Sanguineti, un buon Baloise e tanta fiducia in Balsamo

25.07.2024
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Qualche giorno fa sulle strade del Baloise Ladies Tour ha migliorato il proprio palmares stagionale grazie a due quarti posti di tappa piuttosto inaspettati. Rispetto all’ultima volta che l’abbiamo sentita, Ilaria “Yaya” Sanguineti ha il morale un po’ più alto per una serie di motivi, anche se adesso sta trascorrendo un periodo senza gare.

Alla gara belga Sanguineti ha fatto da “chioccia” ad una Lidl-Trek giovanissima, nonostante nei programmi iniziali avrebbe dovuto pilotare Elisa Balsamo nelle volate contro Wiebes e Kool prima delle Olimpiadi di Parigi. Invece una tonsillite ha obbligato l’ex iridata di Leuven ad abbandonare il Giro d’Italia Women, virando quindi su un avvicinamento diverso. E per come abbiamo imparato a conoscere Yaya in questi anni, sappiamo quanto abbia vissuto in modo intenso le vicissitudini fisiche della sua amica Balsamo. Le abbiamo chiesto come ha visto il suo ritorno alle gare.

Esperienza al servizio delle giovani. Sanguineti al Baloise Tour aveva tre compagne del 2005 ed una del 2002
Esperienza al servizio delle giovani. Sanguineti al Baloise Tour aveva tre compagne del 2005 ed una del 2002
Yaya al Baloise sei stata ancora orfana di Balsamo, ma il tuo ruolo non è cambiato di molto.

In Belgio avevamo una formazione composta da tre ragazze del 2005 (Moors, Sharp e Wilson-Haffenden, ndr) ed Elynor Backstedt che ha 22 anni. Ho trent’anni, in pratica ho fatto da zia a loro (sorride, ndr), che tuttavia sono andate molto forte. Moors ha curato la classifica, anche se il nostro obiettivo erano le vittorie di tappa. Io ci ho provato un paio di volte raccogliendo due quarti posti. Onestamente sono rimasta molto sorpresa.

Per quale motivo?

Dopo il campionato italiano non sono stata molto bene. Mi sentivo un senso di spossatezza generale che non riuscivo a giustificare. Ho fatto anche dei controlli per vedere a cosa potesse essere dovuto. Abbiamo ipotizzato la tiroide, ma non era. A dire il vero non abbiamo capito cosa fosse, forse solo una grande stanchezza. Dopo qualche giorno ferma, ho ripreso ad allenarmi e piano piano ho ritrovato un po’ di condizione. Alla luce di questo, considero quei due quarti posti allo sprint dietro Wiebes e Kool come ottimi risultati, fatti più di esperienza che di gambe.

Sanguineti ha corso solo il campionato italiano assieme a Balsamo, ma ne aveva colto subito la buona condizione dopo il brutto infortunio
Sanguineti ha corso solo il campionato italiano assieme a Balsamo, ma ne aveva colto subito la buona condizione dopo il brutto infortunio
E’ un buon segnale per la parte finale di stagione, giusto?

In teoria sì, in pratica così così. Ora è come se fossi in “off season” anticipata. Vorrà dire che avrò più tempo da passare con Stitch (sorride riferendosi al suo bulldog francese, ndr). Battute a parte, vedremo come sarà il mio calendario. Il Tour de France non dovevo correrlo già da inizio stagione, ma avrei dovuto fare il Tour de Berlin e lo Scandinavia che invece hanno cancellato ultimamente. Dovrei fare il Simac Tour, però prima ci sarebbero gli europei. Devo meritarmi la convocazione azzurra in quelle gare che farò. Diciamo che è stato un anno particolare come tutti gli anni olimpici.

A proposito di Olimpiadi, a Parigi ci sarà Balsamo. Come l’hai vista dopo il rientro?

Con Elisa ho corso solo il campionato italiano, dove è andata molto forte chiudendo sesta. Lì l’avevo vista già molto bene considerando la caduta della Vuelta a Burgos. Ecco, l’ho vista solo una volta, ma ci sentiamo tutti i giorni, lo sapete che siamo tanto amiche. Elisa è una atleta con la a maiuscola che sa arrivare bene ad ogni appuntamento. Oltre che riprendersi da quelle botte.

Sanguineti al Baloise Tour ha colto due quarti posti allo sprint. Il suo programma gare dovrebbe riprendere ad agosto inoltrato (foto Lidl-Trek)
Sanguineti al Baloise Tour ha colto due quarti posti allo sprint. Il suo programma gare dovrebbe riprendere ad agosto inoltrato (foto Lidl-Trek)
Parlando con lei, hai notato differenze di reazione tra la caduta del 2023 e quella di quest’anno?

Dopo quella dello scorso maggio, spero abbia finito con le cadute perché non può sempre farmi passare degli spaventi enormi (sorride, ndr). In realtà quella dell’anno scorso era stata più brutta perché non aveva potuto mangiare per tanto tempo e nonostante tutto aveva centrato un quinto posto in volata al Tour. Stavolta ha recuperato meglio, ammesso che si possa dire così dopo capitomboli del genere. E’ in credito con la fortuna, ma Elisa è davvero una dura, che non molla mai.

Anche al Giro Women stava andando bene, poi si è dovuta fermare.

Quello è stato un vero peccato perché so quanto Elisa ci tenesse a fare bene al Giro. Pensateci, una si prepara a dovere per una corsa e poi deve ritirarsi perché si ammala. In ogni caso a Volta Mantovana si è ributtata nella mischia in terza facendo terza. Sono d’accordo con quello che diceva il cittì Sangalli, è stato bello rivederla davanti e senza paura.

Dopo la caduta a Burgos, Balsamo si ributta in volata senza paura al Giro Women chiudendo terza dietro Consonni e Kopecky
Dopo la caduta a Burgos, Balsamo si ributta in volata senza paura al Giro Women chiudendo terza dietro Consonni e Kopecky
In conclusione Yaya Sanguineti come vede la sua amica Elisa Balsamo a Parigi?

Intanto mi sento di dire che lei merita di essere alle Olimpiadi. So che dovrà dividersi tra strada e pista. Non so come siano gli ingranaggi di quegli incastri e nemmeno quali prove disputerà in pista, però posso dirvi che Elisa sarà in forma e saprà gestire benissimo le situazioni, come ha sempre fatto in passato.

Red Bull-Bora, dalla debacle del Tour al piano per ripartire

25.07.2024
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Il Tour de France, come tutti i grandi eventi, porta con sé un’onda lunga di considerazioni, bilanci, ricordi. E un bilancio, ma anche (e soprattutto) un discorso in prospettiva lo facciamo con Enrico Gasparotto, tecnico della  Red Bull-Bora-Hansgrohe, squadra che non ha avuto una Grande Boucle facile.

Il team tedesco, lo ricordiamo, ha perso il suo leader Primoz Roglic, il quale aveva fatto quasi all-in sul Tour. E ha perso anche il suo braccio destro, Alexander Vlasov. Da lì sono saltati un po’ tutti i piani e anche chi doveva aiutare, o già aveva aiutato, non poteva raccogliere all’improvviso un’eredità tanto importante. Neanche se ci si chiamava Jai Hindley o Bob Jungels.

Enrico Gasparotto (classe 1982) è un direttore sportivo della Red Bull-Bora
Enrico Gasparotto (classe 1982) è un direttore sportivo della Red Bull-Bora
Insomma, Enrico, dicevamo di un Tour non facile per voi…

Penso sia stato decisamente così. Partivamo con l’ambizione di lottare per vincere e in seconda battuta di lottare per il podio e invece ci siamo ritrovati come ultima squadra nella classifica dei guadagni, dei premi elargiti, il che la dice lunga su come sia andata.

Crolla un po’ il castello?

Quando punti un obiettivo e il tuo leader viene meno, cambia tutto. Se poi anche il leader in seconda battuta, Vlasov, va a casa è ancora peggio. Faccio un esempio: prendiamo la Soudal-Quick Step che aveva in Remco e Landa i suoi due corridori principali. Mettiamo che per un motivo o per un altro loro due si ritiravano, che Tour avrebbe fatto la Soudal?

Chiaro, rispecchia la vostra situazione…

Noi abbiamo perso Vlasov nella tappa degli sterrati, dove ha riportato la frattura della caviglia. E tre giorni dopo abbiamo perso Roglic per una caduta. Era la peggior situazione che ci potesse capitare. Poi Jai è stato bravo ad entrare nelle fughe che potevano portare a qualcosa. In questi attacchi loro c’erano, ma anche in questo caso, di reali possibilità che la fuga arrivasse ce ne sono state poche. Se pensiamo che tre uomini (Pogacar, Girmay e Philipsen, ndr) hanno vinto 11 tappe e una dodicesima, la prima crono, è andata a Remco, alla fine per tutti gli altri restava veramente poco. 

Vlasov nella tappa dello sterrato poco prima della caduta che lo ha messo ko
Vlasov nella tappa dello sterrato poco prima della caduta che lo ha messo ko
E voi impostando la squadra in quel modo neanche avevate il velocista…

Ripeto, è stato un Tour difficile per tutti noi della Red Bull-Bora. Erano tre mesi che i ragazzi vivevano insieme praticamente tra gare, ritiri, altura… E quando il tuo leader viene meno anche mentalmente si fa dura. Ma si è fatta dura anche per i direttori sportivi, per lo staff: meccanici, massaggiatori… Noi abbiamo cercato di reagire e devo fare un plauso a Jai e a Nico Denz, che ci hanno provato nonostante anche loro in alcuni giorni non siano stati bene.

Come si fa ora? Come si riordinano le idee?

Come sempre, dopo i grandi eventi e i grandi Giri in particolare si fa il debriefing. Si analizza il tutto: preparazione, dinamiche di corsa, materiali, staff, logistica… In qualche cosa si poteva fare meglio, in altre si è fatto bene e si cerca di capire come migliorare ancora. Si fa un’analisi approfondita di tutto, specie dopo batoste così importanti, si va ancora di più nel dettaglio.

Come avviene questo debriefing: si fa con una call tutti insieme o ognuno invia il suo report?

Si riunisce il management e il responsabile di ogni reparto e si analizza il tutto. Per la nostra parte c’era Rolf Aldag, che era il responsabile Red Bull-Bora-Hansgrohe al Tour e quindi si sa già molto. Poi vengono coinvolti i coach, il responsabile dei materiali, della logistica, della nutrizione: si mette tutto sul tavolo. Credo che a fine settimana ci sarà un rapporto definitivo.

Se questo, Enrico, è quel che è successo, iniziamo a guardare avanti e la domanda diretta è: al netto del problema alla vertebra, vedremo Roglic alla Vuelta?

Dal primo giorno in cui un corridore torna a casa si pensa già al prossimo obiettivo. E questo vale anche per Vlasov. Entrambi erano già e sono nella lista lunga della Vuelta. Posso dire che Primoz è stato presso il centro Red Bull Athlete Performance Center vicino Salisburgo per i test e le analisi fisiche e può riprendere ad allenarsi bene. Attenzione però, con questo non dico che Primoz sarà alla Vuelta. Una decisione non sarà presa prima della prossima settimana.

Proprio in questi giorni Roglic può iniziare ad allenarsi bene
Proprio in questi giorni Roglic può iniziare ad allenarsi bene
Serve anche un certo tempo di riflessione, immaginiamo…

C’è un periodo di stand by, prima di dare la formazione della Vuelta, a prescindere dalle cadute o meno. Deve passare almeno una settimana dopo la fine del Tour de France, anche per vedere come recuperano i ragazzi. Quando si molla all’improvviso, dopo tanti giorni di adrenalina, spesso i corridori si ammalano, escono fuori dolori… servono alcuni giorni perciò per valutare il vero grado di stanchezza. Senza contare che ci sono stati anche casi di Covid, alcuni più seri e altri più lievi. In tutto ciò il lato positivo è che Roglic si può allenare bene e presto credo otterrà lo stesso via libera anche Vlasov.

Guardando oltre la Vuelta, per esempio tu, Enrico, direttore sportivo, cosa farai?

Ora un po’ di riposo. Ho fatto molte corse, tra cui Giro d’Italia e Tour. Rientrerò a Plouay e Renewi Tour, quindi farò la trasferta canadese e chiuderò con le gare italiane tra settembre e ottobre.

E per gli altri corridori come si programma questo post Tour?

Bisogna pensare che per otto atleti al Tour ce ne sono altri 22 a casa e lì si procede indipendentemente dal Tour. Su questo aspetto abbiamo lavorato prima della Grande Boucle: due settimane di programmi fatti nella seconda metà di giugno.

E cosa ne è emerso?

Che abbiamo una lista lunga di 12 nomi per la Vuelta e altri ragazzi assegnati a tutte le altre gare. Ma programmare non è facile. Perché spesso i programmi saltano. Penso per esempio a Buchmann che doveva fare un altro percorso e al Tour de Suisse si è fratturato la clavicola. O a Kamna che è  ancora fuori. Alcuni corridori sono impegnati alle Olimpiadi…

Intanto Aleotti (al centro) è in altura ad Andorra. Qui in un selfie di Schachmann
Intanto Aleotti (al centro) è in altura ad Andorra. Qui in un selfie di Schachmann
Daniel Martinez, secondo al Giro, dove lo vedremo?

Fa parte della lista lunga della Vuelta, ma non è detto che ci vada. Vista la su grande duttilità, Dani Martinez potrebbe essere anche dirottato sulle corse di un giorno come San Sebastian o brevi corse a tappe.

Come dicevi bisogna vedere anche come stanno gli altri e in tutto ciò di Sobrero cosa ci dici?

Matteo non farà la Vuelta. Ha fatto moltissimo quest’anno: tutta la parte del Tour e quindi gare e ritiri con Roglic, ma anche delle gare in Belgio nelle quali Primoz non era previsto. Rientrerà a Plouay.

Aleotti?

Giovanni invece è uno dei 12 della lista lunga per la corsa spagnola. Si sta allenando in altura e il suo ruolo alla Vuelta lui ce lo avrà. Dovrebbe riprendere a Burgos (i primi di agosto, ndr).

Insomma tutto è in divenire, ci si rialza continuando a lavorare. Al netto della Vuelta per un team come il vostro servono grandi obiettivi. Quindi si punta forte sul Lombardia?

Tutti puntano sul Lombardia e anche noi ovviamente. Abbiamo diversi corridori che possono vincerlo. Penso a Primoz e a Vlasov che hanno concluso tra i primi anche nella passata edizione e lo stesso vale per Martinez e Hindley o Higuita. Per ora il Lombardia è l’ultimo dei miei problemi! Lì in teoria dovremmo avere problemi di abbondanza. Poi è chiaro che è uno dei nostri obiettivi. I Monumenti sono cinque: in questo momento un corridore per vincere Sanremo, Fiandre o Roubaix non ce lo abbiamo, però abbiamo ottimi atleti per puntare ad una Liegi e ad un Lombardia.

Oldani ingoia il rospo e mette nel mirino il finale di stagione

25.07.2024
4 min
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Le energie fisiche e mentali che Stefano Oldani ha messo per prepararsi e migliorare la condizione per il mese di luglio sono state dirottate dal Tour de France ad altre corse. Il corridore della Cofidis sperava in una convocazione per la Grande Boucle, invece questa non è arrivata. Ma, al posto di scoraggiarsi, Oldani ha messo tutte le forze e la volontà in altri obiettivi. Voleva dimostrare di stare bene e far vedere che le ore spese tra ritiri e allenamenti avevano portato a qualcosa (in apertura foto Instagram). 

«La verità – racconta dalla Spagna tra una corsa e l’altra – è che mi sono preparato proprio bene nelle tre settimane passate a Livigno a giugno. La squadra ha deciso di non portarmi al Tour nonostante avessi una bella condizione, così ho cercato di sfruttarla il più possibile. Ho ottenuto tanti risultati, è mancata solamente la vittoria, ma penso di essermi superato. In alcune gare, specialmente in Francia al Tour de l’Ain, resistevo su percorsi duri e rimanevo davanti a giocarmi la vittoria».

Oldani (in seconda posizione) dopo il ritiro di giugno è rientrato alle corse al Giro di Slovacchia
Oldani (in seconda posizione) dopo il ritiro di giugno è rientrato alle corse al Giro di Slovacchia

Mancata occasione

Dalla mancata convocazione al Tour de France Oldani ha collezionato sette top 10 su nove gare. Il riscatto c’è stato, ma è mancata la vittoria, sfumata per poco in Francia e ancora inseguita.

«E’ mancato un po’ il momento tattico – spiega il lombardo – per usare un termine più edulcorato. Alla fine ho perso due occasioni importanti ma nel complesso mi sono comportato bene. Anche alla prima delle due gare qui in Spagna, la Castilla y Leon, ho provato ad anticipare ma c’era poco spazio. I velocisti hanno fagocitato la corsa. Oggi alla Prueba Villafranca le chance per me aumentano, il percorso si avvicina tanto alle mie caratteristiche».

Nella prima volata del Tour de l’Ain è arrivato sesto (foto Instagram)
Nella prima volata del Tour de l’Ain è arrivato sesto (foto Instagram)
Che sentimento ti ha smosso la mancata convocazione al Tour?

Ho voluto dimostrare di esserci. E’ stato un anno difficile il 2024, dalla caduta di gennaio a Marsiglia mi sono sempre trovato a rincorrere. Solo da dopo il Giro d’Italia ho ritrovato le sensazioni giuste. Crescevo e trovavo sempre più il mio livello e la gamba giusta per battagliare in testa alla corsa. L’esclusione dal Tour è diventata una sfida personale. 

Per dimostrare di esserci.

Far vedere che quando mi impegno e mi alleno bene posso dire la mia. Ora però mi serve staccare un attimo e ripartire. Devo capire con la squadra quando potermi prendere una pausa. E’ da gennaio che non riposo un po’ e mi serve recuperare, più per la testa che per le gambe. 

Fermarsi per poi ripartire più forte?

Voglio fare un bel finale di stagione con le gare del calendario italiano. Mi piacerebbe, dopo il periodo di riposo, ripartire e costruire di nuovo la gamba in altura. 

L’esclusione dal Tour ha portato dei buoni risultati in altre corse, alla Grande Boucle non sarebbe stato facile trovare le stesse occasioni…

Nel roster della mia squadra mi sarei visto bene, penso che ne avrebbero tratto un vantaggio dalla mia presenza. Con il senno di poi l’esclusione mi ha permesso di ritrovarmi e ottenere dei risultati importanti.

Oggi si chiude una breve parentesi spagnola con la Prueba Villafranca
Oggi si chiude una breve parentesi spagnola con la Prueba Villafranca
Niente Vuelta in programma?

No, con la squadra non era in calendario. Sarebbe diventato difficile prepararla al meglio. Dopo il Giro, che è andato come avete visto e l’esclusione dal Tour non ci sono altri grandi Giri in programma. Il focus è sul finale di stagione in Italia. 

Quale gare ti intrigano?

Ce ne sono tante: Peccioli, Toscana, Agostoni, Bernocchi e quelle in Veneto. All’Agostoni nel 2022 ho fatto decimo perdendo il momento giusto nel finale. Lo stesso anno alla Bernocchi sono arrivato terzo… L’obiettivo è vincere, come sempre, ma mi piacerebbe creare la giusta condizione per poi essere presente in testa alla corsa. Se corri davanti le probabilità di vincere si alzano.

Ultima crono (dura): specialisti in crisi, comandano le gambe

25.07.2024
8 min
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Si avvicina a grandi passi l’appuntamento olimpico, ma prima di chiudere la porta sul Tour, vogliamo condividere con voi alcuni approfondimenti. Uno riguarda la cronometro di Nizza, che ha suggellato il podio francese e a ben vedere avrà riflessi anche sulle sfide olimpiche di sabato. E’ singolare e insieme indicativo che il podio dell’ultima tappa abbia ricalcato alla perfezione quello finale. Evenepoel è stato al di sotto dei suoi standard di specialista? Va bene Pogacar, ma Vingegaard così forte era prevedibile anche contro il tempo?

A Nizza c’era anche Marco Pinotti, allenatore del Team Jayco-AlUla, che in carriera ha vinto per due volte l’ultima crono del Giro. Nel 2008, battendo Tony Martin a Milano su un percorso velocissimo: 51,298 di media. Nel 2012, battendo Geraint Thomas ancora a Milano, a 51,118 di media. Proprio in quest’ultimo caso, la maglia rosa si giocò in quell’ultima tappa, con Hesjedal che recuperò i 31 secondi di ritardo da Purito Rodiguez e conquistò il Giro con vantaggio finale di 16 secondi. Ugualmente, nella classifica di tappa finirono 6° e 26°.

«Il percorso dell’ultima crono – dice Pinotti – era meno adatto a Remco, rispetto a quella che ha vinto nella prima settimana. Era una crono dura e lui è finito terzo, perché ha perso la maggior parte del tempo nella prima parte, quella in salita. Nella parte finale invece, sei minuti tutti in pianura, lui ha fatto il miglior tempo. Secondo Campenaerts, terzo Matthews. Sesto in quel tratto è stato Vingegaard, mentre Pogacar addirittura ottavo o nono, però lui negli ultimi due chilometri ha rallentato. Quindi un parziale in linea con quello che ci saremmo aspettati in una crono piatta, cioè Remco più veloce».

Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Pogacar ha vinto anche grazie alla forma superiore e la perfetta conoscenza delle strdae
Invece nei tratti precedenti?

Dal secondo al terzo intertempo c’era la discesa e Pogacar ha fatto il miglior tempo, perché abita lì. Jorgenson il secondo. Almeida, Buitrago e Tejada hanno fatto una bella discesa perché si giocavano il piazzamento. Sono andati bene anche Ciccone e Matthews, gente che ci vive o che ci ha vissuto. Remco è andato come Yates, che era in ritardo ai primi intermedi ma sempre intorno all’ottavo, nono posto e nell’ultimo tratto è scivolato tutto indietro. Nel senso che era in ritardo in salita e una volta che si è reso conto di non poter vincere la crono, non ha preso rischi. Si è visto che in discesa non era proprio lineare nelle curve.

Quindi un risultato che si poteva scrivere anche prima che corressero?

Alla fine di un Grande Giro è sempre così, quelli di classifica sono più performanti. Primo, perché ultimamente dedicano anche loro tanto tempo all’allenamento e all’aerodinamica. E poi perché quel percorso ha penalizzato gli specialisti. Campenaerts nell’altra crono era arrivato 5° a 52″ da Evenepoel: a Nizza invece è finito 13° a 3’14” da Pogacar. La prima non era una crono piatta, però Evenepoel l’ha fatta a 52,587 di media. A Nizza, Pogacar ha fatto 44,521, vuol dire che è stata dura. Quindi è normale che siano arrivati davanti quelli di classifica, che avevano più riserva. Specialisti non ce n’erano, tranne Campenaerts e Sobrero. Matteo mi ha detto di averla fatta a tutta. E’ arrivato 19° e con le forze che gli erano rimaste si è preso quasi 4 minuti.

In conferenza stampa Remco ha detto che la discesa era troppo pericolosa e avendo l’obiettivo delle Olimpiadi non ha voluto rischiare.

Può essere, perché la discesa non era semplicissima. Se uno abita lì e va a farla cinque volte al mese, è un’altra cosa. Non era pericolosa, però c’erano tantissime curve, dove se sei sicuro di poter lasciare i freni, guadagni 13-14 secondi. Invece nell’altra crono, Remco aveva fatto una bella discesa, perché magari l’aveva vista 2-3 volte come gli altri. E poi a Nizza, una volta che non aveva il miglior tempo in salita, cosa aveva da guadagnare a rischiare? Il terzo posto era consolidato e il secondo irraggiungibile. Avrà visto negli intertempi dov’era rispetto a Vingegaard, ha capito che la crono non la vinceva e ha deciso di non prendere rischi.

Secondo te chi ha puntato al cambio di bici ha fatto un passo falso?

C’era una strategia alternativa possibile: partire con la bici da strada e cambiarla in cima alla seconda salitella. Però c’erano 3 chilometri piatti all’inizio e già lì, con la bici da crono rispetto a quella da strada, guadagnavi minimo 15 secondi. Poi speri di riguadagnarli in salita con la bici più leggera? Può essere, ma sulla prima salita andavano a 24 di media, Pogacar anche a 28. A quelle velocità la bici da crono è ancora vantaggiosa. Altra cosa: noi abbiamo avuto da poco la bici da crono con i freni a disco. E se c’è un feedback che tutti mi hanno dato è di trovarsi meglio come guidabilità anche rispetto alla bici da strada. L’unico svantaggio resta il peso, perché una bici da crono pesa mediamente un paio di chili in più.

Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Pinotti ha seguito Durbridge che con la bici da crono ha… piegato la resistenza di Dillier
Uno svantaggio che riesci a colmare con le velocità?

Vi faccio questo esempio. Io ho seguito Durbridge e avevamo davanti Silvan Dillier, che correva con la bici da strada e non andava certo a spasso. Vedendo come muoveva le spalle, si stava impegnando. Durbridge è andato regolare, eppure gli è arrivato sotto già sulla prima salita. Poi ha recuperato e in discesa Dillier con la bici da strada ci ha staccato perché noi siano andati prudenti. Ma quando siamo arrivati alla parte in pianura finale, si è messo a ruota irrispettoso delle regole, ma dopo un chilometro si è staccato. Lottavano per il 50° posto quindi non so neanche se avrà preso la penalità, però è stato divertente vedere questa differenza. Storia simile con Yates.

Cioè?

Ho seguito anche Simon e davanti a lui è partito Gall, che era 13° in classifica e ha scelto la bici da strada. Mi è sembrata una scelta assurda. Infatti, nonostante Yates avesse la bici da crono, lo ha preso sulla prima salita. L’ha passato in discesa e Gall non è più rientrato. E proprio a causa della crono ha perso una posizione. L’anno scorso a Combloux fu diverso, perché la crono era divisa in due: prima la pianura e poi quasi tutta salita. Però quando la velocità media è sopra il 23-24 all’ora, io prendo sempre la bici da crono.

I ragazzi ti hanno spiegato perché con i freni a disco la bici si guida meglio? 

Prima quando avevi i freni rim e le ruote lenticolari o in carbonio, la frenata non era lineare. Adesso con i dischi è come sulla bici da strada. Prima era un problema cambiare da un giorno all’altro. Adesso frenano allo stesso modo, è un passaggio naturale. Corridori come Sobrero avevano la sensibilità per passare senza problemi da una all’altra, però la maggior parte è contenta di questo cambiamento. Adesso usano la stessa forza, staccano alla stessa distanza dalla curva e la frenata è più lineare.

Cambiando argomento, in casa UAE Emirates hanno sottolineato l’importanza della doppia guarnitura 46-60 con 11-34 dietro: perché secondo te?

Partiamo col dire che a Nizza serviva la doppia corona, la mono non andava bene. Se avessi dovuto scegliere, avrei voluto un 60-44, che per noi non era disponibile. Noi avevamo il 58 come corona più grande, l’ideale sarebbe stato un 60 o un 62, perché gli ultimi chilometri erano proprio veloci. Perciò Pogacar con il 60 è andato bene e in salita con il 46×34 era giusto. Secondo me aveva il 46-60 perché il limite del salto tra le due corone sono 14 denti. Io ho chiesto di avere il 44-60: se riescono, siamo a posto perché avremmo una copertura più grande di percorsi. Il 46×34 lo spingi bene, ma idealmente sarebbe meglio avere il 44×30, così ho una scala più lineare. Se metto il 34, uno fra il 17 e il 19 devo tenerlo fuori, invece con il 30 potrei rimetterlo. Però comunque il 46-60 è stato una buona scelta.

Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Questa la guarnitura 46-60 di Pogacar, prodotta da Carbon-Ti. Dietro lo sloveno aveva pignoni 11-30
Perché è stato giusto non usare la monocorona?

Si può usare quando c’è una strada molto veloce o una discesa. Però di solito, se c’è una discesa, prima c’è stata una salita. E se, come in questo caso, non è pedalabile, allora ti serve la doppia corona. Non puoi correre con il 62×38. Anche perché se usi il 62, già passare dal 13 al 14 è un bel salto rispetto a quando hai il 53. Se poi mi togli anche dei rapporti dietro e ne fai due ogni volta per montare il 38, finisce che ti serve anche una catena lunga un chilometro… Io sono più un fan della doppia corona.

Dipende anche dai percorsi?

Ormai mettono sempre sia la salita ripida che la discesa veloce, quindi devi avere l’opzione di due corone. La mono va bene nella crono di Desenzano al Giro, ma già in quella di Perugia secondo me non andava (Pogacar che ha vinto aveva la doppia, Ganna che ha fatto secondo aveva la monocorona, ndr). Le crono più belle in un Giro sono quelle dove ci sono salita e discesa. Diverso magari se si parla di una crono dei mondiali o delle Olimpiadi.

Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
Se la crono finale è la prova delle energie residue, ha senso che Vingegaard sia arrivato secondo
L’anno scorso ai mondiali, la salitella al castello di Stirling premiò Evenepoel e penalizzò Ganna…

Sono scelte che fanno in base ai posti che devono raggiungere, cercando di non favorire i passisti o gli scalatori. Le Olimpiadi ad esempio quest’anno strizzano di più l’occhio agli specialisti, ma non so con quale criterio l’abbiano disegnata così. Chi organizza fa una proposta. Poi c’è una commissione che approva e penso che scelgano un percorso che possa creare la massima indecisione nella vittoria. In un Giro invece è diverso. E soprattutto la crono finale, se la fai dura, sai già che arriveranno davanti quelli di classifica. Al netto di ogni ragionamento, è così che va a finire.

Finn verso un settembre di fuoco: dal Lunigiana al mondiale

24.07.2024
4 min
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L’ufficialità della partecipazione al Giro della Lunigiana di Lorenzo Mark Finn ce l’ha data lo stesso atleta ligure. Un messaggio che poi si è trasformato in un’intervista per capire la scelta e cercare di intuire quanto la squadra, la Grenke Auto Eder, abbia lasciato libertà di scelta. Finn è uno degli atleti di spicco del panorama juniores, il primo ad essere andato fuori Paese per correre. Una scelta che aveva aperto a tante domande su quanto e come avrebbe mantenuto una connessione con l’Italia e le sue corse. Tutte queste domande sono state prese e rispedite al mittente, perché Finn sarà al via del Giro della Lunigiana e non al Ruebliland Tour, che si corre in concomitanza. 

«La squadra – spiega Finn – andrà a correre in Svizzera, ma io ho avuto la massima libertà di scelta. Essermi laureato campione italiano è stato un passaggio importante anche nel decidere quale impegno seguire. Avere la maglia tricolore mi ha spinto verso il Lunigiana, ma anche senza di essa avrei comunque partecipato alla corsa di casa».

Lorenzo Finn è stato invitato alla recente presentazione del Giro della Lunigiana, un indizio importante della sua presenza alla gara
Lorenzo Finn è stato invitato alla recente presentazione del Giro della Lunigiana, un indizio importante della sua presenza alla gara

Ambizioni

Lorenzo Finn ha conquistato la maglia tricolore poche settimane fa, sia a cronometro che su strada, un successo di grande rilievo. 

«Ci tenevo particolarmente a fare bene ai campionati nazionali – dice – anche perché il team ha piacere nell’avere questi simboli. Al Lunigiana ci sarà un mio compagno di squadra che correrà per il Belgio, quindi capite come la Grenke AutoEder abbia lasciato a tutti la facoltà di scegliere quale corsa fare. Il Ruebliland ha solamente l’ultima tappa dura adattata agli scalatori, il Lunigiana, invece, nel complesso è più duro come percorso. L’obiettivo è vincere una tappa, non nascondo che punto anche alla classifica generale. Migliorare il risultato del 2023 vorrebbe dire vincerlo, quindi è chiaro che l’obiettivo possa essere questo».

Come sta procedendo la stagione?

Bene, devo dire che dall’infortunio dell’Eroica Juniores mi sono ripreso bene e in fretta. Sono tornato presto in condizione e agli appuntamenti tricolore l’ho dimostrato. Tutto sta procedendo per il meglio, a parte l’intoppo dell’infortunio. Dopo i campionati nazionali sono andato al Valromey, una bella corsa dove ho fatto un buon lavoro (in apertura foto Zoé Soullard/DirectVelo). 

Ora che programma hai?

In questa settimana farò degli allenamenti un po’ più blandi. Intanto domenica ho sfruttato la vicinanza alla Costa Azzurra per andare a vedere la cronometro finale del Tour con un amico. Finito questo periodo un po’ più blando, inizierò a preparare il Lunigiana e gli appuntamenti con la nazionale: mondiali ed europei. 

Jakob Omrzel potrebbe essere uno degli avversari da tenere sotto controllo al Lunigiana (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Jakob Omrzel potrebbe essere uno degli avversari da tenere sotto controllo al Lunigiana (foto Nicolas Mabyle/DirectVelo)
Andrai anche tu in ritiro a Livigno con Salvoldi?

Sì, in realtà ho deciso che andrò su una settimana prima insieme alla mia famiglia. E’ un bel posto e loro si faranno un po’ di vacanze e io approfitto per allenarmi e godermi il panorama. Quando arriveranno anche Salvoldi con gli altri ragazzi della nazionale inizieremo il nostro ritiro, che terminerà a fine agosto. 

Poi si scende al Lunigiana, hai parlato con altri ragazzi in gruppo? Sai già chi ci sarà?

Le solite nazionali come Francia, Belgio, Slovenia e Repubblica Ceca. Oltre alle rappresentative regionali. Dovrebbe venire Omrzel, lui sarà uno degli avversari da tenere d’occhio.

Dino Salvoldi e Lorenzo Finn a colloquio, l’atleta ligure sarà una delle punte per il mondiale?
Dino Salvoldi e Lorenzo Finn a colloquio, l’atleta ligure sarà una delle punte per il mondiale?
L’appuntamento iridato  lo vedi vicino alle tue caratteristiche?

La prova su strada sì, quella a cronometro un pochino meno. Siamo andati a vedere il percorso a giugno con Salvoldi, è molto bello anche se serviranno tante gambe per fare bene. La convocazione passerà anche dal Lunigiana, ma se tutto andrà per il meglio dovrei essere della partita. 

Invece per il prossimo anno?

Passerò U23 ma sto cercando di capire insieme al mio procuratore e con la squadra come muovermi. L’arrivo di Red Bull sembra aver aperto la possibilità di fare un team under 23 legato alla squadra WorldTour. Tutto è da capire e di certo non c’è nulla, vedremo con il passare dei mesi cosa verrà fuori.

La Colnago gialla sul podio, un’altra meraviglia di Pogacar

24.07.2024
7 min
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Dopo essere stata per tutto il giorno davanti al pullman del UAE Team Emirates, la bici gialla è spuntata ai piedi del podio sulla spalla di Tadej Pogacar. Lo sloveno aveva appena vinto il Tour e, con un gesto mai visto prima, è salito sul podio portando la bici e sollevandola al cielo. Non era mai successo. Si ricorda Roglic con una Cervélo rossa sul podio finale della Vuelta, ma quella Colnago gialla sul tetto della Grande Boucle ha fatto a suo modo la storia.

E proprio la storia dice che la V4RS gialla è stata verniciata soltanto giovedì, tre giorni prima della fine del Tour. Per tutta la sana scaramanzia di chi conosce il mondo dello sport, l’azienda di Cambiago aveva tenuto libero un turno di due ore dal proprio verniciatore. Quando c’è stata la certezza della conquista, la bici ha indossato la sua livrea gialla. E’ stata recapitata al Tour venerdì mattina, mentre Pogacar si accingeva a vincere la quinta tappa a Isola 2000. E pur violando la sacra regola secondo cui lo sposo non deve mai vedere la sposa alla vigilia, venerdì sera Tadej l’ha vista, ma ha preferito non usarla sabato. La motivazione? Una parola italiana che è uscita perfettamente comprensibile dalla sua bocca: «Scaramanzia!».

La VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podio
La VRs4 gialla di Pogacar ha posato domenica mattina ed è poi salita con lui sul podio

Il Tour per Colnago

Della bici gialla e di che cosa abbia significato la vittoria di Pogacar parliamo con Nicola Rosin, amministratore delegato di Colnago, che sta vivendo una delle più belle settimane da quando ha accettato l’incarico di occuparsi e ridare luce a quel marchio tanto prestigioso. E’ immediato capire che ci troviamo al centro di una giostra velocissima, in cui conciliare il lato tecnico e le esigenze degli atleti con tutti gli aspetti legati al marketing che in questo momento è probabilmente prioritario.

Che significa per un brand come Colnago un Tour del genere, dopo un Giro del genere?

E’ il riconoscimento perfetto di tre anni e mezzo di lavoro, un coronamento. Non vorrei dire che ci stiamo abituando, comunque questo è il quarto Grande Giro che Tadej vince con la cosiddetta nuova Colnago. Parlo di coronamento perché tre anni e mezzo fa è stata avviata una strategia di prodotto e insieme è nato il desiderio di creare un rapporto simbiotico con il team. Ma neanche nella regia del film più ottimistico, si poteva immaginare che sarebbe andato tutto così bene. Per noi significa esserci consolidati come il brand road più desiderabile al mondo, che era l’obiettivo che con Manolo Bertocchi ci eravamo posti a gennaio del 2021. Hai fatto una bici performante che vince, con bella creatività. Hai una squadra cui ti lega un rapporto simbiotico. E hai l’atleta per antonomasia e non stiamo parlando del ciclista, ma di un atleta di valore assoluto, che vince non solo dal punto di vista sportivo. Cosa ci manca?

La bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarla
La bici è arrivata al Tour venerdì, ma Pogacar non ha voluto usarla
Dietro tanto lavoro di marketing c’è anche tanto lavoro di progettazione. Non sono sfuggiti i 1.300 grammi limati sulla bici da crono, ad esempio…

Esatto. E non solo quella da crono, ma anche la V4RS è una bici che ha fatto un salto quantico rispetto alla V3RS. Bisogna dire che la squadra e Tadej sono personaggi molto esigenti, gente che giustamente pretende il massimo. E tu devi stargli dietro, sapendo che ormai si lavora al livello della Formula Uno. Si ragiona sui decimi di secondo, sui grammi o le percentuali di rigidità e aerodinamicità. Dietro quella bici gialla c’è davvero tanto…

In che misura siete dovuti intervenire sulla struttura aziendale per stare dietro a queste richieste?

Abbiamo fatto un più 40 per cento sul personale in Italia, che è il cuore della produzione. Poi abbiamo aperto anche una piccola divisione di ricerca e sviluppo ad Abu Dhabi. Ma soprattutto poi, a parte le teste coinvolte, direi che il salto di qualità si deve al processo di responsabilizzazione. Noi oggi abbiamo dei manager che si sentono responsabili e che hanno sviluppato un grande senso di appartenenza e di partecipazione. Quindi non è solo il numero di persone, ma come le responsabilizzi. Se vuoi fare le cose per bene, essere sul pezzo commercialmente, cavalcare sempre tutte le onde e andare a vincere un Tour de France, devi avere il giusto numero di persone, ma soprattutto dei manager capaci di far funzionare la macchina. Gente come Mauro Mondonico, Davide Fumagalli e Manolo Bertocchi hanno… licenza di uccidere. Facciamo prima le cosiddette riunioni di management, però poi loro hanno la libertà di gestire. Hanno la delega a operare, quindi quello che conta è il livello di responsabilizzazione.

Anche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia gialla
Anche le ruote ENVE sono state customizzate con dedica al campione della maglia gialla
Si potrebbe dire facilmente che Colnago ha la stessa proprietà di UAE Team Emirates, quindi è tutto più facile. In realtà, in quale misura dovete lavorare per essere all’altezza?

Si continua a lavorare, ovviamente, anzi certi risultati sono di stimolo. Siamo fratelli, siamo parte della stessa proprietà, però lavoriamo come se non lo fossimo. Va bene essere simbiotici, però dobbiamo meritarci questo tipo di partnership e anche loro in qualche maniera devono essere alla giusta altezza. C’è un rapporto biunivoco, per cui siamo già al lavoro su nuovi progetti. Speriamo che quel dream team sia destinato a vincere per il prossimo filotto di 2-3 anni, per cui la bici deve essere all’altezza. Non a caso lunedì mattina Tadej non ha fatto niente con nessuno, al di fuori di un’intervista in cui diceva di no alle Olimpiadi e parlare di nuovi progetti con Colnago.

Da cosa si capisce che la bici è diventata l’oggetto del desiderio nel mondo corse?

Prima che partisse il Tour, a Palazzo Vecchio di Firenze abbiamo fatto la conferenza stampa per presentare la bici ufficiale del Tour: la C68 Fleur de Lys. Le vendite sono state aperte alle 16. Io stavo parlando con Manolo, quando una nostra assistente mi ha fatto l’occhiolino. Significava che dopo mezz’ora era già tutto sold-out. In 30 minuti abbiamo venduto 110 bici a 23 mila euro ciascuna: per me questo è desiderabilità. Funziona essere un’azienda con una strategia ben definita e il team certifica la validità del nostro operato. Poi, in termini di business, non so valutare quanto valgano l’ingrediente squadra e Tadej. Hanno un’importanza soprattutto in alcuni mercati, mentre ce ne sono altri completamente scollegati dal mondo delle corse. Ma adesso vi racconto un altro episodio…

Sulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di Pogacar
Sulla Prologo Nago R4 sono riportate tutte le vittorie più grandi di Pogacar
Prego.

Alla cena di gala a Firenze per l’inizio del Tour c’erano più o meno 100 invitati, modello matrimonio, nella corte di Santa Maria Novella. C’erano tutti i brand più altisonanti del Tour. Sto parlando di LCL e di Skoda, sto parlando di Tissot. Sto parlando di tutti i brand top, ma c’erano solo due marchi ben visibili. Uno era il Tour de France, perché è un brand ed ha una forza pazzesca. Il secondo era Colnago, con la bici esposta nel palco centrale. Ebbene, è stato possibile perché il nostro ufficio marketing e le persone che lo rappresentano sanno trasformare i progetti in realtà.

Che rapporto c’è fra Tadej Pogacar e Colnago?

Quando gli abbiamo proposto di portare la bici gialla sul podio, Tadej sicuramente ha gradito l’assist e gli è piaciuta l’idea di dare un riconoscimento anche a noi. Ma è successo perché qualcuno l’ha fatto succedere. Oggi è in Slovenia con il Presidente della Repubblica, fanno la festa di piazza e qualcuno di Colnago è con lui. Si è creato un rapporto per cui devo dire bravi ai miei uomini dello sport marketing che hanno costruito una relazione assolutamente pazzesca. Il Covid ci ha portato ad allontanarci dai nostri interlocutori, confinandoci nelle call e nelle telefonate. Invece Colnago dimostra ancora che alla fine il luogo fondamentale dove succedono le cose è la strada. Noi dobbiamo esserci. L’ufficio del team marketing qui a Cambiago è sempre vuoto e questo per me è un orgoglio, perché significa essere sempre sul campo. Ieri uno era in viaggio per la Slovenia, un altro era con la squadra per mettere a posto le cose dopo il Tour, un altro ancora era da un fornitore nelle Marche.

La bici gialla è stata fotografata anche più di tanti corridori importanti…

In realtà non era una sola, si vedeva dai bollini. Una era lì davanti, le altre erano sulle due ammiraglie. E’ stato bravo Gabriele Campello a sistemarla fuori dal recinto, evitando che ci parcheggiassero davanti le ammiraglie. Anche questo è possibile perché adesso con i meccanici abbiamo un rapporto bellissimo.

Con la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo Tour
Con la sua Colnago gialla sul palco. Quella bici resterà a Pogacar come ricordo del suo terzo Tour
Si può fare una differenza fra Giro e Tour?

Dal punto di vista internazionale, il Tour ha più risonanza, perché sono stati bravi a costruirlo in un certo modo. Però vincere il Giro d’Italia con una bicicletta italiana ha generato un’onda mediatica che in Italia spacca e rimbalza fuori in maniera molto importante. Forse da azienda italiana direi che le due corse per noi hanno avuto lo stesso impatto. Il buon vecchio Giro per il quale quest’anno mi sento di fare complimenti. E’ stato un film meraviglioso. Quest’anno abbiamo visto un Giro veramente in ripresa, è stato incoraggiante, speriamo che continui così. Anche il supporto ricevuto dal Governo è qualcosa che non si era mai visto. Vuol dire che forse i nostri politici, come è sempre avvenuto in Francia, hanno capito che il Giro d’Italia e il ciclismo sono il modo migliore per promuovere il Paese.

La bici gialla resta davvero a Pogacar?

Direi proprio di sì. Se l’è davvero meritata.

Barba lunga, gambe fine e tanto margine: conosciamo Dostiyev

24.07.2024
5 min
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Barba lunga e gambe fini. Ora le gambe fini non sono poi una grossa novità nel ciclismo, ma la barba lunga lo è un po’ di più. «Almeno accorciatela», gli dice Dimitri Sedun. «No, mi dà la forza», replica lui rigorosamente in russo. Lui è Ilkhan Dostiyev, giunto secondo al Giro della Valle d’Aosta.

Dostiyev viene da Shymkent, in Kazakhstan, è un classe 2002 e potremmo definirlo uno scalatore. Di certo, è un corridore di fondo e un lottatore coriaceo. Al “Petit Tour” ha lottato come un leone e solo un giorno, anzi una salita di crisi, e un immenso Jarno Widar gli hanno negato la vittoria.

Ilkhan Dostiyev a Cervinia subito dopo l’arrivo, aveva appena saputo del secondo posto
Ilkhan Dostiyev a Cervinia subito dopo l’arrivo, aveva appena saputo del secondo posto

Ikhan Dostiyev si è affacciato soprattutto questa stagione al grande ciclismo, anche se è al quarto anno nella categoria. Aveva iniziato bene con un secondo posto al Tour du Rwanda e una tappa al Gp delle Nazioni, ma è chiaro che il Valle d’Aosta è stato un altro palcoscenico. Primo nella frazione inaugurale e maglia gialla per due tappe.

Dimitri Sedun che è uno dei tecnici storici dell’Astana-Qazaqstan, da quella dei tempi d’oro di Vinokourov come atleta, ma anche di Contador e Nibali, ed è lui che ha seguito Ilkhan in questa stagione.

Dimitri Sedun, storico direttore sportivo dell’Astana-Qazaqstan oggi dirige anche la continental
Dimitri Sedun, storico direttore sportivo dell’Astana-Qazaqstan oggi dirige anche la continental
Dimitri, dunque, parlaci un po’ di Ikhan Dostiyev…

L’anno scorso non ha fatto corse di prima linea. Ma dallo scorso inverno ha cambiato marcia. Ha iniziato a lavorare bene con la squadra continental e si sono visti subito i risultati ad inizio anno con belle prestazioni al Tour du Rwanda. Poi ha avuto alti e bassi. Lui ha bisogno di stare bene per rendere davvero come si deve. Va detto che ha anche avuto un periodo un po’ complicato in primavera.

Perché?

Perché ha dovuto correre con la squadra nazionale, dove tra l’altro ha anche vinto. Ma in quel periodo avrebbe dovuto preparare bene il Giro Next Gen, che invece è andato un po’ male. Volevamo fare bene. Sono stato io ad insistere di farglielo fare ugualmente, anche se non era al top.

Come mai?

Primo perché gli sarebbe servito per il resto della stagione, secondo perché deve capire che si può e si deve correre anche se non si è in forma, quindi era anche una scelta mirata a rinforzare il carattere. E’ riuscito a portarlo a termine e da lì siamo ripartiti con i programmi normali: quindi riposo, lavoro, gare… che poi si è trattato di fargli fare l’Appennino tra Giro Next e Valle d’Aosta. Questa era una corsa adatta lui, che è uno scalatore, anche se non si è sempre gestito bene.

Al Valle d’Aosta Dostiyev è stato tre giorni in maglia gialla (foto Giro VdA)
Al Valle d’Aosta Dostiyev è stato tre giorni in maglia gialla (foto Giro VdA)
E infatti ti avremmo chiesto proprio di questo. Chi lo ha visto ci ha detto che nel corso della terza tappa sull’ultima salita, il San Carlo, procedeva a zig-zag. Crisi di gambe? Di Testa?

Il discorso è un po’ più ampio. Lui deve imparare a gestirsi soprattutto dal punto di vista alimentare. Quel giorno sul San Carlo è stata una vera e propria crisi di fame. E’ saltato. Ha finito completamente gli zuccheri. Di testa era okay. Aveva cambiato colore in faccia. Alla sera dopo aver visto dove aveva sbagliato, gli abbiamo spiegato bene cosa era successo e cosa doveva fare. «Da domani non facciamo più questi errori, Ilkhan, mi raccomando». E infatti dal giorno dopo è stato molto più attento ed è stato l’unico a restare con Widar.

Non era neanche scontato riprendersi tanto bene da una crisi così forte…

Sì, sì, ma perché è forte e perché stava bene. La sera prima dell’ultima tappa siamo andati al letto con l’idea di vincere la tappa, prima ancora di dare assalto al podio (Crescioli gli era a soli 26”, ndr). E’ andata un po’ storta, perché io non avevo previsto che Torres facesse quel numero, che restasse davanti. Per il resto è andato tutto secondo programma. Ma avrebbe avuto le gambe per vincere… come si è visto.

Sappiamo che l’Astana Qazaqstan è un riferimento per i giovani ciclisti del Kazakhstan, ma come lo avete trovato?

E’ stato tutto abbastanza naturale. Nella gare giovanili in Kazakhstan ha fatto vedere che aveva le gambe e quindi lo abbiamo preso… Il suo nome ci era arrivato alle orecchie. Lui ha iniziato ad andare in bici da quando aveva 10 anni.

Il kazako è stato colui che ha tenuto più di altri le ruote di Widar (foto Giro VdA)
Il kazako è stato colui che ha tenuto più di altri le ruote di Widar (foto Giro VdA)
In che zona è del Kazakhstan?

Del Sud, come il Texas per gli Stati Uniti! Fa la spola tra Nizza, dove abbiamo la nostra sede e appunto casa sua, Shymkent.

E come si allena laggiù? Cosa mangia?

Dalle sue parti ci sono delle salite, oppure si allena nella zona di Almaty. C’è un piatto tipico che però è più dell’Uzbekistan, il plov, fatto con riso e pezzi di carne, per il resto cerca di adattarsi al meglio. E’ molto serio. E ha tanto margine di crescita, anche per questo vedremo se farlo passare nella WorldTour o meno. Il passaggio al professionismo non è solo questione di età.

Prima hai accennato al fatto che è uno scalatore. Che corridore è?

E’ uno scalatore puro… per il momento. Ma questo non è sufficiente. Faccio un esempio: prima dell’ultima tappa ho detto a lui e anche agli altri ragazzi di stare davanti, specie con la partenza bagnata in discesa. «Il gruppo si spezzerà e stando davanti risparmieremo tante energie». Lui lo ha fatto e non era facile. Ilkhan ci è riuscito, questo vuol dire che sa guidare la bici e che sa limare, quindi potrà essere più che uno scalatore puro.

Gli azzurri a tavola, le Olimpiadi in cucina di chef Mirko Sut

24.07.2024
4 min
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Ormai le partenze per Parigi sono già iniziate: se quelle degli atleti si susseguono in base al calendario, i vari entourage sono già all’opera spesso in loco. E’ chiaro che questa edizione dei Giochi Olimpici (la prima con lo stesso fuso orario italiano, cosa che non avveniva addirittura dal 1992 a Barcellona) ha dal punto di vista logistico indubbi vantaggi, basti pensare a quel che riguarda l’alimentazione dei corridori.

La spedizione dei cronoman azzurri è già a Parigi: anche la cucina è aperta (foto FCI)
La spedizione dei cronoman azzurri è già a Parigi: anche la cucina è aperta (foto FCI)

In cucina tutto da solo

Mirko Sut, chef della Lidl-Trek è ancora una volta al seguito della nazionale, a lui il compito di fornire tutto il necessario alle nazionali della mountain bike e della pista, mentre strada e crono avranno un altro chef. Parliamo al singolare non a caso: «Siamo da soli per curare l’alimentazione della squadra, un po’ come avviene alle corse e questo si può fare avendo contatti molto stretti con la struttura logistica che ci ospita e i suoi rappresentanti. Io ho iniziato a sentirli già da molte settimane, ho fatto presente le nostre esigenze e soprattutto ho già ricevuto tutte le indicazioni necessarie per avere la materia prima, che dovrà essere fresca e di prima qualità».

Questo è uno dei vantaggi di gareggiare a Parigi, a due passi dal nostro Paese, quindi dovendosi portare da casa molto meno di quello che avveniva nelle ben più lunghe trasferte delle passate edizioni: «A Tokyo era tutto molto più complicato (foto di apertura, ndr), chiaramente abbiamo dovuto spedire tantissimo materiale, dalle forme di parmigiano alla pasta tanto per fare due esempi. In Francia è tutto molto più semplice anche perché non trovi solo i prodotti delle grandi catene di distribuzione, ma anche quei brand con cui siamo più avvezzi a lavorare, magari più piccoli ma di qualità ottima e comprovata».

Il parmigiano non manca mai nelle spedizioni azzurre. A Parigi sarà facile trovarlo…
Il parmigiano non manca mai nelle spedizioni azzurre. A Parigi sarà facile trovarlo…

Cercando sempre qualcosa di gradevole

Sapere che una persona sola si occupa in cucina dell’alimentazione di tante persone per certi versi stupisce, considerando anche che vengono da realtà ciclistiche diverse e che hanno magari proprie esigenze specifiche volute dai nutrizionisti che li seguono. Eppure per Sut sembra tutto molto semplice: «Molti di questi corridori li conosco da anni, basti pensare a Ganna con cui ho condiviso il primo mondiale 10 anni fa, quand’era ancora junior. Poi due quarti della squadra d’inseguimento sono con me alla Lidl-Trek, so di molti non solo le esigenze, ma anche i gusti e se si può dare qualcosa di gradevole che serva anche al morale seppur inserito nella dieta, è un aiuto in più. I ragazzi al buffet trovano comunque le giuste proporzioni di carboidrati, proteine e verdure, sempre».

Attenzione a questo avverbio finale, perché stiamo parlando della pista, quindi significa che i tempi sono sfalsati per chi gareggia: «E’ vero, è forse la disciplina più difficile da seguire dal nostro punto di vista, si lavora a ciclo continuo perché c’è chi ha la gara al mattino, chi al pomeriggio. Oltretutto lavorare sempre con prodotti freschi richiede tempo, ma fa parte del gioco».

Insieme a Filippo Ganna, suo amico e con cui condivide trasferte azzurre sin dal 2014
Insieme a Filippo Ganna, suo amico e con cui condivide trasferte azzurre sin dal 2014

Lavoro a ciclo continuo

Per questo è fondamentale per Sut essere pienamente coordinato con i tecnici: «In base agli impegni e alle fasce orarie si stabiliscono i pasti sin dalla colazione. Oltretutto essi cambiano anche in base alla specialità e non sono solo legati alle gare, ma anche agli allenamenti. Bisogna prestare molta attenzione e calendarizzare ogni giornata fin nei minimi dettagli».

Per affrontare tutto ciò serve una grande passione e Sut, che ha anche seguito la sua squadra al Tour de France tornando un po’ prima per riuscire a staccare la spina almeno per qualche giorno, ammette che a spingerlo c’è innanzitutto l’amore per la maglia azzurra: «I corridori a lungo andare diventano amici, ti senti con loro e quando vincono è come se avessi vinto tu. Per questo l’avvicinamento ai Giochi è vissuto con un’adrenalina pazzesca. E’ un gruppo molto unito, come una grande famiglia e siamo tutti, ognuno nel suo, loro in gara e io in cucina, tesi verso l’obiettivo».

Sut alle prese con la cucina giapponese. A Tokyo 2020 le difficoltà furono molto maggiori
Sut alle prese con la cucina giapponese. A Tokyo 2020 le difficoltà furono molto maggiori

Una valigia carica di… speranze

Per questo anche da parte sua può arrivare una testimonianza valida di come sia l’atmosfera nella squadra: «Sono tutti carichi a molla, con un’incondizionata fiducia verso il cittì e verso i propri compagni. Rispetto a tre anni fa c’è una responsabilità diversa, quello che è stato fatto a Tokyo non verrà mai cancellato ma è chiaro che tutti guardano ora ai nostri. Ma è altrettanto chiaro che si va a Parigi per far bene. Tutti, me compreso…».

VENI, VIDI, BINI! Il grandissimo Girmay del Tour

24.07.2024
7 min
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Il tempo di finire il Tour e portare a casa la maglia verde e per Biniam Girmay è arrivato il prolungamento di contratto con la Intermarché-Wanty fino al 2028. Il ferro va battuto finché è caldo e mai come ora l’occasione era propizia per chiudere un accordo favorevole.

«Questa squadra – queste le parole di Girmay sul profilo X del team – è come una famiglia per me. E’ l’ambiente perfetto per raggiungere i miei obiettivi. Mi hanno supportato nella buona e nella cattiva sorte e hanno sempre avuto fiducia in me, anche nei momenti più difficili. Prolungare di due anni la mia avventura è stata una scelta logica. Sono convinto che insieme potremo realizzare cose fantastiche. Attendo con ansia i prossimi obiettivi, a cominciare dai Giochi Olimpici».

L’uomo dei record

Mentre infatti Pogacar ha comunciato la sua rinuncia, Girmay sarà a Parigi e probabilmente avrà buone chance di dire la sua. Le tre tappe appena vinte al Tour e la Gand-Wevelgem del 2022 dicono che il corridore eritreo, che fra i suoi primati ha anche quello di aver dato la prima tappa al Tour alla Intermarché, ha tutto quello che serve per restare a galla in una corsa che si annuncia priva di controllo e schemi.

I suoi record si succedono. Il primo africano a vincere una classica del Nord. Il primo a vincere una tappa al Giro. Il primo a vincere una tappa al Tour. E il primo a vincerne la classifica a punti. Nella considerazione di chi opera nel mondo del ciclismo, i suoi risultati apriranno porte molto importanti. Con perfetto tempismo, essendo nella stagione che precede il mondiale del Rwanda.

Pertanto nei giorni del Tour, approfittando del suo passaggio quotidiano nella zona mista e di qualche incontro occasionale al via delle tappe, abbiamo raccolto le risposte alle tante domande. E ora che abbiamo avuto il tempo di riordinare appunti e registrazioni, in questa settimana che conduce alle Olimpiadi, ecco quello che ha detto Girmay sui vari temi che gli sono stati proposti.

La squadra è una famiglia, qui ha tutto quello che gli serve per vincere: parola di Girmay
La squadra è una famiglia, qui ha tutto quello che gli serve per vincere: parola di Girmay

Sugli inizi

«Ho iniziato a pedalare – ha detto nel riposo di Gruissan – perché guardavo il Tour de France in TV. Sono cresciuto con quelle immagini, gli sprint e i campioni. Poi nel tempo i miei sogni sono cambiati. Quando sei bambino pensi che sia impossibile diventare un professionista. E’ solo un sogno. Poi, quando lo diventi, dici a te stesso che è impossibile vincere una tappa. E diventa anche un sogno. Ed è così bello riuscire finalmente a realizzare i propri sogni».

Sulla caduta di Nimes

«Quando cadi va sempre così. Il giorno stesso ti senti bene – ha detto dopo l’arrivo – ma il giorno dopo ti fa molto male quando ti svegli. Vedremo, spero di sentirmi bene domani. Mentalmente sto sicuramente bene, non sarà un problema. Quando mi sono rialzato, ho visto che potevo pedalare ancora ed ero felice. Non mi preoccupo se perdo o meno la maglia verde, soprattutto voglio arrivare a Nizza senza preoccupazioni».

Caduto nella tappa di Nimes: quella sera nella mente di Girmay per un attimo è passata l’idea del ritiro
Caduto nella tappa di Nimes: quella sera nella mente di Girmay per un attimo è passata l’idea del ritiro

Sulla popolarità

«Ancora non è cambiato molto – ha detto dopo la tappa di Pau – forse perché sono ancora in gara. La mia vita, per ora, consiste semplicemente nell’alzarmi, correre, mangiare e dormire. Però so che sui social il mio nome è ovunque. Sono finito sulle prime pagine. Penso che vedrò la differenza quando tornerò a casa. E’ bello vedere il mio nome per le strade, la gente con i cartelli che mi chiama, che mi fa grandi gesti. L’anno scorso nessuno mi conosceva. In squadra le cose non sono cambiate, mi pare che giri tutto allo stesso modo. Però sono aumentate le responsabilità, anche se per me si tratta sempre di fare fatica divertendosi».

Sul suo ruolo in squadra

«In realtà sono partito per tirare le volate a Gerben Thijssen – ha detto dopo la prima vittoria a Torino – ma il finale era confuso e via radio mi hanno detto di fare la mia volata e di provare a vincere la tappa. Era la prima volata del Tour, c’erano tanti velocisti ancora freschi e alla fine ho vinto io. E’ stata una sensazione incredibile. Quello che mi piace delle tappe in volata è vedere come cambia la mia concentrazione negli ultimi 10 chilometri. Smetto di pensare al resto, guardo soltanto davanti a me: penso solo a quello che devo fare».

Santini ha fatto per lui il body leggero come per Vingegaard e Pogacar: anche Girmay soffre il caldo
Santini ha fatto per lui il body leggero come per Vingegaard e Pogacar: anche Girmay soffre il caldo

Sul Tour de France

«L’anno scorso – ha detto a Nizza – non sapevo nulla di questa corsa e dopo le prime due tappe nei Paesi Baschi avevo già speso una montagna di energie. Ora ho più esperienza, lo scorso anno ho gettato le basi e ora ho imparato qualcosa ogni giorno. Ho imparato che devo lavorare duro e avere fiducia in te stesso. Però è sbagliato mettersi troppa pressione addosso. L’anno scorso guardavo molto cosa facessero gli altri, quest’anno ho ragionato solo su me stesso».

Sulla lontananza da casa

«Non è così difficile stare lontano – ha detto nel secondo giorno di riposo a Gruissan – perché cerco di far coincidere i programmi della squadra con quelli della famiglia. Bisogna trovare equilibrio. La squadra rispetta questa mia esigenza e mi permette di trascorrere del tempo con la mia famiglia. Anche i ritiri qua in Europa non sono così lunghi, parliamo di due o tre settimane prima di una gara importante. Ho fiducia nel piano e l’ho condiviso con mia moglie».

Pogacar ha due anni più di lui: anche Girmay (1,84 per 70 chili), classe 2000, è uno dei giovani portentosi
Pogacar ha due anni più di lui: anche Girmay (1,84 per 70 chili), classe 2000, è uno dei giovani portentosi

Sulla caduta del Giro

«Volevo fare bene al Giro d’Italia – ha detto dopo la vittoria di Torino – ma sono caduto nella quarta tappa e ho dovuto mollare. I medici e la squadra mi hanno proposto tre settimane per recuperare bene, ma io sapevo quanti sacrifici avessi fatto per arrivare bene al Giro e mi sono imposto di ripartire subito. Sono andato forte e ho anche vinto, non volevo aspettare a casa. E adesso ogni volta che vado in gara, parto per vincere. Lavoro per questo, non mi interessa quali avversari ho davanti, io voglio arrivare primo. Per questo non so neanche dire quale sia il mio limite, perché lavoro al 200 per cento per superarlo».

Sulla maglia verde

«Per fortuna non mi sono ritirato dopo la caduta di Nimes – ha detto domenica dopo la crono – perché per qualche momento ci ho pensato davvero. Avevo vinto tre tappe, quando l’obiettivo era vincerne una. Poi mi sono detto che forse avrei potuto vincere la quarta. E quando non l’ho vinta, mi è scattato in testa di portare la maglia verde fino a qui. I piani sono cambiati col passare delle tappe. E’ stato un viaggio incredibile. Mio padre dice che ad Asmara si è fermato tutto per seguire le tappe. Forse davvero per capire cosa ho fatto dovrò aspettare di tornare laggiù».