Musica e gare: parola ai due deejay del Giro

21.11.2024
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Gli attimi prima della partenza, gli istanti finali dell’arrivo, la cornice del pubblico. Un’istantanea che risulterebbe scolorita senza la musica a scandirne i ritmi. Una concezione di spettacolo imprescindibile per le più importanti gare, che tendono sempre di più a diventare eventi.

In questo senso il processo di svecchiamento del ciclismo sta passando attraverso questo schema che è stato esportato nelle corse giovanili con risultati rivedibili e confortanti in egual misura. Chi va alle gare adesso dà per scontato di trovare un sottofondo musicale, ma come si crea la giusta atmosfera nelle fasi principali? Ce lo hanno spiegato due dei migliori deejay italiani che vanno… al Max alla consolle: Max Benzoni e Max Lietta, entrambi impegnati al Giro d’Italia (e in tante altre gare) con funzioni e postazioni diverse che ormai dirigono col pilota automatico. Insomma due professionisti in mezzo ad altri professionisti.

Alle ATP Finals di Torino, il dj Max Benzoni è stato una parte attiva dello spettacolo di intrattenimento (foto Alpozzi)
Alle ATP Finals di Torino, il dj Max Benzoni è stato una parte attiva dello spettacolo di intrattenimento (foto Alpozzi)

Pronti, via

Qualsiasi corsa ha sempre una riga che ne segna l’inizio, però c’è tutto un preludio che coinvolge più figure e gli stessi atleti. Max Benzoni alla Corsa Rosa cura tradizionalmente la partenza della tappa. Il deejay bergamasco ha maturato esperienze in radio e in tanti sport. Sa come scaldare le folle. Dall’Olimpia Milano di basket allo stadio San Siro per il Milan, dagli eventi spericolati di Red Bull alla Coppa del Mondo di sci fino alle ATP Finals di Torino dove una settimana fa ha visto trionfare Sinner. Col ciclismo ci lavora da una ventina d’anni e sa come si imposta il via della giornata.

«Può sembrare scontato dirlo – spiega dj Benzoni – ma dobbiamo essere differenti dall’arrivo. Noi apriamo ed è mattina per tutti, talvolta anche presto. Quindi non dobbiamo caricare troppo con la musica. Deve essere un risveglio graduale come se fosse una giornata a casa. Solitamente cerco di attirare l’attenzione a ciò che dicono gli speaker e dare la giusta carica musicale agli atleti che si avvicinano alla partenza con basi musicali adatte. Durante la mattina ci sono momenti fissi istituzionali, come la consegna della bandierina, in cui va una base neutra, ma ce ne sono altrettanti in cui è bello interagire con gli speaker o col pubblico attraverso stacchetti. O ancora con gli atleti se è il giorno del loro compleanno.

Max Benzoni fa il dj nel ciclismo da vent’anni, ma ha esperienze nel basket, calcio, eventi Red Bull, oltre che in radio
Max Benzoni fa il dj nel ciclismo da vent’anni, ma ha esperienze nel basket, calcio, eventi Red Bull, oltre che in radio

«Personalmente – prosegue – mi piace assecondare i gusti di chi lavora con me. Ad esempio le sigle dei film di Bud Spencer e Terence Hill vanno forte per fare dei break o per alleggerire alcuni momenti. Invece durante il cosiddetto podio-firma della squadre, utilizzo un’altra playlist. In generale la scelta delle musiche va in base alle hit attuali, al pop e al classico genere anni ’70/’80. Infine cambio totalmente genere quando siamo a pochi minuti dalla partenza, in cui metto una base di musica elettronica, che si presta anche bene al countdown che danno gli speaker».

Anche il luogo di partenza, se più o meno affollato, se più o meno centrale, può incidere sulla musica da mettere e ci vuole il giusto colpo d’occhio per adattarsi. Di sicuro al deejay non è richiesto di essere un appassionato di ciclismo, almeno nel parere di Max Benzoni. «Sicuramente uno appassionato può essere una risorsa, ma penso che non sia fondamentale. Certo, magari uno non lo è e poi lo diventa appassionato. Partiamo però dal presupposto che abbiamo una scaletta da seguire fatta dai nostri coordinatori in regia. Per quello che mi riguarda a me piacciono tutti gli sport che faccio, ma credo che se si è distaccati dallo stesso sport in cui stai mettendo musica, riesci a vedere meglio il quadro nella sua globalità e ad essere più attento».

Max Lietta è anche fonico in regia a Sky Sport. E’ stato dj in tantissimi eventi sportivi, oltre ad essere produttore di musica
Max Lietta è anche fonico in regia a Sky Sport. E’ stato dj in tantissimi eventi sportivi, oltre ad essere produttore di musica

Linea d’arrivo

Sul traguardo cambia tutto. I corridori si giocano la gara e il pubblico vive tutto da vicino. E questo diventa il regno di Max Lietta, che trasforma la linea d’arrivo con le sue musiche in base alle attività svolte prima della fine. Anche il suo palmares è lungo come quello di Pogacar. Nella carriera di Lietta non mancano volley, tennis, ciclocross, sci e tanti altri sport, oltre a radio e televisione, dove è fonico in regia a Sky Sport. La musica della team presentation di Firenze per la grande partenza del Tour del France è stata opera sua. Così come l’attuale format che viene usato al Giro d’Italia.

«Nel 2009 è nato quello che vedete oggi – racconta dj Max Lietta – prendendo spunto dalla stagione precedente. Assieme ad Alessandro Pesenti, uno dei responsabili della sport production di Rcs, abbiamo deciso di portare la musica sul traguardo, che prima era solo al villaggio commerciale. L’idea era quella di coinvolgere il pubblico e movimentare le ore che anticipavano l’arrivo dei corridori. In quegli anni ho inventato delle musiche elettroniche che sentiamo oggi. Le utilizzo attraverso un hardware cercando di seguire la cronaca degli speaker. Ovviamente cambiano in base ai finali di gara».

Dj Max Lietta nel 2009 è stato uno degli ideatori dell’attuale format di intrattenimento sulla linea d’arrivo del Giro
Dj Max Lietta nel 2009 è stato uno degli ideatori dell’attuale format di intrattenimento sulla linea d’arrivo del Giro

«Per un arrivo in volata – prosegue – oppure per un fuggitivo inseguito dal gruppo a pochi secondi, tengo una base in cui i battiti (le bpm, ndr) salgono e creano suspance a chi ascolta e vede le immagini sui ledwall col commento avvincente degli speaker. Se invece c’è un arrivo solitario di un atleta con un netto margine di vantaggio appena taglia la linea del traguardo metto sempre “Sex on fire” dei Kings of Leon che era la canzone preferita di Wouter Weylandt (tragicamente scomparso nella terza tappa del Giro 2011, ndr). Oppure un’altra canzone che metto spesso negli ultimi 500 metri per un certo tipo di finali è “Where the streets have no name” degli U2. Dobbiamo pensare che, indipendentemente che sia partenza o arrivo, aiutiamo gli stessi atleti a trovare la motivazione con la nostra musica».

Perché per il per il ciclista è bello far emozionare i tifosi a bordo strada con le proprie imprese, ma lo è anche per i deejay far “saltare” il pubblico con la propria musica.

La storia di Hubner, il gigante che ha cambiato lo sprint

21.11.2024
5 min
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Mondiali di ciclismo su pista, 1983. Nel velodromo di Zurigo tutti aspettano la gara delle gare, il torneo di velocità per assistere alle invenzioni di Koichi Nakano, il giapponese volante dominatore dell’epoca. Pochi si accorgono che intanto, fra i dilettanti, terzo si classifica un corposo tedesco dell’est, Michael Hubner. Destinato non solo a raccogliere l’eredità di Nakano, ma a cambiare per sempre l’immagine di quella disciplina.

Hubner come appariva nei suoi ultimi anni, rimanendo sempre vicino all’amato mondo della pista
Hubner come appariva nei suoi ultimi anni, rimanendo sempre vicino all’amato mondo della pista

Una vera star in Giappone

Hubner, scomparso pochi giorni fa all’età di 65 anni, in 13 anni ha portato a casa qualcosa come 16 medaglie mondiali, di cui 7 d’oro fra sprint, keirin e sprint a squadre. Del keirin era diventato un maestro tanto che fu tra i primi che si spostò in Giappone per prendere parte al circuito di gare intorno al quale si sviluppavano enormi scommesse. Un ambiente completamente diverso da quello a cui era abituato, lui proveniente dalla Germania Est dove lo sport era uno dei pochissimi modi di affrancarsi dalla povertà, ma anche di servire lo Stato. Invece nel Sol Levante era, dopo pochi anni e passando attraverso la riunificazione, una vera star, tanto che ci passava gran parte dell’anno tornando in Europa solo per i grandi eventi.

D’altronde, in Giappone non lo bollavano come “grassone” che era uno degli epiteti con cui era additato nei velodromi. Altro che body shaming… Michael aveva sempre avuto un fisico enorme, arrivando a pesare anche oltre il quintale. Ai mondiali di Palermo, quando il tedesco aveva ormai 35 anni si pregiarono di misurargli la circonferenza delle cosce: 67 centimetri. Diciamo la verità: Hubner non era molto ben visto nell’ambiente, dove quella possenza veniva etichettata come frutto del doping. Non lo hanno mai trovato positivo, ma d’altro canto era quello uno dei segnali del cambiamento, da una specialità prima fatta di tattiche e di surplace a una frutta quasi esclusivamente della forza fisica.

Il tedesco sul podio dell’edizione iridata 1992 a Valencia, dove vinse sprint e keirin
Il tedesco sul podio dell’edizione iridata 1992 a Valencia, dove vinse sprint e keirin

Lo sguardo di sfida prima del via

Hubner, questo cambiamento lo gradiva, ne aveva fatto quasi un vanto, trasformando lo sprint a qualcosa di vicino, almeno iconograficamente, a uno sport da combattimento: «Sali in bici, fissa l’avversario fino a farlo cagare addosso e poi taglia il traguardo per primo. Lo sprint è un lavoro che funziona così», diceva.

Da bambino era già bello robusto e i genitori, vedendolo, pensarono a come fargli sfogare tutta la sua energia. Provò il calcio, il nuoto, l’atletica, ma niente lo divertiva. Poi salì in bici e praticamente non ne scese più. Col passare degli anni e con le vittorie che si accumulavano proporzionalmente al suo conto in banca, Hubner trasformò quel naturale fastidio che provava nel vedere gli sguardi irridenti degli altri, le battutine, in guasconeria. Non parlava spesso con i giornalisti, quand’era atleta, ma quando lo faceva non mancavano proclami e guanti di sfida, come se non avesse freni.

Il teutonico non ha mai preso parte alle Olimpiadi, scontando il passaggio al professionismo
Il teutonico non ha mai preso parte alle Olimpiadi, scontando il passaggio al professionismo

Il keirin, il suo mondo…

Al tempo i rivali principali dei tedeschi (quasi tutti dell’est) erano gli australiani, anche loro, anzi forse più, chiacchierati e Hubner strinse con loro una fiera rivalità, anche se con il più forte di loro, Gary Neiwand, spesso si allenava insieme. E non poteva essere altrimenti, visto che entrambi agivano spesso in Giappone e si sa che in quel contesto gli “stranieri” facevano gruppo fra loro.

Col passare degli anni il keirin era diventato la sua disciplina preferita, non è un caso se di titoli ne ha vinti più in questa prova. Ma Hubner era anche persona oculata e mentre continuava nel suo girovagare per i velodromi, avviava intanto le sue attività lavorative, nel settore immobiliare, in un ristorante di specialità sassoni, il Fettbemme: «Io potrei andare avanti per altri 10 anni – diceva all’alba delle sue 35 primavere – ma questo lo dice il fisico, la mente si sta allontanando ormai…».

La sua grinta era proverbiale. Simpatico a modo suo, era molto ricercato nelle Sei Giorni
La sua grinta era proverbiale. Simpatico a modo suo, era molto ricercato nelle Sei Giorni

Il gigante di Chemnitz

Negli ultimi anni spesso Hubner veniva chiamato a gareggiare anche nelle Sei Giorni. Il suo fisico enorme faceva visivamente a pugni con quello della maggioranza dei suoi rivali, tutti stradisti esili come fuscelli.

Per questo spiccava, per questo agli organizzatori piaceva. Il “gigante di Chemnitz”, un altro dei suoi soprannomi (decisamente più condivisibile) chiuse la sua carriera nel 1996, a 37 anni con l’ultima delle sue medaglie, l’argento in una specialità allora agli albori, il team sprint, insieme a Soren Lausberg e Jens Fiedler che nel frattempo aveva raccolto il suo testimone.

Hubner con Chiappucci durante una Sei Giorni. La differenza fisica la dice tutta sulla sua potenza
Hubner con Chiappucci durante una Sei Giorni. La differenza fisica la dice tutta sulla sua potenza

Il rammarico dell’Olimpiade

Dopo, Hubner è rimasto nel mondo dei velodromi, come direttore sportivo del team Theed Project-Cycling attraverso il quale sono passati molti protagonisti della pista tedesca e mondiale del nuovo millennio da Maximilian Levy a Lea Friedrich fino alla campionessa olimpica Kristina Vogel.

Quando quest’ultima ha vinto il primo dei suoi due titoli olimpici, nel Team Sprint 2012, sul viso di Hubner scorsero lacrime sommesse, che mischiavano la gioia per la sua atleta al rammarico per non aver potuto vivere quelle stesse emozioni, quella stessa atmosfera. Eppure è diventato ugualmente una leggenda dello sprint, come la stessa Vogel l’ha salutato all’indomani della sua scomparsa.

Corratec-Vini Fantini: fuori dalle top 40, rifondazione in corso

21.11.2024
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Una stagione difficile quella del Team Corratec-Vini Fantini. Molte speranze, ma pochi risultati. E soprattutto, pochissimi punti. Ad oggi, la squadra toscana si trova fuori dalle prime 40 posizioni del ranking UCI: è al 42° posto. Questo significa non avere il diritto di partecipare ai Grandi Giri, con tutte le incertezze che ne conseguono per il futuro.

Un quadro davvero complicato, di cui abbiamo parlato con Serge Parsani, il team manager della Corratec. Facendo un rapido bilancio della stagione, il bottino è magro: cinque vittorie, tre firmate da Jakub Mareczko e due dall’ucraino Kyrylo Tsarenko, giovane cresciuto sotto la guida di Cesare Turchetti e successivamente di Matteo Provini.

Serge Parsani (classe 1952) è uno dei diesse della Corratec-Vini Fantini. In passato è stato sull’ammiraglia della Mapei
Serge Parsani (classe 1952) è uno dei diesse della Corratec-Vini Fantini. In passato è stato sull’ammiraglia della Mapei
Serge, dicevamo: una stagione non facile…

Decisamente non facile. Non ci aspettavamo di uscire dalle prime 40, anche perché avevamo rinforzato la squadra con quattro corridori provenienti dal WorldTour. Pensavamo che avrebbero garantito un buon bottino di punti, ma sono stati proprio loro a crearci maggiori difficoltà. E, purtroppo, anche gli altri non hanno brillato.

Che cosa non ha funzionato con questi atleti?

Sbaragli è stato l’eccezione. E’ un ragazzo molto professionale e si è dato da fare in tutto e per tutto, ed è stato anche una figura di riferimento per i più giovani. Invece gli altri, Bonifazio, Mareczko, Padun e Ponomar, non ci hanno dato nulla. È vero che Ponomar è stato anche sfortunato: alla Coppi e Bartali è caduto, incrinandosi una vertebra cervicale. Però ci aspettavamo qualcosa di più. Alla fine, ci siamo ritrovati in una situazione difficile, tanto che abbiamo perso anche il primo sponsor.

E adesso?

Adesso stiamo cercando di costruire una nuova squadra, puntando su molti giovani, nella speranza di riuscire a lottare, anche se sarà ancora più difficile, per rientrare tra le prime 30. Nel 2025, infatti, il limite per l’accesso ai Grandi Giri si alza ulteriormente.

Come state lavorando? E come pensate di muovervi?

Parto dalla seconda domanda: sicuramente non faremo un calendario come quello di quest’anno, in cui abbiamo partecipato a gare molto importanti, come il Tour de Romandie o il Giro di Svizzera. Sono corse in cui è difficile ottenere risultati anche con atleti di livello, figuriamoci senza.

Valerio Conti è uno dei veterani del team: è stato confermato anche per la prossima stagione
Valerio Conti è uno dei veterani del team: è stato confermato anche per la prossima stagione
Alla fine quelle gare si sono rivelate un boomerang?

Esatto. Per questo motivo, cercheremo di disputare gare in tutto il mondo, ma di livello più basso, cercando di raccogliere il maggior numero possibile di punti. Nel frattempo, stiamo già lavorando per mettere in piedi una squadra competitiva in vista del 2026. Non è facile, ma ci stiamo provando.

Serge, senza entrare troppo nei dettagli del mercato, ci sarà una rivoluzione?

Sì, cambieranno parecchi corridori. A molti non rinnoveremo il contratto per il 2025. Tuttavia, atleti che hanno dimostrato impegno come Valerio Conti, Davide Baldaccini, Roberto Carlos Gonzales, Lorenzo Quartucci e Kristian Sbaragli resteranno con noi. Anche Stewart, Balmer e Tsarenko, che hanno contratti già validi per il 2025, faranno parte del gruppo. In particolare, credo che Tsarenko abbia ottime qualità e margini di miglioramento.

Questa sarà quindi la base della squadra?

Esatto. Inoltre, abbiamo ripreso un velocista che in passato ci ha dato soddisfazioni: Dusan Rajovic (ora in Bahrain-Victorious, ndr). Completeremo poi la rosa con diversi giovani, che spesso hanno più voglia di emergere rispetto agli atleti esperti, i quali a volte sembrano pensare solo al contratto senza riuscire a raggiungere i risultati sperati.

Due anni fa la Bardiani, per esempio, rivoluzionò il proprio approccio, inserendo un nuovo staff medico e tecnico. È una strada percorribile per voi?

Cercheremo sicuramente di seguire i nostri atleti più da vicino, ma al momento è difficile. L’idea è di radunarli con maggiore regolarità per prepararci insieme a determinati appuntamenti e lavorare nella stessa direzione. Con la struttura attuale, dobbiamo fare del nostro meglio.

Hai accennato al fatto che Corratec non è più sponsor. Ci sono novità sul fronte tecnico? Cambierete nome?

Sì, siamo alla ricerca di un nuovo partner tecnico per la fornitura delle biciclette e di un nuovo sponsor. Credo che entro fine novembre, quindi a breve, si definirà tutto.

Tsarenko (classe 2000) aveva già il contratto per il 2025. Eccolo trionfare alla Cupa Max Ausnit, gara 1.2 in Romania (foto Instagram)
Tsarenko (classe 2000) aveva già il contratto per il 2025. Eccolo trionfare alla Cupa Max Ausnit, gara 1.2 in Romania (foto Instagram)

Difficoltà ed entusiasmo

Dispiace vedere la terza squadra professional italiana in così grande difficoltà. È evidente che, nel ciclismo di oggi, buoni nomi e buone intenzioni non sono più sufficienti.

Si parla di nuovi direttori sportivi, nuove bici e persino di nuove ruote. Per ora, la squadra si chiama Toscana Factory Team-Vini Fantini, manca il primo nome. Al 21 novembre 2024, ci sono solo tre atleti sotto contratto: lo svizzero Balmer, l’inglese Stewart e l’ucraino Tsarenko. Per rispettare le regole delle professional, è necessario arrivare ad almeno 20 corridori: ne mancano ancora 17 ufficialmente.

Vero che alcuni già ci sono. ma il team va impostato. La strada è ardua, ma anche stimolante. Spesso, dalle difficoltà possono nascere grandi opportunità. E a volte, è proprio la fame a diventare il miglior motore…

Colnago, festa al Dots di Milano: 70 anni portati alla grande

21.11.2024
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MILANO – L’appuntamento è al Dots, che significa puntini e stasera qui a Milano i puntini sono gli occhi sgranati degli invitati davanti alle ultime bellezze di Colnago. Si festeggiano i 70 anni dell’azienda di Cambiago, ricordati con foto, schede tecniche, la C35 e la nuovissima Steelnovo esposta all’ingresso della sala. In mezzo, fra il brusio di un chiacchierare spensierato e composto, riconosciamo alcuni dei nomi più belli e importanti del ciclismo.

Corridori e imprenditori, manager e giornalisti. C’è tutto il mondo che vuole bene a Colnago e che si è sobbarcato centinaia di chilometri per esserci. Al punto che quando nella sala entra Ernesto, 92 anni portati ottimamente, è come se fosse arrivato il Papa. Abbracci. Strette di mano. E una foto dietro l’altra con il simbolo di un Made in Italy che non si dimentica e non è possibile superare. Al punto che l’ultima nata è una bici in acciaio. Perché il carbonio è performante e veloce, ma forse le vecchie leghe hanno più cuore.

«E’ una grande soddisfazione – dice Nicola Rosin, amministratore delegato – per un brand che ha una storia molto importante, seconda a nessuno, che però adesso è un’azienda proiettata nel futuro con degli oggetti meravigliosi che oggi sono qui in esposizione. Dal punto di vista dell’azienda siamo diventati manageriali come serve, dal punto di vista del prodotto abbiamo lavorato molto sulla desiderabilità ed è un motivo d’orgoglio, perché effettivamente è un valore che oggi ci viene riconosciuto dal nostro pubblico. Siamo molto emozionati.

«Fare oggi una bici in acciaio è anche un momento di rottura. Perché grazie alle vittorie dei campioni, si parla di Colnago in tema di performance, di carbonio e leggerezza. Invece l’acciaio è un materiale straordinario che ci permette di proprio raccontare anche la storia dell’azienda».

La Colnago di Tafi

In fondo alla sala dei modelli indossano la nuova linea di abbigliamento e posano su rialzi identici a quelli riservati alle biciclette. I calici di prosecco iniziano a girare, accompagnati da piccole suggestioni super gustose. Gli invitati si ritrovano in capannelli in cui si racconta di tutto. Andrea Tafi è qui con la moglie Gloria, brindano e lei fa foto in giro. Il toscano su bici Colnago ha centrato le vittorie più belle della sua carriera e non dimentica di ricordarlo.

«La Colnago – sorride – è stata il mio primo grande ciclistico. Mi ha permesso di centrare i miei traguardi più belli e di consacrarmi nell’Olimpo dei campioni. Devo tanto a Ernesto e alla Colnago, che rimarrà sempre nel mio cuore. Penso alla C40, importantissima per la mia carriera. Con la C40 abbiamo vinto tutti, grazie all’inventiva di Ernesto che ha messo su una bicicletta veramente eccezionale. Sbaragliando, come diceva lui, tutti gli altri e andando a vincere sui traguardi più prestigiosi. Davvero, una Colnago è per sempre».

La Colnago di Saronni

Beppe Saronni è stato per anni sinonimo di Colnago. Su queste bici ha vinto e il suo rapporto con il fondatore dell’azienda è stato più volte paragonato a quello di un figlio con suo padre. Ha iniziato vincendo sull’acciaio, ha finito col carbonio, in una storia di vittorie e sfide memorabili. I Giri. Il mondiale. La Sanremo. Il Lombardia. I tricolori. Beppe non ha avuto altre bici all’infuori di queste.

«Io ho avuto la fortuna di avere sempre usato una bici Colnago – sorride – a parte quando da ragazzino comprai la prima usata, che era di una marca sconosciuta. Ho avuto anche la fortuna di vivere il processo di innovazione e lo sviluppo dell’azienda. Ho corso con i telai in acciaio, ma nonostante fossero uguali per tutti, i Master di Ernesto Colnago avevano qualcosa in più.

«Poi sono arrivati l’alluminio e soprattutto il carbonio. Anche lì Ernesto è stato uno dei primi a crederci. Ho vinta la mia ultima corsa, Il Giro di Reggio Calabria nel chilometro più bello d’Italia, con una C35. Una monoscocca in carbonio.

«Ogni tanto ci sentiamo – chiude Saronni – e come al solito sono più le novità che ti dà lui su quelle che gli do io. Lui è così. E io credo che Ernesto sarà sempre il personaggio più importante della Colnago, nonostante ora ci siano dei personaggi e delle persone capaci e qualificate che stanno portando avanti bene il marchio. Non trovo strano che sia cambiata la conduzione dell’azienda, però quel tipo di storia l’ha fatta lui e io credo che tutti dobbiamo dirgli grazie e anche bravo».

Le Colnago del Ghisallo

Antonio Molteni ci racconta le meraviglie del Museo del Ghisallo. C’è passione in ogni sua parola e ci sarebbe da dirgli grazie per la passione con cui tiene viva la sua creatura. Lassù nei giorni scorsi è salita una troupe che ha girato immagini con la nuova bici Colnago e lui ce le mostra nel cellulare, proprio mentre passa a salutarlo Giancarlo Brocci, l’ideatore de L’Eroica. All’angolo c’è anche Cassani, tirato come al solito.

Gianetti e Saronni, il presente e le origini della UAE Emirates
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La Colnago di Cassani

«Da ragazzino – ricorda Cassani – mi comprai una Colnago Messico, solo per averla lì. E sempre a causa di una Colnago, ebbi una disputa piuttosto accesa con Giancarlo Ferretti. Successe che nella Sanremo del 1993, quella vinta da Fondriest, noi avevamo ancora i telai Master in acciaio, mentre Maurizio che correva con la Lampre vinse usando la Carbitubo, arrivata da poco.

«Quando arrivai in albergo, vidi Ferretti e gli dissi: “Vedi Ferron, ci chiedi di farci un mazzo così e di essere magri, e poi ci dai una bicicletta che è due chili in più di quella che ha vinto?”. Ferretti se la prese, era furibondo. Disse che sapevamo solo lamentarci, però dopo venti giorni anche a noi arrivò la Carbitubo. Era fantastica, sentivi la differenza».

Il genio dell’Ernesto

Si potrebbe andare avanti per tutta la notte, perché qua chiunque ha un ricordo legato ai primi 70 anni della Colnago. Gli occhi continuano a scrutare fra le mille facce presenti e ne riconoscono ogni volta una diversa. C’è pure Paolo Bellino e verrebbe da chiedergli cosa ne sarà del Giro d’Italia, ma questa è la festa della Colnago e allora prima di andare via, preferiamo dare un altro abbraccio a Ernesto.

«Gli anni passano», dice con un filo di voce nell’orecchio. E poi è tutto uno stare in fila per farsi con lui la foto. In mezzo allo scintillare del nuovo corso, ricordare quando Ernesto regalò una bici a Torriani immergendo il telaio nell’oro o quando fece un accordo con la Ferrari perché gli azzurri potessero volare nella 100 Chilometri alle Olimpiadi di Barcellona, fa tornare ad anni ancora caldi sotto la cenere. Adesso però si va a casa: è stata davvero la degna festa per una sì grande storia. Esserci era un atto dovuto.

Remco, Tadej, gli stessi watt: facciamo un po’ di chiarezza

20.11.2024
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Quella di Evenepoel appare un po’ come una provocazione. L’olimpionico, sulle pagine di Het Nieuwsblad, ha raccontato di aver visto sul portale social Velon un post dov’era indicata la potenza media di Pogacar all’ultimo Lombardia: «Sono rimasto di stucco, aveva un valore di 340 watt che era esattamente il mio. Ma allora dove sono saltati fuori i tre minuti di differenza all’arrivo? Ho provato anche a scrivergli, ma non me l’ha detto…».

Tra i due è un po’ un gioco delle parti, ma la domanda resta e dà spunto per alcune interessanti considerazioni insieme a un preparatore di lungo corso come Pino Toni, che per prima cosa mette subito in chiaro alcune premesse: «Quella di Remco è una provocazione perché è estremamente difficile mettere a confronto differenti power meter. I dati prodotti da questi dispositivi non sono esattissimi, basti pensare che su 7 modelli Shimano solamente 3 hanno un limite di tolleranza inferiore al 5 per cento».

Pino Toni, qui con Svrcek, è dalla fine del secolo scorso impegnato nello studio scientifico delle prestazioni
Pino Toni è dalla fine del secolo scorso impegnato nello studio scientifico delle prestazioni
Quanto influisce questa differenza?

Tantissimo, significa che potremmo avere dati reali sono avendo l’assoluta certezza che due corridori utilizzano lo stesso modello e sul mercato ora ce ne sono ben 36, è una vera giungla. Io mi occupo di misurazione di potenza dal 1992 e per il mio lavoro devo avere la certezza del valore scientifico di quello strumento. Va tarato, dà valori specifici per la persona che lo ha utilizzato, ma fare paragoni diventa molto aleatorio.

La domanda di Remco però non è peregrina. Ammesso e non concesso che i due abbiamo avuto davvero la stessa potenza media, allora tutto quel divario da che cosa nasce?

Ci sono molte componenti che influiscono sulla prestazione di un corridore e che cambiano a seconda se questo stia esprimendosi in una gara su strada o a cronometro. Nel primo caso abbiamo tanti valori che non vengono considerati in quel semplice numero: attriti, cuscinetti della bici, aerodinamica, gomme… Per dare una risposta secca alla domanda di Remco: quel valore esprime la potenza del corridore, ma poi ci sono tanti altri valori dati dal mezzo.

La posizione di Remco a cronometro influisce sulla potenza espressa grazie alla grande aerodinamicità
La posizione di Remco a cronometro influisce sulla potenza espressa grazie alla grande aerodinamicità
Perché sottolineavi la differenza tra gara su strada e a cronometro?

Nella prestazione singola possiamo valutare l’erogazione di potenza in maniera più efficace e lì la componente umana ha un peso diverso. Perché Remco ha ad esempio un rendimento così alto? Un influsso importante ha la sua aerodinamicità, la sua capacità di assumere una posizione raccolta con le braccia che assumono una posizione che fende l’aria aiutando il corpo a penetrarla. Ma questo non aiuta nell’affrontare il vero problema posto dal belga. Nelle crono è tutto amplificato perché sei da solo. Nella gara su strada vedi due corridori, quello davanti esprime una potenza maggiore rispetto a quello dietro ma non lo stacca, perché? Perché i watt espressi dal corridore non sono tutto, c’è altro…

Cosa?

L’apporto dei materiali. Altrimenti non si capirebbe perché soprattutto tra una stagione e l’altra si fanno tanti test. Dal punto di vista dell’erogazione di potenza, anche la bici ha una grande importanza. Perché ad esempio si lavora tanto sui serraggi? Perché si fa in modo che abbiano meno attrito con l’aria, quindi serve che abbiano meno gioco. Oppure si lavora tantissimo sul movimento centrale, che abbia anche questo meno impatto con l’aria perché sono tutti watt persi. L’aerodinamica ha un peso specifico molto grande.

Pogacar ed Evenepoel, rivali per tutta la stagione. I watt però non rappresentano le loro differenze in toto
Pogacar ed Evenepoel, rivali per tutta la stagione. I watt però non rappresentano le loro differenze in toto
E’ quindi un discorso simile a quello di Formula 1 o GP motoristici…

Sicuramente, c’è differenza tra un modello e l’altro e il mezzo ha un peso molto alto nella prestazione dell’atleta. Per questo il paragone di Remco non regge, non ci si può basare sull’unico valore, non dice nulla a proposito della prestazione.

A questo punto emerge però un altro quesito, che è quello che da sempre ci si pone per le prove automobilistiche: quanto influisce l’uomo e quanto la macchina, in questo caso la bici?

E come si fa a quantificarlo? Di sicuro sono due valori ben distinti. Soprattutto nel ciclismo di oggi. Una cosa però possiamo affermarla: nella prestazione di un atleta conta tantissimo il team. In questo la similitudine con la Formula 1 c’è, attraverso il lavoro dei meccanici e infatti oggi quelli delle squadre WorldTour hanno stipendi altissimi. Il capo meccanico di un top rider ha uno stipendio annuo di almeno 100 mila euro. Ma lo stesso discorso potremmo farlo per il nutrizionista, il preparatore, insomma tutti coloro che gravitano in una squadra. Si vince e si perde davvero tutti insieme, il corridore è colui che finalizza il tanto lavoro che c’è alla base.

Contador nel 2012, a quel tempo era uno dei pochi ad avere una potenza media di 400 watt
Contador nel 2012, a quel tempo era uno dei pochi ad avere una potenza media di 400 watt
E’ un segno del progresso generale?

Certo e per farlo capire faccio un esempio: nel 2012 lavoravo alla Saxo e a quel tempo trovare un corridore che esprimeva 400 watt per 20 minuti ininterrotti era molto raro. Da noi ci riuscivano solamente Contador e Porte. Oggi un valore simile è considerato ordinaria amministrazione, quasi mediocre. E sono passati solo 12 anni…

Corradetti, una diesse di vent’anni per vincere i pregiudizi

20.11.2024
6 min
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Sentendola parlare, dimostra più della sua giovane età e per il ruolo che ricopre è decisamente un valore aggiunto. Ha le idee chiare Krizia Corradetti, vent’anni e nuova diesse della BFT Burzoni, che vuole continuare a fare esperienza in ammiraglia.

Ci sono vecchi preconcetti nel ciclismo, figli di un retaggio che si trascina dietro da tanti anni, che devono ancora essere vinti. Per qualcuno può ancora sembrare strano vedere una ragazza così giovane guidare una formazione juniores, ma il cambiamento e il rinnovamento devono pur avere un punto di partenza. Corradetti non ha avuto paura di accettare questa sfida quando ha deciso di smettere di correre, trovando disponibilità e spazio prima nel Club Corridonia ed ora nel team piacentino. Un piccolo salto in avanti, partito non solo a livello geografico dalla sua San Benedetto del Tronto, dettato dall’attuale percorso universitario. Ecco cosa ci ha raccontato.

Corradetti ha smesso di correre nel 2022 ed ha subito preso il tesserino di primo livello
Corradetti ha smesso di correre nel 2022 ed ha subito preso il tesserino di primo livello
Krizia come nasce la scelta di diventare diesse?

Nel 2022, ovvero al termine del mio cammino tra le juniores, ho scelto di abbandonare l’attività, tenendo conto anche degli studi universitari che volevo intraprendere. Tuttavia non volevo lasciare il ciclismo. Così grazie al Club Corridonia, dove ho passato gli ultimi anni da atleta, ho fatto il corso di primo livello per prendere il tesserino a fine stagione. Loro mi hanno subito supportato, concedendomi la possibilità di dirigere le juniores. Quello scorso è stato il primo anno da diesse e contestualmente studiavo anche per la maturità, mentre in questa stagione ero già all’università. In queste due annate abbiamo sempre cercato le gare e le trasferte più giuste per trovarci come tempi e luoghi.

Il contatto con la BFT Burzoni com’è arrivato?

Si è verificata una serie di incastri. Sono iscritta alla facoltà di Ingegneria Gestionale di Parma, una materia improntata sulla tutela dell’ambiente, e diventava sempre più scomodo per me dover seguire le ragazze del Corridonia da lontano. Contemporaneamente Stefano Peiretti voleva prendersi un periodo sabbatico di stop dopo sei anni da diesse della BFT Burzoni. Così, è nata questa occasione. A quel punto mi sono sentita con loro e abbiamo trovato l’accordo.

Com’è stato l’impatto con i tuoi nuovi colleghi?

Molto buono. E’ vero che ci conoscevamo già per esserci incrociati alle gare in questi anni, però fin dal primo colloquio mi sono subito sentita ascoltata. Sia il team manager Stefano Solari che il diesse Vittorio Affaticati, che ha grande esperienza, che lo stesso presidente Gianluca Andrina mi hanno fatto sentire integrata con loro e con le ragazze. Ogni considerazione che facevano, chiedevano il mio parere. Questa cosa mi ha fatto davvero tanto piacere ed ovviamente è molto stimolante.

E’ stato un problema farti passare ad un team concorrente?

No, assolutamente. Al Club Corridonia sono stata molto bene, però sapevano che volevo fare nuove esperienze, come trasferte all’estero o avere rapporti con la nazionale per alcune ragazze. In questo senso devo ringraziare molto il presidente Mario Cartechini e il diesse Orlando Vecchioni, dai quali ho imparato tanto. Entrambi mi hanno appoggiato nella scelta, capendo le motivazioni. Anche la mia famiglia mi ha aiutata in questa mia scelta di vita. Ora vivo a Parma ed è molto più comodo per me andare a Piacenza nella sede della BFT Burzoni.

Ti sei trovata a disagio nel guidare atlete poco più giovani di te?

Personalmente no, però capisco che possa essere visto come un ostacolo la poca differenza di età. Ritengo che possa invece diventare una risorsa per il bene di tutta la squadra. Io vorrei essere un ponte tra staff e ragazze. Loro possono parlarmi tranquillamente di tutto, ovvio però che ci si chiarisca subito affinché si rispettino i ruoli o non sorgano incomprensioni. Sì, c’è il rischio di diventare troppo amiche delle juniores, ma ormai questa è una categoria di ragazze mature che sanno scindere le figure e non oltrepassare i limiti. In ogni caso, come è stato a Corridonia, non sono l’unica diesse quindi certe situazioni si affrontano sempre tutti assieme.

In queste due stagioni da diesse, che stile hai adottato?

Il mio metodo a livello atletico è sempre stato influenzato dai miei vecchi diesse, quindi abbastanza regolare anche tecnicamente. Tuttavia ho capito che non bisogna trascurare l’aspetto umano delle ragazze, che saranno future donne quando non correranno più in bici. Solitamente tendo a responsabilizzare le atlete anche sotto il profilo morale. Non vorrei pensare solo ai dati, che restano importanti chiaramente, ma guardare dentro le ragazze. Questa caratteristica credo mi possa differenziare dagli altri diesse.

Hai avvertito un po’ di ostilità per questa tua scelta di iniziare subito dalle juniores?

Devo dire che ho ricevuto un po’ di critiche in questi due anni. Qualcuno mi ha detto che sono acerba e che avrei dovuto iniziare da categorie più basse, addirittura dai giovanissimi. Il classico discorso è stato quello del “devi fare la gavetta”, ma vorrei far ricredere quelle persone ancora così chiuse che sono nel ciclismo. So che devo accumulare esperienza, ne sono ben consapevole e voglio imparare ancora. Da atleta non sono forse stata la più forte in circolazione, ma non è detto che non possa essere una buona diesse. Anche per me è una scommessa questa nuova mansione, ma voglio vincerla.

Linda Sanarini è nel giro azzurro di strada e pista. Nel 2025 sarà la capitana della BFT Burzoni (foto Franz Piva)
Linda Sanarini è nel giro azzurro di strada e pista. Nel 2025 sarà la capitana della BFT Burzoni (foto Franz Piva)
Che obiettivi si è fissata Krizia Corradetti per il 2025?

Conosciamo tutti gli standard alti della BFT Burzoni. Spero di poter aiutare questa società a mantenerli, magari cogliendo la prima vittoria all’estero. Così come spero di non alterare gli equilibri che ci sono. Ad esempio voglio vedere come risponderanno le ragazze del secondo anno, come Sanarini e Bezzone, ad una nuova diesse. E allo stesso modo come si troveranno le atlete del primo anno. Non vedo l’ora di dare il mio contributo. Sono pronta e concentrata per dare il massimo di me.

Puccio e la Ineos: evoluzione continua e si punta sempre in alto

20.11.2024
5 min
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Salvatore Puccio si appresta ad affrontare la quindicesima stagione da professionista, tutte trascorse con la Ineos Grenadiers. In questi tre lustri molte cose sono cambiate: il ciclismo, Puccio stesso e la Ineos. Recentemente si sono verificati diversi cambiamenti significativi: il ritorno di Rod Ellingworth si è concluso prematuramente e, in pochi anni, se ne sono andati direttori sportivi come Tosatto e Cummings (pare in rotta con Pidcock), mentre alcuni coach sono stati sostituiti. È in atto un cambio generazionale, con i giovani che si stanno facendo largo. L’arrivo di Joshua Tarling è stato il vero colpo.

Il siciliano trapiantato in Umbria ha già ripreso gli allenamenti. La prossima potrebbe essere la sua ultima stagione da professionista, motivo in più per fare bene e chiudere alla grande. Oppure, chissà, per continuare ancora. È anche il momento giusto per analizzare i cambiamenti di un team in costante evoluzione.

«Ho ripreso da poco – dice Puccio – e ho già un’idea di quello che dovrò fare, anche se con il probabile annullamento della Valenciana (a causa delle recenti inondazioni, ndr) potrebbe esserci qualche cambiamento nella prima parte della stagione. Dovrei correre in Spagna e poi in Francia. Vedremo… L’obiettivo principale dell’anno è il Giro d’Italia. Vorrei arrivarci in forma, perché in questa squadra non basta l’esperienza: il posto te lo devi guadagnare».

Puccio e Ganna sono gli unici corridori italiani nella Ineos 2025
Puccio e Ganna sono gli unici corridori italiani nella Ineos 2025
Salvatore, sei quindi già nel pieno: come stai lavorando?

Ho cambiato qualcosa. Con i nuovi coach è diverso: una preparazione più in linea con il ciclismo attuale. Prima facevo tanto fondo, ma ora bisogna velocizzare un po’. Ho già iniziato a lavorare in questa direzione. Magari non sarà la preparazione giusta, ma tanto sapevo già quella vecchia non sarebbe più andata bene.

Prima Salvatore hai accennato all’esperienza che non basta per essere al Giro, ma non è che i nuovi dello staff guardino “solo” i numeri e meno l’atleta? Noi per esempio ricordiamo quanto Brailsford ti tenesse in considerazione….

Ho avuto problemi alla Strade Bianche: una caduta mi ha provocato forti dolori per lungo tempo. Ho saltato la Tirreno e poi sono andato al Catalunya, ma non ero ancora a posto. Probabilmente non avrei dovuto partecipare, ma se non fossi andato sarei rimasto ancora più indietro. Questo ha compromesso la mia preparazione per il Giro. Ho fatto il Tour of the Alps, che non è una gara adatta a me, e lì non stavo ancora bene. Ho capito di non essere pronto per il Giro. E io non vado alle corse solo per esserci: questa non è una squadra che ti permette di farlo, visti i suoi standard.

Ineos: tu sei da sempre in questo team: quanto è cambiato?

Negli ultimi due anni siamo calati di livello, è innegabile. Però quest’inverno ci siamo mossi bene: nuovi coach, nuove collaborazioni, l’arrivo del Development Team. Per me sono segnali incoraggianti. È vero, dopo tanti anni di successi ci siamo ritrovati a fare le stesse cose. Cambiare era necessario e stimolante. Non voglio dare la colpa a nessuno, ma ora vedremo come andrà. L’importante è credere in quello che si fa e questo dà motivazione.

Nel classico ritrovo pre-stagionale la Ineos Grenadiers ha visitato l’Old Trafford, “casa” del Manchester United e di Brailsford (foto Instagram)
Nel classico ritrovo pre-stagionale la Ineos Grenadiers ha visitato l’Old Trafford, “casa” del Manchester United e di Brailsford (foto Instagram)
E’ chiaro…

In 12-13 anni abbiamo vinto ovunque. È normale che ci siano cali, come accade nel calcio o in Formula 1. Per anni gli altri ci hanno inseguito, ora ci sono altre squadre in cima. Vedremo però quanto dureranno.

Pensiamo alla Visma-Lease a Bike, anche se è vero che quest’anno hanno avuto sfortune enormi…

Lo avete detto voi. Io non volevo fare nomi, ma è così. Hanno avuto sfortuna, ma pensate che noi in tutti questi anni non abbiamo avuto infortuni o problemi? Eppure abbiamo sempre trovato ricambi: Wiggins, Froome, Thomas, Bernal… Sono stati tutti cambi molto rapidi. E oltre a loro mi vengono in mente corridori come Landa, Uran, Porte, che hanno sempre ottenuto ottimi risultati.

A proposito di calcio, Sir Dave Brailsford ora è molto impegnato con il Manchester United: si sente  la sua mancanza?

Brailsford è ancora a capo della squadra, ma si vede meno di prima. Ora la guida è affidata ai nuovi dirigenti, mentre lui ha più un ruolo di supervisione. È chiaro, per stare davvero dentro alle dinamiche devi viverle tutto l’anno. Ma comunque lui c’è.

In questa Ineos in evoluzione c’è stato l’annuncio della squadra giovanile, la Lotto-Kern-Haus, o devo team, come si dice oggi: cosa ci puoi dire di questo progetto?

Non sappiamo ancora molto. Sarà interessante vedere come funzionerà questo progetto.

E dei nuovi arrivi cosa ci dici?

Ci sono diversi giovani e devo dire che non è stato un brutto mercato. Che poi se andiamo a vedere i grandi nomi erano già sistemati… Secondo me abbiamo fatto buone scelte.

Puccio festeggiala conquista della maglia rosa di Bernal. Era il Giro 2021
Puccio festeggiala conquista della maglia rosa di Bernal. Era il Giro 2021
Uno di questi nomi era Pidcock

Per quanto riguarda Tom, si parlava di un suo trasferimento, ma ha un contratto di cinque anni: teoricamente non era neanche sul mercato.

A proposito di veterani: della Ineos 2025 non ci sarà Viviani. Ti mancherà Elia?

Dispiace per la partenza di Elia Viviani: il suo carisma si faceva sentire. Magari se non andrà male farà un altro anno ancora.

E tu?

Per quanto riguarda me, vedremo come andrà questa stagione. Già dalla prima parte si potrà capire molto: le gambe, il morale, la voglia. Se andrà bene, potrei continuare. Io non voglio trascinarmi in bici. Ho sempre avuto un ruolo preciso, al servizio di capitani importanti, e ho sempre cercato di essere al top. Per questo voglio essere competitivo: è l’obiettivo principale del prossimo anno.

Mondo Emirates, viaggio fra sport, affari e campioni

20.11.2024
7 min
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«Purtroppo non possiamo fare molto con Pogacar – dice mister Boutros – perché il contratto di Emirates è con la squadra. Ma nel frattempo, se dovessimo avere un concetto di pubblicità per il quale valga la pena, non lo escludiamo: tutto è possibile. Dipende dalla campagna pubblicitaria che stiamo conducendo, dalla personalità che dobbiamo utilizzare. Detto questo, non abbiamo sfruttato appieno Pogacar, credo soprattutto perché questi ciclisti continuano a pedalare tutto l’anno e non so se hanno tempo per fare altro».

Chi parla è Boutros Boutros, vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates. La compagnia aerea emiratina supporta dal 2017 il team di Mauro Gianetti, ma sponsorizza squadre di calcio fra cui Milan e Real Madrid e altri sport fra cui cricket, rugby, tennis, ippica, vela, basket… L’elenco è davvero lungo e certamente pregiato e questo ha acceso la nostra curiosità di sbirciare in casa loro, per farci raccontare i criteri di scelta delle discipline che sostengono.

Il nostro interlocutore ha svolto un ruolo chiave nella costruzione del marchio globale della compagnia, guidando un team di oltre 150 professionisti e più di 100 agenzie globali, che ne fanno uno dei comunicatori aziendali più influenti e di alto profilo del Medio Oriente. Boutros è entrato in Emirates nel 1991 ed ha alle spalle anche due decenni di esperienza nel giornalismo, nelle relazioni pubbliche e nel marketing.

Boutros Boutros è vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates (foto Gulf News)
Boutros Boutros è vicepresidente esecutivo e responsabile marketing e comunicazioni di Emirates (foto Gulf News)
Emirates e lo sport: come nasce?

Quando abbiamo avviato la compagnia aerea, abbiamo sempre saputo dove volevamo arrivare. Ma è molto difficile pensare di conquistare il mondo quando si inizia con due aerei e due rotte. Il modello di business delle compagnie aeree è molto costoso, dato che ogni aereo costa più o meno 200 milioni di dollari e ogni nuova rotta costa una fortuna. Comunque, per farla breve, sapevamo che saremmo arrivati a un livello globale, sapevamo dove saremmo arrivati. Perciò avevamo bisogno di farci conoscere, perché non ci conosceva nessuno, nemmeno a Dubai. Sto parlando dei primi anni ’90 e abbiamo scoperto che lo sport era il modo migliore per aumentare la consapevolezza e avvicinarci al pubblico.

Quale sport? E perché?

Ci sono differenze. Si passa da sport conosciuti a sport meno conosciuti, sport seguiti e sport meno seguiti. Siamo partiti da questa considerazione, sapendo ad esempio che la maglia di un calciatore è la migliore connessione con le persone che lo amano. I calciatori hanno i loro sostenitori, il loro pubblico. E naturalmente una voce importante è la copertura televisiva, che oggi per il calcio è massima. Così abbiamo pianificato come crescere fino a raggiungere il top, per esempio partendo dallo sport più seguito che per il mondo occidentale è il calcio. Poi c’è il cricket, che coinvolge probabilmente 2 miliardi di persone. E poi c’è il rugby. Abbiamo stilato una lista di sport di punta, purtroppo a spese di tutti gli altri. Non possiamo approfondirli tutti, anche se ci piacerebbe.

Siete voi a scegliere lo sport o ricevete richieste fra cui scegliete?

Come in tutte le attività commerciali, tutti vogliono avvicinarsi per entrare nel business. Ma come ho detto all’inizio, abbiamo preso in considerazione gli sport più trasmessi. Così ad esempio, inizialmente ci siamo avvicinati alla Formula Uno. Però ci siamo detti che è troppo rischiosa e poteva creare una pericolosa associazione di idee. Noi facciamo volare le persone e quindi non ci è sembrato utile sposare uno sport soggetto a incidenti

Fra le squadre di calcio sponsorizzate dalla compagnia aerea c’è il Real Madrid (Facebook/Emirates)
Fra le squadre di calcio sponsorizzate dalla compagnia aerea c’è il Real Madrid (Facebook/Emirates)
Avete creato un ranking di discipline appetibili?

Abbiamo scoperto che i primi sei, sette sport sono il calcio, il football, il tennis, il golf, il rugby, il cricket e l’equitazione, perché è un grande sport in Medio Oriente e genera un’ottima immagine. Ci siamo resi conto che nel complesso questi sport coprono quasi tutti gli appassionati del mondo e così ci siamo mossi.

E cosa avete fatto: avete bussato alle loro porte?

Naturalmente c’è sempre da considerare il prezzo e la disponibilità, perché nelle sponsorizzazioni sportive, come in tutte le altre cose, le prime due o tre squadre sono sempre occupate, quindi bisogna scegliere bene il tempo. Siamo stati abbastanza pazienti da aspettare il momento giusto ed è questo il motivo per cui ci sono voluti forse 10 anni per costruire il nostro portfolio.

C’è differenza tra sostenere una squadra o un singolo sportivo?

Noi non sponsorizziamo singoli atleti, perché otteniamo molto di più dalle squadre. In più dal punto di vista amministrativo gestire una sola persona richiede lo stesso tempo della gestione di un club.

Emirates sposnorizza la NBA Cup, che si concluderà con una Final Four a Las Vegas (Facebook/Emirates)
Emirates sposnorizza la NBA Cup, che si concluderà con una Final Four a Las Vegas (Facebook/Emirates)
Le sponsorizzazioni hanno modalità diverse…

Dobbiamo scegliere come distribuire le nostre risorse. Dove possiamo, ci concentriamo sul prendere la maglia. Se invece non è disponibile, si fa qualcos’altro. Ad esempio, si prendono i led dello stadio, ma il vero obiettivo è la maglia. Ecco perché sponsorizziamo gli arbitri del rugby, del cricket e anche dell’NBA. Questa è un’area che più o meno ci appartiene, perché nessun’altra compagnia aerea è riuscita ad arrivarci. Abbiamo provato anche con il calcio, ma sponsorizzare gli arbitri non è parso la cosa migliore, avendo anche delle squadre. Si poteva scrivere qualcosa sulle maniche, ma sono troppo piccole perché vengano notate in televisione. La sfida più grande è individuare la misura e il posto in cui mettere il nostro nome.

Sponsorizzate anche molti eventi sportivi, danno dei buoni riscontri?

Facciamo eventi nel cricket e la Coppa del mondo di rugby. Non è possibile sponsorizzare tutte le squadre del mondo, perché è molto costoso. E allora si va al mondiale di rugby, per esempio, si sponsorizza l’arbitro e poi magari lo stesso torneo.

Parliamo del ciclismo?

Abbiamo scelto una squadra sapendo che avrebbe vinto. E’ più facile seguire una squadra piuttosto che le tante corse di ciclismo in giro per il mondo. Il Tour de France è famosissimo, come un altro un paio di eventi, ma ce ne sono tanti. Ecco perché abbiamo una squadra, perché ci rappresenta. E siamo stati abbastanza fortunati nel fare la squadra degli Emirati Uniti, che poi ha anche vinto.

Nella vela, ecco Emirates Nuova Zelanda e il team SailGP Emirates Gran Bretagna (Facebookl/Emirates)
Nella vela, ecco Emirates Nuova Zelanda e il team SailGP Emirates Gran Bretagna (Facebookl/Emirates)
Avete la squadra numero uno al mondo, in cui milita il corridore più forte del mondo: che effetto fa?

Abbiamo iniziato perché ne conoscevamo il potenziale, ma un conto è poter competere e tutt’altro è vincere. Siamo stati fortunati che abbiano vinto il campionato del mondo e poi siamo stati fortunati che abbiano i migliori corridori del gruppo. E’ una zona nuova in cui abbiamo iniziato a pedalare per provare e credo che abbiamo fatto bene a sponsorizzare una squadra piuttosto che il singolo ciclista.

Quindi la squadra funziona più dell’evento?

Sì, attraverso le persone e i loro risultati c’è un legame migliore. E questo riflette davvero lo spirito emiratino: si può lavorare in squadra, si può avere successo e ci si può distinguere da tutti gli altri.

E’ importante che il team abbia sede negli Emirati Arabi Uniti?

Abbiamo iniziato come squadra di supporto per gli Emirati Arabi Uniti. Volevamo una squadra che portasse il nome del Paese, perché in fin dei conti noi ne portiamo la bandiera. All’inizio eravamo noi a sostenerli, ora sono loro a sostenere noi, perché hanno mantenuto la promessa e hanno fatto così bene che ora siamo davvero orgogliosi. E anche dal punto di vista finanziario, il rapporto qualità/prezzo è molto buono.

In Italia il marchio si riconosce sulle maglie del Milan (Facebook/AC Milan)
In Italia il marchio si riconosce sulle maglie del Milan (Facebook/AC Milan)
Per cui, concludendo, si può dire che la sponsorizzazione nel ciclismo sta funzionando?

Sta andando molto bene, perché ci ha permesso di intercettare molti clienti in aree in cui di solito non siamo presenti. Ci ha permesso di raggiungere un pubblico a cui non avevamo mai pensato. Il ciclismo ha la sua popolarità, perché è uno sport che tutti possono praticare. In tutto il mondo, quasi tutti vanno in bicicletta e quasi tutti possono permettersi una bicicletta. Non c’è bisogno di percorsi particolari, si può andare in bicicletta nel cortile di casa o sulle strade nei dintorni. Il ciclismo è molto più grande di quanto la gente si renda conto. Noi stessi ce ne siamo resi conto quando abbiamo iniziato a essere coinvolti.

E mister Boutros è mai andato in bicicletta?

Ho tentato la fortuna, finché un paio di anni fa mi sono infortunato. Ormai è troppo tardi per riprovarci, ho una grossa placca nella gamba, penso sia meglio fare altro. Spero di averle dato tutto ciò che desidera, ho il telefono che squilla. Spero di rivederla presto.

Sobrero alla ricerca dei giusti equilibri in vista del 2025

20.11.2024
5 min
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La prima stagione di Matteo Sobrero con la Red Bull-Bora Hansgrohe ha due volti: uno felice e l’altro un po’ meno. Quando è stato chiamato per dare supporto ai capitani, il piemontese ha risposto presente, mentre nelle occasioni in cui ha avuto spazio per sé qualcosa non è andato. 

«Ero a conoscenza del ruolo nel team – spiega Sobrero, che in questi giorni ha riagganciato le tacchette ai pedali in vista della prossima stagione – che mi era stato assegnato fin dal primo ritiro, ovvero a dicembre dello scorso anno. Nei Grandi Giri avrei dovuto dare una mano ai capitani, mentre in altre gare avrei avuto lo spazio per provare a dire la mia e fare la corsa».

Sobrero ha iniziato la sua stagione all’AlUla Tour con un buon quarto posto finale
Sobrero ha iniziato la sua stagione all’AlUla Tour con un buon quarto posto finale

Le fatiche gialle

Alla fine Sobrero ha corso il suo primo Tour de France, quello che gli era stato promesso lo scorso anno e che poi era sfumato senza troppe spiegazioni. Alla Grande Boucle ci è andato, consapevole del lavoro che avrebbe dovuto svolgere per il capitano unico: Primoz Roglic

«Sento di essere arrivato a fine anno scarico e tirato – racconta – con la squadra abbiamo parlato proprio di questo. Ci sono stati dei piccoli errori o comunque delle situazioni che non è meglio non rifare. Con l’arrivo di Red Bull il team ha investito tanto sul Tour, forse fin troppo. Non ero mai stato abituato a certi carichi di lavoro. Siamo partiti il 10 maggio, senza mai praticamente tornare a casa fino all’ultima tappa. Ho anche saltato il campionato italiano».

La partecipazione al suo primo Tour de France ha richiesto una grande preparazione
La partecipazione al suo primo Tour de France ha richiesto una grande preparazione
Come si è svolta la vostra rincorsa al Tour?

Siamo partiti per andare a fare qualche ricognizione di tappa. Poi da lì ci siamo spostati ad Andorra per il ritiro in altura, abbiamo corso il Delfinato e infine siamo tornati in ritiro a Tigne. Una volta finita la preparazione c’è stata la presentazione ufficiale di Red Bull in Austria e pochi giorni dopo la partenza da Firenze. Sono sforzi che fai e che non ti pesano, soprattutto con l’adrenalina del momento.

Poi li senti?

Una volta che ti fermi, ti salgono addosso la stanchezza e la fatica. Tutti i miei compagni che hanno finito il Tour hanno detto di aver risentito del lungo periodo di stress. Ed è una cosa che personalmente mi sono portato fino all’ultima gara della stagione, nonostante abbia staccato tra la fine del Tour e le altre gare. Si tratta di trovare il giusto ritmo e di abituarsi a certi carichi di lavoro e di stress. Tutte le squadre fanno un programma simile prima del Tour.

Prima della Grande Boucle, Sobrero ha corso insieme a Roglic al Delfinato
Prima della Grande Boucle, Sobrero ha corso insieme a Roglic al Delfinato
Si deve cercare il giusto equilibrio…

In un ciclismo che chiede di essere sempre al 100 per cento, essere al 95 vuol dire rincorrere. Io ho pagato più mentalmente che fisicamente. Non avevo mai preparato un Grande Giro in questo modo, l’anno prossimo sarebbe diverso. Sarei pronto. Però d’altra parte tornare a casa qualche giorno sarebbe stato utile per riposare e ripartire al massimo. Mi sono reso conto che sono arrivato alla partenza di Firenze già stanco.

Parliamo dei tuoi obiettivi, eri partito bene con AlUla e Sanremo.

Avevo trovato una buona condizione e sentivo di stare abbastanza bene. Poi mi sono ammalato in vista delle Ardenne e nel finale di stagione, come detto, non ero al 100 per cento. Se guardo alla mia stagione personalmente non posso essere soddisfatto, mentre se penso al mio lavoro per il team posso esserlo. 

Devi trovare il modo di incastrare tutto?

Sì, così da essere soddisfatto di entrambi gli aspetti. Anche perché la squadra mi concede le occasioni. Nel caso gli spazi per il 2025 dovessero essere gli stessi, sarà importante trovare qualche accorgimento per arrivare pronto ai miei obiettivi. Questi possono essere la Sanremo, le Ardenne o le gare di fine stagione. Vero che non abbiamo ancora un calendario, quindi parlare di impegni è difficile, ma vorrei trovare un equilibrio migliore. 

Ora che li hai messi tutti in cascina quale pensi sia il migliore per conciliare i tuoi obiettivi e quelli di squadra?

Sono consapevole che sarò di supporto per i capitani. Mi piacerebbe tornare al Giro perché è una corsa meno stressante e frenetica. Dal punto di vista di ciò che lo circonda il Tour de France è mentalmente impegnativo, spendi il doppio. Ci sono tanti tifosi, media, pressione, ecc… 

Per ricalibrare gli impegni in vista del 2025 serve trovare un equilibrio tra quelli del team e i suoi
Per ricalibrare gli impegni in vista del 2025 serve trovare un equilibrio tra quelli del team e i suoi
La differenza la farà tanto quale Grande Giro correrà Roglic, quest’anno lo hai affiancato parecchio. 

Mi sono trovato molto bene con lui fin da subito, abbiamo un ottimo rapporto. E’ un leader diverso da quelli che ho avuto in precedenza, ha proprio il carisma del campione. Per il momento non sono ancora totalmente legato a lui, potrei correre in supporto di altri capitani. Vedremo cosa verrà fuori dal ritiro di dicembre, manca poco. Si parte il 10.