si fa nella salita finale e alla fine in questo Tour de Pologne ha fatto più selezione l’arrivo sullo strappo dei Carpazi che non il tappone.

Bene invece i circuiti finali. Portano gente. E’ una strategia che manterrete?

Portano gente anche le location di partenza ben ponderate. Se il circuito finale si può fare, lo facciamo altrimenti no. Non deve essere pericoloso, deve essere scenico, ci deve essere una valenza tecnica e sportiva. Ad Opole per esempio non aveva senso, a Cracovia sì. 

Cattaneo, la roulette del vento e quegli ultimi 100 metri

12.08.2023
4 min
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STIRLING – Quando ti fermi a pensare che soltanto sette campioni al mondo sono stati più forti di te nel massimo evento della crono, magari ti accorgi di aver fatto davvero una gran cosa. Per questo c’è da capire che dopo l’arrivo ieri Mattia Cattaneo sprizzasse felicità. Soltanto Italia, Belgio e Gran Bretagna sono riuscite a mettere due atleti nei primi dieci, segno che sul fronte delle crono non siamo messi poi tanto male, avendo vinto quella degli under 23, preso il bronzo fra le donne junior e centrato un bel sesto posto con gli juniores.

«Sono super contento – ha detto appena tagliato il traguardo – ho trovato il percorso molto lineare, con il vento che ha dato fastidio. All’inizio è di fianco, poi giri a destra e diventa a favore, poi giri a sinistra e torna di fianco, infine giri a sinistra e te lo trovi in faccia. Quindi è stato un continuo cambiare impostazioni sulla bici. Non so se si potevano scegliere altri materiali. Quelli che io chiamo “gli scienziati” hanno studiato e stabilito che le ruote che ho usato fossero le più veloci, quindi probabilmente è stato così».

Un tatuaggio che invita al buon umore: sorridi sempre, ottima massima di vita
Un tatuaggio che invita al buon umore: sorridi sempre, ottima massima di vita

Di mattina su strada

In mattinata, mentre Ganna ha preferito restare sui rulli, Cattaneo ha scelto di andarsi a fare un giretto su strada, poi insieme sono arrivati al bus Vittoria che erano le 14. Qualche autografo e ne sono scesi per scaldarsi sui rulli un’ora prima delle rispettive prove, separate fra loro da appena venti minuti. Gli auricolari nelle orecchie, l’asciugamano sulla ruota anteriore, Mattia ha iniziato a pedalare intorno alle 14,50, in un momento in cui sul piazzale ai piedi del castello di Stirling batteva un bel sole caldo e il vento continuava a far sventolare le bandiere. Il gilet ghiacciato lo ha fatto rabbrividire, ma gli ha consentito di scaldarsi mantenendo costante la temperatura corporea.

I meccanici avevano già preparato le tre bici: quella da gara, quella da riscaldamento e quella di scorta. Per ciascuna hanno ripassato la pressione delle gomme, per essere certi che non vi fossero differenze. In queste giornate attorno al bus della nazionale c’è un andirivieni di figure di ogni genere: dal metodologo alla psicologa, gli addetti ai social, il fisioterapista, ovviamente i meccanici, qualche giornalista e per finire le autorità federali

Archetti, Catabiani e Cornacchione al capezzale della ruota anteriore di Cattaneo
Archetti, Catabiani e Cornacchione al capezzale della ruota anteriore di Cattaneo

L’arrivo sullo strappo

La grossa incognita della crono, tolto il vento, era il muro finale, che ha tenuto banco nell’osservazione delle altre crono per la scelta dei rapporti migliori.

«Me lo immaginavo – ha spiegato Cattaneo – come uno sforzo molto più prolungato. Quando arrivi dopo una cronometro così impegnativa, uno strappo così ti sembra che duri 5 minuti. Invece in realtà è stato molto veloce fino agli ultimi 100 metri e poi da lì è stata solo sofferenza. Fra i 15 e i 20 secondi, non so neanche io quanti ne siano passati per arrivare al traguardo. Però in realtà credevo che fosse molto più lungo».

Mattia Cattaneo ha corso la crono a 50,081 di media, chiudendo a 1’57” da Evenepoel
Mattia Cattaneo ha corso la crono a 50,081 di media, chiudendo a 1’57” da Evenepoel

Venti watt in più

Non c’è stato neppure il tempo per Cattaneo di dare qualche indicazione a Ganna, dato che si sono ritrovati sul percorso contemporaneamente. E così il bergamasco è arrivato al traguardo con una ottima prova fra le mani che premia gli sforzi fatti nella specialità con il supporto della squadra. Sin da quando volò a San Francisco con lo stesso Evenepoel per il primo passaggio in galleria del vento, passando poi per ottime prove al Tour, i podi al campionato italiano, infine la vittoria di pochi giorni fa al Tour de Pologne.

«Eravamo troppo vicini perché gli dessi indicazioni – ha spiegato – così ho fatto la mia bella prova e l’ho tenuta per me (ha sorriso, ndr). Non ho rimpianti. Dico solo che ho fatto 20 watt in più medi di quelli che erano nel mio programma, quindi me ne vado da questo mondiale con ottime sensazioni e la soddisfazione di aver fatto un ottimo investimento sulla cronometro».