Overijse incorona la Casasola, una prima storica

Overijse incorona Sara Casasola, una prima storica

27.10.2025
5 min
Salva

Le avvisaglie c’erano, ma forse non così evidenti da far pensare alla grande impresa compiuta ieri da Sara Casasola. La friulana (in apertura, foto Cor Vos) iscrive il suo nome nell’albo d’oro della classica di Overijse, tappa del Superprestige. L’azzurra della Crelan-Corendon è la seconda italiana capace di vincere una tappa nella prestigiosa challenge dopo la Arzuffi, ma mai era avvenuto in quello che è considerato uno dei templi del ciclocross mondiale.

Prima vittoria per la Casasola nel Superprestige, con 28" sulla Brand e 37" sull'altra olandese Van Alphen (foto Facebook)
Prima vittoria per la Casasola nel Superprestige, con 28″ sulla Brand e 37″ sull’altra olandese Van Alphen (foto Facebook)
Prima vittoria per la Casasola nel Superprestige, con 28" sulla Brand e 37" sull'altra olandese Van Alphen (foto Facebook)
Prima vittoria per la Casasola nel Superprestige, con 28″ sulla Brand e 37″ sull’altra olandese Van Alphen (foto Facebook)

Un’impresa per il ciclocross italiano

I numeri dicono che l’impresa rappresenta quasi uno spartiacque nella carriera di Casasola, che sul traguardo di Overijse ha preceduto una maestra come Lucinda Brand, al suo 44° podio consecutivo, non senza un pizzico di fortuna vista la caduta dell’olandese. La portata dell’impresa è ancora da assimilare, quando risponde al telefono dal suo appartamento belga appena rientrata dalla gara.

«Era un percorso abbastanza duro – racconta – dove imposti il tuo passo, con una salita piuttosto tecnica, quindi ho cercato di stare davanti. La Brand ha provato più volte a fare forcing, ma sono riuscita a rimanere sempre attaccata e ho provato un paio di volte anch’io a metterle un po’ di pressione. Lei andava forte ed ero un po’ in difficoltà, ma a poco meno di un giro dalla fine, in discesa avevo preso qualche metro. Lei deve avere rischiato un po’ per rientrare, ha centrato in pieno un palo e è caduta. Io ho sentito qualcosa dallo speaker, mi sono voltata e non c’era più, quindi poi ho dovuto fare l’ultimo giro a manetta per non farla rientrare».

Per l'azzurra sono evidenti i benefici tratti dall'intensa stagione su strada, sulla quale punta molto (foto Facebook)
Per l’azzurra sono evidenti i benefici tratti dall’intensa stagione su strada, sulla quale punta molto (foto Facebook)
Per l'azzurra sono evidenti i benefici tratti dall'intensa stagione su strada, sulla quale punta molto (foto Facebook)
Per l’azzurra sono evidenti i benefici tratti dall’intensa stagione su strada, sulla quale punta molto (foto Facebook)
In occasione della prima vittoria al Giro delle Regioni, avevi detto che eri un po’ indietro rispetto alle condizioni che avresti voluto, ma hai recuperato abbastanza velocemente, anche perché a parte questa vittoria, già eri andata molto bene nel circuito anche il weekend scorso…

Sì, l’anno scorso ero arrivata con un buon ritmo gara il primo weekend di ottobre e andavo già su con molta brillantezza. Quest’anno sono partita volontariamente più piano, lavorando sui miei punti deboli. Ho fatto una buona base, ho fatto un bel po’ di forza, palestra, fondo, perché nel passato quel che mi mancava era la potenza pura, il ritmo vero e proprio. Infatti ho iniziato nelle ultime settimane a lavorare un po’ di più sull’intensità. La scorsa settimana ero andata bene, ma erano percorsi veloci, meno adatti a me. Ho sofferto molto, ma lì è tutto un po’ più livellato, quindi se sei più intelligente riesci a venirne a capo.

Perché Overijse è così importante nella stagione del ciclocross, considerata come una classica monumento della strada?

E’ una gara storica, è stata anche Coppa del mondo in passato. Prevede un percorso impegnativo, quindi appunto penso che per vincere uno debba avere buone gambe, buona tecnica. E’ un tracciato molto completo e piace a molti, tutti si presentano qui al massimo e puntano alla vittoria, quindi credo che sia anche questo il motivo per cui sia così rinomata.

La friulana era già stata seconda nella tappa di Ruddenvoorde, dietro la Norbert Riberolle
La friulana era già stata seconda nella tappa di Ruddenvoorde, dietro la Norbert Riberolle
La friulana era già stata seconda nella tappa di Ruddenvoorde, dietro la Norbert Riberolle
La friulana era già stata seconda nella tappa di Ruddenvoorde, dietro la Norbert Riberolle
Questo era il secondo weekend che ti confrontavi a livello internazionale. Cominci adesso anche ad avere un quadro della situazione anche di come sono le tue avversarie, a che livello sono e come sono in relazione a te?

Al momento la più ostica è sicuramente la Brand – sentenzia la Casasola – sulla Van Empel c’è un gran punto di domanda perché ha vinto sì due corse, ma qui dicono che era un po’ indietro come preparazione, io però penso che all’europeo arriverà in condizione. La Alvarado è ancora ferma e riprenderà a correre verso fine novembre. Quindi la Brand è il vero riferimento. Tira sempre fuori qualcosa di più.

Rispetto agli anni scorsi parti per certi versi avvantaggiata dal fatto che hai avuto una stagione su strada corposa e impegnativa…

Sì, io penso che abbia dato una grossa mano e questo lo vedremo meglio più avanti, perché appunto la strada di solito ti dà un buon fondo e lo vedi correndo di più. A dicembre e gennaio si vedrà, però penso che abbia dato una buona mano. A livello di ritmo di base sono migliorata molto e quindi credo che fare una buona stagione su strada aiuti sempre.

La gara maschile ha visto primeggiare il belga Michael Vanthourenhout, con 7" sull'olandese Ronhaar (foto Facebook)
La gara maschile ha visto primeggiare il belga Michael Vanthourenhout, con 7″ sull’olandese Ronhaar (foto Facebook)
La gara maschile ha visto primeggiare il belga Michael Vanthourenhout, con 7" sull'olandese Ronhaar (foto Facebook)
La gara maschile ha visto primeggiare il belga Michael Vanthourenhout, con 7″ sull’olandese Ronhaar (foto Facebook)
Come l’hanno presa nel team questa tua vittoria?

Erano molto contenti. Poi arriviamo da due gare di Superprestige vinte, quindi il morale è decisamente alle stelle. Ora vediamo la prossima gara, il Koppenberg sabato prossimo: è una bella corsa, è sempre molto selettiva, si parte proprio sulla salita del Giro delle Fiandre, poi scendi sul prato e risali dal famoso muro, quindi è una corsa bella, impegnativa.

Magari ci prendi le misure per tornarci la prossima primavera…

Sarebbe bello, anche se su strada sono più una da corse a tappe che da classiche, però mai dire mai, sarebbe bello appunto fare il Fiandre una volta…

Campionati del mondo pista, Santiago del Cile 2025, abbraccio fra Elia Viviani e Cordiano Dagnoni

EDITORIALE / L’oro di Viviani, la gioia FCI e una sfida per Pella

27.10.2025
4 min
Salva

Se ci fosse stata ancora la Liquigas, lo avrebbero portato certamente al Giro e probabilmente alla Vuelta, dovendo preparare i mondiali della pista. Così Elia Viviani non sarebbe stato costretto a penare per trovare un contratto a febbraio per dimostrare di essere ancora un fior di campione. A quelli che dicono che una WorldTour italiana non farebbe la differenza, rispondiamo che in effetti sarebbe meglio averne due. E poi rilanciamo con l’esempio dell’atleta di Verona, che ieri a Santiago del Cile ha chiuso la carriera vincendo il campionato del mondo dell’eliminazione (in apertura l’abbraccio con il presidente federale Dagnoni).

Per inseguire i suoi obiettivi su pista, Viviani ha prima scelto la Ineos che però l’ha messo ai margini della sua attività su strada. Poi, quando la squadra britannica ha deciso di averne avuto abbastanza, ha dovuto convincere la Lotto che ne valesse la pena e immancabilmente ha avuto ragione. Magari, se ci fosse stata ancora la Liquigas e il suo percorso fosse stato meno sofferto, Elia avrebbe trovato la voglia di fare un anno in più.

Così, annotando la legittima soddisfazione degli ambienti federali che la pista l’hanno voluta da quando nel 2011 proposero a Marco Villa di farne un vanto nazionale e nel momento in cui Viviani si accinge a entrare nei quadri azzurri, lanciamo un guanto di sfida al presidente della Lega Roberto Pella.

Viviani è passato nel 2010 alla Liquigas. Nel 2012 preparò le Olimpiadi di Londra correndo per il team di Amadio e Dal Lago
Viviani è passato nel 2010 alla Liquigas. Nel 2012 preparò le Olimpiadi di Londra correndo per il team di Amadio e Dal Lago

Riaprire le porte

La Coppa Italia delle Regioni si accinge a celebrare le premiazioni del primo anno di vita. Sono nate corse, alcune sono state salvate dal rischio di chiudere, altre verranno. Offrire la possibilità alle nostre tre professional di correre in Italia e fare punti, aprire le porte alle continental serve solo marginalmente, se i loro budget restano così risicati. Forse è arrivato il momento di alzare l’asticella e usare gli agganci che soltanto Pella in teoria può vantare.

Ci eravamo tutti convinti che Davide Cassani fosse il solo ad avere i contatti per far nascere una grande squadra, ma il tentativo si è fermato ancor prima di nascere. Si è sempre detto che per smuovere l’interesse di certi sponsor, grandissime aziende in alcuni casi controllate dallo Stato, serva l’intervento della politica: vogliamo vedere se è vero?

E’ questa la sfida che proponiamo al presidente Pella: proviamo a riportare il grande ciclismo in Italia. Non organizzando corse, che promuovono l’attività, ma non servono ad elevarne il contenuto tecnico. Bensì creando le basi perché nasca nuovamente una squadra capace di prendere il meglio del ciclismo italiano e valorizzarlo. Magari anche creando le condizioni perché i ciclisti italiani tornino in Italia e non affollino le salite di Monaco, Lugano, Andorra e San Marino.

Roberto Pella, parlamentare di Forza Italia, è presidente della Lega Ciclismo Professionistico
Roberto Pella, parlamentare di Forza Italia, è presidente della Lega Ciclismo Professionistico

La tutela dei talenti

I migliori trenta under 23 azzurri militano in devo team stranieri. Alcuni riescono a passare nel WorldTour, altri devono reinventarsi una vita o tentare l’impossibile per cercare un contratto. Viene da fare l’esempio di due atleti della Bahrain Development, che tre anni fa venivano indicati come elementi di sicuro avvenire: Marco Andreaus e Bryan Olivo. Entrambi diventano elite, entrambi hanno avuto problemi fisici che gli hanno impedito di fare una bella stagione ed entrambi sono senza squadra per il prossimo anno. Se ci fosse stata una WorldTour italiana, possiamo pensare che li avrebbero aspettati, anziché metterli alla porta per liberare spazio per altri due ragazzini.

Avere un onorevole alla guida della Lega del Ciclismo Professionistico deve essere un’opportunità da sfruttare. Da parte sua, il presidente Pella si trova davanti alla possibilità di fare davvero la differenza. La capacità di reperire risorse per rilanciare il calendario nazionale le ha dimostrate, ma il ciclismo italiano ha bisogno di altro. La Federazione ha le sue gatte da pelare, ma i talenti in un modo o nell’altro vengono fuori. Vederli disperdersi nel mondo senza la certezza che siano seguiti come meritano sta diventando insopportabile. Serve una WorldTour italiana, meglio due.

A chi dice di no suggeriamo di andarsi a guardare l’elenco dei partenti del Tour di 20 anni fa, quando c’erano al via quattro squadre italiane dell’allora ProTour che schierarono 18 italiani, che assieme ai 9 che correvano nelle altre squadre, portarono il contingente dei nostri in Francia a quota 27. Lo scorso luglio erano appena 11.

Continental, Korbach

Nel cuore di Korbach, dove nascono le Continental di Pogacar

27.10.2025
7 min
Salva

KORBACH (Germania ) – E’ a Korbach, una cittadina dell’Assia occidentale, che batte il cuore produttivo di Continental, colosso fondato nel 1871 e oggi tra i leader mondiali nel settore pneumatici. Questo stabilimento dà lavoro a oltre 3.500 persone. E’ qui che vengono sviluppate e prodotte alcune delle coperture più avanzate del mondo, dalle gomme per auto a quelle che equipaggiano le bici dei professionisti del WorldTour. Ne citiamo due a caso: Tadej Pogacar ed Elisa Longo Borghini.

Abbiamo avuto il piacere di visitare lo stabilimento di Korbach e seguire il processo produttivo passo, passo. E’ stato un viaggio affascinante attraverso sicurezza, precisione, innovazione e soprattutto performance. Questi sono i quattro pilastri di un marchio che fa della qualità una questione di cultura industriale. In un territorio dove quasi ogni famiglia ha un legame diretto o indiretto con Continental. La fabbrica non è solo un luogo di produzione, ma il motore sociale ed economico di un’intera comunità.

L’ingresso nello stabilimento

E’ qui che inizia la nostra visita, tra edifici antichi in mattoni e acciaio a quelli più moderni che segnano il perimetro dello stabilimento. Prima di entrare, ogni visitatore deve superare una serie di controlli: badge personalizzato, abbigliamento specifico, scarpe antinfortunistica e un briefing dedicato alla sicurezza e al rispetto del segreto industriale. Si sigillano gli smartphone, almeno in alcune aree.

La produzione degli pneumatici Continental è infatti un processo coperto da brevetti e formule proprietarie, frutto di anni di ricerca e sviluppo.

Nel primo reparto si incontrano le materie prime, la base di tutto. Quindi: gomma naturale, sintetica, nerofumo, silice, zolfo e una lunga lista di additivi che determinano le proprietà finali del prodotto. I grandi silos e i miscelatori industriali ricordano quasi una cucina su scala gigante, dove ogni ingrediente viene dosato al millesimo. Gli ingegneri spiegano come ogni tipo di gomma sia pensato per rispondere a condizioni specifiche: scorrevolezza, grip, durata o resistenza alle forature. Inizia così il lungo viaggio che porta un materiale informe a trasformarsi in una gomma perfetta.

Dalla gomma madre alle mescole speciali

E’ qui che la tecnologia di Continental si mostra in tutta la sua complessità. La cosiddetta “gomma madre”, quasi come fosse un gigantesco nastro isolante molto spesso un centimetro o anche più, viene caricata in enormi impastatrici, dove temperatura e pressione vengono controllate in tempo reale. Nascono così le mescole, veri e propri cuori tecnologici ma anche di materia degli pneumatici. La loro composizione varia a seconda dell’utilizzo: una copertura da cronometro non avrà mai la stessa struttura di una da ciclocross o di una da endurance, per dire.

Durante il processo vengono aggiunti tessuti sintetici o in cotone, che fungono da carcassa, conferendo più o meno rigidità o leggerezza, tenuta alle forature o scorrevolezza… Ogni strato viene laminato con precisione millimetrica.

I tecnici ci spiegano come i materiali siano frutto di partnership con aziende d’eccellenza per il loro reperimento. Ma soprattutto ci mostrano come ogni fase sia verificata. Su questi grandi nastri di gomma ogni tanto ci sono dei fori. Ci spiegano che sono dei “carotaggi” per il controllo qualità, per evitare ogni minimo difetto.

In questo ambiente controllato, il profumo della gomma si mescola al rumore continuo dei macchinari, che lavorano 24 ore su 24 in un ritmo costante e perfettamente sincronizzato. L’obiettivo è chiaro: trasformare la materia in performance, centimetro dopo centimetro.

Il momento chiave: la vulcanizzazione

Dopo l’impasto e la laminazione, la gomma passa alla fase di un primo taglio. Ogni sezione è tagliata in base al modello di pneumatico e al diametro della ruota. In alcuni casi viene inserito il cerchietto, quell’anello metallico che permette al copertone di aderire perfettamente al cerchio. Mentre nei modelli pieghevoli si procede senza, per alleggerire il peso o adattarsi a specifiche tubeless.

Il passaggio decisivo è la vulcanizzazione, il momento in cui la gomma “nasce” davvero. A temperature che superano i 170 gradi e sotto pressione controllata (si parla di 50 bar), la mescola viene trasformata in una struttura solida ed elastica, pronta per affrontare l’asfalto. Qui vengono impressi i disegni del battistrada e il marchio Continental. Appena usciti dal macchinario le gomme vengono stese e messe a raffreddare. Da buoni italiani ci è venuta in mente l’immagine di un pastificio che produce spaghetti!

Qui invece le leccornie si chiamano GP 5000, Aero 111, Magnotal, Terra Adventure… Ogni modello ha il suo stampo dedicato: sia per il disegno del battistrada che della sua sezione. Una volta raffreddato, ogni pneumatico viene testato su macchine che simulano migliaia di chilometri di rotolamento. Solo i prodotti che superano tutti i controlli passano alla fase finale di confezionamento.

Dal laboratorio al WorldTour

E’ nel reparto finale che le gomme diventano “ufficiali”, pronte per essere montate sulle bici dei team. I tecnici ci mostrano le versioni personalizzate destinate alle squadre partner di Continental: dalla UAE Team Emirates alla XDS-Astana, dalla Bahrain-Victorious alla Ineos Grenadiers… Serve 31 team UCI fra uomini e donne di tutte le categorie. Le gomme vengono inviate direttamente ai service course o ai meccanici delle squadre, dove vengono montate e testate. Possiamo per esempio dirvi che abbiamo potuto vedere dei prototipi che entreranno in commercio nel corso del prossimo anno.

Pogacar è molto attento allo sviluppo generale di quel che riguarda la tecnica e la tecnologia che lo circonda e non è da meno con le gomme.

Lasciateci infine concludere con un richiamo all’ambiente. Gli pneumatici, è risaputo, sono tra i maggiori inquinanti. Tuttavia Continental si sta impegnando come forse nessun altro nel settore per ridurre al massimo il suo impatto. Proprio lo stabilimento di Korbach è un esempio di industria sostenibile. Oltre il 90 per cento dei rifiuti viene riciclato e gran parte dell’energia proviene da fonti rinnovabili. Il fine è produrre gomme meno inquinanti possibili, siano essere per le bici, per i camion, le vetture o i mezzi da lavoro. Visitare Korbach significa capire che dietro ogni gomma c’è una cultura, fatta di precisione tedesca e passione per la strada.

Campionati del mondo pista, Santiago del Cile 2025, inseguimento a squadre femminile, oro Italia: Federica Venturelli, Vittoria Guazzini, Martina Alzini, Martina Fidanza, Chiara Consonni

Rileggiamo con la più piccola (Venturelli) l’oro del quartetto

27.10.2025
6 min
Salva

Non succedeva da Parigi 2022, quando il quartetto delle ragazze rifilò 2”112 alla Gran Bretagna e conquistò uno storico oro mondiale. Uscivano dalla delusione del quarto posto alle Olimpiadi di Tokyo e quel risultato confermò la sensazione di Villa che il gruppo avesse l’oro nel destino. Venerdì scorso a Santiago del Cile le azzurre l’hanno fatto ancora e ancora una volta dopo il quarto posto di Parigi. La sola differenza era l’assenza di Elisa Balsamo, sostituita dalla debuttante Federica Venturelli. Facile immaginare che il loro traguardo ora siano le Olimpiadi di Los Angeles, messe nel mirino in una sorta di patto d’onore fra guerriere.

«La pista ha veramente il mio cuore – ha detto Vittoria Guazzini – poi so che la strada ha il suo fascino e spero un giorno di togliermi le soddisfazioni anche lì. Infatti devo ringraziare la squadra perché non ha mai detto di no alla pista, sanno che mi fa bene anche mentalmente».

«Secondo me è il bello di questa nazionale – le ha fatto eco Martina Alzini – e ciò che ci fa crescere sempre di più è che tutte siamo utili, ma nessuno è indispensabile. Magari per alcuni suona un po’ triste, ma in verità ha tanto significato. Vuol dire che ognuno di noi al massimo della forma è veramente un componente importante di questo gruppo».

Il debutto di Venturelli

Prima di Parigi, Venturelli si era già allenata con il quartetto: una sorta di sparring partner mandata fra le grandi per conoscerle e apprenderne i segreti. Vista la sua crescita, Bragato e Villa si erano messi in mente di inserirla fra le quattro per gli europei di Zolder a febbraio, ma la ripresa dall’ennesimo infortunio era stata più lunga del previsto. Al punto che quest’anno Federica ha ripreso a correre a fine maggio, e l’esperimento era stato rimandato. Che cosa ha rappresentato per lei vincere questo mondiale al primo assaggio con le grandi, in un finale di stagione impegnativo che l’aveva già vista primeggiare fra le under 23 anche a cronometro?

«E’ stato un finale di stagione bello intenso – sorride – anche da prima dei mondiali di Kigali, perché ho fatto l’Avenir a fine agosto, poi ho fatto l’Ardeche, quindi il mondiale strada, gli europei strada e adesso questi su pista. In pratica non sono a casa da metà agosto e pensare che un tempo ora avrei cominciato col ciclocross. Ora si stacca (ieri sera Federica ha chiuso al settimo posto la corsa a punti, ndr).

«Sabato non ero contenta di come ho corso l’inseguimento. Non tanto per il risultato, perché sapevo che avevo davanti tre giganti della disciplina e andavano il doppio di me. La delusione è stata personale, non tanto per il risultato, quanto perché ho gestito davvero male la qualifica e ho fatto un tempo non molto soddisfacente per me. Un secondo peggio del tempo che avevo fatto in qualifica all’Europeo U23 di Anadia, dove andavo la metà di adesso. In finale avrei voluto fare un tempo migliore, per cui mi è dispiaciuto essere ripresa così presto e non aver finito la prova».

Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Vittoria Guazzini, ancora in piedi, è la quarta a entrare in azione: una trascinatrice come Ganna fra gli uomini
Era un po’ che giravi attorno al quartetto, che effetto fa vincere l’oro al debutto?

Dal punto di vista personale è stata una sorpresa, perché ovviamente non mi immaginavo di vincere un oro già alla prima partecipazione. Potevo sperare in una medaglia, ma sapevo anche di avere intorno a me un gruppo fantastico. Ragazze che vanno tutte fortissimo e quindi avevo la fiducia che mi avrebbero trascinato verso un buon risultato.

Ecco, parliamo proprio di questo gruppo fantastico. Che cosa ci puoi dire per descrivere le tue compagne di mondiale? Iniziamo da Vittoria Guazzini, ad esempio…

Sicuramente lei nel quartetto, visto il ruolo che ha come quarta, è la leader che ci trascina tutte all’arrivo, anche quando siamo tutte senza forza.

Diciamo Guazzini e subito pensiamo a Chiara Consonni, visto che sono campionesse olimpiche della madison e a Santiago hanno preso il bronzo.

Chiara ha corso un turno di qualificazione, di lei possiamo dire che è la più pazzerella, però aiuta sempre a tenere il morale alto in tutte le situazioni.

Nella foto del podio, voi sorridete, invece Martina Alzini ha quasi un ruggito sul volto…

Per me Martina è forse il principale riferimento, quella da cui mi sono sentita accolta meglio. Umanamente, come consigli, mi ha sempre aiutato e quindi mi sento particolarmente vicina a lei. Mi fa un po’ da mamma e mi aiuta in tutti i momenti difficili.

Federica Venturelli si era già allenata col quartetto: il debutto con l'oro mondiale era al di sopra delle sue attese
Federica Venturelli si era già allenata col quartetto, ma il debutto con l’oro mondiale era al di sopra delle sue attese
Federica Venturelli si era già allenata col quartetto: il debutto con l'oro mondiale era al di sopra delle sue attese
Federica Venturelli si era già allenata col quartetto, ma il debutto con l’oro mondiale era al di sopra delle sue attese
E poi c’è l’altra Martina, la Fidanza…

E’ difficile trovare sempre aggettivi diversi per tutte, però anche Martina è super determinata, super disponibile per tutto. Mi trovo bene con tutte queste ragazze del quartetto.

Loro di te hanno detto di aver apprezzato la serenità che hai saputo trasmettere.

Sono contenta di aver dato questa impressione. Tante volte sono in ansia, però sorprendentemente per questo quartetto ero più tranquilla. Probabilmente perché sapevo di poter contare sulle altre ragazze, per cui sapevo di dover solo fare il mio e che potevo stare tranquilla al loro fianco.

E’ stato difficile entrare nei meccanismi di un quartetto già collaudato?

Sicuramente ci vuole tempo, però in questi due anni il tempo l’ho avuto. E quindi sono felice finalmente di essere riuscita a fare una gara insieme a loro e di essere stata accolta bene.

Si può fare una classifica fra le tente medaglie di questa stagione?

Sicuramente la prima maglia iridata del quartetto fra le elite è quella più emozionante, sicuramente molto speciale. Le altre medaglie sono molto belle, però comunque quelle delle crono individuali erano sempre a livello under 23. Mentre quella del Team Relay era comunque un europeo e non un mondiale. E soprattutto non era un oro, quindi sicuramente l’oro del quartetto è stata la medaglia più preziosa e il modo per chiudere bene la stagione.

Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente
Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente
Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente
Marco Villa, tornato in pista dopo mondiali ed europei su strada, conferma il tocco vincente

La chiusura per Villa

La chiusura spetta a Marco Villa, tornato in pista dopo il debutto su strada, mentre Diego Bragato è rimasto a casa per accogliere sua figlia Azzurra nata proprio in questi giorni.

«Vincere il quartetto, specialità olimpica – dice – con un gruppo giovane e l’inserimento di Venturelli è un bel segnale per i prossimi tre anni, in vista della qualifica olimpica e poi delle Olimpiadi. Non dimentichiamo anche le ragazze che non sono venute qua, perché quest’anno hanno dedicato l’annata alla strada, come Balsamo e Paternoster. Abbiamo anche delle junior che hanno fatto risultati e cercheremo di inserirle. Nelle gare di gruppo dobbiamo migliorare, ma il potenziale c’è. Venturelli in primis ha dimostrato di avere qualità, dobbiamo migliorare un po’ la gestione dello sforzo, ma ci arriveremo.

«Nella madison ormai abbiamo una buona scuola, un buon livello. Stiamo confermando il titolo olimpico. In alcune prove si poteva correre meglio, ma non tutte sono giudicabili per una serie di motivi. Sono contento di questo mondiale, che resterà indimenticabile per l’addio di Elia (Viviani, ndr). E stato emozionante e ha confermato quale professionista sia, quale cecchino di risultati, come il suo palmares dimostra».

Campionati dle mondo pista, Santiago del Cile 2025, Elia Viviani

Gigante Viviani, oro mondiale all’ultima gara. Fatta la storia

26.10.2025
4 min
Salva

Santiago del Cile è diventato provincia d’Italia. Prima con l’oro del quartetto femminile e poi con l’esultanza di quelle stesse ragazze alla balaustra per celebrare il terzo oro nell’eliminazione di Elia Viviani allultima corsa. Le braccia incrociate per significare che il dado è tratto mentre girava in pista hanno dato l’esatta dimensione di una vittoria che ricorda quella di Cancellara nella crono di Rio 2016. Elia Viviani voleva chiudere con una medaglia in pista e porterà a casa un’altra maglia iridata, il modo più bello per dire basta e andarsene senza rimpiangere di non averci provato per l’ultima volta.

«L’anno scorso – racconta – quando ancora cercavo squadra a febbraio, era questo che intendevo. Volevo dimostrare di essere ancora al livello di poter vincere su strada e l’ho fatto. Essere in un Grande Giro e comportarmi bene, come ho fatto alla Vuelta. Chiudere la mia carriera con un mondiale, con una maglia iridata addosso, è qualcosa di fantastico. Mi ritiro dal top, è quello che volevo e che speravo. Quindi sì, possiamo davvero dire che questo è il finale perfetto».

Il gesto dlle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l'oro al collo
Il gesto delle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l’oro al collo
Il gesto dlle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l'oro al collo
Il gesto delle braccia incrociate è la conferma che il viaggio si ferma qui, ma con l’oro al collo

Nervoso prima del via

Ha corso da campione, ammettendo di aver conosciuto prima del via un insolito nervosismo. Poi in gara tutto ha funzionato come doveva e lo sprint finale non ha avuto storia, al punto da potersi rialzare ben prima della riga, indicando l’avvicinamento alla vittoria. Con Elia è esplosa la gioia di tutto il parterre azzurro. Anzi, è parsa superiore la voglia di celebrare dei suoi compagni, vestiti con la maglia intitolata The Last Dance del Profeta. Dio solo sa però quante emozioni aveva dentro Viviani durante quei giri da campione del mondo.

«Continuo a ripetere che il mio più grande orgoglio – dice – è proprio aver creato questo movimento insieme a Marco Villa e a tutti quelli che hanno lavorato per portare tutte queste medaglie e campioni al ciclismo su pista. Mi sento di dirgli di credere nei sogni, di puntare in alto perché lavorando duro ci si arriva, proprio come ho fatto io. Crederci e sognare in grande perché solo così si raggiungono i grandi risultati. Abbiamo visto che dopo di me sono arrivate tante medaglie dalle ragazze. L’oro olimpico della madison, il quartetto che è stato l’apoteosi degli ultimi anni. E altri ragazzi continuano ad arrivare.

«Salvoldi ha curato bene il movimento giovanile, le ragazze di Villa e Bragato sono giovani e portano ancora tanti risultati. Abbiamo un bel futuro davanti e soprattutto ora abbiamo una struttura, abbiamo una Federazione che ci crede e che lavora per questo. Sicuramente c’è sempre del lavoro da fare nelle categorie giovanili e cercheremo di farlo».

In quel plurale c’è forse un assaggio del suo futuro, che non aveva escluso nell’incontro con i media prima di partire per il Cile. Per ora il suo orizzonte è la cena con tutta la nazionale e poi le meritate vacanze con Elena Cecchini, volata in Cile per sostenerlo nell’ultima battaglia. Da stasera sarà soltanto lei il corridore di casa, ma è dolce per Elia Viviani ritirarsi portando nel cuore l’ultimo oro e la sensazione di essersene andato da vincitore.

Le somme di Salvoldi

Il conteggio finale di Dino Salvoldi, partito per il Cile senza farsi grandi illusioni, è molto più roseo ora che i mondiali si sono conclusi.

«Il bilancio di questi mondiali – ragiona Dino Salvoldi, cittì degli uomini – si conclude come meglio non si poteva. Con una vittoria emozionante di Elia, una vittoria di gran classe. E come ultima gara, nella madison con due ragazzi del 2005 in un gruppo di mostri della specialità, avevamo l’obiettivo di portarla a termine e migliorare la tecnica. Ci siamo riusciti, anche se abbiamo visto come e dove dobbiamo lavorare, dove sono i margini di miglioramento. Però sono soddisfatto, bravi anche a Stella e a Sierra.

«Per quello che riguarda i giorni precedenti, il discorso sarebbe fin troppo lungo. Sinteticamente posso dire che torniamo con un po’ di rammarico nell’inseguimento a squadre e in quello individuale. Siamo arrivati molto molto vicini alla medaglia di bronzo, pur con la consapevolezza prima di partire di avere un gap che sul campo si è dimostrato meno ampio di quello che pensavamo e quindi possiamo essere ottimisti. Abbiamo corso con ragazzi molto giovani come Grimod e Sierra. Bisogna avere il coraggio di schierarli e di prepararli con la giusta umiltà e serenità. Però se non gli creiamo l’opportunità di una prima volta e la rimandiamo nel tempo, ci troviamo con atleti maturi senza l’esperienza internazionale e quindi il gap rimarrà tale».

Tour de France 2025, Mauro Schmid, Jayco AlUla,

Il ciclismo svizzero secondo Schmid, signore di strada e crono

26.10.2025
4 min
Salva

TORINO – La maglia rossocrociata oramai Mauro Schmid ce l’ha tatuata sulla pelle. Non fosse bastato il titolo in linea del 2024, il venticinquenne di Bulach ha compiuto un’impresa che, dal 1993 a oggi, era riuscita soltanto a Stefan Kung nel 2020, ovvero imporsi nello stesso anno in entrambe le prove: strada e crono. Persino una leggenda come Fabian Cancellara aveva mancato l’accoppiata, pur imponendosi più volte in anni diversi nelle due fatiche (10 sigilli contro il tempo, 2 in linea). 

La seconda stagione in casa Jayco-AlUla è stata positiva per Mauro, anche se c’è tanta voglia di lasciare il segno anche fuori dai confini nazionali per ricambiare la fiducia che il general manager Brent Copeland e tutto lo staff ripongono in lui. Nel frattempo, sul finale di stagione, è salito per la terza volta sul podio iridato della staffetta mista, mettendosi al collo un bronzo in Rwanda dopo gli ori centrati nel 2022 e nel 2023.

Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Abbiamo incontrato Schmid a Torino, durante le visite della Jayco-AlUla al Centro Irriba (foto Matteo Secci)
Che cosa ha voluto raddoppiare il titolo nazionale su strada e fare doppietta con quello a cronometro quest’anno?

Beh, devo dire che è bello essere facilmente riconoscibile alle corse. Già vincere la maglia una volta è speciale, ma ripetersi l’anno successivo è qualcosa di fantastico e non vedo l’ora di indossarla ancora, almeno per la prima parte del 2026. La cronometro è stata una mezza sorpresa anche per me, ma ero ben preparato e sono arrivato a quel giorno nelle migliori condizioni. Tra l’altro, essere campione nazionale nelle prove contro il tempo, ha un certo prestigio nel nostro Paese: basti pensare a quello che hanno fatto Küng e Cancellara negli ultimi 25 anni. Lo standard è sempre alto ed è bello avere questo onore.

A questo proposito, come alfiere della Svizzera, che cosa ci dici del vostro movimento sia a livello individuale, sia coi risultati di Tudor e Q36.5?

Abbiamo sempre avuto ottimi talenti, anche negli anni più recenti, anche se ne è parlato bene. E’ ovvio che dopo uno come Cancellara, non sia facile prendere il testimone. Per qualche anno il livello, soprattutto su strada, non è stato eccelso e le vittorie di corridori svizzeri nelle prove in linea sono state meno delle attese.

Comunque, vi siete goduti Nino Schurter…

Tanti ragazzi della mia generazione, infatti, hanno virato più sulla mountain bike e la strada ha perso un po’ di popolarità. Ora stanno emergendo però giovani interessanti e, il fatto di avere due squadre svizzere così strutturate tra i pro’ gli dà la possibilità di maturare senza fretta e con più tranquillità. In particolare, per quei ragazzi che vanno ancora a scuola e riescono ad avere una vita più normale.

Nella tappa di Tolosa al Tour, i secondo posto dietro Abramhansen brucia parecchio
Nella tappa di Tolosa al Tour, il secondo posto dietro Abrahamsen brucia parecchio
Nella tappa di Tolosa al Tour, i secondo posto dietro Abramhansen brucia parecchio
Nella tappa di Tolosa al Tour, il secondo posto dietro Abrahamsen brucia parecchio
Che atmosfera hai respirato ai Mondiali in Rwanda?

Qualcosa già si sta muovendo. C’è ancora bisogno di un po’ di tempo, anche se la generazione attuale è già abbastanza buona, ma tra qualche annetto vedremo i risultati. Sono convinto che, anche grazie ai progetti a lungo termine dei due team svizzeri, tutto il nostro movimento ne beneficerà.

Hai cominciato a pensare alla prossima stagione?

L’idea, al momento, è di cominciare con il Tour Down Under: una corsa molto importante per la nostra squadra che è australiana, ma lo è anche per me. Oramai è un po’ come il primo giorno di scuola e vuoi subito partire forte. Poi, spero di dire la mia nelle classiche, grazie anche all’esperienza acquisita quest’anno. Il calendario potrebbe essere simile a quello del 2024, a parte qualche piccolo cambiamento a febbraio e marzo. Per i Grandi Giri mi vedo più al Tour, anche se mi piacerebbe venire al Giro. L’unica cosa è che è difficile far bene le Ardenne e poi essere pronto per tre settimane intense a maggio.

Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma conquistaerà il bronzo nel Team Relay
Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma ha conquistato il bronzo nel Team Relay
Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma conquisterà il bronzo nel Team Relay
Crono iridata di Kigali, Schmid non va oltre un 29° posto, ma ha conquistato il bronzo nel Team Relay
C’è una corsa che ti stuzzica più di altre?

Difficile da dire, ma pensandoci direi che mi piacerebbe vincere una tappa al Tour de France.

Beh, quest’anno ci siete riusciti con Ben O’Connor. Com’è stato?

Molto bello. In realtà, il mio aiuto è stato marginale, a parte qualche chilometro all’inizio, perché poi ha fatto tutto da solo.  E’ stato di grande motivazione, così come lo è pensare a quando ho sfiorato la vittoria di tappa al Tour de Suisse (ripreso a 1,6 km dal traguardo della sesta tappa dopo la fuga col connazionale Kung e l’australiano Sweeny, ndr). Sicuramente ci riproverò, ma prima mi concedo qualche giorno sulle spiagge di Bali per ricaricare le batterie. 

L’Associazione Franco Ballerini, tante idee con i figli coinvolti

Associazione Franco Ballerini, i due figli in prima linea

26.10.2025
5 min
Salva

La nascita dell’Associazione Franco Ballerini, ufficializzata nei giorni scorsi ha significati profondi, che vanno anche al di là del semplice ricordo di una figura che sia da corridore che da commissario tecnico azzurro ha lasciato un profondo vuoto nel ciclismo italiano, ancora oggi avvertito con evidenza. Alla base della sua fondazione c’è Stefano Santerini, figura storica del ciclismo toscano, corridore prima e poi massaggiatore da anni facente parte dello staff della nazionale.

Il momento della firma costitutiva dell'Associazione, alla presenza dell'avvocato Sauro Trinci
Il momento della firma costitutiva dell’Associazione, alla presenza di Sauro Trinci, dottore commercialista
Il momento della firma costitutiva dell'Associazione, alla presenza dell'avvocato Sauro Trinci
Il momento della firma costitutiva dell’Associazione, alla presenza di Sauro Trinci, dottore commercialista

Un ricordo mai venuto meno

E’ proprio la militanza in azzurro che ha spinto Santerini a fare qualcosa di specifico: «Nel ritiro azzurro in ogni grande evento c’è sempre una foto di Franco che campeggia, è come se fosse sempre con noi e a novembre, quando c’è il tradizionale incontro di fine stagione fra chi ha preso parte al mondiale, c’è sempre una visita alla sua tomba. Questo mi ha fatto molto pensare. Notavo ad esempio che la famiglia Martini è sempre presente, quella di Ballerini rifugge un po’ da queste celebrazioni, la stessa Sabrina, sua moglie, è distante e la capisco, ma credo sia il momento di un loro maggior coinvolgimento, soprattutto dei figli».

Effettivamente sia Gianmarco che Matteo, i figli, non hanno seguito le orme del padre e non sono mai stati coinvolti da questo mondo. Almeno finora: «Io lavoro come fisioterapista in uno studio vicino Casalguidi, il loro paese. Lì ho conosciuto Matteo, che giocava a calcio e aveva bisogno di una serie di sedute. Parlando gli ho spiegato come la figura del padre sia ancora importante nel nostro mondo, lui mi ha spiegato le ragioni del suo distacco, ma poi confrontandoci abbiamo pensato che si poteva trovare un punto d’incontro».

Da sinistra Matteo e Gianmarco Ballerini, figli dell'indimenticabile Franco
Da sinistra Matteo e Gianmarco Ballerini, figli dell’indimenticabile Franco
Da sinistra Matteo e Gianmarco Ballerini, figli dell'indimenticabile Franco
Da sinistra Matteo e Gianmarco Ballerini, figli dell’indimenticabile Franco

Una base per allestire eventi promozionali

Entrare in questo mondo con il cognome che si porta indosso non è certamente semplice: «Abbiamo pensato insieme all’idea dell’associazione, per fare qualcosa a favore del ciclismo ma senza entrare nel mondo dei professionisti. Prendendo spunto ad esempio da una gara amatoriale che allestisco come organizzatore, una cosa piccola, ma che poteva essere una base per allestire eventi sportivi, culturali e benefici per sostenere il ciclismo giovanile nel territorio nostro, mio e loro, al quale siamo legati. Matteo si è fatto presto coinvolgere e dietro di lui anche Gianmarco».

Sabrina ha preferito restare in disparte: «Ma ci ha ringraziato per l’idea di coinvolgere i figli. Da tempo esiste il Team Franco Ballerini ma la famiglia non aveva voluto essere coinvolta. Qui invece i due ragazzi si sono messi davvero all’opera tanto che ci sentiamo praticamente ogni giorno e sono tantissime le idee e i progetti che vagliamo».

La tomba di Franco Ballerini, ogni anno visitata da tantissimi ciclisti rimasti legati al suo ricordo
La tomba di Franco Ballerini, ogni anno visitata da tantissimi ciclisti rimasti legati al suo ricordo
La tomba di Franco Ballerini, ogni anno visitata da tantissimi ciclisti rimasti legati al suo ricordo
La tomba di Franco Ballerini, ogni anno visitata da tantissimi ciclisti rimasti legati al suo ricordo

Uno shock mai cancellabile

Un primo segnale è dato dall’attenzione che la nuova associazione sta riscuotendo: «Abbiamo visto tanti sponsor, del settore e della zona, che proprio richiamati dal nome di Franco si sono avvicinati, interessati. Anche personaggi famosi, in varia maniera legati a lui ai suoi tempi, si sono detti disposti a intervenire e dare una mano».

Gianmarco, 32 anni, lavora in un’azienda di divani vicino casa, Matteo, 25 anni, invece è impiegato in una concessionaria Renault. Quando Franco scomparve, avevano rispettivamente 17 e 10 anni: «Fu uno shock fortissimo, amplificato dalla loro età. Matteo per anni non voleva neanche sentirne parlare. Il loro distacco derivava da questo e sono contento che ora abbiamo una chat nella quale comunichiamo continuamente. Di quel che Franco ha fatto, ha rappresentato stanno prendendone coscienza ora nel senso più pieno. Hanno conosciuto i vertici federali, anche quelli della Regione Toscana con il presidente Giani in testa, si rendono conto che si possono fare davvero belle cose con il sostegno di tutti».

Gianmarco e Matteo insieme al presidente federale Dagnoni, anche lui interessato all'Associazione
Gianmarco e Matteo insieme al presidente federale Dagnoni, anche lui interessato all’Associazione
Gianmarco e Matteo insieme al presidente federale Dagnoni, anche lui interessato all'Associazione
Gianmarco e Matteo insieme al presidente federale Dagnoni, anche lui interessato all’Associazione

L’idea di una Granfondo e non solo…

Quali sono le prime idee che l’Associazione vuole portare avanti per valorizzare l’eredità sportiva di Ballerini? «Le idee sono davvero tante, ad esempio stiamo pensando a una nuova Granfondo Franco Ballerini. C’è anche la data, 14 giugno 2026 ma forse dovrà essere spostata per le concomitanze. Non sarà una semplice corsa ciclistica, perché allestire tre giorni intensi di iniziative, tra cui, alla serata di venerdì, il raduno di tutti i reduci del mitico mondiale di Zolder, quello vinto da Mario Cipollini con Franco sull’ammiraglia azzurra. Poi pensiamo a una cronoscalata riservata agli juniores a Casalguidi, proprio sulla strada che gli è stata fatale. Alla domenica poi toccherà agli amatori. Ma questa è la base, poi ci sarà tanto da fare per ogni momento di quel lungo weekend».

Ballerini portato in trionfo dopo la Roubaix 1995, una delle sue grandi imprese al Nord
Ballerini portato in trionfo dopo la Roubaix 1995, una delle sue grandi imprese al Nord
Ballerini portato in trionfo dopo la Roubaix 1995, una delle sue grandi imprese al Nord
Ballerini portato in trionfo dopo la Roubaix 1995, una delle sue grandi imprese al Nord

Un cammino che è solo all’inizio

Per Santerini, la nascita dell’associazione ha già ottenuto dei risultati importanti: «Abbiamo mesi di lavoro davanti, ma vedere l’impegno che i due ragazzi ci mettono mi conforta. Sono convinto che sapere che sono così coinvolti faccia rumore e questo è un bene per loro come anche per il movimento locale. Noi partiamo piano, con mille idee, ma abbiamo intenzione di fare molto per il ciclismo, nel ricordo del grande Franco».

Festa Alessandro De Marchi, Buja, 25 ottobre 2025, torta con i bambini

Con De Marchi nell’abbraccio di Buja, per il passo dell’addio

26.10.2025
8 min
Salva

BUJA – «Adesso vi dirò una cosa che secondo me non vi aspettate – dice De Marchi quando gli viene chiesto quale sia il momento più indimenticabile della sua carriera – perché andremmo tutti alle immagini che abbiamo visto poco fa. In realtà uno dei momenti che ho più nella memoria è il mio compleanno. Io compio gli anni il 19 maggio e maggio significa Giro d’Italia. Per il compleanno del 2018, i miei tifosi della Red Passion (si sono definiti così), mi aspettavano sullo Zoncolan. E durante la tappa del Giro d’Italia, io li ho raggiunti, mi sono fermato, mi sono fatto cantare tanti auguri da tutti loro, ho bevuto un bicchiere di birra e poi sono andato all’arrivo. Quello è uno dei momenti che rimarrà indelebile nella mia memoria».

E’ la festa di addio di Alessandro De Marchi e non poteva che svolgersi nella Buja che gli ha dato i natali e il soprannome. Il Rosso non ha mai pensato di andarsene all’estero, anche se avrebbe potuto. Ha costruito la sua casa non lontano dal paese, perché fra lui e le sue montagne c’è un legame che solo qui, vedendolo fra la sua gente, si riesce a capire a fondo. E’ cominciato tutto nel primo pomeriggio con la gimkana per i bambini, voluta per ricreare la magia che tanti anni fa lo rese corridore.

Poi il gruppone si è spostato in questo spazio delle feste sul Mone di Buja, nello scorrere delle immagini e dei ricordi. Quando smette uno che ha solcato il professionismo per 15 stagioni, il lascito delle emozioni e delle lezioni è per forza enorme. Il senso che non andrà tutto sprecato trova conferma nell’annuncio che il prossimo anno De Marchi salirà sull’ammiraglia della Jayco-AlUla e il suo lavoro accanto ai giovani proseguirà, sia pure con un registro diverso.

L’aria frizzante dell’autunno

L’aria fuori inizia a farsi freschina, l’autunno ha portato colori e temperature adeguate. I bimbi continuano a giocare con le bici, ma uno dopo l’altro vengono fatti rientrare dai genitori, perché lunedì c’è da andare a scuola e non è davvero il caso di prendersi un malanno. Alessandro si trattiene fuori, osserva e intanto racconta. La sensazione che ancora non si renda conto è forte e la riconosce lui per primo.

«E’ arrivato il momento di dire basta – sussurra – è arrivato con il sorriso e la serenità giusta. Non è stato un fulmine a ciel sereno, l’ho comunicato prima e per me è stato importante. Forse non è stata una scelta che tutti hanno compreso, però io avevo il bisogno di essere chiaro prima con me stesso e poi con chi mi seguiva. Quindi è stato giusto dirlo, per non tornare indietro. E’ stato un lento processo che è arrivato al momento culmine nell’inverno scorso. Poi piano piano l’ho condiviso con i più vicini, poi con la squadra e con il resto del mondo delle due ruote».

Le montagne del Friuli

Sua moglie Anna sembra una trottola, presa tra i figli Andrea e Giovanni, le cose da fare per la festa e i tanti saluti. Per fortuna ci sono i nonni e gli amici che la sollevano da una parte delle incombenze. Ma del resto basta guardarsi intorno per capire che i bambini sono sicuri, guardati da tutti, come in una grande famiglia di paese.

«L’idea di fare qualcosa per i bambini – prosegue Alessandro – è venuta un po’ più tardi durante l’estate, quando si pensava a come festeggiare. E alla fine ricordando come ho iniziato io, ci siamo chiesti perché non ricreare una situazione simile e chiudere in qualche modo il cerchio. Non so se i miei figli diventeranno corridori, ma sono contento che amino la bicicletta. L’importante è che trovino il modo per esprimersi, qualunque esso sia, anche suonando uno strumento. Anche io ero un bambino, il percorso è stato lungo e a un certo punto mi ha spinto a partire.

«Sapete che da queste montagne mi sono sempre staccato, ma in un certo senso mai completamente. Adesso le guardo con un occhio diverso e continueranno a essere il luogo di cui non riesco e non voglio fare a meno. Voglio continuare a starci, anche se la mia vita continuerà nel mondo del ciclismo, sia pure dall’altra parte della barricata. Il primo effetto dell’aver smesso? Poter bere qualche birra di più ed essere meno severo con me stesso…».

Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata
Anche il sindaco Pezzetta ha presenziato alla gara dei bambini e al resto della serata

L’onore delle ruote

Il momento del saluto alla Veneto Classic lo ha commosso. L’onore delle ruote. Le bici tutte in piedi e lui, come altri prima, a passarci in mezzo lungo il corridoio che di lì a poche ore lo avrebbe portato fuori dal gruppo. 

«E’ stato bello – dice – perché ormai è diventata una sorta di tradizione ed era una cosa cui guardavo con voglia. Esci dal tuo mondo di corridore e intanto speri di aver lasciato qualcosa. Il desiderio di seguire i propri istinti, continuare a fare le cose che ti piacciono. Ovviamente in questo lavoro si è portati sempre a rispondere a delle esigenze diverse, della squadra, del mondo che hai intorno. Invece forse, per continuare a gioire ed essere contenti di questo tipo di lavoro, devi riuscire a rimanere fedele allo slancio grazie al quale hai scelto la bicicletta. Non sarà facile, sappiamo bene come va il ciclismo, ma mi piacerebbe essere riuscito a far capire questo messaggio a quelli che mi sono stati più vicini».

Le interviste impegnate

E qui il discorso si fa più intimo, in una sorta di confessione che ci viene di fargli soprattutto osservando gli ultimi eventi mondiali e spesso il silenzio del gruppo e delle sue voci più autorevoli. Mentre la Vuelta veniva strattonata e fermata dalle proteste pro Palestina, quasi nessuno di quelli che c’erano dentro ha detto una sola parola sull’argomento, quasi fossero abitanti di mondi diversi. Invece dopo il Tour, De Marchi aveva ammesso in un’intervista con The Observer che avrebbe avuto difficoltà oggi a correre con la maglia della Israel Premier Tech indossata per due stagioni. E’ inevitabile così ora chiedergli se tanto esporsi e la nostra richiesta di farlo gli sia pesato e se tante interviste “impegnate” gli abbiano impedito di ricercare la leggerezza in quello che faceva.

«Forse a volte – ammette – avrei potuto essere più leggero, una cosa di cui abbiamo parlato spesso tra noi, soprattutto con mia moglie Anna e con i più vicini. Però alla fine uno trova il modo di esprimersi con un certo stile e in realtà chi mi conosce bene, sa che anche io ho i momenti in cui ricerco la leggerezza».

Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e Giovani
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e il piccolo Giovanni
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e Giovani
Foto di famiglia per Alessandro De Marchi, sua moglie Anna, Andrea il più grande e il piccolo Giovanni

Il senso della comunità

Non ci aspettavamo una risposta diversa e forse è questo il motivo per cui il Rosso di Buja è diventato una sorta di bandiera per la gente che si riconosce nel suo essere trasparente, a costo di sembrare spigoloso. E oggi che sono tutti qui per lui, il senso di appartenenza si percepisce davvero molto saldo.

«Speravo e sapevo che Buja avrebbe risposto così – dice – è la natura di questa zona e di questa gente. Quando viene chiamata è pronta a farsi comunità, a essere disponibile, ad aiutare, a partecipare. Per questo abbiamo unito alla festa la voglia di stare vicino al gruppo di Diamo un Taglio alla Sete, un gruppo di volontari che mi segue da un sacco di anni e che io seguo facendo delle cose insieme. Lavorano tantissimo, ci si può fidare. Sono stati i primi che ho contattato e i primi a rispondere in modo positivo. Sappiamo che quello che raccoglieremo questa sera va in una buona direzione, per scavare pozzi dove l’acqua manca e questo rende tutto più bello, no?».

Lo richiamano da dentro. Il ricavato del contributo di ingresso e della vendita del vino avranno una nobile destinazione. Perciò è tempo di riempire i calici che gentilmente ci hanno appeso attorno al collo, come si usa in Friuli, e iniziare la seconda parte della festa. Quando alla fine della serata il taglio della torta sancirà la fine della carriera di Alessandro De Marchi anche noi avremo la sensazione per una sera di aver fatto parte di una grandissima famiglia.

Le Tour Femmes

Dopo gli uomini, fari sul Tour Femmes con Giada Borgato

26.10.2025
7 min
Salva

Dopo aver puntato i fari sul Tour de France uomini con Stefano Garzelli, facciamo la stessa cosa con il Tour de France Femmes insieme a Giada Borgato. Due ex corridori, due attuali commentatori Rai, due super competenti. La Grand Boucle in rosa si compone di nove tappe e 1.175 chilometri e, rispetto a quella maschile, sembra ancora più dura.

Tre tappe piatte, ma una è lunghissima. Tre movimentate, una crono, l’arrivo sul Mont Ventoux e la frazione finale con il Col d’Eze, che di fatto diventa mezza montagna. Un percorso complesso, che analizziamo con Borgato.

Giada Borgato, ex pro’ oggi commentatrice tecnica per la Rai (foto Instagram)
Giada Borgato, ex pro’ oggi commentatrice tecnica per la Rai (foto Instagram)
Giada, Tour de France Femmes: che impressione ti fa?

E’ bello mosso. Abbiamo un arrivo in salita secco al Mont Ventoux e quello è l’unico arrivo in quota, per le scalatrici, dove si deciderà quasi del tutto la classifica. Per il resto è molto mosso. Ci sono tante tappe da fughe, da fughe di qualità, c’è la crono ed è abbastanza lunga. E poi per le velociste hai poche occasioni, perché le prime due tappe non sono facilissime. La prima, per esempio, ha un arrivo su uno strappetto, quindi anche lì non sarà semplice.

Abbiamo notato che la crono è praticamente identica a quella maschile. Sia nel chilometraggio che nel profilo…

La crono è bella, anche dura, perché c’è quella salitina con una punta massima al 7,3 per cento, quindi importante. E’ comunque una crono lunga e se ne vedono poche così durante l’anno nel ciclismo femminile. Nel 2023 c’era quella di Pau, di 22,6 chilometri, poi nel 2024 quella di Rotterdam, ma era breve, meno di 7 chilometri. Vinse Demi Vollering, che quel giorno andò in maglia gialla. L’anno prima aveva vinto Marlen Reusser, ma su una distanza ben più lunga.

E Kopecky guadagnò terreno…

Quest’anno la crono sarà importante per la generale. Poi sarà positiva per certi tipi di atlete e negativa per altre, come Kasia Niewiadoma, che non va fortissimo nelle cronometro e potrebbe perdere qualcosa. Peggio ancora per le scalatrici come Gigante, Fischer-Black e Gaia Realini: potrebbero lasciare secondi preziosi.

Il percorso dell’edizione 2026. Partenza da Losanna (Svizzera) e arrivo a Nizza dopo 1.175 km
Il percorso dell’edizione 2026. Partenza da Losanna (Svizzera) e arrivo a Nizza dopo 1.175 km
Quella e il Ventoux saranno decisive per la generale dunque?

Saranno importanti. Diciamo che crono e Mont Ventoux delineeranno l’80-90 per cento della classifica. Il resto lo farà il Col d’Eze nella tappa di Nizza, che arriva a fine Tour quando la stanchezza si fa sentire. E’ una tappa breve, circa 100 chilometri, un continuo su-giù sull’Eze che può diventare più duro del Ventoux stesso.

La sensazione, Giada, è che sia un Tour in cui la squadra conta tantissimo. Sei d’accordo?

Conta molto perché ci sono tante tappe da fuga. Per esempio, la terza tappa da Ginevra ha una salita di 11 chilometri all’inizio: lì può partire una fuga. Non vedo rischi per la generale, ma potrebbe essere una tappa per le fuggitive. La quinta frazione, quella successiva alla crono, conta otto Gpm, con una salita lunga all’inizio e poi tante brevi.

Quindi vedi che è rischioso: se parte qualcuno di classifica, si spacca tutto…

Sì. Arrivi dal giorno del cronometro e chi ha perso tanto potrebbe tentare qualcosa. Se parte una di classifica, devi avere una squadra forte per chiudere o per controllare. Dopo la crono, quella tappa può diventare pericolosa: qualcuna potrebbe buttarsi dentro in fuga per recuperare o cambiare le carte.

In teoria questo Tour Femmes suggerisce squadre specifiche. Cioè non puoi fare team misti con velocista e donna di classifica. E’ così?

Dipende. Prendiamo la SD Worx: ha Wiebes e Van der Breggen, cosa fa, non porta Wiebes? Idem la FDJ-Suez, con Vollering e Wollaston. Magari la sprinter si arrangia, ma le sue volate le farà. Le squadre ci tengono a vincere tappe e al Tour portano sempre le migliori.

E se scappa qualcuna in avvio, chi controlla?

La maglia verde ha la sua importanza, ma serve una velocista di alto livello o una donna da classifica. Se portano una sprinter è perché hanno quasi la certezza di poter vincere o fare podio, altrimenti scelgono le sei migliori per la generale.

Le donne scalarono il Gigante di Provenza nel 2022 quando vinse Marta Cavalli, e nel 2023 nella Mont Ventoux Dénivelé Challenge (foto Maheux)
Le donne scalarono il Gigante di Provenza nel 2022 quando vinse Marta Cavalli, e nel 2023 nella Mont Ventoux Dénivelé Challenge (foto Maheux)
Visti i suoi miglioramenti in salita, la crono lunga e la partenza dalla Svizzera: questo Tour Femmes può sorridere a Marlen Reusser?

Proprio ieri facevo un censimento delle ragazze che vanno forte in salita e a cronometro. E pensavo a lei. Quando fecero la crono di Pau di 22,6 chilometri, vinse proprio Reusser. Quindi punterà molto sulla crono e poi dovrà salvarsi sul Mont Ventoux. Quello è il suo unico ostacolo. Ma è grosso, grosso, grosso.

Però quest’anno è andata forte in salita…

Sicuramente Reusser metterà il Tour Femmes tra gli obiettivi del 2026. Ma il Mont Ventoux non è una salitina qualsiasi. E’ lunghissimo, con pendenze sempre alte e il problema dell’altitudine: a un certo punto non ci sono alberi, l’aria è rarefatta e diventa difficile respirare. Lì non so come potrà comportarsi rispetto alle altre. Il Ventoux è una salita diversa da tutte.

Potrebbe esserci una sorpresa?

Le solite Vollering, Niewiadoma… ma su un percorso così è difficile dire una favorita secca. Penso a Fischer-Black, Gigante o Ferrand-Prévot che potrebbero staccare Van der Breggen, Reusser, Vollering e Elisa Longo Borghini sul Ventoux. Ma nella crono il gioco si ribalta.

Marlene Reusser nel 2023 quando vinse la lunga crono del Tour
Marlene Reusser nel 2023 quando vinse la lunga crono del Tour
E’ un bell’incastro. Questo dovrebbe garantire spettacolo…

Sì. Anche la salitina nella crono potrebbe sembrare favorevole alle scalatrici, ma è una salita da fare di potenza. Per me sarà un Tour che rimarrà aperto fino alla tappa di Nizza.

Per questo abbiamo detto che conta molto la squadra: la quinta tappa dopo la crono è un trappolone annunciato…

E’ vero. Tanti GPM, salite e discese, e nove giorni di corsa al massimo. Ricordate che un anno fa, parlando sempre del Tour, dicemmo: «Occhio alle prime tappe per le cadute». Ebbene, ce ne sono state tantissime nei primi tre giorni. Ci sono tanti fattori da considerare, anche i chilometraggi.

In che senso?

Al Tour Femmes sono sempre lunghi. L’ottava tappa, sì, è pianeggiante, ma misura 175 chilometri: credo sia la terza più lunga della storia del ciclismo femminile. E arriva dopo la montagna del Ventoux e prima del Col d’Eze. Ripeto, per me questo può essere il Tour Femmes.