Poggio in apnea e VdP gregario: la Sanremo è di Philipsen

16.03.2024
5 min
Salva

SANREMO – Ha vinto alla Freire. Non si è mai visto. Sempre nascosto. Coperto. Coperto persino sul rettilineo d’arrivo. Ma alla fine a tagliare per primo la linea bianca di Via Roma è stato lui, Jasper Philipsen.

In belga dell’Alpecin-Deceuninck è stato autore di una corsa forse invisibile, ma magistrale dal punto di vista tattico. In quasi 300 chilometri di gara, corsi ad una media folle (46.113 km/h), non ha speso mezza pedalata in più del necessario.

Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP
Quatto, quatto… ecco Philipsen sul Poggio. Già a ruota di VdP

Gamba al top

In pochi, il che è un eufemismo, lo davano tra i vincitori. Gli occhi erano tutti puntati sul duello fra Tadej Pogacar e Mathieu Van der Poel. Semmai il terzo uomo poteva essere Mads Pedersen. Invece, facendo come detto la formichina, Philipsen si è preso la Milano-Sanremo numero 115.

Che stesse bene, si poteva capire alla Tirreno-Adriatico. Invece proprio la corsa dei Due Mari e il terzo posto di mercoledì scorso nella “sua” Nokere Koerse hanno tratto in inganno.

«Fare la Tirreno è stato importante – spiega Philipsen – Ero raffreddato, poi il viaggio in Belgio, la Nokere, il ritorno in Italia… non mi hanno aiutato. Anzi, sono ancora un po’ raffreddato. Però da giovedì ho sentito di stare meglio. Ho sentito che qualcosa è cambiato. E credo che forse oggi ho avuto le mie gambe migliori di sempre. Se c’era un giorno in cui vincere la Sanremo era questo».

Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo
Il colpo di reni in Via Roma che ha permesso a Philipsen (classe 1998) di conquistare la sua prima Sanremo

I segnali c’erano

Eppure quegli sprint persi ci hanno fatto riflettere sullo spunto meno brillante del solito. Il spunto abituale gli avrebbe consentito di dare una bici a tutti. Erano forse quei “grammi” in meno di muscolo necessari per superare, e bene, la Cipressa e il Poggio? Il fatto che a Giulianova, durante la Tirreno, sia stato battuto da Milan ha portato tutti un po’ fuori strada.

Quel giorno invece se si riguarda  a mente fredda l’ordine di arrivo non c’erano degli sprinter puri. Basta pensare che tra i primi dieci c’erano Girmay, Alaphilippe e Tiberi.

Vero, vinse Milan. Ma torniamo al discorso dello spunto. Jasper aveva superato la salitella come Milan, ma poi non aveva avuto la stessa potenza del friulano.

«In realtà non sono più magro, anzi peso più dello scorso anno. Ma ho più potenza. Forse è per questo che ho vinto», devia Jasper con il sorriso… Di certo ha lavorato su questo aspetto. Lui ha detto di essersi concentrato molto sulle classiche durante l’inverno. 

Il discorso del raffreddore sarà anche vero e lo stesso vale per il peso, ma è chiaro che la Sanremo l’aveva preparata in altro modo rispetto al passato. Forse perché anche in squadra sapevano che una doppietta consecutiva di VdP sarebbe stata impossibile ed era pur sempre alla prima gara della stagione. E forse perché quel 15° posto del 2023 il tarlo glielo aveva insinuato.

Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo
Philipsen e Van der Poel: un abbraccio sincero e potente dopo l’arrivo

Monumento a VdP

E’ vero anche che un monumento lo deve fare al suo compagno, Mathieu Van der Poel. Il campione uscente, una volta fatta “la conta” in fondo al Poggio si è messo totalmente a sua disposizione. Ha tirato, forte, ma senza strappi. Ha tirato lungo dopo l’attacco di Pidcock e Sobrero e gli ha servito la Sanremo su un piatto d’argento.

«L’ho ringraziato per il grande lavoro fatto – ha detto e ridetto Philipsen dopo l’arrivo – E’ stato speciale così come speciale è stato il team. Sono orgoglioso di loro. Ci siamo auto regolati in corsa sulla leadership della squadra. Se dopo il Poggio fossi stato ancora lì con buone gambe avrei fatto lo sprint. In più avere un campione del mondo che lavora per te… non potevo sbagliare».

Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a Van der Poel di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità
Il momento in cui Philipsen, nella discesa del Poggio, dice a VdP di non tirare. Per un gesto simile serve grande lucidità

Poggio in apnea

Ma un corridore come Jasper è sulla Cipressa e ancor più il Poggio che fa davvero il numero. Di sprinter puri in quel momento ce n’erano rimasti ben pochi davanti. Anzi, nessuno.

«Sul Poggio dovevo resistere. La UAE Emirates aveva speso molto e sapevamo che Pogacar prima o poi sarebbe partito. Io ho cercato di restare attaccato. Di non perderli di vista. Quando il Poggio è finito mi sono detto: “meno male!”.

«In discesa avevo paura di una caduta, di un buco. Ma a quel punto Mathieu è stato molto bravo. Gli ho chiesto di non spingere troppo. E lo ha fatto… nonostante fosse il capitano e anche lui avesse le gambe per vincere. Mathieu è davvero un generoso. Gli piace vincere, ma gli piace anche aiutare la squadra».

Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar
Il podio della Sanremo 2024: primo Jasper Philipsen, secondo Michael Matthews, terzo Tadej Pogacar

Il suo terreno

Finalmente al chilometro 286 Philipsen entra nel suo regno: il finale in pianura e lo sprint. A quel punto la sua mente diventa quella di un “killer”. 

«In realtà – spiega Jasper – proprio lì ho sentito la pressione. Avevo il campione del mondo che lavorava per me. Ad inizio stagione qualche sprint lo avevo sbagliato, c’erano Matthews e Pedersen che erano pericolosissimi e se si guardava l’albo d’oro degli ultimi anni non c’erano sprinter. Certo, non è stato un grande sprint. Dopo una corsa tanto lunga e tanto veloce credo di aver espresso dei valori da dilettante. Si è trattato più di una volata di voglia, di resistenza che di potenza».

La Alpecin-Deceuninck si porta a casa un altro monumento. Ormai sembra la Quick Step dei tempi migliori. Philipsen ammette che questo succede perché oltre che forti sanno essere compatti nei momenti complicati.

«Io credo che tutto ciò sia dovuto alla nostra forza mentale. Dopo la Tirreno è scattato un “clik”. La vittoria ha calmato tutti. Ma in generale il team ci dà grande supporto psicologico. Serviva pazienza e l’abbiamo avuta». 

La UAE le ha provate tutte? Hauptman dice di sì

16.03.2024
4 min
Salva

SANREMO – Andrej Hauptman ha appena finito di rispondere alle domande di un collega sloveno. Il pullman della UAE Emirates è circondato di tifosi, perché nonostante tutto il vero protagonista della Classicissima è stato Pogacar, anche se non ha vinto. E’ stato lui a chiedere il forcing sulla Cipressa e sempre lui ad attaccare per due volte sul Poggio. Gli altri sono rimasti appesi, restando a ruota con il chiaro obiettivo di giocarsela in volata.

Van der Poel già sul Poggio aveva battezzato la carta Philipsen, per cui non ha risposto agli attacchi e non ha dato cambi in discesa. Hauptman ha vissuto la Sanremo dall’ammiraglia e ha diretto i suoi cercando di far riuscire il piano. Per cui il tono è un po’ dimesso, anche se nelle parole c’è la consapevolezza di aver fatto il massimo.

Qual era il piano?

Vincere la Sanremo (sorride, ndr). Scherzo, dai! No, il piano era andare sulla Cipressa il più veloce possibile, full gas. Del Toro ha fatto un ottimo lavoro, però non è bastato. Tadej ha provato, anche all’arrivo ha fatto veramente un sforzo incredibile e in volata si è piazzato dopo i migliori velocisti al mondo.

Sul Poggio, Tadej non ha tirato come lo scorso anno, a un certo punto si è rialzato chiedendo collaborazione, ma nessuno ha rilanciato…

E’ normale, sai, ognuno ha la sua tattica. Se Van der Poel sapeva che Philipsen era vicino, probabilmente non si è mosso per quello. E se due dei più grandi favoriti della corsa si fermano, si fermano tutti.

Il lavoro di Del Toro sulla Cipressa ha sbalordito: il ragazzino ha grande solidità
Il lavoro di Del Toro sulla Cipressa ha sbalordito: il ragazzino ha grande solidità
La differenza sulla Cipressa non è bastata perché la corsa non è stata dura come speravate?

Sapevamo di dover fare corsa dura per far arrivare gli altri più stanchi sul Poggio, però non era un compito facile. Sono sicuro che abbiamo fatto una bella corsa, anche se non abbiamo vinto. Però siamo stati vicini, per questo l’amaro in bocca è relativo: di più non potevamo fare. E quando fai tutto il possibile, devi essere felice per quello che arriva.

Del Toro ha vissuto un’altra giornata clamorosa.

Sì, il giovane Del Toro sembra un corridore già esperto, quando serve è sempre lì. Sono sicuro che farà ancora delle belle corse e tanti risultati. Credo che tutti i ragazzi abbiano fatto quello che avevano nelle gambe e per questo dobbiamo essere contenti.

Si è fatta la Cipressa in 9’26”, più di quello che pensavate?

Farla in 9 minuti sarebbe stato un po’ troppo super. Si deve sempre puntare in alto, ma il risultato è quello che avete visto. Finirà che i 9 minuti della Cipressa diventeranno come il muro delle 2 ore nella maratona.

E’ mancato qualcuno sulla Cipressa? Dopo Del Toro vi siete un po’ aperti…

Me lo chiedo anche io. Se non abbiamo vinto, qualcosa o qualcuno è mancato. Possiamo fare molte osservazioni mezz’ora dopo della corsa, la verità è che alla fine solo quello che vince ha fatto tutto alla perfezione. E Tadej ha provato a fare il massimo, anche a fare la differenza in discesa. Quando vedi che c’è ancor Philipsen, sai che in volata non hai possibilità, ma comunque te la giochi fino all’ultimo.

Bennati alla partenza, parlando di Sanremo con Ganna e Milan

16.03.2024
4 min
Salva

PAVIA – Bennati si è trattenuto a lungo con Ganna e poco prima anche con Jonathan Milan. Il lavoro del cittì è una lunga osservazione fino al momento di fare le convocazioni e a quel punto devi essere certo di averli inquadrati tutti nel modo giusto. Per questo parliamo con lui quando il countdown scandito da Paolo Mei dà il via alla Milano-Sanremo. Pavia ha accolto la carovana con un bel sole tiepido e sedici gradi: la primavera è già qui.

«Quando ero corridore – dice Bennati – mi sarà capitato sicuramente di parlare con Franco Ballerini alla partenza. Però a quel tempo la Sanremo era diversa. Quando si partiva dal centro di Milano, dal Castello Sforzesco, si avvertiva anche un po’ più la tensione o almeno io ricordo così. Ovviamente parlo da corridore ed era più complicato di ora fermarsi a parlare con qualcuno e poi il rapporto che avevo con Franco era tale che per parlarci non mi serviva aspettare la Sanremo».

Bennati ha vissuto le fasi di partenza parlando con i suoi azzurri
Bennati ha vissuto le fasi di partenza parlando con i suoi azzurri
Di cosa hai parlato con i tuoi corridori?

Anche del più e del meno, non necessariamente della Sanremo. E’ anche un modo per sdrammatizzare la tensione, anche se poi ovviamente abbiamo parlato anche della corsa, con Pippo e soprattutto con Milan. Abbiamo parlato di come potrebbe andare.

Come li hai trovati?

Ho trovato un atteggiamento sereno per tutti, soprattutto quelli su cui magari puntiamo di più. Trentin stesso, Bettiol, tutti con caratteristiche diverse. Sicuramente per Jonathan la speranza è quella di arrivare più numerosi possibili, mentre per gli altri sicuramente un arrivo a ranghi più compatti sarebbe più complicato. Pippo alla Tirreno non ha mostrato la stessa condizione dello scorso anno, però anche per lui un arrivo a ranghi ristretti potrebbe essere congeniale, perché sa essere veloce dopo una gara così lunga.

Grande serenità per Trentin, che nella Tudor correrà da leader
Grande serenità per Trentin, che nella Tudor correrà da leader
Questa corsa per te è un buon momento di osservazione?

Alla fine, anche se è la corsa più semplice dal punto di vista altimetrico, arrivare in via Roma e fare la volata, come pure essere protagonisti sul Poggio e prima la Cipressa è sempre sinonimo di avere la distanza giusta nelle gambe. E poi è una di quelle corse che ti danno maggiori indicazioni per poi scegliere i corridori per le Olimpiadi. Che sono pochi, speriamo che siano pochi ma buoni (ride, ndr).

Quanto stai ragionando su quei tre posti?

La lista è lunga, però i corridori che possono far bene in quel tipo di percorso non sono tantissimi. Come ho detto alla maggior parte dei ragazzi: «Dovete cercare di mettermi in difficoltà attraverso le prestazioni e soprattutto i risultati». Che non vuol dire vincere, perché poi vincono sempre gli stessi, però essere là a giocarsela è comunque importante. Per loro, ma anche per me per poi scegliere.

Con Milan nei giorni della Tirreno si è ragionato molto sul calendario olimpico, che impedisce ai pistard di correre su strada…

Questo ormai lo sappiamo, è un argomento vecchio perché la stessa cosa è successa anche a Glasgow. Dispiace perché si parla sempre giustamente della multidisciplina e poi i calendari non vengono fatti per agevolare chi ne fa la sua bandiera. Personalmente dispiace, però anche con tutta la buona volontà di Jonathan, che si è espresso a favore del fare la prova su strada, non si può fare tutto. Non è propedeutico alla pista fare una gara di 280 chilometri e dopo un giorno e mezzo avere la qualificazione del quartetto. E io devo guardare anche all’economia delle medaglie che possiamo portare alla Federazione. E quella del quartetto è una medaglia molto possibile.

Vieni a Sanremo?

Certo, si parte. Ci vediamo sul mare..

Debutto in Francia con capitan Roglic: Sobrero ci dice che…

16.03.2024
5 min
Salva

PAVIA – Matteo Sobrero è magro come non mai. Almeno così ci sembra: «Ovunque vado – spiega il piemontese – tutti mi dicono così, ma io sono sempre uguale». E allora saranno i nuovi colori della Bora-Hansgrohe a “snellirlo”. Fatto sta che la pancia è scavata!

Siamo alla vigilia della Milano-Sanremo, primo monumento dell’anno, e i corridori che sfilano nella mix zone ci appaiono tutti abbastanza concentrati. Magari non tesi, ma si vede che sono consapevoli che il gioco inizia a farsi serio.

A proposito di Bora-Hansgrohe, la nuova squadra con Primoz Roglic e tanti altri ottimi corridori, tra cui lo stesso Sobrero, era molto attesa alla Parigi-Nizza. Primoz era al debutto stagionale. Sulle strade della Francia sta puntando praticamente tutto il suo finale di carriera, per quel grande goal chiamato Tour de France.

Matteo Sobrero (classe 1997) pronto per la sua terza Sanremo, che affronta con una monocrona da 55 denti
Matteo Sobrero (classe 1997) pronto per la sua terza Sanremo, che affronta con una monocrona da 55 denti

Sobrero, inizio ok

E Matteo Sobrero è uno degli ingranaggi fondamentali di questa sfida. Fa parte a tutti gli effetti della Bora che vedremo al Tour.

«La mia Parigi-Nizza è stata corsa in supporto di Primoz – ha detto Matteo – quest’anno ho un programma di gare praticamente speculare al suo. Sarò in suo supporto nelle corse. E lo stesso nei camp in vista di preparazione per il Tour. Mi sto trovando bene, siamo un bel gruppo. Stiamo lavorando. E abbiamo parecchio da lavorare… come si è visto alla Parigi-Nizza».

Sobrero dice apertamente, ma si vede anche dagli occhi, di essere motivato. E’ contento di questa nuova avventura nella Bora. Ripete più volte di trovarsi bene in squadra. Ha un solo piccolo rimpianto: non aver colto un risultato migliore nella primissima gara dell’anno.

«La stagione è partita bene. La gamba rispondeva sin da subito. Al Saudi Tour speravo di salire sul podio, invece ho fatto quarto, ma è stato un buon inizio per me e per la squadra». 

Ad Auxerre, cronosquadre di 27 km, la Bora si spacca presto. Davanti restano in tre: Roglic, Vlasov e Sobrero
Ad Auxerre, cronosquadre di 27 km, la Bora si spacca presto. Davanti restano in tre: Roglic, Vlasov e Sobrero

Pasticcio cronosquadre

E con quel “abbiamo parecchio da lavorare… come si è visto alla Parigi-Nizza“, Sobrero ci porta nel cuore della conversazione: il lavoro che c’è da fare e quello che oggettivamente non ha funzionato in Francia. Anche uno dei tecnici della Bora-Hansgrohe, Patxi Vila, ha ammesso che sono stati commessi degli errori.

«I primi due giorni sono filati via bene – ha detto Sobrero – poi al terzo, nella cronosquadre, abbiamo avuto qualche problema. Abbiamo perso troppo presto diversi uomini e siamo rimasti in tre. Quel restare in tre per tanto tempo a tutta, ci ha fatto spendere molto. E quello sforzo in più lo abbiamo pagato nei giorni successivi. Abbiamo provato a correre all’attacco… alla fine il risultato è arrivato con Vlasov. Ed è stata una soddisfazione. A Primoz invece è mancato qualcosina, ma nel complesso l’ho visto bene. E già dai Baschi potrebbe farci vedere qualcosa».

Il discorso della crono, degli uomini che si perdono ci dicono che certi meccanismi nel ciclismo moderno sono troppo importanti. Non s’improvvisa nulla. Erano diversi i nuovi innesti schierati dalla Bora alla Parigi-Nizza. Quei meccanismi vanno oliati. E’ bastata una collinetta dopo pochi chilometri per sfaldare il treno tedesco. Certi wattaggi vanno calibrati, omogeneizzati fra i componenti del team. Insomma errori di “gioventù”. Come diceva Gasparotto, la Bora per ora è un cantiere.

Senza dimenticare che quello sforzo maggiore ha presentato il conto. Pensate che il quarto di loro, Marco Haller, ha incassato 4’05” da Roglic. La Bora-Hansgrohe in quella cronosquadre è arrivata undicesima, pagando 49” alla UAE Emirates. Ma loro così come tutte altre squadre davanti hanno pedalato ben più compatti e numerosi per tanti chilometri.

Matteo (al cnetro della foto) alle spalle di Primoz. Un’indicazione specifica del leader sloveno
Matteo (al cnetro della foto) alle spalle di Primoz. Un’indicazione specifica del leader sloveno

Prove di Tour

Una corsa come la Parigi-Nizza, come diceva anche Cattaneo, vale un piccolo Tour. Disputarla è importante, disputarla con la squadra che poi sarà schierata alla Grande Boucle lo è ancora di più. Bisogna conoscersi e trovare il feeling.

«Ho fatto – racconta Sobrero – anche il ritiro sul Teide con Roglic e devo dire che mi piace molto. Mi trovo benissimo con lui. Ho subito notato che ha una grande forza in tutto. Primoz ti mette a tuo agio, nonostante le mille pressioni che ha è molto rilassato, tranquillo. Non ho mai avuto un capitano del genere. Davvero una bella scoperta».

Matteo aggiunge che questa tranquillità Roglic ce l’ha anche in corsa. In gruppo non chiede di essere portato avanti, non parla in continuazione né chiede ai gregari di andare all’ammiraglia spesso.

«No, no… niente di tutto ciò. Anzi, addirittura nelle tappe di pianura mi diceva: “Stammi sulla ruota. Così se succede qualcosa mi passi davanti”. L’opposto di quello che mi sarei aspettato di fare. Visto che abbiamo misure simile, nel caso di un cambio bici sarei stato pronto a dargli la mia».

Il piemontese ha parlato di un buon clima in squadra (foto Instagram/@friesooooo)
Il piemontese ha parlato di un buon clima in squadra (foto Instagram/@friesooooo)

Tra Sanremo e Ardenne

Sobrero saluta i giornalisti nella mix zone. Deve andare. Snocciola il programma che lo attende dopo la Classicissima: il Giro dei Paesi Baschi, le Ardenne e poi un altro ritiro in quota.

«Sempre insieme a lui (Roglic, ndr). Io però le Ardenne le farò tutte, mentre Roglic farà solo la Liegi. Ma intanto pensiamo a domani (oggi, ndr). Avrò la possibilità di giocarmi le mie carte.

«Alla fine la Sanremo è una corsa un po’ particolare e aperta a molti scenari. Con i fuoriclasse non c’è storia, ma dietro ci può essere un po’ di “casino”. Per questo ho puntato sull’effetto sorpresa: monocorona da 55 denti!». Chissà, questa soluzione tecnica potrebbe essere ereditata da Roglic che a sua volta se l’è portata via dalla Jumbo-Visma.

Gaviria sta per tornare, ma intanto Cimolai si gode la libertà

16.03.2024
4 min
Salva

PAVIA – Piazza della Vittoria mormora di approvazione e a tratti esplode per il passaggio di questo o quel beniamino. Vigilia della Sanremo, le squadre hanno iniziato a sfilare sul palco dalle 16,30 con una serie di ritardi dovuti al traffico per raggiungere la città. Forse non avendo studiato troppo le carte, alcuni team sono finiti alle porte di Varese, per cui fra andare e venire hanno dovuto sobbarcarsi un viaggio. La Movistar alloggia a San Vittore Olona, 72 chilometri da qui. Per cui quando Cimolai arriva per la chiacchierata che ci eravamo fissati, ci assale un lieve senso di colpa per i compagni che aspettano soltanto lui.

Il team che serviva

La Sanremo magari non è alla sua portata, però il terzo posto all’ultima tappa della Tirreno e gli altri piazzamenti in attesa che Gaviria rientri dalla Colombia dicono che il corridore friulano è in forma e va forte. E se si fosse ritirato come aveva già deciso alla fine della scorsa stagione, avrebbe fatto una sciocchezza.

«A livello di ambiente – dice – questa squadra è quello di cui avevo bisogno per rinascere e fare gli ultimi anni come volevo, valutando anche di chiudere con loro la carriera. Mi hanno detto tutti che avrei fatto una cavolata a smettere, ma il problema è che a livello mentale quello che ho sofferto negli ultimi mesi era troppo. Abbastanza perché prendessi questa decisione. Quello che dispiaceva, soprattutto per le persone che mi stavano vicino, era il fatto che fisicamente fossi ancora competitivo e così mi pare che sia davvero».

Pubblico numeroso a Pavia. Sul palco la Visma-Lease a Bike, orfana di Van Aert
Pubblico numeroso a Pavia. Sul palco la Visma-Lease a Bike, orfana di Van Aert

Ci sono (quasi) tutti

Quando in fondo alla piazza arriva Van der Poel, il boato sale effettivamente di livello. Il campione del mondo si è fermato da una parte a parlare con Philipsen, mentre a pochi metri c’è Jonathan Milan che ha già sfilato sul palco e chiacchiera con Mohoric e gli ex compagni della Bahrain Victorious.

«Ci sono davvero tutti – dice Moreno Moser – mancano soltanto Roglic, Vingegaard e Van Aert e fosse per me, li costringerei a correrle tutte. Farebbero la loro parte e per la gente sarebbe meglio. Bisognerebbe studiare un sistema legato ai punti. Magari per noi che li conosciamo non è un problema, ma la gente si merita di averli tutti».

Il tempo di dargli ragione e torniamo da Cimolai, che ha ancora sul volto il sorriso entusiasta di dicembre al primo raduno della Movistar quando inaspettatamente sentì di essere arrivato a casa sua.

Terzo a San Benedetto, Cimolai battuto da Milan e Kristoff, ma ha fatto meglio di Philipsen
Terzo a San Benedetto, Cimolai battuto da Milan e Kristoff, ma ha fatto meglio di Philipsen
Dovevi lavorare per Gaviria, intanto sei arrivato terzo nella volata più ambita della Tirreno, dietro milan e Kristoff, ma prima di Philipsen…

Ovvio che sono venuto alla Movistar per Gaviria, però mi hanno sempre detto che in sua assenza avrei potuto giocarmi le mie possibilità. E’ stato così fin dall’inizio, anche se onestamente la Tirreno era iniziata male. Fatte le prime due-tre tappe volevo tornare a casa, perché dopo il UAE Tour mi sono ammalato e in quei primi giorni ero davvero in difficoltà. Invece la squadra mi ha tranquillizzato, mi ha detto di vedere come andasse giorno per giorno e alla fine è andata bene.

Il tipico stile Movistar…

Sì, non mi hanno criticato perché non andassi. Però ci tenevano che fossi presente nelle volate nella prima corsa WorldTour e io ho fatto il mio meglio.

Gaviria quando torna?

Fernando è andato a casa dopo il UAE Tour per la nascita del bimbo, ma lo ritroverò già mercoledì a De Panne. Ha risolto tutti i suoi problemi. Ha avuto tante conseguenze nel recupero dalla clavicola rotta. Ha avuto un’infezione, gli antibiotici l’hanno buttato giù a livello di difese immunitarie e quindi ogni tre per due era malato.

Van der Poel è super acclamato: vincitore uscente e grande personaggio
Van der Poel è super acclamato: vincitore uscente e grande personaggio
Quando non c’è Fernando, com’è a livello psicologico la possibilità di fare le tue volate?

Metà è responsabilità e metà una goduria. Ho la mia esperienza e so che quando devo farle, devo gestire la pressione. Quando invece devo tirarle, so che posso anche non essere al top, ma il lavoro riesco a farlo comunque.

Che cosa può fare questo Cimolai alla Sanremo?

Evitare di sognare ed essere onesto. Per come vanno le cose, ci sono 5-6 corridori un gradino sopra. Se tutte le cose vanno bene, mi piacerebbe essere presente nel gruppettino dietro di loro. Quei 20 corridori che si giocano il piazzamento. Fra loro penso che potrei arrivarci.

La Tirreno di Ayuso vista con gli occhi di Baldato

15.03.2024
5 min
Salva

La Tirreno-Adriatico vinta da Jonas Vigegaard ha lasciato pochi dubbi su chi sia stato il più forte. Il danese ha colto le occasioni, vinto e convinto sulle strade della Corsa dei Due Mari, agli avversari è rimasto poco o nulla. Uno dei più combattivi, insieme a Jay Hindley, è stato Juan Ayuso. Il giovane spagnolo, classe 2000, ha messo tutto se stesso sulle strade, provando a contrastare lo strapotere della Visma – Lease a Bike. In ammiraglia, al suo seguito, c’era Fabio Baldato, il diesse lo ha visto, ci ha parlato tutti i giorni. E’ il miglior interlocutore per tirare una somma finale rispetto alla corsa fatta da Ayuso. 

«Eravamo partiti con l’intenzione di fare bene – racconta Baldato che in questo momento si trova già in Belgio per le prossime corse – Ayuso ha fatto un avvicinamento promettente. Ha vinto in Francia alla Faun Ardeche, è arrivato secondo alla Drome Ardeche e poi terzo al Laigueglia. Insomma, che stesse bene si capiva».

Nella cronometro di Camaiore Ayuso ha massimizzato il vantaggio nei confronti degli avversari
Nella cronometro di Camaiore Ayuso ha massimizzato il vantaggio nei confronti degli avversari

Crono preparata

La prestazione a cronometro di Ayuso, sulle strade di Camaiore, dove ha preceduto Ganna per un solo secondo, ha stupito sì, ma non troppo. L’obiettivo del UAE Team Emirates era quello di partire forte fin da subito, andando a guadagnare il più possibile sugli avversari.

«Nella cronometro – afferma Baldato – volevamo guadagnare tempo, soprattutto su Vingegaard, infatti Ayuso ha fatto una prestazione perfetta. Farlo partire così presto era per evitare la pioggia, poi abbiamo avuto anche un po’ di fortuna. Le ultime gocce sono cadute proprio dieci minuti prima che partisse, quindi la strada non era così bagnata. Questo ha fatto la differenza, ha potuto spingere di più in curva, anche se il divario, minimo, con Ganna lo ha determinato il vento. Vincere è stata una piacevole sorpresa».

Il podio finale della Tirreno: Vingegaard ha regolato Ayuso e Hindley
Il podio finale della Tirreno: Vingegaard ha regolato Ayuso e Hindley
Per il resto com’è andata la Tirreno?

Come ci aspettavamo Vingegaard era di un altro livello, è un ragazzo che non si può sottovalutare. Noi abbiamo fatto la nostra corsa, fino a quando la maglia è stata in casa ci siamo presi le responsabilità, anche nelle tappe piatte. Nei primi quattro giorni ci siamo messi a controllare bene, tirando spesso il gruppo. 

Poi sono arrivate le salite.

Si è visto come Vingegaard sia di un altro pianeta, nella prima tappa dura (la quinta, ndr) Ayuso ha pagato un po’ di più. Mentre il giorno dopo, nella frazione con arrivo a Monte Petrano, ha tenuto più botta, perdendo solo 26 secondi. 

A quale livello si è presentato Ayuso?

Ha ancora margini di crescita, non ha preparato la Tirreno come un obiettivo principe, facendo quindi altura, casa e poi gara. Ma ha corso prima, quindi non si è risparmiato, come dimostrano i risultati. E’ arrivato in forma, ma non al top. Vingegaard arrivava dal Gran Camino, che aveva dominato. Mentre per Ayuso era la prima corsa a tappe. 

Ayuso ha raccolto tanti risultati di rilievo a inizio stagione qui al Laigueglia dove ha fatto terzo
Ayuso ha raccolto tanti risultati di rilievo a inizio stagione qui al Laigueglia dove ha fatto terzo
Vigegaard è andato davvero forte, vi spaventa anche in ottica futura?

Si tratta del miglior scalatore al mondo al momento, ma non siamo privi di soluzioni. Abbiamo una squadra forte, che può contrastarlo. Per come ne parlate sembra che Ayuso dovesse dare un minuto in salita a Vingegaard ma non può essere così. Il danese ha vinto due Tour, Juan è arrivato terzo in una Vuelta. Poi hanno due età diverse, Juan è giovane e di margini ne ha ancora tanti. 

Ayuso si è trovato spesso gomito a gomito con Hindley…

Quello è stato un confronto più confortante, dove il nostro ragazzo ha tenuto testa ad un corridore che ha vinto un Giro d’Italia. Noi abbiamo raccolto il massimo, secondo me, considerando anche le defezioni dell’ultimo minuto. 

Chi?

Nel piano originale avremmo dovuto portare Adam Yates, ma la caduta al UAE Tour ce lo ha impedito. Con lui, che avrebbe potuto provare a seguire Vingegaard in salita avremmo potuto fare una corsa diversa. Con un vantaggio numerico (Ayuso e Yates contro Vingegaard) avremmo potuto giocare diversamente. 

Al posto di Yates è venuto Del Toro, che ha fatto una grande prova.

Bisogna fargli una statua. Non è da tutti essere chiamati all’ultimo e farsi trovare pronti, soprattutto da così giovani. Ha dato una grande mano ad Ayuso, specialmente nella tappa di Valle Castellana dove ha tirato il gruppo inseguitore. 

Con Ayuso che bilancio avete fatto a fine corsa?

Ottimo. Con la Tirreno conclusa Ayuso è il corridore con il maggior numero di punti in questo momento. Poi da domani magari la classifica cambierà, però in un ciclismo che guarda anche i numeri è un ottimo segnale. Cresce e migliora, non serve mettere fretta, ci pensa lui stesso. 

In che senso?

Pretende tanto dalle sue qualità. E’ un vincente, vuole arrivare ed è convinto di poterlo fare. Ora Vingegaard è un gradino sopra, ma l’obiettivo di Ayuso è quello di salirlo.

Malori e il casco vietato ad Evenepoel: assenza di logica

15.03.2024
6 min
Salva

«La cosa brutta è che adesso uno non potrà usare il casco con cui ha fatto tutti i test e con cui ha vinto il mondiale, gli altri invece non cambieranno niente. E visto che si giocheranno il Tour, poi forse le Olimpiadi e il mondiale, non lo trovo tanto giusto. Anzi, direi che mi fa proprio… arrabbiare».

Quando sei stato cronoman e poi sei diventato ambassador di varie aziende, ti viene facile capire che cosa significhi vedersi negare da un momento all’altro l’utilizzo di un componente per il quale avevi studiato e su cui avevi investito. Così quando Adriano Malori affronta il tema dei caschi da crono prima autorizzati e poi negati, ha un moto di stizza facilmente comprensibile. Lui che sulla crono ha costruito la sua notorietà è passato attraverso la fase dei caschi… fasulli, costruiti solo per aerodinamica. Poi però ha visto arrivare quelli sicuri e anche veloci. L’ultimo step, con il divieto del sotto casco Specialized e la messa in discussione di quelli della EF, del Bahrain e della Visma, non gli va davvero giù.

Cominciamo dal casco di Specialized, che è stato vietato. Ti piaceva?

Non è tanto un fatto di gusto, anche se credo che la decisione dopo la crono della Tirreno sia stata dettata solo dai commenti di certi tifosi che giudicano l’aspetto e non la sostanza. In questi ambiti dovrebbe essere un fatto di utilità e loro sono certi che serva. Hanno fatto i loro test, anche se come ogni cosa in questo ambito, è tutto legato alla posizione dell’atleta. Per Remco (Evenepoel, nella foto di apertura, ndr) di certo funziona. Lui ha la capacità di tenere la posizione aerodinamica e quindi, dato che tiene la testa come deve e l’aria scivola dalla zona del mento al collo, il sistema funziona. Se invece prendiamo Vlasov, che tiene la testa alta per guardare avanti, allora l’utilità di quella strana cuffia viene meno. Come facessero poi a usarlo con 40 gradi, sono fatti loro…

Questo il casco Giro della Visma-Lease a Bike sotto osservazione: il problema è solo la sua estetica?
Questo il casco Giro della Visma-Lease a Bike sotto osservazione: il problema è solo la sua estetica?
Singolare che prima lo abbiano approvato e poi vietato.

Come dicevo, sembra quasi che gli ultimi visti alla Tirreno li abbiano messi in discussione perché la gente ha fatto dei commenti strani. Perché loro, l’UCI, di fatto li aveva autorizzati in anticipo, per il fatto di dover correre con gli stessi materiali che è possibile trovare in commercio. La cosa buffa è che alla partenza di ogni cronometro ci sono dei giudici UCI. Se loro hanno detto che Vingegaard poteva correre con quel casco e che la Bahrain poteva usarlo, non capisco perché l’UCI adesso dica di voler riaprire il fascicolo.

Il casco deve essere esclusivamente un dispositivo di sicurezza, giusto?

Il regolamento dice questo, ma non credo che le aziende mettano fuori dei caschi che non proteggono l’atleta. Assolutamente no. Figurarsi a livello commerciale, toccando ferro, cosa accadrebbe se Vingegaard cadesse e si spaccasse la testa perché il casco non ha retto l’impatto… Per chi lo produce sarebbe un colpo mortale, non venderebbe più un solo casco. Mi ricordo che anni fa, quando ancora correvo, i modelli da cronometro li facevano con la calotta senza il polistirolo dentro: ricordate? Era il 2008 o 2009 e tra l’altro il casco con cui ho vinto il mondiale U23 ce l’ho ancora in studio e dentro non ha protezioni. Ha solo due cuscinetti. In quel caso sarebbe stato giusto vietarlo. Ma visti i caschi in questione, trovo illogico che li vogliano fermare. E’ come per il peso delle biciclette e ogni altro sviluppo…

Il casco con cui Malori vinse il mondiale U23 di Varese era effettivamente privo di grandi protezioni
Il casco con cui Malori vinse il mondiale U23 di Varese era effettivamente privo di grandi protezioni
Vale a dire?

Facciamo un esempio. Nella MotoGP ci sono delle moto che sono delle macchine come la Formula Uno. Hanno alettoni e ali, tanto che ai puristi son sembrano più neanche delle moto. Però mi sembra che lo sviluppo vada davanti lo stesso. E allora perché qui devi proibire un mezzo che aiuta la performance, senza pregiudicare la sicurezza? Il discorso di renderlo accessibile a tutti è preservato, perché non credo che un casco così avrà un costo proibitivo. Un casco da crono costa come uno da strada. Invece l’UCI si è mossa per far vedere a tutti che comandano loro. E le cose restano ferme con il nodo per il peso della bicicletta…

I famosi 6,8 chili…

Un limite che ormai è vecchio più di 20 anni, forse 25. Non ero ancora professionista (Adriano passò nel 2010, ndr) e già c’era quella regola. Adesso ci sono le biciclette che hanno i freni a disco, dei materiali che fanno paura e nuovi studi, come abbiamo visto per esempio con Ganna per il Record dell’Ora. Per quale motivo un’azienda dovrebbe investire se ha sempre quel limite? E se anche fossi un amatore e la volessi più leggera, partecipando a qualche gran fondo internazionale, sarei passibile di squalifica. E allora la ricerca si ferma e questo non è un bene.

Questo il casco Rudy Project della Bahrain Victorious: ugualmente sotto la lente
Questo il casco Rudy Project della Bahrain Victorious: ugualmente sotto la lente
Mettiti un attimo nella testa di Remco, che ha fatto tutti i test in galleria del vento per ottenere del margine con quel caso, come ti sentiresti ora che te l’hanno tolto?

Mi girerebbero le scatole. Come se quando correvo alla Movistar e la nostra Canyon era una bici da crono pazzesca, arrivava qualcuno e mi vietava di usarla, dopo che ci avevo corso e vinto per un anno. Sono passaggi che non capisco, non c’è in ballo la sicurezza. Le crono dovrebbero essere il banco di prova della ricerca. Le aziende non fatturano poi molto con quelle bici, non ne vendono poi molte, no? Pinarello fa un telaio allo Scandio per il record dell’Ora, ci studia, il record viene e ne ottiene una bella immagine. Logicamente se lo studio viene fermato, tutto si appiattisce.

Con i caschi è lo stesso?

E lo stesso accade con i caschi. Quelli da crono dovrebbero essere un bel terreno di studio e di sviluppo, perché il casco da strada comunque è quello. Anzi, se posso permettermi, si mettono di mezzo nelle crono e poi permettono alla EF di correre su strada con un casco da cronometro. Lo avete visto quello con cui ha vinto Bettiol alla Milano-Torino? E’ un casco che usano anche le donne su strada, ma di fatto quello è un casco da crono. Sapete cosa mi dà fastidio?

Bettiol vince la Milano-Torino con il casco Procen di Poc, nato per le crono
Bettiol vince la Milano-Torino con il casco Procen di Poc, nato per le crono

Cosa?

Hanno fatto meno storie a fare entrare i dischi sulle bici da strada in gara, che sono delle lame che girano. Mi ricordo il caso di Ventoso, che correva con me e che hanno insabbiato. Fran si è aperto il ginocchio per un disco, ma dietro i caschi non ci sono gli interessi che c’erano dietro i dischi. E allora si spiega tutto, perché alla fine è un fatto di potere e di soldi. E i corridori stanno in mezzo.

Discesa: materiali e traiettorie diverse. Cosa dice Nibali?

15.03.2024
4 min
Salva

Discesa, bagnata, verso Nizza. Remco Evenepoel entra in curva più largo ed esce più stretto. Matteo Jorgenson più di qualche volta fa il contrario: entra stretto ed esce largo. In teoria è giusta la traiettoria del belga, ma a volte nella fase d’uscita era più veloce l’americano.

Questa differenza di traiettorie vista alla Parigi-Nizza ci sembra in generale un po’ più marcata che in passato. Perché? Quanto contano i materiali, specie gomme e freni a disco in tutto ciò? 

Vincenzo Nibali, ci aiuta a capire meglio. Lo Squalo era, e resta, un discesista formidabile e anche un ottimo collaudatore. Vincenzo ha “l’orecchio fino” quando si tratta di guida e materiali.

Vincenzo Nibali (classe 1984) è stato, tra le altre cose, un grande discesista
Vincenzo Nibali (classe 1984) è stato, tra le altre cose, un grande discesista
Dicevamo, Vincenzo, traiettorie diverse quelle fra Remco e Jorgenson…

Traiettorie diverse, ma dietro queste differenze più che i materiali credo ci siano soprattutto due tipologie di guida differenti. Bisogna anche considerare che erano in due e in queste circostanze, o quando si viaggia in un drappello ridotto, capita spesso che non si replichi la traiettoria di quello davanti: magari per avere più visuale, perché si ha più libertà di scendere come si vuole, perché ci si lascia un piccolo margine di sicurezza. Cose che in gruppo, specie se scende allungato in fila indiana, non si può fare in quanto la scia e la traiettoria è “obbligata”.

Le coperture moderne sono più larghe. Può essere questa una spiegazione alle traiettorie diverse?

Sì e no, anche io sto utilizzando proprio in questi giorni gomme da 30 millimetri e certamente tengono di più. Non so ancora come vadano di preciso sul bagnato, perché è davvero da pochi giorni che le sto testando. Di certo si ha una sensibilità diversa. Faccio un esempio…

Vai…

Ora sto utilizzando delle Continental, il cui battistrada è una sorta di “slick”. Prima avevo Vittoria, che invece era intagliata. Nell’ultimo anno all’Astana-Qazaqstan avevo giusto Vittoria, ma spesso utilizzavo il caro “vecchio tubolare”. Perché? Perché quello di Vittoria era un filo più largo rispetto a molti altri, era un 26 millimetri, quindi avevo una buona superficie, ma al tempo stesso una copertura leggera. E soprattutto questa copertura mi trasmetteva una certa sensibilità nelle guida, una sensibilità più grande, più profonda. Sentivo meglio la strada, ecco.

Gomme da 30 millimetri, sempre più usate
Gomme da 30 millimetri, sempre più usate
E col tubeless?

Con il tubeless largo, senza dubbio la bici è più veloce, confortevole… ma in salita si “muove” di più. E poi c’è un po’ di peso in più. Senza far nomi, ma alcuni corridori quando arrivano le grandi salite utilizzano coperture più strette.

E il freno a disco quanto conta nelle traiettorie?

Di certo è una frenata differente. Col disco è subito forte, poi si stabilizza ed è meno intensa, pertanto devi modulare diversamente. Può succedere però che l’impianto del freno a disco, l’olio o il disco  stesso, si surriscaldino e quindi la frenata cambi ancora.

Cioè?

Diventa “spugnosa”, meno pronta.  Con i freni tradizionali invece era il contrario, all’inizio quasi non rallentavano e poi la frenata arriva a di colpo, specie con le ruote in carbonio e ancora di più in caso di pioggia. Lì avevi 2” di panico e poi la bici iniziava a rallentare. Adesso questo problema non c’è più.

A tutto vantaggio dei meno bravi?

Dei più pesanti, direi… Il discorso per me non riguarda solo gomme e freni a disco, ma un po’ tutto: l’aerodinamica, i canali delle ruote più grandi, le campanature dei raggi migliore che in passato, la gomma che con la “ruota giusta” dà una superficie e un disegno di appoggio migliore… Tutto questo consente anche traiettorie diverse, più ampie, o più strette.

Nell’ordine, Jorgenson, McNulty e Skjelmose: piccole differenze di traiettoria e anche di frenata (notate le dita di ciascuno)
Nell’ordine, Jorgenson, McNulty e Skjelmose: piccole differenze di traiettoria e anche di frenata (notate le dita di ciascuno)
Quindi i nuovi materiali in discesa concedono qualche margine d’errore in più? Come appunto abbiamo visto fra Remco e Jorgenson…

Torno al disco che magari chi sta dietro non si fida di chi sta davanti. Van der Poel è un grande in discesa. Remco forse qualche gap ce l’ha, qualcosa da migliorare. Jorgenson ammetto che non lo conosco. Oggi gomme, freni a disco, cerchi larghi… ti consentono di osare di più e da fuori di vedere qualche linea differente.

Chiaro…

Io stesso vedo che con la copertura da 30 mm posso stringere di più la curva e piegare di più, ma questo è dovuto soprattutto alle pressioni più basse rispetto al passato. Prima se si scendeva forte il margine di errore era quasi zero, il discesista era quasi un artista, adesso è un po’ più ne hai.

Quindi una mano ai meno bravi i nuovi materiali la danno…

Un po’ sì, soprattutto sull’acqua. Poi bisogna considerare però che si va anche più forte, che le bici è più rigida, più veloce… e alla fine la gomma è molto importante, perché è il punto di contatto fra la bici (e il ciclista, ndr) e l’asfalto.

Barbieri, dopo il buon inizio, ora freme per pilotare Kool

15.03.2024
6 min
Salva

Forse non se lo aspettava nemmeno lei di inserirsi così bene e rapidamente nella nuova squadra. E forse non pensava neanche di raccogliere così presto un paio di risultati importanti. Rachele Barbieri è arrivata al Team dsm-firmenich PostNL con un compito ben preciso per le volate di Charlotte Kool, ma in questo inizio di 2024 si è dovuta mettere in proprio facendosi trovare pronta come finalizzatrice.

Su quasi mille chilometri di gare, solo in due circostanze Barbieri ha corso al fianco della sua capitana e, nonostante tutto, l’affinità tra loro sta migliorando, anche a distanza (e vedremo come). Nel frattempo la ventisettenne di Serramazzoni al suo debutto stagionale ha centrato un secondo posto dietro Wiebes nella tappa inaugurale del UAE Tour e poi una terza piazza che grida vendetta alla Drentse Acht van Westerveld. L’umore di Rachele adesso è alto non tanto per i risultati, quanto per la nuova carriera che si sta profilando e il nuovo ruolo che si sta ritagliando.

Impossibile non parlare del tuo buon avvio. Te lo aspettavi?

Onestamente no (risponde in modo raggiante, ndr). In generale sono molto contenta di come sto andando. Rispetto all’anno scorso ho già visto un gran bel cambiamento. Sento che sto diventando un po’ più completa, anche se in salita faccio ancora fatica. Inizialmente mi facevo un po’ di paranoie sul fatto di essere la più “anziana” della squadra, invece mi sono resa conto di essere in mezzo ad atlete ben formate. Sto imparando tanto da tutte le ragazze, anche quelle più giovani come Barale e Ciabocco.

Quindi possiamo dire che ti sei ambientata bene, giusto?

Sì, benissimo. Sono molto soddisfatta del feeling che c’è fra noi nel team. Anzi, come dico spesso ai miei genitori o a Manlio (Moro, il suo compagno, ndr), mi spiace essere arrivata in DSM solo adesso, benché non rinneghi il mio percorso passato. Questa squadra è ciò che mi serviva. So che hanno regole precise e che non tutti sono portati a rispettarle, però negli anni scorsi ero abituata ad arrangiarmi da sola in tante cose tra gara e fuori. Ora invece mi piace l’idea di essere all’interno di un meccanismo.

Rachele Barbieri ha un contratto col Team dsm-firmenich PostNL, fino al 2026. Ha deciso di concentrarsi solo sull’attività su strada
Rachele Barbieri ha un contratto col Team dsm-firmenich PostNL, fino al 2026. Ha deciso di concentrarsi solo sull’attività su strada
Nei due podi conquistati potevi ottenere qualcosa in più?

La settimana scorsa alla Drentse Acht sì. Ho sbagliato partendo troppo presto e sia Van Rooijen, che poi ha vinto, che Chiara (Consonni, ndr) mi hanno passato negli ultimissimi metri. Peccato perché stavo bene ed invece l’ho buttata via, ma sono contenta se penso alle difficoltà dell’anno scorso. Invece al UAE Tour ho fatto un grande risultato arrivando dietro a Wiebes. E’ giusto ammettere che è lei la velocista più forte in gruppo. Però in questo caso sono convinta che ce la possiamo giocare con Charlotte.

Kool in effetti è forse l’unica che ha dimostrato di saper battere Wiebes. Come va il vostro affiatamento?

Poco prima del UAE Tour, Charlotte si è fatta male ed è dovuta restare a casa. A quel punto la squadra ha lavorato per me e non me lo aspettavo. Non siamo andate male, ci siamo comportate bene anche nei ventagli. E Charlotte guardando le tappe da casa prendeva appunti su come ci eravamo mosse durante lo sprint senza di lei. Mi ha dato riscontri utili al fine di migliorare i nostri automatismi. Non è scontato entrare in una squadra così rodata. E devo dire che lei si fida di me.

Quando ci sarà la prossima sfida?

Alla Ronde van Drenthe non c’è stato lo sprint perché si arrivava sul VAMBerg ed ora Wiebes vince anche su questi terreni, lo avete visto tutti. Però su percorsi e arrivi piatti, penso che Kool abbia punte di velocità uguali o maggiori. Loro due sono state compagne proprio qua alla DSM e si conoscono bene. La prima occasione sarà a De Panne giovedì prossimo (21 marzo, ndr). Non vedo l’ora che arrivi questo scontro con Lorena perché riusciremo a capire a che punto saremo col nostro treno.

Ora che hai accumulato un po’ di giorni di gara, avverti il peso delle responsabilità di questo ruolo rispetto alle prove in allenamento?

Quando ho firmato per la DSM sapevo di venire qua per lavorare per Charlotte. Ed aggiungo anche per Georgi, atleta giovane, veloce e forte che tiene su percorsi e arrivi più difficili. Sapevo che sarei dovuta stare vicina a loro, quindi è normale che le responsabilità ci siano, però ho capito che qui non ci sono differenze. C’è molta unione, ci aiutiamo tutte l’una con l’altra e ognuna è importante. Sono contenta perché mi sto già accorgendo che sto crescendo.

Doppio ruolo. Rachele avrà il compito di pilotare in volata Kool (a sinistra) e in altre gare restare vicino a Georgi (a destra)
Doppio ruolo. Rachele avrà il compito di pilotare in volata Kool (a sinistra) e in altre gare restare vicino a Georgi (a destra)
Considerando anche che non farai più pista, sta nascendo una nuova Rachele Barbieri?

Diciamo di sì. Ho dovuto fare scelte dolorose, ma ponderate. Ad esempio non sono più seguita dal mio vecchio preparatore Stefano Nicoletti. Ora ho quello della squadra per essere tutte noi atlete allineate allo stesso modo. Stefano ha capito perfettamente la situazione e penso che adesso sia meglio per tutti. Così come per la pista, anche se mi dispiace non farla. Però se avessi continuato, e me ne stavo accorgendo, avrei rischiato di non fare bene né la pista né la strada. Sono curiosa e altrettanto motivata di vedere come andrò essendo più leggera negli impegni e facendo solo un’attività.

Quali sono gli obiettivi a breve termine?

Direi uno per il momento. Quello principale è riuscire a creare il miglior treno possibile per Charlotte Kool e metterla nelle condizioni di giocarsi la volata senza problemi. Le gare si vincono e si perdono e su questo non siamo particolarmente preoccupate. Invece sappiamo che se ci prepariamo bene e trasferiamo in gara questo lavoro, possiamo toglierci belle soddisfazioni.