In Boemia si riaffaccia Savino. La Soudal se lo coccola…

03.09.2024
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Ci sono piazzamenti che hanno un sapore particolarmente dolce anche in un mondo come il ciclismo dove conta solo chi vince. Per Federico Savino il 3° posto al West Bohemia Tour è uno di questi. Il suo primo risultato importante in una corsa a tappe, ma per certi versi è anche il primo squillo di assoluto rilievo nella sua avventura al devo team della Soudal.

Sarà per questo che il pisano ha perfettamente in testa ogni singolo passaggio della corsa, interpretata con una maturità che non è sfuggita agli occhi attenti dei dirigenti del team WorldTour, in fase di profondo rinnovamento.

Il podio del West Bohemia Tour con Savino terzo dietro i belgi Vaneeckhoutte, vincitore, e Lambrecht
Il podio del West Bohemia Tour con Savino terzo dietro i belgi Vaneeckhoutte, vincitore, e Lambrecht

«E’ stata una corsa caotica per molti versi, probabilmente perché non c’era una squadra talmente forte da riuscire a tenerla, quindi non era facile trovare la giusta soluzione tattica. Sapevamo però che la classifica si faceva soprattutto nella prima tappa, dopo un brevissimo prologo a cronometro dove avevo chiuso ai piedi del podio, quindi ero già ben messo in classifica. Lì sono stato attento a beccare la fuga giusta, ci siamo ritrovati in 5 a collaborare fino alla fine sorbendoci 70 chilometri di fuga, arrivando tutti alla spicciolata. Io ho chiuso ancora 4°, poi lavorando abbiamo scalato una posizione».

Eri il capitano designato prima del via?

Non è una pratica che la nostra squadra adotta, chi punterà alla classifica lo si decide in base all’evoluzione della corsa, nel corso dei giorni. Le prime due giornate mi vedevano davanti e quindi la squadra si è messa al mio servizio.

Savino aveva iniziato benissimo con il 4° posto nel prologo, a 4″ da Schwarzbacher (SVK)
Savino aveva iniziato benissimo con il 4° posto nel prologo, a 4″ da Schwarzbacher (SVK)
E come ti sei trovato nel ruolo?

Molto bene perché ho avuto da tutti i ragazzi un grande aiuto. Si sono davvero messi a disposizione, hanno lavorato duramente per tenermi nel vivo della corsa, ma anche per avere una tattica aggressiva nelle altre due tappe, conquistando la seconda tappa con Lars Vanden Heede con Raccagni Noviero quarto e vincendo anche l’ultima frazione con Senne Hulsmans. Questo andare spesso all’attacco è stato di grande aiuto perché ci ha permesso di controllare la corsa con più facilità per le posizioni di classifica. Io ero sempre vicino agli altri di classifica, il terzo posto è nato da questo.

Che cosa rappresenta per te questo podio?

Per me è una rivalsa dopo un periodo difficile. Al di là della vittoria al Circuit des Ardennes, questo podio mi dà particolare soddisfazione. Soprattutto perché dimostra che la condizione sta arrivando per il finale di stagione, sento le gambe muoversi come si deve e questo mi dà fiducia per le prossime gare. Questo è un anno importante, all’inizio speravo fosse l’ultimo nella categoria, ma è probabile che rimanga un altro anno perché vogliono che faccia ancora esperienza. Dicono che sto continuando a crescere ma vogliono che prosegua così per poi approdare nel team più grande, è l’obiettivo loro e anche il mio.

Per la Soudal una trasferta molto positiva con due vittorie di tappa, qui Hulsmans
Per la Soudal una trasferta molto positiva con due vittorie di tappa, qui Hulsmans
Ma come ti trovi nel team?

Benissimo, il fatto che sia completamente straniero non influisce minimamente anche se richiede chiaramente un cambio mentale. Ma con loro si entra in un’altra dimensione, estremamente professionale, che cura tutto nei minimi particolari. Sono trattato benissimo, non manca proprio nulla.

Questo però comporta un calendario quasi esclusivamente straniero, in Italia non ti si è visto…

E’ un po’ il bello e il brutto della scelta fatta. E’ chiaro che c’è un prezzo da pagare, si sta lontani da casa, ma il calendario che seguo è molto competitivo, sicuramente superiore a quello italiano. E’ molto impegnativo e complesso, richiede spirito di sacrificio ma non posso negare che col passare delle settimane si vede la differenza, la qualità è molto alta e permette di crescere più velocemente. Ora comunque mi aspetta un lungo periodo in Italia con gare tra cui la Rosa d’Oro e San Daniele per finire col Piccolo Lombardia.

La vittoria di Savino nella tappa del Circuit des Ardennes, unico acuto in un anno poi difficile
La vittoria di Savino nella tappa del Circuit des Ardennes, unico acuto in un anno poi difficile
Il fatto di gareggiare sempre all’estero pensi ti penalizzi anche come visibilità, ad esempio per un’eventuale convocazione in azzurro?

Tema delicato. Sicuramente mi si vede meno, so che Amadori gira molto per le gare italiane ed è normale che non possa avere contezza completa di quanto avviene all’estero. Diciamo che è un prezzo da pagare, ma che pago volentieri considerando la crescita professionale. Guardando poi quel che succede nella massima categoria, è un problema che andrà sparendo. Chiarisco che con il cittì non ho recriminazioni, d’altronde nel 2023 risultati non ne avevo fatti e il vero Savino si sta cominciando a vedere solo ora.

Vuelta, si riparte. Roglic fiuta la maglia, ma non si sbilancia…

03.09.2024
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La conferenza stampa di Roglic nel riposo di Oviedo è piuttosto laconica. Lui è spiritoso e dispensa sorrisi, ma di base non c’è tanto da ridere. Se ne sono andate due settimane e O’Connor è sempre là davanti, solido come un brutto sogno. Non che le rimonte dell’ultima ora siano impossibili e tantomeno sconosciute allo sloveno, che al Giro del 2023 conquistò la maglia rosa soltanto nella crono finale del Monte Lussari. In ogni caso, i venti secondi di penalizzazione non sono stati una notizia di poco conto. Come minimo hanno vanificato tutti gli studi fatti sulla bicicletta presa per fare la differenza in salita.

«O’Connor è in gran forma – dice Roglic – è un grande corridore che ha già ottenuto ottimi risultati. Non è una sorpresa vederlo a questo livello».

Il riferimento probabilmente è al Tour de France del 2021, quando l’australiano arrivò quarto a 10’02” da Pogacar e a 2’59” minuti dal terzo posto di Carapaz. Richard ora lo segue, a sua volta quarto, a 2’44” dalla testa della corsa.

Questo è il rientro incriminato: scia prolungata dopo il cambio della bici
Questo è il rientro incriminato: scia prolungata dopo il cambio della bici

La schiena va bene

Domenica sul traguardo del Cuitu Negru, il cronometro gli aveva regalato un margine di 38 secondi sulla maglia rossa, che gli avrebbe permesso di affrontare la tappa di oggi ai Lagos de Covadonga con meno di un minuto. Invece i 20 secondi di penalizzazione rendono tutto più complicato.

«Non me ne va mai bene una – ha ironizzato il tre volte vincitore della Vuelta – ma naturalmente non è divertente, perché sono venti secondi in più che devo recuperare. Che io sia d’accordo o meno, non importa. Naturalmente non sono contento di perdere venti secondi in quel modo, ma posso farci poco. Se non altro sento di stare bene. Cerco di non pensare troppo al mal di schiena e di non fare movimenti troppo strani, che possano complicare le cose».

Roglic completa la scalata di Cuitu Negru assieme a Enric Mas
Roglic completa la scalata di Cuitu Negru assieme a Enric Mas

Un lento risalire

Difficile prevedere come proseguirà la corsa. Sta di fatto che al momento O’Connor può contare su un grande morale e una squadra sufficientemente attrezzata. L’australiano della Decathlon-Ag2R ha conquistato la maglia rossa con la fuga e la vittoria a La Yunquera. Da quel giorno si è ritrovato in testa con 4’51” di vantaggio, che Roglic ha iniziato lentamente a intaccare con piccoli morsi. Il primo affondo deciso di Primoz è venuto sul Puerto de Ancares alla tredicesima tappa di venerdì (foto di apertura). Quel giorno, arrivando a 10’54” dal vincitore Michael Woods, Roglic ha rifilato 1’54” a O’Connor, arrivato a 12’49”. Domenica salendo verso il Cuitu Negru il passivo del leader sarebbe stato di 38 secondi, prima che si abbattesse la mannaia della giuria.

«Non so come andrà a finire – ironizza Roglic – è complicato sapere per quanto tempo potremo riprendere, perché non conosciamo lo stato fisico dei nostri avversari. Manca un minuto, darò il massimo».

Sul Cuitu Negru, Florian Lipowitz ha conquistato la maglia dei giovani
Sul Cuitu Negru, Florian Lipowitz ha conquistato la maglia dei giovani

Fattore Lipowitz

Oltre a Vlasov che ha dimostrato di stare bene, accanto a Roglic si sta muovendo in modo davvero interessante il tedesco Lipowitz, che ha 23 anni ed è a sua volta in classifica. Sesto a 4’33” da O’Connor, a 3’30” dal suo capitano.

«Florian sta volando – spiega Roglic – è la prima volta che corro con lui, ma quest’anno aveva già dimostrato di essere fortissimo con grandi prestazioni. Lo dimostra anche qui alla Vuelta. E’ la maglia bianca e sono fortunato averlo con me».

Da domani inizieranno i fuochi d’artificio, con sei tappe che decreteranno il vincitore della corsa. Delle sei, quattro sembrano davvero importanti per gli uomini della classifica generale. L’arrivo ai Lagos de Covadonga. Moncalvillo. Picón Blanco e la cronometro di 24,6 chilometri a Madrid. Quel che resta, cioè le tappe di domani e dopodomani (Santander e Maeztu), sarà per cacciatori di tappe e velocisti

Oviedo saluta la Vuelta, la Spagna scopre Castrillo

02.09.2024
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Il secondo riposo della Vuelta si va concludendo a Oviedo: città del sidro e di Samuel Sanchez, campione olimpico di Pechino. In alto si riconosce il profilo del Naranco, arrivo di una classica in disuso dal 2010 che richiamava i migliori corridori del mondo. Negli hotel della Vuelta si ragiona molto sul tempo riguadagnato e poi perso da Roglic a causa delle penalità. Eppure, anche se O’Connor dice che venderà cara la pelle, la sensazione che lo sloveno si riprenderà presto ciò che è suo si fa largo nel gruppo.

La Spagna dibatte sulle gambe magrissime di Enric Mas terzo in classifica e sul doppio exploit di Pablo Castrillo, vincitore prima a Manzaneda e poi ieri sul Cuitu Negru, che nel pomeriggio ha parlato con i giornalisti molto curiosi. Quel che appare certo, riferendosi a un futuro ravvicinato, è che il corridore dell’Equipo Kern Pharma ci riproverà. Non potrebbe essere altrimenti, dato che alla Vuelta dall’ammiraglia lo guida Mikel Nieve: uno che sulle salite lasciava spesso il segno. Parlando più a lungo termine, appare ormai scontato che l’anno prossimo Castrillo indosserà una maglia diversa. Al grande interesse della Ineos Grenadiers, di cui il quotidiano Marca aveva iniziato a parlare già durante il Giro d’Italia, si sarebbe affiancato quello di altre tre squadre WorldTour. Il corridore ha fatto sapere che prenderà la decisione finale dopo la Vuelta.

«Devo ringraziare proprio Mikel Nieve – racconta – per come mi ha guidato fino ai pedi della salita. Ho deciso di provare da sotto perché Sivakov aveva tirato tanto. Quando Vlasov mi ha ripreso, sono diventato nervoso. Mi ha spaventato parecchio perché sapevo che è un avversario difficile, non sapevo però quanto fosse forte. Allora ho deciso di riprovare per vedere cosa sarebbe successo. E alla fine c’è scappata la vittoria. E’ stata una giornata incredibile».

La prima vittoria poteva essere un exploit, la seconda invece?

Ho sentito molti aggettivi. Ero già soddisfatto della vittoria di Manzaneda, per cui tutto quello che fosse venuto dopo sarebbe stato un regalo. Ma la vittoria di ieri per me è stata molto più di un regalo. Vincere contro gli uomini di classifica e su una salita così grande è stato davvero pazzesco. Qualcuno ha detto che gli ho ricordato Valverde, io non so chi diventerò. So che ho avuto molta calma e molto sangue freddo. Mi sono scoperto più tranquillo, soprattutto dopo la vittoria dell’altro giorno. Sono riuscito a conquistare la vittoria senza agitarmi come invece era successo a Manzaneda.

Come mai vieni fuori solo quest’anno, mentre nel 2023 hai faticato così tanto?

Ho pagato il passaggio di categoria, ma ho imparato dagli errori del passato e adesso sono capace di vincere. Mi sono appassionato al ciclismo grazie a mia madre e mio fratello Jaime, che è anche molto forte (corre in una continental portoghese, la Sabgal-Anicolor, ndr). Ha un motore incredibile, è un talento. Andavo a vederlo alle corse e, anche se da piccolo ho fatto altri sport come l’hockey che a Jaca è molto popolare, vederlo in bici mi ha fatto appassionare al ciclismo.

Vincendo a Manzaneda ti sei commosso dedicando la vittoria ad Azcona, in pratica il fondatore della tua squadra, scomparso proprio quel mattino.

E’ stato tutto pazzesco, lo dico dal profondo del cuore. Soprattutto per l’emozione con cui le persone stanno vivendo questi miei risultati. Chi mi ferma o mi scrive dice che prova una gioia immensa, come se la vittoria fosse stata loro. E questo è molto speciale per me. Ricevere tanto amore fa piacere, dà emozione. Mia madre mi ha detto di aver pianto davanti alla televisione per la prima vittoria e di averlo rifatto ieri. Non so se riuscirò a vincere nuovamente, tanti mi dicono di riprovare ai Lagos de Covadonga (la tappa di domani, ndr). Non so se verrà una tripletta, sono molto soddisfatto così.

Se non altro potrai correre con la mente libera…

Esatto, ora non ho niente da perdere. Cercherò di individuare altre fughe per vedere di vincere ancora. Ma adesso non ci penso. Il riposo serve per tirare il fiato e godere di quello che si è raggiunto. E io sono molto stanco e ho due vittorie da celebrare.

Garbi, tanti podi da trasformare in vittoria. Ed ora c’è il Lunigiana

02.09.2024
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Ad agosto gli hanno dato i gradi da capitano e lui si è fatto trovare pronto senza sfilarsi dalle responsabilità. Pierluigi Garbi della Autozai-Contri ha vissuto un mese da protagonista in cui gli è mancata solo la vittoria, benché l’annata gli fornirà diverse occasioni per farlo.

Anche settembre lo ha iniziato con lo stesso trend positivo, trovando un bel terzo posto in una gara poco incline alle sue caratteristiche come la Sandrigo-Monte Corno che conferma i podi ottenuti nelle settimane e mesi precedenti. Se ieri nella corsa vicentina Garbi (in apertura col diesse Fausto Boreggio) ha fatto da punto d’appoggio per il successo del compagno Remelli, nella “2 Giorni Internazionale Juniores di Vertova” ha impressionato per regolarità dietro ai grandi nomi stranieri raccogliendo un settimo ed un secondo posto (il quarto stagionale). E non è così scontato quando hai come compagni di squadra due talenti assoluti come Alessio Magagnotti ed Erazem Valjavec. Siamo così andati a conoscere meglio il parmense Garbi (che diventerà maggiorenne il 19 settembre e che nel 2025 passerà U23 nella Beltrami-TSA-Tre Colli) alla vigilia del Giro di Lunigiana che correrà con la rappresentativa dell’Emilia-Romagna.

Garbi è un passista con un buon spunto veloce negli sprint ristretti. Sta lavorando per tenere sulle medie salite
Garbi è un passista con un buon spunto veloce negli sprint ristretti. Sta lavorando per tenere sulle medie salite
Pierluigi ci racconti questo tuo ultimo periodo?

Parto da ieri, dove non avevo molte aspettative. Sto preparando il Lunigiana e non volevo forzare più di tanto, però intorno a metà gara sono andato in fuga con altri ragazzi. Dopo un tratto in cui non avevamo un grande accordo, ho rotto gli indugi e ho affrontato la salita finale praticamente da solo. Dall’ammiraglia mi motivavano a continuare perché il vantaggio era buono, ma a 8 chilometri dalla fine (su una salita che ne misura 18, ndr) mi ha informato che stava arrivando il mio compagno Remelli con un rivale (Enrico Simoni, figlio di Gilberto, ndr). Così l’ho aiutato finché potevo, poi io ho vinto la volatina degli altri scalatori che mi avevano ripreso.

Ci sembra di capire che tu abbia altre caratteristiche.

Esatto, avrete capito che non sono proprio uno scalatore (sorride, ndr). Sono decisamente un passista con un buon spunto veloce negli sprint ristretti e tengo su strappi o salite brevi. Sto però lavorando per tenere meglio su quelle più lunghe. Anche in previsione del passaggio nella categoria successiva, sto facendo un percorso mirato per perdere qualche chilo senza andare ad intaccare le mie peculiarità. Diciamo che negli ultimi anni ho avuto uno scatto di crescita fisica rispetto al passato e questo mi ha permesso di potermi esprimere al meglio.

Restando sempre su di te, quali sono i tuoi inizi ciclistici?

Ho iniziato a correre da giovanissimo nell’Eiffel Fontanellato, la squadra del mio comune, anche se io abito in una frazione. Da esordiente e allievo ho corso col Torrile ed infine gli ultimi due anni li ho fatti qua all’Autozai-Contri, dove trovo benissimo. Quando ho cominciato ad andare in bici il mio idolo era Sagan mentre ora è Evenepoel, ma quello che ammiro più di tutti è Victor Campenaerts (dice con un pizzico di stupore, ndr). Lo so, non è il primo nome che fa uno della mia età, ma mi piace tantissimo il suo modo di correre. Sempre all’attacco e quando sta bene non si risparmia mai. Mi ci rivedo in lui per tanti aspetti.

Torniamo all’inizio. Sei stato davanti in tante corse. E’ cambiato qualcosa in particolare?

Direi di no, se non che ho avuto più carta bianca da parte della squadra col fatto che Magagnotti era via con la nazionale e che Valjavec aveva un periodo di tranquillità. Il mio diesse ha voluto investire su Remelli e me come capitani alternati nelle varie gare. E ne abbiamo approfittato, anche se io sto girando attorno alla vittoria (sorride, ndr). Devo dire però che prima di adesso ho sempre lavorato volentieri per i compagni. Ad esempio Magagnotti è un fenomeno ed è un piacere portarlo fino alla fine perché sai che vince e perché sai che vieni ripagato per il lavoro svolto. Vince lui, ma vinciamo un po’ anche noi. Tuttavia ho ancora qualche pecca da sistemare.

Quali?

La prima che mi viene in mente è che ho notato che nelle gare internazionali vado meglio e faccio meno fatica rispetto alle gare regionali. Ci arrivo sempre preparato mentalmente e credo sia proprio una questione di approccio. Nelle internazionali sei stimolato a dare il meglio contro i più forti del mondo. Cerchi di capire a che livello sei. Devo fare altrettanto anche nel resto delle gare perché altrimenti diventa un limite. Ci sto lavorando e sento di migliorare.

In generale come sono andati queste due stagioni tra gli juniores?

Il primo anno non è stato facile, specie in inverno. Ci trovavamo tre volte alla settimana per allenarci, ma arrivavamo alle gare molto preparati atleticamente. Il 2023 mi è servito per capire la categoria, imparando come muovermi. Ho fatto fatica fisicamente, ma mi sono sempre salvato perché vedo abbastanza bene la gara. E ho imparato tanto anche lavorando per la squadra. Quest’anno invece sto raccogliendo ciò che ho seminato grazie al programma del mio allenatore e della squadra.

Questo ultimo periodo cosa ha detto a Pierluigi Garbi?

Tutti questi risultati mi hanno dato tanto morale. E’ arrivata la consapevolezza dei propri mezzi che può fare la differenza. Adesso vado alle gare credendoci un po’ più di prima. Mi piacerebbe centrare una vittoria non solo per me, ma anche per i miei compagni e per la mia squadra, proprio per ricambiare la loro fiducia in me. In ogni caso l’importante era fare bene in queste corse.

Uno degli obiettivi di Garbi è campionato italiano cronosquadre con la Autozai. Qui la vittoria al Giro del Veneto (foto RIccardo Scanferla)
Uno degli obiettivi di Garbi è campionato italiano cronosquadre con la Autozai. Qui la vittoria al Giro del Veneto (foto RIccardo Scanferla)
Quali sono gli obiettivi del finale?

Quello dietro l’angolo è il Giro di Lunigiana (dal 4 al 7 settembre, ndr). Vado per puntare alle tappe più adatte a me, cercando il meglio possibile. Vincere è sempre difficile, ma ci proverò di sicuro. E lo farò anche al Trofeo Buffoni che c’è l’8 settembre ed ha un percorso per le mie caratteristiche. Ho un obiettivo anche con la Autozai che è il campionato italiano cronosquadre ad ottobre. Abbiamo dimostrato finora di essere una delle migliori formazioni in questa specialità e vogliamo vincere quel tricolore.

EDITORIALE / A forza di tirare, la corda (di Ganna) si è spezzata

02.09.2024
4 min
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Ganna si ferma. Non farà gli europei e non si sa ancora nulla per i mondiali. Se non fosse che alla sua imponente statura è legata da anni la bandiera tricolore, verrebbe da consigliargli uno stacco ben più lungo, perché (in assenza di virus o problemi clinici) la sensazione è che Filippo abbia raschiato il fondo del barile proprio per amor patrio e senso di responsabilità.

Si è detto che il periodo dopo le Olimpiadi sia stato complicato, come si è visto dalle prove non brillanti al Deutschland Tour e poi al Renewi Tour, da cui ha scelto presto di ritirarsi. La sensazione però è che Ganna sia arrivato stanco anche in Francia e che per questo non abbia recuperato al 100 per cento dallo sforzo della crono. La prestazione di Parigi è stata certo di eccellenza, ma visto il percorso favorevole, forse non al livello del miglior Pippo. E’ stata sua ammissione successivamente che gran parte del bronzo del quartetto sia derivato dalla super prestazione di Milan che, al contrario, è arrivato alle Olimpiadi con più brillantezza. Il nostro quartetto ha girato più lentamente che a Tokyo mentre gli altri si sono tutti migliorati: qualcosa è mancato.

Ganna è arrivato secondo nella crono di Parigi, a 14 secondi da Evenepoel
Ganna è arrivato secondo nella crono di Parigi, a 14 secondi da Evenepoel

Fra Ineos e nazionale

Ganna è diventato la maniglia di tutti, forse oltre il lecito. Il ritornello secondo cui non sono macchine potrebbe non essere del tutto giusto. Perché in fondo, pur lasciando spazio a sentimenti e giornate storte, in realtà un atleta è una macchina. Si misurano i suoi watt e il suo consumo di carboidrati. Si analizza la composizione del sudore e si stabilisce quando e cosa dovrà bere. E si riesce a stabilire il tempo con cui scalerà una montagna e a creare la tabella per la crono perfetta. Proprio per questo siamo abbastanza sicuri che alla vigilia di Parigi qualcuno sapesse quale fosse il vero stato del campione. E’ ovvio che a quel punto non potesse tirarsi indietro, ma forse si sarebbe dovuta riscrivere la stagione. Che senso ha andare a fare il Deutschland Tour con un atleta palesemente provato?

Probabilmente la Ineos Grenadiers che paga lo stipendio avrà ritenuto il passaggio assolutamente necessario. Secondo alcuni, è stato già tanto che la squadra britannica abbia concesso a Ganna di non correre la Roubaix per preparare la pista olimpica: figurarsi se adesso avrebbe avuto senso che rinunciasse al Giro di Germania e al Renewi Tour.

Prima tappa del Renewi Tour, Ganna è affaticato. Il giorno dopo c’è la crono, ma lui si ferma
Prima tappa del Renewi Tour, Ganna è affaticato. Il giorno dopo c’è la crono, ma lui si ferma

La freschezza smarrita

E così Ganna ha preparato la valigia e a due settimane da Parigi ha rimesso la maglia della sua squadra. Si è capito subito però che qualcosa non andasse. Nel prologo di 2,9 chilometri vinto da Milan, Pippo ha ottenuto il 14° posto a quasi 7 secondi dal compagno di nazionale. Più di 2 secondi a chilometro, la spia piuttosto indicativa della fatica.

Non si può fare tutto e soprattutto pretendere di farlo al meglio. Ganna è un campione di razza, forte come un cavallo e generoso come un amico sincero. Però a forza di chiedergli di essere Top Ganna in ogni situazione possibile per puntare al massimo e colmare l’assenza di altri talenti, si è finito col pretendere troppo e adesso se ne paga il conto.

Sarebbe potuto essere l’uomo della sorpresa agli europei, invece li guarderà in televisione. E siamo abbastanza convinti del fatto che avrà senso tornare per i mondiali solo se Ganna sarà in grado di ritrovare le forze più fresche: non sarebbe giusto andare a sfidare di nuovo Evenepoel per subirne un’altra lezione. Le ultime sconfitte sono state il frutto della differenza di freschezza e del voler fare tutto in un ciclismo che non ammette alternative alla specializzazione. Remco ha 49 giorni di gara nelle gambe, Ganna è arrivato a 63. E se è vero che il belga è stato fermo per la caduta dei Paesi Baschi, è altrettanto vero che il cumulo degli impegni porti via lo smalto. A nostro avviso Ganna è da troppo tempo sulla cresta dell’onda, senza che qualcuno gli abbia detto di prendersi la pausa cui aveva diritto. E della quale, ci siamo appena accorti, aveva anche bisogno.

L’Avenir delle donne? Ce lo racconta Ciabocco

02.09.2024
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Mentre si sviluppava la grande battaglia fra i vari Blackmore, Torres, Widar e gli altri al Tour de l’Avenir, anche le pari età hanno avuto il loro spazio nell’identica prova femminile, racchiusa negli ultimi 4 giorni con un prologo e tre tappe in linea. Una corsa con molti significati anche se un po’ schiacciata dalla concorrenza maschile. La migliore azzurra è stata Eleonora Ciabocco (in apertura nella foto DirectVelo), capace di un settimo posto finale di spessore, che ridefinisce i contorni di una ragazza passata di categoria con tante aspettative dopo i successi da junior e che comincia a farsi vedere anche nei quartieri alti della categoria superiore.

Le azzurre in gara: oltre a Ciabocco anche Cipressi, Valtulini, Pellegrini, Segato e La Bella
Le azzurre in gara: oltre a Ciabocco anche Cipressi, Valtulini, Pellegrini, Segato e La Bella

La leader della nazionale italiana ha sempre viaggiato fra le prime, non uscendo mai dalla Top 10 e questo è già un segnale, considerando anche che il Tour de l’Avenir Femmes è una delle poche corse a livello Under 23.

«E’ una gara dura – esordisce la maceratese – io l’ho affrontata con tanta curiosità soprattutto aspettando l’ultima tappa perché ci tenevo a pedalare sul Colle delle Finestre, ne avevo sentito tanto parlare e volevo vedere di persona com’era».

Per le azzurre un’ottima prova di squadra scaturita anche da un bel clima instauratosi nel team
Per le azzurre un’ottima prova di squadra scaturita anche da un bel clima instauratosi nel team
Raccontaci il tuo Tour…

Il prologo a La Rosière era appena di 2 chilometri, tanto per prendere confidenza ma il 5° posto per me è stato importante, tornavo in gara dopo oltre un mese dalla caduta sul Blockhaus al Giro d’Italia. Avevo voluto concludere ugualmente quella tappa convivendo con il dolore, ma poi avevo dovuto alzare bandiera bianca e mi era dispiaciuto perché ci tenevo a finire il Giro. Poi avevo fatto un bel blocco di allenamento, ma tornare in gara è sempre un’incognita.

E dopo?

Nella prima tappa c’era una lunga discesa e la salita finale dove al di là del 9° posto finale ho apprezzato tantissimo il lavoro di squadra che abbiamo fatto. Fra noi ragazze si è formato subito un bell’amalgama, ci trovavamo bene, poi con me c’era Francesca Pellegrini con la quale abbiamo condiviso tante trasferte e tante sfide anche da juniores. Il piazzamento poteva anche essere migliore, ma ho scelto in salita di seguire il mio ritmo, infatti le prime sono andate via ma salendo ne ho riprese tante.

Le azzurre hanno corso sempre in prima linea: qui Valtulini a seguire il ritmo delle prime
Le azzurre hanno corso sempre in prima linea: qui Valtulini a seguire il ritmo delle prime
Top 10 anche nella seconda tappa…

Sì, era la più semplice e infatti si è conclusa con uno sprint abbastanza folto. Io era da tempo che non facevo una volata, ho perso un po’ la mano ma neanche poi tanto visto il 4° posto finale. Poi l’ultima tappa, quella per me speciale, dove mi sono piaciuta molto perché all’inizio non stavo bene, ho perso presto il treno delle più forti. La corsa è diventata come una cronometro, almeno per me, ho visto che più andavo avanti, più mi sentivo bene e più recuperavo. Ho chiuso ottava ma se fosse stata anche un po’ più lunga sarei arrivata anche più avanti.

Il 7° posto finale come lo giudichi?

E’ sicuramente positivo anche se va contestualizzato: non gareggiamo spesso in questa categoria quindi non sapevamo alla vigilia quali fossero i veri valori in campo. Alla resa dei conti abbiamo visto che le francesi avevano un passo superiore, infatti hanno monopolizzato le tappe. Io ho dato tutto quel che avevo.

Eglantine Rayer, vincitrice della seconda tappa. Le altre in linea sono andate a Bunel
Eglantine Rayer, vincitrice della seconda tappa. Le altre in linea sono andate a Bunel
Che livello ti sei trovata ad affrontare?

E’ un bel test, ma certamente di livello inferiore alle gare che siamo abituate a correre. Il livello soprattutto in salita era più basso, lo si vede dalle velocità sostenute. Per me poi è stato qualcosa di molto diverso: quando corro con la squadra il più delle volte sono chiamata a fare ritmo per imboccare la salita, per portare più avanti possibile la capitana di turno, qui invece ero io che potevo correre liberamente e tirare avanti. E’ stato importante per crescere, un’esperienza nuova. Guardando le avversarie poi, alla fine sono emerse quelle con più esperienza: la Bunel che ha vinto veniva dal Tour Femmes dov’era stata terza fra le giovani, si vedeva che era più avvezza a questo tipo di corse.

Stai diventando una specialista di corse a tappe?

Chissà… Difficile dirlo ora, credo di dover imparare ancora molto. Ho fatto un bel piazzamento qui ma anche nelle corse d’un giorno non vado piano, settima lo ero stata anche alla Freccia del Brabante, per esempio.

Il podio finale con la francese Bunel prima su Holmgren (CAN) a 2’11” e Vadillo (ESP) a 5’16”
Il podio finale con la francese Bunel prima su Holmgren (CAN) a 2’11” e Vadillo (ESP) a 5’16”
Com’è stato seguito l’Avenir delle donne? Sui media se n’è parlato poco, l’impressione è che fosse schiacciato dalla presenza maschile…

Quel che posso dire è che l’organizzazione è stata molto precisa per combinare gli orari. Infatti avevamo la sveglia molto presto perché partivamo prima dei coetanei ma questo consentiva di finire presto e tornare in anticipo agli hotel. Con i maschi ci incontravamo solo lì, diciamo che erano comunque due gare distinte.

Come giudichi la tua stagione?

Sicuramente migliore rispetto alla precedente, ho visto dei progressi soprattutto nella gestione delle gare, ma so che devo migliorare ancora molto. Già il fatto di gareggiare in questo periodo è un passo avanti, lo scorso anno avevo chiuso con il Giro…

Carlotta Cipressi, 23esima alla fine, preziosa per Ciabocco nelle fasi di approccio alle salite
Carlotta Cipressi, 23esima alla fine, preziosa per Ciabocco nelle fasi di approccio alle salite
E adesso?

Ora mi aspettano il Romandia e le gare italiane. Mi sarebbe piaciuto tornare ad assaporare l’azzurro per una prova titolata, ma se anche non fosse così posso provarci il prossimo anno. Io comunque sono tranquilla e mi concentro sui risultati, assaporando esperienze come quella appena vissuta, correndo su una salita che è un’icona del ciclismo e soprattutto vivendo una bella esperienza come quella con le mie compagne in azzurro, cosa che ha influito sul risultato finale.

Il punto al Renewi Tour con il super Milan post olimpico

02.09.2024
5 min
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Cinque vittorie in dieci giorni di gara dopo Parigi in cui, a detta di tutti, ha trascinato il quartetto al bronzo. Dopo le Olimpiadi, Jonathan Milan è tornato a casa per due settimane cercando di trasformare quel colpo di pedale in un’arma anche su strada. Eppure, quando si è presentato al via del prologo al Giro di Germania, sulla distanza di 2,9 chilometri, deve essergli sembrato di non essere mai sceso di pista. Infatti lo ha vinto e poi ha messo in fila altre quattro vittorie, passando nel frattempo al Renewi Tour. Le prossime tappe di questo suo viaggio saranno Amburgo e poi i campionati europei, di cui parla già da un pezzo con il cittì Bennati.

Ieri Milan si è ritirato nel corso dell’ultima tappa della corsa belga, quella di Geraardsbergen, dopo avar attaccato con il vincitore De Lie. Era palpabile che nelle ultime due volate stesse affiorando la stanchezza e che su quei muri da Fiandre la sua preparazione non fosse adeguata. Come peraltro inizia a dirci proprio lui.

Il prologo del Deutschland Tour, 2,9 chilometri, è stato perfetto per riprendere a vincere
Il prologo del Deutschland Tour, 2,9 chilometri, è stato perfetto per riprendere a vincere
Come stai?

Un po’ stanchino, ma va bene. Sono state due belle settimane, diciamo, intense e piene di risultati per tutta la squadra (al Giro di Germania, sponsorizzato da Lidl, il team ha vinto tre tappe con Milan, due più la classifica con Pedersen, ndr).

La condizione di oggi è quella che è servita per far bene alle Olimpiadi?

Sarebbe bello prevedere tutto e allora sarebbe tutto più facile, forse. Però col senno di poi si può dire che sono uscito da Parigi con una buona condizione. E avendo lavorato comunque a una buona intensità in pista, avendo fatto dei bei lavori di forza, di agilizzazione e partenze da fermi, ne abbiamo usufruito su strada. Dalla fine delle Olimpiadi alla Germania è passata una decina di giorni, quindi ho avuto il tempo di recuperare e di fare un po’ di chilometri. Niente di che, però la condizione è rimasta quella e ne stiamo raccogliendo i frutti.

A Parigi, l’apporto di Milan nel quartetto è stato decisivo
A Parigi, l’apporto di Milan nel quartetto è stato decisivo
Come è stato il passaggio tra la pista e il ritorno su strada?

Alla fine in questo mese e mezzo di preparazione all’Olimpiade, quello che ho perso sono state le ore su strada. Per cui ho dovuto recuperare quelle, ma niente di è esagerato. Un massimo di cinque ore per uscita, magari delle triplette, cose del genere, ma niente di particolare.

Come è stato a livello personale dover passare dall’enormità delle Olimpiadi alla routine della strada?

Sinceramente non è stato molto impegnativo, anche a livello di testa. Alla fine si era progettato anche questo, quindi quando ce l’hai già inserito in un piano, è tutto un po’ più facile da seguire. Sai già a cosa andrai incontro, quindi non è stato molto difficile.

Che clima avete trovato nel Deutschland Tour sponsorizzato peraltro dalla stessa Lidl?

C’ero già stato un paio di anni fa e vi dirò, magari è una mia impressione, ma ho visto molta più gente sulle strade. Ovviamente avevamo tanta attenzione, perché è quasi la nostra corsa di casa. Ci tenevamo a far bene dato che il nostro main sponsor era anche organizzatore. Per cui eravamo tutti belli motivati e anche io, a livello personale, al rientro dalle Olimpiadi mi ero prefissato di raggiungere qualche bel risultato. E alla fine abbiamo vissuto un grandissimo Giro di Germania.

Dopo il prologo, per Milan in Germania altre due tappe vinte
Dopo il prologo, per Milan in Germania altre due tappe vinte
Ti aspettavi effettivamente di essere già vincente alla prima corsa?

Non del tutto, a dire la verità. Se parliamo del prologo, dico di sì. Per le tappe invece no. Era chiaro che sarebbe stata una corsa di rodaggio per arrivare al Renewi Tour. Il prologo sembrava disegnato per me. Non erano neanche tre chilometri, erano 2,9. E io venivo da un mese e mezzo in cui facevo sessioni e prove sui 4 chilometri a tempi record: ci stava che andasse bene. Invece poi anche su strada, la squadra fin da subito mi ha dato un grandissimo supporto, come ha sempre fatto. E quel punto sono venute anche le vittorie nelle tappe, a volte anche con l’aiuto di Mads (Pedersen, ndr). Non è stato facile, neppure posso dire che me lo aspettassi, ma è andata bene. E’ stato molto bello e divertente.

Cosa è cambiato nel mondo di Jonathan con questo crescere e il diventare tanto popolare?

Oh Dio (sorride, ndr)! Negli anni sono cambiate un po’ di cose. Come la squadra, come la preparazione, come la mia stessa mentalità. Il fatto di voler sempre migliorare, sia su strada che su pista. Insomma, mettendo tutto insieme, si è fatto un bel salto. Quanto alla popolarità, non è difficile stare dietro alle richieste. Non è faticoso fare le interviste e tutto quello che ci chiedono. E’ una cosa normalissima, anche grazie al lavoro del nostro addetto stampa (Paolo Barbieri, ndr), che è qua vicino a me…

Due vittorie anche al Renewi Tour. Qui all’attacco ieri con De Lie che poi vincerà
Due vittorie anche al Renewi Tour. Qui all’attacco ieri con De Lie che poi vincerà
Bennati ha detto che già da un po’ state ragionando sull’europeo…

Sì, esatto. Finito il Renewi Tour, ci sarà Amburgo e poi il piano è di arrivare bene all’europeo, che in teoria è adatto alle mie caratteristiche. Però qua in Belgio non si sa mai… A metà settembre il meteo può fare la sua parte, per cui è una corsa cui puntiamo, ma con un punto di domanda. Andremo su preparati a tutto con voglia di fare bene e divertirsi e poi vedremo cosa uscirà. Avrò accanto Simone Consonni, quindi mi sentirò ben protetto. Vedremo cosa saremo in grado di tirar fuori.

Roglic attacca e viene punito. O’Connor tiene, Castrillo vince

01.09.2024
6 min
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Se qualcuno pensava che la vittoria di Castrillo nella dodicesima tappa, alla Estacion de Montaña de Manzaneda, fosse stata per caso, a quest’ora ha dovuto ricredersi. Lo hanno fatto tutti, forse anche Sivakov e Vlasov che sono stati in fuga con lui per tutto il giorno, immaginando in che modo lo avrebbero staccato, quando lo hanno visto andare via non appena le rampe più severe del Cuitu Negru sono iniziate sotto le ruote. La montagna di Dario Cataldo ha premiato un ragazzino spagnolo con tante cose da dire e la maglia della Kern Pharma sulle spalle.

Il ragazzo non è piccino come uno scalatore. E’ alto 1,83 e pesa 74 chili, eppure quando ha cambiato passo, lo ha fatto con una frullata degna del miglior Froome e ha preso il largo. Prima della vittoria di tre giorni fa, la sua precedente risaliva al campionato spagnolo della crono U23 del 2022: l’identikit si fa interessante.

Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili
Pablo Castrillo ha 23 anni ed è pro’ dal 2023. E’ alto 1,83 per 74 chili

Il sogno di Castrillo

E se l’altro giorno la vittoria aveva portato con sé una gradazione pazzesca di emotività, oggi si è trattato dell’esplodere di gambe e voglia di dimostrare qualcosa. Si dice che sulle tracce del corridore di 23 anni originario di Jaca ci sia già la Ineos Grenadiers e lui ce l’ha messa tutta per dargli qualche spunto aggiuntivo.

«Tre giorni fa – dice – non ho fatto che pensare a Manolo Azcona in ogni momento, per tutta la tappa. Quando ho tagliato il traguardo ho pensato molto a lui. E’ stata una fortuna avergliela potuta dedicare. Grazie a lui sono emersi grandi corridori come quelli che erano in fuga con me, cioè Soler e Rodriguez. Perciò ho voluto dedicargli la vittoria per tutto ciò che ha significato per il ciclismo e per la nostra squadra.

«La verità è che oggi non me l’aspettavo. Stamattina – prosegue – sono arrivato con l’intenzione di andare in fuga e vedere come sarebbe andata, ma non mi aspettavo di arrivare nella posizione per vincere. La prima vittoria è stata incredibile, ma ottenerne una seconda è un sogno. Penso che sia la migliore Vuelta possibile. Non so cos’altro dire».

Red Bull-Bora all’attacco

Oggi era il giorno della prima, vera resa dei conti fra Roglic e O’Connor. Anche Landa voleva lasciare il segno. Eppure nonostante il gran lavoro della Soudal-Quick Step, quando si è scatenata la bagarre, la maglia rossa ha tenuto più di quanto si pensasse e domani vivrà il riposo da leader della Vuelta per l’undicesimo giorno consecutivo. A preparare l’attacco dello sloveno si è ritrovato Lipowitz, che occupando a sua volta il sesto posto della classifica, non ha badato a spese nell’affondare il colpo.

«L’intera tappa è stata super dura – spiega il tedesco della Red Bull-Bora – è stato un ritmo super duro fin dall’inizio. Nell’ultima salita, ho cercato di stare con i migliori. Poi, negli ultimi 3 chilometri ho lanciato l’attacco di Primoz. Ho dato tutto quello che potevo, poi sono esploso completamente. Ho cercato di arrivare al traguardo nel miglior modo possibile, ma alla fine ero completamente al limite. Penso che Roglic abbia fatto un buon lavoro e avevamo anche Vlasov davanti, quindi penso che oggi abbiamo fatto bene tutti e ora siamo molto più vicini alla maglia rossa».

La risposta di O’Connor

O’Connor ha la faccia tosta di dire che tutto sommato ancora ci crede e a diventare l’agnello sacrificale non ci pensa troppo. E a ben vedere è stato bravo. Non ha neppure provato a rispondere allo scatto di Roglic, anzi ha preso il suo passo. E anche se alla fine il suo vantaggio risulta dimezzato (risalirà sopra al minuto per la penalizzazione inflitta a Roglic), intanto arriva al riposo con la maglia rossa. E magari per la sua squadra va bene anche così.

«Oggi ero ottimista – dice inaspettatamente – immagino di aver smentito le persone che si aspettavano che perdessi la maglia. Ho avuto una giornata piuttosto buona. E’ un peccato che sia scoppiato un po’ nel finale, ma è stato uno degli arrivi in salita più orribili che abbia mai fatto. C’è stato un solo attacco, quello di Roglic. E’ stato super impressionante, poi è stata una scalata uomo contro uomo. Mi sentivo come se non stessi andando da nessuna parte, non riuscivo a vedere nulla con la nebbia. È stato difficile, ma sono ancora in testa, quindi va bene. Domani mi riposerò e poi martedì affronterò i Lagos de Covadonga. Sono orgoglioso di me e dei ragazzi. Penso che sia davvero un momento magico».

Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia
Roglic ha cambiato bici prima della salita finale, perdendo 20″ per una penalizzazione per scia

Il cambio bici di Roglic

Roglic ci ha provato anche cambiando bici. Si è fermato quando la corsa era nella direzione della scalata finale e si è fatto passare dall’ammiraglia una Tarmac Sl8 con monocorona da 46 e pacco pignoni 10-44. Ruote a profilo medio di Alpinist, per un peso di 6,81 contro i 6,9 dell’altra. Non l’aveva mai usata prima, ma sapendo di dover affrontare una salita così ripida, lo sloveno non ha rinunciato a giocare la carta della tecnologia, puntando sull’inerzia inferiore dei cerchi più bassi.

Purtroppo il margine guadagnato in salita è stato vanificato in parte dai 20 secondi di penalità che gli sono stati inflitti per il rientro dietro troppe scie, proprio in occasione del cambio di bici. Lo sloveno ha mostrato ottime gambe e probabilmente la sua erosione al trono di O’Connor darà i frutti che spera. Forse c’è da sistemare un po’ la mira: il punto scelto per il cambio bici non era forse dei migliori.

Nocentini, 9 anni (e 9 giorni in giallo) alla corte di Lavenu

01.09.2024
6 min
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Ha fatto notizia il recente licenziamento di Vincent Lavenu da team manager della Decathlon-Ag2R La Mondiale, squadra da lui fondata nel 1992. Dapprima si chiamava Chazal-Vanille, poi diventò la Casinò e infine, dal 2000 al 2023, ha avuto come primo sponsor Ag2R.

Qualunque fosse il nome, Lavenu è stato per 32 anni l’anima di quella realtà, tuttora il più antico team professionistico francese in attività. Capace di conquistare complessivamente 19 vittorie di tappa al Tour de France, 5 al Giro d’Italia e 7 alla Vuelta a España.

Ne abbiamo parlato con Rinaldo Nocentini, nove anni alla corte di Lavenu, tra i quali spicca un 2009 memorabile in cui ha indossato per 8 tappe la maglia gialla al Tour de France. Oggi il toscano collabora con una squadra juniores che si chiama Mepak.

Rinaldo, come hai preso la notizia del licenziamento di Lavenu?

Non ne sapevo niente, me l’ha detto l’altro giorno Enzo Vicennati al telefono. Mi sembra molto strano, qualcosa dev’essere successo, si devono essere rotti degli equilibri. Anche perché normalmente i francesi sono molto attenti a queste cose, a gestire queste dinamiche internamente. Ripeto, è strano che sia stato licenziato così, a stagione in corso, subito dopo il Tour. Avrebbero potuto aspettare la fine dell’anno, quando anche l’attenzione mediatica è meno presente. Ho letto che sembra possa entrarci il caso doping di Bonnamour. Quello che posso dire io è che con noi ha sempre trattato il discorso doping molto chiaramente e rigidamente. Quindi l’impressione è che, forse, la nuova dirigenza possa avere preso la palla al balzo per sistemare attriti interni con questo pretesto.

Di lui che ricordi hai, che tipo di team manager è stato?

Ho corso nella sua squadra per nove stagioni, dal 2007 al 2015, ed è sempre stato un ottimo manager. Meticoloso, sempre presente nelle gare più importanti, al Tour la prima ammiraglia la guidava lui. Personalmente mi ci sono sempre trovato bene, perché ha un carattere molto tranquillo, ci potevi parlare, non era uno che urlava o sbraitava. Per esempio, quando sono stato in maglia gialla ha lasciato che mia moglie rimanesse con noi tutti i nove giorni, assieme alla squadra, una cosa tutt’altro che scontata. Mi trattava come un figlio, si potrebbe dire.

Hai accennato a quella maglia gialla del 2009, un momento speciale per te ma anche per tutto il team. Ci racconti com’è andata?

Quel giorno era in maglia gialla Cancellara, e alla riunione della mattina avevamo deciso di andare in fuga. La tappa era Barcellona-Andorra, arrivo in salita oltre i 2000 metri. Alla fine ci siamo riusciti, in tutto eravamo in dodici, due della nostra squadra. All’inizio ovviamente pensavo solo alla tappa, poi negli ultimi chilometri è passato la moto con la lavagnetta che diceva che avevamo ancora quasi 6 minuti di vantaggio. In quel momento ho detto, ok, ci provo, vediamo se riesco a prendere la maglia. Non mi sono più preoccupato di seguire gli scatti degli altri e sono andato su del mio passo, anche se mi ricordo che c’era vento contro ed è stata molto dura. Ma dopo l’arrivo del gruppo, quando abbiamo capito che avevamo conquistato la maglia, è stato fantastico.  In hotel abbiamo festeggiato tutti assieme, per quanto possibile durante un Tour de France, e Vincent era più che felice, radioso.

Anche perché quella maglia poi l’avete tenuta per molte altre tappe, otto in totale.

Esatto, otto tappe più il riposo, nove giorni in totale. Non è stato facile perché avevo solo 6’’ di vantaggio su Contador e 8 Armstrong. Quindi sarebbe bastato un buco, una volata, per cui è stata battaglia ogni giorno. Poi c’è da dire che a loro, i favoriti, andava anche bene che la maglia la tenessimo noi, almeno per un po’. Quel periodo per noi è stato bellissimo, il giorno di riposo poi hai il mondo addosso, tutti ti cercano, tutti vogliono farti interviste. A fine Tour calcolarono che il valore della visibilità per lo sponsor data da quei giorni in maglia gialla era quantificabile in circa 60 milioni di euro. Capite bene perché Vincent non poteva che essere contento.

Facciamo un passo indietro, all’inizio della tua esperienza con Lavenu. Qual’è il tuo primo ricordo a riguardo?

Molto bello direi. La prima corsa con loro è stato il Giro del Mediterraneo e sono riuscito a vincere la 4ª tappa, quella del Mont Faron. Era la salita simbolo della gara, dove avevano vinto campioni come Bartoli e Casagrande. Lavenu lì non era mai riuscito a vincere, e così è stato un tripudio. Mi ricordo che feci la premiazione e poi partimmo subito in macchina per correre in albergo a berci una birra tutti assieme. Eravamo appena partiti quando gli addetti dell’antidoping ci hanno bussato sul finestrino per fermarci. In quanto vincitore di tappa dovevo presentarmi al controllo, ma dalla contentezza tutti in squadra se n’erano dimenticati. Ovviamente poi siamo scesi e l’abbiamo subito fatto.

Un team manager presente e allo stesso tempo alla mano, insomma.

Direi proprio di sì. Mi ricordo un altro episodio, al Tour del 2010. Quell’anno ero reduce da un infortunio, quindi tendevo a correre sempre in fondo al gruppo. Ad un certo punto Lavenu è venuto da me e mi ha detto, con la sua pacatezza ma comunque molto deciso: «Non penserai mica di stare lì tutto il tempo…». Allora ho annuito e ho subito risalito il gruppo.

Per finire un’ultima domanda su quel magico 2009. Quel Tour non era nei tuoi programmi ad inizio stagione. Quando hai saputo che ci saresti stato?

La stagione iniziò bene con la vittoria di una tappa al Giro di California, poi purtroppo presi la mononucleosi. Al campionato italiano però feci bene e il giorno dopo, era un lunedì, Lavenu mi chiamò per chiedermi se volessi andare al Tour. Io ovviamente accettai di corsa, perché si trattava della mia prima volta alla Grande Boucle. In squadra c’era una certa aspettativa perché l’anno prima avevamo fatto 9° e 10° in classifica con Valjavec ed Efimkin. Io avrei dovuto aiutarli, ma loro ebbero dei problemi e alla fine io feci 13°, un risultato di tutto rispetto per un esordiente. Però nulla a confronto con quei 9 giorni in giallo. Quelli, per me e per la squadra, certamente anche per Vincent Lavenu, valsero quasi un podio.