Avenir Femmes, Sangalli punta su Realini, ma occhi aperti…

26.08.2023
7 min
Salva

In queste ore c’è un altro gruppo azzurro in viaggio sulle strade francesi. E’ la nazionale U23 femminile pronta a dare battaglia al Tour de l’Avenir Femmes che partirà lunedì 28 agosto, all’indomani della fine di quello maschile. Barale, Ciabocco, Masetti, Pellegrini, Realini e Tonetti sono le sei ragazze selezionate dal cittì Paolo Sangalli per le cinque tappe che assegneranno la maglia gialla delle giovani.

La nuova corsa suscita curiosità e contemporaneamente anche tanta considerazione da parte delle venti nazionali partecipanti. La lista delle atlete presenta nomi importanti, ma la categoria U23 è spesso imprevedibile perché di gare solo dedicate a loro ce ne sono ancora poche, figurarsi di questa importanza. Bisognerà tenere sott’occhio più di una formazione anche se l’Italia ha tutte le carte in regola per essere una dei fari della gara. L’impressione è che l’Avenir Femmes possa essere la prima occasione per Sangalli e il suo staff di prendersi una piccola rivincita morale dopo il mondiale di Glasgow per poi tornare sugli standard tipici delle azzurre all’europeo. Alla vigilia della trasferta in Francia ne abbiamo parlato col cittì.

Il percorso

Apertura dal dipartimento di Saona e Loira con una crono vallonata di 15 chilometri. La seconda frazione strizza l’occhio a sprint di gruppo o colpi di mano nel finale, poi si inizierà a salire. Antipasto nel finale del terzo giorno sulle colline del Giura. Quarta tappa corta ed esplosiva (circa 2.000 metri di dislivello in meno di 80 chilometri) per giungere in cima a Megeve, già sede di traguardi maschili.

Venerdì primo settembre ultima giornata sulle Alpi dal profumo di vero Tour de France. Si parte da Saint Gervais Mont Blanc, si attraversa Combloux (teatro della super crono di Vingegaard) e si scaleranno due montagne importanti dove Ciccone ha ipotecato la maglia a pois: il Col de Saisies e la Cormet de Roselend (la vetta de l’Avenir con i suoi 1.968 metri). In pratica si ricalcano i primi 85 chilometri di quella 17esima tappa col finale arricchito da un gpm di seconda categoria a pochissimo dalla fine che potrebbe essere il trampolino di lancio definitivo per le contendenti alla generale.

Gaia Masetti trionfa a La Classique de Morbihan, sua prima vittoria UCI da elite. Sarà una pedina importante per l’Avenir Femmes
Gaia Masetti trionfa a La Classique de Morbihan, sua prima vittoria UCI da elite. Sarà una pedina importante per l’Avenir Femmes
Tutto pronto per la Francia?

Direi proprio di sì. Partiamo con due massaggiatori, due meccanici e tutta l’attrezzatura necessaria. Non vogliamo lasciare nulla al caso col nostro staff, che fa sempre un lavoro encomiabile ed è un vanto per noi. Ai mondiali, ad esempio, considerato lo stato delle strade non abbiamo avuto forature o troppi problemi meccanici, a parte il guaio a Persico. E nessuna ha risentito di infortuni o dolori muscolari. Io faccio la mia parte ma senza di loro farei molto poco. Inoltre, sapendo che alcune notti si dormiranno tutte assieme in convitti o strutture simili, la Federazione ci mette a disposizione il bus con la cucina per avere pasti più adeguati, specie a colazione. Sarà importante mangiare e recuperare bene. Sono tutti aspetti che possono fare la differenza. Ma non ci fermiamo qua…

Cosa farete in più?

Domani mattina, mentre ci recheremo alla sede della prima tappa dove ci saranno tutte le operazioni preliminari, dovremmo riuscire a vedere il percorso dell’ultima tappa. Visto che stasera non dormiamo troppo distanti, vogliamo cercare di capire come sarà il percorso e studiare le eventuali tattiche da attuare.

Pellegrini dopo la maturità ha trovato la condizione giusta per guadagnarsi la chiamata all’Avenir Femmes
Pellegrini dopo la maturità ha trovato la condizione giusta per guadagnarsi la chiamata all’Avenir Femmes
Quindi si parte per puntare al bersaglio grosso?

Tutti questi dettagli, se possibile, si curano a prescindere, soprattutto se quello è il tuo metodo di lavoro. All’Avenir vogliamo fare del nostro meglio in ogni tappa, poi vedremo come si metterà la corsa. Non ci siamo solo noi, ma penso alla Francia, Olanda, Germania, Gran Bretagna o altre nazionali che possono essere più di outsider. Bisogna tenere conto che controllare una corsa del genere con sei atlete non sarà semplice. Noi partiamo con un profilo molto basso però è ovvio che con Realini non possiamo nasconderci più di tanto.

Sarà lei la leader unica o hai pensato ad una seconda punta per la generale?

Con i podi conquistati a Vuelta e Giro Donne Gaia (Realini, ndr) parte con i gradi di capitano inamovibile. Ha preparato molto bene questa corsa e per questo devo ringraziare molto la Lidl-Trek, che sotto questo punto di vista lo trovo un team illuminato. In alternativa potrebbero esserci sia Barale che Ciabocco. E’ tutto l’anno che tirano per le loro leader, quindi sanno prendersi delle responsabilità. Anche per loro vale lo stesso discorso di Realini e pertanto ringrazio la DSM. Ma questo discorso è il medesimo anche per i club delle altre ragazze.

Sangalli ha premiato la generosità e la crescita di Tonetti, che recentemente ha centrato una vittoria open in Veneto
Sangalli ha premiato la generosità e la crescita di Tonetti, che recentemente ha centrato una vittoria open in Veneto
Loro avranno il compito di svolgere un lavoro più oscuro?

Dipende da come andrà la crono. Masetti è cresciuta tanto quest’anno e ha dimostrato di andare forte anche in gare impegnative. Ha accumulato già molta esperienza internazionale. Pellegrini è una ragazza giovane che conosco bene, di grande prospettiva. Le abbiamo fatto fare la maturità senza pressione e adesso ha una condizione giusta. Tonetti è un’altra ragazza veloce, che non ha paura né di tirare né di andare all’attacco. Anche lei potrebbe avere la possibilità di fare qualcosa. In generale però ognuna delle sei ragazze sarà al servizio delle compagne. In questo caso devo dire che sta uscendo l’ottimo lavoro dei training camp invernali in Spagna dove alcune di loro non si conoscevano ed ora sono diventate ottime amiche. Questo è già un risultato per quello che mi riguarda.

Guardando le tappe il cittì Paolo Sangalli ha pensato a qualche tattica in particolare?

Come dicevo prima, vedremo come andrà la crono iniziale, sperando di limitare i danni. Anche se le tappe non sono lunghissime, se si vuole c’è comunque spazio per recuperare eventualmente il terreno perso. In ogni caso credo che quasi certamente si deciderà tutto negli ultimi due giorni, se non addirittura nella frazione finale. Ci saranno tre gpm per un totale di 40 chilometri di salita su 98 di gara e di pianura ce ne sarà poca. Un corridore come Realini è tagliata per una tappa così però vediamo come arriveremo in fondo. Ora pensiamo solo a partire bene.

Barale e Ciabocco per il cittì Sangalli sanno prendersi responsabilità e possono essere delle alternative a Realini
Barale e Ciabocco per il cittì Sangalli sanno prendersi responsabilità e possono essere delle alternative a Realini
Avvertite un po’ di pressione?

L’Avenir Femmes è praticamente come un mondiale a tappe per le U23 con tutte le migliori, fatta qualche eccezione come l’iridata Vas (l’Ungheria non partecipa, ndr). Noi vogliamo onorare una gara importante che tra i maschi ha lanciato fior di campioni. Sono già contento che ci diano come la squadra più forte (sorride, ndr) ma non sarà semplice. Non voglio responsabilizzare troppo le ragazze. Di sicuro so che ci vorrà attenzione. Non voglio che succeda più una situazione in cui dobbiamo inseguire come è successo a Glasgow quando non abbiamo centrato la prima fuga. E’ stata un’eccezione per noi ma abbiamo imparato la lezione.

Quanto sono cambiati i tempi di recupero? Spiega Guardascione

26.08.2023
4 min
Salva

Si continua a dire che per vedere il miglior Bernal bisognerà attendere il prossimo anno, che questa stagione è fondamentale per il recupero. L’incidente che ha messo fuorigioco il colombiano, all’inizio del 2022, ha conseguenze che si protraggono ancora oggi. Bernal è tornato a correre un grande Giro solamente nel 2023, con il Tour de France (nella foto di apertura alla presentazione della 20ª tappa). A poche settimane di distanza è stata annunciata la sua partecipazione alla Vuelta, altro gradino importante verso la scalata alla sua miglior condizione. 

Dopo la caduta alla Vuelta del 1994 (a destra nel fermo immagine della volata) Cipollini recuperò in tempi record
Dopo la caduta alla Vuelta del 1994 (a destra nel fermo immagine della voltata) Cipollini recuperò in tempi record

Il punto di vista medico

Carlo Guardascione, medico del team Jayco-AlUla, è uno dei nomi più noti ed importanti del gruppo. Abbiamo deciso di chiedere a lui un parere su quelle che sono le tempistiche di recupero. Ora i tempi sembrano allungarsi e non poco, si parla sempre più di “stagione di recupero”. Anche in passato era così oppure si tratta di un cambiamento portato dal ciclismo moderno?

«Bisogna fare delle distinzioni – spiega Guardascione – tra traumi singoli e politraumi. Dal punto di vista medico è meglio rompersi il femore in tre punti diversi e sottoporsi ad un’operazione, piuttosto che subire un politrauma come quello di Bernal. Un incidente come il suo allunga notevolmente i tempi di recupero, perché si subiscono diversi scompensi che poi l’atleta si porta dietro una volta tornato in bici».

Nonostante il grave infortunio, Jakobsen (che vola oltre la transenna) in meno di un anno torna a correre e a vincere
Nonostante il grave infortunio, Jakobsen (che vola oltre la transenna) in meno di un anno torna a correre e a vincere

Jakobsen ed Evenepoel

Uno degli incidenti più recenti, accaduti in corsa, che è rimasto maggiormente nella memoria dei tifosi, è quello di Jakobsen al Tour de Pologne del 2020. L’altro è la caduta di Evenepoel al Giro di Lombardia dello stesso anno. 

«Jakobsen – dice Guardascione – ha subito un trauma facciale spaventoso, ma una volta sistemato è riuscito a tornare in sella in tempi davvero brevi. Per quanto brutto e doloroso possa essere un trauma come quello di Jakobsen o dello stesso Evenepoel sono più “semplici” da far rientrare. Tant’è che entrambi, nel giro di un anno, anche qualcosa meno, sono tornati alle corse e a vincere. Nel subire un trauma come la frattura del bacino (nel caso di Evenepoel, ndr) entra in campo anche l’aspetto psicologico. Sai che per guarire da una frattura del genere hai bisogno di 5 mesi e ti dai un obiettivo in termini di tempo.

«In un caso come quello di Bernal – riprende – l’obiettivo principale era rimettere in piedi la persona prima del corridore. Non ci si è dati dei tempi di recupero, perché i traumi erano talmente tanti che non si potevano ipotizzare delle tempistiche».

Evenepoel, dopo la frattura del bacino al Lombardia, tornerà in gruppo direttamente al Giro del 2021, quasi un anno dopo
Evenepoel, dopo la frattura del bacino al Lombardia, tornerà in gruppo direttamente al Giro del 2021

Tutto estremizzato

Nel ciclismo moderno, però, è tutto estremizzato, nel bene e nel male. Le terapie di guarigione e recupero permettono di riprendersi in maniera completa. Tuttavia le prestazioni, in gara, sono talmente elevate che bisogna essere al top per pensare di essere competitivi

«Un conto è voler tornare competitivo – ci dice nuovamente Guardascione – un conto è tornare a pedalare in gruppo. Se si vuole vincere non basta essere al 95 o al 99 per cento. Nel ciclismo moderno devi essere perfetto se vuoi provare a vincere, dieci anni fa non era così. Non c’era questa estremizzazione della performance, siamo come in Formula 1. E per raggiungere la perfezione ci vuole tempo, quindi non si allungano i periodi di recupero, ma quelli per tornare competitivi. Una frattura si cura sempre in 2 mesi, ma per tornare in gruppo con l’ambizione di vincere si deve lavorare tanto. Lo si vede da anni, in gara vai solo se sei perfetto, con i numeri giusti. Non esiste che si vada alle corse con la gamba da “costruire”. Soprattutto dopo un infortunio».

La parabola di De Buyst, l’ultimo uomo tornato a vincere

26.08.2023
5 min
Salva

Ci sono vittorie che assumono un valore speciale a prescindere da quel che dice il calendario, dall’appartenenza a questa o quella fascia. Per Jasper De Buyst, ventinovenne della Lotto Dstny, la “sua” gara è l’Egmont Cycling Race. L’aveva già vinta nel 2017, lo ha rifatto quest’anno chiudendo un cerchio, fatto di tante delusione e di un lavoro oscuro, al servizio di Caleb Ewan, sentendo sulla sua pelle il declino dello sprinter australiano.

Per addentrarci nella sua storia bisogna partire dall’inizio, raccontando chi è Jasper De Buyst. Non un gregario qualsiasi, anzi. Parliamo di un corridore che in Belgio era passato professionista nel 2019, quando aveva solamente 19 anni. Per certi versi, almeno come attese nei suoi confronti, era una sorta di Evenepoel ante litteram. A differenza del attuale fenomeno, però, De Buyst vinceva su pista e quel “vizietto” non lo ha mai perso.

Lo sprint vincente di De Buyst, il primo dopo 4 anni. Battuti Kristoff (NOR) e Taminiaux (BEL)
Lo sprint vincente di De Buyst, il primo dopo 4 anni. Battuti Kristoff (NOR) e Taminiaux (BEL)

L’importanza della pista

De Buyst si è guardato bene dall’abbandonare i velodromi, sui quali ha raccolto qualcosa come un podio mondiale (nella madison 2015), 6 europei, 3 vittorie in Coppa del Mondo. Specialista invernale delle Sei Giorni, De Buyst era guardato come un campione in erba, ma ben presto ha assaggiato la dura polvere del professionismo.

Per qualche anno non è andato al di là di qualche piazzamento, nel 2017 ha collezionato finalmente le prime vittorie, ma alla Lotto avevano ormai capito che erano di fronte non a una “punta”, ma a un buon corridore al quale bisognava trovare la giusta collocazione. Le sue capacità veloci erano buone, ma non così buone da farne uno sprinter da grandi giri. Utili però per trasformarlo in ultimo uomo.

Jasper insieme a Caleb Ewan: un sodalizio che va avanti da 5 anni, attraverso tanti sprint
Jasper insieme a Caleb Ewan: un sodalizio che va avanti da 5 anni, attraverso tanti sprint

Greipel e Ewan, strade diverse

De Buyst è diventato l’uomo fidato prima di André Greipel, poi di Caleb Ewan. Due velocisti profondamente diversi fra loro: «André era un corridore che voleva stare sempre davanti – ricorda De Buyst – bisognava lavorare molto per proiettarlo in una buona posizione. Caleb è uno che non conosce il pericolo, si butta nella mischia e sa anche nascondersi per trovare il momento buono. Per chi lavora con lui è meno esasperante, ma ciò non toglie che ci sia sempre molto da fare».

Nel corso degli anni, il legame con l’australiano è andato stringendosi sempre più, anche al di fuori del semplice lavoro. Per questo De Buyst ha sentito addosso il calo di Ewan, soppiantato da velocisti diversi, più esplosivi e robusti. «Quando Caleb ha vinto 4 tappe al Tour – ricorda il belga – quella corsa è passata via in un lampo, tre settimane mi sono sembrate due giorni. Ora invece è diverso, senza di lui, senza i suoi guizzi tutto trascorre più lentamente, perdendo mordente».

De Buyst si sta ben disimpegnando al Renewi Tour: 11° ieri nella terza tappa
De Buyst si sta ben disimpegnando al Renewi Tour: 11° ieri nella terza tappa

La caccia all’investitore

Anche questo ha portato De Buyst a rimettere mano al proprio orto. Non vinceva da ben 4 stagioni prima della corsa di Zottegem. Quattro anni nei quali al disagio psicologico si era unito quello fisico perché anche il belga è stato vittima della maledizione dei ciclisti, l’incidente in allenamento. E lo ha affrontato con quella rabbia, quella carica che poi ha riversato anche in gara. E’ successo ad Andorra ad inizio 2021, dove insieme a un suo compagno è stato messo sotto senza tanti complimenti da un camioncino. I danni erano stati per fortuna abbastanza lievi, ma nei giorni successivi Jasper non è passato sopra la vicenda.

Il corridore di Asse si è adoperato per cercare il responsabile, facendo addirittura un appello sui social per ritrovarlo, soprattutto cercando due ciclisti che passavano sulla stessa strada in quei frangenti ed erano stati testimoni. Non è dato sapere se il suo appello sia caduto nel vuoto.

Ci voleva il ritorno sulle proprie strade per ritrovare il successo e il morale: «Sono le mie strade di allenamento, corro qui tutti i giorni – raccontava De Buyst all’arrivo – per me è una gara speciale che mi dà la forza di affrontare il finale di stagione cosciente di quello che ho ancora da spendere e non è poco. Ho battuto uno come Kristoff, un brutto cliente, è stato un grande sollievo dopo giorni difficili.

Il belga non ha mai smesso di praticare la pista, vincendo anche un bronzo mondiale nella madison nel 2015 (foto Cor Vos)
Il belga non ha mai smesso di praticare la pista, vincendo anche un bronzo mondiale nella madison nel 2015 (foto Cor Vos)

Conta solo l’istinto

«Io posso fare anche sprint lunghi con un alto wattaggio, ma mi manca la capacità di esplodere davvero, di spingere per quei 2-3 secondi a velocità folli, è lì che i grandi vincono. Nel corso degli anni ho imparato che, per quanto tu puoi studiare per ore percorsi, curve, meteo sulle app, poi alla fine devi affrontare tutto a oltre 60 all’ora e prendere decisioni in un istante e quel che conta davvero resta sempre l’istinto».

Ora De Buyst riparte, anzi è già in corsa al Renewi Tour, per dare una mano a De Lie, altro uomo veloce e chissà che proprio insieme al giovane connazionale non vada a costituire quel tandem per le volate che lo accompagnerà fino alla fine della carriera. Con un po’ di benzina in più data dalla ritrovata autostima.

Puccio, la Ineos, Evenepoel e le regole che non cambiano

26.08.2023
4 min
Salva

Il Deutschland Tour va avanti e per Salvatore Puccio è l’ennesima corsa di un’estate che non lo ha mai visto staccare davvero. Una sosta dopo il Giro perso in extremis da Thomas, poi il campionato italiano, il Giro d’Austria, il Polonia e Amburgo. E mentre i suoi compagni del Giro sono andati alla Vuelta, questa volta l’umbro ha scelto un programma diverso: un solo grande Giro all’anno, ma fatto bene.

Parlare con lui è interessante per capire che cosa sta succedendo in casa Ineos Grenadiers, fra le voci dell’arrivo di Evenepoel e le partenze di alcuni elementi di spicco, che fanno pensare come minimo a un rinnovamento e un cambio della guardia.

«C’è aria di cambiamento – ammette Puccio – un po’ il solito mercato, con 7-8 corridori che vanno via. Di strano c’è che vanno via alcuni leader, ma è anche vero che la squadra va in cerca di un leader per il Tour. Crediamo e credono loro che Bernal possa ancora tornare ai suoi livelli migliori, perché è giovane e ha recuperato».

Il Deutschland Tour è iniziato con un proolgo, vinto da Ethan Vernon. Puccio è arrivato 65°
Il Deutschland Tour è iniziato con un proolgo, vinto da Ethan Vernon. Puccio è arrivato 65°
Sembra strano veder partire uno come Geoghegan Hart che ha vinto un Giro…

Credo lo abbia fatto perché voleva cambiare. La Lidl-Trek è scatenata, oggi le squadre si muovono presto. Una volta c’eravamo solo noi a poter fare mercato, adesso ci sono più squadre. Trovare un leader per il Tour non è così facile, pochi possono vincerlo e tutti quelli più quotati hanno contratti molto lunghi.

Come vivete da dentro le tante voci sull’arrivo di Evenepoel e la fusione fra le squadre?

Secondo me sono voci, delle cavolate. Il fatto che tanti siano andati via non significa che si debba liberare posto per Remco, erano qui da tempo. E poi mi sembra poco credibile che per prendere un corridore si debbano prendere due squadre, dove li metti i 150 uomini e donne del personale? Sembra che lui effettivamente voglia venire, ma c’è solo tanta confusione.

Lo vedresti bene?

E’ certamente un personaggio, fa cose che mancavano al ciclismo. Da tutta l’estate si parla solo di lui, di sicuro ha funzionato. Semmai trovo strano che abbia suo padre come agente, di fatto le uniche dichiarazioni le ha fatte lui.

Al Giro di Polonia, Puccio ha scortato Geraint Thomas al rientro dopo il Giro, sulla via della Vuelta
Al Giro di Polonia, Puccio ha scortato Geraint Thomas al rientro dopo il Giro, sulla via della Vuelta
Come va in Germania?

Bene, fa meno caldo che in Italia, si riesce a correre bene.

Al Tour de l’Avenir hanno ridotto una tappa per il troppo caldo. In Italia i dilettanti corrono con 40 gradi e nessuno muove un dito.

Il CPA dovrebbe fare un protocollo per il freddo e per il caldo. In Polonia ha cominciato a piovere così tanto, che sulla strada c’era un metro d’acqua. Certe tappe vanno fermate, mi dispiace per l’organizzatore, ma bisogna anche considerare che c’è gente che lavora per 3-4 mesi e a causa di una caduta può perdere la stagione. Finché si cade in volata, posso accettarlo. Ma cadere per una pozzanghera non va bene. Tutti gli sport si fermano, anche la Formula Uno: perché noi dobbiamo continuare?

Forse pagate la storia del ciclismo eroico?

Il mondo è cambiato, i diritti dei lavoratori si sono evoluti. Se non ci sono le condizioni, non si corre. E soprattutto non si può far decidere alle squadre, come al Giro, perché ci sono interessi diversi. Se ci fosse un protocollo oggettivo, nessuno potrebbe dire nulla.

Il maltempo e l’assenza di un protocollo condiviso ha spesso creato malintesi e situazioni di imbarazzo
Il maltempo e l’assenza di un protocollo condiviso ha spesso creato malintesi e situazioni di imbarazzo
Come andrà avanti la tua stagione?

Dovrei fare Plouay, poi il Canada e le ultime gare in Italia, dall’Emilia al Lombardia. In Cina invece non ci vado, corsi a Pechino, ma questa volta resto a casa. Ho il bimbo che cresce veloce, ogni mattina fa qualcosa di nuovo. Sono stato a casa dopo il Giro, ma ho continuato ad allenarmi. Sono rimasto a un livello medio, ogni tanto fa bene avere nuovi stimoli, piuttosto che andare in altura per preparare la Vuelta.

Scatta la Vuelta. Ayuso (quasi) senza limiti è pronto a giocarsela

26.08.2023
4 min
Salva

Juan puoi vincere la Vuelta? «Credo di sì. E’ molto difficile ma non impossibile». E ancora: senti la pressione? «La pressione non mi tocca». Vent’anni, il viso ancora con i brufoli dell’adolescenza e una sicurezza che fa paura. Durante la conferenza stampa pre-Vuelta a Juan Ayuso sono state poste tante domande e queste sono quelle che ci hanno più colpito.

L’asso della UAE Emirates è pronto ad affrontare per la seconda volta la grande corsa spagnola, che è anche il suo secondo grande Giro. Lo scorso anno il suo mentore Matxin ci disse che era impossibile fermare il talento. Ayuso non doveva farla, troppo giovane (non aveva compiuto 20 anni), ma poi andava talmente forte che era impossibile tenerlo a freno. E infatti salì sul podio finale di Madrid.

A poche ore dal via di Barcellona che, ricordiamo, avverrà con una cronosquadre alquanto tecnica: 19 curve a 90 gradi in 15 chilometri (e con rischio di pioggia), ecco cosa ha detto uno degli atleti in assoluto più attesi.

Vuelta: ci eravamo lasciati così, con Juan Ayuso sul podio 2022 dietro Evenepoel e Mas
Vuelta: ci eravamo lasciati così, con Juan Ayuso sul podio 2022 dietro Evenepoel e Mas

Gambe okay

Un anno dopo Ayuso si presenta ai nastri di partenza con gli occhi puntati addosso, qualche velleità in più e soprattutto tanta consapevolezza dei propri mezzi. Non che un tipo così ne avesse bisogno, ma tra il dire e il fare…

«Sto bene – ha detto Ayuso – ho lavorato tanto, anche in altura, per tutto l’anno. Avrei preferito arrivare qui senza le cadute di Ordizia e Getxo. Rispetto alla passata edizione fare meglio sarà dura, perché si tratta di migliorare un podio, ma io ci proverò. Ci sono tanti avversari fortissimi, i migliori del mondo. Manca solo  Pogacar.

«In UAE siamo in due, due leader, con Joao (Almeida, al suo fianco nella foto di apertura, ndr) e questo credo sia un vantaggio. Amplia le nostre strategie. Sarà la strada poi a dare una gerarchia ma per combattere contro Remco e la Jumbo-Visma è meglio essere in due. Spero che Vingegaard non ci arrivi al massimo! Se contro di lui ha avuto problemi Tadej (Pogacar, ndr) figuriamoci gli altri!».

La grinta di Ayuso che non ha paura di tornare a sfidare i giganti
La grinta di Ayuso che non ha paura di tornare a sfidare i giganti

Una sfida che stuzzica

Ma se le gambe sono okay, anche la testa non è da meno. Come tutti i predestinati, quando Juan parla, non è mai banale. Sembra avere tutto sotto controllo. Ha piena coscienza della situazione. Dice apertamente che Roglic e Vingegaard hanno qualcosa in più di lui e Almeida, ma che una giornata storta può sempre capitare e che proprio per questo è importante correre bene e avere più carte da giocare.

Si vede proprio, si percepisce, che questa sfida con Vingegaard, Roglic ed Evenepoel lo stuzzica. L’aspetta, non vede l’ora di sfidarli faccia a faccia. Per testarsi. Per scoprire nuovi orizzonti. Per batterli… perché poi come ci hanno detto tutti i tecnici che lo hanno gestito: Juan Ayuso è un animale da gara.

«Mi sento molto forte mentalmente e per questo pronto a sacrificarmi al massimo sia contro gli avversari, sia pensando ai momenti duri che ci saranno nell’arco di tre settimane. La Vuelta dell’anno scorso è stata qualcosa di speciale, la ricorderò sempre ed è la gara che mi ha dato molta fiducia. E’ stata la vera esperienza».

E forse anche da lì arriva quella manciata di watt in più che lo stesso Ayuso ha detto di avere quest’anno.

Gli UAE hanno lavorato molto per la cronosquadre, anche nell’autodromo di Barcellona. Ayuso va forte anche a crono (foto Fizza)
Gli UAE hanno lavorato molto per la cronosquadre, anche nell’autodromo di Barcellona. Ayuso va forte anche a crono (foto Fizza)

L’importanza delle crono

Quindi le gambe ci sono e la testa anche: il terzo elemento in ballo è la gara stessa. Ayuso ha definito il percorso della Vuelta più duro del Tour e questo in teoria favorisce uno scalatore come lui. Ci sono tante salite, anche con pendenze estreme – vedi l’Angliru – e non mancano i chilometri a crono.

«Le crono – spiega Ayuso – possono essere decisive perché spesso siamo tutti molto vicini in salita. Ma questo non mi preoccupa, perché durante la stagione ci abbiamo lavorato molto. Ho fatto sia dei lavori specifici, che dei test in galleria del vento. Io credo che le crono possano essere un buon momento per me».

Ayuso è sicuro, ambizioso ma non spaccone, di certo è intelligente. E in qualche modo è poi lui stesso a gettare acqua sul fuoco, dopo le bordate iniziali.

«L’obiettivo è provare a vincere una tappa – conclude Juan – l’anno scorso ci ero andato vicino, ma non ci sono riuscito. Poi viene la classifica generale. Ma mi rendo conto che ci sono anche più aspettative su di me e sarò più marcato. Fa parte del gioco. Ma significa anche che ci sono tante persone (tifosi e staff) che credono in me ed è per questo che guardo la cosa dal lato positivo».

Cavallaro, siciliano di Pisa che ama le corse a tappe

25.08.2023
5 min
Salva

E’ noto come il ciclismo junior italiano sia fortemente improntato verso le corse in linea. Le prove di più giorni sono sporadiche, si contano sulle dita di una mano ed è difficile quindi scorgere nuovi talenti, gli eredi di Vincenzo Nibali nelle nuovissime generazioni. Per questo la vittoria di Alberto Cavallaro al Giro del Veneto ha fatto scalpore: il corridore della Work Service era già stato 5° al Giro del Friuli, mentre i suoi piazzamenti nelle classiche d’un giorno sono quantomeno sporadici.

Cavallaro sembra quasi una perla rara nel panorama nazionale, anche se considerando l’età e gli impegni affrontati, prima di parlare di lui come nuova speranza per i grandi giri ce ne corre… Intanto però merita di essere conosciuto più da vicino, perché la sensazione è che di lui si sentirà parlare ancora.

Il podio al Giro del Veneto: Cavallaro ha prevalso su Cipollini per 5″ e Cattani per 33″ (foto Instagram)
Il podio al Giro del Veneto: Cavallaro ha prevalso su Cipollini per 5″ e Cattani per 33″ (foto Instagram)

«Ho iniziato seguendo le orme di famiglia – racconta il corridore pisano, ma con forti radici siciliane – i miei sono di Paternò (CT), mio zio Salvatore è stato professionista dal 1985 all’89 (da dilettante vincitore del Giro dell’Umbria a tappe, buon sangue non mente, ndr) e si sono spostati in Toscana per lavoro e… per ciclismo. In Sicilia non c’era tanto movimento, qui invece la bicicletta è una cultura radicata».

Quando hai iniziato?

In bici ci sono andato subito, a competere dalla categoria G1. Correvo nella Vecchianese, la squadra del mio paese per poi approdare alla Work Service.

Cavallaro era già stato protagonista al Giro del Friuli, chiuso al 5° posto (foto Instagram)
Cavallaro era già stato protagonista al Giro del Friuli, chiuso al 5° posto (foto Instagram)
Entriamo subito nello specifico: come mai emergi nelle corse a tappe, molto più che nelle gare d’un giorno?

Le mie caratteristiche per ora sono quelle: mi ritengo abbastanza completo, vado bene sul passo e in salita, anche se soffro ancora un po’ quelle lunghe, mentre invece ammetto di non essere molto veloce e probabilmente anche questo influisce sul mio rendimento nelle prove singole. La cosa principale comunque è che ho un buon recupero: negli impegni del fine settimana, quando ci sono gare al sabato e alla domenica, vado sempre meglio il giorno dopo, è come se mi sbloccassi.

E’ per questo che nelle corse a tappe ti esprimi meglio?

Anche in Veneto si è visto: il primo giorno ho sofferto molto, il secondo sono andato benissimo, la differenza era evidente.

Cipollini e Cavallaro, amici da sempre, al Giro del Veneto sono finiti 2° e 1°. Aiutandosi (foto Scanferla)
Cipollini e Cavallaro, amici da sempre, al Giro del Veneto sono finiti 2° e 1°. Aiutandosi (foto Scanferla)
Alla fine ti sei ritrovato a giocarti la vittoria finale con il tuo compagno di squadra Edoardo Cipollini: come vi siete regolati?

Battaglia non c’è stata. Con Edoardo siamo prima di tutto amici, ci alleniamo insieme. Abbiamo deciso insieme come gestire la corsa, lui mi ha coperto nella frazione finale e io gli ho tirato la volata. Ho anche conosciuto suo zio, lo scorso anno a Lucca.

Come ti trovi alla Work Service?

Molto bene davvero. Apprezzo soprattutto il fatto che abbiano avuto pazienza. Lo scorso anno, al mio primo anno nella categoria, ci ho messo tempo per ambientarmi e imparare anche perché da allievo non è che mi allenassi tantissimo. Piano piano ho iniziato a sbloccarmi, non solo fisicamente perché soffrivo tantissimo le gare, avevo veri e propri problemi di ansia.

A 18 anni Cavallaro mostra già molte abilità di gestione, sia delle sue energie che della squadra (foto Instagram)
A 18 anni Cavallaro mostra già molte abilità di gestione, sia delle sue energie che della squadra (foto Instagram)
Come li hai affrontati?

Mi sono affidato a uno psicologo e i risultati si sono visti: lavoro con lui da qualche mese e inizio a uscirne fuori, a essere meno chiuso e introverso e questo si traduce anche in gara, soprattutto nell’approccio.

Il risultato al Giro del Veneto ti ha sorpreso?

Ho po’ sì, perché prima della corsa mi vedevo ancora un po’ al di sotto degli altri. Molti dicono che non c’erano i big di categoria, considerando che i più forti erano all’estero per preparare i mondiali, ma io dico che in fin dei conti non c’è questa grande differenza. Ora ho preso coraggio e ho maggiore autostima, credo che l’unica cosa che ci può distinguere è che alcuni corridori sono seguiti di più.

Il pisano ha corso l’Eroica junior finendo 53°, ma innamorandosi di quella gara
Il pisano ha corso l’Eroica junior finendo 53°, ma innamorandosi di quella gara
Ti stai guardando intorno per il cambio di categoria?

Ci sono contatti, soprattutto con alcuni team toscani, ma non ho preso alcuna decisione, voglio prima vedere come va quest’estate.

C’è una gara che sogni per il tuo futuro?

Sì, la Strade Bianche. Mi piace pedalare sullo sterrato e poi, volete mettere che cosa significa vincere nella classica di casa? Sarebbe magico…

Trentin lascia Pogacar: 3 anni con Cancellara, ecco perché

25.08.2023
6 min
Salva

Qualcuno ha detto che quando Pogacar ha saputo che il prossimo anno Trentin cambierà squadra sia andato su tutte le furie. Matteo non ne sa nulla. Lui ha preso la sua decisione e dal 2024 al 2026 correrà con la maglia del Tudor Pro Cycling Team in cui molto probabilmente approderà anche un altro Matteo come diesse. Professionista dal 2012, la carriera di Trentin è stata finora tutt’altro che banale e con pochi cambi di maglia. La Quick Step nei suoi vari cambi di nome, poi la Mitchelton-Scott, un anno con la CCC che poi ha chiuso e ancora adesso il UAE Team Emirates. Perché cambiare a 34 anni? Lo abbiamo chiesto a lui, nei giorni del Renewi Tour, il vecchio Benelux Tour, che fu prima BinckBank Tour e prima ancora Eneco Tour.

Glasgow, caduta, ritiro e dolore alla mano: le radiografie hanno escluso la frattura
Glasgow, caduta, ritiro e dolore alla mano: le radiografie hanno escluso la frattura
Prima cosa: come sta la mano del mondiale? Alla fine niente di rotto…

No, non era rotto niente, ma c’è un ematoma su una delle ossa della mano, non chiedetemi il nome, non lo ricordo più. Quello c’è e ci vorrà del tempo prima che si riassorba. Se avessi preso una botta su una coscia, dopo una settimana o due al massimo si sarebbe riassorbita. Questo durerà almeno un altro mesetto.

Ti provoca qualche fastidio?

Meno di una settimana fa e molto meno di due settimane fa, però dà ancora fastidio. Un fastidio diverso dall’essere caduto nuovamente al mondiale, ma questa volta me la sono anche andata a cercare, non posso recriminare più di tanto su qualcuno o qualcosa. Ho fatto una mossa che semmai andava fatta negli ultimi giri. Se proprio devo andare a infilarmi da qualche parte, magari si poteva fare quando ne fosse valsa la pena. Però ormai è fatta, quindi…

Il Tour non è stato fortunato per Matteo: troppe cadute. Qui lo spinge Matxin
Il Tour non è stato fortunato per Matteo: troppe cadute. Qui lo spinge Matxin
Come è maturata, al di là dell’offerta, questa idea di cambiare squadra?

In realtà mi hanno cercato molto presto, poi il tempo passa, ci sono cose da fare, però mi era piaciuto molto il progetto. Non è che fossi alla ricerca di un cambio o qualcosa del genere, però mi è piaciuto molto il fatto che cercassero uno della mia età, rispetto magari ad altre realtà dove un corridore di 34 anni viene messo in discussione, perché non si sa quanto durerà. Loro invece sono venuti proprio per la mia esperienza, per quello che posso dare alla squadra e anche con un intervallo di tempo importante. Insomma, un contratto di tre anni a questa età non lo trovi sotto i sassi.

Che cosa cercano da uno della tua esperienza: che aiuti i giovani o che dimostri di saper ancora vincere?

Tutte e due le cose, ma potete chiederlo a loro. Penso che quest’anno per me non sia stato un granché, sia al Tour che al mondiale. In Francia non ho potuto avere le mie chance, ovviamente, perché eravamo tutti per Tadej e lo sapevo dal principio. Quindi non sono andato neanche a cercarmele. Però ugualmente ho visto che nonostante abbia 34 anni, riesco a stare davanti quelle due volte in croce che posso giocarmi le mie carte. E al mondiale stessa storia. Sono caduto, ma sono sicuro che avrei fatto una gran corsa. Non so tradurlo in termini di piazzamento, ma stavo bene davvero.

Nella 19ª tappa del Tour, Trentin coglie il nono posto. La fuga è quella giusta, ma contro Mohoric c’è poco da fare
Nella 19ª tappa del Tour, Trentin coglie il nono posto. La fuga è quella giusta, ma contro Mohoric c’è poco da fare
Cosa ti piace del progetto Tudor?

E’ una squadra giovane, con un grande sponsor e una grande società alle spalle. Nomi molto importanti e il fatto che entrino aziende così altisonanti è una bella cosa per il ciclismo in generale. E poi mi piace la visione a lunghissimo termine, basta vedere che con Bmc hanno firmato per sei anni. Quindi contratti lunghi e un progetto a lunga gittata. Non guardano al prossimo anno o quello dopo, guardano già parecchio avanti.

Hai avuto contatti anche con Cancellara?

Ho parlato anche con Fabian, ma ho notato che ogni persona con cui ho avuto a che fare si è attenuta sempre al suo ruolo. Tutti sanno tutto ovviamente, ma nessuno sconfina nel ruolo altrui. Si parla di una cosa con uno e di una cosa con un altro, ognuno ha la sua responsabilità. C’è una settorialità comunicativa, non a camere stagne.

Qui con Froidevaux, Fabian Cancellara è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team
Qui con Froidevaux, Fabian Cancellara è il proprietario del Tudor Pro Cycling Team
Nella tua carriera hai cambiato poche squadre, resti parecchio: perché di volta di volta hai deciso di cambiare?

Quella in cui sono stato meno è la Mitchelton, ma non perché non mi trovassi bene nella squadra, anzi. E’ la squadra in cui a livello di ambiente mi sono trovato meglio, era un bellissimo gruppo in cui ho ottenuto i risultati migliori della mia carriera. Ho cambiato perché in quel momento non c’erano più le condizioni per lavorare serenamente. Ma non abbiamo litigato, ci salutiamo ancora. Diciamo che dove vado, cerco sempre di integrarmi nel gruppo e dare il mio contributo per quello che posso. Vedo che ha sempre funzionato. Tutti sanno che cambierò squadra, ma continuo a fare il mio lavoro al 100 per cento della mia professionalità. A me non è mai capitato, ma trovo che sarebbe poco furbo pagare uno e non farlo correre solo perché a fine anno andrà via.

Fra i tuoi obiettivi ci saranno ancora le classiche?

Diciamo di sì, anche se passando in una professional, molto sarà legato agli inviti ed è abbastanza presto per averne a determinate corse. Sinceramente voglio tornare a vincere e vincere bene: più due corse all’anno e questo sarebbe già il segnale che le cose funzionano. Tanto ormai si fa fatica in tutte le corse. Bello se vinci la prova monumento, ma non è che se vinci l’Omloop Het Nieuwsblad o Kuurne fatichi di meno.

Al mondiale, Trentin aveva una gran gamba. Qui scatta davanti a Pogacar, ma si ritirerà per caduta
Al mondiale, Trentin aveva una gran gamba. Qui scatta davanti a Pogacar, ma si ritirerà per caduta
Quanto è pesante per uno che ha velleità da vincente stare in una squadra in cui c’è un leader forte come Pogacar?

In realtà non tanto, perché quanti ne trovi di corridori così? Tadej è al di sopra di tutti, non puoi dire di essere più bravo di lui.

La decisione di cambiare è stata presa anche con tua moglie?

Abbiamo parlato un bel po’ anche a casa e poi mi sono orientato verso questa scelta. Cambiare dà nuovi stimoli, è una scelta di vita.

Come procede adesso la tua stagione?

Adesso il Benelux, forse Plouay e poi tutte le gare in Belgio e il finale in Veneto, a casa di Pippo Pozzato.

Entriamo nei segreti del 47° Giro della Lunigiana

25.08.2023
7 min
Salva

Il 31 agosto, da La Spezia, prenderà il via il 47° Giro della Lunigiana “La gara dei futuri campioni”. Una corsa a tappe dedicata alla categoria juniores che nel tempo ha premiato quelli che erano i talenti più promettenti. Nel passato ha visto il successo di Simoni, Di Luca, Cunego e Nibali. In tempi più recenti, invece, si sono aggiudicati questa corsa nomi del calibro di: Bettiol, Mohoric, Geoghegan Hart, Pogacar ed Evenepoel. L’ultimo italiano a vincere il Giro della Lunigiana è stato Andrea Piccolo, nel 2019.

Nel 2019 il Giro della Lunigiana lo ha vinto Andrea Piccolo (al centro): è stato l’ultimo italiano
Nel 2019 il Giro della Lunigiana lo ha vinto Andrea Piccolo (al centro): è stato l’ultimo italiano

Cinque tappe

Tre tappe e due semitappe (entrambe nel primo giorno di corsa) da godersi tutte d’un fiato. Si attraversano le regioni di Liguria e Toscana, dove la pianura è soltanto un ricordo lontano. Da queste parti per fare la differenza la catena deve essere sempre in tiro ed il corridore attento e con l’attenzione ai massimi livelli. Alessandro Colò, uno degli organizzatori della corsa, le ha provate tutte e ci racconta cosa dovranno aspettarsi i corridori (nella foto di apertura a Portofino, sede di partenza della seconda tappa). 

«Saranno quattro giorni durissimi – spiega – non ci sono cronometro e gli arrivi non sono mai semplici da interpretare. Non c’è la tappa dedicata ai velocisti, in Lunigiana non è sempre semplice trovare la pianura».

Partenza con il botto

Le prime due semitappe, da correre entrambe nella giornata del 31 agosto, saranno uno spartiacque iniziale. Mettere fatica nelle gambe ai corridori fin da subito porterà a scremare già il gruppo tra chi corre per vincere e chi dovrà difendersi.

«Già dalle prime due semitappe – continua Colò – La Spezia-Fivizzano e Massa-Bolano si capiranno tante cose. In entrambi i casi è previsto un arrivo in salita. Nella tappa del mattino (la tappa 1a), con arrivo a Fivizzano, si passa due volte sotto il traguardo in un circuito davvero tosto. La strada che porta a Fivizzano sale, misura poco più di 3 chilometri e serve tanta forza per emergere».

«A poche ore di distanza si riparte, questa volta da Massa, in direzione Bolano (tappa 1b). Altra semitappa da 50 chilometri. Anche in questo caso i ragazzi faranno un circuito che passa ai piedi della salita finale. Un’ascesa davvero interessante, con gli ultimi 300 metri all’interno del borgo medievale di Bolano. Un finale intricato, con i sanpietrini e che si snoda all’interno dei “carruggi”, come li chiamiamo noi in dialetto ligure: delle strade strette e tortuose. I corridori che vorranno vincere dovranno stare nelle prime posizioni».

Una delle partenze più suggestive del Giro della Lunigiana è quella di Portofino, con i corridori che si specchiano nel mare
Una delle partenze più suggestive del Giro della Lunigiana è quella di Portofino

Sul mare

La seconda tappa, in programma l’1 di settembre, va da Portofino a Chiavari, quasi 100 chilometri e tanto dislivello. Si affronteranno tre salite, in ordine crescente di difficoltà: la prima è un GPM di terza categoria, poi subito dopo ne arriva un altro di seconda categoria. La salita di giornata è quella di Passo del Portello, che termina alla metà esatta della tappa, poi si scende fino a Chiavari per l’arrivo. 

«E’ una tappa divisa in due – racconta Alessandro Colò – con una prima parte davvero impegnativa. La salita di Passo del Portello misura 14 chilometri e ha pendenze sempre sopra il 7%. Non tutti i corridori sono abituati ad affrontare salite così lunghe e impegnative. Dal punto di vista tattico è una gara apertissima, molti corridori perderanno le ruote in salita, bisogna capire in che modo i primi affronteranno la discesa. Questa si divide in due parti: la prima misura 10 chilometri ed è una discesa vera, con tante gallerie. Poi spiana e diventa un falsopiano al 2% per altri 10 chilometri, se davanti trovano l’accordo dietro non rientrano più. Altrimenti, se iniziano a scattarsi in faccia, non fanno velocità ed il gruppo si “appalla”. Potrebbe arrivare un gruppo di 50 oppure anche uno in solitaria. 

Le strade della Lunigiana sono un continuo sali e scendi, non c’è tempo per respirare (foto Michele Bertoloni)
Le strade della Lunigiana sono un continuo sali e scendi, non c’è tempo per respirare (foto Michele Bertoloni)

Occhi aperti

Le ultime due tappe si svolgono all’interno del territorio della Lunigiana, la terza la “Terre di Luni Stage” prende il nome dallo sponsor: un’azienda che offre esperienze ed attività, tra cui anche escursioni in bicicletta, in questo territorio tutto da esplorare.

«La tappa numero tre – riprende Colò – parte e finisce ad Ameglia, sede dell’azienda Terre di Luni, il trasferimento porta i corridori fino a Sarzana. Si passa da Aulla, Villafranca in Lunigiana, insomma è un continuo sali e scendi. Una fatica continua che rimane nelle gambe dei corridori, in quel tratto non succederà un granché ma è un antipasto per la salita finale di Fosdinovo. Si tratta di un’ascesa famosa per il Giro della Lunigiana, che è stata scalata più volte. In questo caso, però, si cambia versante: sono 14 chilometri, ma di salita vera se ne contano 7. Le pendenze sono sempre intorno al 7% ma non vanno oltre. La parte più “interessante” arriva dopo, con una discesa tecnica e gli ultimi dieci chilometri che sono in pianura. Gli scalatori puri, se davanti da soli, potrebbero piantarsi, quindi chi vuole vincere quella tappa deve avere buone doti da passista». 

Si chiudono i giochi

Il giorno dopo sveglia presto per la quarta ed ultima tappa del 47° Giro della Lunigiana. Partenza prevista per le ore 9:20, quindi la sveglia nelle camere dei corridori suonerà molto presto. 

«La partenza anticipata – conclude Colò – potrebbe essere un fattore che influenzerà sul recupero dei ragazzi. Le tre salite previste, tutte di seconda categoria, non sono impossibili. Chi avrà in squadra il leader dovrà gestire lo sforzo almeno fino all’ultima salita, che si trova a ridosso del traguardo. Lì si darà fuoco alle polveri, mi aspetto dei distacchi ridotti tra i primi della classifica. L’ultima salita, quella di Montecchio, è paragonabile ad un muro delle Fiandre: un chilometro, o poco più, con pendenze cattive e strada stretta e tortuosa. Come la discesa che porta al traguardo, chi vorrà attaccare dovrà stare davanti e non correre rischi».

Abbiamo già avuto modo di parlare con alcuni tecnici regionali che guideranno le squadre, uno su tutti Eros Capecchi, alla guida della selezione umbra. L’ex professionista ci ha detto che le ricognizioni saranno importanti, viste le strade strette e mai totalmente pianeggianti. La tavola è pronta, non ci resta che scendere in strada e goderci la “Corsa dei futuri campioni”!

Viviani: la perla di Pedersen ad Amburgo vissuta dall’interno

25.08.2023
5 min
Salva

Elia Viviani era nel pieno della mischia di Amburgo – Bemer Cyclassics – quando Mads Pedersen è partito a 850 metri dal traguardo e ha fatto quel numero pazzesco, andando a vincere. Ma il veronese è anche in gara al Renewi Tour, nel Benelux. Il corridore della Ineos Grenadiers sembra aver trovato il miglior colpo di pedale della stagione (in apertura foto @gettysport).

Con il veneto ripercorriamo quel chilometro finale (che comunque potrete rivivere cliccando qui) e guardiamo anche avanti. Perché di obiettivi importanti Viviani ne ha ancora diversi per questa stagione. E anche per quella a venire.

Pedersen, vince ad Amburgo. Van Poppel (secondo) e Viviani (terzo e schiacciato sulla bici) lo riprendono sulla linea
Pedersen, vince ad Amburgo. Van Poppel (secondo) e Viviani (terzo e schiacciato sulla bici) lo riprendono sulla linea
Elia, ad Amburgo un tuo squillo importante, terzo, e un numero da manuale di Pedersen…

Sì, ho una buona condizione, ora bisogna aspettare la volata perfetta. Anche nella prima tappa del Renewi ho rimontato parecchio, avevo delle buone sensazioni, ma ero dietro.

Tu sei tecnico e hai l’occhio lungo: ripercorriamo gli ultimi 3.000 metri di Amburgo. Politt, McNulty e Lampaert davanti…

E noi dietro facevamo la guerra per la posizione anche se il gruppo non era grandissimo. E’ stato un finale concitato, come sempre in quella gara del resto. Io avevo Connor Swift che mi ha ben pilotato. Poi ai 2.500 metri ho visto i Bora-Hansgrohe che risalivano da dietro e mi sono messo dietro a loro. Tiravano, ma non proprio a tutta perché davanti comunque avevano Politt.

E c’è stata questa situazione “incerta” fino al chilometro finale?

Esatto, siamo arrivati al chilometro finale con un buon gap da parte dei fuggitivi. Ho pensato: «Se nessuno si muove, arrivano». Pedersen deve aver fatto questo stesso mio ragionamento… ed è andato. Alla fine veniva dalla sua “settimana santa”, aveva vinto tanto, non aveva nulla perdere e gli è riuscito questo “numeraccio”.

Eri a ruota di chi in quel momento?

Di Haller (della Bora, ndr) che tirava. Ho avuto l’istinto di partire, ma nel tempo in cui mi sono organizzato – sarà passato forse un secondo – Mads era già distante. Ricordo che ha affiancato me e Swift, e mi ha passato sulla sinistra, quindi all’interno della curva.

Vince: crono, classifiche generali, tappe in volata… Per Viviani, Pedersen sta vivendo la sua stagione migliore
Vince: crono, classifiche generali, tappe in volata… Per Viviani, Pedersen sta vivendo la sua stagione migliore
Il resto è storia. Pedersen spinge all’inverosimile e voi poi arrivate al doppio della velocità sul traguardo. Ma tardi.

Siamo arrivati al doppio della velocità sulla linea, ma visto dove erano quei tre e con dietro in testa la Bora che non tirava a tutta, l’unico modo per vincere era fare come ha fatto Pedersen.

Questo numeraccio, come lo hai chiamato tu, è paragonabile a qualche azione? Ti ricorda qualcuno?

A Cancellara che vinse la tappa al Tour in maglia gialla. Fabian aveva visto un buco e anziché rialzarsi ci si “buttò dentro”. Ma per fare certe azioni oltre all’istinto servono le gambe. Dopo l’arrivo ho fatto i complimenti a Mads. Gli ho detto che solo pochi corridori possono fare quello che ha fatto lui. Però serve una condizione che non ti faccia avere paura di perdere. Alla fine aveva vinto una tappa, la crono e la classifica finale del Danimarca il giorno prima. Si è fatto tre ore e mezzo di macchina per arrivare ad Amburgo… Se vinci così, puoi permetterti di fare tutto.

C’è anche una situazione psicofisica vantaggiosa.

Io dovevo portare a casa il risultato e quindi non me la sono sentita di prendere quel rischio, nonostante l’avessi letta bene. Nella sua situazione, non senti il mal di gambe se parti a 850 metri dall’arrivo, con davanti tre ottimi corridori, li riprendi e tiri dritto. Per me Pedersen sta vivendo l’anno migliore della sua carriera. Ha steccato il mondiale, o meglio, ha buttato il secondo posto, solo perché aveva sprecato tanto in precedenza. Ma se andiamo a vedere nelle classiche non è mai uscito dalla top cinque, ha vinto al Giro e al Tour.

Per te, tecnicamente quell’azione può essere paragonata a quella di un pistard o di una disciplina del parquet, magari il chilometro?

No, non c’è questo legame. C’è la lucidità di fare due conti in un secondo e andare. Perché poi il vero gesto atletico, la vera bellezza, non è stato tanto fare quel numero, ma pensarlo.

Elia ha chiamato in causa la vittoria di Cancellara a Compiegne al Tour del 2007, con Zabel che al colpo di reni lo riprende sull’arrivo
Elia ha chiamato in causa la vittoria di Cancellara a Compiegne al Tour del 2007, con Zabel che al colpo di reni lo riprende sull’arrivo
In quel momento, Elia, si guarda il potenziometro? Si spinge e basta?

Lui ha avuto il pregio di non guardare indietro. Ha preso quella decisione e l’ha portata avanti. Ha detto: «Tiro dritto e basta». Il suo riferimento all’inizio erano quei tre, poi la linea d’arrivo, dove ha trovato persino la forza di rialzarsi. Un numero da campione.

E a proposito di campioni. Tu come stai?

Io sto bene. Come sempre del resto dopo che passo da altura e pista. Dopo le Olimpiadi del 2021, stesso cammino, andai bene al Tour of Britain… e questo mi fa ben sperare per l’europeo, che in pratica è Drenthe, ma con il finale su uno strappetto. 

Come ti sembra questo Renewi Tour?

E’ il mondiale dei velocisti! Ma come ho detto all’inizio bisogna trovare la volata perfetta, la posizione giusta. E qui non sono messo male: ho Turner che mi guida bene e c’è Kwiatkowski, che ha un’esperienza formidabile ed è bravissimo nei finali. Da oggi in poi ci sono altre due possibilità. Vediamo di sfruttarle al meglio. 

Qual è il tuo programma?

Dovrei fare il Britain che è due settimane prima dell’europeo, altrimenti il piano B è il GP Plouay, che è più duro e misura 250 chilometri, ma è a tre settimane dall’appuntamento continentale. A quel punto potrei aggiungere qualche gara italiana. Finirò la stagione abbastanza presto e non osserverò uno stacco troppo lungo. Farò tre settimane anziché quattro, perché a fine gennaio, inizio febbraio ci sono gli europei su pista. Quindi a novembre e dicembre devi già spingere forte.