Gianmarco Garofoli, nazionale

Garofoli stakanovista azzurro: tre weekend di fila in nazionale

08.10.2025
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Gianmarco Garofoli è stato lo stakanovista della maglia azzurra. Il marchigiano si è sciroppato tre weekend di fila tra europeo gravel, mondiale ed europeo su strada. E lo ha fatto con ottimi risultati ovunque, mostrando un attaccamento alla nazionale come poche altre volte si è visto.

Tutto nasce dalla buona condizione dell’atleta della Soudal-Quick Step, che anche ieri si è ben mosso alla Tre Valli Varesine.
«Sto facendo un bel finale di stagione – commenta Garofoli – sono molto contento di come sono andate queste ultime gare. Mi sono fatto trovare pronto alla chiamata del commissario tecnico all’ultimo momento per il mondiale, e da lì in poi sono cresciuto. Manca certo la vittoria, qualche risultato di spessore, ma arriverà: quando stai sempre lì davanti, prima o poi arriva, ne sono sicuro».

Gianmarco Garofoli (classe 2002) sugli sterrati dell’europeo gravel. Alla sua prima esperienza nella specialità è arrivato 11°
Gianmarco Garofoli (classe 2002) sugli sterrati dell’europeo gravel. Alla sua prima esperienza nella specialità è arrivato 11°
Partendo da questo tuo finale di stagione, Gianmarco, viene da dire: peccato per quella Vuelta non finita per poco. Ma guardando il bicchiere mezzo pieno… magari ora sei più fresco.

Guardiamo al bicchiere mezzo pieno… Sì, vero, anche se l’ultima settimana è stata abbastanza facile per quello che mi hanno detto gli altri compagni, visto che con le proteste per la Palestina che hanno interrotto le varie tappe, alla fine la parte più dura è stata la seconda settimana.

In effetti nell’ultima settimana sono rimasti uguali all’originale l’arrivo vinto da Pellizzari e la Bola del Mundo…

Esatto, infatti dico che sono veramente super soddisfatto di questa stagione. Penso che, se me l’aveste chiesto a inizio anno, sarebbe stato impossibile pensare di partecipare al Giro d’Italia, al mondiale, alla Vuelta, agli europei. Ho fatto tutte belle gare, ho dimostrato di andare forte e di essere uno di quelli forti. Questo è impagabile, sono ritornato ad alto livello.

Ci ha colpito tanto questa tripletta in nazionale: europeo gravel, mondiale, europeo strada. Com’è andata? Partiamo dall’europeo gravel…

Già durante la Vuelta stavo un po’ guardando i calendari gravel e ho visto che c’era il campionato europeo “vicino” casa mia, ad Avezzano. Mi è scattata subito l’idea di poterci andare, anche perché in quel momento non avevo in programma né il mondiale né gli europei su strada.

Il marchigiano sulla salita del Mount Kigali. Ottima la prestazione iridata
Il marchigiano sulla salita del Mount Kigali. Ottima la prestazione iridata
Volevi allungarlo un po’, insomma?

Sì, infatti mi sono detto che dopo la Vuelta mi sarebbe servita una gara per tornare a divertirmi, perché dopo un Grande Giro sei sempre un po’ stanco mentalmente. E poi volevo cambiare, fare questa bella esperienza. Era vicino casa, quindi la trasferta non era così impegnativa. Dentro di me ha iniziato a girarmi questa idea. Ho parlato con la squadra, ho spiegato il mio interesse per una gara gravel – che non avevo mai fatto – e loro mi hanno supportato. Poi, parlando con Bramati, mi ha detto che avrebbe sentito il cittì Daniele Pontoni.

E lui ti ha chiamato?

Quasi subito. Daniele era contentissimo di questa mia disponibilità. E’ nato tutto così, una cosa dietro l’altra. Poi mi sono ammalato e ritirato dalla Vuelta. Sono stato un paio di giorni fermo a letto, ma col senno di poi mi ha fatto bene, perché la condizione era buona. Sono andato a questo europeo gravel senza grosse ambizioni o aspettative. Invece andavo forte. Peccato una foratura nel momento sbagliato.

Cosa è successo?

Ho dovuto fare 15 chilometri con la ruota completamente a terra. Ho perso sei minuti. Magari avrei potuto giocarmi una medaglia. Vincere è sempre difficile, ma una medaglia credo di sì, perché andavo veramente forte. Poi ho provato l’inseguimento, stavo recuperando, ma quando perdi così tanto… Ho fatto tutta la gara a inseguire. Mi è dispiaciuto, perché non sono mai stato nel vivo della corsa, nonostante la gamba ci fosse.

Un aneddoto divertente. Essendo arrivato all’ultimo al mondiale, Garofoli ha corso con la maglia intima con su scritto Pellizzari. Quella giusta è arrivata più tardi
Un aneddoto divertente. Essendo arrivato all’ultimo al mondiale, Garofoli ha corso con la maglia intima con su scritto Pellizzari. Quella giusta è arrivata più tardi
Serve anche un po’ di fortuna nel gravel…

Mi sono divertito tantissimo, è stata un’esperienza bellissima. E’ stata anche molto dura, perché il gravel è davvero impegnativo. Non me l’aspettavo così.

Quando hai deciso di fare il gravel, ti sei fatto mandare una bici a casa?

Sì, ma è arrivata tre giorni prima della gara. Ho sistemato un po’ le misure e sono andato alla scoperta…. Ripeto: è stato bellissimo. Credo che non sarà la mia ultima gara gravel. Anzi, il cittì mi ha anche proposto: «Vieni a fare il mondiale?». Ma coincide con il weekend del Lombardia.

Andiamo avanti. Cosa è successo dopo l’europeo gravel?

Sono tornato a casa pensando al finale di stagione. Mi aveva già contattato Marco Villa per il campionato europeo su strada, perciò mi stavo allenando con calma verso quell’obiettivo. Cercavo di recuperare dal gravel e di ricostruire la condizione per l’europeo e il finale di stagione. Poi è arrivata questa chiamata…

Dove stavi quando è arrivata?

Ero a casa, in videochiamata con la nutrizionista della squadra. Appena ho chiuso, mi ha chiamato Bramati: «Guarda, mi ha chiamato Villa che vai al mondiale. Fai la valigia». Poco dopo sono partito per allenarmi: è stato surreale.

Infine, storia di domenica scorsa, ecco Garofoli nel pieno della corsa agli europei in Francia dove è arrivato 9°
Infine, storia di domenica scorsa, ecco Garofoli nel pieno della corsa agli europei in Francia dove è arrivato 9°
La testa dov’era in quel momento?

Avevo l’adrenalina a mille, non capivo niente, ero nervosissimo. Non sapevo che allenamento fare: due ore, cinque ore? Chiamavo il preparatore che non rispondeva, ero nel panico. Poi mi sono detto: dai Gianmarco, calma. Tanto non si può inventare nulla in pochi giorni. Ho fatto un discreto allenamento, poi a casa, valigia e via.

Ti è arrivato il biglietto aereo all’ultimo momento?

Sì, tutto all’ultimo. Era martedì, il mercoledì sera sono partito e giovedì mattina ero in Rwanda. Una volta in Africa, ho fatto due allenamenti, ma i primi giorni sono stato male per l’altura e lo smog. Avevo paura di fare una figuraccia al mio primo mondiale, invece è andato tutto bene. Il primo giorno in cui mi sono sentito bene è stato proprio quello della gara. Appena finito il mondiale, già pensavo all’europeo: sono andato diretto dal Rwanda alla Francia con la nazionale.

Tu e Frigo siete stati i due azzurri che avete fatto sia il mondiale che l’europeo su strada, giusto?

Sì. Pensate che non torno a casa dal mondiale. Avevo preparato la valigia di corsa solo per la trasferta in Rwanda e invece ho fatto tutta una tirata fino in Francia e poi qui alle gare italiane. Quando è venuta mia mamma all’europeo e mi ha portato i ricambi, i vestiti della Quick-Step…

Da Garofoli a Frigo… la nazionale del futuro può passare da questi atleti. Almeno per i percorsi più duri
Da Garofoli a Frigo… la nazionale del futuro può passare da questi atleti. Almeno per i percorsi più duri
Parliamo dell’europeo su strada. Sei andato benone, uno dei 17 superstiti…

Credo che il mondiale mi abbia dato tanto. Se l’avessi preparato a lungo, forse non mi sarebbe venuto così bene, proprio perché non avevo aspettative. In Francia invece ero più mentalizzato, anche se avevo ancora mal di gambe dal mondiale, che è stato durissimo. Sono stato contento per Scaroni. Purtroppo è mancata la medaglia, ma ci siamo mossi bene e abbiamo fatto vedere l’Italia. Certo, battere Pogacar è quasi impossibile ora. Però dietro a lui c’eravamo noi.

Gianmarco, oltre alla tua professionalità, hai mostrato un grande attaccamento alla maglia azzurra. Cosa significa per te?

La maglia azzurra è qualcosa che ti fa dare anche quello che non hai. Vuoi onorare la Nazione, rappresenti tutta l’Italia e anche chi non segue il ciclismo, ma si ferma vedendo il campionato del mondo e dice “Forza Italia”. L’azzurro è una responsabilità. E’ stimolo. E ho pensato: «Cavolo, quando mi ricapita?». Ma dopo queste prestazioni credo che potrò farne ancora qualcuno.

Villa cosa ti ha detto?

E’ stato molto soddisfatto. Nessuno si aspettava che potessi essere lì davanti, anche perché mi ha chiamato all’ultimo. Marco mi ha detto: «Abbiamo un problema con Pellizzari, sta male, mi dispiace chiamarti così tardi». Inizialmente non ero neanche nella lista dei cinque, che poi è diventata di otto nomi, ma a quel punto stavo male anche io. Insomma non ero proprio nei radar di Villa. Appena però mi ha chiamato, gli ho detto subito di non preoccuparsi, che sarei stato pronto.

I prossimi mondiali saranno ancora impegnativi. Questa nazionale può essere l’ossatura del futuro, con te, Frigo, Pellizzari, Bagioli…

Secondo me in Italia manca forse il campione assoluto, ma appena sotto siamo in tanti e andiamo tutti forte. Si può ben sperare. L’anno prossimo i campionati saranno in Canada, su un percorso simile a quello di Montreal. Io lì ho già corso, so cosa mi aspetta. E se Villa mi richiamerà mi farò trovare nuovamente pronto.

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Diego Ulissi

Da Bettini a Villa, con Ulissi diamo i voti ai cittì azzurri

07.10.2025
7 min
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Dopo gli europei corsi bene in appoggio a Scaroni, leader di nazionale e compagno di squadra alla XDS-Astana, Diego Ulissi sta ricaricando le batterie a Lugano, prima del rush finale della stagione. I suoi 36 anni ne fanno un osservatore d’eccezione sulla nazionale: il cittì Villa è il quarto con cui ha lavorato, ma in precedenza aveva avuto modo di interagire anche con Alfredo Martini e Ballerini. I due mondiali vinti da junior lo avevano fatto entrare infatti nel giro azzurro e certi incontri non si dimenticano. Così gli abbiamo proposto un viaggio fra i suoi tecnici in nazionale. Partendo da Villa che lo ha convocato per gli europei e tornando poi indietro a Bettini, Cassani e Bennati.

Sopralluogo mondiali 2013 Firenze, Paolo Bettini, Diego Ulissi
Bettini fece debuttare Ulissi in nazionale a Firenze 2013, a 24 anni
Sopralluogo mondiali 2013 Firenze, Paolo Bettini, Diego Ulissi
Bettini fece debuttare Ulissi in nazionale a Firenze 2013, a 24 anni
Che nazionale hai trovato con Villa?

Marco lo conoscevo già, perché è stato sempre in ambito nazionale e mi è capitato di lavorarci spesso e nel corso degli anni. E’ veramente una grande persona, basta vedere quello che ha fatto in questi anni con la pista. Ha portato il suo progetto fino al tetto del mondo, per i risultati che hanno ottenuto. E’ una persona con cui a livello umano si lavora benissimo, parlo per me stesso. Mi ha reso partecipe già a giugno, dopo il Giro d’Italia, che gli serviva la mia esperienza accanto a diversi giovani per gli europei. E’ una persona con le idee ben chiare, ci si lavora benissimo.

Marco stesso ha ammesso che non avendo grande esperienza, si è appoggiato molto al gruppo. E il gruppo è stato coeso.

E’ normale che quando arrivi in un mondo diverso da quello cui eri abituato, bisogna affinare certi meccanismi. Però l’esperienza gli ha permesso di fare gruppo e comunicare bene con tutti e questo è cruciale per mettere armonia tra di noi. Dovendo fare gruppo in pochi giorni, non facendo ritiri o altro, la comunicazione e la giusta pianificazione sono importanti. In modo che ognuno sappia cosa deve fare e in pochi giorni si possano mettere a fuoco tutti i meccanismi. Devo dire che su questo aspetto ci sa fare molto.

Il primo cittì che ti ha convocato da professionista è stato Bettini, due volte iridato, campione olimpico e via elencando…

Forse anche per il fatto che portava avanti tante idee di Ballerini, sopra ogni altra cosa la coesione del gruppo, era un cittì con le idee chiare. Su chi fossero i capitani e chi dovesse lavorare e chi fare il regista in corsa. “Betto” voleva un’impronta di gara all’attacco ed era esigente. Mi ricordo che lo facemmo sia mondiali di Valkenburg sia quelli di Firenze. Appena entrammo nel circuito di Firenze, che ancora pioveva, prendemmo in mano la situazione. Era lui che voleva questo e ci dirigeva. Sono appassionato di calcio e ogni cittì è come un allenatore: ciascuno ha la sua identità e il suo stile, anche in base ai corridori che ha a disposizione.

Campionati del mondo firenze 2013, casa di Alfredo Martini, visita della nazionale
Prima dei mondiali del 2013, Bettini portò gli azzurri a casa di Alfredo Martini, storico e indimenticato cittì azzurro dal 1975 al 1997
Campionati del mondo firenze 2013, casa di Alfredo Martini, visita della nazionale
Prima dei mondiali del 2013, Bettini portò gli azzurri a casa di Alfredo Martini, storico e indimenticato cittì azzurro dal 1975 al 1997
Firenze è stato il solo mondiale che hai corso in Italia, anzi in Toscana: che effetto ti fece?

Fu particolare correre così vicino a casa. Sicuramente ero molto giovane, c’era tantissima emozione. Ci ritrovammo in ritiro a Montecatini una settimana prima e io capitai in una grande camera tripla con Scarponi e Nocentini. Penso sia stata la settimana più bella di tutta la mia carriera, veramente. Si lavorava bene e mi sono veramente divertito tanto. Eravamo una nazionale forte, eravamo coesi l’uno con l’altro. E’ una delle settimane che ricordo più volentieri di tutta la mia carriera.

Un giorno, a proposito di cittì, andaste anche a trovare Alfredo Martini nella sua casa di Sesto Fiorentino. Ricordi qualcosa?

Penso di avere ancora delle foto salvate. Partimmo in allenamento e andammo direttamente a casa sua per salutarlo. Per me, un giovane di 24 anni che seguiva il ciclismo da sempre, fu straordinario. Mi ero anche documentato sulla storia precedente, che non ho potuto vivere. Fu un susseguirsi di emozioni.

L’anno dopo arrivò Cassani. Il primo mondiale con lui lo facesti a Richmond nel 2015.

Con Davide è stato un crescendo. Ha sempre seguito le gare, però arrivava da un altro tipo di lavoro e bisognava annusarsi e prendersi le misure. Si è messo in ammiraglia e i primi due anni si sono serviti di assestamento. Poi anche con lui abbiamo creato un grande gruppo. Si è ritrovato tutti i ragazzi del 1989 e del 1990 con cui si riusciva a fare bene perché eravamo molto uniti. Lui l’ha capito e ha ottenuto dei grandi risultati. Quattro europei vinti, un argento mondiale che era quasi oro e se Nibali non fosse caduto a Rio, magari ci scappava anche la medaglia olimpica. Davide cerca di capire e di farti capire se sei in forma, se veramente puoi essere utile per la squadra. Mi ha chiamato tantissime volte in causa, perché gli piaceva il modo in cui gestivo la gara. E poi, è sempre stato chiaro.

Diego Ulissi assieme a Davide Cassani
Con Cassani, Ulissi ha sempre avuto un rapporto franco e sincero. Con il cittì vinse la preolimpica 2019 a Tokyo
Con Cassani, Ulissi ha sempre avuto un rapporto franco e sincero. Con il cittì vinse la preolimpica 2019 a Tokyo
In che modo??

Mi ricordo una volta, era il 2016 e si puntava verso le Olimpiadi di Rio. Io quell’anno andavo forte perché ero nei primi dieci del ranking mondiale e avevo appena fatto un grande Giro d’Italia, con due tappe vinte. Davide aveva l’idea di portarmi, però doveva prendere delle decisioni. Mi chiamò a due settimane dalla partenza. Mi volle incontrare di persona, perché certe cose è diverso dirle guardandosi in faccia. Sicuramente meritavo di andare alle Olimpiadi però toccava a lui prendere la decisione e fu lo stesso per Tokyo. Con lui ho sempre avuto un rapporto diretto. Io gli dicevo quello che pensavo, lui mi diceva quello che pensava e siamo andati veramente d’accordo.

Resta il fatto che ti ha escluso dalla rosa di due Olimpiadi…

Per quello che è il mio carattere e quello che ho imparato nel corso degli anni, sia verso i cittì sia verso i direttori sportivi, ho cercato sempre di mettermi nei loro panni. Devono prendere delle decisioni e non possono accontentare tutti. Io pensavo di meritare entrambe le convocazioni, ma il suo lavoro di selezione non era facile. Prendiamo i mondiali di Richmond…

Con Ulissi capitano…

Senza sapere che tipo di corsa sarebbe venuta fuori. Senza gli strumenti tecnologici di oggi che ti permettono di capire una strada a distanza. Come fai le scelte se non puoi vedere il percorso? Dieci anni fa era più difficile…

Ulissi ha corso nella nazionale di Bennati soltanto lo scorso anno a Zurigo. E’ il quarto da destra

Ulissi ha corso nella nazionale di Bennati soltanto lo scorso anno a Zurigo. E’ il primo da destra

E poi Bennati, con cui hai corso lo scorso anno a Zurigo.

Mi voleva convocare anche per i mondiali in Australia, ma la squadra non mi mandò. Dissero che era una trasferta lunga e c’era già il discorso dei punti e con la UAE Emirates si lottava già per le posizioni di vertice. C’erano già diversi corridori che andavano e io ho dovuto accettare la decisione. Penso sia stata una delle scelte più sbagliate che ho fatto in carriera, perché alla maglia della nazionale non si dice di no mai e poi mai. Con “Benna” un mondiale l’ho anche corso…

A Bergen nel 2017?

Esatto! E ho sempre avuto una grandissima stima da corridore e poi da tecnico. Che cosa gli vuoi dire? Bisogna avere anche la fortuna poi di trovare le nazionali giuste e corridori adatti ai percorsi. Purtroppo miracoli non ne fa nessuno e l’anno scorso a Zurigo chi doveva fare la corsa forse non era nelle condizioni giuste e il percorso non era adattissimo ai nostri capitani. E’ stata una somma di cose.

Tornando a te, che esperienza è stata questo europeo?

Bella. Eravamo un numero ridotto di corridori, però siamo partiti subito con l’idea chiara che Scaroni era il nostro leader. Ruolo più che meritato per la stagione che ha fatto e il livello che ha dimostrato. Il mio compito era proprio quello di stare accanto a lui fino a che non esplodeva la gara, metterlo nelle condizioni giuste perché si potesse esprimere al meglio. L’avevo già fatto altre volte in questa stagione. I ragazzi si sono mossi bene, ci siamo mossi tutti bene.

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Diego Ulissi
Agli europei 2025, il compito di Ulissi è stato quello di scortare Scaroni (alla sua ruota) fino alle fasi decisive di corsa
Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Diego Ulissi
Agli europei 2025, il compito di Ulissi è stato quello di scortare Scaroni (alla sua ruota) fino alle fasi decisive di corsa
A Scaroni sono mancati 50 metri sullo strappo, altrimenti ci giocavamo il bronzo…

Probabilmente è più veloce di Seixas e se la poteva giocare. Anni fa, quando sono passato io era impossibile vedere un 19enne che si giocava il podio in una competizione internazionale. Si può dire che è cambiato il mondo. Io a 19 anni, nonostante avessi vinto due mondiali, ero uno junior. Vedere invece gli allenamenti che fanno questi ragazzi, fa capire che sono già professionisti. Io non sono molto in linea con questa filosofia, però adesso funziona così…

Maria Acuti è nata il 16 giugno 2008 e vive ad Ostiglia in provincia di Mantova. Corre per la Biesse-Carrera-Premac

Pista e crono in maglia azzurra. Gli 80 giorni della junior Acuti

07.10.2025
6 min
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Europei e mondiali in pista e ancora europei su strada. Da metà luglio ad inizio ottobre, Maria Acuti ha fatto il suo giro in ottanta giorni da un evento internazionale all’altro con la maglia azzurra. Finora per la junior della Biesse-Carrera-Premac è stato un primo anno nella categoria pieno di soddisfazioni.

La 17enne mantovana ha dimostrato di avere un grande feeling col “tic-tac”: quattro vittorie contro il tempo e la seconda posizione al campionato italiano a crono le hanno permesso di guadagnarsi le chiamate in pista nell’inseguimento individuale e su strada nella crono individuale e nel Mixed Relay.

Il suo diesse Andrea Manzini dice che Acuti è cresciuta tanto dall’inizio della stagione anche a livello non sportivo, integrandosi bene e riuscendo ad aprirsi con le compagne. Le convocazioni in nazionale sono state una logica conseguenza e pure un riconoscimento per la sua squadra ed i suoi tecnici, che sono convinti in un suo ulteriore step di crescita nel 2026. Ne abbiamo approfittato per conoscere meglio Maria al rientro dall’europeo in Drome-Ardèche e da oggi impegnata nei campionati italiani in pista a Noto.

Al campionato italiano a crono Acuti è arrivata seconda dietro De Laurentiis, sua compagna di nazionale (foto Ossola)
Al campionato italiano a crono, Acuti è arrivata seconda dietro De Laurentiis, sua compagna di nazionale (foto Ossola)
Al campionato italiano a crono Acuti è arrivata seconda dietro De Laurentiis, sua compagna di nazionale (foto Ossola)
Al campionato italiano a crono, Acuti è arrivata seconda dietro De Laurentiis, sua compagna di nazionale (foto Ossola)
Andiamo a ritroso. Com’è andata l’ultima esperienza con la nazionale?

Innanzitutto sono molto contenta per le chiamate sia in pista che su strada. Il gruppo azzurro vale tanto. Il cittì Villa mi aveva detto che mi avrebbe portata in Francia. La crono individuale non è stata semplice. C’era tanto vento, poi il percorso era vallonato con un arrivo al termine di una salita dove probabilmente ho pagato la maggior parte del mio ritardo. Ho chiuso al 14° posto, ma sono felice della mia prestazione e dei dati espressi. Nel Mixed Relay invece siamo state sfortunate…

Cosa è successo?

Noi ragazze siamo partite col quarto tempo fatto dai maschi. Abbiamo trovato subito un buon passo, tanto che al primo intermedio eravamo già risalite al secondo posto. Purtroppo poco dopo Linda nel darmi il cambio a tirare ha preso una folata di vento ed ha ruotato Matilde (rispettivamente Sanarini e Rossignoli, ndr). Linda si è fatta piuttosto male finendo all’ospedale, mentre Matilde aveva solo botte anche se le girava molto la testa.

A quel punto cosa avete fatto?

Innanzitutto eravamo piuttosto scosse, ma dall’ammiraglia mi hanno detto di continuare da sola e di finire la crono con calma o comunque senza rischiare. Ripensandoci col senno di poi, è andata bene perché Linda e Matilde sono cadute ad alta velocità e potevano farsi molto più male. Peccato davvero, perché eravamo in grande recupero e il podio era praticamente sicuro.

A luglio e agosto invece eri stata con la nazionale il pista. Com’è andata?

In entrambe le occasioni ho fatto l’inseguimento individuale. Agli europei di Anadia in qualifica ho ottenuto il quinto tempo e sono rimasta fuori dalle finali. In vista del mondiale ad Apeldoorn sapevo che avrei dovuto migliorare postura e scelta dei rapporti, tenendo conto che la pista olandese è un po’ meno scorrevole rispetto a quella portoghese.

Per Acuti finora 4 vittorie a crono sfruttando le sue doti da passista e il lavoro col suo preparatore (foto Ossola)
Per Acuti finora 4 vittorie a crono sfruttando le sue doti da passista e il lavoro col suo preparatore (foto Ossola)
Per Acuti finora 4 vittorie a crono sfruttando le sue doti da passista e il lavoro col suo preparatore (foto Ossola)
Per Acuti finora 4 vittorie a crono sfruttando le sue doti da passista e il lavoro col suo preparatore (foto Ossola)
Al mondiale è andata meglio, giusto?

Sì, decisamente. Ho fatto il quarto tempo e mi sono potuta giocare la finale per il bronzo. Purtroppo ho chiuso quarta, ma sono contenta proprio per essere cresciuta rispetto al mese prima all’europeo. Mi sento migliorata nella gestione dell’ansia pre-gara. Ora sono più tranquilla, credo più in me stessa e sono tornata dal mondiale con più consapevolezze.

Raccontaci chi è Maria Acuti nella vita di tutti i giorni.

Sono nata a Borgo Mantovano, ma abito ad Ostiglia dove frequento la quarta classe al liceo linguistico. Studio inglese, francese e spagnolo e la media dei voti è buona. Mi piacciono molto le lingue straniere e dopo la maturità vorrei continuare a studiarle all’università. Mi piacerebbe impararle bene, magari attraverso materie sportive. Vedremo più avanti che indirizzo prendere.

Invece com’è nata la passione ciclistica?

Ho iniziato a correre da G0 (o PG, la categoria promozionale dei giovanissimi, ndr) con la Mirandolese vedendo mio fratello che già gareggiava nei G4. Da giovanissima sono stata in un po’ di società attorno a casa mia, poi da esordiente sono stata alla Valcar fino alla chiusura. Il primo anno da allieva l’ho fatto alla Gioca in bici Oglio Po, il secondo col Sovico-Vangi. Ora sono alla Biesse-Carrera-Premac e rimango qui anche l’anno prossimo.

Te la aspettavi così la prima annata da junior?

Ho dovuto prendere le misure alla categoria, anche perché ho avuto un po’ di difficoltà in inverno. Da maggio lavoro con il preparatore Michele Dalla Piazza e mi sto trovando bene. I miglioramenti sono arrivati subito. A crono ho sfruttato le mie doti da passista ottenendo buonissimi risultati. Mi aspettavo di fare qualcosa di più su strada.

Su cosa lavorerai per l’anno prossimo?

Devo migliorare in salita e abbiamo già stilato un programma invernale. Questo mi potrebbe permettere di tenere meglio in più gare e magari poter sfruttare lo spunto veloce in gruppetti ristretti. Vorrei vincere qualche corsa su strada, non solo a crono.

E' stata una buona stagione, ma per il 2026 su strada Maria vorrebbe migliorare in salita (foto Ossola)
E’ stata una buona stagione, ma per il 2026 su strada Maria vorrebbe migliorare in salita (foto Ossola)
E' stata una buona stagione, ma per il 2026 su strada Maria vorrebbe migliorare in salita (foto Ossola)
E’ stata una buona stagione, ma per il 2026 su strada Maria vorrebbe migliorare in salita (foto Ossola)
La stagione sta volgendo al termine. Quali sono gli obiettivi a breve e lungo termine?

In questi giorni correrò i campionati italiani in pista sia nell’inseguimento individuale che a squadre. L’intenzione è di vincere entrambe le gare. Ci sarà poi il campionato italiano cronosquadre e l’obiettivo è salire sul podio. Per il 2026 vorrei fare bene al Piccolo Binda, riconfermare la convocazione ad europei e mondiali in pista, dove dovrei entrare anche nel quartetto. Ed infine provare a guadagnarmi ancora una maglia azzurra ad europei o mondiali su strada sia per le crono che per le prove in linea.

premio Cesarini 2025, e-sport

Premio Cesarini: l’e-sport diventa tricolore e stage alla Jayco-AlUla

07.10.2025
4 min
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E’ sempre più stretto il legame tra ciclismo e mondo virtuale. Gli e-sport hanno conquistato uno spazio crescente anche su pedali e rulli, trasformando la tecnologia in un trampolino verso il professionismo. Basti pensare a Jay Vine o a Fabio Vergallito, passati dal rullo al gruppo WorldTour. E a questo spirito si ispira il Premio Francesco Cesarini – Dream Ahead.

Questo evento è dedicato al grande gregario umbro degli Anni ’80. Professionista sì, ma al tempo stesso anche appassionato di tecnologia. E così la figlia, Francesca, lo scorso anno ha deciso di creare questa iniziativa, che ora cresce e va avanti con interessantissime novità.

Francesca Cesarini, ideatrice dell’evento, con il vincitore 2024, Pietro Scottoni
Francesca Cesarini, ideatrice dell’evento, con il vincitore 2024, Pietro Scottoni

L’e-sport cresce

Nato per unire sport, innovazione e memoria, il Premio Francesco Cesarini – Dream Ahead è un evento unico nel suo genere, pensato per i giovani ciclisti che desiderano confrontarsi su una piattaforma e-sport e al tempo stesso avvicinarsi al professionismo reale. La seconda edizione, in programma il 25 ottobre a Spoleto, consolida un format di grande successo che unisce competizione, formazione e opportunità.

I ragazzi pedaleranno con la propria bicicletta su rulli Elite collegati alla piattaforma MyWhoosh. Ogni prova è regolata dal rapporto watt/chilo espresso dall’atleta, tradotto in velocità sullo schermo. L’obiettivo non è solo decretare un vincitore, ma individuare chi, attraverso potenza, costanza e tecnica, sappia cavarsela in una situazione di tensione tecnico-tattica e di conseguenza anche sulla strada reale.

La gara coinvolgerà 40 atleti juniores, selezionati tra i migliori delle classifiche regionali FCI di strada, mountain bike e ciclocross. E’ un’occasione di confronto ad altissimo livello, con una logistica di tipo professionale: meccanici, bilance certificate, software di controllo e un impianto tecnico di grande precisione.

Il ragazzo che conquisterà il primo posto farà uno stage invernale con la Jayco-AlUla (foto Instagram – Greenedge)
Il ragazzo che conquisterà il primo posto farà uno stage invernale con la Jayco-AlUla (foto Instagram – Greenedge)

Tre grandi novità

«Il sogno di mio padre – racconta Francesca Cesarini – era dare ai giovani l’opportunità di farsi conoscere attraverso le nuove tecnologie, senza barriere geografiche o economiche. Il suo entusiasmo per l’innovazione mi ha spinto a creare qualcosa che potesse unire memoria e futuro».

Questa seconda edizione del Premio Cesarini segna un passo decisivo. «La competizione – va avanti Francesca – sarà infatti valida come primo Campionato Italiano FCI e-sport categoria Juniores. Non solo, ma per una corretta e totale analisi dei dati, per ridurre sempre più il distacco tra ciclismo reale e virtuale, ci sarà il supporto del Centro Mapei Sport». In pratica il vincitore potrà accedere a una valutazione fisiologica e biomeccanica completa presso il Centro Ricerche Mapei Sport.

Ma la novità più importante e super fresca, riguarda il premio finale. «Il vincitore juniores potrà vivere un vero stage con il team Jayco-AlUla, formazione WorldTour australiana. Un’occasione straordinaria per entrare in contatto con il mondo del professionismo. La Jayco-AlUla ha mostrato un grande interesse nei confronti di questa iniziativa edè stato bello trovare l’accordo con loro». Ad interessarsi direttamente del progetto è stato l’head coach della Jayco, Marco Pinotti. Il quale da buon ingegnere di strumentazioni e tecnologia se ne intende.

Lo scorso anno il vincitore ebbe la possibilità di pedalare con la UAE Emirates, vivendo un’esperienza che rappresenta la sintesi perfetta del motto “Dream Ahead”: sognare in grande, pedalando verso il futuro.

Pino Toni sarà il direttore tecnico del Premio Cesarini, sostituisce Paolo Alberati
Pino Toni sarà il direttore tecnico del Premio Cesarini, sostituisce Paolo Alberati

Un occhio al programma

La competizione si terrà sabato 25 ottobre 2025 e seguirà una formula snella ma selettiva. Ci saranno quattro batterie eliminatorie ognuna composta da dieci atleti. I primi due di ogni batteria, insieme ai due migliori tempi assoluti, accederanno alla finale del pomeriggio. Il tutto sotto la supervisione tecnica di un preparatore di primo ordine quale Pino Toni.

Ogni prova durerà tra i 12 e i 18 minuti, con la bici personale installata su un rullo Elite a potenza certificata e collegato alla piattaforma MyWhoosh. Tutti i dati di peso e altezza saranno caricati sulla App prima della competizione, per assicurare l’equità della simulazione.

Le iscrizioni sono riservate agli atleti nati nel 2007, 2008 e 2009, che alla data del 22 settembre 2025 risultino tra i primi dieci delle classifiche di rendimento regionali. Le candidature si sono aperte il 1° ottobre 2025 e si chiuderanno due giorni prima della gara. Da segnalare che quest’anno l’evento è aperto anche agli amatori, in gara domenica 26. Questa prova è valida per la qualifica di campione italiano eSport. In palio ci sono premi di Elite e Dmt.

«Questo premio in memoria di mio padre – conclude la Cesarini – è qualcosa a cui tengo molto. E’ un progetto che vedo suscita interesse e si sta ingrandendo. Non a caso ci sono già idee e progetti in chiave futura… sempre rivolti ai ragazzi».

Stefano Casagranda 2025, battuta di caccia al cervo, foto sulla bara

Pomeriggio a Borgo: lacrime, sorrisi e il ricordo di Stefano

07.10.2025
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BORGO VALSUGANA – Passi lenti e abbracci forti. Per un’ora la navata centrale è un lento avvicinarsi al suo ultimo sguardo. Sulla bara di legno chiaro c’è la foto di una battuta di caccia, l’altra grande passione di Stefano. L’espressione è serena, appagata, vivace. La prima fila a sinistra è per la famiglia. Ci sono Andrea, Niccolò, Caterina, poi la mamma, suo papà e il fratello, che gli somiglia come una goccia d’acqua. E’ curioso accorgersi che le persone cerchino il conforto da chi ha subito la perdita, come se il dolore che provano non fosse sufficiente e dovessero sobbarcarsi anche quello degli altri. Amici che sono arrivati da ogni angolo del mondo, persino da New York. La serenità della famiglia lascia intuire il cammino degli ultimi anni, anche se pronti non si è mai davvero. L’abbraccio di Caterina toglie il respiro: questa donna ha mostrato per quattro anni la fierezza della leonessa e la solidità del porfido trentino.

Caterina Giurato, Stefano Casagranda, bridisi con birra
Caterina e Stefano hanno creato una splendida famiglia con due figli: Niccolò e Andrea
Caterina Giurato, Stefano Casagranda, bridisi con birra
Caterina e Stefano hanno creato una splendida famiglia con due figli: Niccolò e Andrea

L’esempio di Stefano

Poi a un certo punto il prete inizia a parlare e la liturgia della messa porta via il pensiero e cattura l’attenzione. Tutto si ferma. E’ il funerale di Stefano Casagranda: marito, padre, atleta, dirigente, cacciatore, ma soprattutto amico. E anche l’idea di scrivere qualcosa è una lotta con se stessi. In un angolo, un cronista armato di taccuino e telefono per fare foto, annota tutto e scatta. Il coro propone le note struggenti di Marco Frisina: «Eccomi, eccomi, Signore io vengo. Eccomi, eccomi, si compia in me la tua volontà». La gola si strozza, lasciamo scorrere le lacrime.

«Quando un ciclista si prepara per la gara – dice il sacerdote – sa dove incontrerà le salite impegnative e le discese più difficili. Sa dove può risparmiarsi e dove potrà attaccare. Ma nella corsa della vita non abbiamo una mappa, né l’altimetria. Non sappiamo quando arriva il momento della discesa paurosa, della salita dura o invece il tratto in pianura dove si può andare più veloci. Dobbiamo essere pronti all’imprevisto, bisogna prepararsi anche al cambiamento, alle sorprese. Tanti hanno avuto da Stefano l’esempio di come si affrontano i momenti bui, anche le difficoltà grosse. E’ sempre stato consapevole della sua malattia e tanti di noi sanno affrontare la vita perché hanno visto delle persone veramente care che ci hanno dato uno stile, un esempio. Andrea, Niccolò, ci sarà un momento in cui il papà vi mancherà tanto, ma non vi mancherà mai il suo esempio e allora la vita non sarà più un’incognita totale».

Stefano Casagranda nel suo negozio con i ragazzi del Veloce Club Borgo
Il Velo Club Borgo è sempre stato la seconda casa di Stefano Casagranda
Stefano Casagranda nel suo negozio con i ragazzi del Veloce Club Borgo
Il Velo Club Borgo è sempre stato la seconda casa di Stefano Casagranda

Un momento di pace, speranza e amicizia

Simoni è seduto accanto a sua moglie Arianna, tre o quattro file alle spalle di Caterina e dei suoi figli. Hanno viaggiato spesso insieme, l’ultima volta per cinque giorni alla Vuelta, con il pretesto di salutare Pellizzari che la stava correndo. E oggi Giulio, compagno della figlia Andrea, è seduto una fila avanti a loro, sulla sinistra. Divide la panca con la ragazza di Niccolò, nata a Roma da madre giapponese e padre trentino. Respiriamo il senso di un’immensa famiglia.

«Mi sono accorto che la mattina faceva fatica a mettersi in moto – ha raccontato Simoni incontrato prima della funzione – poi però era capace di stare su fino alle dieci di sera, senza battere ciglio. Sapevo che se si fosse fermato per più di due giorni nel letto, non ne sarebbe uscito. E così è stato, quando ha cominciato a salirgli la febbre».

Alla fine della messa, anche lui sale i tre gradini che dividono i banchi dall’altare, ma quello che vuole dire gli si strozza in gola.

«Non sono pronto per questo – dice e inizia a piangere – era davvero un grande ragazzo. Noi amici abbiamo perso il conto dei raduni che abbiamo fatto, pensando ogni volta che fosse l’ultimo. Stefano era un duro. Il padre mi ha rubato il concetto – dice rivolgendosi al sacerdote – ma lo ripeto. Stefano ci ha insegnato che questo momento non deve essere solo tristezza e pianto, ma anche pace, speranza e amicizia. Ha ricevuto tanto da Borgo, ma tanto ha restituito come atleta e come dirigente».

Che paura alla Strade Bianche

Stava male da quattro anni. Ce lo disse Caterina con gli occhi gonfi al Giro del 2021, al via della tappa da Rovereto a Stradella: l’avevano scoperto da poco. Quello stesso anno, assieme a Simoni e sua moglie, i due sarebbero venuti a pedalare per solidarietà nelle zone del terremoto. Cinque anni prima, per il debutto di quell’evento conosciuto come #NoiConVoi2016, il VC Borgo aveva donato quasi 1.000 euro provenienti dalla lotteria della Coppa d’Oro.

«Crediamo che insegnare ciclismo – ci aveva detto Stefano in quell’occasione – significhi non solo far praticare uno sport a dei ragazzi, ma aiutarli a crescere insegnando loro dei sani principi. Con questa donazione vogliamo che anche ragazzi lontani da noi abbiano la possibilità di percorrere strade sicure in bicicletta e, se possibile, ci piacerebbe finanziare qualche ciclabile o ciclodromo».

Era così forte, che anche il dannato male per batterlo ha dovuto faticare. Tanto che a un certo punto abbiamo iniziato a pensare che si sarebbe stancato di provarci e Stefano ce l’avrebbe fatta. Quante volte era già morto? L’ultima nel giorno della Strade Bianche, mentre sua figlia Andrea era impegnata in gara ed era all’oscuro di tutto. Come fai a sostenere lo sforzo del ciclismo, se la testa è piena di tanta sofferenza? Sembrava finita lì, invece i medici erano riusciti a dargli del tempo in più. E un paio di giorni dopo, per burla e per mangiarsi la vita, lui quel tempo se l’era preso andando in giro per il paese su una bici da passeggio.

Il giorno più bello della sua vita

Passano i genitori di Sara Piffer, passa tutto il ciclismo possibile. C’è Bertolini, che ha portato sua figlia. Miozzo e Donadello, suoi direttori sportivi. Dario Broccardo, riferimento del ciclismo trentino. Daniel Oss, assieme a Marangoni e la compagna Lisa. Andrea Ferrigato, l’amico per la pelle. Tutti i ragazzi e le ragazze del Veloce Club Borgo. E mentre li vediamo passare, torna alla memoria la cena di maggio, nella sera in cui Pellizzari mise il naso alla finestra nella tappa di San Valentino

Ci eravamo ritrovati allo stesso tavolo per una cena di selvaggina e affettati, con la sua famiglia, poi Stefano Cattai, Cristian Salvato e Stefano Masi. Racconti di caccia, qualche buona bottiglia e l’ammissione a bassa voce di sentirsi un po’ stanco. Era smagrito, con le medicazioni sotto la camicia che copriva tutto per non farci pensare ad altro che all’intensità dei momenti. Ma era ugualmente un leader, con i modi del condottiero e lo sguardo buono del gregario.

Una settimana prima di andarsene, ha radunato tutti gli amici per una festa che questa volta ha avuto il sapore del saluto. Hanno mangiato e di più hanno bevuto. E quando tutto è finito, Stefano ha spiegato a Caterina come in vita sua avesse conosciuto la felicità soprattutto i tre momenti. Quando si sono sposati e poi quando sono nati i due figli. «Ma questo – ha detto – è davvero il giorno più bello della mia vita».

Giro del Trentino 1998, Stefano Casagranda, Merano
E’ il 1998, Casagranda centra al Giro del Trentino (tappa di Merano) una delle sue cinque vittorie
Giro del Trentino 1998, Stefano Casagranda, Merano
E’ il 1998, Casagranda centra al Giro del Trentino (tappa di Merano) una delle sue cinque vittorie

L’abbraccio di Niccolò, le parole di Caterina

«L’amministrazione comunale di Borgo – dice la sindaca Ferrai – porterà avanti le idee di Stefano per sostenere lo sport come mezzo di costruzione di relazioni sane. Seguiranno tanti giorni in cui sentiremo la sua mancanza, ma ci saranno tanti giorni di gratitudine. Stefano era un uomo di un’intelligenza luminosa. Ci troveremo a sorridere pensandolo ancora insieme a noi».

Stefano Casagranda ci lascia la dignità e la capacità di vivere ogni giorno al massimo. Ci lascia la serietà dei momenti seri e la leggerezza di quelli leggeri. Ci lascia l’ironia e l’amore. La capacità di guardare in faccia l’avversario e sfidarlo, pur sapendo che alla fine ne sarebbe stato sconfitto.

Raccontano che per andarsene abbia aspettato che tornasse suo figlio Niccolò. Già dal mattino si era capito che non mancasse molto. La febbre era salita e anche l’idea di fare un viaggio a Roma con Ferrigato per andare a mangiare bene, era naufragata. Quando Niccolò è arrivato, lo ha abbracciato e poi gli ha detto: «Papà, stiamo tutti bene, vai pure». E Stefano Casagranda, 52 anni compiuti il 2 ottobre, ha chiuso gli occhi e alla fine si è lasciato andare.

«Io avrei voluto dire qualcosa in chiesa a braccio – dice Caterina mentre il sagrato della chiesa si riempie di gente – perché non avevo preparato niente di scritto. Ma visto tutte le persone che mi hanno salutato, ho fatto fatica a girarmi e a guardare tutti. Però ho un messaggio che mi ha lasciato per i suoi atleti e anche per quelli delle altre società. Mi ha raccomandato di dirvi che domenica nessuno deve restare a casa, nessuna commemorazione, nessun minuto di silenzio. Spingete più forte che potete sui pedali».

I passi di Piganzoli alla Visma: incontri, test e idee condivise

07.10.2025
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LISSONE – Ormai è diventato ufficiale qualche settimana fa: Davide Piganzoli dopo cinque stagioni lascerà la Polti VisitMalta e passerà alla Visma Lease a Bike. Lo scalatore valtellinese cresciuto nella formazione di Ivan Basso e Alberto Contador è pronto a spiccare il volo e testarsi nel WorldTour. Non c’era momento migliore, gli anni nel team under 23 e poi nella professional hanno dato i riscontri giusti, ora si tratta di fare un ulteriore salto per vedere di che pasta si è fatti

Il talento di Piganzoli è emerso piano piano, senza la fretta di voler scovare ogni singolo watt estremizzando preparazioni e allenamenti. Ogni anno è stato aggiunto un pezzo del puzzle fino ad arrivare a una figura completa capace di grandi prestazioni e che ancora può completarsi. 

Piganzoli lascia la Polti VisitMalta dopo cinque stagioni
Piganzoli lascia la Polti VisitMalta dopo cinque stagioni

Dall’inverno scorso

Di Davide Piganzoli tutti elogiano la testa e la determinazione, un ragazzo che sa dove vuole arrivare e un professionista che non si tira mai indietro. Le sue qualità sono arrivate sotto gli occhi di tutti, ma lui ha scelto la corte di Jonas Vingegaard per provare a diventare grande.

«Il contatto con la Visma – racconta alla partenza della Coppa Agostoni – è nato tra fine gennaio e inizio febbraio. Era il periodo in cui iniziavano le corse, infatti avevo in programma il Gran Camino e successivamente la Tirreno-Adriatico. Nonostante tutto siamo riusciti a trovare un giorno in cui fare una videochiamata e mi hanno presentato il progetto. L’idea messa sul tavolo dalla Visma mi è piaciuta subito, ci ho pensato un po’ perché c’erano tante altre squadre interessate. Alla fine sono stati il progetto e il team che mi hanno colpito di più».

Il cammino di Piganzoli è stato contraddistinto da una crescita costante
Il cammino di Piganzoli è stato contraddistinto da una crescita costante
Qual è il progetto che ti hanno presentato?

Mi hanno parlato di crescita mostrandomi quello che hanno fatto con gli altri atleti. Abbiamo parlato dei materiali a disposizione della squadra, la pianificazione di ogni passo. Insomma tutte cose che mi hanno colpito molto e credo che sia stato quel qualcosa in più che mi ha fatto scegliere appunto questa realtà.

Che crescita ti hanno presentato?

All’inizio sicuramente ci sarà da aiutare, da imparare, però il focus sarà anche quello di crescere, e di farmi progredire come corridore da corse a tappe. 

La Visma ha visto in Piganzoli le caratteristiche che cerca in un atleta da Grandi Giri
La Visma ha visto in Piganzoli le caratteristiche che cerca in un atleta da Grandi Giri
Quali sono i punti forti che hanno visto in te e quali, invece, i punti su cui c’è da migliorare? 

Sicuramente hanno visto che vado bene nelle salite lunghe. Hanno guardato come mi sono allenato fino ad ora e che ho tanti margini di miglioramento. Hanno visto che vado forte anche a cronometro, inoltre ho dimostrato di avere dei buoni valori, credo che questa sia la base da cui partire

Sei stato nella sede del team in Olanda?

Sono andato una volta a fare gli esami della squadra, le visite mediche e tutto il resto. Ci torneremo prima di iniziare la prossima stagione. Con le piattaforme che ci sono ora, come Training Peaks, sanno già tutto, però i test fatti in sede li hanno sicuramente aiutati nel decidere se prendermi o meno.

Davide Piganzoli ha firmato un contratto triennale con la Visma
Davide Piganzoli ha firmato un contratto triennale con la Visma
Che impressione ti ha fatto entrare là dentro?

Senza nulla togliere alla mia squadra di adesso, ma credo sia un mondo completamente diverso. E’ tutto più amplificato. 

E’ il momento giusto per il WorldTour?

Sì, ho fatto tre anni di esperienza, quindi adesso è il momento di cambiare area, di provare a fare un salto. Sarà un grande salto, passerò in una delle migliori formazioni WorldTour, credo che questo possa darmi un’ulteriore motivazione per capire il ragazzo che sono e dove posso arrivare.

Tre anni di contratto, idee e programmi?

Del programma in sé parleremo a dicembre, quest’anno però voglio ascoltare un po’ cosa hanno in mente loro. Sicuramente entro con tanta voglia di apprendere, di imparare da campioni come Vingegaard, Van Aert e tanti altri corridori. 

Uno dei focus di Piganzoli sarà migliorare la posizione e le prestazioni a cronometro
Uno dei focus di Piganzoli sarà migliorare la posizione e le prestazioni a cronometro
In ottica cronometro avete parlato?

Sì, Cervélo ha degli ottimi materiali, so che ci lavorano tanto su questa disciplina, quindi credo che potrò fare dei miglioramenti anche qui. In ottica Grandi Giri è un passo importante, ormai si gioca tutto sul filo dei secondi. La Visma studia tanto su questo aspetto e credo che sia un buon passo da fare.

Primo incontro?

A fine novembre faremo un meeting di quattro giorni. Al Lombardia ci daranno le bici e poi faremo qualche test ancora su posizione e altri aspetti. Per il resto ci vedremo al training camp di dicembre.

Campionati del mondo 2020, Imola, foto di gruppo per Davide Cassani, Federico Morini, Gianluca Carretta, Vincenzo Nibali

Gli infortuni senza ritorno: la lettura di Gianluca Carretta

06.10.2025
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«Se butti nella mischia un atleta di alto livello – dice serio Gianluca Carretta – perché normalmente spingi per il recupero degli atleti top, rischi di ottenere l’effetto opposto. Anche gli atleti vertice, se non sono in condizione, con i ritmi di adesso vanno in difficoltà. Per cui il rischio è di mettere sotto stress un organismo che è già sotto stress. Perché ha già subito quelli del trauma e quelli di un recupero affrettato. Quando è così, il corpo reagisce e ci sta che vengano fuori dei flop. E’ sicuramente meglio un recupero graduale e corretto, a maggior ragione nel ciclismo di adesso in cui vanno sempre a tutta».

Bernal è tornato in gruppo dopo l’incidente del 2022, ma non ha mai ritrovato il suo livello precedente e ha spesso dovuto fermarsi (foto La Sabana)
Bernal è tornato in gruppo dopo l’incidente del 2022, ma non ha mai ritrovato il suo livello precedente e ha spesso dovuto fermarsi (foto La Sabana)

I campioni spariti

Gianluca Carretta (in apertura con la maglia bianca assieme a Cassani, Morini e Nibali) è uno degli osteopati più esperti che abbia lavorato nel mondo del ciclismo. Ha aiutato il recupero di decine di atleti: quelli delle squadre in cui ha lavorato e anche quelli che si presentavano al suo ambulatorio di Parma. E ora che ha lasciato il mondo delle squadre ed esercita la professione nel suo studio, ha passato il testimone a suo figlio Matteo, fresco di inserimento nello staff della XDS-Astana. Lo abbiamo coinvolto per dare una misura ai mancati ritorni alla piena efficienza di atleti come Froome, Bernal, Alaphilippe, Marta Cavalli. I campioni che dal 2019 in avanti, in seguito a infortuni piuttosto seri, sono rientrati in gruppo senza più ritrovare il loro livello. Dipende dal tipo di incidente, dalla fretta di recuperare o dal ciclismo di adesso che non ti perdona lo stop di un anno in cui cerchi di ricostruirti?

«C’è infortunio e infortunio – annuisce Carretta – se mi rompo il femore, una volta che l’osso è a posto e recupero la muscolatura della gamba, il lavoro è fatto. Se vai accanto alla spalla e magari trovi delle lesioni ai legamenti o ai tendini, il discorso diventa un po’ più complesso. Altra storia invece è subire dei politraumi come quelli che hanno subito Froome e Bernal. Io non conosco bene la loro storia clinica, ne ho letto sui giornali, però il concetto resta. Nel momento in cui si parla di politrauma, cioè hai varie fratture e magari vai accanto alla colonna vertebrale, come è successo per Bernal, è chiaro che le cose si complicano».

Il 2022 fu anche l’anno dell’incidente che, sia pure non all’istante, ha segnato la carriera di Marta Cavalli
Il 2022 fu anche l’anno dell’incidente che, sia pure non all’istante, ha segnato la carriera di Marta Cavalli
La colonna vertebrale è la vera discriminante?

Si va potenzialmente accanto al sistema nervoso centrale e al sistema neurovegetativo. Non dimentichiamoci che la colonna vuol dire plessi nervosi che gestiscono i movimenti, ma vuol dire anche plessi nervosi latero-vertebrali che gestiscono l’attività fisiologica viscerale, che permette il recupero. Se vengono influenzati i processi di recupero, si incide in modo abbastanza importante sulla funzionalità del corpo.

Si dice che gli atleti di vertice siano fenomenali anche nella rapidità del recupero. Nella carriera di Gianluca Carretta è mai capitato di dover forzare la mano?

Sono ragazzi giovani, che hanno dei tempi di recupero molto rapidi, ma ci sono dei criteri da rispettare. Il tempo dedicato al recupero dipende dalla squadra. Io sono stato in gruppi che hanno sempre rispettato i tempi, senza mai fare troppa pressione. Se non l’ultima volta, ma di comune accordo con l’atleta, quando si decise di forzare i tempi. Mi riferisco al Tour del 2018 in cui Nibali ebbe una frattura da compressione di una vertebra.

Si parlò molto del tipo di intervento, proprio per accelerare il recupero, dato che i mondiali di Innsbruck sembravano perfetti per lui…

Venne fatto un tentativo di recupero veloce, per permettergli di correre anche la Vuelta. Ricordo che finii anche in una mezza polemica, perché mi scappò detta una cosa a un giornalista, che lo scrisse. Dissi che avevamo tentato di recuperare alla svelta, non rispettando i tempi corretti. Era vero, ma in squadra ci fu un po’ di maretta. Lo facemmo di comune accordo, perché Vincenzo era consapevole di tutti i rischi. Voleva andare alla Vuelta, per cui nel giro di un mese fu abile per tornare, sebbene la frattura da compressione di una vertebra normalmente richieda un po’ più di pazienza.

Un mese dopo la frattura al Tour del 2018, Nibali si schierò al via della Vuelta: un recupero forzato, secondo Carretta, concordato fra atleta e squadra
Un mese dopo la frattura al Tour del 2018, Nibali si schierò al via della Vuelta: un recupero forzato, secondo Carretta, concordato fra atleta e squadra
La cosa funzionò?

Vincenzo venne rimesso in condizioni di correre la Vuelta, chiaramente però in una condizione non ottimale dal punto di vista atletico e andò come andò. In quel caso in effetti vennero fatte un po’ di pressioni. Per il resto non ho dovuto gestire grossi infortuni. Mi viene in mente Cancellara al Tour del 2015, quando era maglia gialla. Anche lui si era fratturato due o tre vertebre, ma in modo meno grave di Vincenzo. In quel caso non venne fatta troppa pressione, anche perché con Luca Guercilena certi tempi venivano rispettati. Oppure ricordo il bacino rotto di Michele Bartoli al Giro del 2002, ma rispettammo i tempi.

Evenepoel tornò in gara al Giro d’Italia sette mesi dopo l’incidente del Lombardia 2020, ma trovò un livello troppo alto e dovette fermarsi. Bernal è tornato e si è fermato più di una volta. Non sarebbe meglio rientrare quando si è davvero a posto?

Su questo con me trovate una porta aperta. Secondo me è sbagliato accelerare i tempi rispetto a certi infortuni, a meno che non si tratti di un infortunio banale.

Traduci banale?

Quando Lance Armstrong tornò a correre, poco prima del Giro del 2009 si ruppe la clavicola in una garetta in Spagna, se ben ricordo (nella prima tappa delle Vuelta Castilla y Leon, ndr). Venne operato, gli fu messa una placchetta in titanio sulla clavicola e dopo tre giorni era in bici. Con la placca, la clavicola rotta era più solida dell’altra: quello è un incidente banale.

Dopo l’incidente del 2019 Froome non è più stato neppure l’ombra del campione vincitore di 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta
Dopo l’incidente del 2019 Froome non è più stato neppure l’ombra del campione vincitore di 4 Tour, un Giro e 2 Vuelta
Per quelli più complessi?

Per un atleta di prestazione è sicuramente meglio tornare in gara nel momento in cui fisiologicamente è completamente recuperato, dal punto di vista osseo e anche funzionale. Deve ritrovare la condizione, quindi accelerare i tempi significa sollecitare il corpo in modo eccessivo. Ribadisco: soprattutto in questo ciclismo che non ammette ritmi blandi. Io sono sempre dell’idea che sia meglio rispettare la fisiologia. Per cui, se mi chiedete se sono d’accordo su un recupero veloce o su un recupero lento e fisiologico, sicuramente scelgo la seconda.

La prima di Viezzi, che ora è pronto per sfondare

06.10.2025
5 min
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I primi freddi autunnali (ma sarebbe meglio dire invernali guardando i gradi e soprattutto la pioggia caduta) hanno contraddistinto la seconda tappa del Giro delle Regioni. Quella del ritorno a casa delle stelle azzurre che fanno attività all’estero, Stefano Viezzi e Sara Casasola, alla loro prima uscita stagionale e subito vincenti. Per l’ex iridato junior è stato un esordio anche contrastato e proprio per questo utile per il futuro della sua stagione.

Viezzi si prepara per una stagione di ciclocross alla grande, primo obiettivo gli europei
Viezzi si prepara per una stagione di ciclocross alla grande, primo obiettivo gli europei
Viezzi si prepara per una stagione di ciclocross alla grande, primo obiettivo gli europei
Viezzi si prepara per una stagione di ciclocross alla grande, primo obiettivo gli europei

Un buon inizio, senza forzare

Il corridore del devo team dell’Alpecin Deceuninck aveva chiuso la sua stagione su strada a inizio settembre, al Giro del Friuli e da allora si è subito mentalizzato verso il ciclocross che resta “l’altra metà della mela” nella sua attività ciclistica: «Ho avuto buone sensazioni per essere la prima gara. Dopo l’ultima su strada ho continuato ad allenarmi inserendo progressivamente anche lavori specifici, almeno un paio dedicati alla tecnica, così da riprendere confidenza con la bici. Ho spostato il baricentro dalla strada al cross, inserendo anche un paio di sedute in palestra».

Tutto utile in vista della prima uscita, vissuta sempre con quel pizzico di apprensione accresciuta alzando lo sguardo all’insù: «Pioggia e freddo avevano caratterizzato la vigilia e io pensavo soprattutto a come il terreno avrebbe reagito. La mattina era tanto acquoso, poi asciugandosi è diventati pastoso, con tanti sassi lungo il suo sviluppo. Provandolo ho visto che comunque era rimasto abbastanza veloce. Quando abbiamo corso noi era riemersa dell’erba, sicuramente più scorrevole che passare sul fango. Sono partito davanti, mettendomi alle spalle di Ceolin. Nel secondo giro ho preso qualche metro, ma verso la fine è ritornato sotto Bertolini, che non aveva fatto una grandissima partenza e ha provato subito ad andar via. Ha fatto un giro forte, ma non è riuscito a staccarmi. Alla fine poi ho capito che ne avevo più io di lui e all’ultimo giro sono partito».

Solo 21 giorni di gare su strada, ma grande impegno nelle corse a tappe, intese come apprendistato (FotoLunaMi)
Solo 21 giorni di gare su strada, ma grande impegno nelle corse a tappe, intese come apprendistato (FotoLunaMi)
Solo 21 giorni di gare su strada, ma grande impegno nelle corse a tappe, intese come apprendistato (FotoLunaMi)
Solo 21 giorni di gare su strada, ma grande impegno nelle corse a tappe, intese come apprendistato (FotoLunaMi)

Ottobre impegnato nelle gare italiane

Una gara ideale per la ripresa? «Sì, in piena gestione. Non sono mai andato veramente a tutta, forzando un po’ solo negli ultimi due giri per incrementare il vantaggio, quindi sono contento di com’è andata».

Come si svilupperà ora la tua stagione considerando che fai parte di una squadra estera? «Questo mese sarò in Italia e farò le tappe friulane del Giro delle Regioni, quindi domenica a Osoppo e la successiva allo Zoncolan per poi gareggiare in Belgio e nel frattempo vedere se sarò convocato per gli Europei. Poi la stagione è da decifrare ma credo che farò almeno un mese ininterrotto fra Belgio e Olanda con il team».

Nel team il friulano ha trovato un buon equilibrio, sia su strada che nel cross (foto Sarnowski)
Nel team il friulano Viezzi ha trovato un buon equilibrio, sia su strada che nel cross (foto Sarnowski)
Nel team il friulano ha trovato un buon equilibrio, sia su strada che nel cross (foto Sarnowski)
Nel team il friulano Viezzi ha trovato un buon equilibrio, sia su strada che nel cross (foto Sarnowski)

Alpecin, team giusto per crescere

Tu sei adesso al secondo anno con la squadra dell’Alpecin, come ti sei trovato finora? «Il bilancio è sicuramente positivo, la squadra è ideale per il cross come per la strada e per me era importante avere una squadra per entrambe le discipline. Sono stato molto in Belgio per fare gare lassù, ma mi sono divertito, è stato bello».

La tua stagione su strada come la giudichi, visto che hai corso solo 21 giorni? «Non è poco, dipende da come la si vuol vedere. All’inizio ho fatto corse singole, ma per la maggior parte sono state corse a tappe preparate con cura, col giusto intervallo fra l’una e l’altra. Era un primo anno e ci siamo andati abbastanza piano».

Condizioni del terreno abbastanza difficili a Tarvisio, con tanto fango ma anche tratti più scorrevoli (foto Paletti)
Condizioni del terreno abbastanza difficili a Tarvisio, con tanto fango ma anche tratti più scorrevoli (foto Paletti)
Condizioni del terreno abbastanza difficili a Tarvisio, con tanto fango ma anche tratti più scorrevoli (foto Paletti)
Condizioni del terreno abbastanza difficili a Tarvisio, con tanto fango ma anche tratti più scorrevoli (foto Paletti)

Tanto lavoro da fare per toccare il vertice

L’impressione è che non vogliano precorrere i tempi, ma farti crescere con calma…: «Sì, non sento pressione, ho il contratto per un’altra stagione ma posso concentrarmi sull’allenamento, su che cosa devo migliorare e quindi è giusto così. Ho ancora molto margine per migliorare, questo lo sanno, quindi bisogna avere un po’ di pazienza, giustamente devo crescere su molti aspetti».

Punterai a questo punto alla maglia rosa? «Non ho fatto la prima tappa ma ci sarò per tutto il suo nocciolo duro, visto che sono solo 5 prove. Staremo a vedere, magari è una possibilità per iniziare bene la stagione sui prati».

Esordio anche per Sara Casasola, che sarà impegnata anche domenica a Osoppo (foto Paletti)
Esordio anche per Sara Casasola, che sarà impegnata anche domenica a Osoppo (foto Paletti)
Esordio anche per Sara Casasola, che sarà impegnata anche domenica a Osoppo (foto Paletti)
Esordio anche per Sara Casasola, che sarà impegnata anche domenica a Osoppo (foto Paletti)

Primo acuto anche per la Casasola

Come Viezzi, nella gara di Tarvisio curata tecnicamente dal Bandiziol Cycling Team, è emersa anche Sara Casasola, tornata a gareggiare in casa per riassaporare il ciclocross dominando la gara su una comunque tenace Carlotta Borello, vincitrice della prima prova a Corridonia che ha comunque consolidato la sua leadership in classifica: «Anch’io sarò presente anche domenica a Osoppo. Qui non potevo mancare, sono a 50’ da casa e domenica sarò molto più vicina. Il bello è che io ho gareggiato con pioggia e freddo, i miei compagni in Belgio con sole e 15°. Il mondo al contrario…».

Campionati europei 2025, Drome et Ardeche, Tadej Pogacar tra la folla in salita

EDITORIALE / Percorsi troppo duri o Pogacar troppo forte?

06.10.2025
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La lunghezza del mondiale e la sua durezza. Nei giorni di Kigali si è fatto un gran parlare del fatto che soltanto trenta corridori avessero finito la corsa: dove sta lo spettacolo? I 267,5 chilometri a 1.600 metri di quota e per giunta all’Equatore erano probabilmente troppi. Avrebbero potuto tirare via una cinquantina di chilometri e il risultato non sarebbe cambiato: Pogacar campione del mondo. Condivisibile o meno, probabilmente l’assunto è giusto. Va fatto notare, che se l’organizzazione non avesse fermato gli atleti staccati, al traguardo ne sarebbero arrivati di più. Ma cambia poco.

La controprova si è avuta ieri ai campionati europei in Drome et Ardeche. Corsa di 202,5 chilometri: lo stesso vincitore e appena 17 corridori all’arrivo. Considerando che Pogacar è rimasto da solo a 77 chilometri dall’arrivo, vogliamo dire che sarebbe bastato un percorso di 125 chilometri? Questa è chiaramente una provocazione, ma ci permette di fare una premessa e due osservazioni in materia di calendario e di eccezionalità di questa fase storica.

Campionati del mondo Kigali 2025 strada professionisti, attacco Isaac Del Toro, Tadej Pogacar, Juan Ajuso
La grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sì
Campionati del mondo Kigali 2025 strada professionisti, attacco Isaac Del Toro, Tadej Pogacar, Juan Ajuso
La grande selezione dei mondiali di Kigali sarebbe stata identica anche con 50 chilometri in meno? Probabilmente sì

Il mondiale ad agosto

La premessa: non cadiamo nell’errore di parametrare tutto sull’anomalia di Pogacar. Tadej vincerebbe anche se le gare avessero un chilometraggio minore, per tutti gli altri c’è una bella differenza fra 200 e 250 chilometri. Detto questo, se serve per rendere il ciclismo più spettacolare, lasciando i Monumenti alle distanze originali, nulla vieta di ragionare su durata e lunghezza. Flanders Classics si è unita a Cycling Unlimited e ha preso in mano l’organizzazione del Giro di Svizzera. Hanno ridotto i giorni di gara, equiparando quelli degli uomini a quelli delle donne: lo spettacolo non cambierà. Un errore? Proviamo e poi valutiamo.

Il calendario. Se il mondiale è davvero una corsa importante, è tempo di riportarlo ad agosto, com’era fino al 1994. C’erano i corridori che uscivano bene dal Tour e quelli che si erano preparati dopo il Giro. Era un ciclismo meno veloce dell’attuale e a maggior ragione prevedere ancora il mondiale a fine settembre, con corridori spremuti come limoni dall’intera stagione e dalla Vuelta, è fare un torto alla gara più rappresentativa dell’UCI. Nessuno dei corridori della Vuelta ha fatto bene a Kigali, ad eccezione di Ciccone.

Altra annotazione sul calendario è che troviamo sciocco aver ravvicinato così tanto i mondiali e gli europei, proponendo per giunta percorsi pressoché identici. Lo hanno fatto notare sia Pogacar sia Evenepoel, ci meravigliamo che non lo capiscano i padroni del ciclismo, nonostante lo sfoggio di scienza con cui modificano ogni cosa senza chiedere riscontri. Ma questo non avviene per caso e ci porta alla seconda considerazione sull’eccezionalità di questa fase storica.

Evenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessuno
Evenepoel campione europeo della crono dopo aver vinto il mondiale: questa maglia nel 2026 non la vedrà nessuno

Pogacar, la testa e le gambe

Tutti vogliono Pogacar in fuga. E’ come avere la possibilità di scritturare il cantante più in voga e puntare sempre e soltanto su quello che vende più dischi. Chiaramente gli sponsor sono più contenti di… vestire una sua vittoria, piuttosto che quella di un velocista. Eppure è anche un fatto di opportunità. Sapevano tutti che in caso di vittoria dello sloveno il prossimo anno non avremmo visto la maglia di campione europeo sulle strade del mondo, come accadrà con quella di campione della crono conquistata da Evenepoel. Evidentemente il ritorno della vittoria di ieri copre anche il prezzo della scomparsa del simbolo.

Il periodo è eccezionale perché tolto Pogacar, le corse avrebbero uno sviluppo ben più normale. Il gruppetto uscito compatto dal Mount Kigali sarebbe entrato nel circuito finale del mondiale e si sarebbe giocato la corsa con altri equilibri. Ma qui non stiamo dicendo che non vogliamo Pogacar in azione, semplicemente sarebbe interessante se gli rendessero la vita meno facile. Che noia erano i Tour de France con le crono da 60 chilometri per favorire Indurain? Se gli organizzatori lavorassero per amore del ciclismo e dello spettacolo, disegnerebbero percorsi aperti a più soluzioni, dimostrando anche un rispetto superiore per il resto del gruppo. Per i corridori africani in Rwanda, ad esempio. Per il resto del gruppo agli europei. Pogacar vincerebbe lo stesso, però magari per farlo dovrebbe usare anche la tattica e non dovrebbe accontentarsi solo delle gambe.