Si poteva anche pensare che dopo le tre medaglie d’oro di Parigi (foto di apertura), Harrie Lavreysen sarebbe andato ai mondiali di Ballerup demotivato o quantomeno appagato. Invece il gigante olandese è arrivato, si è guardato intorno e, come sempre sorridendo, ne ha vinte altre tre, diventando l’atleta più vincente nella storia dei mondiali su pista con 16 medaglie d’oro (da elite). Si è portato a casa la velocità olimpica, assieme a Hoogland e Van den Berg. Il chilometro da fermo, per lui una novità, battendo Hoogland. Infine la velocità, precedendo nuovamente Hoogland, che sarà pure suo ottimo amico, ma nell’epoca di Pogacar che li batte tutti, probabilmente si sentirà da tempo come Remco.
Anche a Ballerup tre vittorie: velocità a squadre, velocità e il chilometro. Lavreysen è del 1997, è alto 1,81 e pesa 92 chiliAnche a Ballerup tre vittorie: velocità a squadre, velocità e il chilometro. Lavreysen è del 1997, è alto 1,81 e pesa 92 chili
Dalla BMX alla pista
Lavreysen in pista si diverte, difficilmente lo si vede di cattivo umore. Chissà se in questo suo atteggiamento ha un ruolo la carriera precedente nella BMX. Harrie non è nato nella nobiltà del parquet, lui preferiva la terra, le ruotine scolpite, i salti, il chiasso e le acrobazie. Finché dopo il quarto intervento e l’ennesima lussazione della spalla, il medico pregò i genitori che lo convincessero a cambiare. E a quel punto la pista è diventata la sua casa. Fra parentesi: deve ancora prendersi cura della spalla e dormire in modo che durante il sonno non faccia movimenti strani.
Velocità, orgoglio e sfida: la novità del chilometro è forse la ripicca per l’eliminazione dal keirin. Il palmares è impressionante. Dal 2018 al 2024, ha vinto sei titoli mondiali della velocità, sei nella velocità a squadre, tre nel keirin e uno nel chilometro. Fra i pareri che meglio descrivono la sua capacità di essere potente, veloce e reattivo, quello di Theo Bos apre una finestra interessante.
L’altro olandesone, che in carriera ha vinto 5 titoli mondiali e adesso è il tecnico della Cina, ha usato parole chiare. «Ha un’eccellente genetica – ha detto – e una grande destrezza in bicicletta. Può sviluppare una potenza straordinaria, ma è agile come un corridore su strada».
All’indomani del ritorno dalle Olimpiadi, foto ricordo con Charles Leclerc prima del GP di Olanda (foto Instagram)All’indomani del ritorno dalle Olimpiadi, foto ricordo con Charles Leclerc prima del GP di Olanda (foto Instagram)
Orgoglio e sfida
Il suo allenatore si chiama Edwin De Vries e rivela che ci sono tanti dettagli che compongono il mosaico di Harrie Lavreysen. La grande potenza, certo, dato che in più di un’occasione ha superato il muro dei 2.000 watt. La sua meticolosità nel tenere nota di tutto, incluso tenere aggiornato un file Excel in cui annota cosa deve fare minuto per minuto.
«La circonferenza della sua coscia misura 68 centimetri – dice De Vries – e questo gli permette di spingere oltre 800 chili sulla pressa. E’ sempre calmo, molto pragmatico, quasi insensibile alla pressione, al punto che non risente dei passaggi a vuoto».
In realtà quelli capitano sempre più raramente. A Ballerup è stato eliminato nel keirin e la vittoria è andata a Kento Yamasaki (i giapponesi hanno vinto la “loro” specialità anche fra le donne con Mina Sato). Harrie avrebbe potuto dire di essere stanco e demotivato, invece ci ha dormito sopra e il giorno dopo, al debutto in un mondiale, ha vinto il chilometro.
A Parigi la vittoria nella velocità olimpica, con Hoogland e Van den Berg (a destra)La nazionale olandese usa una bici Koga Kinsei, che per il 2024 è stata resa più aerodinamicaA Parigi la vittoria nella velocità olimpica, con Hoogland e Van den Berg (a destra)La nazionale olandese usa una bici Koga Kinsei, che per il 2024 è stata resa più aerodinamica
Un ragazzo alla buona
Sapete perché ride spesso e non lo si vede (quasi) mai incupito? Perché nonostante sia una star e in Olanda non possa camminare per strada come Pogacar in Slovenia, Lavreysen resta un ragazzo alla buona. Il villaggio in cui è cresciuto, Luyksgestel, è così piccolo da essere stato inglobato dal paese accanto.
Quando è tornato dalle Olimpiadi, Lavreysen è andato prima in visita ufficiale da Sua Maestà, il Re Willem-Alexander Claus George Ferdinand van Oranje-Nassau. Poi però è andato dritto al suo paese. Ha sfilato con i compagni di nazionale sul tetto di un pulmino arancione e poi si è buttato in una festa con migliaia di persone, che ha definito come l’esperienza più bella che abbia mai vissuto. Singolare affermazione, soprattutto fatta da uno che ha appena vinto tre medaglie olimpiche. Gambe, risultati, testa e palmares sono quelli del numero uno. Il cuore però è rimasto quello di sempre.
DopoZurigo il cittì Addesi va in cerca di giovani per il paraciclismo. E getta l'occhio oltre la siepe del ciclismo di U23 ed elite: all'estero lo fanno già
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Ha chiuso la stagione col colpaccio che nessuno si aspettava, riscrivendo una fetta di storia della gara. La vittoria ad Acquanegra sul Chiese per Leonardo Meccia in pratica corrisponde all’ultima da junior e…. alla prima da U23 (in apertura foto Rodella).
La classica mantovana, che tradizionalmente segna la fine del calendario degli elite/U23, è stata spesso l’occasione per vedere al via formazioni juniores con atleti del secondo anno grazie alle deroghe federali. Un antipasto di un centinaio di chilometri in circuito che può essere digerito bene dai più giovani in vista del menù dell’annata successiva. E a giudicare dal risultato ottenuto, il diciottenne della Vangi Il Pirata Sama Ricambi ha mandato di traverso il boccone ai suoi rivali con una grande prova. Non ci sarebbe da stupirsi, visto il livello degli juniores di oggi, però un po’ fa pensare. Prima di capire come ci sia riuscito, abbiamo conosciuto meglio Meccia scoprendo alcuni lati interessanti per un ragazzo della sua età ed altri curiosi che lo accomunano addirittura ad un campione del suo tempo.
Ad Acquanegra il diciottenne juniores Meccia ha preceduto gli esperti elite De Totto e Belleri (foto Rodella)Ad Acquanegra il diciottenne juniores Meccia ha preceduto gli esperti elite De Totto e Belleri (foto Rodella)
Esempio di perseveranza
Leonardo si è trovato a proprio agio sul percorso pianeggiante di Acquanegra, mantenendo fede al suo motto inventato sul profilo whatsapp che recita “more weight, more watt”. Tradotto “più peso più potenza”, che per un passista-veloce è una sorta di dottrina. Il suo cammino pre-juniores non è stato quello del predestinato. E forse è stato un bene. Ha iniziato a correre da G1 nella Sidermec Riviera e col passare degli anni ha avuto una crescita costante malgrado un bottino scarso di risultati. Nel ciclismo giovanile attuale che cerca sempre il campione fin dalle prime categorie a suon di vittorie e a suon di pressioni, fa enormemente piacere trovare un caso raro come il suo.
«Ho fatto gli esordienti con la Fausto Coppi di Cesenatico, il mio paese – ci dice Meccia, che frequenta la quinta superiore in un istituto di ragioneria – e poi gli allievi con la Fiumicinese. Ero tra i più scarsi. Ho fatto i primi veri risultati con continuità al secondo anno da allievo. Fino a due anni fa il ciclismo per me è stato un passatempo, un divertimento. Avevo iniziato a correre perché lo faceva un mio amico. Invece da junior il ciclismo ha iniziato a diventare di più una ragione di vita. L’anno scorso sono andato abbastanza bene e questo mi ha spinto a lavorare meglio in inverno. Nel 2024 ho raccolto i frutti, anche se fino a due mesi fa non ero soddisfatto pienamente come volevo io. Adesso invece posso dire che la stagione non è andata così male (sorride, ndr)».
Matteo Berti è stato il diesse di Meccia tra gli juniores. Prima alla Work Service, quest’anno alla Vangi (foto M.Chaussé)Matteo Berti è stato il diesse di Meccia tra gli juniores. Prima alla Work Service, quest’anno alla Vangi (foto M.Chaussé)
Zero pressione
Seppur venga dalla densa terra di pedalatori e di Pantani, Meccia non conosce molto del passato del suo sport, proprio come ha ammesso Pogacar dopo il quarto Lombardia consecutivo che lo ha proiettato nella leggenda. E anche questo aspetto per Leonardo non è necessariamente negativo. Quest’anno ha conquistato 21 top 10 distribuite in maniera inequivocabile: cinque successi, cinque podi e cinque piazzamenti nei primi 5.
«Onestamente devo dirvi – ci confida – che so abbastanza poco del ciclismo. Ho avuto uno zio che correva in bici e ricordo ciò che mi diceva lui, ma senza mai approfondire. Nemmeno io ho mai avuto idoli, anche se mi piacciono tanti corridori di adesso. I miei riferimenti in questi anni sono sempre stati i miei avversari che andavano più forte di me. Mi basavo su di loro per capire il mio valore in gara. Per fortuna non ho mai avuto pressioni dai miei genitori e dai miei tecnici per vincere o arrivare tra i primi. Sento di non essere arrivato spremuto mentalmente agli juniores».
Esperienza vincente
Nel 2025 Meccia correrà con la Technipes #inEmiliaRomagna ed il salto nella nuova categoria è dietro l’angolo, ma un assaggio ce lo ha avuto due giorni fa.
«Il nostro diesse Matteo Berti – prosegue Leonardo – ha sempre portato gli juniores del secondo anno a questa corsa. Non ha preteso nulla da noi. Voleva solo che vivessimo quella giornata come un’esperienza. Ci ha dato le giuste indicazioni per correre al meglio. La qualità è salita tantissimo tra gli juniores ed in effetti su quel tipo di percorso (un circuito di 4 chilometri da ripetere 25 volte, ndr) non mi aspettavo grandi differenze tra noi e gli U23. Tuttavia ero abbastanza emozionato. Avevo timore e soggezione di correre con ragazzi abbastanza più grandi di me, addirittura alcuni con la barba che li facevano sembrare ancora più vecchi (sorride, ndr)».
Meccia ha disputato diverse corse internazionali. Qui con la maglia dell’Emilia Romagna all’ultimo Giro di Lunigiana Meccia ha disputato diverse corse internazionali. Qui con la maglia dell’Emilia Romagna all’ultimo Giro di Lunigiana
La stoccata decisiva
Meccia è salito sul primo gradino del podio davanti a due esperti come De Totto del Sissio Team e Belleri della Hopplà, rispettivamente di 24 e 25 anni. In corsa ha dovuto anche pagare dazio di una regola non scritta molto “dilettantistica”, ma non ci ha fatto troppo caso.
«Durante le prime tornate – conclude il suo racconto – mi sono preso un po’ di “parole” da qualche corridore. Ero davanti e mi dicevano di tornare indietro nella pancia del gruppo. Non ci sono rimasto bene, seppur capissi la situazione, ma non volevo discutere e così questo mi ha incentivato a restare nelle prime posizioni. Anzi, sono entrato nella fuga decisiva di 19 assieme al mio compagno Bolognesi che è nata prima di metà gara».
Poggio Torriana, Meccia è preceduto da Cettolin nella volata per il secondo posto. Vittoria a Consolidani (foto Ballandi)Poggio Torriana, Meccia è preceduto da Cettolin nella volata per il secondo posto. Vittoria a Consolidani (foto Ballandi)
Quattordici giri in avanscoperta ed il rispetto degli avversari che cresce chilometro dopo chilometro quando si accorgono che il giovane Meccia non salta i cambi e collabora. La superiorità numerica di alcune formazioni in fuga non funziona, l’accordo salta subito nonostante il gruppo avesse già alzato bandiera bianca. E così c’è spazio per tentativi solitari. L’ultimo è il suo, quello decisivo, quello per cui si è meritato i complimenti di tutti.
«A sette giri dalla fine – racconta – siamo rimasti davanti in otto. A due giri se ne è andato De Totto guadagnando 15”. Dietro c’era un po’ di attendismo, finché a tre chilometri dal traguardo ci ho provato. Sono scattato tornando sulla sua ruota in vista del triangolo rosso. Ai 500 metri l’ho superato e sono riuscito a vincere tutto solo. Nessuno se lo aspettava, nemmeno io. Ed è stato bellissimo».
Bravo Leonardo, hai scelto il miglior modo per iniziare il passaggio di categoria che avverrà ufficialmente fra meno di due mesi. Per le riflessioni su come stia cambiando il ciclismo delle categorie giovanili servirà invece aprire una pagina a parte.
Dario Andriotto, tirato in ballo giorni fa da Basso, ci spiega come lavorano sui giovani alla Eolo-Kometa. I criteri di scelta. E il rapporto con le squadre
Come è arrivato. E come se ne è andato. Con Roberto Reverberi, team manager e direttore sportivo della VF Group-Bardiani, parliamo di Giulio Pellizzari, splendida rivelazione italiana della stagione. Il marchigiano è approdato nel suo team nel 2022 e se ne è andato in questo autunno 2024. Arrivò che era un ragazzo junior con la faccia ancora da ragazzino con i brufoli ed è partito da corridore… con la stessa faccia da ragazzino!
Una bella storia, anche dal punto di vista tecnico. Nonché un viaggio per capire come questa professional italiana abbia valorizzato l’atleta. Come ci ha lavorato. Qualche numero? Nel 2022 per Pellizzari 42 giorni di corsa pari a 5.761 chilometri di gara. Nel 2023: 58 giorni e 7.936 chilometri di gara. E nel 2024: 71 giorni di corsa e 10.610 chilometri di gara (in apertura foto di Filippo Mazzullo).
Giro della Valle d’Aosta. Estate 2022, il primo incontro con Giulio PellizzariGiro della Valle d’Aosta. Estate 2022, il primo incontro con Giulio Pellizzari
Roberto, qual è il primo ricordo che hai di Pellizzari?
Giro della Valle d’Aosta 2022. Io di solito non seguo il gruppo dei giovani, lo fa Rossato. Ma Mirko non c’era e così per qualche giorno andai io al seguito di quella corsa. Lo vidi dal vivo e quando tornai ne parlai con mio padre e gli altri. Dissi loro: «Sapete che questo ragazzo diventerà un corridore buono?». Anche perché Giulio aveva appena fatto gli esami, non era preparato benissimo per quel livello di corse e di avversari. Invece si comportò benone: andò in fuga, tenne la maglia dei Gpm per più di qualche giorno e in salita, quando restavano in 10-12, lui c’era. E di quel drappello faceva parte gente come Martinez e Gregoire che stanno facendo bene tra i professionisti.
In effetti, lo ricordiamo anche noi: un ragazzo giovanissimo, ma anche spigliato ed educato…
Anche gli altri ragazzi che abbiamo preso adesso sono ragazzini. Li vedi proprio che sono immaturi, che sono acerbi. Ma è normale. Li andiamo a prendere tra gli juniores. Dobbiamo muoverci così, altrimenti i devo team te li portano via.
Se ti volti indietro, Roberto, cosa vedi di quel che gli avete lasciato?
Gli abbiamo trasmesso la nostra esperienza. E’ anche vero che i ragazzi come Pellizzari sono talmente giovani che è tantissimo quello che devono imparare. Per loro è tutto nuovo. E cose che noi diamo per scontate, scontate non sono.
Il marchigiano (classe 2003) è amatissimo dal pubblico… anche quello più giovaneIl marchigiano (classe 2003) è amatissimo dal pubblico… anche quello più giovane
Quanto è cresciuto Giulio in questo triennio?
Tanto. Tanto e in poco tempo. Quest’anno aveva fatto un gran bel salto prima del Giro d’Italia e un altro ne ha fatto dopo. Aver finito la corsa rosa in quel modo, cioè andando forte nella terza settimana, è molto importante. Tanto più che lui era stato male. Era stato ad un passo dal ritiro. Poi invece nel finale è stato in fuga, ha ottenuto due piazzamenti e quelli sono stati giorni duri. Il recupero dopo la malattia e la terza settimana corsa in quel modo sono stati due segnali davvero positivi per il resto della sua carriera.
E dopo il Giro?
Il Giro gli ha dato una marcia in più e si è visto subito allo Slovenia. Un altro corridore, un’altra gamba, un’altra personalità. Poi in estate ha recuperato bene e si è visto un cambiamento esagerato. E ha ancora margine. Certo, a volte corre male. Corre d’istinto, va frenato. Anche al Lombardia in qualche frangente si è fatto vedere troppo. Nelle interviste dopo gara ha detto: «Oggi ho corso per il piazzamento e non per lo spettacolo». Fermo lì: «Per lo spettacolo ci corre Pogacar, tu pensa a stare buono e davanti finché puoi». Ma alla fine è andato bene. Se non avesse avuto i crampi sarebbe entrato nei primi dieci e in una corsa di 260 chilometri a fine stagione. E a 21 anni appena fatti, non è cosa da poco.
C’è qualche volta in cui ti ha fatto arrabbiare?
Eccome… tutte le volte che non ascoltava, quando correva in modo azzardato, senza pensare. Poi mi rendo conto che questi ragazzi sono talmente giovani, che è anche giusto che sbaglino. L’importante è che capiscano perché hanno sbagliato e non lo facciano la volta successiva. L’ultima volta che Pellizzari si è preso delle “belle” parole è stato al Giro dell’Emilia. Gli avevo detto di stare fermo fino alla fine e invece si è mosso al penultimo passaggio sul San Luca. A quel livello, con quei corridori hai una cartuccia sola. E lui se l’era già giocata. E’ arrivato terzo Piganzoli, poteva riuscirci anche Giulio.
E invece quando ti ha colpito in positivo?
Nei primi 10 chilometri del secondo passaggio sul Grappa – dice secco Reverberi – io ne ho avuti di corridori forti in salita, ma a fare quei numeri ne ho visti pochi. Giulio andava forte davvero ed era in fuga da tanto. E la conferma il giorno dopo me l’ha data Baldato (diesse della UAE Emirates di Pogacar, ndr): «Il vantaggio non scendeva, abbiamo dovuto mettere davanti Majka per far calare il distacco». Se fosse arrivato ai tre chilometri dalla vetta con quei 2’30” neanche Pogacar lo avrebbe ripreso. E poi, ripeto, mi è piaciuto il suo Lombardia: guardate che non è stato banale fare quella prestazione.
Giro d’Italia 2024, sul Monte Grappa Giulio Pellizzari fa segnare una prestazione eccelsaGiro d’Italia 2024, sul Monte Grappa Giulio Pellizzari fa segnare una prestazione eccelsa
Secondo te ha dei margini?
Certo che ha margini.E non pochi. Anche fisicamente deve formarsi del tutto, per questo dico che ne ha. Può correre meglio e immagino che adesso investirà del tempo anche a crono. Noi non avendone la necessità, non lo abbiamo mai fatto lavorare troppo in questa specialità. Aveva la bici a casa, ma è chiaro che ora ci lavorerà diversamente. Invece un’aspetto su cui deve migliorare un po’ è l’approccio alle salite lunghe. Se ci fate caso lui paga un po’ il primo cambio di ritmo. Ci mette un po’ a carburare. Si sfila. Poi risale e magari ti stacca anche. Ma credo che questa cosa sia fisiologica e migliorerà con il tempo.
Roberto, hai parlato della sua crescita in generale. Ma in cosa secondo te è cresciuto di più?
In tutto, anche in discesa. Dico la discesa perché ripenso al Tour of the Alps dell’anno scorso, quando di fatto fu recuperato in discesa. Fu messo un po’ sotto torchio sotto questo aspetto. Lo criticarono. Adesso invece va forte anche lì. Giulio in discesa ci sa andare e se piove è ancora meglio. Mi ha detto: «Quando piove mi sento più sicuro perché gli altri vanno più piano». Merito, lasciatemelo dire, anche dei nostri buoni materiali. Ma davvero è migliorato sotto ogni aspetto.
In questi tre anni, come avete accompagnato la sua crescita. Cosa ci avete messo del vostro?
Io credo la gestione delle corse che gli abbiamo fatto fare. Al primo anno Giulio ha fatto quasi solo gare under 23. Se poi vediamo qualcuno come lui che è già più pronto lo buttiamo anche tra i pro’. Con Giulio abbiamo fatto un primo vero salto l’anno scorso, quando lo portammo al Tour of the Alps. Nonostante andò bene poi lo abbiamo fatto correre di nuovo tra gli under 23. Certe esperienze fanno bene, ti danno consapevolezza, gamba, ma al tempo stesso servono anche a farti “abbassare le orecchie” per capire quanto ti manca per stare a certi livelli.
Veneto Classic: ultima gara di Pellizzari con la VF Group-BardianiVeneto Classic: ultima gara di Pellizzari con la VF Group-Bardiani
Pellizzari passerà alla Red Bull-Bora Hansgrohe: se tu fossi il suo diesse il prossimo anno…
Gli darei campo libero – ci anticipa Reverberi – spero che non gli facciano fare solo il gregario. Lo porterei al Giro e appunto gli lascerei il suo spazio. Non lo metterei solo a tirare. Ma credo che ce lo portino. Ho chiesto a Giulio se sapesse già qualcosa dei suoi programmi 2025, ma mi ha detto che ancora dovevano farli.
Pellizzari ti ricorda qualche corridore che hai avuto?
Un po’ Ciccone, ma Pellizzari almeno in salita è più forte. E poi ha più margini rispetto al Ciccone che andò da noi via all’epoca. Credetemi, Giulio migliora di mese in mese!
Cosa gli hai detto al termine della Veneto Classic, l’ultima corsa con la VF Group-Bardiani?
Gli ho detto in bocca al lupo per il resto della carriera. Lui mi ha abbracciato, si è un po’ commosso… e anche io. Alla fine è stata una bella storia e fa piacere vederli poi raggiungere certi risultati. Vedere Ciccone in maglia gialla o Colbrelli vincere la Roubaix. Così come fa piacere vedere che alle corse i corridori che sono stati da noi vengono a prendersi il caffè al nostro bus. Vuol dire che sono stati bene.
Il progetto è sempre lì. Filippo Pozzato non ha riposto nel cassetto le speranze di costruire un team tutto italiano che possa avere un futuro nel WorldTour, anzi si è consociato con DavideCassani (che aveva espresso una volontà simile all’indomani del suo addio dalle responsabilità tecniche azzurre), ma per ora siamo ancora nel campo delle possibilità future, nulla di più. E dalle sue esperienze emergono tutte le difficoltà del ciclismo italiano attuale, assolutamente non al passo con i tempi.
Pozzato insieme al presidente Uec Della Casa. Per l’organizzatore italiano bisogna lavorare molto sulla comunicazionePozzato insieme al presidente Uec Della Casa. Per l’organizzatore italiano bisogna lavorare molto sulla comunicazione
Pozzato, reduce dalle fatiche organizzative delle classiche venete rese monche dal cattivo tempo, sottolinea come al momento il problema principale riguardi la ricerca di fondi: «Sto girando l’Italia proponendo la mia idea a molte aziende e questo mi permette di capire qual sia il gradimento del ciclismo. Devo dire che l’attenzione verso la nostra proposta non manca, il problema vero è legato alle cifre e al corrispettivo che ottiene chi investe nel nostro mondo. Per questo dico che c’è un disagio generale: non sappiamo vendere il nostro prodotto perché siamo ancorati a un approccio vecchio».
Che cosa chiede chi dovrebbe investire?
Vuole avere innanzitutto ritorno d’immagine, visibilità, regole certe. Se vado da uno sponsor per fare una squadra che ambisce a entrare nel WorldTour, devo chiedere un investimento di svariati milioni di euro per almeno un quinquennio. La risposta è sempre: «Ma a fronte di una simile esposizione che cosa ho in cambio?». E lì emergono tutte le nostre difficoltà perché non basta certo far vedere la maglia nella ripresa Tv a soddisfare le richieste, oggi che siamo nell’era dell’immagine.
Bisogna riportare la gente sulle strade, soprattutto i giovani, raccontando loro le storie dei protagonistiBisogna riportare la gente sulle strade, soprattutto i giovani, raccontando loro le storie dei protagonisti
Tu però parlavi anche di regole…
Il regolamento Uci non è assolutamente chiaro. Si è voluto introdurre il sistema di promozioni e retrocessioni: può anche andar bene, se non hai mezzi e capacità per competere al massimo livello è giusto lasciar posto ad altri. Quel che è meno giusto è “congelare” la situazione per anni, far scannare i team per tre stagioni impedendo agli altri di fare investimenti. Fai come negli sport di squadra, promozioni e retrocessioni ogni anno con regole certe anche per la partecipazione alle gare. Ma il problema non riguarda solamente le WorldTour.
Ossia?
Guardate quel che avviene nelle continental: noi in Italia abbiamo una visione falsata a questo proposito perché non puoi certo fare una squadra continental con 200 mila euro. Che attività puoi fare con un budget tanto risicato? Che cosa puoi dare ai tuoi atleti? Per questo dico che siamo ancorati a schemi vecchi quando il ciclismo è andato avanti, è diventato uno sport costoso, di primo piano. Per fare una continental seria si parte dal milione di euro in su, c’è poco da fare, perché giustamente sono aumentate le professionalità che devi coinvolgere, dal nutrizionista al preparatore.
Basso è per Pozzato un modello di come costruire un team su base aziendale, ma servono budget maggioriIvan Basso è un modello di come costruire un team su base aziendale, ma servono budget maggiori
Come si fa a vendere un proprio progetto in un simile ambito?
E’ difficile, lo vedo e per questo ammiro molto gente come Ivan Basso e gli sforzi che fa. Dobbiamo renderci conto che è una questione di marketing, di saper vendere quel che si ha. C’è una generale carenza nella comunicazione: come è possibile che dopo il mondiale di Zurigo arrivano il campione del mondo Pogacar e il suo rivale Evenepoel in Italia, a correre non solo il Lombardia ma anche corse come Emilia e Tre Valli Varesine e lo sappiamo solo noi addetti ai lavori?
In altri tempi, sulla “rivincita dei mondiali” sarebbe stata fatta una campagna di stampa enorme…
Già, poi vedi nel contempo che la sfida fra Sinner e Alcaraz per un torneo d’esibizione diventa martellante, ne parlano tutti i canali, tutti i media, tutti i social. Allora capisci che siamo noi – e ci metto tutti dentro – a non saper vendere il nostro lavoro. Una responsabilità in tal senso ce l’ha l’RCS, la Gazzetta che ha abbandonato il ciclismo, non segue più gli eventi, ma questo avviene anche con i suoi: le pagine per il Giro d’Italia sono drasticamente ridotte e gli inviati anche.
Sinner e Alcaraz: le loro sfide ormai coinvolgono tutti, anche per semplici esibizioni (foto Getty Images)Sinner e Alcaraz: le loro sfide ormai coinvolgono tutti, anche per semplici esibizioni (foto Getty Images)
Per imitare il fenomeno tennis, servirebbe che avessimo un Pogacar?
Sì, quando avevamo Pantani tutti ne parlavano, ma rendiamoci conto che di Pogacar ne nasce uno al secolo e chissà dove… Io guardo il fenomeno tennis, Sinner è il frutto di almeno 15 anni d’investimenti nei tecnici, nei settori giovanili. Dietro il numero uno ora abbiamo una decina di tennisti fra i primi 100. C’è un movimento. Noi abbiamo latitato proprio in questo e continuiamo a farlo.
Un problema di gestione federale?
Sicuramente, ma è uno dei tanti. Andrebbero fatti investimenti nei settori senza attendersi subito risultati. Io credo che il ciclismo paghi anche il retaggio di una comunicazione sbagliatissima quando si è dato troppo spazio al doping senza investire sui giovani, sulle vittorie pulite. E’ stato fatto passare un brutto messaggio che ora, unito al problema sicurezza sulle strade, fa del ciclismo un soggetto meno appetibile. Le aziende che investirebbero ci sono, io ne avevo trovata una davvero grande, ma poi ha deciso di spendere quei soldi in un altro sport…
Secondo Pozzato, al ciclismo italiano servirebbe un Pantani capace di risvegliare l’attenzione dei mediaAl ciclismo italiano servirebbe un Pantani capace di risvegliare l’attenzione dei media
Eppure di messaggi positivi questo mondo continua a diffonderne…
Io sono convinto che i personaggi ci sono, le storie da raccontare ci sono. Ma su personaggi come Pellizzari, tanto per fare un nome, ci devi investire, lo devi raccontare, far conoscere anche a chi non è del settore, perché poi al passaggio sulle montagne del Giro la gente a incitarlo ci sarà. I giornali continuano a credere che il popolo italiano sia calciofilo e basta: non è più così. il calcio attira meno e ha lasciato spazi importanti, noi potremmo coprirli, ma dobbiamo andare incontro alle nuove generazioni.
Era stanca dopo il Giro, ma come è possibile che Longo Borghini abbia ceduto così di colpo alle Olimpiadi di Parigi. Paolo Slongo si è fatto un'idea...
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GIRONA (Spagna) – Siamo nella terra natale (la Catalunya) dell’attuale campione spagnolo a cronometro, David De La Cruz del Q36.5 Pro Cycling Team. Siamo ormai lontani dalle corse, dai momenti di maggiore agonismo e pressione, vicinissimi al periodo di meritato riposo. Quale miglior momento per fermarsi a bere un caffè con un professionista? David De La Cruz, 35 anni, corridore molto intelligente e preparato sulla tecnica della bici, appassionato del mezzo meccanico e minuzioso nella valutazione dei dettagli.
Più che il World Tour manca un Grande Giro e in particolare è mancata l’adrenalina della Vuelta, la corsa di casa, ma la speranza di esserci nel 2025 è viva. E poi c’è l’organizzazione e le disponibilità del Team Q36.5, una compagine pazzesca che ha poco da invidiare a tante squadre World Tour.
De la Cruz è amante delle prove contro il tempo e del mezzo meccanicoDe la Cruz è amante delle prove contro il tempo e del mezzo meccanico
Cosa è cambiato rispetto agli anni scorsi, dal WorldTour alla categoria professional?
L’unico aspetto negativo è legato al calendario e nello specifico il fatto di non aver messo in programma un Grande Giro. Questo mi è mancato tantissimo (De la Cruz ha corso in team WorldTour dal 2015 al 2023, ndr). Paradossalmente non ho visto molte differenze, soprattutto per quello che concerne l’organizzazione ed i materiali.
Vuoi dire che il Team Q36.5 è paragonabile ad una WorldTour?
Assolutamente. Tutti i materiali che abbiamo a disposizione sono super top e all’avanguardia, con un’ampia scelta, soprattutto per quello che riguarda l’abbigliamento. Siamo coinvolti nei processi di sviluppo e per me è uno stimolo ulteriore a fare bene. Pensa agli sponsor di peso, ai nomi come Scott, Breitling e USB, Q36.5, Sram, Zipp. Tanta roba, alcune squadre WorldTour non hanno questa qualità. E poi siamo seguiti in ogni singolo passo e richiesta.
De la Cruz è coinvolto anche in alcuni progetti ScottDe la Cruz è coinvolto anche in alcuni progetti Scott
Ti riferisci a preparazione, allenamento, nutrizione, eccetera?
Esattamente, la struttura e l’organizzazione si basa su una WorldTour a tutti gli effetti. A monte c’è un progetto importante e se l’obiettivo è quello di far evolvere lo stesso progetto, oggi come oggi non si può improvvisare.
Perché ti è mancato così tanto non fare un Grande Giro?
Quando sei un corridore professionista, il tuo lavoro è allenarti e gareggiare, rispettare i programmi del team e farti trovare pronto quando è il tuo momento. Entrano in gioco anche le motivazioni e personalmente correre un Grande Giro è lo stimolo più grande, un motivo per allenarti di più e meglio, una spinta ulteriore e fare sempre qualcosa in più.
Nel WorldTour, lo spagnolo ha militato in Etixx-Quick Step, Sky e Ineos, UAE e AstanaNel WorldTour, lo spagnolo ha militato in Etixx-Quick Step, Sky e Ineos, UAE e Astana
Come si dice, il Grande Giro ti cambia. E’ così?
E’ così, se pensi di essere arrivato al 100 per cento, ti rendi conto che dopo una grande corsa a tappe, vai ancora più forte, un fattore che contribuisce a spostare l’asticella più in alto.
Eppure avete fatto una prima parte della stagione con un buon calendario!
Tirreno-Adriatico, Giro di Svizzera e altre corse WorldTour, ma non una gara di tre settimane. Un calendario completo e buono fino alla fine della primavera e poi una seconda parte di stagione un po’ scarica. Una competizione di tre settimane è un boost per la testa, la condizione fisica e per l’immagine del team.
La vittoria nel Campionato Nazionale a crono, su Markel Beloki della EF e Raúl García Pierna (Arkea)La vittoria nel Campionato Nazionale a crono, su Markel Beloki della EF e Raúl García Pierna (Arkea)
Sei contento del tuo rendimento in questa stagione?
Sono abbastanza soddisfatto, sono riuscito nell’intento di portare a casa la maglia di campione spagnolo a cronometro, anche se ripeto, sono convinto che il mio rendimento è stato condizionato dalla mancanza di una corsa a tappe come Giro, Vuelta e Tour.
Campionato Nazionale a crono. Perché questo obiettivo ad inizio stagione?
Mi piace la disciplina e poi è stata una scommessa quando a dicembre 2023 ho firmato ufficialmente con il Team Q36.5e mi hanno dato la Plasma, la bici da crono di Scott. Al manager ho detto, con questa bici porto a casa la maglia di campione di Spagna.
La gara alla quale non vorresti mai rinunciare?
La Vuelta. Ci sono tre competizioni che mi danno adrenalina, la Parigi-Nizza, La Vuelta e la Vuelta Catalunya che per me è la gara di casa, io sono fiero di essere catalano.
In Spagna sei a casa, una motivazione in più?
Chiaro, come pensare ad un corridore italiano che partecipa al Giro. Il tuo ambiente, la tua gente e si parla la stessa lingua. La gente ti riconosce e fa il tifo, ti incita, fai fatica, ma sei anche nella tua zona comfort.
Fine stagione, ora un po’ di stacco, quasi totale, dalla biciFine stagione, ora un po’ di stacco, quasi totale, dalla bici
Siamo alla fine della stagione. Come sarà il tuo inverno?
Sono uno di quei corridori che ha la necessità di staccare completamente dalla bici, che non significa stare tutto il giorno sul divano. Sento bisogno di fare qualcos’altro. Vado a correre a piedi ad esempio, non per fare la maratona o testarmi. Semplicemente perché mi piace farlo, mi fa stare bene e mi piace. Quando inizio di nuovo ad avere bisogno della bicicletta, quella necessità di pedalare che va oltre l’allenamento, allora risalgo in sella con serietà, perché è quello il momento più giusto per farlo.
La stagione di Andrea Bagioli si è conclusa con le due gare giapponesi: il Japan Cup Criterium e la Japan Cup vera e propria, quella che si corre a Utsunomiya sulla distanza di 144 chilometri. Dopo il malanno che gli ha impedito di correre al Giro di Lombardia, il 2024 del più piccolo dei fratelli Bagioli si è concluso senza squilli particolari. Eppure il 2023 ci aveva ricordato le grandi potenzialità di un corridore che ha sempre salito gli scalini del ciclismo che conta a piccoli passi, ma decisi. Nella passata stagione era arrivata quella che poteva essere la consacrazione del suo talento con il terzo posto alla Coppa Bernocchi, la vittoria al Gran Piemonte e il secondo posto al Giro di Lombardia.
Nicola Bagioli ha smesso di correre nel 2021 e adesso realizza pentole in pietra ollare in ValtellinaNicola Bagioli ha smesso di correre nel 2021 e adesso realizza pentole in pietra ollare in Valtellina
Sguardo in avanti
Il 2024 ha portato il cambio di squadra, con la Lidl-Trek pronta ad accoglierlo a braccia aperte. Il team statunitense ha creduto molto in Andrea Bagioli e siamo sicuro che ci creda ancora. Tuttavia la stagione appena conclusa è stata la peggiore a livello di risultati e prestazioni. Ne parliamo con Nicola, fratello maggiore, anche lui corridore fino al 2021.
«Dopo il finale della scorsa stagione – racconta Nicola Bagioli – è sicuro Andrea si aspettasse una stagione migliore rispetto a quella messa alle spalle ora. Il cambio di squadra e di preparatore avevano dato grandi motivazioni, ma il 2024 non ha rispettato le aspettative. I risultati non sono arrivati. Da un lato me lo spiego con la maggiore velocità media in gruppo, ogni gara diventa tirata e impegnativa. Quindi è più difficile emergere e fare la differenza. Ora anche i big attaccano da lontano».
A Zurigo dietro Pogacar spunta il casco rosso di Bagioli, in terza posizioneA Zurigo dietro Pogacar spunta il casco rosso di Bagioli, in terza posizione
Il riferimento è a Pogacar? Andrea ha provato a seguirlo al mondiale, come hai visto quella mossa?
Con il senno di poi magari era un attacco da non seguire, Andrea avrebbe risparmiato energie e si sarebbe potuto mettere alla prova per realizzare un risultato migliore. Però ha voluto tentare di seguire il più forte al mondo, e se non si prova non si può sapere a quale livello si è arrivati.
Tu come lo hai visto in questo 2024?
Sempre concentrato e pronto a fare il meglio. Sicuro sperava di ottenere di più, ma non ha mai perso il focus. L’ho visto tante volte in bici concentrato su quello che doveva fare e con il fare curioso di chi è sul pezzo. Ha anche provato qualche posizione nuova in bici. Di questa stagione non può essere contento, ma ci sta. Può essere anche il motivo per affrontare il 2025 con maggiore grinta.
Uno dei pochi squilli in stagione è arrivato al Giro, con il quarto posto di Cusano MutriUno dei pochi squilli in stagione è arrivato al Giro, con il quarto posto di Cusano Mutri
A casa com’è apparso?
Tranquillo. Andrea è un ragazzo riflessivo lo è sempre stato. Da un lato penso sia una cosa positiva. A casa c’è un ambiente sereno, in grado di dargli la giusta tranquillità. Ci vediamo spesso e parliamo delle gare e di tanto altro. Conoscendo il suo carattere so che non è contento, ma allo stesso tempo è in grado di staccare, non pensare alla stagione appena conclusa e poi ripartire.
Che confronti avete sulle gare?
Il mio consiglio è sempre quello di provare ad anticipare, come ha fatto al mondiale. Attaccare più spesso da lontano e provare ad entrare in una fuga piuttosto che aspettare sempre il finale. Nel ciclismo non vince sempre il più forte, si possono inventare mosse diverse.
Per la prima volta rivali: Tre Valli 2018, Andrea in stage con la UAE, Nicola pro’ da 2 anni (foto Instagram)Per la prima volta rivali: Tre Valli 2018, Andrea in stage con la UAE, Nicola pro’ da 2 anni (foto Instagram)
Lui che cosa ti risponde?
Che comunque è difficile anticipare se i migliori si muovono a 100 chilometri dall’arrivo. Però è vero che se Pogacar si muove puoi sempre provare e vedere. Oppure può provare ad andare con lui in avanscoperta, soprattutto se non è al 100 per cento. E’ vero, però, che il ciclismo è cambiato tanto da quando ho smesso io, nel 2021. Lo si nota anche dalla TV.
Cosa intendi?
Non sono mai stato un corridore che aspettava il finale per andare via, al contrario di quanto ha sempre fatto Andrea. Però ora vedo molta più “anarchia” in gruppo, con velocità folli dall’inizio alla fine.
La giusta serenità può arrivare dai compagni di squadra: Consonni è uno di questiLa giusta serenità può arrivare dai compagni di squadra: Consonni è uno di questi
Qual è il tuo pensiero riguardo ad Andrea?
Quando sta bene può essere competitivo, riesce a restare con i migliori e lo ha dimostrato. Magari non tutto l’anno ma in alcuni momenti della stagione può farcela. Credo che il 2025 possa essere l’anno in cui troverà il giusto equilibrio con il nuovo team. Le qualità ci sono.
Matteo Malucelli è un corridore dell’Astana Qazaqstan Team. Ieri sera, col buio che aveva già inghiottito tutto, il romagnolo non stava nella pelle e forse non aveva neppure capito bene. Lunedì, il giorno prima, aveva firmato il contratto. Una WorldTour nel momento in cui forse pensava che fosse tardi. Invece alla fine i conti tornano e i tasselli dispersi dell’ultima Gazprom stanno trovando una collocazione, in una sorta di tetris che ha lasciato fuori soltanto Canola. Anche Carboni si è messo a posto, ma per l’annuncio c’è da aspettare ancora.
Malucelli si trova in ritiro a Padova con la nuova squadra. Ieri sera era appena arrivato in hotel e raccontava col tono basso di chi svela un segreto, quasi con la mano davanti alla bocca. Ma abbiamo condiviso così tanti discorsi e riflessioni in questi ultimi anni, che fare il misterioso alla vigilia dell’annuncio sarebbe stato imbarazzante. Malucelli ha firmato per un anno e deve tutto alle vittorie al Tour de Langkawi e all’investitura di De Kleijn. Parlando di lui, l’olandese lo ha definito un velocista fortissimo e sottovalutato.
«Che poi alla fine – ammette – il contratto me l’ha fatto firmare proprio De Kleijn. Senza di lui, sarebbe valso tutto un po’ meno. Lui non lo sa, ma il fatto che fosse in Malesia e io l’abbia battuto a quel modo è stato il plus che ha dato maggior prestigio alle mie vittorie. Dal Giro d’Abruzzo in poi ho fatto solo corse di classe 2.2 e sette vittorie, ovvio che avessero meno peso. Se avessi fatto questi risultati a luglio, avrebbero avuto ben altro riscontro, ma prendiamo il buono che è venuto…».
Le sfide e le vittorie contro De Kleijn al Langkawi hanno mostrato la solidità di MalucelliLe sfide e le vittorie contro De Kleijn al Langkawi hanno mostrato la solidità di Malucelli
L’offerta di Savio
E’ presto per parlare di ruoli. Immaginare Malucelli che tira le volate al gigante Syritsa è certo suggestivo, ma una quadra così grande ha un vasto calendario da coprire e non mancheranno le occasioni per mettersi alla prova. Al suo procuratore Nicoletti stavolta è riuscito il perfetto colpo di reni, dopo che per giorni avevano discusso sul da farsi. Da una parte Malucelli, sicuro di meritare un posto nel gruppo. Dall’altro Moreno che invocava qualche risultato più pesante per andare a proporlo in giro.
«Avevo detto che se non avessi trovato una squadra vera – racconta Malucelli – avrei smesso. In realtà a un certo punto era venuta fuori una continental che però mi avrebbe pagato come una professional. Era la Petrolike: Gianni Savio sarebbe stato ancora una volta il mio salvatore. Era una buona possibilità e abbiamo tenuto la porta aperta fino a lunedì, perché giustamente Marco Bellini e Gianni non potevano aspettare in eterno. Mi hanno detto che se avessi trovato un’altra strada, sarebbe stato giusto percorrerla e così è stato. Stavo perdendo la speranza, ma ci credevo. Mi dicevo: “Cos’altro devo fare per avere l’opportunità che altri hanno avuto?”.
«E’ cambiato tutto nelle ultime due tappe di Langkawi e chiaramente, se fai quel tipo di vittorie, è più facile anche per il procuratore portare avanti il tuo nome. Adesso dipende da me, se me la sono meritata e se continuerò a meritarla. Ma sono tranquillo, perché ho la voglia di un ragazzino di 20 anni e l’esperienza del trentenne».
Al Langkawi Malucelli ha battuto anche il gigante Syritsa, ora suo compagnoAl Langkawi Malucelli ha battuto anche il gigante Syritsa, ora suo compagno
Ancora incredulo
Sarà la coincidenza dell’Astana che ha bisogno di corridori che portano punti, sarà aver visto in Malucelli la grinta che aveva già messo nelle corse con la nazionale subito dopo la chiusura della squadra russa. Sarà anche che nell’Astana c’è lo stesso Sedun che guidava la Gazprom. Comunque sia, la stagione con il Team Ukyo ha ridato a Malucelli voglia e vetrina. E adesso si apre la pagina più bella della sua carriera, nel momento in cui meno se lo aspettava.
«Non so ancora – dice – cosa dovrò fare. E’ tutto così fresco, che ancora non mi rendo conto. Finché non vedo, non credo. Finché non mi ritroverò a pedalare tutti insieme, non sarà facile da capire. Anche perché per l’età che ho, dico la verità, pensavo che ormai come canta Vasco, fosse tardi. Ma questa volta ho dato dei segnali profondi. Ho vinto 10 corse, me l’hanno fatta sudare, ma alla fine è arrivata».
Altro non dice, perché altro non sa. Il WorldTour, questa sorta di terra promessa che ti garantisce di fare le corse che contano, è arrivato quando meno se lo aspettava. Gli sono passati davanti agli occhi tutti i momenti degli ultimi due anni. Ha pensato a quanto sia stato faticoso correre e vivere lottando ogni volta con la frustrazione di meritare di più. Avrà pensato che in qualche modo esiste una giustizia. E che ora non ci sono più scuse, c’è solo da correre. Ma prima trascorrere un inverno da samurai, per essere pronto già dalle prime corse.
Si apre la pagina di Moscon all'Astana e il trentino rinasce. L'ambiente familiare gli dà fiducia, l'italiano lo fa sentire a casa. Nibali è un riferimento
A un certo punto la Soudal non credeva più a Masnada e lo ha mandato a fare un controllo in Belgio. Il rapporto era finito. Il bergamasco va all'Astana
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CASTRO – Succede che in una gara di mtb nell’estremo lembo meridionale d’Italia s’incontri Pascal Richard. Lo ricordate? E’ stato il campione olimpico ad Atlanta 1996, campione del mondo di ciclocross, ha vinto la Liegi e il Lombardia. Un grande, grandissimo attaccante. Un vero duro degli anni ’90.
Richard era in Salento, Lecce, per la Castro Legend Cup, una manifestazione che stavamo seguendo per il “fratellino” di bici.PRO, bici.STYLEe ne è nato è questo incontro.
Lo svizzero infatti ha sposato tanti anni fa una ragazza salentina e qui è stato subito accolto come uno di famiglia. Il patron dell’evento, Giuseppe Maggiore, ricorda come da bambino davanti alla tv vedendo vincere Richard gli sembrava che stesse vincendo uno del paese. Pensate che la squadra di ciclismo locale si chiama Ciclo Club Spongano-Pascal Richard. Ormai è un salentino d’adozione: «Specie quando c’è da mangiare!», dice lui.
Al netto di questa insolita storia, l’incontro con Richard è stata un’occasione per scambiare due chiacchiere a tutto tondo sul ciclismo, specie quello svizzero.
Atlanta 1996, battendo allo sprint Sorensen, Pascal Richard diventa campione olimpico (foto Pinterest)Richard (classe 1964) è stato pro’ per 15 anni. Tra le sue 42 vittorie figurano anche: una Liegi, un Lombardia e un Giro di SvizzeraAlla Castro Legend Cup, gara di mtb, ha primeggiato nella categoria M7Atlanta 1996, battendo allo sprint Sorensen, Pascal Richard diventa campione olimpico (foto Pinterest)Richard (classe 1964) è stato pro’ per 15 anni. Tra le sue 42 vittorie figurano anche: una Liegi, un Lombardia e un Giro di SvizzeraAlla Castro Legend Cup, gara di mtb, ha primeggiato nella categoria M7
Pascal, partiamo dal Tudor Pro Cycling Team. Quanto è importante per il movimento svizzero ora che sta diventando davvero forte?
E’ molto importante. E’ la squadra che prima non c’era. Trent’anni fa la Svizzera è stata molto forte nel ciclismo, ma poi ha avuto un vuoto… a parte Cancellara, che tra l’altro oggi dirige questa squadra. Ora invece ci sono molti bravi corridori in Svizzera: Hirschi, Kung, Bissegger… e spero se ne aggiungano altri. Sono contento che sia arrivato questo team, ma per altri aspetti sono anche deluso.
Di cosa?
La Svizzera è un Paese ricco e nonostante tutto non ci sono molti sponsor per il ciclismo. Un po’ come in Italia. Sarebbe bello che fosse come per lo sci. E io spero possa cambiare qualcosa con questa squadra.
Però voi avete una buona base, non larghissima, ma di qualità. Lo abbiamo visto nelle gare juniores e ancora di più in quelle under 23. Pensiamo a Voisard, cresciuto nella Tudor…
Sì, per esempio c’è Jan Christen. Lui però è nella UAE Emirates, un team in cui tutti lavorano per un leader estremamente forte quale Pogacar. Spero che anche Jan prima o poi possa trovare una strada per emergere come Hirschi.
Conosci Marc Hirschi?
Non bene di persona. Lo conosco perché sono interessato al ciclismo. Guardo molto le gare. Marc mi piace per il suo modo di correre. Feci una volta un giretto in bici con lui e con il povero Gino Mader, la cui scomparsa mi ha toccato profondamente ed era davvero un ottimo corridore che stava crescendo.
Alla Tudor, secondo Richard, Hirschi potrà realizzarsi definitivamenteAlla Tudor, secondo Richard, Hirschi potrà realizzarsi definitivamente
Quindi ora che non dovrà tirare per Pogacar potrà esplodere del tutto?
Lo spero. Di certo in questa squadra sentirà più fiducia. Ma io credo che ce la possa fare. Guardate cosa ha fatto in UAE: quasi tutte le volte che ha avuto possibilità di fare bene ci è riuscito. Ha vinto cinque gare nell’ultimo periodo. E in passato aveva vinto una tappa al Tour, era stato secondo al mondiale. E poi è anche molto intelligente. Se troverà un buon ambiente, e sicuramente lo troverà, potrà fare bene.
Tu sei stato un esponente anche dell’offroad svizzero: hai vinto un mondiale di ciclocross. Tuttavia attualmente non siete fortissimi in questa specialità. Non avete quella base di numeri che magari avete nella mtb. Perché, secondo te?
Nel cross c’è Loris Rouiller, un giovanotto fortissimo a mio avviso. Proprio questo weekend ha vinto in Francia. Però è uno solo… Nel ciclocross per arrivare a certi livelli serve un grande lavoro specifico. E’ una specialità durissima. Ma poi se guardiamo bene anche nella mtb dopo Nino Schurter chi c’è dietro di così forte? Purtroppo è vero: nel cross in Svizzera abbiamo perso un po’ di organizzazione. Poi quando i ragazzi vanno in Belgio, in Olanda, dove si fa il vero ciclocross, secondo me perdono anche morale. E non ci insistono troppo.
Chiaro…
Io vado spesso a vedere le gare dei giovani, anche quelle più piccole regionali e credo che gente come me serva ancora… anche se sono un vecchio! Magari è un modo per attirare attenzione. Noi dobbiamo esserci, dobbiamo dare una mano. Dobbiamo essere esempio, immagine… per andare avanti.
Cosa ti piace di questo ciclismo?
Questo ciclismo in generale mi piace molto, è divertente. Ma credo anche che non sia poi cambiato molto. Ora c’è Tadej Pogacar. Ho ascoltato anche critiche nei suoi confronti, tipo quelle di Cipollini… ma io credo che non possiamo essere sempre critici nel ciclismo. Perché vederci sempre del male? Vediamo piuttosto il lato positivo. Tadej è come Sagan. Peter portò grande innovazione. Pogacar sta facendo lo stesso. E’ vero, quando parte fa la differenza, ma può succedere. Forse non ci eravamo più abituati. Però io me li ricordo Bernard Hinault, Eddy Merckx… A me Pogacar piace perché è un corridore che va dappertutto. Fa i grandi Giri, le classiche, le corse più piccole… Si butta, non ha paura. Dietro al palco del mondiale ne ho parlato con Mathieu Van der Poel.
Per Pascal il Team Tudor potrà dare moltissimo al movimento svizzeroPer Pascal il Team Tudor potrà dare moltissimo al movimento svizzero
E cosa vi siete detti?
C’era Pogacar vicino a noi. E Mathieu a voce alta facendosi sentire da Tadej mi fa: «Mamma mia, abbiamo fatto 100 chilometri a tutta e non l’abbiamo ripreso». E rideva. Era felice. Al ciclismo serve gente così. Per questo motivo dico che questo ciclismo mi piace. Penso anche alla tecnologia.
A proposito, ti sarebbe piaciuto guidare queste bici velocissime?
Le guido adesso! Ma anche in questo caso torno a dire che non è cambiato nulla. Tutti in tutte le epoche hanno gli stessi materiali: quindi a cosa serve fare paragoni? Certi anziani mi dicono: «Eh, ma il passato è sempre meglio». Ma cosa dicono? E’ uguale.
Un’ultima domanda da un ex ragazzino tifoso di Chiappucci. Cosa ci puoi dire di quella vittoria al Giro d’Italia quando una slavina fece accorciare la tappa a metà del Colle dell’Agnello?
Ah, che giornata! Arrivai in volata con Massi. In fuga c’erano anche Cacaito Rodriguez e altri due o tre corridori. Non mi ricordo di preciso, ma uno era della Banesto. Ricordo che volevo tanto vincere quella tappa e così andai in fuga. Però non sapevo che avrebbero accorciato la tappa per la slavina. Ad un certo punto ci dissero: “Il traguardo è a 10 chilometri da qui”. “Ma come?”, chiedevamo noi. Io temevo Massi, non tanto perché in salita era forte, ma soprattutto perché era un lupo. In corsa sapeva il fatto suo. E così per vincere puntai su di lui. A un chilometro dall’arrivo restammo in due (in tre in realtà, ndr) ma non sapevamo le distanze precise. All’improvviso vidi il cartello dei 300 metri all’arrivo e pensai: “E’ troppo tardi”. Invece feci la volata e andò bene. Insomma, era una tappa al Giro d’Italia!
Con un bottino di 4 medaglie tra cui il fantasmagorico titolo nell’inseguimento individuale di Jonathan Milan, a suon di record mondiale, l’Italia ha chiuso i mondiali su pista di Ballerup confermandosi un sicuro riferimento nel settore. E’ così da molti anni, Marco Villa lo sa bene e ne ha fatto il suo biglietto da visita, corroborato dai risultati a ripetizione nel settore giovanile.
Milan in maglia iridata. Ora spazio alla strada, ma la pista resta fra le sue opzioniMilan in maglia iridata. Ora spazio alla strada, ma la pista resta fra le sue opzioni
Doveva essere un’edizione iridata meno squillante, considerando che si arrivava a poche settimane dall’appuntamento olimpico, ma i risultati della rassegna di Ballerup hanno sorpreso lo stesso cittì azzurro: «E’ vero che alcune nazioni non c’erano, ma è anche vero che chi è venuto lo ha fatto in forze, presentando praticamente gli stessi effettivi di Parigi, mentre io pensavo che avrebbero sfruttato l’occasione per fare un po’ più di ricambio. Quindi c’era più gap rispetto a noi, almeno in alcune gare».
Sei soddisfatto alla fine?
Penso che il bilancio sia abbastanza giusto e pari al nostro valore, con qualcosa in più e in meno come sempre avviene. Noi avevamo una buona formazione, ma con una preparazione precaria come ad esempio il quartetto femminile, che ha fortemente risentito della mancanza di lavori specifici. Ma non si poteva fare altrimenti, perché dopo Parigi le rispettive squadre hanno giustamente richiesto la presenza delle ragazze nelle varie gare.
Tanta sfortuna per il giovane quartetto azzurro, con Lamon e Moro provenienti dai GiochiTanta sfortuna per il giovane quartetto azzurro, con Lamon e Moro provenienti dai Giochi
La caduta del quartetto maschile ti ha lasciato davvero l’amaro in bocca…
A caldo è emersa tutta l’amarezza, ma ripensandoci cerco di prendere il buono dalla prestazione. Eravamo davvero da terzo posto perché fino alla caduta arrivata a un giro e mezzo dalla fine viaggiavamo a un ritmo da 3’52” e nessuna squadra, salvo Danimarca e Gran Bretagna, era a quei livelli, erano 2-3 secondi sopra e lo sono rimasti anche nei turni successivi. Era un quartetto molto rinnovato, con un giovanissimo come Favero, Galli che è U23, Boscaro che è appena passato di categoria. Andando avanti metteremo dentro altri giovani, soprattutto gli juniores che hanno fatto il record del mondo. Mettendo in preventivo che ci sarà da pagare uno scotto, magari qualche medaglia in meno ma tanta esperienza in più per quando servirà.
In quest’opera di ringiovanimento conti d’inserire altri?
Sicuramente, voglio ad esempio lavorare a fondo con Sierra, spero di averlo maggiormente a disposizione, ma il suo è solo uno dei nomi su cui voglio fare affidamento. Gran Bretagna e Danimarca hanno già iniziato a ringiovanire, sono avanti a noi e non di poco, ma abbiamo quattro anni per colmare il gap, non sono preoccupato. L’importante sarà poter lavorare bene.
Record italiano frantumato per la Venturelli, sempre più promettenteRecord italiano frantumato per la Venturelli, sempre più promettente
Non è andata a medaglia, ma il record italiano della Venturelli, dopo quel che ha passato, è davvero tanta roba…
Assolutamente sì, ma lei stessa era sorpresa del tempo, anche se alla fine è scoppiata in lacrime per essersi vista sfuggire una finale. Io le ho detto che ha un margine enorme davanti a sé, quelle davanti le raggiungerà. Federica è un talento puro unito a una grande intelligenza, vorrei ricordare che nel 2023 è stata premiata dal Presidente Mattarella come una delle sei migliori studentesse d’Italia. Tornando alla sua prestazione, dopo la gara mi ha detto di essersi accorta che per i primi 2 chilometri viaggiava più forte del suo record mondiale junior. E’ normale, sta progredendo da ogni punto di vista, ha solo bisogno di un po’ di fortuna sotto forma di buona salute e libertà dagli incidenti…
Le ragazze di bronzo nell’inseguimento. L’Italia ha chiuso settima nel medagliereLe ragazze di bronzo nell’inseguimento. L’Italia ha chiuso settima nel medagliere
Hai già detto che il discorso con Ganna sulla pista verrà affrontato a tempo debito, quando si saprà il cammino verso Los Angeles 2028. Vale lo stesso per Milan?
Di base sì, perché è giusto che ora si concentri di più sulla strada. I mondiali sono a ottobre, ma come ci arrivi? Abbiamo visto Filippo quanto ha sofferto nel dopo Parigi, eppure è riuscito nel capolavoro dell’argento nella crono. Pippo ha già detto che preparerà i suoi impegni includendo anche allenamenti su pista e per lui le mie porte saranno sempre aperte. Lo stesso vale per Milan. Poi, quando sapremo quale sarà il cammino di qualificazione, quando anche conosceremo il programma orario di Los Angeles, se ci sarà prima la pista o la strada, allora parleremo.
L’abbraccio a un commosso Viviani. Villa lo vuole nello staff azzurro quando finirà di correreL’abbraccio a un commosso Viviani. Villa lo vuole nello staff azzurro quando finirà di correre
Un discorso a parte però riguarda Viviani, autore di un’altra magia a Ballerup…
Nelle ore immediatamente seguenti l’argento olimpico a Parigi, gli ho detto che voglio assolutamente che ci sia a Los Angeles, in una veste o nell’altra. Io voglio assolutamente averlo con me, ma bisognerà vedere intanto che cosa vuole fare come corridore e poi che prospettive avrà, perché io sono sicuro che un personaggio simile avrà grandi possibilità di ogni tipo professionale, anche a livello internazionale. Ma la sua esperienza è preziosa, speriamo di potercene avvalere.