Il giorno dopo con Bostjan, il meccanico di sempre

13.10.2024
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CAVENAGO – Bostjan Kavcnik è il meccanico di Pogacar. E se l’idea di partenza era farsi raccontare le idee del campione del mondo in tema di meccanica, immaginate la sorpresa quando lo sloveno ci dice di esserne il meccanico sin da quando Tadej aveva 11 anni. Lo incontriamo sul camion officina del UAE Team Emirates, una bici sul cavalletto e le altre Colnago già a posto poggiate lungo la parete.

«Ho fatto la sua prima bici – racconta Bostjan – sin da quando era piccolo. Eravamo insieme nella Radenska Liubljana, il primo nome è un’acqua minerale molto famosa in Slovenia. Sono stato l’unico meccanico per gli allievi, juniores e under 23. Ho iniziato a lavorare a fine 2004, vent’anni fra poco. La prima bici di Tadej era una Billato in alluminio, marca italiana. Era montata con uno Shimano 600. Aveva i pedali a sgancio, ma ruote normali in alluminio. Era già forte, ma era uno dei più piccoli. Stava sempre zitto. In una delle prime corse da allievo, si faceva un giro di un chilometro e mezzo. Lui attaccò e in pratica riprese il gruppo, guadagnò il giro come in pista. Finché alla radio annunciarono che c’era un ragazzino dietro che si stava staccando. E a quel punto il suo tecnico rispose che in realtà lui stava per doppiarli tutti…».

Bici nuova al Giro, al Tour e anche per vincere il mondiale: eccolo alla presentazione della Colnago V4RS Tadej Pogacar
Bici nuova al Giro, al Tour e anche per vincere il mondiale: eccolo alla presentazione della Colnago V4RS Tadej Pogacar
Che rapporto c’è fra Tadej e il suo meccanico?

Speciale. Qualcuno arriva e ti dice cosa devi fare. Lui invece ha delle proposte, ma chiede il mio parere e poi insieme troviamo la soluzione. Non è un corridore che ti stressa sempre, ma vuole che la bici funzioni bene. E’ molto attento alle misure, sente le differenze. Normalmente alle gare è una delle prime cose che controllo. Tadej ne ha sempre quattro e dopo aver verificato le misure, si fanno le altre cose.

Durante quest’anno ha cambiato spesso bici: ogni volta c’è da rifare il fitting?

No, perché ho una scheda con le sue misure. Il vero fitting lo facciamo a dicembre nel primo ritiro. Uso il metro, non solo la macchina che abbiamo per prendere le misure. Con il metro sei più veloce. E una volta che l’altezza di sella e l’arretramento sono a posto, siamo tutti tranquilli. Per adesso è sempre andata bene, anche se ogni volta cambiamo anche la sella. Quella nuova permette di riguadagnare quel milimetro in meno che con l’uso di solito si perde. Piuttosto c’è da fare attenziona all’abbigliamento. Al mondiale ha usato il body Alé, qui usa Pissei. E ci sono differenze di altezza nei fondelli di cui bisogna tenere conto.

Il piccolo adesivo di Hulk sul manubrio questa volta ha il costume iridato: per Bostjan, Pogacar è molto legato al personaggio
Il piccolo adesivo di Hulk sul manubrio questa volta ha il costume iridato: per Bostjan, Pogacar è molto legato al personaggio
Ogni volta che gli monti una bici nuova, Tadej scende per provarla?

Questa è una buona domanda. Quando al Giro ha corso con la Colnago rosa, l’ha presa per la prima volta per andare al foglio firma. Ero nervoso, perché in corsa ci sarebbe stata una discesa e lui l’avrebbe fatta senza aver provato la bici. In quei casi ho sempre paura. Sono io che provo la bici e provo ad andare a tutta, ma non è lo stesso che può fare lui. Però per mia fortuna (Bostjan ride, ndr), mi è andata sempre bene.

Vuole che la sua bici sia leggera?

Sì, chiede sempre quanto pesa la bici e cosa si possa fare per renderla più leggera. Guarda cosa c’è in giro e cosa si può comprare oppure usare. A volte mi manda una foto o un link e mi chiede che cosa ne pensi. E’ molto concentrato sulla bicicletta. Anche il fatto di ridurre la lunghezza delle pedivelle è partito da lui. Ha concluso che se fosse riuscito a fare la stessa velocità con più pedalate, allora avrebbe risparmiato più energie. Ha provato e si è trovato bene, per cui l’anno scorso dopo il Tour ha detto di voler cambiare qualcosa per fare la differenza rispetto all’anno prima. Ovviamente lo abbiamo assecondato e, riducendo le pedivelle, abbiamo alzato la sella degli stessi millimetri: due, in questo caso.

Dopo la prima Billato, Pogacar ha corso da U23 con bici Gusto. Bostjan Kavcnik era da tempo il suo meccanico
Dopo la prima Billato, Pogacar ha corso da U23 con bici Gusto. Bostjan Kavcnik era da tempo il suo meccanico
Qui alla Uae ti ha portato lui?

A 43 anni pensavo di essere vecchio per queste cose. A casa ho una moglie e due bambini, non è facile essere così tanto fuori. Però lui ha chiesto ad Hauptman che ci fossi anche io e Andrej mi ha invitato a provare e sono qui da tre anni. Normalmente faccio 180 giorni all’anno via da casa, il primo anno qualcuno di più.

Tadej sceglie da solo i rapporti per correre?

Ne abbiamo parlato a lungo. Shimano ha il 40-54 e lui invece ha chiesto di avere il 38-55. Shimano non lo avrebbe fatto, allora ci siamo guardati intorno e abbiamo trovato Carbon-Ti e loro sono stati bravissimi. Ha corso tutto l’anno in questo modo, ha cambiato solo per Montreal, mondiale ed Emilia, dove ha corso con il 40-54, mentre al Lombardia ha voluto nuovamente il 38-55. Dietro usa sempre 11-34. Carbon-Ti fa per noi anche i dischi dei freni e lui ha scelto le pastiglie AbsoluteBlack, con cui dice che si sente meglio.

Usa sempre le stesse ruote?

Sì, sempre queste, le Enve SES 4.5, anche in salita: esiste una versione normale e una leggera. Per lui è importante che la ruota sia veloce, non solo leggera. A inizio anno abbiamo parlato a lungo anche delle pressioni. In squadra c’è un addetto ai materiali, David Herrero, che stila l’elenco delle pressioni in base al peso dei corridori e alle condizioni della strada, asfalto o condizioni meteo. Arriva sempre quando ci sono le crono, dove indica anche il casco più adatto, le ruote e le gomme. E’ il responsabile dei materiali.

Tadej fa sempre quello che dice lui?

Di solito è abbastanza fedele alle sue indicazioni, anche se qualcosa a volte cambia. Ad esempio interviene sulla pressione delle gomme, per come si sente più sicuro. In generale, il gonfiaggio varia a seconda che usi la ruota normale o quella leggera. Quelle leggere sono un po’ più strette e si gonfiano di più.

Bostjan conferma che Pogacar usa abitualmente ruote Enve SES 4.5, anche in versione più leggera
Bostjan conferma che Pogacar usa abitualmente ruote Enve SES 4.5, anche in versione più leggera
Mettete voi le tacchette sotto le scarpe o ci pensa il biomeccanico?

No, no, lo facciamo noi. Questa settimana gli ho fatto un paio io e un altro un collega. Abbiamo una dima in cui si può fare la singola scarpa e poi si valuta se va bene. E’ lui che dice se la vuole un po’ più a destra o sinistra, un po’ fuori o dentro. Tadej usa le tacchette gialle, che danno più libertà. Con quelle fisse che usava inizialmente ha avuto qualche problemino alle ginocchia e per evitarlo, preferisce avere il piede più ibero di muoversi.

Quando è a casa Pogacar sa fare il meccanico oppure chiede supporto?

No, normalmente se ha qualche problema va in un negozio oppure arriva qualcuno dalla squadra. A volte mi chiama e mi chiede come si possa risolvere un problema, qualcosa prova a farla da solo. Di base non vuole disturbare, Tadej è un ragazzo molto educato.

Un podio che vale, adesso Ciccone finalmente sorride

12.10.2024
6 min
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COMO – Uno dei momenti da ricordare di questo Lombardia, seconda Monumento 2024 con un italiano sul podio dopo il Fiandre di Mozzato, è quello in cui Dario Cataldo taglia l’ultimo traguardo della carriera e si accorge che sul podio c’è il suo amico Ciccone. La storia è antica. Giulio è una sorta di fratello minore, cresciuto ciclisticamente alla scuola di suo padre. E quando la Lidl-Trek ha avuto bisogno di una guida per il suo leader, ha puntato sul corregionale più esperto, facendone un road captain. Dario ci teneva a chiudere al Lombardia e pur con il groppo in gola, è passato con un sorriso prima di riprendere la via del pullman.

«E’ stato bello – ammette Ciccone – è stato emozionante. Lui ci teneva a finirla qui ed è stato un bel momento, quando lui è arrivato ed io ero sul podio. Direi che è stato bello per tutti e due».

La mattinata del resto era partita all’insegna del saluto per l’abruzzese, con i compagni che si sono presentati al foglio firma mascherati con la sua faccia. Il Lombardia deve essere stato un lungo viaggio nella memoria, fino alle strade di Como in cui vinse la tappa al Giro d’Italia del 2014. dieci anni fa. Quando Cataldo è arrivato al pullman e ha tolto gli occhiali, aveva gli occhi rossi. Ha firmato autografi. Ha posato per foto. Quindi ha abbracciato i compagni di squadra e lo staff. Ha stretto forte Luca Guercilena. E poi come gli altri è salito sopra aspettando l’eroe di giornata.

Con gambe e testa

Ciccone arriva dopo mezz’ora che lo aspettiamo. Sembra frastornato, come chiunque abbia dovuto attraversare una baraonda di tifosi e ammiraglie incastrate fra loro. Quando incontra lo sguardo di Josu Larrazabal, il capo dei preparatori, il basco lo guarda e gli chiede perché sia così accigliato. Allora Giulio sorride, anche lui dispensa qualche abbraccio e poi sale sul pullman. Li sentiamo gridare e far festa. Qualcuno fa saltare il tappo di birre gelate, che sembrano un miraggio per chi aspetta in strada. Poi lo vediamo passare e gli lanciamo una voce: “Cicco”, hai due minuti? Lui guarda in basso. Sorride. Dice di sì. Ma sedendosi sui gradini del pullman, ci invita a salirne uno. Sotto c’è ancora una ressa da giorno di mercato, se scendesse non riusciremmo neppure a dirci ciao.

Gli raccontiamo che la televisione ha mostrato tante immagini di Pogacar ed Evenepoel, ma ben poco del suo rientro sui primi. Lo abbiamo visto scattare, come se fosse rinvenuto da un luogo imprecisato alle spalle del gruppetto inseguitore. Lui sorride, ha recuperato lo spirito e racconta.

«Per fortuna che almeno lo scatto l’hanno inquadrato – ride – per una volta che faccio uno scatto! Come è andata? Sul Sormano c’è stata la selezione, quella vera. Poi Sivakov è andato via da solo e io sono rimasto nel gruppetto. Ho visto anche che stava rientrando Mollema con altri corridori e a quel punto abbiamo iniziato la valle. Era lunga e farla da solo oppure in due avrebbe significato morire. Abbiamo trovato una buona collaborazione, anche se io sentivo che oggi in salita andavo bene. Ai compagni l’ho detto dopo le prime salite nella zona di Bergamo: stavo bene».

Difesa sulla Colma di Sormano e poi una sparata sul San Fermo: il Lombardia di Ciccone si è giocato anche con la testa
Difesa sulla Colma di Sormano e poi una sparata sul San Fermo: il Lombardia di Ciccone si è giocato anche con la testa

«Quindi – prosegue Ciccone – mi sono messo ad aspettare il San Fermo. Mollema l’ha presa forte da sotto e si è fatto seguire da Storer. Io poi ho dato l’accelerata e quando ho visto che erano vicini, ho preso morale. Mi sono avvicinato a quelli davanti, però non ho chiuso subito. Sapevo che se lo avessi fatto, magari scattavano ancora e mi ristaccavano arrivando da dietro. Per questo li ho lasciati un attimo lì. Ho gestito bene. E quando poi ho deciso di rientrare, mi sono detto che dovevo tirare dritto. E così ho fatto e francamente è andata anche meglio di quanto mi aspettassi».

La delusione di Zurigo

C’è orgoglio e si capisce quanto sia difficile essere un corridore di vertice, nel dover spingere fino ai limiti dell’apnea e riuscire contemporaneamente ad essere lucidi. Sapeva di giocarsi il finale di stagione. Sapeva che le ciambelle fino a quel punto non erano riuscite col buco. Aveva lavorato tanto e sodo con Bartoli in Toscana, eppure era tornato a casa dal mondiale con un pessimo gusto in bocca.

«Il mondiale per me è stato una grande delusione – sospira Ciccone – perché comunque avevo lavorato bene. Sapevo che la condizione c’era, ma sicuramente il percorso non era adatto a me. E’ stato una delusione perché è sempre brutto quando si lavora tanto e non si raccoglie nulla. Specialmente con la maglia nazionale, con cui attiri le attenzioni belle e le attenzioni brutte. Per questo oggi ci tenevo a fare bene. Ed è stato importante perché ci voleva di chiudere l’anno così. Il 2024 è stato difficile e chiuderlo nel migliore dei modi mi dà la serenità per staccare, girare pagina e iniziare nel modo migliore».

Il Lombardia è stato il primo podio di Ciccone in una Monumento e un bel modo di riscattare la stagione
Il Lombardia è stato il primo podio di Ciccone in una Monumento e un bel modo di riscattare la stagione

Il ritmo infernale

E’ salito sul podio con Pogacar ed Evenepoel: una fotografia che dà ancora più valore alla prestazione di oggi, anche se al momento il loro livello è irraggiungibile e occorre farsene una ragione, senza per questo sembrare rinunciatari.

«A volte bisogna accettare la realtà – dice – e la realtà è quella che stiamo vivendo in un’epoca di campioni. Non si tratta di accontentarsi, però di essere realisti e fare il massimo per ottenere quello che si può. E quando c’è Pogacar, si capisce presto se è in giornata super. Il ritmo a un certo punto diventa insostenibile e l’unico che riesce ad andare è lui. E oggi è stata una giornata veramente dura, perché siamo partiti fortissimo. Abbiamo fatto le prime salite a un ritmo già bello tosto e intanto la gara non si era messa proprio benissimo con quei corridori importanti nella fuga. Per riprenderli, il ritmo a un certo punto è diventato altissimo, perché credo che tanti fossero preoccupati. Io sono rimasto lì.

Un podio decisamente interessante per Ciccone, con un bicampione olimpico e iridato della crono e il campione del mondo strada
Un podio decisamente interessante per Ciccone, con un bicampione olimpico e iridato della crono e il campione del mondo strada

«Ho lavorato tanto, sono rimasto concentrato. L’ultimo mese è stato un po’ strano, però io sapevo di aver lavorato bene. E adesso stacco la spina sereno. Questa giornata significa tanto, per la sfortuna che ho avuto e per la squadra che mi è rimasta sempre vicina».

Il tempo di una foto e ci accorgiamo che alle spalle è arrivato Paolo Barbieri, un altro uomo della Lidl-Trek che chiude in questi giorni la sua carriera da press officer. Ci sono tante storie che si intrecciano in questa serata con vista sul lago gonfio d’acqua. Storie di uomini, chilometri e vite. Non resta che scrivere tutto, sperando di ricordare davvero tutto.

Pogacar fa poker ed entra nella storia del Lombardia

12.10.2024
6 min
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COMO – Sono quattro Giri di Lombardia per Tadej Pogacar, tutti conquistati in un unico filotto, come fatto da Fausto Coppi tra il 1946 e il 1949. Mentre era dal 2006 che il campione del mondo non vinceva la Classica delle foglie morte, l’ultimo a riuscirci sempre sul traguardo di Como è stato Paolo Bettini. L’ultimo a rifilare un distacco così grande al secondo classificato, oltre tre minuti, fu Eddy Merckx. Il corridore sloveno che rifiuta l’accostamento con il passato ci costringe però a guardare all’albo d’oro alla ricerca di un’altra impresa simile. L’ennesima di una stagione che gli ha regalato 21 vittorie, di cui 17 arrivando da solo sotto lo striscione dell’arrivo. Tutte tranne una se escludiamo le due cronometro. L’unica volta che ha battuto un diretto rivale in uno sprint era marzo a Barcellona, nell’ultima tappa della Vuelta a Catalunya. C’è stata poi la volata ristretta a Prati di Tivo al Giro d’Italia.

Lo aveva detto ieri pomeriggio, nella conferenza stampa della vigilia, di come si senta più sicuro nell’arrivare da solo al traguardo. E come spesso fatto in questa stagione fantastica ha messo in scena il copione che aveva in mente e noi, spettatori inermi, abbiamo assistito allo spettacolo unico del suo talento. 

Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia
Lo sloveno della UAE Emirates ha eguagliato il record di Coppi: è il quarto Lombardia

Da Siena a Como

La bici al cielo sulle sponde del lago di Como, a riallacciare il filo con la sua prima vittoria stagionale, quella in Piazza del Campo a Siena. Pogacar arriva in conferenza stampa con una giacca che riporta i colori dell’iride più grande di almeno due taglie. Con Il Lombardia lo sloveno ha concluso la sua stagione, ora ha voglia di andare in vacanza. Lo si capisce dagli occhi scavati dalla fatica dei 58 giorni di corsa disputati e dei quasi 10.000 chilometri messi sotto le ruote. Risponde in fretta alle domande e saluta tutti con la promessa di rivederci nel 2025 con nuovi obiettivi e traguardi da raggiungere.  

«Ho voluto concludere la stagione così come l’avevo iniziata – dice in conferenza stampa con una risata – con la bicicletta al cielo. Spero in una bella foto».

A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
A Siena la prima esultanza con la bici sopra la testa del 2024
Quanto è stato importante per te oggi il lavoro di Hirschi, il quale è rimasto molto tempo a tirare il gruppo?

Tutta la squadra è importante, ogni compagno svolge un ruolo fondamentale durante la corsa e sono contento di avere questi campioni che lavorano per me. Anche Pavel (Sivakov, ndr) ha fatto un lavoro eccellente sulla Colma di Sormano. Poi è stato bravo a rimanere lì ed arrivare tra i primi sei al traguardo. Ma tutti si impegnano per un unico obiettivo: vincere. 

Una volta che hai avuto un buon vantaggio e sapevi che avresti vinto, cosa ti è passato per la testa?

Mi sono goduto molto gli ultimi momenti, la parte finale della gara: i tifosi sono stati fantastici. Sono molto felice di finire la stagione in questo modo e di andare finalmente in vacanza con una vittoria. Quindi semplicemente direi che è stato molto bello percorrere gli ultimi chilometri dell’anno in questo modo.

A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
A 42,5 chilometri dal traguardo l’allungo e l’ennesima cavalcata solitaria
Con la vittoria nel quarto Lombardia, chiudi una stagione di successo, se dovessi scegliere un momento quale sarebbe?

Ogni successo ha la sua storia e le sue emozioni. Ma quest’anno, in cima a tutte, c’è il campionato del mondo. Penso sia difficile batterlo. 

In questo momento sei superiore a tutti gli altri, cosa pensi faccia la differenza?

Non so come rispondere, ma perché non lo so. Non vedo nella testa cosa pensano gli avversari e non vedo i loro numeri, forse è tutta una combinazione di fattori: forza, determinazione e un momento positivo per me. Ma di sicuro la motivazione, soprattutto dopo una stagione così lunga, per molti corridori è importante.

Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Sulle strade si vede l’affetto dei tifosi verso questo campione che unisce tutti
Qual è stato il momento più difficile della stagione?

Non ci sono stati particolari momenti complicati in bicicletta. Grazie alla squadra abbiamo pianificato un buon programma di gare. Non sono mai stato troppo stanco. Anche dopo il Tour de France quando ho saltato le Olimpiadi, è stato una buona decisione perché ho potuto recuperare e preparare il finale di stagione. 

Alcuni dicono che sei il killer del ciclismo moderno. 

Non vedo nessuno dire questo oggi sulla strada. Ho visto tanti tifosi. Per me è stata una bella gara oggi, 255 chilometri con tutte le persone sulla strada pronte a sostenermi e che hanno fatto il tifo per me e per tutti i corridori. Il che è sempre molto bello. Su Internet si possono sempre trovare persone che cercano di portare della negatività, ma non mi sembra che questo accada sulla strada. Quindi è questo che conta.

Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Evenpeol ha scavato a fondo nelle energie rimaste conquistando un prezioso secondo posto
Ti rendi già conto di quello che hai fatto in questa stagione o ci metterai del tempo. 

Non lo so. Devo capire cosa ho fatto? Io l’ho fatto e basta. Per me l’importante è vivere il momento. Ora voglio andare in vacanza e riposarmi dopo questa bella stagione per affrontare la prossima, i prossimi obiettivi, le prossime sfide.

Sei rimasto un po’ sorpreso dall’alto livello di Evenepoel oggi, dopo che ha passato una settimana difficile?

No, mi aspettavo che fosse pronto. Sapeva che avrebbe dovuto fare un po’ di fatica perché era l’ultima gara dell’anno. Ed è stato davvero impegnativo per la mente ma ha dato il massimo per poi andare in vacanza perché ha avuto una stagione lunga e difficile, credo. Sì, forse nelle gare più piccole ha fatto più fatica a spingere fino in fondo ma oggi era una Monumento. Una gara bellissima che gli si addice. Ma sì, poteva spingere un po’ di più, credo.

Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Un sorso per brindare al quarto Lombardia e alla fine di questa grande stagione
Dici che non vedi l’ora di andare in vacanza, ma non sei dispiaciuto che sia finita? 

C’è anche la vita fuori dalla bici, quindi non vedo l’ora di fare anche quello.

Nemmeno il tempo di finire i saluti che il campione del mondo è già fuori dalla stanza che scende le scale verso Piazza Giuseppe Verdi. La stagione è terminata. E se anche fosse vero che non ha avuto momenti particolarmente difficili in bici Pogacar ha comunque messo nel mirino e conquistato due Grandi Giri, due Classiche Monumento e un mondiale. Le vacanze sono largamente meritate, non resta che aspettare il 2025 insieme per scoprire quali saranno i nuovi obiettivi di cui ha parlato. 

L’exploit della JCL Ukyo, tra metodo di lavoro e futuro

12.10.2024
5 min
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Tre vittorie di tappa, secondo posto nella generale e maglia arancione della classifica a punti. Non è il bottino di una squadra WorldTour ma del JCL Team UKYO al Tour de Langkawi. Parliamo quindi della continental gestita da Alberto Volpi.

Prestazioni che non potevano certo passare inosservate, come quel che nel complesso la squadra ha ottenuto nel corso della stagione: ben 16 vittorie (per ora), e queste ultime della Malesia sono state ottenute in una gara di classe .Pro, vale a dire inferiore solo a quelle del WorldTour.

Alberto Volpi da questo inverno è team manager della squadra giapponese (foto Team JCL Ukyo)
Alberto Volpi da questo inverno è team manager della squadra giapponese (foto Team JCL Ukyo)
Alberto, si può dire che per questa prima vostra stagione si può essere soddisfatti…

E come potrei non esserlo? A “tre minuti” dalla fine della partita siamo andati oltre quel che mi aspettavo. Siamo al secondo posto nel ranking dell’Asia Tour (la classifica UCI continentale, ndr). Non riusciremo a vincere perché c’è troppo gap con la Terenggannu ma siamo contenti.

Boaro, il tuo diesse, in Malesia ci parlava di una squadra dalla “burocrazia semplice”, che per certi aspetti è anche normale visto che è una continental. Però poi le cose devono funzionare…

La squadra in effetti è impostata in modo semplice ma professionale. Ognuno ha il suo ruolo. Chiaro che non è facile ogni anno reperire corridori di livello e far crescere molto gli atleti giapponesi. Quest’anno siamo riusciti a inserire atleti italiani che ci hanno fatto fare un salto di qualità. 

Qual è il vostro metodo di lavoro?

Premetto che alla base servono i corridori. Ma abbiamo ottime bici, le Factor, le stesse che usa la Israel-Premier Tech, componentistica Shimano, specie per quel che concerne le ruote. A questo elemento nel suo insieme abbiamo dedicato molta attenzione. Non è stato un caso che abbiamo scelto Vittoria per le gomme. Potevamo averle gratis di un’altra marca, ma le abbiamo acquistate perché crediamo nella bontà del prodotto, del marchio. Sappiamo che questa gomma è sicura, prima cosa, e che è performante. E lo stesso vale per l’abbigliamento, per i nostri body. Nessun segreto particolare quindi: lavoro e umiltà. Inoltre credo che abbiamo fatto un calendario all’altezza del nostro livello. E per questo abbiamo i ragazzi per organizzarci bene. Ognuno ha il suo preparatore e noi un coordinatore. C’è a disposizione un nutrizionista.

La Factor Ostro di Malucelli…
La Factor Ostro di Malucelli…
Come mai la scelta di prendere un diesse fresco di gruppo?

Ho scelto Manuele, che di vento in carriera ne ha mangiato tanto, cosa che insegna molto. Lui vede delle cose dal basso, con umiltà. Parliamo la stessa lingua. C’è un problema? Lo comprendiamo, lo affrontiamo, lo risolviamo. E’ come se avessimo confezionato un vestito su misura a questo team. Posto l’atleta al centro, cerchiamo di tirare fuori al massimo le sue qualità e gli costruiamo attorno un calendario idoneo. Il livello di comunicazione, per forza di cose, è molto stretto e funzionale. 

Chiaro…

Abbiamo tre europei, un australiano e una grossa parte di giapponesi, i quali sono educatissimi. Loro si sono messi subito a disposizione. E nel farlo sono cresciuti. Certo, per arrivare a tutto questo c’è un bel lavoro dietro!

Tra l’altro la tua finestra lavorativa con il Giappone è molto breve per via del fuso orario…

Alle 6 del mattino sono già in pista, mentre a Tokyo sono le 13. Ma per i vari feedback e relative organizzazioni riusciamo ad essere efficienti. La rete di comunicazione, come dicevo, è breve e non c’è dispersione di informazioni.

Importante l’apporto dei corridori giapponesi, che sono cresciuti molto
Importante l’apporto dei corridori giapponesi, che sono cresciuti molto
Alberto, hai parlato di calendari, come fate a tesserli? Voi team continental siete legati agli inviti e spesso questi arrivano all’ultimo. E di conseguenza come fanno i ragazzi a prepararsi?

Vero e infatti bisogna partire prestissimo. Noi non abbiamo diritti di partecipazione, quindi se voglio che la JCL Ukyo vada alla Coppi e Bartali mi devo muovere molto, molto prima e ovviamente aspettare le decisioni delle WorldTour, poi delle professional… So come funziona, magari ti rispondono a gennaio. Per 27 anni sono stato in top team. Va un po’ meglio con le gare in Asia.

Anche perché ormai con Terenggannu siete dei team importanti… A proposito di 27 anni in grandi team: ti manca l’ammiraglia?

No, ma vado quando posso a vedere le corse dal vivo. Il ciclismo è e resta anche una passione. Ci andavo sin da piccolo. Ma si è presentata questa opportunità di fare il team manager, c’è un bel progetto e l’ho colto al volo. E poi dopo tanto tempo era giusto cambiare. E’ giusto che ci sia un cambio generazionale e che ora in ammiraglia ci sia Boaro.

La domanda più importante Alberto: c’è l’idea di diventare una professional?

Abbiamo l’obiettivo, l’esperienza e le persone per fare una professional. Tuttavia io non ho mai fatto proclami neanche quando dirigevo Sagan e Nibali figuriamoci adesso. Questa cosa riguarda più il Ceo del team, Ukyo Katayama. Lui ha detto che in pochi anni vorrebbe essere al via del Tour. Io gli ho spiegato che è un percorso lungo e difficile e che in tanti hanno fallito. Penso, per esempio alla Uno-X, quanto ci ha messo per arrivare al Tour? Diciamo che c’è un ragionamento in essere per fare la professional nel 2026 e da lì lavorare per andare ad un grande Giro. Ma bisogna presentarsi bene, sotto ogni punto di vista per avere appeal. Servono buoni rapporti con le grandi organizzazioni, vedi Rcs e Aso: loro guardano molto a questi aspetti.

La potenza di Malucelli che con le sue volate ha portato 10 vittorie al team
La potenza di Malucelli che con le sue volate ha portato 10 vittorie al team
Certo, una buona immagine oggi è fondamentale…

Poi è chiaro, e lo ripeto, alla base servono i corridori e un buon budget. Già da professional cambia tutto: servono più medici, più atleti, più personale, più mezzi. Vediamo se Ukyo riuscirà a reperire sponsor importanti. Io mi devo occupare del funzionamento della squadra.

Il prossimo anno che JCL Ukyo vedremo?

Per prima cosa una JCL Ukyo senza Malucelli, Carboni e Pesenti: loro ci lasciano, tra chi ha avuto offerte importanti e chi si sta muovendo per altre vie. Da una parte il loro addio mi dispiace, dall’altra mi rende contento perché significa che abbiamo fatto le scelte giuste nel prenderli. Pertanto senza di loro dovrò ridiscutere la parte italiana del team. E non è facile rimpiazzare atleti così. Ripartiremo da ragazzi giovani, ragazzi che ad intuizione abbiano determinati margini di crescita.

Juniores o under 23? Per Ballan è il momento di scegliere

12.10.2024
5 min
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Inutile nasconderselo: i mondiali di Zurigo hanno dimostrato una volta di più come ormai il ciclismo guardi molto più alla categoria juniores che a quella Under 23. L’Uci vuole correre ai ripari, ha detto che dal prossimo anno chi è nelle WorldTour non potrà più fare le gare titolate di categoria, si pensa anche a una riduzione dell’età da 23 a 21 anni, ma questo è come spalare acqua con un colapasta. Le gare juniores hanno avuto molto più risalto di quelle della categoria superiore, questo è stato un dato di fatto.

Tutto ciò si ripercuote a livello generale e infatti nell’ambiente sono giorni di grandi discussioni. Chi vuole lanciarsi nel mondo degli under è visto con occhio critico, ma dall’altra parte chi punta sui più giovani si trova a fare i conti (è davvero il caso di dirlo) con grandi problemi economici. Lo sa bene Alessandro Ballan, ex iridato oggi commentatore Tv, ma anche responsabile del team juniores UC Giorgione.

Europei e mondiali hanno dimostrato come gli juniores abbiano ormai più appeal degli U23
Europei e mondiali hanno dimostrato come gli juniores abbiano ormai più appeal degli U23

«La gestione di un team – spiega – sta raggiungendo costi esagerati. Questo avviene proprio perché team, procuratori, tecnici, tutti guardano a questa categoria quindi devi avere materiale all’altezza. Una volta si partiva da zero, si doveva imparare, si faceva attività per crescere. Qui oggi vogliono tutti corridori già svezzati, campioni in erba».

Quando parli di costi esagerati a che cosa ti riferisci in particolare?

Non puoi accontentarti, quindi devi avere bici all’avanguardia, accessori all’altezza, garantire a chi corre per te un livello organizzativo quasi da squadra pro’. E questo ha un costo. Io dico sempre grazie a chi investe nel ciclismo, a quelle aziende che ci sostengono ma non possono fornire il materiale gratis… Se mi fermo a pensare mi accorgo che le difficoltà sono grandi anche perché chi corre pretende e mi riferisco ai ragazzi ma anche alle famiglie. Io ho fatto i calcoli: l’attività di un ragazzo costa dai 12 ai 15 mila euro e noi ne abbiamo poco meno di una decina, i conti sono presto fatti.

I ragazzi dell’Uc Giorgione. Ballan sottolinea i costi che ha un’attività come la loro
I ragazzi dell’Uc Giorgione. Ballan sottolinea i costi che ha un’attività come la loro
In che consistono i costi pro capite?

Una bici ultimo modello costa almeno 5.500 euro, poi 1.000 di abbigliamento, 600 di accessori, e mettiamoci anche trasferte, gasolio, usura del materiale… I genitori aiutano, ma certamente non per cifre del genere, considerando anche che hanno paura. Noi siamo sul filo del rasoio.

Gli juniores sono ormai i veri dilettanti, la porta di accesso al ciclismo che conta…

Già, ma non si possono prendere come riferimento solo Evenepoel, Del Toro o pochissimi altri. Io dico sempre che nel ciclismo d’oggi non sarei mai passato pro’, persi i primi due anni da U23 e non mi avrebbe seguito più nessuno. Ma come me ce ne sono tanti, non tutti maturano così presto, anzi sono eccezioni. Tanti ragazzi sviluppano dopo i 17-18 anni, ma così li perdiamo tutti. Non tutti sono fenomeni, ma i procuratori vanno dietro solo a quelli, guardano troppo a questa categoria e non più a quella successiva che tecnicamente avrebbe ancora un senso.

Lorenzo Finn, qui vincitore al Ghisallo, è da vedere come un’eccezione nel suo percorso di crescita (foto Berry)
Lorenzo Finn, qui vincitore al Ghisallo, è da vedere come un’eccezione nel suo percorso di crescita (foto Berry)
E’ anche un problema di calendario?

Se ne parla tanto, ma il problema non è ridurre il numero di gare, quanto aumentare il numero di società. 25 anni fa, se eri un ragazzino che voleva fare ciclismo trovavi posto in una società, dappertutto. Oggi è impensabile, ci sono tanti allievi che non trovano spazio e mollano e magari tra loro ci sono potenziali campioni inespressi. Ormai per andare avanti devi portare sempre risultati, ma così i ragazzini li spremi molto prima del dovuto. Il bacino è ampio, per questo dico che bisogna apprezzare e spingere a creare più società per juniores, partire da qui e non dalle categorie superiori. Ivan Basso ad esempio lo ha capito.

E’ un serpente che si morde la coda: l’attività U23 servirebbe, ma servono più società nella categoria inferiore…

Dobbiamo guardare la realtà e raggiungere un compromesso. Se vuoi fare un team devi avere un progetto solido, a medio-lungo termine e per primissima cosa andare a caccia di partner. Trovarti un’azienda ciclistica e di abbigliamento – per fortuna in Italia ce ne sono tantissime e sono le migliori – che ti supportino economicamente. Bisogna sfruttare anche qualche agevolazione che finalmente a livello governativo arriva, ad esempio la proroga del credito d’imposta per investimenti pubblicitari per le società sportive, portata da agosto al 15 novembre. Così le aziende possono recuperare il 50 per cento delle spese.

Non è solo un problema di calendario. E’ necessario rivedere anche il marketing del prodotto ciclismo
Non è solo un problema di calendario. E’ necessario rivedere anche il marketing del prodotto ciclismo
Il tuo discorso però vale anche per la categoria superiore…

Certo, c’è bisogno anche lì, ma devi innescare un effetto a catena. Partire dai più piccoli e spingere perché l’onda arrivi anche a livello superiore. La storia della Zalf che chiude dopo una vita è l’emblema del momento che stiamo vivendo. Io sono convinto che un’azienda che investe nel ciclismo ne verrà ripagata: la Mediolanum è sponsor del Giro d’Italia da vent’anni, avevano preventivato 7 anni di partenariato e sono ancora lì. Il ciclismo è appetibile, ma dobbiamo venderlo meglio.

Ti riferisci anche alle gare?

Sì. Una volta prove come il Trofeo Laigueglia o la Coppa Agostoni avevano un’attenzione enorme, ora io che sono addetto ai lavori spesso vengo a sapere di gare e vincitori il giorno dopo, a cose fatte. E questo è folle nell’era dei social, del “tutto e subito”. Abbiamo avuto sulle strade italiane la rivincita del mondiale fra Pogacar ed Evenepoel, perché se n’è parlato così poco?

Astolfi, il Lussemburgo e due figli che sanno già volare

12.10.2024
6 min
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Davanti al pullman dell’Italia ai mondiali di Zurigo, durante la prova su strada degli juniores, abbiamo incrociato uno sguardo che non vedevamo da tanto. E abbiamo così scoperto che Claudio Astolfi, professionista dal 2001 al 2005, da circa cinque anni vive in Lussemburgo. A dire il vero per capirlo sarebbe bastato leggere con più attenzione l’elenco dei partenti per accorgersi che uno dei due atleti lussemburghesi al via si chiamava Flavio e portava il suo cognome.

Quando di lui si è accorto Manuel Quinziato, di un anno più giovane, è andato dritto a salutarlo. Poi, avvicinandosi, il bolzanino ha ricordato che il romano fosse un mito nelle categorie giovanili. Astolfi infatti aveva vinto il Giro della Lunigiana, come Pogacar ed Evenepoel, e nello stesso anno era arrivato terzo al mondiale. La carriera purtroppo è durata poco a causa del diabete. Ma la sua storia di italiano con la valigia ci è parsa interessante. E così siamo andati oltre.

Davide Balboni, Claudio Astolfi, terzo mondiali juniores, Novo Mesto 1996
Bronzo ai mondiali juniores del 1996 a Novo Mesto: Claudio Astolfi e il cittì di allora Davide Balboni
Davide Balboni, Claudio Astolfi, terzo mondiali juniores, Novo Mesto 1996
Bronzo ai mondiali juniores del 1996 a Novo Mesto: Claudio Astolfi e il cittì di allora Davide Balboni
Cosa ci fai in Lussemburgo?

Già appena sposato e dopo aver smesso, mi era venuta l’idea di spostarmi. Mia suocera è italiana e viveva in Lussemburgo da anni. Però ugualmente ho provato prima con il mio negozio di biciclette a Lariano. Sono andato avanti per 12-13 anni, però non è mai partito del tutto. E così cinque anni fa ci siamo trasferiti, soprattutto per offrire qualcosa di più ai ragazzi. Flavio e Lorenzo fanno il liceo e parlano tre lingue (in apertura, foto di famiglia con la moglie Chiara, ndr).

Hai fatto come Simone Masciarelli, migrato in Belgio per il figlio Lorenzo e ora tornato in Italia?

No, il ciclismo non c’entra. Mi trovo abbastanza bene, viviamo in un paesino a sei chilometri dalla città. Lavoro in un grande store di bici e ho dovuto imparare il francese. I ragazzi intanto studiano e corrono. Flavio, il grande, fino al secondo anno da allievo era tesserato con una squadra di Aprilia e poteva ugualmente fare i campionati nazionali del Lussemburgo perché bastava la residenza. Poi da junior serviva la nazionalità e così l’anno scorso ha preso la doppia cittadinanza. Ora corre nella squadra juniores della Visma-Lease a Bike.

Come c’è arrivato?

Vivendo in Lussemburgo, da allievo correva spesso in Germania e anche in Belgio. Al primo anno ha vinto 7 corse, al secondo 9. E’ arrivato sesto alla Coppa d’Oro, poi ha vinto il campionato lussemburghese crono e strada. E loro si sono interessati. Lui è contentissimo. Hanno lo stesso equipaggiamento della WorldTour, anche il trolley e gli zainetti. A inizio anno hanno fatto un training camp a Benicasim e sono stati per qualche giorno con la WorldTour e con la squadra delle donne. E il bello è che non gli mettono pressione.

Tu sei stato junior quasi trent’anni fa, che differenze vedi?

E’ cambiato tutto, a partire dal misuratore di potenza che ormai hanno anche da allievi, fino alla nutrizione. Io mi allenavo con mio padre dietro che a un certo punto suonava il clacson e significava che dovevo partire. Eppure alla Visma, sta vivendo il ciclismo con meno stress che in Italia. Non corrono tutte le domeniche da febbraio a ottobre come da noi. Magari fa una corsa a tappe di quattro giorni, poi recupera a casa e studia e si allena. Quest’anno è stato sfortunato. All’Eroica è caduto ed ha avuto qualche problema all’anca. Poi ha preso la mononucleosi e lo stesso ha fatto l’europeo e il mondiale. Ma con la condizione che aveva e il tempaccio, a Zurigo si è fermato prima…

Flavio si sente italiano o lussemburghese?

Italiano. Lo dice sempre che il cuore è italiano, però intanto si trova bene anche nella nazionale di quassù, perché il coordinatore Frank Schleck è in gamba. Dispiace che in Italia non sia stato convocato per fare i test che di solito fanno gli juniores, evidentemente è giusto che faccia la sua strada in Lussemburgo. Ha fatto un cambio di nazionalità, può farne un altro e poi basta. E intanto aspettiamo che arrivi il piccolo, Lorenzo, che è tremendo…

Tremendo?

Quest’anno ha fatto 16 gare e le ha vinte tutte e 16. E’ esordiente di secondo anno, ma una squadra WorldTour belga già ha mandato avanti un osservatore. In Belgio ha vinto tre gare, una con tre minuti sul secondo, che per gli esordienti non è poco. Però ho pregato tutti di lasciarlo in pace. Fino agli allievi, come ho fatto con Flavio, lo seguirò io. Poi negli juniores è giusto che abbia i suoi allenatori.

E tu vai ancora in bici?

Quest’anno m’è ripresa la voglia (ride, ndr). Dato che qui d’estate fa buio più tardi, dopo il lavoro ho cominciato a fare due ore tutti i giorni. E poi mi sono messo a fare delle garette. Quelle coi master le ho vinte tutte. Poi sono passato a quelle con gli elite, i corridori veri. E ho fatto due volte decimo assoluto e una volta nono. Considerato che ho 46 anni, non vado così male.

Pensi mai che la tua carriera sarebbe potuta durare di più?

Purtroppo in quegli anni col problema che avevo non si andava lontano. Non è come ora che addirittura c’è la Novo Nordisk e ci sono gli strumenti che ti permettono di convivere col diabete. Allora si trattava di fermarsi e fare un’iniezione. E dopo i 200 chilometri era davvero impossibile andare avanti.

Lorenzo e Flavio Astolfi, sono stati entrambi campioni nazionali lussemburghesi
Lorenzo e Flavio Astolfi, sono stati entrambi campioni nazionali lussemburghesi
I tuoi figli sanno qualcosa del papà corridore?

Non mi hanno visto, ma si sono documentati. E poi quassù il ciclismo è popolare, qualcuno deve avergli detto che il padre era forte. Hanno visto che ho vinto il Lunigiana e si sono resi conto che tanto scarso non ero. Quinziato poi l’ho incontrato nuovamente all’aeroporto e mi ha detto le stesse cose. E’ bello ritrovarsi ancora in mezzo qualche volta, è bello che qualcuno si ricordi…

Pomeriggio con Pogacar: tattiche, ricordi e parole chiare sul doping

11.10.2024
7 min
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CAVENAGO – Mezz’ora a cavallo fra i saluti di fine stagione e un viaggio indietro nei mesi. Tadej Pogacar ha lo sguardo sereno e parla con tono pacato. Si indurisce solo quando due francesi gli chiedono sui sospetti di doping, ma dopo una fiammata nello sguardo, gestisce le risposte con grande realismo. I giornalisti attorno sono pochi, quelli che lo hanno raccontato per tutto l’anno e fanno domande mirate. Ne viene fuori mezz’ora che sarebbe impossibile da sbobinare alla lettera, ma che consegna una serie di risposte davvero piene di contenuti. Domani a quest’ora il Lombardia entrerà nel vivo, per ora fuori dall’Hotel Devero i ritmi sono blandi. Non c’è l’elettricità di inizio stagione, la consapevolezza permette di vivere ogni cosa con il giusto distacco.

Per il Lombardia, Pogacar ha due bici iridate, quella decorata per il mondiale e la quarta sarà una Colnago nera
Per il Lombardia, Pogacar ha due bici iridate, quella decorata per il mondiale e la quarta sarà una Colnago nera
Siamo alla fine di una stagione molto ricca per te e l’Italia questa volta è stata uno snodo speciale. Che rapporto hai sviluppato con il nostro Paese?

Mi sono divertito molto in Italia quest’anno. Ho iniziato con la Strade Bianche e molti allenamenti lì intorno. Mi sono preparato per il Giro e anche il Tour è iniziato da qui. E domani ci sarà il Lombardia. Devo dire che l’Italia mi ha trattato bene e mi sono divertito. Spero che nei prossimi anni potrò fare qualcosa di simile.

Finora hai puntato a vittorie che non avevi mai centrato, mentre il Lombardia lo hai già vinto per tre volte. Gli stimoli sono uguali?

Di sicuro voglio prefissarmi obiettivi diversi. Ma a questo punto della stagione, il Lombardia è il Lombardia e non ci sono molte altre gare simili da fare. E’ una bella corsa da fare ogni anno e se riesco a vincerne il più possibile, a me sta bene. Sono stato qui tre volte e per tre volte ho vinto. Vedremo domani. Se ci riesco, sarò felice. Se non ci riesco, mi sarò divertito ugualmente.

Tutti ti vedono come il grande favorito, forse la vera sorpresa sarebbe se non vincessi…

Penso che nel ciclismo non sia mai facile vincere, quindi non sarei sorpreso di non vincere. Però sono pronto a dare tutto un’ultima volta. La cosa principale sarà godermi la giornata. Spero nel bel tempo e poiché non ci sono molte gare di un giorno belle come il Lombardia, vorrei godermi il percorso e la giornata, qualunque cosa accadrà.

Alla Tre Valli Varesine, Pogacar si è esposto nel nome della sicurezza è ha ottenuto lo stop della corsa per maltempo
Alla Tre Valli Varesine, Pogacar si è esposto nel nome della sicurezza è ha ottenuto lo stop della corsa per maltempo
Dove trovi la motivazione alla fine di una stagione così?

E’ qualcosa che scopri dentro di te, per la squadra e per rispettare i programmi che sono stati fatti. Se fai un cambiamento alla fine della stagione, se scegli di non partire, tocca a un altro e non lo troverei corretto. D’altra parte, queste sono belle gare e io sono in buona forma. Mi sento bene in bici, quindi perché non continuare a correre finché non posso? E soprattutto avendo la maglia di campione del mondo, penso che potrò godermi ancora di più la gara.

Vincere è bello ma non è mai facile. Nelle ultime occasioni hai scelto la fuga da lontano, nel tuo gusto come sarebbe vincere lottando con qualcun altro sino alla fine?

Andare da soli porta con sé un po’ di rischio, devi sapere come stai. Alla Strade Bianche, sin dall’attacco ero abbastanza sicuro di poter vincere. Ai mondiali ho rischiato restando fuori per due ore e mezza e non sapevo se ce l’avrei fatta. Se invece si tratta di arrivare in uno sprint ristretto oppure a due, c’è molta più adrenalina, più che correre da soli. E’ fantastico vincere una volata, ma non sono un esperto, quindi preferisco andare da solo e assicurarmi di poter vincere.

Quando attacchi da solo, come a Zurigo o all’Emilia, ti sorprende che nessuno ti segua?

In Svizzera, di sicuro c’erano corridori che potevano seguirmi, ad esempio Evenepoel. All’Emilia eravamo più vicini al traguardo, pioveva, quindi è stato un giorno piuttosto duro. Ho espresso una grande potenza, lì potevo immaginare che nessuno mi avrebbe seguito. Ma non direi, come ho letto, che ho la stessa forma del Tour. Stiamo correndo gare di un giorno, è diverso da un Grande Giro in cui devi essere performante per tre settimane. Se oggi mi mettessi sulla linea di partenza del Tour, non credo che potrei farcela. Siamo in bassa stagione (sorride, ndr), si pensa alle vacanze. Se guardiamo il singolo giorno, magari i numeri sono gli stessi del Tour, ma gli sforzi non sono paragonabili.

Arrivare in una volata ristretta o anche a due dà grande adrenalina, ma non garanzia di vittoria. Meglio arrivare da soli
Arrivare in una volata ristretta o anche a due dà grande adrenalina, ma non garanzia di vittoria. Meglio arrivare da soli
Qual è secondo te il miglioramento più grande che hai fatto quest’anno come corridore?

Non lo so per certo. Una parte importante di me sta crescendo. Di sicuro sto maturando, ho più esperienza rispetto agli anni passati. E ormai ho un approccio diverso con l’allenamento e anche fuori dalla bici. Devo dire che quest’anno mi sono sentito più a mio agio in bici e ho avuto degli snodi nella stagione che hanno fatto crescere la fiducia.

Quali snodi?

La prima iniezione di fiducia c’è stata al Giro. Mi sono sentito bene, non ho avuto una brutta giornata e l’ho vinto. Nel periodo dopo il Giro, non avevo molti impegni e non ci sono state persone che mi abbiano disturbato, quindi ho potuto riposare e allenarmi in quota con Urska. E’ stato un periodo piacevole e rilassante e allo stesso tempo, una buona preparazione. Quella è stata la seconda parte in cui ho capito che potevo fare molto bene il Tour. E quando mi sono presentato al via, già il secondo giorno a San Luca ho fatto uno dei migliori 5-6 minuti di potenza e da quel momento in poi, è stato un bel Tour. Niente è perfetto, ma più o meno è andato tutto come avevo pianificato.

Pensi che domani Evenepoel potrebbe darti del filo da torcere?

Questa settimana non è stata la migliore per lui. E’ stata davvero dura. Se non sei preparato mentalmente alla fine della stagione, anche per una gara sotto la pioggia o con quel tempo pessimo, non riesci a tenere duro. Se non c’è una grande motivazione per vincere gare, è difficile arrivare a giocarsela. Ma penso che per il Lombardia sia diverso. Penso che Remco sia pronto mentalmente più per la grande corsa, che per le più piccole. Quindi penso che domani proverà.

Pogacar si aspetta domani una reazione di Evenepoel, che secondo lui è arrivato al finale non troppo concentrato
Pogacar si aspetta domani una reazione di Evenepoel, che secondo lui è arrivato al finale non troppo concentrato
Dal 1998, c’è sospetto su chi domina in questo sport. In Francia ci sono media che hanno iniziato a dire che siccome sei molto dominante, allora aumenta anche il sospetto. Come reagisci di fronte a questo?

Il mondo oggi è così, si vedono dominatori in ogni ambito. Negli affari. Nel tennis, nel golf, nell’NBA, nel football, in qualsiasi altro sport vedi predominio dalle squadre o dei singoli atleti. Penso che ci sia sempre qualcuno che domina, finché arriva un nuovo talento, un giovane più affamato, una squadra migliore e ci saranno altri dominatori.

Cosa pensi di chi porta avanti sospetti sul tuo conto?

Il ciclismo è uno sport in cui in passato le persone facevano di tutto per ottenere dei risultati e hanno messo a rischio la loro salute. Molti ragazzi che non conosci nemmeno probabilmente hanno problemi di salute o mentali, per quello che facevano ai loro corpi 20-30 anni fa. Secondo la mia modesta opinione, penso che il ciclismo abbia sofferto molto in quegli anni. Non c’è fiducia e tocca a noi ciclisti riconquistarla. Non c’è niente che possiamo dire, se non fare la nostra gara e sperare che la gente inizi a crederci. Ma avrai sempre bisogno di un vincitore e il vincitore avrà sempre più occhi puntati addosso.

Fine stagione col sorriso: all’Emilia Pogacar ha regalato questa mortadella gigante a uno spettatore sloveno
Fine stagione col sorriso: all’Emilia Pogacar ha regalato questa mortadella gigante a uno spettatore sloveno
Con tanto di commenti sul suo conto?

Qualcuno penserà sempre o dirà che il vincitore è un imbroglione. Forse tra qualche generazione, la gente dimenticherà il passato, si dimenticherà di Armstrong e di quei ragazzi che facevano quello che facevano, e forse andremo avanti. Dalla mia esperienza personale, penso che il ciclismo sia uno degli sport migliori, il più pulito. Dove tutte le persone cercano di essere sane e non più malate nel nome della prestazione. Perché lo sappiamo che non puoi spingerti oltre il limite, che è meglio rimanere in salute. Se vuoi rischiare la tua salute e la tua vita per dieci anni di carriera, allora è solo uno spreco di vita ed è una cosa stupida. Ma ci saranno sempre persone invidiose e sospettose e non c’è niente che io possa fare al riguardo.

Ti capita di voltarti e guardare le vittorie di quest’anno?

Ho smesso di farlo. Al momento mi lascio trasportare dalla corrente, da una gara all’altra. Cerco di divertirmi con la squadra, ma non penso che questa stagione sarebbe potuta essere migliore di così.

Salvoldi: il lavoro continua tra pensieri e voglia di cambiare

11.10.2024
7 min
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Il tempo di smaltire e mettersi alle spalle l’euforia del successo iridato di Zurigo e Dino Salvoldi è già tornato al lavoro. A livello di calendario il triennio alla guida della nazionale juniores si è concluso con la prova iridata e la vittoria della maglia arcobaleno di Lorenzo Finn. Tuttavia il cittì non ama rimanere con le mani in mano. Un successo del genere porta felicità, ma non fa di certo terminare gli impegni e il lavoro iniziato ormai tre anni fa

«Il ricordo di Zurigo – dice Salvoldi mentre in sottofondo si sente lo scorrere dell’auto sull’asfalto – è vivo e bello nella mia testa. Ma nel mio lavoro si deve sempre volgere lo sguardo avanti. Ieri e oggi (mercoledì e giovedì, ndr) sono stato a Montichiari a visionare gli allievi 2008. Ovvero coloro che nel 2025 passeranno juniores».

Il lavoro continua

Tre anni passano in fretta, in particolare se al termine di questi c’è un successo grande come la vittoria di un mondiale che mancava da 17 anni. Salvoldi ha capito l’importanza di tale traguardo, ma non si è fatto distrarre. Il lavoro svolto è tanto, ma non manca quello futuro (in apertura una foto del Giro della Lunigiana foto Duz Image / Michele Bertoloni).

«Partiamo con ordine – analizza – perché quando sono arrivato in una fase di cambiamento del ciclismo giovanile. Questa era già in atto tra gli juniores, seppur da poco tempo. Nel frattempo c’è stata una grande evoluzione e un cambiamento radicale della categoria a livello internazionale. Tuttora mi sento di dire che l’Italia fa un po’ fatica nell’attività di vertice. La vittoria di Finn riempie di felicità e orgoglio ma non mancano i passi da fare per adattare tutta la categoria a quello che è il livello internazionale».

Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
Salvoldi ha unificato sotto il suo controllo pista e strada, dando una programmazione al lavoro dei ragazzi
A riguardo ci sono delle motivazioni?

Certo, più di una. In primo luogo come Italia siamo molto legati alla nostra storia, alla tradizione e alle strutture presenti. Un po’ di anni fa eravamo il riferimento internazionale, ora però le cose sono cambiate. Il ciclismo è una questione globale, è inutile chiudersi in abitudini e tradizioni. Il rischio è di avere un limite di crescita importante. 

C’è un cambiamento sempre più evidente rispetto al passato. 

In primo luogo credo la prima risposta data dalla mia gestione sia stata quella di riunire l’attività di strada e pista. Questo ha fatto sì che ci fossero maggiori possibilità di crescita e programmazione. Abbiamo preso ragazzi con caratteristiche e potenzialità per fare entrambe le cose. In passato questo non sarebbe stato possibile, con il senno di poi direi che è stata una mossa corretta. 

La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
La vittoria di Finn a Zurigo è stato il coronamento di un lavoro lungo tre anni (foto Federiciclismo / Maurizio Borserini)
Le squadre come l’hanno presa all’inizio?

C’è stata comprensione e collaborazione. Quasi oltre alla possibilità di gestire certi numeri. Come tecnico credo che tutti dovrebbero allenarsi su strada e pista, è una cosa che aiuta dal punto di vista formativo. E chiaro che non posso occuparmi personalmente di 800 ragazzi, ma il modello deve essere da esempio. Noi come Federazione abbiamo modo di poterci occupare di 40 atleti e solo sei di questi saranno poi selezionati per le competizioni principali. Quello che deve passare è che i restanti 34 non hanno perso tempo, ma hanno comunque svolto un’attività formativa. 

Serve una programmazione, da parte di tutti. 

Credo che in questo periodo il ciclismo non sia una questione europea ma mondiale. Questo comporta che non si può pensare di sopravvivere grazie alla casualità del super talento. Ora il fuoriclasse può nascere in ogni angolo del mondo e ogni nazionale è in grado di scovarlo. Anni fa il ciclismo era una questione tra 20 Paesi, ora siamo in 50, se non di più. Fino a 15 anni fa gli juniores erano 3.000, ora 800. E’ evidente che la selezione naturale non è più possibile. Si deve essere bravi a programmare per alzare il livello medio ed essere competitivi. 

Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
Il confronto con gli organizzatori e le squadre è costante e volto alla ricerca dell’attività migliore per i ragazzi
La speranza è che la vittoria di Finn possa fare da traino?

E’ chiaro che avere un campione in casa aiuti a crescere. Guardate il tennis ora, grazie a Sinner aprono scuole e la gente si appassiona. Se voglio guardare il bicchiere mezzo pieno riguardo la vittoria di Finn direi che può essere un esempio. E’ un ragazzo che ha cambiato realtà e calendario andando all’estero, ma ha vissuto la sua quotidianità in Italia andando a scuola e facendo quello che fanno tutti i ragazzi. 

Può essere un insegnamento…

Se fai quel che hai sempre fatto rimani dove sei. Invece bisogna avere il coraggio di cambiare, anche contro le proprie tradizioni. Fare calendari differenti o avere regole diverse per permettere una crescita globale. 

Si parla di aggiungere un anno alla categoria, passando da due a tre.

Negli altri sport, soprattutto quelli di squadra, tutti gareggiano contro i propri pari livello. Nel calcio la Primavera del Milan non gioca contro quella del Montichiari, ad esempio. Nel ciclismo un ragazzo meno preparato compete contro quelli più forti e a fine stagione è destinato a smettere. Penso sia giusto parlarne a tutela dei numeri. Se parliamo di aggiungere un anno alla categoria mi trovate d’accordo. E può anche essere una regola nazionale, solo italiana. D’altronde i francesi hanno sempre corso con il rapporto libero, anche quando a livello internazionale c’era il blocco al 52×14. Perché non possiamo aumentare la categoria di un anno a favore di chi ha ancora bisogno di crescere e maturare?

Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Bessega e Sambinello nel 2025 passeranno in due devo team entrando nel mondo WorldTour
Modificare il calendario passando da gare di un giorno a gare a tappe è un argomento tanto discusso tra gli addetti ai lavori. 

Se si dovesse passare a più gare a tappe va da sé che una squadra non potrebbe farle tutte, ma sarebbe costretta a scegliere e quindi programmare. In più una gara a tappe vede diversi sforzi al suo interno: salite, volate, cronometro… I ragazzi dovrebbero prepararsi per essere in grado di correre ovunque, altrimenti rischiano di essere tagliati fuori. L’idea è di fare qualcosa che non si fa di solito, altrimenti si coltiva sempre il proprio orticello. Però, se si vuole diventare un corridore professionista è importante sapersi destreggiare su ogni terreno. In più, per concludere, se si fanno 10 corse a tappe durante l’anno si arriva comunque a 40 giorni di gara, il che sarebbe diverso dal correre 40 domeniche. 

A sentir parlare Dino Salvoldi si capisce come la sua voglia sia quella di continuare un cammino che non reputa finito. Per lui, ma come per tutti gli altri commissari tecnici nazionali, un grande spartiacque saranno le prossime elezioni federali. Chiunque dovesse vincere dovrebbe tenere conto di quanto fatto e dei percorsi iniziati. Tutte queste considerazioni fatte dal cittì dovrebbero diventare tema di confronto sui tavoli federali, per evitare che il ciclismo italiano sia costretto a rincorrere. Al contrario si potrebbe provare ad anticipare i tempi. L’arcobaleno di Finn ha brillato nel cielo di Zurigo e del Ghisallo. Il ragazzo però l’anno prossimo passerà under 23 e continuerà la sua crescita con il devo team della Red Bull-Bora hansgrohe. Cosa rimarrà della sua vittoria e della maglia iridata? Speriamo possa essere un insegnamento per tutto il movimento e non solo un ricordo destinato a sbiadire nel tempo.

Van Garderen: «L’addio di Bettiol? Inatteso, ma restiamo amici»

11.10.2024
4 min
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KUALA LUMPUR (Malesia) – Fare dieci stagioni in un team non è cosa comune nel ciclismo attuale. Ed è quello che Alberto Bettiol ha fatto con la  EF Education-Easypost, prima di passare all’Astana-Qazaqstan a metà agosto. Un passaggio rapido, che ha stupito molti.

E’ chiaro che le motivazioni economiche e la brama di punti da parte del team kazako abbiano inciso non poco in questo passaggio di maglia ad effetto immediato, ma ci sono anche gli aspetti motivazionali, di cui ci parlò Bettiol, il quale rimarcò il fatto che alla EF non si trovava affatto male.

Stavolta però abbiamo analizzato anche il punto di vista opposto, quello della sua ex squadra. E lo abbiamo fatto con il il direttore sportivo Tejay Van Garderen. Un diesse giovane, classe 1988, che con Bettiol ha condiviso un bel pezzetto della sua carriera.

Tejay Van Garderen durante una riunione con i suoi ragazzi al Tour de Langkawi
Tejay Van Garderen durante una riunione con i suoi ragazzi al Tour de Langkawi
Tejay, secondo te cosa lo ha spinto a lasciare la squadra?

Onestamente sono rimasto piuttosto sorpreso. Voglio dire, ho corso con lui e sono stato anche suo compagno di squadra alla Bmc in quella stagione 2018 e da tre anni avevo il piacere di dirigerlo. Dunque quando ho sentito la notizia sono rimasto un po’ così. Non sapevo…

L’Astana si sta muovendo molto sul mercato: vuole restare nel WorldTour…

Sinceramente questo è qualcosa di cui non mi occupo molto. E’ più un aspetto che riguarda Jonathan (Vaughters, il team manager della EF, ndr), l’Astana e Bettiol. Immagino che Alberto abbia fatto ciò che è meglio per lui. E Jonathan ha fatto ciò che è meglio per la squadra.

Cosa ha rappresentato per la tua squadra Bettiol?

Apprezzeremo sempre i risultati che ha portato al team, l’esperienza e la leadership che ha portato agli altri ragazzi e per questo gli auguriamo solo il meglio dove andrà.

Bettiol ha ottenuto 8 vittorie in carriera e tutte nel gruppo di Vaughters, l’ultima il tricolore lo scorso giugno
Bettiol ha ottenuto 8 vittorie in carriera e tutte nel gruppo di Vaughters, l’ultima il tricolore lo scorso giugno
E per te, visto che ci hai corso anche insieme?

E’ un grande campione, quel Giro delle Fiandre tutti lo ricordano, ma come compagno di squadra, è sempre stato il migliore che si potesse chiedere. Era sempre felice ed era bello lavorare per lui. Per me era un ottimo regista, qualcuno a cui potevi chiedere consiglio perché sapeva vedere la gara e a capire come sarebbe andata. Insomma tatticamente è molto intelligente…

In corsa si faceva sentire?

Da direttore sportivo sapevo di poter sempre fare affidamento su di lui, anche solo nella stanza per fargli delle domande o nelle riunioni del team. Sapevo che Alberto avrebbe parlato ed esposto la sua prospettiva. Era una sorta di coperta di sicurezza.

Quindi avevate un buon rapporto anche come direttore e corridore?

Assolutamente sì. Un buon rapporto, come detto, sia come compagni di squadra che come diesse e atleta. Quando correvamo insieme ci si poteva prendere semplicemente un bicchiere di vino da buoni amici… Cosa che farò anche adesso che è in una squadra diversa!

Oltre ad Asgreen (contratto di un anno), uno dei sostituti di Bettiol potrebbe essere Battistella (in foto) in una sorta di scambio tra EF e Astana
Oltre ad Asgreen (contratto di un anno), uno dei sostituti di Bettiol potrebbe essere Battistella (in foto) in una sorta di scambio tra EF e Astana
Cosa succede adesso quando lo vedi con un’altra maglia?

E’ già successo in Canada. Un giorno mi sono seduto al suo tavolo da pranzo. Alberto era con il resto dei suoi compagni di squadra. Volevo salutarlo, alla fine dopo che se ne era andato non ci eravamo visti e volevo, come dire: recuperare il ritardo. Volevo dargli un abbraccio e dirgli che alla fine non c’era niente di strano. Che era semplicemente un business. 

Chiaro…

Fa parte del lavoro. Tante persone, atleti, direttori, staff, hanno cambiato squadra o si sono ritirate, ma siamo rimasti amici. 

La EF Education ora prenderà un altro corridore come Bettiol?

Sì. Penso che proveremo a rafforzare la nostra squadra per le classiche. Come ho detto prima riguardo a certe questioni, non so tutto. Io non ho a che fare con i contratti, ci pensa Vaughters. Il mio lavoro è dirigere i corridori, ma immagino che a breve uscirà qualche news.