MIRI (Malesia) – La stagione del ciclocross è iniziata e subito i grandi, ad ogni livello e di ogni Nazione, se le sono date. Tra di loro però quest’anno non vedremo Luca Paletti. La speranza azzurra del ciclocross si dedicherà in modo più specifico alla strada.
Paletti fa parte del progetto giovani della VF Group-Bardiani e chiaramente il focus del team dei Reverberi è l’attività su strada. Okay il cross, ma fino ad un certo punto.
Abbiamo intercettato Paletti in Malesia, durante il Tour de Langkawi. Era in buona condizione e si è messo a disposizione dei compagni, in particolare del velocista, Mattia Pinazzi.
Luca Paletti (classe 2004) quest’anno ha fatto 61 giorni di corsa, 10 in più dell’anno scorso e con più corse a tappeLuca Paletti (classe 2004) quest’anno ha fatto 61 giorni di corsa, 10 in più dell’anno scorso e con più corse a tappe
Alti e bassi
Mentre il monsone imperversava e ci si riparava sotto ad uno stand, Paletti ha raccontato la sua annata, la seconda da professionista.
«E’ stata una stagione ricca di corse – ha detto il classe 2004 – ho fatto più gare dell’anno scorso. La prima parte di stagione è andata come volevo. Ho ottenuto qualche buon piazzamento al Giro d’Italia Next Gen e quindi sono contento. «Dopo è stata una stagione un po’ in calo, ma piena di esperienze. Ho fatto gare e viaggi bellissimi. Ho fatto più competizioni con i professionisti, con i grandi del gruppo».
E qui un po’ Paletti ci sorprende. L’emiliano sostiene che tutte queste differenze tra le gare under 23 e quelle con i pro’ lui non le ha notate.
«Diciamo che anche negli under ormai non si scherza più. E non si scherza anche perché nelle gare che facevamo c’erano tutti i devo team delle WorldTour e sembrava di correre una gara di quel livello. Se proprio dovessi dire una differenza, direi che qui tra i pro’ bisogna limare un po’ di più perché vanno un pelo più forte. Ma alla fine è qualcosa che viene da sé. Sei quasi costretto a farlo. Mentre il caos in gruppo ormai è lo stesso, anche perché tra i professionisti c’è tanta gente giovane e giovanissima».
L’emiliano era una buona speranza per la nazionale di PontoniL’emiliano era una buona speranza per la nazionale di Pontoni
Stop cross
Paletti è un corridore potente. Non è ancora tiratissimo, la gamba non è super definita e non manca qualche brufolo giovanile sul volto. Insomma, si vede che ha ampi margini. In tal senso il tempo è dalla sua – ricordiamo che ha compiuto 20 anni a giugno – ma in questo ciclismo che corre, come ci diceva anche il suo direttore sportivo, Alessandro Donati, occorre cambiare marcia. E occorre cambiarla anche con relativa fretta. Per questo niente cross.
«Quest’anno penso di non fare gare di ciclocross. E’ una decisione presa insieme alla squadra: proviamo a fare un’annata con un inverno di riposo vero. Un riposo che servirà per prepararmi bene per la stagione successiva su strada.
«Ho deciso così non tanto perché ho sentito il peso della stagione del cross l’anno scorso, ma perché voglio concentrami di più sulla strada. E soprattutto voglio impostare per la prima volta una vera preparazione specifica per la strada, con il riposo, la ripresa…».
E questo punto di vista ci può stare. Alla fine anche Donati spiegava come il cross, almeno arrivati a questa età, può darti sì qualcosa in più all’inizio della stagione, ma poi il conto arriva. E arriva perché forse mancano determinate basi. E vale anche il contrario. Per assurdo sarebbe meglio fare qualche gara di cross appena terminata la stagione su strada, sfruttando la buona condizione. Ma poi a che fine?
Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)Paletti quest’anno si è confrontato di più con i pro’, ma per fare il salto di qualità farà solo strada (anche nella preparazione)
Rovescio della medaglia
Se il discorso della preparazione e del recupero tiene, e anche bene, c’è poi il discorso dei fuorigiri che ti dà una disciplina come il cross. Un discorso che nel corso dell’anno tante volte abbiamo chiamato in causa con la nostra ciclocrossista numero uno, Silvia Persico. Mancheranno queste sparate anche a Paletti?
«Io – dice Luca – credo che più che le sgasate, mi mancherà un po’ di abilità in bici. Le sgasate tra gare e allenamenti puoi riprodurle. E per questo credo che se anche non farò gare di ciclocorss qualche allenamento con quella bici lo farò. Magari nel giorno di scarico inforcherò la bici da ciclocross e mi divertirò a guidare e a tenere vive certe sensazioni».
Ha iniziato l’anno con un argento mondiale nel ciclocross. Su pista ha conquistato l’oro nell’inseguimento a squadre e nell’omnium. Fino all’apoteosi di Zurigo, con i trionfi a cronometro e nella gara in linea, senza neanche contare tutti i successi intermedi, fra pista e strada, che fanno di Cat Ferguson una vera dominatrice della categoria. Qualcosa di abbastanza simile a quel che era al tempo Remco Evenepoel e infatti la britannica ha “varcato il Rubicone” anche prima del previsto, passando professionista con la Movistar già a inizio agosto. Ma l’appuntamento con le maglie iridate era troppo appetitoso per farselo scappare…
Nel ciclocross la Ferguson aveva colto l’argento ai mondiali, battuta dalla francese GeryNel ciclocross la Ferguson aveva colto l’argento ai mondiali, battuta dalla francese Gery
Un paio di vittorie anche nella massima serie dimostrano che la britannica è già matura per importanti traguardi anche tra le “grandi” e attende con impazienza la nuova stagione. Ma intanto è giusto dare uno sguardo a quanto avvenuto e capire da dove è scaturita questa supremazia. La ciclista di Skipton, finalmente libera da impegni, si è sottoposta volentieri alle domande scaturite da un’annata da ricordare.
Quest’anno hai dominato la categoria juniores: in che cosa sei cresciuta di più rispetto alla scorsa stagione e da che cosa nasce tanta differenza?
Ovviamente sono più vecchia di un anno. Quindi con il tempo, l’età e più allenamento sono migliorata, ma non solo nelle prestazioni, penso di aver fatto un passo avanti in tutte le piccole cose che alla fine ti fanno fare il salto di qualità ed essere una ciclista migliore. Io dico sempre che molto conta dove vivo, la realtà intorno a me, che mi porta ad avere un atteggiamento sempre positivo e costruttivo in allenamento. Vivo nello Yorkshire e qui la cultura del ciclismo è molto profonda, condivisa. Da sempre, quando ci si allena in gruppo, presto diventa una gara. E questo alla lunga paga.
Con le compagne del Shibden Hopetech Apex con cui ha condiviso l’attività juniorCon le compagne del Shibden Hopetech Apex con cui ha condiviso l’attività junior
In quale maniera?
Mi ha permesso e mi ha insegnato a essere molto determinata e a non mollare mai. Uso questi principi in ogni cosa della vita, ma soprattutto nel mio allenamento. E penso che sia questo che mi ha portato a un certo successo.
Hai vinto sia corse d’un giorno che gare a tappe: dove ti trovi meglio?
Io preferisco le corse a tappe, soprattutto quelle che prevedono percorsi difficili, salite dure. Preferisco sempre fare selezione, avendo uno sprint buono ma nulla più, con molte atlete forse anche più dotate di me in questo. Certamente il tracciato di Zurigo era in questo senso l’ideale per me.
Ai mondiali su pista due medaglie d’oro dopo quella europea nella madison (foto X)Ai mondiali su pista due medaglie d’oro dopo quella europea nella madison (foto X)
Quanto è stato importante il passaggio anticipato alla Movistar?
Era maggio quando il contatto si è concretizzato, penso che come team siano davvero disposti a fare tutto il meglio per ogni singolo appartenente alla squadra. E’ una cosa che mi ha colpito moltissimo, guardano sì alle esigenze del team, ma anche e soprattutto a quelle del singolo, mettono tutto a disposizione per farlo rendere al meglio. Capisco che hanno grande fiducia in me, in quel che potrò fare e mi hanno subito fatto fare esperienze fra le grandi. Per me è più una famiglia che una squadra. Tutti vanno così d’accordo e lo staff è incredibile. Ogni corsa la vivono come se stessero pedalando loro…
Al di là delle vittorie mondiali, è sembrato spesso che la categoria ormai fosse troppo limitante per te. Quanto ti è servito correre contro le professioniste pur avendo solo 18 anni?
Non mi aiuta molto. Penso che correre con la mia generazione mi abbia insegnato molto in termini di tattica, ma soprattutto come imparare dai molti errori che anch’io ho fatto. Cose come la mia alimentazione e l’atteggiamento mentale verso le gare, si sviluppano tutte nelle gare junior più brevi. Entrando nelle gare pro’ io spero si tratti solo di estendere il mio protocollo nutrizionale e piccole cose del genere, continuando a migliorare e a crescere.
A Zurigo dominio nella crono con 34″ sulla Chladonova (SVK) e 36″ sulla Wolff (GBR)A Zurigo dominio nella crono con 34″ sulla Chladonova (SVK) e 36″ sulla Wolff (GBR)
Tu però hai già corso e vinto fra le grandi. Tra la vittoria ai mondiali e quella alla successiva corsa belga, la Binche-Chimay-Binche qual è stata più difficile?
Il mondiale, su questo non c’è alcun dubbio soprattutto considerando la posta che c’era in palio…
Continuerai a correre su pista e nel ciclocross?
La strada diventa ora il mio primo obiettivo, ma la pista resta nei miei programmi per tutti i benefici che dà e le prospettive che garantisce. Per il ciclocross vedremo, anche in base alla preparazione per la nuova stagione.
Nella prova in linea vittoria nello sprint ristretto, dopo l’argento dello scorso annoNella prova in linea vittoria nello sprint ristretto, dopo l’argento dello scorso anno
La Movistar ti ha inserito subito nel team principale, hai saltato completamente il devo team. Ti senti pronta per affrontare subito una stagione di WorldTour?
Non si può fare altrimenti. Non è come nel mondo maschile dove c’è una vera categoria U23, un calendario loro riservato, qui anche i devo team fanno attività di vertice. Quindi penso che sia giusto saltare direttamente il fosso e fare attività al massimo livello, anche se nel team sapranno come gestirmi. Io penso di essere pronta, ma continuerò a prenderla molto lentamente e serenamente, non farò le grandi gare in questo primo anno. Mi concentrerò ancora sul mio sviluppo anche se sono in una squadra del WorldTour, la mia priorità sarà migliorare e dare il mio apporto al team.
Quali sono le corse che pensi siano più adatte a te fra le grandi classiche e le corse a tappe?
Io credo che le classiche del Nord siano adatte ai miei mezzi, le esperienze che sto accumulando nelle prove belghe me lo confermano. Ma, ripeto, ci voglio arrivare per gradi, senza bruciare le tappe.
Volata d’autore alla Binche Chimay Binche. La Movistar ha trovato l’erede della Van Vleuten?Volata d’autore alla Binche Chimay Binche. La Movistar ha trovato l’erede della Van Vleuten?
Molti ti indicano protagonista ai prossimi Giochi Olimpici di Los Angeles. Il sogno olimpico che cosa rappresenta per te?
E’ davvero speciale, quasi una motivazione a fare quello che faccio. Le ho guardate sin da quando ero piccola e sognavo di andarci. Quindi è sicuramente un mio grande obiettivo. Al tempo dicevo che volevo competere in qualsiasi sport, ora ho trovato quello giusto…
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COMO – Erano tutti presi a salutare Dario Cataldo all’ultima corsa e nessuno si è soffermato a pensare che il Lombardia è stato l’ultima corsa anche per Paolo Barbieri. Gli addetti stampa arrivano dopo e stanno sempre un passo indietro. Infatti al bus della Lidl-Trek il bergamasco è arrivato per ultimo, proprio mentre stavamo salutando Ciccone fresco del podio dietro Pogacar e Remco.
Il ritiro di un addetto stampa, che oggi si dice press officer, riguarda le persone con cui ha lavorato: quindi la squadra e i giornalisti. Per il mondo fuori sono figure che si vedono raramente. Di fatto vivono accanto al corridore e hanno il compito, quando lavorano bene, di avvicinarlo alle richieste dei media. Un filtro e un interprete, capace di far capire al giornalista che l’atleta ha tempi ed esigenze e all’atleta che il giornalista ha ugualmente tempi ed esigenze. E Barbieri, nei 16 anni di collaborazione, ha sempre fatto la sua parte.
Perché dedicare un articolo a un addetto stampa che cambia lavoro? Perché il suo sguardo ha visto i nostri stessi corridori, ma dall’interno. Un punto di vista privilegiato attraverso cui rileggere alcuni momenti del ciclismo recente. Paolo, classe 1982, aveva 26 anni quando mise per la prima volta il naso in gruppo, al Giro delle Fiandre del 2008. Lo portò Gabriele Sola, che con la sua agenzia gestiva la comunicazione della Liquigas. Un primo assaggio prima di essere catapultato nel Giro d’Italia dello stesso anno. Quello delle tre tappe e la ciclamino di Bennati, di qualche giorno in rosa di Pellizotti e quello con Cataldo, Noé e anche Nibali. Cominciò tutto così, con un passaggio intermedio alla Bardiani quando la Liquigas divenne Cannondale, poi l’approdo nel gruppo Trek. E ora che ha deciso di cambiare lavoro, siamo curiosi di farci raccontare quello che lui ha visto e che a noi è per forza sfuggito.
Barbieri è arrivato alla corte di Luca Guercilena alla Trek-Segafredo e ha vissuto l’avvento di LidlBarbieri è arrivato alla corte di Luca Guercilena alla Trek-Segafredo e ha vissuto l’avvento di Lidl
I corridori
«I corridori sono persone altamente sotto pressione, dall’esterno e dall’interno. Non tanto le squadre, quanto le pressioni che si mettono da soli. I giovani passano con delle aspettative incredibili, è un carico che può schiacciarti. Sono ragazzi diversi rispetto a quelli che incontrai nel 2008, perché la tecnologia ha creato dei rapporti personali molto diversi. Sono ragazzi più preparati sotto tutti i punti di vista, forse troppo per l’età che hanno. In più sono globalizzati e questo secondo me è positivo. La cosa che secondo me non è mai cambiata è che i ciclisti sono consapevoli, forse per la fatica che fanno, della loro umanità. E non è mai cambiato il rapporto col pubblico. Sono un po’ meno accessibili, si sono creati un po’ di barriere, ma non ho mai visto un corridore negare un autografo.
«Se lavori con un campione, hai tanto lavoro in più, però è la parte più eccitante. Ti trasmette adrenalina, anche se non sono tutti uguali. Ci sono campioni che hanno dietro anche un background culturale e personale, con cui lavorare diventa molto più bello. Ciccone ad esempio è quello con cui ho speso più anni, sin dalla Bardiani. Con lui sono riuscito a creare un vero rapporto di amicizia, che è una cosa bella. Quello con il campione è un lavoro di grande mediazione. Non di rado capita di scontrarsi e ingoiare dei bocconi amari. Certe volte con qualcuno devi essere quasi il fratello maggiore…».
Lombardia 2020, si corre d’estate alla ripresa dal Covid. Barbieri è con NibaliLombardia 2020, si corre d’estate alla ripresa dal Covid. Barbieri è con Nibali
L’addetto stampa
«Anche questa è una figura che è cambiata tanto, più che altro per le tecnologie. Quando ho cominciato, il press officer era veramente al servizio della stampa, che era il principale veicolo delle immagini del team e del suo messaggio. Con l’avvento dei social network, tutto è cambiato. Adesso anche noi possiamo e vogliamo comunicare direttamente con i tifosi. Detto questo, io ho sempre ribadito ai miei colleghi più giovani e anche ai manager che le cose devono andare di pari passo.
«Sei tra l’incudine e il martello. Talvolta è un lavoro ingrato nei confronti della stampa. Dall’altra parte sei quello che va “rompere le scatole” al corridore per fare interviste, quando magari non ne hanno voglia. Una parte del nostro mestiere è far capire l’importanza e la bellezza di collaborare con i media. Poi sta alla sensibilità del giornalista tirar fuori qualcosa di più e, in quel caso, anche gli atleti più recalcitranti sono in grado di apprezzare».
Il primo Sagan, nel 2010, fu un’apparizione travolgente nel mondo del ciclismoIl primo Sagan, nel 2010, fu un’apparizione travolgente nel mondo del ciclismo
Peter Sagan
«Sapete cosa faceva scattare Peter? Perdere! Ricordo ancora una Tirreno-Adriatico, cronosquadre. Passano il traguardo col primo tempo. Io sono sulla linea d’arrivo e vedo che la Greenedge ci batte di due secondi. Arrivo lì e i ragazzi chiedono se dobbiamo andare al podio per la vittoria. Non ho neanche il tempo di dire che gli australiani hanno appena fatto meglio, che Peter sbotta. “Ma no! Vieni sempre a darci brutte notizie, ma com’è possibile?”. Lui quando perdeva era così. Tant’è che poi la sera venne a bussarmi in camera e si scusò per aver esagerato. La sua grandezza era anche questa.
«Peter è stato l’esperienza più bella della mia carriera (foto @brakethroughmedia in apertura, ndr). Ero giovane, andavo alle corse un po’ più leggero. Ricordo le esultanze del Tour, vederlo diventare una calamita. Era una rockstar e non aveva bisogno di essere filtrato o che tenessimo a bada i media. Direi che non ho ricordi di grandi problemi, a parte purtroppo l’incidente diplomatico sul podio del Fiandre che adesso sarebbe vissuto in maniera totalmente diversa. Peter è sempre stato una persona abbastanza aperta, in più si era creato un rapporto di fiducia tale che a volte ero anche il suo portavoce. Sapevo di non sbagliare, ma questa è una cosa che puoi fare passandoci molto tempo insieme. Quei primi anni furono il periodo più bello, poi credo che sia diventato un altro Peter».
E’ il 2012, a Parigi Nibali conquista il podio del Tour dietro Wiggins e FroomeE’ il 2012, a Parigi Nibali conquista il podio del Tour dietro Wiggins e Froome
Vincenzo Nibali
«Vincenzo è il corridore con cui ho lavorato alla Liquigas e che poi ho ritrovato dopo alla Trek-Segafredo. Non dico che non sia cambiato, però Vincenzo è così. Vincenzo non ha maschere, non recita. Da giovane era un ragazzo timido e introverso. Adesso è un uomo non più timido, ma comunque introverso. Con lui ci vuole tempo per costruire un rapporto, ma ovviamente averci lavorato prima mi ha facilitato. E’ stato come riannodare un filo dopo gli anni che aveva fatto con Geoffrey Pizzorni all’Astana. E’ un ragazzo cui devi spiegare bene le cose fino a convincerlo. Perché Nibali era focalizzato al 100 per cento sulla performance.
«L’unico rammarico che ho è che non abbia chiuso qua, cosa di cui avevamo anche parlato. Uno dei ricordi più belli che ho di lui è quando fece il podio al Tour de France, con Peter che vinse la maglia verde. Era il 2012 e fu un momento bellissimo, molto toccante. Vederlo sul podio emozionato, anche da italiano fu un momento da pelle d’oca!».
E’ il 2022 quando Elisa Longo Borghini in maglia tricolore conquista la Roubaix Femmes (@jojoharper)E’ il 2022 quando Elisa Longo Borghini in maglia tricolore conquista la Roubaix Femmes (@jojoharper)
Il ciclismo femminile
«E’ stato una bellissima scoperta. All’inizio le ragazze sono più diffidenti, ma credo sia normale. L’uomo è più compagnone, ma hanno lo stesso modo di intendere il ciclismo. Sono due mondi diversi. Pensate solo l’accesso al pullman: con gli uomini è libero, con le donne bisogna avere necessariamente più attenzioni. I livelli di stress sono differenti, a volte gli uomini sono più stressati. Le nostre campionesse, Lizzie Deignan e le due Elise, sono sempre molto sicure di loro stesse. E’ stata una bellissima scoperta dal punto di vista umano. Sono diverse, sono più profonde e la confidenza te la devi conquistare.
«Quando ci sono momenti delicati, devi fare un lavoro di protezione dall’ambiente esterno. Non si tratta di sostenerle, ma fargli capire che sono al sicuro. Sono molto più attente degli uomini rispetto a quello che viene scritto. Leggono di più, si informano, sono sensibili. Per cui è un lavoro molto più di mediazione, sapendo che sono molto attente anche a quello che dici. E alla fine si sono creati dei rapporti intensi».
Al Nord, Barbieri con Balsamo nel 2024: la vittoria di De Panne e il secondo posto della Gand (@twilcha)Al Nord, Barbieri con Balsamo nel 2024: la vittoria di De Panne e il secondo posto della Gand (@twilcha)
I giornalisti
«Negli ultimi due anni ho chiesto espressamente di essere riferimento dell’ufficio stampa. Avere a che fare con i giornalisti è la parte del lavoro che mi piace di più. I social li gestisco, ma preferisco coltivare i rapporti personali. Questo a volte contempla anche lo scontro, ma credo di lasciarmi bene col 90 per cento di voi. Sarà una liberazione, per tanti motivi, non sentirne più una piccola percentuale. Non certo per il lavoro, ma perché alcuni sono arroganti e pensano che il giornalismo sia intoccabile o quasi inappellabile.
«A me piace quando c’è un confronto, accetto anche che mi si dica il contrario. A volte arriviamo a un compromesso. Posso accontentarti su tutto, mentre a volte sono costretto a dire di no perché non si può».
Aver lasciato Milan alla vigilia della sua consacrazione è forse il solo rimpianto di Barbieri (@gettyimages)Aver lasciato Milan alla vigilia della sua consacrazione è forse il solo rimpianto di Barbieri (@gettyimages)
Il ritiro
«Smetto perché mi è arrivata una proposta che non è stata cercata. Ho un contratto, mi trovo bene, mi sento valorizzato. Sono nella squadra dove volevo essere, in una situazione perfetta. A casa ho una bambina che cresce bene, una moglie che mi vuole bene e che sopporta le assenze. Ho la serenità per riflettere e capire che a 42 anni, è meglio fermarsi così che arrivare più avanti e fermarsi perché non ne puoi più. Lo vedo che non tutte le corse sono ancora esaltanti come il primo giorno.
«Mi dispiace solo dover lasciare Johnny Milan nel pieno della sua esplosione. Ma arrivo a questo giorno dopo averlo comunicato alla squadra a luglio. Ho veramente avuto modo di decidere con la massima serenità. Ieri abbiamo fatto un brindisi con lo staff. Non vado via a cuore leggero, so cosa lascio. Ma si sa che per fare le scelte più belle, devi passare anche attraverso un po’ di dolore».
Mentre a Barcellona Team New Zealand e Ineos Britannia si giocano l’edizione 2024 della Coppa America, Paolo Simion prepara le valigie per il ritorno a casa. La trasferta catalana è stata tanto esaltante nella sua costruzione, nel suo “viaggio” quanto deludente nel suo epilogo sfortunato, con la netta sensazione che il risultato non rispecchi il valore della barca e dei suoi uomini. La sconfitta con i britannici guidati dal 4 volte campione olimpico Ben Ainslie fa male, ma col passare dei giorni emergono sempre più i lati positivi di quella che è stata a tutti gli effetti un’avventura, soprattutto per uno che veniva dal mondo del ciclismo.
Il veneto, 32 anni, ha corso fra i professionisti dal 2014 al 2021 (foto ufficio stampa Luna Rossa)Il veneto, 32 anni, ha corso fra i professionisti dal 2014 al 2021 (foto ufficio stampa Luna Rossa)
Ora è il momento di guardare avanti e Simion si trova davanti una pagina vuota tutta da scrivere: «Ci sono tante possibilità davanti a me. Ho iniziato a correre da giovanissimo e sono sempre andato avanti alla giornata, ma mi sono sempre inventato qualcosa, quindi il futuro non mi fa paura. Mi piacerebbe restare in questo mondo, questo è sicuro. Vedremo che cosa verrà stabilito per la prossima edizione, quando e dove si disputerà, che regole verranno imposte e quindi se i cyclor avranno ancora posto in barca, ma ci vorrà qualche mese. Non mi dispiacerebbe neanche tornare a lavorare con Rcs Sport come regolatore, il ciclismo d’altronde è e sarà sempre il mio mondo».
Ora che passano i giorni dalla grande sbornia di emozioni della Louis Vuitton Cup, che cosa ti resta?
E’ un caleidoscopio di sensazioni. E’ chiaro che in tutti noi c’è la delusione per come sono andate le cose perché siamo convinti che qualche piccolo episodio abbia fatto girare l’esito della sfida a nostro sfavore. Tutto il percorso compiuto però è stato fantastico. Mi sono ritrovato a fare parte di un gruppo unito ed enorme, avevi davvero la sensazione che in barca fossimo tutti e 130 componenti la spedizione a navigare. Poi c’è l’esperienza lavorativa: io avevo sempre corso in bici, mi sono ritrovato a imparare tantissime cose, gli impieghi più diversi, dall’elettronica all’idraulica alla logistica. Sono un’altra persona rispetto a quando ho iniziato.
Tra le possibilità future anche un ritorno sulla moto RCS come regolatoreTra le possibilità future anche un ritorno sulla moto RCS come regolatore
Un ciclista come te che cosa ha ritrovato del suo background in questo mondo?
Più di quanto si pensi. Innanzitutto lo stakanovismo: è veramente un lavoro nel quale metti tutto te stesso, devi avere metodo e costanza, essere sempre pronto altrimenti rischi il flop. E’ un mondo altamente specializzato, ma a ben guardare anche il ciclismo lo sta diventando sempre di più e questo comporta che ci si chiude. Ma eventi come questo servono anche per aprirsi a nuovi spazi, farsi conoscere.
E che sapore hanno vittoria e sconfitta, lo stesso di quello che hai assaporato sulle strade?
Bella domanda. Qui ci sono differenze sostanziali. Questo evento si vive una volta ogni 2 o 4 anni, lavori mesi, anni e poi ti giochi tutto in pochissimo tempo. E’ un po’ il principio delle Olimpiadi ed è questo che attribuisce tanto fascino a questa competizione. Il feeling è completamente diverso da una qualsiasi corsa ciclistica, salvo forse proprio quella olimpica. Poi c’è anche qualche aspetto strano, unico. Ad esempio l’importanza del vento: si può regatare solo entro un certo range di velocità del vento. Ti trovi così a stare fermo lì alla partenza anche mezz’ora abbondante e devi essere bravo a non pensare, a non stressarti troppo nell’attesa, ma essere pronto quando scatta il momento buono.
Luna Rossa è arrivata fino alla finale di Louis Vuitton Cup, perdendo 7-4 contro Ineos Britannia (foto ufficio stampa Luna Rossa)La particolare posizione dei cyclor, quattro in tutto: due su ognuno dei due lati (foto ufficio stampa Luna Rossa)La sfida italiana è già stata lanciata per la prossima edizione, probabile per il 2026 (foto ufficio stampa Luna Rossa)Luna Rossa è arrivata fino alla finale di Louis Vuitton Cup, perdendo 7-4 contro Ineos Britannia (foto ufficio stampa Luna Rossa)La particolare posizione dei cyclor, quattro in tutto: due su ognuno dei due lati (foto ufficio stampa Luna Rossa)La sfida italiana è già stata lanciata per la prossima edizione, probabile per il 2026 (foto ufficio stampa Luna Rossa)
Avete dovuto gestire una pressione enorme, quando c’è l’America Cup tutti diventano esperti di vela…
E’ vero, sentivamo che c’era un’attesa incredibile, ma in barca eravamo tutti sportivi. Oltre a me c’erano velisti, canottieri, rugbysti. Tutta gente che ha affrontato mondiali, Olimpiadi e grandi avvenimenti. Sapevamo come sdrammatizzare, l’importante era fare quel che si è abituati, saper gestire ogni frangente.
Come gestisci la delusione?
Il dispiacere c’è, inutile negarlo, anche se le vittorie delle ragazze e anche nella competizione giovanile hanno dimostrato che il gruppo era davvero valido e di primissimo livello. Perché abbiamo perso? Al di là delle contingenze, abbiamo avuto un avversario forte, abbiamo pagato la legge dello sport come sempre avviene. Ma se guardiamo a com’è andata la Louis Vuitton Cup resta una prestazione enorme, la capacità di risalire sempre dopo ogni colpo. Lo sport insegna che dopo ogni avversità ti rimbocchi le maniche e risali ed è quello che abbiamo sempre fatto.
Per Simion il futuro su Luna Rossa dipende dalle nuove regole che verranno stabilite dai vincitoriPer Simion il futuro su Luna Rossa dipende dalle nuove regole che verranno stabilite dai vincitori
A te però perdere da Ineos deve aver dato una sensazione diversa, dopo tante corse vissute contro quel marchio anche nel ciclismo…
In questo senso i parallelismi ci sono. Ineos investe sempre sul progresso tecnologico, lo ha fatto per anni anche nel ciclismo, era naturale che una sua creatura velica andasse veloce, utilizzando anche i migliori specialisti in ogni campo, da Ainslie in poi. Sono stati bravi a progredire piano piano, a lavorare, magari hanno anche scoperto qualche alchimia tecnologica che ha cambiato i valori in campo. Noi comunque ora dobbiamo voltar pagina e pensare alla prossima sfida, per prenderci la rivincita perché sappiamo che possiamo farlo.
Ad alti livelli Mirco Maestri ci sa stare. Ci può stare. Lo ha dimostrato, una volta per tutte, durante il campionato europeo, quando per la prima volta da professionista ha indossato la maglia azzurra. Il corridore della Polti-Kometa è stato decisivo su strada e protagonista nella crono del team relay, dove addirittura ha vinto l’oro.
Una gran bella stagione insomma per Maestri. Un buon Giro d’Italia, degli incoraggianti piazzamenti in estate e appunto il super europeo in Belgio. «Ma ora – dice lui – sono un po’ stanco. Sto bene, tanto è vero che ho chiesto di fare ancora una gara, il Giro del Veneto, ma da giovedì sera sarò in vacanza».
Tra l’europeo e la fuga al Giro con Alaphilippe la popolarità di Maestri è cresciuta anche all’estero: eccolo al Tour du LimousinTra l’europeo e la fuga al Giro con Alaphilippe la popolarità di Maestri è cresciuta anche all’estero: eccolo al Tour du Limousin
Mirco, partiamo proprio da quanto detto: una bella stagione, giusto?
Sì bella, ma io sono anche autocritico… e c’è sempre da migliorare. E’ stata una stagione lunga, impegnativa, ma che ha dato i suoi risultati. E la convocazione in azzurro.
Insistiamo su quest’ultima: te l’aspettavi?
Al Giro d’Italia qualche battuta Bennati me la fece. Ma sai, sull’entusiasmo e qualche buona prestazione del momento è una cosa, col passare del tempo invece le cose cambiano. E io infatti non mi ero illuso. A luglio, prima di andare in ritiro a Livigno, Stefano Zanatta, mi fa: «Mirco, prendila con le pinze, ma sei nella rosa della nazionale per l’europeo». Sin lì si parlava solo della strada. Dopo tre giorni, Zanatta mi conferma che ero nella rosa ristretta. Mi dice di dimostrare di essere forte, qualcosa che avrei saputo fare. A quel punto il mio mood era al 200 per cento sulla nazionale. Era tutto vero!
Possiamo immaginare…
Davvero non ho lasciato nulla al caso. Realizzavo il sogno di indossare la maglia azzurra. Io credo sia il massimo per un atleta professionista, di ogni sport, rappresentare la propria nazione. Sin lì l’avevo vista come una cosa inarrivabile. Tanto più che io sono in una professional e non sempre ho la possibilità di stare con i migliori corridori, nelle migliori gare. Il calendario di una professional è diverso da quello di una WorldTour. Però ho sfruttato bene la continuità che mi aveva dato il Giro e la mia costanza di rendimento.
L’emiliano (casco bianco) tra i giganti senza nessun timore. In azzurro si è fatto più che valereL’emiliano (casco bianco) tra i giganti senza nessun timore. In azzurro si è fatto più che valere
Però, nonostante il non essere in un team WorldTour, a livelli alti hai dimostrato che Mirco Maestri ci sa stare. Molto bene su strada, addirittura benissimo a crono.
A crono ero un bel po’ preoccupato, non tanto fisicamente o per i miei numeri, ma perché è noto che le squadre WorldTour curano in modo ben diverso questa disciplina: materiali, body, posizioni… In più io un Team Relay non l’avevo mai fatto e all’inizio non si parlava di questa gara per me. Me lo hanno detto due settimane prima. L’Italia voleva vincere: avevo una pressione non indifferente. L’ultima cronosquadre che avevo fatto ero ancora con la Bardiani e la facemmo per andare all’arrivo. In tre, invece, è ancora tutto più tecnico.
Tu hai un altro anno di contratto con la Polti-Kometa e va benissimo, ma appunto quei calendari sono diversi e a quei livelli ti ci misuri meno…
Per me questa esperienza è motivo di orgoglio. Noi delle professional dobbiamo prendere i ritagli di quel che resta. Dobbiamo anticipare e sperare nella “corsa nella corsa”. Come poi è andata quel giorno con Alaphilippe. Poi è chiaro che devi stare bene. Io in quella tappa ho fatto una delle mie migliori prestazioni assolute, ma ripeto… abbiamo anticipato.
Alaphilippe e Maestri in fuga al Giro. Partirono quando mancavano 124 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblicoAlaphilippe e Maestri in fuga al Giro. Partirono quando mancavano 124 km al traguardo. Due corridori che piacciono al pubblico
Chiaro…
Mentre all’europeo ho corso come in una WorldTour e mi ci sono trovato bene, anche se mai avevo gareggiato così in precedenza e cioè controllando la corsa, avendo il capitano dietro da proteggere. Ed è quello che potrei fare in una squadra grande. Io sono più abituato ad attaccare liberamente. Mi ha fatto piacere quel che mi ha detto Trentin: «Non c’è bisogno che dica niente. Lavori bene». E’ anche vero che ho 33 anni e 10 anni di professionismo: ce ne vuole per crescere e non imparare nulla!
E invece quanta consapevolezza ti ha dato questa esperienza? Il prossimo anno parti con le spalle più grosse?
Ammetto che qualcosa è cambiato dal giorno della fuga al Giro con Alaphilippe. Ora in gruppo mi conoscono un po’ di più, anche gli stranieri. Sono più preso in considerazione perché ho dimostrato di avere motore. E forse è proprio quel giorno che ha influito sulla mia convocazione in azzurro. Anche Bennati forse ha ragionato così. Ho visto che preparandomi al 100 per cento qualche soddisfazione personale posso togliermela. Non dico vincere, che per me resta difficile, ma qualche piazzamento in più sì. Anche al Poitou-Charentes, per esempio, se non fosse stata per una fuga nell’ultima tappa avrei fatto secondo nella generale (ha finito sesto, ndr) dopo il secondo posto nella crono.
Dopo l’esperienza all’europeo, Mirco ha gareggiato a crono con il casco della nazionale: stesso brand ma modello leggermente diverso da quello del team
Una bella motivazione…
Io la vivo serenamente. Ma a fine stagionecancelloquel che ho fatto. Ogni anno cerco di ripartire come se fosse il primo anno da professionista. E’ un modo per mantenere vivi gli stimoli, per ripartire con tanti “dubbi” e tanta grinta. Dopo oltre dieci anni la passione per me è sempre la stessa. Voglio dare il massimo per me e per la squadra. Vi dico questa…
Vai…
Ivan Basso mi ha voluto in questa squadra e ci sono andato nonostante avessi pronto un contratto di due anni con la Bardiani. Lui me ne offriva uno. Ma ho rischiato. Ho sentito la fiducia sua e quella di Zanatta, due che hanno colto i grandi successi della Liquigas. Per me la Bardiani era la squadra di casa: ho pianto due giorni dopo che l’avevo lasciata. Ivan è stato il primo a chiamarmi dopo la crono dell’Europeo. Gli ho detto che se ero lì, era grazie a lui. A lui e a Zanatta, che mi fanno sentire importante, mi danno fiducia e responsabilità. A volte anche piccole parole solo per aver portato il velocista all’ultimo chilometro fanno bene. Piccole cose che spesso si danno per scontate, ma fanno bene. A livello psicologico danno una marcia in più.
Il giorno prima che partisse il Giro, il Team Polti è uscito con le bici da crono. C'era da provare la nuova protesi Jet Hydro realizzata da Deda Elementi
Correre il mondiale tre giorni prima di sposarsi. Correre il Simac Ladies Tour pochi giorni dopo averlo fatto. Nell’autunno di Elisa Balsamo e Davide Plebani c’è stato anche questo, con la coloratissima festa nel mezzo in cui gli sposi hanno proposto agli invitati un dress code non comune. Abbiamo sempre pensato che per fare i corridori serva uno spirito libero. Oppure semplicemente lo stesso tocco di originalità che ha fatto del loro matrimonio una festa variopinta e allegra.
«Abbiamo deciso per il primo ottobre perché sognavamo di fare una cosa all’aperto – dice Elisa con allegria contagiosa – e se avessimo aspettato la fine di ottobre, non sarebbe stato possibile. Alla fine il tempo è stato dalla nostra parte. Siamo riusciti a fare quello che volevamo e sapevo che dopo avrei ancora dovuto correre. Il mondiale invece è stato una chiamata dell’ultimo momento. Sono stata più che contenta di aiutare la squadra, soprattutto perché Sangalli mi aveva detto subito il mio compito sarebbe stato aiutare nei primi 70 chilometri, affinché Elisa Longo Borghini potesse prendere il circuito davanti. E alla fine c’è una grande differenza fra andare a una gara e avere le pressioni di essere il capitano o farlo come è stato a Zurigo. Sapevo di dover dare comunque il massimo, ma senza la pressione del risultato».
Il matrimonio fra Elisa Balsamo e Davide Plebani si è celebrato il 1° ottobre sul Lago d’Iseo (Instagram/@hardyccphotos)Il matrimonio fra Elisa Balsamo e Davide Plebani si è celebrato il 1° ottobre sul Lago d’Iseo (Instagram/@hardyccphotos)
Come è stato ritrovarsi in gruppo con alcune compagne che erano state al tuo matrimonio?
Abbiamo riso parecchio. Ad esempio con Yaya (Sanguineti, ndr), nelle prime tappe scherzavamo dicendo che stessimo ancora sudando gin tonic. Però alla fine io sono stata contenta di correre perché purtroppo a causa della caduta sono andata in forma alla fine della stagione e il Simac mi ha dato la possibilità di portare a casa qualche risultato. Mi sentivo ancora in crescita e quindi alla fine è valsa la pena di andare a correre.
Se sei ancora in condizione, allora potevi andare ai mondiali su pista, no?
Diciamo che lì è un discorso un po’ diverso e alla fine rimango ferma sulla decisione che ho preso alle Olimpiadi. E’ una ferita ancora aperta, ne ho parlato anche con Marco. Ho bisogno di prendermi un po’ di pausa dalla pista. Questo non vuol dire che non ci andrò più, assolutamente. Comunque mi piace e penso che sia importante anche per la strada. Però ho deciso che questo mondiale lo guarderò da spettatrice.
Cancellate le Olimpiadi, si può dire che dal Romandia in avanti la stagione si è raddrizzata?
Sì. Sono molto contenta della mia primavera, però la caduta ha distrutto tutto. Anche a Burgos mi sentivo bene e poteva essere un buon avvicinamento per le Olimpiadi. Però purtroppo con i se e con i ma ormai non si va da nessuna parte. Tenevo tantissimo ad andare a Parigi e ho fatto l’impossibile esserci, ma purtroppo la condizione era quella che era. Al Romandia sono tornata a vincere ed è stata una grande soddisfazione. All’europeo ho riconosciuto delle belle sensazioni. Forse è la prima volta che finisco una stagione non esausta e potrebbe essere una buona cosa riprendere il prossimo anno da dove mi sono fermata.
Il 6 settembre a Losanna, oltre 5 mesi dall’ultima vittoria, Balsamo torna al successo nel Tour de Romandie. Battuta KopeckyIl 6 settembre a Losanna, Balsamo torna al successo nel Tour de Romandie. Battuta Kopecky
Dopo la medaglia di bronzo di Davide a Parigi, scrivesti in un messaggio che si era trattata della più grande emozione di sempre legata al ciclismo. Ti va di mettere in fila le emozioni di questa stagione?
Sicuramente il matrimonio sopra ogni cosa di sempre, però non c’entra con la bici. Parlando di sport, vedere Davide vincere il bronzo è stata davvero una delle cose più belle. E’ stato davvero emozionante e in qualche modo mi ha fatto fare pace anche con quel velodromo. La vittoria al Romandia è stata la più bella di quest’anno, per tutto quello che c’è stato dietro. La vittoria al Binda è stata un’altra grande emozione. Il secondo posto alla Roubaix all’inizio è stata una grande delusione. Però poi quando sono tornata a casa, mi sono resa conto che se me l’avessero detto prima, avrei messo la firma. Davvero non immaginavo di poter arrivare lì a giocarmi una gara del genere. E forse questo mi ha aiutato ad aprire gli occhi e capire che ce la posso fare, che può essere nelle mie corde. Quindi quel secondo posto si è trasformato in una sensazione molto positiva.
Quante volte nella tua testa hai rifatto quella volata contro Lotte Kopecky?
All’inizio ci ho pensato un po’ di volte, adesso però basta. Penso che uno dei miei punti di forza sia quello di riuscire abbastanza facilmente a lasciare le cose alle spalle e andare avanti. Ovviamente la riguardi per imparare dagli errori. Però una volta che ho capito che magari avrei potuto aspettare un attimo di più a lanciare la volata, basta. L’ho capito e ci riproveremo l’anno prossimo. Ormai questo è andato.
Secondo te il matrimonio cambierà di tanto la vita, oppure eravate già sposati e non lo sapevate ancora?
Secondo me sarà così. Era già qualche anno che vivevamo insieme, quindi in realtà a livello pratico non cambia nulla. Però penso che sia stata veramente una giornata splendida per noi. Abbiamo fatto una bella festa insieme alle persone a cui vogliamo più bene. Penso che sia stato bello coronare la nostra storia col matrimonio che per noi è una cosa importante, un percorso di vita.
A Zurigo, per dare man forte a Longo Borghini: i mondiali di Balsamo a 3 giorni dalle nozzeA Zurigo, per dare man forte a Longo Borghini: i mondiali di Balsamo a 3 giorni dalle nozze
Le foto e tutti quei colori davano un grande senso di allegria…
Diciamo che abbiamo alimentato la fantasia dei nostri ospiti. Il nostro dress code era “un tocco di pazzia”. Volevamo che ciascuno potesse esprimersi come meglio credesse, non volevamo imporre nulla e lasciare la libertà. In realtà è venuta una cosa bellissima, perché a noi piacciono le cose colorate e sembravamo quasi tutti abbinati. Eravamo talmente colorati, che sembrava quasi fatto apposta.
A proposito di colori, la tua maglia Santini con gli unicorni diventerà la maglia di una nuova squadra giovanile. Come è andata?
Diciamo che quando purtroppo la Valcar ha chiuso, Davide ed io ci siamo guardati e abbiamo detto che sarebbe stato bello fare qualcosa per aiutare le ragazze. Alla fine se io sono arrivata dove sono, è perché ho sempre trovato qualcuno che mi ha aiutato. E soprattutto la Valcar è stata un punto di riferimento importante. Così ne ho parlato con Davide Arzeni e abbiamo cercato di unire le forze. Io ho deciso di sponsorizzare questa squadra appena nata e dare il mio supporto. Quanto alle divise, visto che piacevano, abbiamo deciso di usare quell’idea per la squadra.
L’ultima domanda, restando collegati alla Valcar. Quando sei ripartita al campionato italiano, dicesti di aver pensato anche di mollare. Una tua ex compagna, Marta Cavalli, non è ancora tornata in gruppo, pagando il conto delle troppe cadute. Esiste una ricetta per venirne fuori oppure ognuno la vive a modo suo?
Questa è una domanda molto interessante. Io credo che sia diverso per ciascuno, per cui posso parlare per me. Una cosa è molto importante: le persone che ti circondano. Per me il supporto di Davide, della mia famiglia, delle persone di cui mi fido, anche della squadra, dello staff che lavora sempre con me, è stato fondamentale. Da soli per me non si riesce ad andare oltre dei momenti così difficili. Farsi male è veramente una cosa brutta, avere dolore fisico è proprio brutto. Quindi secondo me da soli non è possibile ed è per questo che io ho sempre creduto nell’importanza del sapermi circondare magari di poche persone, però di grande fiducia. E alla fine in questi due anni si è rivelata la scelta vincente.
Il secondo posto agli europei dietro Wiebes è stato la conferma delle buone sensazioni di Balsamo al RomandiaIl secondo posto agli europei dietro Wiebes è stato la conferma delle buone sensazioni di Balsamo al Romandia
Quando sei lì, diciamo nel buco nero, fa più male più il ricordo del dolore provato o la paura che possa succedere di nuovo?
Devo dire che, tra virgolette, sono stata fortunata. La prima caduta è successa in una dinamica di gara che per fortuna non succede spesso, forse se fosse stata una caduta di gruppo sarebbe stato diverso. Invece quest’anno la mia fortuna più grande è stata che io della caduta a Burgos non mi ricordo nulla. Quando chiudo gli occhi, mi succede spesso di rivivere la mia caduta alla Ride London. Chiudo gli occhi e, senza che io lo decida, mi trovo quell’immagine e questo può spaventare e bloccarti. Invece della Spagna non mi ricordo niente, non so neanche bene cosa sia successo. Ho riguardato le immagini, però in realtà per me è un buco nero. E questo mi è stato di grandissimo aiuto.
Vuoi dire che la botta in testa a qualcosa è servita?
Esatto (ride, ndr).
E’ tempo di vacanze ora?
Sì, partiamo lunedì prossimo e ci facciamo una bella luna di miele. Stati Uniti Occidentali e Hawaii. Ci rivediamo in Spagna al primo ritiro. Adesso per un po’ si pensa ad altro, come quando ti sposi e hai solo voglia di sparire.
Giorgia Bronzini in Australia ha vinto il suo primo mondiale. Un trionfo inaspettato ma studiato. La piacentina racconta e dà consigli a Balsamo e Zanardi
Quella che scatta mercoledì a Ballerup in Danimarca è un’edizione dei mondiali su pista abbastanza particolare. Intanto perché ha un programma di gare piuttosto ristretto, contenendo tutti i titoli in soli 5 giorni. Poi perché arriva al termine di una stagione che definire stressante è dire poco, con l’appuntamento olimpico che ha catalizzato ogni sforzo. Dalla Danimarca si riparte, con il mirino puntato verso Los Angeles 2028 e il cittì Villa lo sa bene.
L’impianto danese di Ballerup che ospiterà le gare iridate dal 16 al 20 ottobreL’impianto danese di Ballerup che ospiterà le gare iridate dal 16 al 20 ottobre
Il tecnico pluriosannato per i suoi successi continui in sede olimpica riparte per un’avventura diversa rispetto a quella appena conclusa: «Sapevamo dall’inizio della stagione che c’era questo appuntamento, per me ha un senso come per la strada ci sono le classiche italiane come il Lombardia o le corse cinesi. Abbiamo preparato quest’appuntamento come facciamo sempre, a Montichiari con i ragazzi che sanno bene come sia l’inizio di un lungo cammino».
Che mondiali ti aspetti?
Un appuntamento che ha un valore, proprio perché per noi come per gli altri significa iniziare un percorso con un obiettivo lontano nel tempo. Per ora di Los Angeles non sappiamo nulla, neanche quale sarà il cammino di qualificazione e quando inizierà, quindi questi primi anni serviranno per far crescere i giovani, per rinnovare le squadre. Proprio quel che nel quadriennio precedente, accorciato per il Covid, è mancato. Molti protagonisti di Parigi hanno mollato, altri hanno scelto programmi diversi, noi possiamo dare spazio a chi ha tanto lavorato in sede di qualificazione olimpica non trovando poi spazio e a quei giovani che possono acquisire esperienza correndo con i big.
Jonathan Milan affronterà l’inseguimento individuale, dove vanta due titoli europeiJonathan Milan affronterà l’inseguimento individuale, dove vanta due titoli europei
I protagonisti di Parigi ci saranno? Ganna ha già detto di voler mettere la pista un po’ da parte…
Filippo aveva già chiarito a inizio stagione come i mondiali non facessero parte dei suoi programmi. Si concentrerà sulla strada, ma siamo già d’accordo che quando si ricomincerà a parlare di Olimpiadi riaffronteremo il discorso. Milan ha chiesto di non partecipare al quartetto e concentrarsi sull’inseguimento individuale. Consonni farà l’omnium e la madison, Viviani le prove endurance non olimpiche come scratch, mentre l’eliminazione è lo stesso giorno della madison, vedremo come gestirci. Quindi daremo spazio nel quartetto a chi ha fatto le qualificazioni e tutto il percorso olimpico rimanendo poi fuori, come Boscolo, Galli, introdurremo Favero che ho visto molto bene in allenamento e altri giovani che inizieranno il loro cammino al massimo livello.
Il quartetto sarà rinnovato, permettendo a molti giovani di fare esperienzaIl quartetto sarà rinnovato, permettendo a molti giovani di fare esperienza
E fra le ragazze?
Fra loro ci saranno quasi tutte le reduci di Parigi, anche se la Guazzini l’ho vista molto stanca mentre non ci sarà la Balsamo con cui ho parlato a lungo. Elisa vuole cancellare l’esperienza di Parigi e ripartire direttamente nel 2025. Le altre ci saranno tutte con l’inserimento della Venturelli che torna alle gare dopo l’infortunio di luglio. Per lei non sarà facile, ma sarà utilissimo, è stato un vero peccato quell’infortunio molto più complicato del previsto. Non è certo al massimo, ma già essere nel gruppo le servirà.
Con Parigi alle spalle, un altro cammino che inizia è quello del settore velocità al quale ora si cominciano a chiedere passi in avanti…
E’ vero, puntiamo molto sui ragazzi di Quaranta. Parigi è arrivata troppo presto per il gruppo che è il più giovane del lotto internazionale, ora ci sarà anche la possibilità di inserire nuovi elementi come l’iridato junior Del Medico, il che comporterà concorrenza interna che favorirà ulteriori progressi. Hanno 4 anni davanti, ma soprattutto queste prime rassegne internazionali saranno importanti per cercare nuovi spazi sfruttando le assenze altrui. I risultati andranno presi con le pinze, è chiaro, ma devono fare il salto di qualità e su questo anche Amadio nella riunione con i ragazzi è stato chiaro, dando il giusto sprone per crescere.
Elisa Balsamo ha scelto di non esserci, tornerà su pista il prossimo annoElisa Balsamo ha scelto di non esserci, tornerà su pista il prossimo anno
Tu come affronti questa trasferta? Il quadriennio olimpico sta per scadere, sono in vista le elezioni e quindi tutto è in ballo come ogni 4 anni…
Io sono sempre tranquillo. Dopo Rio 2016 avevamo una medaglia, dopo Tokyo 2, ora veniamo da 3 medaglie olimpiche. Parlano i risultati, superiori a quelli del passato, ma se ero tranquillo allora, devo a maggior ragione esserlo adesso. E non parlo solo degli elite, a livello giovanile raccogliamo allori ogni anno, significa che abbiamo costruito un modello virtuoso di ricambio generazionale continuo. La possibilità di lavorare bene e fare ancora meglio c’è, poi vedremo quel che sarà.
Terza tappa del Giro delle Regioni a Osoppo, ma il più atteso non c’era. Stefano Viezzi, campione del mondo juniores, ha saltato l’appuntamento e non si sa quando tornerà alle gare. Un guaio fisico? No, c’è da risolvere una questione delicata, legata al suo cambio di squadra.
Che ci fosse qualche problema lo avevamo capito in settimana, quando sul profilo Instagram di bici.PRO il Fan Page Viezziofficial aveva commentato la story dell’articolo su Salvoldi e i suoi ragazzi: “In primo piano il campione del mondo Viezzi. In questi giorni boicottato dalla sua squadra DP66. Incredibile storia tutta italiana”.
Per Viezzi la maglia iridata resta ben custodita nel cassetto. Da U23 tutto ricominciaPer Viezzi la maglia iridata resta ben custodita nel cassetto. Da U23 tutto ricomincia, ma con grandi ambizioni
Era importante saperne di più e Viezzi non si è tirato indietro, spiegando con garbo la situazione: «Domenica scorsa a Tarvisio era andato tutto bene, ma la società non voleva che gareggiassi con le mie nuove bici. Il team utilizza le Dynatek, ma io sono passato alla Canyon. Con il team ci siamo chiariti, ma a Osoppo non mi hanno iscritto. Ora aspetto il loro nullaosta, essendo fino a fine dicembre ancora junior per la Federazione anche se nel ciclocross gareggio già da U23. Poi potrò cambiare squadra».
Dopo la vittoria del titolo mondiale ti sono arrivate proposte, anche da team stranieri?
Molte, da valutare bene considerando anche il mio futuro su strada.
Viezzi in gara a Tarvisio. Da notare il telaio coperto dall’adesivo del team (foto Billiani)Viezzi in gara a Tarvisio. Da notare il telaio coperto dall’adesivo del team (foto Billiani)
D’altronde il tuo profilo corrisponde in maniera pressoché perfetta a quelli che cerca l’Alpecin Deceuninck. E’ quella la tua destinazione? Il marchio delle bici è più che un indizio…
Non ci sono solo loro che fra i team WorldTour o altri permettono la doppia attività. Attendiamo che la situazione si sblocchi e poi potrò annunciare il passaggio alla nuova squadra.
La prima tua apparizione da under 23 com’era andata?
Non era stata propriamente semplice, considerando che sono dovuto partire quasi dal fondo e che in partenza ho subìto qualche intoppo. Poi però mi sono trovato bene, anche oltre le mie aspettative considerando che per la prima volta affrontavo una gara da un’ora, quando da junior si arrivava a 40 minuti. Sicuramente la condizione acquisita su strada mi ha dato una mano. Mi aspettavo dei disagi che invece non ci sono stati.
Per l’iridato del cross subito una vittoria su strada, alla Coppa Palazzolo con 2’40” sul gruppoPer l’iridato del cross subito una vittoria su strada, alla Coppa Palazzolo con 2’40” sul gruppo
Della delicata situazione contrattuale hai parlato anche con il cittì Pontoni, che è legato al tuo vecchio team?
Sì, ma giustamente non vuole entrare nello specifico. Mi ha detto comunque che vorrebbe che gareggiassi il più possibile anche perché l’approccio con la nuova categoria è delicato e già a novembre ci sono obiettivi importanti come l’europeo.
La stagione su strada com’è stata nel suo complesso?
Un po’ strana a dir la verità. Ero partito bene con una vittoria alla Coppa Palazzolo il 1° aprile, ci tenevo a far bene all’Eroica e la prima tappa avevamo già conquistato un bel terzo posto nella cronosquadre, ma il giorno dopo sono caduto fratturandomi una clavicola. La ripresa è stata più lunga del previsto, anche perché la frattura era nella parte esterna vicino alla spalla, quella dove porto la bici nel ciclocross. Ho fatto una lunga riabilitazione, alla fine sono tornato a gareggiare a fine agosto.
In 600 in gara a Osoppo nella terza tappa del Giro delle Regioni, che tornerà il 3 novembre (foto BIlliani)In 600 in gara a Osoppo nella terza tappa del Giro delle Regioni, che tornerà il 3 novembre (foto Billiani)
Da lì le cose come sono andate?
Non ho avuto molto tempo per ritrovare il giusto colpo di pedale in gara, ma alla fine ho trovato un paio di buoni piazzamenti al Lunigiana che mi hanno dato fiducia, permettendomi anche di chiudere 7° in classifica. Io comunque a settembre ero già mentalmente proiettato verso la stagione del ciclocross, ma posso dire che quella è stata la gara dove mi sono trovato meglio. Ci tengo a far bene nel mio approccio con la nuova categoria, prima nel ciclocross e poi su strada.
Cominci a sentirti anche stradista oltre che crossista?
Sono due cose molto diverse. Nell’attività invernale la preparazione è diversa ma anche gli spazi tra una gara e l’altra. Almeno da junior su strada avevamo praticamente gare nel weekend e il resto allenamento, nel ciclocross ci sono eventi a getto più continuo. Ma io credo che se vuoi fare questo mestiere ti abitui a qualsiasi siano le necessità.
Dopo Tarvisio, Osoppo: Bertolini svetta su Ceolin e Scappini (foto Billiani)Terza vittoria per la Borello, ma la Papo l’ha messa a dura prova (foto Billiani)Esordio con la maglia Fas Airport Service Guerciotti per la Bramati, quarta (foto Billiani)Secondo successo stagionale per lo junior Mattia Agostinacchio (foto Billiani)Dopo Tarvisio, Osoppo: Bertolini svetta su Ceolin e Scappini (foto Billiani)Terza vittoria per la Borello, ma la Papo l’ha messa a dura prova (foto Billiani)Esordio con la maglia Fas Airport Service Guerciotti per la Bramati, quarta (foto Billiani)Secondo successo stagionale per lo junior Mattia Agostinacchio (foto Billiani)
Avresti problemi a trasferirti in un team estero?
Penso che nel ciclismo d’oggi, problemi non li abbia nessuno, anzi se hai ambizione lo metti in preventivo. L’importante è l’organizzazione che trovi e, per me, la possibilità di seguire entrambe le discipline.
Come ti sei trovato al tuo approccio con una gara diversa da quelle già affrontate sui prati come a Tarvisio, lunghezza a parte?
Era tutto abbastanza nuovo, soprattutto gli avversari, gente che calca quei palcoscenici anche da una decina d’anni. Per me imparare a conoscerli è importante in questa fase. So che nell’ambiente tutti mi stanno con gli occhi addosso come se la maglia iridata ce l’avessi sempre indosso, anche se non posso indossarla. Ma io sono tranquillo, quel che dovevo dimostrare l’ho fatto vedere nella passata stagione, ora affronto le gare sicuro di me, anche se ognuna sarà una scoperta. Ma non nego che ho grandi ambizioni, l’importante è sbrogliare la situazione quanto prima.
GRASSOBBIO – La singolare coincidenza dello stesso hotel alla vigilia del Lombardia ha fatto sì che l’ufficio stampa della Soudal-Quick Step abbia incontrato Gianmarco Garofoli per realizzare il contenuto pubblicato stamattina alle 11. Dopo la Vuelta le trattative hanno avuto una rapida accelerazione. Nei giorni del mondiale avevamo saputo dell’interessamento della squadra belga, l’accordo è arrivato subito dopo. Dal prossimo anno, Garofoli correrà alla corte di Lefevere, guidato da Davide Bramati. Se c’è qualcosa da tirare fuori, questa potrebbe essere la squadra giusta.
«Sono veramente molto emozionato per questa possibilità – dice Garofoli – perché vado in una squadra che ha anche una grande storia. Le emozioni contano veramente tanto. Mi sembra di vivere il mio sogno di quando ero bambino. Far parte di queste grandi squadre, avere l’opportunità di correre e anche a buon livello».
A San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della VueltaA San Sebastian dopo il 7° posto di Ordizia, sulla via della Vuelta
Che cosa è cambiato quest’anno?
E’ stato molto importante. Venivo da annate difficili, soprattutto dopo il periodo del Covid e il mio problema di salute, la miocardite. Questo invece è stato un anno chiave. Ero partito dall’inverno per fare una bella preparazione e mettere tutte le cose in fila. Ho ritrovato me stesso e durante la Vuelta ho avuto delle belle sensazioni. Essere lì e lottare con i grandi nomi mi ha fatto venire i brividi. Dopo tanto tempo ho realizzato che riesco ad andare davvero forte. Ho ricominciato a vivere emozioni che avevo perso da parecchio tempo.
Temevi di averle perse?
No, dentro di me ho sempre creduto in me stesso, anche se sono stati anni difficili. Non nascondo che qualche volta non mi sono sentito all’altezza. Però sono stato forte, ho perseverato e sono riuscito ritrovare queste belle emozioni. Ritrovarmi accanto a Pogacar all’Emilia quando ha attaccato, in qualche modo è stato importante.
La Vuelta è stato il tuo primo grande Giro, fosse stato per te lo avresti fatto prima?
A inizio anno non era previsto che facessi un Grande Giro. Magari non ero ancora pronto, non avevo fatto gli step che servivano. Poi, per diverse situazioni, già durante la seconda parte di stagione si vociferava di questa mia partecipazione alla Vuelta. E verso fine luglio ho avuto la notizia che sarei partito e sono stato molto contento.
Tricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da quiTricolore crono juniores del 2020: 1° Milesi, 2° Garofoli, 3° Piganzoli. Il ciclismo italiano può ripartire da qui
Come è andata?
Mi ha cambiato. Il Grande Giro di tre settimane ti cambia il motore, ma soprattutto per ora mi ha dato tanta sicurezza in me stesso e consapevolezza dei miei mezzi. Il fatto che non ci abbia provato prima probabilmente è dipeso dai problemi di salute delle ultime due stagioni. Sono rimasto un po’ indietro rispetto alla mia generazione, rispetto a Piganzoli e Milesi, per esempio. Sto facendo i passi che loro magari hanno fatto prima, però sono contento di essere ormai sulla strada giusta.
Le emozioni di stare davanti con i grossi nomi alla Vuelta somigliano alle emozioni di quella prima sfida con Scarponi a Sirolo, tu ragazzino e lui vincitore del Giro?
Emozioni differenti (si commuove, ndr). Quella volta a Sirolo, vedevo Michele come un campione, un sogno, la realizzazione di un mio sogno. Michele era una guida. Invece le emozioni che ho provato alla Vuelta erano legate alla sicurezza in me stesso, alla fiducia che avevo un po’ perso. Emozioni simili, ma diverse.
Che cosa ti avrebbe detto Michele dopo la Vuelta?
Che sono andato forte!
All’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per VelascoAll’Emilia, Garofoli è stato in testa fino all’attacco di Pogacar, poi ha lavorato per Velasco
Dal prossimo anno sarai con Bramati: che cosa pensi della figura del direttore sportivo?
Secondo me è una figura molto importante, qualcuno di cui potersi fidare. Che ti aiuta e magari fa da mediatore fra te e la squadra. Secondo me il direttore sportivo è anche colui che riesce a indirizzarti e a guidarti verso la strada giusta. Sono uomini che hanno già fatto queste esperienze molto prima. Per il momento ho parlato con Bramati. Prima avevo fatto una videochiamata con Jurgen Foré, il direttore operativo, ed è stato un bel dialogo. Mi è piaciuto come mi ha descritto la squadra, sono contento che siamo riusciti a concludere il tutto.
Ti hanno chiesto qualcosa in particolare?
Per il momento non ancora, è presto. Vado nella squadra di un grande leader: quando c’è Remco, si lavora per lui, come è giusto che sia. E’ quello che cercavo. Secondo me una figura che mi è mancata in queste due stagioni da professionista è stato un leader, una figura a cui potevo ispirarmi e da cui potevo prendere qualcosa. Sono veramente emozionato di poter correre con lui e farò tanta esperienza con la possibilità di vedere una gara differente.
Rimani in una grande squadra: hai mai avuto la sensazione che saresti dovuto andare in una squadra più piccola?
Sono sincero, prima della Vuelta avevo un po’ d’ansia e mi sentivo un po’ sconfortato. Non ero tranquillo. Dopo la Vuelta, parlando anche con i ragazzi, i miei genitori che sanno tutto, ho ritrovato la serenità.
Alla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da HirschiAlla Agostoni, Garofoli ha chiuso al 21° posto a 1’10” da Hirschi
Che cosa è cambiato?
Quello che cercavo erano risposte da me stesso, non dagli altri. E’ importantissimo trovare la squadra e l’ambiente giusto, però dovevo soprattutto ritrovare me stesso e tornare a fare delle belle prestazioni. Perché al di là dei risultati, che magari per un motivo o per un altro non arrivano, in Spagna ho fatto delle belle prestazioni. Perciò dopo la Vuelta, anche se non avevo ancora una squadra, ero sereno per quello che sarebbe stato il mio futuro.
Secondo te tuo padre ha seguito tutta la Vuelta perché ti aveva visto così poco sereno?
Mio padre ha sempre creduto in me, forse più di quanto ci creda io. Ha sempre cercato di starmi vicino e di non farmi dimenticare chi sono. Per me è stato importante averlo vicino. Tante persone mi dicono che per me è una pressione averlo sempre accanto, invece no. Per me è un valore aggiunto.
E' tornato a casa da Copenhagen con un tampone positivo in valigia. Giorni duri per Battistella, iniziati col podio al tricolore. Ma il veneto è ripartito
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