EDITORIALE / Il mercato dei giganti e due squadre da capire

08.01.2024
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Chissà se dalla finestra del Suitopia Suites di Calpe, guardando verso la stagione che lo attende, Remco Evenepoel (foto Wout Beel in apertura) avrà soltanto pensieri felici. E mentre uno di noi è già in volo verso il ritiro della Soudal-Quick Step per andare a chiederglielo, l’osservazione delle manovre di mercato racconta una serie di situazioni davvero interessanti. Due squadre in particolare (e non senza sorpresa) sembrano fortemente indebolite: la Ineos Grenadier e il team del campione belga. Come mai?

Fusioni e scorie

E’ sempre più credibile che la fusione fra le due fosse pronta e organizzata ben prima di quella, saltata fuori in seguito, della Soudal con la Jumbo. Da quanto tempo il padre di Evenepoel raccontava della fantastica offerta ricevuta per suo figlio? Non vi era parso insolito che la Ineos lasciasse partire così tanti corridori di peso, senza avere la certezza che ne sarebbero arrivati altri per sostituirli? Poi qualcosa è andato storto, magari l’acquisto delle quote del Manchester United da parte di Ineos ha sconsigliato spese folli nel ciclismo, ed è stato necessario correre ai ripari. La successiva ipotesi di fusione fra Soudal e Jumbo avrebbe potuto supportare Lefevere e chiudere il buco di Visma, ma non aveva alle spalle lo studio necessario.

Sivakov arriva al UAE Team Emirates per la squadra del Tour accanto a Pogacar: bel colpo di mercato
Sivakov arriva al UAE Team Emirates per la squadra del Tour accanto a Pogacar

Così Pavel Sivakov è finito alla UAE Emirates. Tao Geoghegan Hart alla Lidl-Trek. Daniel Martinez alla Bora-Hansgrohe. Ben Tulett alla Visma-Lease a Bike. Luke Plapp alla Jayco-AlUla. Alla Ineos restano Geraint Thomas con un anno di più ed Egan Bernal, della cui integrità avremo conferme quest’anno. E’ arrivato Tobias Foss, ma non è certo questo lo standard di mercato cui ci aveva abituato la squadra britannica, che nel frattempo ha perso parti significative dello staff: su tutti Matteo Tosatto e Rod Ellingworth, capo supremo delle operazioni sportive.

Basta Landa?

La Soudal-Quick Step invece ha smantellato la struttura per le gare fiamminghe e quella di supporto per i velocisti, che spesso si integravano. E’ arrivato Moscon, ottima scommessa, che da solo non può però raccogliere l’eredità di una squadra che su certi percorsi ha insegnato al mondo intero.

Sono partiti, fra gli altri, Bagioli (Lidl Trek), Jakobsen (DSM Firmenich), Davide Ballerini e Morkov (Astana), Tim Declercq (Lidl Trek), Rémi Cavagna (Movistar). L’obiettivo, neanche troppo misterioso, era quello di supportare Evenepoel nel primo assalto al Tour, invece per farlo è stato ingaggiato solo Mikel Landa. Ottimo atleta, che però ha 34 anni: l’ultima volta che ha lavorato per un leader ne aveva 10 di meno e masticò amaro prima di sacrificarsi per Aru. Cosa pensa davvero Evenepoel della stagione che lo aspetta?

Tao Geoghegan Hart è uno dei talenti per le corse a tappe, ora in ripresa da un infortunio (foto Lidl-Trek)
Tao Geoghegan Hart è uno dei talenti per le corse a tappe, ora in ripresa da un infortunio (foto Lidl-Trek)

Lidl-Trek regina del mercato

Altri non sono restati a guardare. La Lidl-Trek ha speso tanto, forte dell’arrivo del nuovo sponsor che già ai mondiali di Glasgow aveva tappezzato le strade. Sono arrivati fra gli altri, come detto, Tao Geoghegan Hart, Milan e Bagioli. Il primo una maglia rosa l’ha già vinta e ha margini notevoli, se si pensa che prima di cadere al Giro era a pochi secondi da Roglic e aveva vinto il Tour of the Alps. Milan non è solo un velocista e potrebbe sorprendere molti nelle classiche del pavé. Bagioli è sulla porta dell’exploit e per la prima volta trova un gruppo che gli dà fiducia piena.

Il UAE Team Emirates continua nell’opera di rinforzo del gruppo attorno a Pogacar, con l’arrivo di Sivakov che può davvero spostare gli equilibri. E dato che lo sloveno ha deciso di razionalizzare i suoi sforzi, non ci sarà da meravigliarsi nel vedere in prima linea corridori come Ulissi, solitamente usati per tirare, e ora rivalutati per la loro possibilità di fare risultato e punti.

Punto per punto

Proprio questo sarà uno dei temi della stagione. E se il Tour potrebbe giovarsi dei nuovi equilibri, per cui a Pogacar e Vingegaard si aggiungeranno Roglic ed Evenepoel, anche il resto del calendario potrebbe subire un’impennata inattesa. Avendo capito che non è il caso di ridursi all’ultimo per conquistare i punti necessari, quasi tutte le grandi squadre hanno preferito disegnare due attività parallele. In un gruppo hanno messo i pezzi grossi dei Giri o delle Classiche Monumento, nell’altro quel che serve per vincere o essere comunque protagonisti. La sensazione di molti è che si assisterà a un anno pazzesco, come nella stagione del Covid, in cui non ci saranno corse di transizione o di studio, ma una serie di sfide all’ultimo punto fra corridori che finalmente potranno correre con la briglia sciolta.

Il cambio maglia di Roglic è stato il colpo del mercato 2024: il suo obiettivo è il Tour (foto Instagram)
Il cambio maglia di Roglic è stato il colpo del mercato 2024: il suo obiettivo è il Tour (foto Instagram)

Dente per dente

Tornando al mercato, in casa Bora-Hansgrohe, dopo l’arrivo di Roglic, si è assistito alla scalata di Red Bull, che ha rilevato il 51 per cento della società. L’operazione a lungo andare coinvolgerà Van Aert e Pidcock, sponsorizzati dal colosso asutriaco? Roglic è un vincente vero e forse, proprio per questo, non ha digerito l’ordine di regalare la Vuelta a Kuss. Con la prospettiva di perdere Visma, la Jumbo ha apprezzato gli euro della squadra tedesca e lo ha lasciato andare.

Per contro e per un imprevedibile contrappasso, la Bora ha gestito assai male la vicenda di Uijtdebroeks. Il belga lamentava l’ordine di dare precedenza a Vlasov nella classifica della Vuelta e da quel momento tutto per lui è diventato brutto, compresa la bici alla Crono delle Nazioni. Con un po’ più di lungimiranza, si poteva lasciargli spazio. Vlasov non avrebbe mai vinto la Vuelta, Cian magari ci riuscirà, ma lo farà a questo punto con la squadra olandese.

La Visma-Lease a Bike per contro ha gestito l’arrivo del giovane belga con il solito pelo sullo stomaco. I contratti sono contratti e non si può forzare la mano in barba a ogni regolamento. Loro invece l’hanno fatto, come già a suo tempo con Van Aert e non v’è dubbio che lo faranno ancora (un recente tentativo, poi fallito, sarebbe stato fatto con Andreas Kron della Lotto-Dstny). Mentre Richard Plugge continua a teorizzare la Super Lega, nel team che ha perso Van Hooydonck sono arrivati Jorgenson (per sostituirlo la Movistar ha rispolverato Quintana) e appunto Uijtdebroeks. 

Uijtdebroeks finalmente felice nella nuova squadra dopo troppe forzature (foto Visma-Lease a Bike)
Uijtdebroeks finalmente felice nella nuova squadra dopo troppe forzature (foto Visma-Lease a Bike)

Chi paga il prezzo?

Tutto intorno ci sono le squadre che faticano per mettere insieme il pranzo con la cena: non solo professional, ma anche WorldTour. E mentre quelli che restano a piedi cercano ricovero in situazioni più piccole e diversamente accoglienti, ci sono i più deboli che ne fanno le spese. Alcuni sono costretti a smettere senza aver avuto il tempo di capire e farsi capire. Altri si renderanno conto presto di quanto si alzerà il livello in ogni santo giorno del calendario e scopriranno che sarà sempre più dura strappare un titolo ai giganti del WorldTour. Con buona pace di chi disegna i calendari e pensa si possa continuare a mettere tutti nella stessa insalatiera. Cos’altro dire? Non vediamo l’ora di partire…

Stojnic va in Ungheria per ritrovare la strada per l’Italia

08.01.2024
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C’è chi non si arrende. Chi vede intorno a sé nuovi giovani che approdano al massimo consesso del ciclismo ancora immaturi, oppure corridori affermati che lasciano le squadre del WorldTour trovando spazio nelle professional a danno di più giovani, o ancora ciclisti che, pur essendo ancora pienamente in grado di competere, sono costretti ad appendere la bici al chiodo. Veliko Stojnic non fa parte di queste categorie.

Il corridore serbo, a cui non è stato rinnovato il contratto dalla Corratec, ci crede ancora: vuole continuare a correre e per far questo è tornato un po’ alle sue radici, approdando in una squadra, il LotuS Cycling Team, che non è neanche una continental, ma che resta pur sempre un “gancio” per rimanere ancorato a questo circo sfrenato, dove è facilissimo perdere i riferimenti.

«Io ho aspettato una risposta dalla Corratec», racconta Stojnic da Sombor, a casa sua, dove finalmente dopo 5 anni in giro per il mondo ha potuto festeggiare ieri il Natale ortodosso con la famiglia. «Sapevo che arrivando corridori da squadre WorldTour, i posti sarebbero diminuiti. A metà dicembre ho capito che per me non c’era più posto, ma ormai altre strade non c’erano. Il mio preparatore mi ha allora proposto di seguirlo al LotuS Team, una squadra con licenza ungherese, ma con forte matrice serba. Ormai non avevo altre opzioni aperte, così ho accettato».

Il serbo ha militato in Italia per 4 anni, i primi due alla Vini Zabù, poi al Team Corratec. Qui con Konychev
Il serbo ha militato in Italia per 4 anni, i primi due alla Vini Zabù, poi al Team Corratec. Qui con Konychev
Che tipo di squadra è?

E’ un po’ come un team under 23 italiano. Io avevo già lavorato con loro nelle categorie giovanili, come detto la LotuS ha una radice serba. Ora sta cercando proprio attraverso questo club di allargare i suoi orizzonti per dare ai ragazzi una direzione per poter crescere in questo ambiente. L’attività sarà prevalentemente svolta nelle gare balcaniche e fra Croazia e Slovenia. Prove di categoria Uci 1.2. E’ una squadra multinazionale come ormai sono la maggior parte dei team: ci sono 3 ungheresi e 3 serbi, ma anche atleti da Israele, Svezia, Repubblica Ceka, Kazakistan. Se dovessi trovare un corrispettivo mi viene in mente l’iniziativa di Zappi, ma a un livello un po’ più basso, anche se l’ambizione è quella di diventare intanto una continental.

E’ chiaro che per te cambia molto. Approdi però in una Nazione dove il ciclismo è in grande evoluzione…

Sicuramente, sulla spinta di Attila Valter diventato una colonna della Visma-Lease a Bike ma anche di altri corridori di ottimo livello. E’ un circuito virtuoso: i corridori di livello portano attenzione e quindi un maggior afflusso di denaro. Molte aziende ungheresi stanno investendo nel ciclismo e questo favorisce la crescita del movimento.

Per Veliko vestire la maglia della nazionale è un onore, ma non sempre la Serbia accede alle gare titolate
Per Veliko vestire la maglia della nazionale è un onore, ma non sempre la Serbia accede alle gare titolate
Avviene lo stesso da te in Serbia?

No, il livello è molto più basso perché non c’è tradizione e non ci sono corridori di riferimento. Per noi trovare una strada per emergere è molto difficile, per questo iniziative come quella della LotuS possono essere molto importanti, perché danno una direzione. Il problema vero è che mancano gli sponsor, le aziende che hanno voglia di investire.

Eppure nei Paesi vicini l’attività è molto maggiore…

In Slovenia sicuramente, ma è un caso a parte. Anche la Croazia è nella nostra stessa situazione. Non c’è un esempio da seguire. In Serbia lo sport è tutto “palle e palline”: calcio, basket, tennis, le discipline di riferimento sono queste. La bici è vista solamente come un mezzo di trasporto, da questo punto di vista ce ne sono sicuramente molte di più che in Italia.

Nel 2020 Stojnic è stato protagonista al Uae Tour, perdendo di poco la maglia a punti contro Ewan
Nel 2020 Stojnic è stato protagonista al Uae Tour, perdendo di poco la maglia a punti contro Ewan
Ti manca un po’ il nostro Paese?

Sì, mi manca il ciclismo italiano. Ci riflettevo in questi giorni, solitamente a questo punto ero già nel pieno dei ritiri, dell’attività. Ritrovarmi fermo da una parte mi fa piacere perché posso stare con la mia famiglia, dall’altra però mi sento strano. Mi manca l’adrenalina dell’attesa, il lavoro con i compagni di squadra. So che appena comincerà l’attività mi mancheranno le corse, ma dovrò abituarmi.

Hai 24 anni, ritieni questo un passo indietro?

Diciamo che lo ritengo un modo per rimanere in gruppo. Non mi dispiacerebbe tornare in Italia, trovare un nuovo approdo a livello più alto. Ma perché ciò avvenga devo meritarmelo e per fortuna devo dire che il programma di gare del team è già abbastanza qualificato, le occasioni per emergere ci sono.

Stojnic ha corso l’ultimo Giro d’Italia finendo 100°, con un 21° posto come miglior risultato parziale
Stojnic ha corso l’ultimo Giro d’Italia finendo 100°, con un 21° posto come miglior risultato parziale
Ti vedremo ancora correre da queste parti?

So che sono state inviate richieste anche per molte gare italiane, ma trovare un invito è difficile, ci sono molti team in Italia e quindi giustamente lo spazio principale viene dato a loro. Io spero che comunque maturi qualche occasione per tornare in Italia dove ho molti amici.

Quando inizierà la vostra stagione?

Dal 10 al 28 gennaio saremo in ritiro in Spagna e ne effettueremo un secondo a febbraio prima di una serie di gare fra Croazia e Slovenia. Intanto per ora mi godo la famiglia e mi alleno a casa, anche se il clima non è proprio l’ideale…

Gregoire, 20 anni: l’insaziabilità dei numeri uno

08.01.2024
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«Non pensavamo che sarebbe successo così presto – racconta Romain Gregoire, vent’anni – ma è una buona cosa. Ci motiva ogni giorno in allenamento sapere che la squadra ha fiducia in noi. Avere nuove responsabilità è tutto ciò che chiedo. E’ speciale avere corridori più esperti che lavorano per te, ma essere leader non è qualcosa che si chiede: deve venire con i risultati e le prestazioni. Bisogna essere all’altezza ed è ciò che mi spinge nel lavoro di ogni giorno».

Sette in pagella

L’aria di rinnovamento nella Groupama-FDJ, di cui vi abbiamo detto attraverso le parole di Lorenzo Germani e quelle di Philippe Mauduit, passa per il gruppo di giovani che nel 2023 Marc Madiot ha fatto passare in blocco nel team WorldTour. Sono i ragazzi di Gannat, che fra gli under 23 avevano spadroneggiato in lungo e in largo e potrebbero rimpiazzare in un solo colpo le vecchie glorie del team francese. Fra loro, Gregoire è quello che fra il 2021 e il 2022 aveva più impressionato, ma neppure lui si aspettava un inserimento così rapido e importante nella prima squadra. Anche se poi, a leggere le sue parole nel sito della squadra, ci si chiede se il senso di perenne insoddisfazione che trasmette sia una molla o un disagio.

«E’ stata una stagione positiva – prosegue – perché ho raggiunto i miei obiettivi e soprattutto la vittoria. Ci sono riuscito per cinque volte, comprese due classifiche generali (Quattro Giorni di Dunkerque e Tour du Limousin, ndr), cosa che davvero a inizio stagione non immaginavo. In più mi sono guadagnato la convocazione per la Vuelta e non l’ho finita completamente morto. E’ una stagione da 7 in pagella, non oltre perché so che posso fare meglio. Mi sarebbe piaciuto essere più utile alla squadra. Mi sarebbe piaciuto vincere a livello WorldTour e non sono ancora riuscito a farlo. Forse è anche normale, forse sono duro con me stesso, ma è anche il modo per spingermi a migliorare. Non credo che essere un neopro’ sia un’attenuante. Per me, una volta che siamo nella stessa squadra, non importa se siamo lì da dieci anni o sei mesi».

La Strade Bianche ha conquistato Gregoire. All’8° posto si è aggiunto lo stupore per il tifo e i paesaggi
La Strade Bianche ha conquistato Gregoire. All’8° posto si è aggiunto lo stupore per il tifo e i paesaggi

Margini di crescita

Le aspettative vengono da fuori, ma anche da se stessi. E per fortuna la sua ultima frase viene in parte contraddetta dalle sensazioni dopo il campionato francese, chiuso in ventesima posizione sui 23 corridori che hanno concluso la prova.

«Più vinci – ammette – più hai aspettative e più tutto diventa difficile. Per 3-4 anni sono riuscito a fare quello che volevo, ma questo è solo l’inizio. Il bello del 2023 è che abbiamo rispettato alla lettera il piano fatto a dicembre, in ogni momento sapevo per cosa stavo lavorando e questo mi ha consentito di mettere ottimamente a frutto le fasi di allenamento. Spero che sia sempre così, in modo da continuare nella crescita. Al campionato nazionale di Cassel avevo grandi ambizioni, ma alle spalle di Madouas che ha dominato, io ho capito che mi manca la solidità di qualche anno in più tra i pro’ per lottare con i primi in una gara come quella, lunga 220 chilometri, con tanta fatica e tanto caldo. Ho fatto quello che potevo, ho cercato di resistere il più a lungo possibile e poi il serbatoio si è svuotato».

Un metro e 76 per 64 chili, Gregoire parla senza peli sulla lingua: «Essere leader è bello, ma devi meritartelo»
Un metro e 76 per 64 chili, Gregoire parla senza peli sulla lingua: «Essere leader è bello, ma devi meritartelo»

Il Limousin e la Vuelta

Questo ragazzo è insaziabile. La primavera e l’estate gli hanno portato infatti le vittorie di Dunkerque e del Limousin, dove per la prima volta si è rivisto il Gregoire sbarazzino e sicuro degli anni precedenti. Due tappe vinte, una attaccando a 15 chilometri dall’arrivo, con la squadra al suo fianco: un’anticipazione di futuro che lo ha molto colpito. Invece pare che il contraltare della Vuelta abbia raffreddato l’entusiasmo. 

«Il lavoro ha iniziato a dare i suoi frutti – ricorda – abbiamo corso come ci piace e sono riuscito a vincere due tappe e a conquistare la classifica generale. Invece della Vuelta non sono troppo soddisfatto. Avrei preferito essere più attivo in corsa, ma non c’erano molte tappe per gli scattisti e quando c’erano non ho avuto le gambe per vincere (il riferimento è al giorno di La Laguna Negra, in cui è stato battuto da Herrada, ndr). E’ un peccato, ma in futuro mi piacerebbe migliorare il mio livello in salita per giocarmi certi finali».

Settimo nella 2ª tappa della Vuelta, Gregoire ha ottenuto anche il 2° posto nell’11ª. Esperienza positiva? Per lui a metà
Settimo nella 2ª tappa della Vuelta, Gregoire ha ottenuto anche il 2° posto nell’11ª. Esperienza positiva? Per lui a metà

L’eredità di Pinot

Resta da capire se oltre all’eredità sportiva, Gregoire e i suoi… fratellini siano sulla strada giusta per raccogliere il testimone di Thibaut Pinot. Prima di salutarli, sul pullman della squadra, il vecchio capitano ha detto parole incisive e toccanti sul prendersi cura della squadra. Le parole di un condottiero che mai in carriera, nonostante le offerte, ha valutato la possibilità di vestire un’altra maglia.

«Le parole di Thibaut – precisa infatti Gregoire – vanno collegate al fatto che è stato fedele alla squadra per 14 anni, avendoci trovato gli stessi valori che ha nella sua vita. Ci ha detto di rimanere autentici. Ha detto di aver trovato qui una nuova famiglia e gli piacerebbe che continuasse così anche con noi. Qualcuno riuscirà a trasmettere le sue stesse emozioni? Certamente no. Penso che Thibaut sia stato un’eccezione nel ciclismo, anche nello sport in generale. Il suo ritiro al Lombardia ne è stata un’altra prova. Però cercherò di seguire le parole che ha detto sul pullman, di rimanere reale e autentico. E vedremo dove mi porterà».

Due anni alla Uae, ma ora Zanetti ha scelto un’altra strada

07.01.2024
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Il cambio di squadra di Linda Zanetti ha destato molto rumore nell’ambiente. Le parole di Bertogliati risuonano ancora forti, nella sua analisi dei due anni della giovanissima elvetica al UAE Team Adq, il primo nel team principale, il secondo in quello Development dove volevano lasciarla a dispetto del suo ottimo 2023. Una decisione che non è piaciuta al manager e ha spinto la svizzera fra le braccia della Human Powered Health.

Linda Zanetti, 21 anni, nel 2023 ha affrontato 53 giorni di gara con 6 vittorie e 12 Top 10 (foto Instagram)
Linda Zanetti, 21 anni, nel 2023 ha affrontato 53 giorni di gara con 6 vittorie e 12 Top 10 (foto Instagram)

Grazie al UAE Team Adq

Dopo l’intervista a Bertogliati era importante sentire direttamente dalla Zanetti il suo parere, le sue idee sul recente passato e soprattutto sulle sue prospettive, ma chi si aspettava da lei parole di fuoco rimarrà deluso.

«A conti fatti – dice – non posso che ringraziare la Uae perché mi ha dato una grande opportunità. Quando sono arrivata, ero una novizia a tutti gli effetti ed è stata davvero dura. Ho dovuto imparare tanto, io ero una biker proiettata in una disciplina completamente nuova, affrontando gare che erano impossibili da finire. Nel secondo anno sono passata al devo team ed è stata la decisione giusta, con gare più adatte a me, ma certamente all’inizio un po’ di delusione c’era, mi sentivo declassata».

Per Linda un prestigioso podio agli europei U23, dietro la vincitrice Pluimers e Shackley
Per Linda un prestigioso podio agli europei U23, dietro la vincitrice Pluimers e Shackley
Il tuo però è stato un anno decisamente positivo, con 6 vittorie e il bronzo europeo per under 23…

E pensare che avevo iniziato male la stagione, forse proprio perché psicologicamente mi sentivo bocciata, ma poi ho capito che avevo tanto da imparare e piano piano ho trovato il ritmo giusto, quella forma che l’anno prima non avevo mai raggiunto.

Con quei risultati pensi che meritavi la promozione nella prima squadra?

Non devo dirlo io. Ho parlato tanto con i miei procuratori su che cosa fosse meglio per me. Io avrei anche continuato, ma l’esperienza fatta doveva portarmi a nuovi sviluppi, così mi hanno consigliato di accettare la proposta della Human Powered Health, perché il loro progetto si attaglia maggiormente alle mie aspettative e possibilità. Credo in questi due anni di avere imparato tanto, ma so che la strada è ancora lunga e devo fare ancora molto. Ora entro in un team dove affronterò gare del massimo livello, in una squadra strutturata e con compiti precisi che mi verranno assegnati. Sarà un altro passo di crescita.

Il 2023 non è stato sempre semplice: qui la caduta e il ritiro alla Vuelta Andalucia, dopo il 2° posto iniziale
Il 2023 non è stato sempre semplice: qui la caduta e il ritiro alla Vuelta Andalucia, dopo il 2° posto iniziale
Hai mai avuto nostalgia della mountain bike?

E’ il mio primo amore, ogni tanto anche vedendo le gare un po’ di malinconia mi viene, ma fa parte del passato. Qualche volta mi alleno ancora fuoristrada, ma non è un’attività che si sposa benissimo con la strada. E’ più un divertimento, qualcosa per uscire dai rigidi schemi di preparazione.

Eppure vieni da un ambiente, quello elvetico, dove la doppia attività è quasi un must, soprattutto sentendo le idee di Telser che è il nume tutelare del ciclismo femminile rossocrociato…

E’ vero, le ragazze da noi vengono indirizzate verso ogni disciplina, quasi spremute per far emergere le loro attitudini. Quando sei giovanissima è bello applicarsi su tutto per conoscersi meglio. Poi però bisogna fare una scelta e io mi sento una stradista al 100 per cento.

La vittoria in Olanda, alla EPZ Omloop van Borsele ha dato un’impronta alla sua stagione (foto organizzatori)
La vittoria in Olanda, alla EPZ Omloop van Borsele ha dato un’impronta alla sua stagione (foto organizzatori)
Qual è stato il momento più bello della tua passata stagione?

Non uno solo. In maglia Uae la prima vittoria, alla EPZ Omloop van Borsele. Ero partita per fare i traguardi volanti e lavorare per le compagne, poi mi sono ritrovata in fuga cercando di tenere e alla fine ce l’ho fatta. E’ stata una vittoria totalmente inaspettata, per il team e per me, mi ha dato nuovo vigore. Poi il successo al Tour de l’Avenir, quando vinci con la maglia della tua nazionale tutto ha un sapore diverso. Inoltre non conoscevo le mie compagne di squadra e in poco tempo si era formato un bel gruppo, è stata una grande esperienza.

Come ti trovi nel nuovo team?

Abbiamo effettuato il nostro primo ritiro a dicembre, importante per mettere chilometri, ma soprattutto per conoscerci. Mi piace molto il progetto alla base della squadra, completamente incentrato sulle ragazze e dove potrò crescere senza pressioni, potendo fare gare importanti. Per me è stato studiato un buon programma, con tante gare importanti.

Per Zanetti primo approccio con le compagne in Spagna, trovando subito una bella sintonia (foto Instagram)
Per Zanetti primo approccio con le compagne in Spagna, trovando subito una bella sintonia (foto Instagram)
Sai già quali?

Inizierò a fine mese con la Clasica de Almeria, poi il Uae Tour. In primavera farò poche classiche del Nord, probabilmente un paio, e gareggerò soprattutto in Spagna, in un contesto più adatto al mio attuale livello.

Questo è l’anno olimpico. E’ vero che sei molto giovane, ma nel fondo del cuore una speranza di convocazione ce l’hai?

Più che una speranza, è un sogno. So che non ho abbastanza esperienza anche se la Svizzera ha diritto a 4 posti. Sono in tante a competere per una chiamata, io so che avrò altre possibilità in futuro. Ma d’altronde penso anche che sono i risultati e il comportamento in corsa a determinare le scelte, quindi devo pensare solo a fare la mia parte.

Aitor Galdos al timone della Euskaltel Euskadi che rinasce

07.01.2024
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L’UCI ha sempre tante cose da fare e si dedica spesso a battaglie di vitale importanza, come quella per cui nella primavera del 2021 ha costretto Mikel Landa a dimettersi dalla carica di presidente della Fundacion Euskadi. Il basco si era fatto avanti nel 2018, a fronte al declino della Fondazione che per anni aveva portato il ciclismo basco nel mondo. Secondo i dirigenti di Aigle, tuttavia, il conflitto di interessi rischiava di essere troppo alto. Essendo corridore di un altro team (al tempo la Bahrain Victorious), lo spagnolo avrebbe potuto mettersi a collaborare in gara con gli atleti della Euskaltel-Euskadi. Al momento di fare un passo indietro, il campione di Vitoria si è rivolto ad Aitor Galdos, ex corridore basco e nostra vecchia conoscenza, dai tempi in cui aveva seguito fra i dilettanti in Italia il suo amico Igor Astarloa.

Aitor è entrato nella Fondazione. Ha imparato a conoscerla. E’ diventato il manager della squadra femminile. E ultimamente è diventato presidente e general manager della Fundacion Euskadi, che si compone di due squadre professionistiche (femminile e maschile), un team U23 e tutta la trafila della scuola a partire dai bambini.

La partenza del Tour da Bilbao ha ricordato al mondo che cosa rappresenti il ciclismo da quelle parti. E basta sentire l’orgoglio con cui tutti ne parlano, per toccare con mano una passione che in certi momenti è quasi carnale. Aitor Galdos ha 44 anni, è stato professionista dal 2005 al 2012. La sua “creatura” appare sulla porta di una seconda giovinezza, quasi abbia trovato la spinta per rinascere agli antichi fasti.

Da cosa è composto il ciclismo della Fundacion Euskadi?

Abbiamo la Euskaltel-Euskadi, professional maschile. La Laboral Kutxa-Fundacion Euskadi, continental femminile. La squadra di sviluppo degli under 23 che è pure sponsorizzata da Kutxa. E poi la scuola di ciclismo fin dai bambini, poi esordienti e allievi. Io sono il general manager e ogni squadra ha la sua gente. In tutto, tra staff e corridori, ci sono 125 persone.

Alla base c’è sempre la filosofia del team arancione di una volta?

La stessa filosofia, cioè portare avanti il ciclismo basco. La mentalità è sempre quella, lo stesso progetto attraverso cui sono passati corridori come Landa e anche io. C’è ancora parte dello staff di quella squadra. Vogliamo far crescere i ciclisti dei Paesi Baschi, ma i tempi sono cambiati e mentre prima i corridori erano solo di qui, adesso ci sono anche degli stranieri (nel team femminile corrono ad esempio quattro italiane: Quagliotto, Silvestri, Tomasi e Tonetti, ndr). Questo fa bene anche ai nostri corridori.

Quanto è forte ancora la passione per il ciclismo nei Paesi Baschi?

I Paesi Baschi sono un territorio di ciclisti. Non abbiamo soltanto le grandi corse, come la Clasica San Sebastian e il Giro dei Paesi Baschi. Ce ne sono tante altre, anche per gli U23. Il ciclismo è parte della nostra cultura. Siamo cresciuti sempre andando a vedere il Tour de France sui Pirenei. Siamo cresciuti con Indurain, con la Euskaltel-Euskadi e con questa marea arancione. Avete visto la partenza del Tour de France da Bilbao? Siamo una regione con neanche due milioni e mezzo di abitanti e abbiamo avuto la partenza del Tour de France con tre tappe. E adesso Bilbao vuole la partenza del Tour delle donne, lo hanno annunciato l’altro giorno.

Il pubblico di Bilbao alla partenza del Tour 2023: uno spettacolo di suoni e colori
Il pubblico di Bilbao alla partenza del Tour 2023: uno spettacolo di suoni e colori
Mikel è davvero fuori da tutto?

Totalmente. Come corridore non poteva fare di più, però ha dato la spinta. E’ sempre attento a cosa facciamo, ci segue.

Ci sono stati gli anni di Lejarreta, Astarloa, Iban Mayo, Igor Anton, di chi sono innamorati oggi i tifosi baschi?

Oggi i nomi sono quelli di Mikel Landa e Pello Bilbao. I fratelli Izagirre. Ragazzi che hanno vinto corse al Giro e al Tour e fatto il podio alla Vuelta. Sono loro i corridori che i bambini baschi vedono in televisione e in un modo o nell’altro sono passati tutti per la Fondazione Euskadi. Io ho corso quattro anni con quella maglia. Dopo gli anni in Italia, avrei avuto anche altre offerte, ma per un ciclista di qui vestire la maglia arancione era il massimo. Ho fatto le migliori corse al mondo ed era un orgoglio, perché quella maglia ci rappresentava.

La squadra di oggi ha gli stessi valori?

E’ nata da poco, ma ha lo stesso DNA. Questo è un Paese in cui si lavora, ci sono tante fabbriche e abbiamo la mentalità che per ottenere le cose bisogna lavorare sodo. Che nessuno ti regala niente. La gente ci segue perché si riconosce in quello che facciamo, siamo ancora una squadra vicina alla gente.

Il ciclismo spagnolo adesso si aggrappa ad Ayuso e Rodriguez, c’è un giovane basco in arrivo?

Abbiamo tanti corridori buoni, ma il ciclismo è cambiato tanto. Questi campioni che stanno uscendo così presto sono la causa della troppa fretta per gli altri giovani, ma non tutti sono pronti, per i motivi più diversi. Non è che se un corridore di 22 anni non è ancora venuto fuori, non possa uscire a 24-25 anni e diventare ugualmente un campione. Ci sono corridori forti e ci saranno sempre, noi lavoriamo per farli uscire e per far crescere nuovamente questa squadra.

Vai ancora in bici?

Ogni tanto, meno di quel che vorrei. Il lavoro che faccio è impegnativo, ti porta a stare tante ore e tanti giorni fuori da casa e non è facile. Cerco di fare sport per essere in forma e per avere la mente libera dai tanti pensieri che ho per la testa. Per cui ogni tanto vado a farmi un giro, anche se evidentemente la condizione è calata tantissimo e al massimo posso dire di fare delle passeggiate. Ricordo bene cosa significhi allenarsi, quello che faccio è un’altra cosa. 

Più chilometri e ore di gara nel femminile, che si adegua…

07.01.2024
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I training camp di dicembre delle formazioni femminili hanno avuto tutti lo stesso leit motiv. Incamerare chilometri, fare fondo e ore di sella. E sarà così anche per quelli di gennaio. L’obiettivo è arrivare pronte ad una stagione che presenterà gare con distanze sempre maggiori e crescenti rispetto al passato.

Bertizzolo e Consonni ci hanno spiegato quanto questa tendenza porterà a diverse conseguenze in gruppo. Scelte programmate del calendario per centellinare le energie, tattiche di corsa diverse e spazio per molte più atlete, giusto per fare qualche esempio. Così prendendo spunto dalle parole delle due azzurre della UAE Team ADQ, abbiamo chiesto al cittì Paolo Sangalli il punto di vista su un tema che si è evoluto (e sta continuando ad evolversi) negli ultimi due anni.

Impresa e tattiche stravolte. Yara Kastelijn al Tour 2023 vince la quarta tappa di 177 chilometri al termine di una fuga di 150
Impresa e tattiche stravolte. Yara Kastelijn al Tour 2023 vince la quarta tappa di 177 chilometri al termine di una fuga di 150
Paolo, una tua prima impressione a riguardo?

Credo che il cambio di mentalità sia arrivato quando buona parte delle formazioni maschili, WorldTour e non, hanno creato il loro equivalente al femminile. La condotta di gara si ispira ormai ai canovacci degli uomini. Tuttavia non bisogna tralasciare che finora la miglior squadra femminile è stata la SD-Worx che non ha una versione maschile. Loro però ragionano così da tanto tempo. Erano uniche per certi versi, adesso invece non sono più sole. Per fortuna direi, così diventa tutto più interessante. E poi ci sarà un altro aspetto di cui tenere conto.

Quale?

Secondo me col ritiro di Van Vleuten si vedrà un altro modo di correre, specialmente nelle gare a tappe. Per la verità qualcosina abbiamo già visto nel 2023, però sappiamo bene che Annemiek quasi sempre partiva senza troppi tatticismi e chi c’era c’era, mentre per le altre c’era poco da fare. Lei era un’atleta che lasciava poco alle avversarie, anche in termini di vittorie parziali. O meglio, nel ciclismo femminile non c’è ancora la mentalità per cui si può lasciare la tappa ininfluente per la classifica ad un’altra atleta, un po’ come faceva Indurain al Tour.

Potremmo vedere qualche atleta che sacrifica una tappa importante per ipotecare la generale?

Al momento la discriminante è che ci sono gare a tappe per un massimo di otto giorni, quindi troppo pochi per poter fare certi tipi di calcoli. Diventa difficile pensare che qualche corridore o squadra voglia rinunciare a vincere il cosiddetto tappone pur avendo in mano la classifica. Credo però in ogni caso che potremmo arrivare alla situazione che dicevo prima col passare del tempo.

Nella passata stagione molte atlete hanno fatto delle scelte obbligate, anche loro malgrado. Questo trend a cosa è dovuto?

A parte l’alto livello ed un calendario sempre più fitto, sicuramente ha inciso la maggiore lunghezza, e quindi durezza, delle tappe o di alcune classiche. Non si possono più correre tutte le gare come prima ed essere sempre competitive. Prima erano le più esperte a restare davanti, ora ci sono anche le giovani. Certo, le atlete di fondo, come può essere una Longo Borghini, saranno sempre avvantaggiate, ma anche loro dovranno definire il proprio programma col loro team in modo più preciso. L’esempio è stata Vollering che ha saltato il Giro per arrivare in forma al Tour e vincerlo.

Per Sangalli cambieranno le tattiche senza Van Vleuten, mentre atlete di fondo come Longo Borghini non sentiranno l’aumento delle distanze
Per Sangalli cambieranno le tattiche senza Van Vleuten, mentre atlete di fondo come Longo Borghini non sentiranno l’aumento delle distanze
Il fatto che ci siano le Olimpiadi inciderà su queste scelte?

Penso di sì, anche se si tratta di una gara di un giorno quasi sempre molto strana. Si parte in 80 e dopo pochi chilometri si resta in 50 con nazionali di massimo quattro atlete. Potremmo vedere ragazze che a metà luglio faranno il Giro Women in preparazione di Parigi (il 4 agosto, ndr) e fare di slancio il Tour Femmes (dal 12 al 18 agosto, ndr). Ma potrebbero esserci tanti altri incastri nella seconda parte di stagione.

Fondamentale quindi fare fondo in inverno.

Assolutamente. A gennaio farò un salto in Spagna per vedere come stanno lavorando le varie squadre, visto che abbiamo tante azzurre sparse. Non è un caso che a dicembre le squadre abbiano fatto allenamenti da sei-sette ore senza esercizi specifici. In quelle sedute non alleni solo le gambe, ma anche la mente. Un conto è fare una volata dopo tre ore con ancora lucidità, un conto è farla dopo quattro ore e mezza con meno freschezza mentale.

Un lavoro che tornerà utile anche per le nazionali?

Si, certo. Quest’anno i mondiali avranno la solita lunghezza (154 chilometri con 2.500 metri di dislivello, ndr) ma sia le Olimpiadi che europei avranno distanze molto alte. A Parigi ci sarà una prova lunga come quella iridata, mentre invece quella continentale nel Limburgo belga misurerà addirittura 160 chilometri. In media gli altri anni gli europei avevano una lunghezza di circa 120. E’ una bella differenza.

Il Tourmalet ha deciso il Tour Femmes 2023, ma già negli anni ’90 era stato affrontato più volte
Il Tourmalet ha deciso il Tour Femmes 2023, ma già negli anni ’90 era stato affrontato più volte
Sui percorsi di certe tappe invece cosa ne pensi?

Ho letto cosa vi ha detto Bertogliati e sono d’accordo con lui, anche se in parte. Al Giro d’Italia femminile certi tipi di montagne o strade famose si facevano già tanti anni fa. Penso allo Zoncolan fatto due volte, al Pordoi, al Bondone, all’arrivo in vetta allo Stelvio nel 2010. Ma anche i Tour de France vinti dalla Luperini si correvano su tracciati già battuti dagli uomini. Credo che avere gli stessi organizzatori degli uomini per queste gare, Rcs Sport per il Giro e ASO per il Tour, è un aspetto importante per il movimento. Di certo Rubens ha ragione quando dice che il ciclismo femminile sta cambiando in fretta e che ora per preparare queste corse non bisogna lasciare più nulla al caso.

Il discorso delle distanze crescenti può riguardare a cascata anche le juniores?

Onestamente no. Già loro nel 2023 col rapporto libero hanno cambiato il modo di correre, però non penso che le gare si allungheranno. Per me non è una necessità che facciano più chilometri, almeno spero. Le juniores passano elite e solitamente hanno i primi due anni in cui possono adeguarsi con calma. Sotto questo punto di vista non c’è bisogno di forzare la situazione.

Facciamo un salto nei piani di Sagan. Uboldi apre l’agenda…

07.01.2024
4 min
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Peter Sagan avrà anche smesso di essere uno stradista, ma la bici al chiodo ancora non l’ha appesa. E, consentiteci di dire, per fortuna… Lo slovacco non sta fermo un attimo e per questo 2024 molte cose aspettano lui e il suo storico staff, al vertice del quale c’è l’amico, addetto stampa e molto di più, Gabriele Uboldi: per tutti Ubo.

Mentre Sagan è intento a spostarsi da una location ad un altra, Uboldi ci spiega più o meno i piani di Peter. La carne al fuoco è davvero tanta, ma lo è anche la gioia nel “cuocerla”. Lui stesso, del resto ce lo aveva detto, nella giornata Sportful che passammo insieme nel feltrino: «Voglio divertirmi».

Sagan con Uboldi, il suo braccio destro. “Ubo” cura gli aspetti logistici e mediatici… dello slovacco
Sagan con Uboldi, il suo braccio destro. “Ubo” cura gli aspetti logistici e mediatici… dello slovacco
Gabriele, come stanno passando queste giornate del primo anno senza che Peter sia un professionista su strada?

Tutto sommato per ora sono uguali a quelle degli altri anni. Ma proprio uguali! 

Anche il tuo lavoro?

Assolutamente sì, poi ci sarà molto da scoprire. Peter è andato in montagna al Passo Pordoi con tutta la sua famiglia: fratelli, figlio, cognate… Da lì, lo scorso 3 gennaio è tornato a Montecarlo dove vive. Lì va in bici tutti giorni, ma presto ripartiremo.

Quali mete vi attendono?

Dal 10 gennaio saremo in Sud Africa con Specialized. Ci sarà anche il team manager del team di Specy e anche Patxi Vila che, oltre ad essere uno dei tecnici della Bora-Hansgrohe, è anche con noi. Alla fine siamo la squadra di sempre: dal meccanico a Peter. La stessa squadra che cerca e vuole divertirsi e finalmente ha l’occasione per farlo. Eravamo già stati insieme in Cile a dicembre. Quindi sì, ci sarà qualche cambio, ma il calendario è pieno. Quello che forse cambierà è che dovremo fare tanti viaggi, ma cambiando meno hotel. E’ tutto da scoprire, dai: almeno per me, sicuro!

Alla kermesse Beking a Montecarlo Sagan ha vinto davanti ad un sorridente Pogacar. Il gruppo dei colleghi ha voluto salutarlo così
Alla kermesse Beking a Montecarlo Sagan ha vinto davanti ad un sorridente Pogacar
Calendario fitto, hai già una traccia, una bozza?

Come detto a breve si va in Sud Africa e ci resteremo fino al 6 febbraio. Poi andremo ad Abu Dhabi, sempre per la mountain bike. Poi ci sposteremo in Spagna per due gare: Chelva e Banyoles. Dovremmo quindi fare un gara di Coppa di Francia a Marsiglia e poi a marzo Peter farà qualcosa su strada.

Ecco, proprio di questo volevamo chiederti. Abbiamo visto che era in programma qualche evento su strada. Ma in che ottica verrà affrontato?

Saranno gare di un giorno in Francia e saranno funzionali alla MTB. Nessuna velleità di risultato o ambizioni particolari. Queste gare le faremo, o dovremmo farle, con la squadra di suo fratello Juraj (la RRK Group – Pierre Baguette, ndr). 

Perché hai usato il condizionale?

Perché bisogna vedere se… ci stiamo dentro. Mi spiego, la continental di Juraj è davvero piccolina, non c’è uno staff strutturato e Peter, comunque sia, riscuote sempre un certo movimento, attenzioni mediatiche. Alla fine ci sarà un minimo di pressione attorno e bisogna vedere quale contorno riusciremo a mettere su. Che “budget” avremo. Diciamo che questi eventi su strada sono stati fissati nel nostro calendario, ma poi dovremmo riportarli nella realtà.

Che fatica per Sagan ai mondiali di Glasgow. Peter è giunto 67° a 7’14” da Pidcock
Che fatica per Sagan ai mondiali di Glasgow. Peter è giunto 67° a 7’14” da Pidcock
E si va avanti. Siamo a marzo…

Poi sarà la volta del Brasile, ancora in Mtb. Laggiù ci saranno la Brasil Ride e una prova di Coppa. Da qui seguiranno altre prove di Coppa del mondo in Europa: Nove Mesto, Val di Sole e Les Gets. Quindi un evento molto importante per noi: il Giro di Slovacchia su strada (26-30 giugno, ndr).

Il saluto di Sagan alla sua gente…

Esatto. E lì sarà una cosa un po’ più grande. Non nego che quelle gare di un giorno in Francia servono o servirebbero proprio per vedere se si sarà pronti per il grande movimento che ci sarà al Giro di Slovacchia. La sua presenza in questa corsa ci sembra una bella iniziativa.

Ubo, abbiamo parlato un po’ di tutto, ma non delle Olimpiadi in mtb: quello resta il grande goal giusto?

Sì, assolutamente è così, ma siamo anche consapevoli che qualificarsi non è difficile, bensì difficilissimo. Né Peter, né la Slovacchia hanno punti. Si parte totalmente da zero e il livello è alto, ce ne siamo accorti al mondiale di Glasgow. Peter ci proverà al 100 per cento, farà il massimo per andare a Parigi, ma è consapevole che è tosta.

In effetti è molto dura. Ma Sagan ha classe e sarebbe un bel colpo per tutto il movimento…

Sapete, il messaggio che vogliamo far passare è che noi vogliamo fare il meglio possibile, ma divertendoci. Questo è un aspetto fondamentale di tutto questo progetto. Se manca il divertimento viene meno tutto il resto. Se manca il divertimento sarebbe rimasto su strada o non avrebbe fatto nulla. Alla fine un corridore come Peter Sagan ha vinto e guadagnato abbastanza e di certo non gli serve correre in mtb. Se lo fa è per pura passione.

Nimbl Air: leggera e ventilata, ma anche rigida e comoda

06.01.2024
6 min
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Se l’obiettivo principale di Nimbl era quello di creare una calzatura leggerissima, è innegabile che insieme con il peso ridotto collimano anche stile e una resa tecnica straordinaria.

Le Nimbl Air sono molto differenti dalle Ultimate o dalle Exceed (quelle con i con i rotori Boa), pur sfruttando la stessa di suola, una costruzione completamente fatta a mano e materiali di prim’ordine. Entriamo nel dettaglio del test.

Le Air rappresentano al meglio “la scarpa fatta a mano” di Nimbl
Le Air rappresentano al meglio “la scarpa fatta a mano” di Nimbl

Air, quelle con le stringhe

Le stringhe applicate alle scarpe da bici esistono da sempre, ma solo da qualche stagione siamo testimoni del loro ritorno. Una calzatura con le stringhe non è solo elegante e raffinata, ma è anche molto efficiente. Le stringhe obbligano la tomaia a tirare in ogni punto, fasciando il piede come un guanto.

Non ci sono spazi vuoti tra l’estremità corporea e la parte superiore della calzatura, a tutto vantaggio di una ritenuta eccellente e di un feeling ottimale. Complessivamente una chiusura con i lacci aiuta anche a risparmiare peso.

Come è fatta la Air

La suola è quella Nimbl, completamente in carbonio e plasmata a mano. E’ uno dei segreti di queste scarpe. E’ una sorta di catino con i bordi rialzati, capace di contenere e stabilizzare il piede. Davanti è larga, abbondante e senza spigoli, mentre si stringe e sfina al centro e nella sezione posteriore. Dietro la suola avvolge il calcagno e diventa lei stessa la coppa che blocca tutto il tallone. Non ci sono inserti esterni, talloniere in materiale plastico o applicazioni di diversa natura. La suola è protetta da un puntale frontale e un tacchetto sostiubile, entrambi in morbida gomma.

La tomaia è in microfibra, morbida ed elastica il giusto, avvolgente, ma non cedevole e spessa solo 1,2 millimetri. Lo spessore aumenta leggermente nella zona della caviglia, dove c’è una ribattitura per rendere la tomaia più resistente e sostenuta. All’interno non c’è alcun tessuto grippante o controtrama, non ci sono fodere e inspessimenti, perché il calore ed il sudore non si devono accumulare. Inoltre l’intersuola è una come una sorta di tappetino di alcantara. Il volume interno della Air (grazie alla forma della suola) è ampio, lasciando tanto spazio per l’eventuale utilizzo di plantari personalizzati o supporti per l’arco plantare.

La linguetta, sempre in microfibra, presenta una leggera imbottitura, quasi a proteggere il dorso del piede dalla chiusura (perentoria) dei lacci. I passanti sono protetti da ugelli in metallo. Il prezzo di listino della Air è di 399 euro. Non è poco, ma è perfettamente in linea con la categoria: un valore adeguato alla qualità del prodotto, ricordando che la Air (come tutte le Nimbl) è fatta a mano.

Le nostre impressioni

La Air è una calzatura estremamente rigida, eppure non è scomoda, non è invadente e la suola non presenta alcun punto di pressione. La larghezza dell’avampiede non costringe e non schiaccia le dita, lasciando una libertà a favore del comfort anche dopo tante ore di sella e dopo aver affrontato salite lunghe. La stessa mobilità è un vantaggio per la circolazione, che permette di tenere caldo il piede in inverno, senza influire sulla termoregolazione durante le giornate calde. E poi le stringhe, che fanno lavorare tantissimo la tomaia.

E’ come se l’intero sistema di chiusura formasse un arco sopra il dorso del piede, fino alla suola, avvolgendo completamente il piede e distribuendo le pressioni da destra verso sinistra e viceversa. Meglio o peggio rispetto ai rotori? Qui entra in gioco anche la soggettività e il modo in cui viene sfruttata la chiusura della scarpa. Di certo se l’obiettivo è quello di “sentire” la scarpa incollata al piede, sfruttando comunque una certa elasticità sul dorso, le stringhe diventano la soluzione ideale.

Una volta che si è presa la giusta confidenza con le stringhe non è necessario aggiustare la chiusura durante l’allenamento. Ci vogliono 3 o 4 uscite per capire quale sia la pressione adeguata alle proprie esigenze e anche la qualità delle stringhe gioca un ruolo fondamentale. Meglio usare dei lacci piatti e “senza aria”, in modo da azzerare il rischio di allentamento e dilatazione.

Le prime volte il rischio di stringere troppo è più che reale
Le prime volte il rischio di stringere troppo è più che reale

In conclusione

Una Nimbl è la scarpa definitiva. Non è un compromesso e neppure una via di mezzo, non è la calzatura che fa entrare il ciclista nella categoria delle calzature super performance. Nimbl è un punto di arrivo. E’ difficile ottenere di più e dopo aver indossato (e pedalato) con un paio di Nimbl è complicato tornare ad un modello di scarpa tradizionale e, a nostro parere, la Air con le stringhe eleva ancora di più questo concetto.

Nimbl Air ha una calzatura tanto prestazionale e rigida, quanto elegante ed unica per disegno e fattura. Non sono esclusivamente delle semplici impressioni, ma diventano lo specchio delle sensazioni che trasmettono una volta indossate. Sostengono come poche altre, quando si spinge con vigore sui pedali, in piedi o da seduti e bloccano il piede senza dare fastidio. Quando termina l’allenamento o un’uscita estenuante, non si ha la necessità di togliere la calzatura per dare agio al piede, per farlo respirare e far abbassare la temperatura. A nostro parere anche questo non è un semplice dettaglio.

Nimbl

La Pauwels lo molla, Ryan Kamp riparte da solo

06.01.2024
4 min
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Il giorno prima della Coppa del mondo di Vermiglio, in quel bianco che sapeva di Natale e buoni sentimenti, Ryan Kamp ha saputo dalla sua squadra che non gli avrebbero rinnovato il contratto. Non è una bella notizia da ricevere quando la stagione del cross è già cominciata e le squadre sono tutte in Spagna per il primo ritiro.

«I dirigenti della Pauwels Sauzen-Bingoal – spiega – mi hanno detto che per il 2024 avrebbero investito sugli under 23 e quindi io a 23 anni ero troppo vecchio per loro. Era tardi, ma lo stesso i miei manager si sono messi a chiamare in giro chiedendo alle varie squadre nelle quali secondo loro sarei stato bene. Le risposte però erano tutte uguali. Non avevano spazio o non avevano budget per ingaggiarmi oppure avevano problemi con qualche sponsor».

I fratelli Roodhoft

Ryan Kamp, che nella sua carriera ha vinto un mondiale U23 di ciclocross e uno nel team relay, oltre a due titoli europei di categoria, si è ritrovato a piedi. Così si è rivolto ai fratelli Roodhoft, titolari della Alpecin-Deceuninck, che non sono riusciti a trovargli un posto in squadra, ma hanno lavorato fino a mettere insieme l’equipaggiamento necessario.

«Abbiamo trovato del buon materiale – racconta Kamp – con la bicicletta Colnago e il gruppo Campagnolo. Non li ho mai usati, ma so che sono materiali molto buoni. Ho ricevuto tutto negli ultimi giorni di dicembre. Non ho ancora firmato un contratto per l’abbigliamento, ma quello che conta è che potrò andare avanti con la stagione del cross. All’estate ci penseremo più avanti, per ora non posso guardare troppo lontano».

La Coppa del mondo

L’obiettivo è portare avanti una buona classifica in Coppa del mondo. Al momento Kamp viaggia in settima posizione, con appena un punto meno di Sweek che lo precede. In testa alla classifica c’è il suo vecchio compagno Iserbyt, ormai inarrivabile.

«Stiamo lottando per la sesta posizione – spiega Kamp – e poi, se sarò fortunato, cercherò di arrivare alla quinta. Questo è il mio primo obiettivo di stagione, ma il vero traguardo per le prossime settimane saranno i campionati nazionali e semmai più avanti i campionati del mondo. Ho avuto poco tempo per sistemare i materiali, in un momento della stagione in cui è tutto molto convulso. Avevo una vecchia bici con le mie misure, ho fatto un bike fit e abbiamo cercato di replicarle. Il passaggio da Shimano a Campagnolo significa anche tenere diversamente il manubrio, ma sto finalmente trovando il feeling. Questo è davvero il momento centrale della stagione e non vedo l’ora di cominciare».

Opzione strada

Il cross in Olanda è una religione quasi come in Belgio e il suo telefono in breve si è riempito di messaggi increduli di tifosi e amici. Come si fa a lasciare a piedi un simile talento della specialità più amata? Una spiegazione fatica a darsela anche Ryan, che ha gli occhi sul cross, ma sa anche che una possibilità potrebbe arrivargli dal mondo della strada. Come per Thibau Nys, che ha due anni meno di lui e si divide fra i due mondi.

«Per i prossimi due anni – dice Kamp – sono abbastanza sicuro che punterò forte sull’inverno e sul ciclocross, ma sento anche che ogni estate sto facendo dei passi avanti. Nel 2023 ho partecipato ad alcune gare da professionista e sono arrivato spesso molto vicino al podio. Anche ai campionati nazionali vinti da Van Baarle sono arrivato pochi secondi fuori dai primi dieci, pur non avendo una grande preparazione. Quindi sono davvero curioso di sapere cosa potrei fare quando mi preparerò sul serio».