Europei nel Limburgo. Wauters ci apre le porte di Zolder

07.02.2025
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Dal 12 al 16 febbraio si svolgeranno i campionati europei su pista. Uno dei principali motivi d’interesse dell’edizione di quest’anno è il suo teatro, il nuovissimo velodromo di Zolder inaugurato nello scorso giugno. Siamo in Belgio, ma l’impianto è un orgoglio di tutta una regione, il Limburgo, in condominio fra Belgio e Olanda. Tanto è vero che questa è solo la prima di una lunga serie di eventi.

A capo della sua organizzazione c’è una vecchia conoscenza del ciclismo internazionale, Marc Wauters. Professionista per oltre 15 anni con all’attivo anche una tappa del Tour e una Parigi-Tours, dal 2009 diesse della Lotto, Wauters è nativo di Hasselt, nel cuore del Limburgo belga e ha sempre avuto a cuore l’affermazione del suo territorio, vera patria delle due ruote. A lui spetta il compito di fare gli onori di casa parlando di come il velodromo s’inserisce e dà nuovo impulso alla sua tradizione.

Marc Wauters è del 23 febbraio 1969. E’ diesse della Lotto dal 2009 ed è responsabile del velodromo del Limburgo
Marc Wauters è del 23 febbraio 1969. E’ diesse della Lotto dal 2009 ed è responsabile del velodromo del Limburgo
Quando è nato il tuo impegno con il velodromo del Limburgo?

Il mio sogno è iniziato nel 2005. Parlo di sogno non a caso. Sono stato un professionista per 16 anni e al via della mia ultima stagione ho partecipato alla prima 6 Giorni. Non avevo mai corso su pista, ricordo che ero accoppiato a Tom Boonen, lui campione del mondo e io campione belga a cronometro. Non avevo mai guidato su pista, mi allenai al mattino e alla sera ero già in gara. Ricordo che quell’impianto dove eravamo mi lasciava perplesso, non c’era neanche uno spazio centrale ricavato, stanze interne per adeguati spogliatoi e così via. Pensai che c’era bisogno di qualcosa di nuovo, diverso. Pensai che c’era bisogno di un velodromo nuovo, uno spazio per i giovani, per il futuro. Meno di due anni fa il sogno ha iniziato a concretizzarsi.

Come lo hai pensato?

Non è stato facile, tanto è vero che il progetto è cambiato almeno tre volte. Dal 2015 abbiamo iniziato a metterci mano, ma non riuscivamo mai a trovare una quadra. Volevamo fare le cose in grande, poi l’Uci ha aperto una porta per il mondiale su pista nel 2028, ancora da assegnare e l’occasione era ghiotta per poter proporre il Limburgo come suo teatro. Quindici mesi fa era tutto pronto, abbiamo apposto gli ultimi ritocchi e inaugurato l’impianto a giugno, poi abbiamo fatto le nostre richieste per grandi eventi a cominciare dai prossimi europei. Deve essere un impianto polifunzionale, tanto è vero che si presta anche agli eventi di Bmx e nel 2027 ospiterà gli europei di questa disciplina. Ha tutti i servizi e può ospitare grandi numeri di spettatori, essendo utile quindi anche per altre manifestazioni come partite di basket e concerti.

L’impianto può ospitare vari eventi, legati non solo al ciclismo o allo sport in genere
L’impianto può ospitare vari eventi, legati non solo al ciclismo o allo sport in genere
Come riesci a conciliare questi impegni con quelli con la Lotto?

Io sono il responsabile del ciclismo del circuito, ma sono anche il direttore sportivo del team. Quindi lavoro a tempo pieno per quasi tutto il tempo. Ho una vita frenetica, questo è certo… Ma con l’impegno si riesce a tenere dietro a tutto, poi lavoro con ottimi staff dei quali mi fido.

Ho letto che sono già previsti più eventi internazionali. State pensando anche ad altre attività come una 6 Giorni e altro per tenerlo impegnato anche d’inverno?

No, per le 6 Giorni, penso che il livello sia troppo alto. Inizierò ora con i campionati europei, poi vedremo. Abbiamo già avuto l’edizione del 2028, poi i mondiali juniores del 2026, gli europei di categoria l’anno successivo insieme alla rassegna di bmx. Puntiamo ai mondiali, vedremo. In Belgio ci sono già cinque 6 Giorni, è un’attività che ha più tradizione nella zona di Gand, lì c’è da oltre 100 anni. Non è facile organizzare una 6 Giorni, oltretutto ci sono pochi specialisti e pochi corridori che investono il loro tempo invernale su pista. Senza considerare l’esborso di denaro, le tante persone necessarie per la sua organizzazione. Il gioco non vale la candela. L’europeo è più semplice, ha risalto, è alla nostra portata per allestire un’edizione di grande livello. Andiamo per gradi, magari tra 10 anni la penserò diversamente e la 6 Giorni sarà fattibile.

In carriera Wauters ha vinto 22 corse, qui il successo ad Anversa nella tappa del Tour del 2001
In carriera Wauters ha vinto 22 corse, qui il successo ad Anversa nella tappa del Tour del 2001
La costruzione dell’impianto è legata anche alla volontà di dare nuovo impulso al settore della pista in Belgio?

Sicuramente. Noi abbiamo già impianti in Belgio, un paio, questo è il terzo e deve diventare un centro per la preparazione dei ragazzi. Già ora abbiamo tanta attività, tanti giovani che vengono ad allenarsi qui, su una pista con i crismi olimpici. Abbiamo pensato anche di mettere bici a noleggio, per far abituare i ragazzi alla pratica soprattutto del Bmx perché parte tutto da quello. Da noi ci si può avvicinare al ciclismo a costi molto popolari, è questo uno dei motivi dell’esistenza di questo impianto. Ho una buona sensazione al riguardo.

E’ una pista veloce?

Certamente, abbiamo lavorato molto per questo. Già nei primissimi mesi di attività abbiamo visto la realizzazione di due record nazionali, sul chilometro e nell’inseguimento femminili. Ottenuti su questa pista, il che dimostra che è molto veloce. Io spero che qui si possa realizzare anche un record mondiale.

La pista è già frequentatissima per allenamenti e si è dimostrata molto veloce
La pista è già frequentatissima per allenamenti e si è dimostrata molto veloce
Zolder era una località famosa per gli sport motoristici. Ora, tra il velodromo e la gara di ciclocross, ha cambiato la sua tradizione o La gente locale ama sempre più le auto?

Bella domanda. La società sta cambiando, ma me ne sono accorto già anni fa, quando ancora la Formula Uno era di casa. Uno dei primi atti dopo la fine della mia attività ciclistica è stata la creazione di una scuola di ciclismo, nel 2007, perché se ne sentiva il bisogno. Le nuove generazioni cercavano qualcosa di diverso dalla tradizione motoristica locale. E’ bello vedere ora così tanta gente che viene a pedalare qui e nei dintorni, tra l’altro l’impianto ha le luci ed è aperto anche alla sera, vi organizziamo attività tre volte a settimana. E a volte abbiamo più di 500 ciclisti sulla pista di quattro chilometri intorno all’impianto. Poi c’è il ciclocross. Una discilpina che ha una grande tradizione. Qui il ciclismo ormai è di casa, ha soppiantato la passione per i motori.

La prossima settimana iniziano gli europei: gli spettatori che cosa troveranno?

Per me è una grande occasione e siamo molto emozionati. Spero che la gente della regione qui venga in massa. Per il fine settimana siamo già vicini al sold out, speriamo che venga tanta gente anche negli altri giorni. Anche ai mondiali su strada avviene questo, tutti presenti nel weekend, poi gli altri giorni si riempiono alla fine. Ma i segnali che ci arrivano sono molto positivi e io spero che le prestazioni siano all’altezza. Non nascondo che spero tanto in un primato mondiale, darebbe un’impronta al velodromo.

Zolder è già da anni teatro di una delle principali corse del ciclocross internazionale
Zolder è già da anni teatro di una delle principali corse del ciclocross internazionale
Ultima domanda legata alla Lotto: che cosa ti aspetti da questa nuova stagione?

Noi stiamo lavorando soprattutto pensando alle classiche. Abbiamo il campione belga (Arnaud De Lie, ndr), spero che possa far bene su percorsi che gli si adattano. Ha imparato dai suoi errori, penso che possa far meglio dello scorso anno. La nostra è una squadra molto giovane. Dobbiamo lavorare duro per raccogliere più punti possibile e rientrare nel WorldTour. Ci faremo trovare pronti.

Van der Poel cannibale nel cross. E ora lo aspetta la Sanremo

07.02.2025
5 min
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Mathieu Van der Poel ha letteralmente dominato la stagione del ciclocross, chiudendola con l’ennesimo titolo mondiale, il settimo per la precisione. Il tutto con una superiorità imbarazzante. Ma ora? Ora arriva la strada, le grandi classiche, la Milano-Sanremo che sarà il suo primo grande obiettivo stagionale su asfalto.

Come si presenterà il fuoriclasse olandese? Sarà sempre super competitivo? Gli avversari lo aspetteranno più agguerriti o spaventati? Per capire meglio le dinamiche di questo passaggio dal fango alla strada, abbiamo parlato con Maurizio Fondriest, che vinse la Sanremo nel 1993 e grande conoscitore delle classiche.

Marzo 1993, Maurizio Fondriest vince la Sanremo
Marzo 1993, Maurizio Fondriest vince la Sanremo
Maurizio, Van der Poel arriva dalla stagione devastante e trionfante del cross, come gestirà questo passaggio?

Ormai si conosce bene e sa come affrontare la transizione. Da diversi anni segue questo schema, quindi il suo allenatore e il suo staff riescono a programmare il periodo di stacco e la ripresa in maniera ottimale. Il ciclocross e la strada vanno quasi a braccetto per lui: gli sforzi violenti del cross gli tornano utili nelle classiche, e non per questo trascura il lavoro di fondo e il volume nei periodi giusti.

Ma lo può fare perché è Van der Poel? Cioè perché è più forte degli altri?

Sicuramente perché è forte e quando sei così forte a correre ti diverti, ma anche perché ormai come detto si conosce e sa gestirsi.

L’anno scorso la sua prima gara è stata la Classicissima ed è sembrato brillante, ma non brillantissimo. Sul Poggio non fece la differenza come alla Sanremo dell’anno precedente, quando veniva da Strade Bianche e Tirreno: quest’anno sarà diverso?

Lo scorso anno ha avuto un avvicinamento simile e, anche se non era straripante come nel 2023 quando vinse, arrivò comunque davanti. Non possiamo sapere se fosse al top o meno, anche perché lavorò per Jasper Philipsen.

Un momento chiave della passata Sanremo. Giù dal Poggio Philipsen dice che è poco dietro a VdP. Lui lo aspetta, gli tira la volata e Jasper vince la Classicissima
Un momento chiave della passata Sanremo. Giù dal Poggio Philipsen dice che è poco dietro a VdP. Lui lo aspetta, gli tira la volata e Jasper vince la Classicissima
E hai toccato un tasto centrale: la convivenza con Philipsen…

Se avesse corso per vincere, probabilmente sarebbe stato uno degli ultimi a resistere in testa con Pogacar o magari sarebbe arrivato da solo. Quest’anno vedremo che strategia adotteranno: se la Alpecin-Deceuninck punterà su di lui o ancora su Philipsen. Quelle poi sono scelte di squadra. Una cosa è certa: se resterà davanti con Pogacar e non rientrerà nessuno da dietro, può provare a vincere di nuovo.

Magari quest’anno vuol tornare a vincere…

Van der Poel ha vinto Amstel, Fiandre, Roubaix, Sanremo. Quindi ha già vinto tutte le classiche che sono alla sua portata. Gli manca la Liegi, che potrebbe essere un po’ troppo dura, anche se ci si è già piazzato bene. Questo per dire che la sua concretezza lo porta a concentrarsi sulle corse in cui sa di poter vincere.

Forse, Maurizio, è così dura anche per gli interpreti che si è ritrovato. Magari in un’altra epoca avrebbe avuto vita più facile anche alla Doyenne…

L’anno scorso è arrivato terzo nel gruppetto subito dietro Pogacar, quindi senza alcuni di quei corridori potrebbe anche riuscire a vincerla. Il Lombardia invece sembra davvero fuori dalle sue caratteristiche. Per lui conta puntare sulle corse in cui sa di poter fare la differenza. Pensiamo al mondiale: quest’anno il percorso su strada è troppo duro per lui, quindi punta su quello di mountain bike. E se lo vincesse, gli mancherebbero solo le Olimpiadi per completare un palmares straordinario. La sua polivalenza gli permette di scegliere gli obiettivi più adatti e massimizzare il rendimento nelle discipline in cui eccelle.

La Sanremo come prima corsa non è un rischio, anche per uno come lui? Posto che poi quest’anno, forse memore di quanto accaduto l’anno passato ha detto di voler prendere parte alla Tirreno o alla Parigi-Nizza…

Non più di tanto è un rischio. Van der Poel ha già corso gare di ciclocross fino a poche settimane prima, quindi gli sforzi violenti non gli mancano. Il volume lo sta costruendo ora con allenamenti specifici, magari anche dietro moto o con il team. La Sanremo è una corsa che si decide nel finale con uno sforzo esplosivo e quello lui lo ha già nelle gambe.

Come sostiene Fondriest, l’olandese ha effettuato delle distanze anche durante la stagione del cross. Eccolo in Spagna a pochi giorni dall’ultimo iride (foto Instagram)
Come sostiene Fondriest, l’olandese ha effettuato delle distanze anche durante la stagione del cross. Eccolo in Spagna a pochi giorni dall’ultimo iride (foto Instagram)
Come si affronta mentalmente un passaggio così netto dal cross alla strada?

Quando hai una superiorità così marcata nel cross, gareggiare diventa un divertimento, come detto. L’attenzione e la pressione sono minori, anche se l’impegno resta massimo. Avere questa consapevolezza aiuta a rendere meglio in corsa, come si è visto nei suoi risultati. Se sai di essere superiore e hai una squadra forte, corri più sereno e questo fa la differenza.

Insomma, sembra quasi che Van der Poel abbia fatto una preparazione al contrario: prima l’intensità, poi il volume?

Non è proprio così. Lui le distanze le avrà fatte sicuramente anche durante il cross. In più faceva quegli sforzi violenti in gara. E comunque anche nei mesi invernali io stesso facevo intensità, la facevo con lo sci di fondo già da dicembre. Oggi si sa che non serve fare solo volume, ma bisogna bilanciare le due componenti. Van der Poel non ha certo problemi di intensità e la Sanremo ci darà conferma del suo stato di forma.

Insomma, Maurizio, Van der Poel sarà pronto per la Sanremo?

Non sarà pronto, sarà super.

Ruote Campagnolo e tubeless Vittoria. Cofidis, una svolta netta

06.02.2025
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Una sorta di trasferimento tecnico non da poco, perché tutto cambia. Escono di scena le ruote Corima e sono arrivate le Campagnolo con la predisposizione tubeless, con diverse opzioni e profili dei cerchi. Via i tubolari Michelin ed entrano i tubeless Vittoria. Sulle bici Look della Cofidis c’è un bel po’ di Italia.

Ancora una volta andiamo alla ricerca di quei dettagli tecnici (ancora da scoprire per quello che concerne i feedback degli atleti) nuovi di questo inizio stagione. Abbiamo chiesto alcuni feedback a Martina Alzini che corre nel team francese dal 2023.

I primi test a Denia dopo la consegna dei nuovi materiali (foto Team Cofidis)
I primi test a Denia dopo la consegna dei nuovi materiali (foto Team Cofidis)

Coinvolti nel progetto

Alzini abita a meno di un’ora dalla sede di Vittoria ed il quartier generale di Campagnolo a Vicenza non è poi così lontano. La intercettiamo al termine di una intensa giornata nel Velodromo di Motichiari.

«Quando è stato ufficializzato l’accordo tra Vittoria, Campagnolo ed il team – dice, molto motivata – siamo stati invitati a Brembate, una visita in azienda certo, ma anche una giornata informativa dove gli staff tecnici ci hanno mostrato una serie di analisi, dati, numeri e risultati. E’ stato motivante. In primis lo ritengo un passaggio fondamentale della mia attività, secondo perché è davvero interessante fare parte di un processo di crescita ed evoluzione. Ho percepito un coinvolgimento particolare che arriva con una sorta di conferma da Cedric (Vasseur, manager del Team Cofidis, ndr) il quale vede questo accordo, non solo come una partnership, ma un pacchetto votato ad offrire una nuova immagine, sempre più competitiva, performante e ricercata».

Martina Alzini durante i test di rilevazione del lattato sul Col de Rates (foto Team Cofidis)
Martina Alzini durante i test di rilevazione del lattato sul Col de Rates (foto Team Cofidis)
Hai avuto modo di mettere alla frusta i nuovi componenti?

Solo in parte, perché da una parte ci sono le tante ore di attività in allenamento e le ore di bici fatte durante i ritiri. Dall’altra, a mio parere, il giudizio principale ed una sorta di confronto con il passato arriva nel momento in cui ci sono più giorni di gare a disposizione. Sono le competizioni che danno il vero polso della situazione. Ad oggi ho fatto solo una corsa.

Ti sarai fatta un’idea

Spunti interessanti sulla scorrevolezza, soprattutto nei lunghi tratti pedalati, in discesa e dove c’è da fare velocità. Diciamo che soprattutto le ruote confermano la loro nomea.

Scorrevoli?

Scorrevolissime. Per me è una prima volta sulle ruote Campagnolo, su strada non le avevo mai usate, mentre su pista sì. Posso dire che in tutto questo comparto, ruote e gomme, i tecnici del team hanno anche ascoltato i corridori che l’anno passato avevano chiesto maggiori performance. E’ arrivato un binomio tutto nuovo e credo che sia proprio la combinazione a fare la differenza.

Hai usato profili diversi?

Abbiamo fatto qualche prova, anche con i ragazzi, ma di solito io tendo ad usare profili da 60 o simili. Coquard ad esempio non si è fatto mancare le 80 e ha vinto in Australia.

Per la Alzini binomio Campagnolop/Vittoria come d’abitudine sulla bici da pista
Per la Alzini binomio Campagnolop/Vittoria come d’abitudine sulla bici da pista
Capitolo tubeless, ti sei già fatta un’idea precisa?

Su strada per me è una cosa tutta nuova, ma porto con me una specie di feeling che mutuo dalla pista, una sorta di affinità. Nei mesi che hanno preceduto le Olimpiadi abbiamo sempre utilizzato i tubeless e dal punto di vista di tecnico lo ritengo un vantaggio non da poco, considerando che c’è molta differenza tra i tubolari usati fino all’anno passato ed i tubeless che abbiamo in dotazione oggi.

Solo feeling oppure c’è dell’altro?

Oltre alle ruote Corima con predisposizione al tubolare, abbiamo quasi sempre utilizzato tubolari da 25, relativamente piccoli, soprattutto se contestualizzati nelle gare del Nord con fondi impegnativi. Poche volte i 28, quindi a monte c’è anche un fattore tecnico non secondario. I tubeless che abbiamo sono da 28 in avanti.

Vittoria N.EXT TLR per gli allenamenti e famiglia PRO TLR per le gare (foto Team Cofidis)
Vittoria N.EXT TLR per gli allenamenti e famiglia PRO TLR per le gare (foto Team Cofidis)
La prima cosa che hai percepito usando i tubeless su strada?

Ribadisco che a mio parere è il binomio ruote/gomme a fare una grande differenza, ma di getto direi la grande tenuta in curva, al pari di una sensazione di sicurezza e di avere sempre un po’ di margine.

Il comfort?

Più che il comfort inteso come comodità mi spingo a dire una maggiore confidenza e perché no, quel comfort piacevole che non guasta dopo tante ore di bici.

Cornegliani pronto per entrare nella commissione del paraciclismo

06.02.2025
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Ci sono ancora cariche da assegnare, ma lui è l’uomo giusto al posto giusto. Con le sue tredici preferenze, Fabrizio Cornegliani è stato il primo eletto tra i consiglieri degli atleti (l’altra è Maria Giulia Confalonieri) e sarebbe perfetto per seguire tutta l’attività che riguarda il paraciclismo.

Inizialmente il 56enne di Miradolo Terme era nella squadra di Daniela Isetti, poi le votazioni finali lo hanno fatto entrare nel consiglio di Cordiano Dagnoni, il quale dovrà decidere come coprire tutti i reparti. E’ indubbio che sarebbe un peccato non sfruttare le competenze di Cornegliani, considerando che soprattutto l’oro olimpico vinto a Parigi (in apertura, foto CIP/Pagliaricci) lo ha proiettato in una ulteriore dimensione. Ciò che ha provato lui è trasferibile ad altri paratleti in vista dei prossimi eventi fino a Los Angeles 2028. Non più solo watt da sprigionare, ma anche un percorso mentale da intraprendere per approcciarsi meglio alle gare che contano. E se l’ultima volta gli avevamo chiesto com’era stato essere docente per un giorno, stavolta siamo noi che abbiamo ascoltato la sua lezione.

In attesa di conoscere i ruoli nelle commissioni, il neoconsigliere Fabrizio Cornegliani è la persona più giusta per il paraciclismo

In attesa di conoscere i ruoli nelle commissioni, il neoconsigliere Fabrizio Cornegliani è la persona più giusta per il paraciclismo
Fabrizio ti aspetti di entrare nella commissione del paraciclismo?

Dovrò trovarmi col presidente Dagnoni per discuterne e vedremo. La logica e il mio curriculum ventennale mi portano lì, però non c’è ancora niente di definito. Di sicuro, questo l’ho detto subito a Cordiano, se un atleta della categoria H1, la più fragile della categoria del paraciclismo, è entrato nel Consiglio, credo sia un bel segnale per tutti. Significa che gli altri altrettanto fragili non si sentiranno più soli come prima.

Stai pensando quindi di non correre più?

Per ora ho intenzione di finire questa stagione, poi vedremo le prossime annate. Voglio restare nel mio settore, però se la Federciclismo dovesse darmi l’incarico di seguirlo, allora avrei meno tempo di gareggiare. Bisogna dire che se uno ha smesso da poco o fa ancora attività, rimane molto più sul pezzo rispetto ad altri. Questo è quello che sta succedendo nel nostro mondo all’estero, perché gli altri non stanno a guardare. Guardate la Francia com’è cresciuta grazie a Patrick Moyses, ovvero un ex campione paralimpico, diventato cittì.

Patrick Moyses, argento alla Paralimpiadi di Seul 1988 nel nuoto, è il cittì della Francia preso come esempio da Cornegliani
Patrick Moyses, argento alla Paralimpiadi di Seul 1988 nel nuoto, è il cittì della Francia preso come esempio da Cornegliani
Avresti già un’idea su come intervenire?

Certo. Non dovremmo più lasciare nulla al caso. Come migliorano le tecnologie della bici, dovremmo migliorare l’approccio mentale alla gara. Se e quando ci metteremo attorno ad un tavolo, io vorrei che la nazionale potesse avvalersi di uno psicologo dello sport. Finora avevamo solo i fisioterapisti, ma è importante anche avere quella figura. Anche perché adesso l’asticella si sta alzando. Questo implicherebbe cercare di far convivere tanti atleti con compiti e obiettivi precisi in corsa. E sono consapevole che non potrà essere immediato.

Cornegliani crede molto nei buoni rapporti e nello spirito di squadra per raggiungere i traguardi più importanti
Cornegliani crede molto nei buoni rapporti e nello spirito di squadra per raggiungere i traguardi più importanti
Quanto tempo potrebbe richiedere tutto ciò?

Il concetto è molto sottile per gestire questo tipo di rapporti con gli atleti e tra atleti. Purtroppo nel nostro settore c’è ancora chi è invidioso di chi va più forte o vince più di lui. Invece è una mentalità da cambiare. Se sistemiamo certe condizioni, tutti gli atleti possono rendere al massimo. Lavoriamo per loro, deve essere uno stimolo. Per me l’obiettivo sarebbe quello di collaborare tutti assieme anche per vincere una sola medaglia, ma sentirsi tutti contenti e parte di quel progetto.

Il ruolo del cittì diventerebbe ancora più rilevante, giusto?

Assolutamente sì. Ora c’è Pierpaolo Addesi con cui ho avuto un bel biennio di avvicinamento a Parigi. Riprendendo quello che dicevo prima, sarebbe bello che nei due anni precedenti a Los Angeles si potesse lavorare bene con tutti come è stato fra noi due. Ci vuole una linea più moderna, tracciando un percorso per i prossimi Giochi Olimpici. Devo parlare col cittì, anche perché lui continua a sentirsi instabile, mentre è un buon tecnico.

Non solo watt: Cornegliani vorrebbe anche un psicologo dello sport nello staff della nazionale di paraciclismo
Non solo watt: Cornegliani vorrebbe anche un psicologo dello sport nello staff della nazionale di paraciclismo
Quanto ci crede il consigliere Fabrizio Cornegliani in un ulteriore salto in avanti del paraciclismo italiano?

Tantissimo, perché so che è fattibile e perché è una situazione che ho vissuto. E’ un mio sogno. Dobbiamo pensare che quando indossiamo la maglia azzurra siamo al top e quindi dovremmo avere anche diritto al top per tante figure in nostro supporto. Cerchiamo di sistemare gli attriti tra dirigenti e atleti senza dover imporre i ruoli ai secondi. E cerchiamo di portare una istruzione di base nel nostro settore. Los Angeles adesso sembra lontana, ma non facciamoci ingannare dal tempo.

Watt, ritmi, alimentazione: dagli U23 al WorldTour il debutto di Epis

06.02.2025
6 min
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Il primo impatto con il WorldTour è un momento speciale per ogni giovane ciclista e Giosuè Epis lo ha vissuto in Australia, al Tour Down Under. Il corridore dell’Arkea-B&B Hotels ha affrontato il passaggio dagli under 23 alle corse più importanti del calendario internazionale, tra ritmi elevati, numeri di potenza da interpretare e una gestione dell’alimentazione ancora più accurata.

Tra fughe, wattaggi e sensazioni nuove, Epis ci racconta la sua esperienza nel grande ciclismo. L’ex Zalf è passato dalla devo team alla prima squadra del team bretone. Segno che nel corso del 2024 ha convinto i suoi tecnici al grande salto.

Epis (classe 2002) ha esordito nel WorldTour al Tour Down Under lo scorso gennaio (foto Facebook – Team Arkea)
Epis (classe 2002) ha esordito nel WorldTour al Tour Down Under lo scorso gennaio (foto Facebook – Team Arkea)
Giosuè, debutto nel WorldTour in Australia: come è andata?

Come prima corsa, forse è stata la migliore per iniziare nel WorldTour. Il viaggio in Australia non è semplice, quindi molti corridori preferiscono iniziare la stagione in Europa, rendendo il livello meno stellare rispetto ad altre gare. Il clima era buono, faceva caldo ma non troppo, e le strade australiane non erano pericolose. Anche i percorsi non erano troppo impegnativi, quindi per un giovane che si approccia al WorldTour, il Tour Down Under è una scelta ottimale.

Che differenze hai notato rispetto alle gare under 23 a livello di potenza e ritmo?

Ho iniziato a rendermi conto del livello generale del gruppo. La principale differenza è che, pur facendo numeri importanti, anche più di 400 watt per tanti minuti, ti giri e in gruppo ci sono ancora 130 corridori e non 30, come accade spesso negli under 23. Il livello medio è alto per tutti, quindi anche spingendo watt importanti, i corridori che restano in gara sono tanti. Questa è una delle difficoltà del WorldTour.

Quali valori hai espresso in corsa rispetto agli allenamenti, magari di questo inverno? Sono stati tanto diversi?

Non è tanto una questione di numeri assoluti, perché in allenamento si possono raggiungere wattaggi simili su sforzi brevi. La differenza sta nel farli più volte durante la gara e con la fatica accumulata. Parliamo di 5 minuti a 6 anche 7 watt per chilo per restare competitivi e non tutti i giorni si riesce a performare al massimo. Sono ancora giovane e devo fare esperienza, ma questi numeri verranno con il tempo.

Epis in fuga nella 4ª tappa, al fianco di Schmid che poi vincerà (foto Getty)
Epis in fuga nella 4ª tappa, al fianco di Schmid che poi vincerà (foto Getty)
Chiaro, poi avverrà anche un adattamento fisiologico…

Sì, già negli allenamenti successivi ho visto che la gamba era diversa. Vuoi o non vuoi, correre nel WorldTour ti cambia il motore. Sei giorni di corsa con il caldo in Australia mi hanno fatto tornare a casa con sensazioni migliori rispetto a quando sono partito. Accumulare esperienza e chilometri in gruppo è fondamentale per crescere.

Hai vissuto una fuga importante: come l’hai gestita?

Venivo da tre giorni complicati perché avevo sbagliato l’approccio alla corsa e avevo faticato molto, soprattutto nella terza tappa. Nella quarta non avevo aspettative, anche perché la sera prima non ero stato bene. In partenza ero tranquillo e ho seguito l’azione di due corridori, anche perché le indicazioni della squadra erano quelle di cercare di andare in fuga. Le gambe giravano e mi sono ritrovato all’attacco. Quando poi Mauro Schmid ha deciso di accelerare, ho fatto fatica, ma è tutta esperienza.

Visto che parliamo di valori, dacci un po’ di numeri della fuga…

Fino ai 90 chilometri dall’arrivo, in salita viaggiavamo tra i 320 e i 330 watt. Poi Schmid ha parlato a tutti noi della fuga e ci ha detto chiaramente che avremmo dovuto accelerare, così ha alzato il ritmo a 370-380 watt in salita, che per me sono valori importanti. E infatti poi da cinque che eravamo, siamo rimasti in quattro. In pianura, quando si tirava, non quando si stava a ruota sia chiaro, non vedevi mai meno di 400 watt, con velocità che si aggiravano intorno ai 50 all’ora.

In effetti sono numeri importanti. E ti hanno colpito queste differenze rispetto agli under 23?

Più che la differenza sulla durata totale della gara, quello che mi è rimasto impresso è quando il gruppo decide di fare la corsa: cambia tutto. Un divario che diventa ancora più ampio dopo quattro o cinque ore di gara. Quando il ritmo si alza e iniziano a spingere 6-7 watt per chilo, se non sei almeno al 95 per cento della condizione non puoi reggere. E quelli sono i wattaggi del ritmo per tutti, non per l’attacco. La vera differenza è qui: la corsa resta sempre tirata e quando arriva l’accelerazione decisiva, bisogna avere gambe fresche per rispondere.

Epis è arrivato all’Arkea (devo) lo scorso anno…
Epis è arrivato all’Arkea (devo) lo scorso anno…
Cambiamo, in parte argomento, come ti sei gestito dal punto di vista alimentare?

In squadra abbiamo persone che si occupano della nostra alimentazione e in Australia l’organizzazione della corsa era ottima. In hotel avevamo pasta, riso, pollo, pesce: si mangiava bene, come in Europa.

E in corsa?

Erano tappe corte, ma intense, e se non ti alimenti bene rischi di andare fuori giri. L’obiettivo era di restare sui 100-110 grammi di carboidrati all’ora.

E ci sei riuscito bene?

Sì, perché già prima di diventare professionista avevo lavorato su questo aspetto e in squadra mi seguono attentamente. Una cosa che mi sono accorto con le corse a tappe e quest’ultima in particolare, è che l’alimentazione è fondamentale non solo per la gara, ma soprattutto per il recupero. Se non mangi bene, il giorno dopo non recuperi. Hai mal di gambe. E questo vale anche per gli allenamenti. Se fai uno sforzo intenso e non mangi correttamente, il giorno dopo non recuperi al meglio.

Quindi hai sentito differenze nel mangiare bene? Ti sei mai “dimenticato” perché preso dal ritmo?

Come ho detto, ci ero abituato sin dagli under 23, quindi ero abbastanza tranquillo. So che oggi per performare è necessario stare intorno ai 100 grammi di carboidrati all’ora e su quelli mi attesto.

Grandi trenate durante il Down Under e la consapevolezza di essere tornato a casa con qualcosa in più nel motore (foto Getty)
Grandi trenate durante il Down Under e la consapevolezza di essere tornato a casa con qualcosa in più nel motore (foto Getty)
Prima hai parlato di un approccio sbagliato nelle prime tappe. Puoi dirci di più?

Le prime tappe sono state un calvario perché ho sbagliato l’approccio. Io ho bisogno di fare chilometri prima di una gara per “sgolfarmi” e questa volta per vari motivi non l’ho fatto nel modo giusto. Ero troppo scarico. Anche l’adattamento al caldo ha inciso. Inoltre, ho esagerato un po’ con le porzioni di carboidrati nei giorni prima della corsa, presentandomi al via un po’ appesantito. Poi col passare dei giorni ho preso il ritmo.

E invece, Giosuè, cosa ti ha colpito di più a livello umano ed emozionale?

Trovarmi in gruppo con corridori come Geraint Thomas, Alberto Bettiol e molti altri è stato incredibile. Era il sogno di un bambino che si avverava. Osservavo come si muovevano, cosa mangiavano, come affrontavano la gara. Sono tutti ragazzi tranquilli e questo fa capire che a volte i giovani arrivano con troppa ansia e tensione. Se riesci a liberare la mente, vai più forte.

Che bilancio fai di questa esperienza?

Anche se i risultati non sono stati eclatanti, è stata un’esperienza che mi servirà per il futuro. Ho capito come gestire meglio i giorni prima della corsa, l’importanza dell’alimentazione e ho avuto un assaggio del livello del WorldTour. Adesso ho più consapevolezza su dove devo migliorare.

San Baronto: la “palestra” di Visconti metro dopo metro

06.02.2025
5 min
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Lungo le rampe della salita di San Baronto si accenderanno i riflettori sulla stagione juniores. Una scalata che per i giovani ragazzi toscani, e non solo, rappresenta un vero e proprio punto sacro del ciclismo. Il teatro di allenamenti e sfide da parte dei ragazzi del team guidato da Luca Scinto e della Mastromarco. Qualche anno fa il San Baronto rappresentava una vera e propria linea di confine tra due nomi di spicco del ciclismo italiano: Giovanni Visconti e Vincenzo Nibali. 

Il San Baronto è stata la salita sulla quale Visconti si è allenato negli anni da pro’ e che tutt’ora affronta spesso nelle sue uscite
Il San Baronto è stata la salita sulla quale Visconti si è allenato negli anni da pro’ e che tutt’ora affronta spesso nelle sue uscite

Nel cuore della Toscana

I due siciliani qui si sono sfidati a colpi di pedale, come faranno i ragazzi juniores tra poche settimane. Giovanni Visconti che in Toscana, proprio in cima al San Baronto, si trasferì quando era junior ci racconta i segreti di questa collina e dei suoi versanti.

«Intorno a questa salita – racconta Visconti – ci ho costruito la mia intera carriera. I versanti sono tre: due dalla parte della provincia di Pistoia e uno da quella di Firenze. Se si vuole dare una lettura agonistica alla salita di San Baronto allora dobbiamo parlare del versante che parte da Lamporecchio, provincia di Pistoia. Salita che si affrontava anche al GP Larciano qualche anno fa».

Le pendenze del San Baronto cambiano a seconda dei versanti, questo è quello più duro, con partenza da Lamporecchio
Le pendenze del San Baronto cambiano a seconda dei versanti, questo è quello più duro, con partenza da Lamporecchio
Presentacela

Misura 3,9 chilometri con un primo tratto della lunghezza di un chilometro facile, le pendenze non vanno oltre il 7 per cento. Poi arriva la parte centrale, che va dal primo al secondo chilometro, chiamata il “drittone”. Un tratto con pendenze molto più impegnative, oltre il 10 per cento. E’ qui che si fa il tempo, ma non bisogna avere fretta di spingere.

Perché?

La strada invoglia a dare tutto, ma alla cima non manca poco. Finita la parte del “drittone” ci sono ancora un paio di chilometri alla fine della salita, tutti con pendenze irregolari: si va dal 5 al 7 per cento, poi ci sono punte al 10 e ancora si torna al 6 per cento. E’ qui che chi ha gamba può spingere e guadagnare tanti secondi. 

Visconti in maglia tricolore al Gp Industria e Artigianato 2012, quello fu uno degli ultimi anni in cui si fece il San Baronto da Lamporecchio
Visconti in maglia tricolore al Gp Industria e Artigianato 2012, quello fu uno degli ultimi anni in cui si fece il San Baronto da Lamporecchio
Insomma, una salita gestire…

In particolare il tratto del “drittone” perché lì ti viene voglia di spingere, ma se vai in acido non hai la possibilità di rilanciare nel tratto finale dove si può fare maggiore velocità.

Quando eri junior questo versante era già pane per i tuoi denti?

No, lo evitavo. Pedalavo sul versante che arriva da Pistoia, leggermente più lungo ma con pendenze meno impegnative. Si tratta di una salita di 5 chilometri al 5 per cento di media. E’ pedalabile e veniva sfruttata da noi corridori, anche da dilettanti, per fare dietro macchina. Era la salita dei classici lavori di finalizzazione, quelli ad alte frequenze di pedalata. 

Il versante da Lamporecchio fu inserito anche nel tratto in linea dei mondiali di Firenze nel 2013
Il versante da Lamporecchio fu inserito anche nel tratto in linea dei mondiali di Firenze nel 2013
Tu abiti in cima al San Baronto, quindi avevi l’imbarazzo della scelta…

La salita da Lamporecchio quando ero professionista la utilizzavo per capire il mio livello di condizione, diciamo che assaggiavo la gamba. Qui facevo degli esercizi legati alla forza, i famosi 20/40. 20 secondi di recupero e 40 ad alta intensità. Quando stavo bene quei 3,9 chilometri li facevo intorno ai nove minuti e sapevo di andare alle gare pronto. 

Hai detto che esiste anche un altro versante.

Esatto, quello di Vinci. Sono dieci chilometri al 3,5 per cento di pendenza media. Non una salita da far male, ma quando ero professionista la si usava per fare lavori dietro macchina o moto ad alta velocità e per tempi più lunghi. Si superavano spesso i 30 chilometri orari e con frequenze sopra le 100 pedalate al minuto

Il gruppo in discesa verso Mastromarco al GP Industria e Artigianato del 2024
Il gruppo in discesa verso Mastromarco al GP Industria e Artigianato del 2024
Ti è mai capitato di fare tutti e tre i versanti?

Spesso, soprattutto quando volevo fare dei giorni con allenamenti duri e tanto dislivello. 

Tutte salite da rapporto lungo?

I versanti di Vinci e Pistoia si fanno tranquillamente con la moltiplica grande: 52 o 53. Mentre se si decide di salire da Lamporecchio è bene preservare la gamba, quindi nelle parti più impegnative meglio la moltiplica piccola per poi rilanciare. Quando al GP Larciano si affrontava più volte questa salita, nei primi passaggi era meglio non indurire troppo il rapporto, altrimenti nel finale si rimaneva senza forze. 

Manlio Moro: l’Australia, la transenna, la spalla e il ritorno

06.02.2025
5 min
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Quasi una… luna di miele con la sua Rachele, la visita agli zii d’Australia, i giusti allenamenti e poi alla prima curva un po’ veloce del Villawood Men’s Classic, criterium che annunciava il Tour Down Under, l’avvio di stagione di Manlio Moro si è infranto a tutta velocità contro una transenna (in apertura con il meccanico Alessandro Gaia, tornando verso l’arrivo).

«In pratica siamo entrati a 195 chilometri all’ora in curva – sorride amaramente, ovviamente ricorrendo al paradosso – e a quello davanti a me è partita la ruota. Non ho potuto fare niente per evitarlo e gli sono andato addosso. Abbiamo urtato molto forte le transenne e mi è uscita la spalla. Ero immobilizzato, ho fatto due minuti per terra che non riuscivo più a muovere il braccio. Qualche anno fa avevo già rotto la clavicola e la sensazione era la stessa. Poi ho fatto un movimento un po’ più brusco, ho provato a forzare la rotazione, ho sentito “cloc” e la spalla è come ritornata dentro. Lì per lì, fra l’adrenalina e tutto il resto, la muovevo, facevo tutto, mi sentivo un eroe. Invece la sera mi sono raffreddato un po’ e ha ricominciato a fare male. La mattina dopo non riuscivo neanche a tirarmi su i pantaloni…».

Villawood Men’s Classic, la firma di Moro per la prima gara nella sua seconda stagione da professionista
Villawood Men’s Classic, la firma di Moro per la prima gara nella sua seconda stagione da professionista
E quindi?

Siamo andati subito a fare raggi e risonanza magnetica e hanno trovato una microfrattura alla testa dell’omero, con la cartilagine un po’ rovinata perché ovviamente nell’uscire e poi rientrare, si sono rovinati sia l’osso sia la cartilagine. Per cui è finito tutto lì. Quando si è capito che non sarei potuto partire per il Tour Down Under, mi hanno messo su un aereo e mi hanno rimandato a casa. Praticamente sono andato in Australia per farmi la vacanza. Sono stato là venti giorni. Mi sono allenato al caldo con la mia morosa. Sono andato a cena e a vedere qualche posticino, poi sono tornato qua.

Chi sono questi parenti d’Australia?

L’ultima volta li avevo visti l’anno scorso quando andai per correre il Tour Down Under per la prima volta. Si sono trasferiti giù da cinque anni e quindi li vedo sempre poco, per cui ho sfruttato la possibilità di anticipare il viaggio per allenarmi e ambientarmi. Ci hanno dato un alloggio, filava tutto alla perfezione. Ho fatto un’ora di gara a blocco con ottime sensazioni e poi dritto a casa. Però fino a quel momento era stato tutto perfetto.

E adesso come stai?

Bene, la spalla ormai è a posto. Sono tornato in bici, sto facendo fisioterapia tre, quattro volte a settimana. Mi stanno dando degli esercizi da fare a casa per rinforzare tutta la muscolatura e riprendere un po’ di mobilità. Per fortuna non ho avuto dolori se non i primi due-tre giorni in cui non riuscivo a muovere il braccio. Poi però ho ripreso la funzionalità, anche se certi movimenti erano più complicati. Adesso riesco a fare praticamente tutto. Sono ritornato in bici, non ho dolori neanche a prendere buche o fare qualche volata e dei rilanci. Per cui mi alleno bene, mentre all’inizio ho ripreso sui rulli per non fermarmi, tenendo le mani sul manubrio e facendo girare le gambe.

Moro racconta che le sensazioni nella prima ora di gara sono state buone, poi la caduta…
Moro racconta che le sensazioni nella prima ora di gara sono state buone, poi la caduta…
Quando si torna in gruppo?

Subito, al UAE Tour di fine febbraio. La prima corsa è stata da cancellare, però poi riprendo tutto come da programma. Per fortuna si riesce. Io ho sempre insistito di voler ripartire subito e loro me l’hanno concesso. Del resto, se sto bene, perché saltare?

Quindi, a parte questa botta di sfortuna, come si annuncia il 2025?

La squadra mi ha detto che vorrebbero darmi l’opportunità di provare a fare qualche volata. Magari nelle corse dove non ci sono Cimolai e Gaviria. Magari un po’ più avanti nella stagione in gare più piccole come Boucle de la Mayenne o altre simili. L’idea è di buttarmi in mezzo, ma senza pressione. Così comincio a capire come funziona. Però prima, fatto il UAE Tour, si comincia al Nord.

Quindi le classiche restano il piatto forte del menù?

Sì sì, le classiche del Nord rimangono. Mentre credo che per quest’anno nel calendario non ci saranno gare in pista. E’ da un bel po’ che non vado a girare, ma ho anche avuto questa sfortuna. Continuerò a frequentare Montichiari, però credo che per quest’anno non farò gare. Voglio concentrarmi al 100 per cento su strada.

Il Tour Down Under iniziava 3 giorni dopo la caduta: il test sui rulli ha fugato ogni dubbio e Moro è tornato a casa
Il Down Under iniziava 3 giorni dopo la caduta: il test sui rulli ha fugato ogni dubbio e Moro è tornato a casa
Torniamo per un attimo alla caduta, quando eri lì per terra, hai pensato che saresti rimasto fuori più a lungo? 

Sono stato fortunato, anche perché il dolore è passato quasi subito e ho potuto ricominciare presto a fare dei movimenti. All’inizio magari faticavo a prendere una bottiglia d’acqua, adesso sono tornato alla normalità. E faccio esercizi con i pesi, con gli elastici, faccio plank, per rinforzare tutta la muscolatura. Diciamo che sono partito con un handicap, ma penso di poterlo recuperare.

Pensi che quest’anno debutterai in un Grande Giro?

Non credo, ad ora nel mio programma non ce ne sono. Però non si sa mai, perché la stagione è lunga. Magari se vado al UAE Tour e vinco quattro tappe (ride, ndr), si cambiano i programmi.

Come è stato passare dai 35 gradi australiani all’inverno italiano?

Al momento sono in Friuli, visto che Rachele dopo il Tour Down Under si è fermata direttamente al UAE Tour Women che comincia oggi. E allora invece di andare a San Marino sono venuto a salutare i miei, che non vedevo da un bel pezzo. Al momento ci sono 12-13 gradi, non si sta neanche male, anche se il confronto con le temperature australiane è improponibile. Però c’è tutto quello che serve per ricominciare. Al momento non sto ancora facendo grandissime distanze, dato che non sono ancora al top. Faccio dei percorsi un po’ più tranquilli, fuori dai rischi. Ho davanti a me una decina di giorni prima di mettermi a posto per il UAE Tour, vedrete che ci arrivo bene.

Vito Di Tano, uno scrigno di aneddoti ed emozioni

05.02.2025
7 min
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Grande. Nell’accezione più totale e completa che questa parola può assumere. E’ la prima che viene in mente nel parlare di Vito Di Tano, nel raccontare la sua figura nel giorno della sua scomparsa, dopo che una terribile quanto veloce malattia se lo è portato via a 70 anni. Grande intanto nella sua figura fisica, quasi imponente ed era così quando correva, che quasi ti chiedevi se nell’affrontare il ciclocross non potesse essere un handicap. E infatti su certi percorsi lo era. Grande nel suo curriculum di ciclocrossista, illuminato da ben due titoli mondiali a distanza di 7 anni l’uno dall’altro, con l’aggiunta di 6 maglie tricolori. Grande anche per la sua statura morale, che lo ha accompagnato per tutta la sua vita e che contraddistingue i ricordi di ogni persona che lo ha conosciuto.

Vito Di Tano era nato a Monopoli (BR) il 23 settembre 1954. Due volte iridato, non passò mai professionista
Vito Di Tano era nato a Monopoli (BR) il 23 settembre 1954. Due volte iridato, non passò mai professionista

Con Pontoni, suo erede in tutto

Daniele Pontoni ha condiviso con lui moltissime esperienze, da corridore prima, da dirigente poi fino a confrontarsi con lui in veste di commissario tecnico, carica che Vito aveva rivestito anni prima di lui, con il pugliese di Fasano che da parte sua è stato per anni diesse della Guerciotti.

«Ma prima di questo io ricordo le nostre esperienze in nazionale. Con lui ho vissuto esperienze mondiali bellissime da corridore, lui era cittì azzurro quando conquistai il bronzo a Corva da dilettante nel 1993, il suo primo anno nella carica e soprattutto quando vinsi nel ’97 a Monaco di Baviera. Eppure il ricordo che mi viene subito in mente è legato a una gara lussemburghese a Petange, il GP du Nouvel An. Due giorni prima pensavo di essermi rotto una gamba, invece era stata solo una grande botta, ma lui insistette per farmi correre, mi mise letteralmente in bici. In gara ricordo un cambio bici, su questo terreno tutto bianco, con lui che mi incitava “Vai Daniele, battili tutti”. E così fu».

Da sinistra Martinelli, Di Tano, Bertolini, Pontoni, Paolo Guerciotti, Dorigoni, Alessandro Guerciotti
Martinelli, Di Tano, Bertolini, Pontoni, Paolo Guerciotti, Dorigoni

L’ultima volta che si sono visti è stato all’ultima edizione del Guerciotti, nella serata del 60° anno che vedeva presenti tanti campioni del mondo passati per le mani del team, lombardo. «Abbiamo ricordato tanti episodi, si vedeva già che il male lo stata logorando. Da lui ho imparato tanto, come corridore e anche come cittì, come vivere l’ambiente della nazionale. Diciamo che per me è stato l’anello di congiunzione tra corridore e dirigente».

Arzuffi e una giornata speciale

E’ difficile per Alice Maria Arzuffi (con lui nella foto di apertura) trattenere le lacrime, trasparse anche virtualmente attraverso un sentito post su Instagram. «Vito l’ho conosciuto approdando alla Guerciotti, da 2° anno junior – racconta dagli Emirati Arabi, in procinto di prendere parte all’Uae Tour – In quei 6 anni insieme sono cresciuta, non solo come ciclista e il nostro legame è sempre rimasto saldo. Tanto che quando avevo un problema, un dubbio, mi sono sempre confrontata con lui che aveva ogni volta una parola di aiuto per capire. Mi ha insegnato a vivere badando alle cose semplici, mantenendosi umile, lui che era un campione del mondo.

«Quando arrivai ero la più piccola e io lo vedevo quasi come un nonno – ricorda – lui da parte sua mi coccolava e mi insegnava tutto quel che serviva in questo mondo. Ricordo in particolare nel 2022 come, durante un pranzo con la mia famiglia, lo abbia incontrato per caso a Gallipoli. Da lì decidemmo di passare la giornata insieme e ci portò ad Alberobello, facendoci vedere il trullo dov’era nato. Una giornata che esprimeva la semplicità di cui dicevo prima».

Insieme ad Alice Arzuffi e alle rispettive famiglie, una giornata che le è rimasta nel cuore
Insieme ad Alice Arzuffi e alle rispettive famiglie, una giornata che le è rimasta nel cuore

Imparare dai propri errori

«A me ha preso sotto la sua ala a 17 anni – la parola passa a Gioele Bertolini – e sotto di lui mi sono evoluto come corridore. Ho sempre apprezzato la sua fierezza di come interpretava il suo ruolo di direttore sportivo. Nell’ambiente era circondato da rispetto e simpatia, credo nessuno l’abbia mai visto litigare, affrontava tutto con calma, senza per questo non essere fermo nelle sue intenzioni, nei suoi insegnamenti e questo vale molto come insegnamento.

«Una cosa che mi resta in mente era il suo modo di confrontarsi con i giovani. Lui lasciava mano libera, voleva che imparassimo dai nostri errori e questo è un aspetto fondamentale nell’evoluzione di un corridore. Poi con calma ci si confrontava e capivo dove avevo sbagliato. Miglior modo d’insegnare non c’è».

L’ultima volta che lo aveva sentito era stata dopo la conquista del suo ennesimo titolo italiano: «Durante tutta la telefonata c’era questo sottofondo di non detto: sapevamo entrambi che non ci saremmo più sentiti e questo mi fa particolarmente male, ora a ripensarci».

Insieme a Bertolini dopo la conquista del titolo italiano. Per Gioele è stato un maestro
Insieme a Bertolini dopo la conquista del titolo italiano. Per Gioele è stato un maestro

Il risultato non è tutto

Un po’ gli stessi pensieri attraversano la mente di Jakob Dorigoni, grande rivale di Bertolini e suo pupillo negli anni alla Guerciotti. L’altoatesino sente profondamente il dolore della sua scomparsa e si limita a poche parole: «Vito era più come il papa nella famiglia Guerciotti, quando c’era un problema si andava da lui. Quel che contava era l’impegno delle persone e per questo mi stimava molto. E proprio questo apprezzavo di Vito. Il risultato non era la priorità più grande. Naturalmente erano tutti contenti se si vinceva e si festeggiava perché era una vera famiglia. Penso che anche per questo con lui ho ottenuto molte vittorie. Riusciva a toglierci la pressione e così noi corridori potevamo concentrarci al meglio sui nostri doveri».

Con Gaia Realini un legame indissolubile, rimasto anche quando la marchigiana ha lasciato il ciclocross
Con Gaia Realini un legame indissolubile, rimasto anche quando la marchigiana ha lasciato il ciclocross

Realini e quella telefonata…

Chi gli deve molto è anche Gaia Realini: «E’ lui che mi ha svezzata, ciclisticamente parlando. Io venivo da un team piccolo, non pensavo neanche di arrivare al team principale in Italia nel ciclocross. Lui mi ha fatto fare il salto di qualità, facendomi crescere attraverso le gare più importanti. Ma quel legame andava al di là, perché Vito era un esempio, ci si poteva parlare di tutto. Mi ha fatto crescere anche come carattere, al di fuori del mondo ciclistico».

Il confronto non è mancato anche dopo che Gaia ha deciso di dedicarsi totalmente alla strada: «Anzi, abbiamo continuato a sentirci e anch’io quando avevo un momento difficile lo chiamavo, ai ritiri del team o anche dopo una gara. Ad esempio, sentendo le critiche per il mio modo di andare in discesa, mi sono confrontata con lui, mi spiegava che cosa fare e ricordo che dopo una tappa al Giro dove avevo ottenuto un risultato importante mi ha chiamato e senza neanche salutarmi mi ha detto “allora, lo vedi che sai andare in discesa…”».

Di Tano con la famiglia Guerciotti tra cui Alessandro ancora piccolo
Di Tano con la famiglia Guerciotti tra cui Alessandro ancora piccolo

Per Guerciotti un uomo di famiglia

L’ultima parola spetta ad Alessandro Guerciotti. Con Di Tano se ne va un pezzo importante della sua vita: «Per me era parte della famiglia, l’ho conosciuto che ero un bambino piccolo e tutta la mia vita lo ha visto presente, fino a quando abbiamo condiviso la responsabilità del team nelle nostre rispettive vesti. Ero stato da lui una settimana prima del mondiale, sapevo che non ci saremmo più rivisti e anche lui sapeva che si stava spegnendo, ma dovevo salutarlo.

«C’è un lato che tutti, indistintamente, mettono in evidenza parlandone ed è la sua grande bontà d’animo. Una persona seria, disponibile con tutti, che ci metteva il cuore e sul quale potevi davvero contare. Soprattutto capace nel lavorare con i giovani e non è un caso se tanti talenti sono sbocciati sotto le sue grandi e sapienti mani».

Grande. Torna questa parola, che tutti hanno espresso. Legata al suo carattere, alla sua persona. Una parola forse spesso abusata. Sicuramente non nel suo caso.

Il progetto Swatt Club, una squadra diversa dalle altre

05.02.2025
5 min
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Due corridori lo scorso anno, ora sono 8, ma il cammino dello Swatt Club è appena iniziato. E piano piano nell’ambiente ciclistico si parla sempre più del team lombardo, che pur non essendo neanche continental sta scalando rapidamente le gerarchie. Nel team c’è chi il WorldTour l’ha anche assaggiato come Filippo Conca e chi ha vestito la maglia di campione continentale come il danese Kasper Andersen (oro junior nel 2020) correndo per breve periodo anche al fianco di Pogacar.

Carlo Beretta, ex azzurro di sci alpino, che ha lanciato il progetto Swatt Club con grandi ambizioni
Carlo Beretta, ex azzurro di sci alpino, che ha lanciato il progetto Swatt Club con grandi ambizioni

Dal blog alla strada

A gestire il tutto è un giovane imprenditore, Carlo Beretta, con un passato azzurro nello sci alpino, che ha iniziato con il progetto svariati anni fa.

«Inizialmente era un semplice blog, Solowattaggio – racconta – poi nel 2017 abbiamo lanciato il club ciclistico trovando fra coloro che ci seguivano sui social un riscontro enorme, superando i 900 affiliati provenienti da tutta Europa. Ci siamo dedicati alle gran fondo con ottimi risultati, ma volevamo di più. Così lo scorso anno abbiamo iscritto la squadra con soli due corridori: Mattia Gaffuri e il danese Asbjorn Hellemose, approdato quest’anno al team Jayco Alula. Mattia nelle GF vinceva a ripetizione, ma non era quella la sua dimensione, mentre Asbjorn ha ritrovato la verve giusta per risalire dopo le due stagioni alla Trek».

Mattia Gaffuri, corridore del team e preparatore per i suoi compagni, tornato in finale alla Zwift Academy
Mattia Gaffuri, corridore del team e preparatore per i suoi compagni, tornato in finale alla Zwift Academy
Guardando la carta d’identità dei vostri corridori, non è un club di under 23…

Noi guardiamo oltre, vogliamo dare a chi lo merita una seconda chance, l’opportunità di guadagnarsi il ciclismo che conta anche avendo superato l’età che oggi viene ritenuta imprescindibile, quella della categoria juniores o i primi anni da U23. Vogliamo dare spazio a chi non trova un’occasione, un contratto, ma non siamo noi a cercarli e su questo punto vorrei mettere l’accento. Ci sono arrivate oltre 200 richieste dopo che abbiamo dato diffusione al nostro progetto.

Come vi state muovendo per entrare nel ciclismo che conta, pur non essendo neanche continental?

Il ciclismo deve essere di alto livello a prescindere da queste che sono etichette. Noi ad esempio abbiamo messo insieme partner tecnici di livello assoluto, degni del WorldTour, ma vogliamo procedere per gradi, consolidandoci e seguendo la nostra filosofia. Ad esempio il nostro calendario sarà per il suo 90 per cento estero. Abbiamo già ottenuto molti inviti, saremo in Norvegia per due Grand Prix a maggio e a giugno andremo addirittura oltre Atlantico, correndo a New York e il Giro del Canada. Forse saremo anche all’Oberosterreich. Di corse potrebbero essercene tantissime, ma noi vogliamo anche arrivarci preparati, fare la nostra figura, non partecipare tanto per esserci. Inoltre c’è la componente gravel…

Farete quindi la doppia attività?

Diciamo che alla squadra per la strada sarà affiancato un gruppo più ristretto che seguirà il calendario gravel, con 4 corridori. E’ un progetto diverso. Sarebbe stato scontato fare una squadra continental, ma avremmo dovuto avere il 50 per cento dei corridori di categoria U23 e non è quello il nostro scopo. I nostri corridori hanno ruoli ben definiti: Conca e Garavaglia sono gli elementi più esperti, saranno i nostri leader a rotazione, mentre Gaffuri unirà il suo ruolo di corridore a quello di preparatore dandogli modo di proseguire in questa attività che gli sta dando molte soddisfazioni.

Conca è un elemento di spicco, uscire dall’ambiente WorldTour/professional non è semplice. Come lo avete convinto?

Filippo è il prototipo del ciclista cui ci rivolgiamo. Uno che è arrivato nella top 10 di tappa alla Vuelta non può non avere qualità, io credo che con noi avrà modo di rimetterle in mostra e tenere vivo il suo sogno. Inoltre so che tiene a far bene al campionato italiano e noi gli daremo tutto il supporto necessario.

Filippo Conca è il nome di spicco del club, in cerca di rilancio dopo un approccio difficile con i pro’
Filippo Conca è il nome di spicco del club, in cerca di rilancio dopo un approccio difficile con i pro’
Perché tante gare all’estero?

Perché sono esperienze fondamentali. La maggior parte dei nostri corridori ha corso raramente fuori, ma il ciclismo vero è quello, lì si impara davvero. Io voglio gente motivata, è stato questo concetto alla base delle nostre scelte, analizzando le richieste che ci arrivavano, vogliamo corridori affamati non solo di risultati, ma di esperienze nuove, di vita. Il calendario italiano non fa crescere, i ragazzi hanno bisogno di altro. Noi comunque alcune gare le faremo, soprattutto daremo modo a chi non è in trasferta di non rimanere fermo.

Come avete scelto i corridori?

Abbiamo anche chiesto in giro, a contatti dei quali ci fidiamo. Sui due danesi, ad esempio, abbiamo sentito Hellemose che li conosce e ha garantito per loro. Uno come Petitti, ad esempio, ha già vinto una classica U23 come quella di Poggiana, ora deve crescere e come lui Carollo. Intorno a loro stiamo costruendo la struttura, ci sarà ad esempio un meccanico fisso, poi a sostegno di tutto abbiamo anche fatto qualcosa di innovativo.

Il successo di Nicolò Petitti al GP Sportivi di Poggiana nel 2023
Il successo di Nicolò Petitti al GP Sportivi di Poggiana nel 2023
Spiegati meglio…

Noi ci affidiamo anche alla vendita di abbigliamento e materiale sportivo attraverso il nostro sito, questo sostiene anche il progetto insieme agli sponsor. Abbiamo chiesto a Giorgio Brambilla, voce e volto di GCN Italia, di seguire i nostri ragazzi all’estero come direttore sportivo e ci ha detto di sì compatibilmente con altri impegni, ma avremo anche un altro paio di ragazzi già avvezzi al ruolo, tra cui uno danese. Poi ci sarò anche io. Andremo avanti accumulando esperienze, correggendo il tiro, perché abbiamo intenzione di compiere un cammino lungo e fruttuoso.