Conti e la Solution Tech: Strade Bianche, Sanremo e tanto altro

17.02.2025
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Valerio Conti si prepara a un 2025 ricco di sfide con la Solution Tech-Vini Fantini. La squadra toscana ha ottenuto una wild card per due tra le corse più prestigiose della stagione italiana: Strade Bianche e Milano-Sanremo. Due opportunità importanti per mettersi in mostra contro i grandi team WorldTour, ma anche due gare dove per una professional il divario con i migliori può rendere difficile puntare al risultato.

Come affronteranno dunque queste competizioni? Ha senso sognare il colpaccio (se non altro per ben figurare) o meglio puntare su obiettivi più alla portata? Valerio ci racconta il suo approccio a queste corse, ma anche le sensazioni sulla nuova stagione: dai nuovi materiali, al team rinnovato.

Secondo Conti sta nascendo un gruppo giovane e più competitivo dell’anno scorso. Come affronteranno Strade Bianche e Sanremo?
Secondo Conti sta nascendo un gruppo giovane e più competitivo dell’anno scorso. Come affronteranno Strade Bianche e Sanremo?
Valerio, partiamo da qui: parteciperai a Strade Bianche e Milano-Sanremo?

All’inizio la Strade Bianche non era nel mio programma, ma mi sta venendo voglia di farla e al 99 per cento ci sarò. Proprio nel weekend ho fatto la richiesta alla squadra. Riguardo alla Milano-Sanremo invece dipenderà dal mio calendario. Se andrò in Taiwan e in Thailandia, corse molto importanti per noi, non potrò esserci, perché sono concomitanti con la Classicissima.

Come mai questa voglia?

Perché tutto sommato sento di stare bene. Sto pedalando benone e la gamba è buona. Inizierò pochi giorni prima a Laigueglia e queste due gare insieme potrebbero darmi qualcosa in più.

Per una squadra professional come la vostra, come si affrontano queste due corse così importanti?

Correre in Italia in gare così prestigiose è bellissimo e porta visibilità agli sponsor. Oltre al risultato, che è difficile da ottenere, per noi anche una fuga ben assortita è importante. Stare in diretta per ore ci dà valore. L’obiettivo è essere presenti, cercare appunto la fuga o anche un piazzamento. E questo potrebbe essere possibile soprattutto in una gara come la Sanremo.

Perché più alla Sanremo?

Primo perché è una Monumento e poi perché alla Sanremo è più semplice per noi e per entrare in fuga. L’anno scorso ci siamo riusciti io e Tsarenko. La Strade Bianche è più dura, si corre di gambe e anche la fuga va via di gambe. Gli scatti iniziano subito e spesso la fuga buona non parte nemmeno o ci mette moltissimo. Alla Strade Bianche meglio stare davanti che restare nel gruppo, ma non è facile. Alla Sanremo invece, dopo che la fuga è partita, salvo rarissimi casi, si resta avanti per molti chilometri.

Cosa si pensa una volta in fuga alla Sanremo? Quasi 300 chilometri di gara: non sono pochi…

Pensi che almeno sei in televisione! Scherzi a parte, essere davanti non è facile, anche molte WorldTour vogliono entrare in fuga ormai. Quando sei in fuga è bello, ti godi il momento. Poi, man mano che ti avvicini ai Capi, alla Cipressa, la testa lavora ancora di più, ma sai che il gruppo arriverà. A quel punto l’obiettivo è resistere il più possibile, magari fino all’inizio della Cipressa.

Conti (a sinistra) in fuga lo scorso anno alla Sanremo: ben 243 km di attacco
Conti (a sinistra) in fuga lo scorso anno alla Sanremo: ben 243 km di attacco
Quali sono le strategie in una fuga lunga come quella della Sanremo?

Devi fare un ritmo costante, quasi come fosse una cronometro, ma non subito a tutta. Se rompi il gruppetto della fuga troppo presto e si resta in pochi, ti riprendono prima. Meglio una doppia fila fatta bene, compatta, tenere un passo regolare e aumentare piano, piano. Il traguardo a quel punto non è tanto la linea d’arrivo, ma vedere fino a che punto si riesce a stare davanti. L’obiettivo è fare più chilometri possibili in fuga.

Valerio, hai accennato alle corse in Asia, gare che danno punti e che sono più accessibili per le professional e ormai anche per alcune WorldTour. Di conseguenza questi grandi obiettivi come Strade Bianche e Sanremo come si approcciano? Meglio schierare le formazioni top nelle corse asiatiche?

Cerchiamo comunque di arrivarci bene. Siamo coscienti che non sono obiettivi alla nostra portata, ma c’è comunque la voglia di fare bene, di mettersi in mostra, di onorare la gara. Si dà il massimo assolutamente.

Avete un nuovo sponsor, Solution Tech: quali sono le impressioni di questa “nuova” squadra?

Per me la squadra ha fatto uno step in avanti. Molti corridori non sono stati rinnovati, mentre sono arrivati tanti giovani con grinta e voglia di emergere. Lorenzo Quartucci, per esempio, ha già mostrato buone cose. Idem Alexandre Balmer. Gli altri li valuteremo in gara. Avere una squadra professional in Italia è difficile, ma il nostro obiettivo è fare i punti per entrare nel ranking (top 30, ndr) e avere di nuovo la possibilità di andare al Giro d’Italia.

Tu e Sbaragli ormai siete i veterani: questo è anche il vostro ruolo nel team?

Un po’ sì, perché qui l’ambiente è ancora quello di qualche anno fa, dove si imparava dai veterani. Oggi il ciclismo è cambiato: la tecnologia ha creato la perfezione, i giovani sanno già tutto. Non c’è più bisogno della maturazione, delle esperienze trasmesse dai “vecchi”. Scendi a colazione e hai già i grammi di cibo pesati, per dire… Questo ha reso più forti i giovani, ma ha tolto qualcosa ai veterani, almeno come insegnanti.

Un bel cambio, anche dal punto di vista dei materiali…

Quest’anno abbiamo fatto un salto di qualità: va detto. Le bici Pardus sono più leggere e veloci. La mia pesa un chilo spaccato in meno rispetto all’anno scorso. E anche le ruote Elitewheels, sono super scorrevoli. Materiali così ti danno fiducia e stimoli in più.

Nelle prime gare qualche buon piazzamento e persino una vittoria (quella di Rajovic nella prima tappa del Tour de Sharjah) per la Solution Tech
Nelle prime gare qualche buon piazzamento e persino una vittoria (quella di Rajovic nella prima tappa del Tour de Sharjah) per la Solution Tech
Quale sarà il tuo calendario, Valerio?

Inizio con Laigueglia. Poi appunto Strade Bianche e credo farò Taiwan e Thailandia. A seguire ci sarà una primavera piuttosto piena con il Giro d’Abruzzo e probabilmente il Tour of the Alps. Se non andrò in Trentino andrò al Giro di Turchia.

Quanto cambia una stagione senza un Grande Giro?

Cambia tanto. Un Grande Giro ti porta al top della forma e ti migliora anche per la seconda parte della stagione. Se non lo fai, devi gestirti diversamente, allenarti alla perfezione, fare più richiami, più gare. Con un grande Giro invece, la gamba viene da sola. E se ti sai gestire bene, il volume di quella condizione che ti lasciano le tre settimane, te lo porti dietro per il resto della stagione.

Con l’addio di Frassi, chi sarà il vostro direttore di riferimento?

Francesco Frassi era un punto di riferimento enorme. Non solo un grande direttore sportivo, ma anche una persona speciale. Qui aveva un ruolo totale. Ha ricevuto la chiamata dalla Israel-Premier Tech e ha accettato. Quest’anno ci saranno ancora Marco Zamparella, Serge Parsani e i nuovi arrivati Leonardo Canciani e Filippo Fuochi, che collaboreranno tutti insieme.

Zanardi, lo sguardo più chiaro sulla vita da atleta

17.02.2025
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Per essere un’atleta nel WorldTour non sempre basta allenarsi, mangiare e dare l’anima in gara. A volte il lavoro è pesante e si prende tutto, Silvia Zanardi lo sta imparando sulla sua pelle. L’emiliana, che ha vinto un campionato europeo under 23 e nell’ultima stagione alla BePink spingeva per uscire, ha alle spalle il primo anno nel WorldTour con la Human Powered Health ed ha appena iniziato il secondo in Australia e poi al UAE Tour. E adesso che è a casa in attesa della prossima corsa, le capita di pensare a come sia cambiata la sua vita e si trova magari a sorriderne con ironia, come quando i chilometri da fare sono ancora tanti e riderne è il modo migliore per esorcizzarli.

«Quest’anno – dice – ho iniziato col piede giusto. Il 2024 è servito a mettere a fuoco un po’ di cose, adesso in teoria è meglio. Mi sono fidata e ho seguito il mio allenatore. Ho fatto le cose un po’ meglio, perché sapevo di dover essere pronta a gennaio, per cui dopo la Cina ho staccato, ma non tanto. Ho preferito mantenermi, perché sapevo che altrimenti avrei avuto poco tempo».

La squadra si è ritrovata a Boston per un ritiro a novembre e per fare gruppo (foto Human Powered Health)
La squadra si è ritrovata a Boston per un ritiro a novembre e per fare gruppo (foto Human Powered Health)
Uno scatto soprattutto mentale?

Un po’ quello e un po’ anche il discorso del peso, che devo sempre tenere a bada, perché so che è importante. Se si è liberi di testa, penso che si possa davvero esprimere il 100 per cento.

E’ davvero così difficile fare l’atleta professionista?

Mamma mia, io mi sono resa conto che il ciclismo è cambiato proprio molto e sta cambiando ancora. Siamo davvero dei robottini, che devono fare tutto in modo perfetto, pesare tutto e recuperare bene. Prima non era così, ne parlavo anche con la Giorgia Bronzini (suo direttore sportivo alla Human Powered Health, ndr). Lei mi dice che non sa come facciamo e che quando correva lei, non era così.

Come si trova l’equilibrio per durare a lungo?

Io personalmente faccio un po’ fatica, ma in generale ci vuole un equilibrio anche nella vita, no? Devi sapere gestire tutto, i problemi ci sono anche al di fuori della bici. Perché stai via magari un mese e non c’è solo la bici e basta, c’è anche la vita. Quindi ci sono le cose di casa e non è semplice tenere il giusto equilibrio. Me ne sto rendendo conto ogni giorno di più. Perché non tutti là fuori si rendono conto di cosa significhi fare l’atleta.

Prossimi obiettivi?

Il 23 febbraio una gara in Spagna e poi qualche garetta in Italia, ma non la Strade Bianche. Faccio solo il Trofeo Oro in Euro e la Milano-Sanremo. Quella gara mi è sempre piaciuta molto. I Capi li ho già fatti quando ho partecipato al Ponente in Rosa prima di fare la Cipressa. Non posso dire che sia la mia corsa preferita, perché devo ancora farla. Magari se andrà bene, lo diventerà. Ci sono anni in cui le corse ti sembrano tutte belle e altri, in cui non hai la condizione, che non te ne piace nessuna.

Il debutto 2025 di Zanardi è avvenuto al Tour Down Under (foto Human Powered Health)
Il debutto 2025 di Zanardi è avvenuto al Tour Down Under (foto Human Powered Health)
Che cosa ti piacerebbe aver ottenuto quando il 2025 sarà finito?

Sinceramente voglio ritrovare la Silvia di quando andavo forte. Di quando mi sentivo bene sulla bici e avevo anche la consapevolezza interiore per dire che sto andando bene. Mi sento a posto, quindi vorrei ritrovarmi.

C’è stato un momento preciso in cui non ti sei più riconosciuta in quella Silvia?

Sì, quando ho cambiato squadra. E’ cambiato tutto e ci ho messo un po’ a ritrovare l’equilibrio. La sensazione di non riconoscere più niente intorno a me. Ho cambiato squadra, il direttore sportivo, tutte le compagne e anche il modo in cui approcciarmi alla squadra. La BePink era un ambiente familiare, c’era un rapporto diverso. Adesso mi rendo conto che è diventato proprio il mio lavoro e quindi quello che mi chiedono di fare devo farlo al 110 per cento.

Del tuo passaggio nel WorldTour si parlava da anni: pensi di aver aspettato troppo?

Ho sempre detto che non mi sentivo pronta e ora che ci sono dentro, me ne rendo conto anche di più. E’ stato un passaggio molto forte e importante, bisogna essere pronti. Ho fatto bene ad aspettare il mio tempo e a non saltare le tappe.

Ti senti ancora con Walter Zini?

L’ho incontrato al UAE Tour. Per me è una persona importante e lo resterà per sempre. E’ stato il genitore che non ho mai avuto vicino, lui c’è sempre stato. Quindi anche se adesso sono in un’altra squadra, comunque gli voglio bene. Ora mi sento proprio, non so come dire, sola e responsabile di me stessa. Invece prima sapevo che comunque avevo lui come punto di riferimento e se avevo un problema o qualsiasi cosa, potevo contare su di lui.

Nuove compagne, nuovo ambiente, ma il 2025 segnerà per Zanardi un cambio di passo (foto Human Powered Health)
Nuove compagne, nuovo ambiente, ma il 2025 segnerà per Zanardi un cambio di passo (foto Human Powered Health)
In che modo si lavora per ritrovare quella Silvia?

Restando carica e motivata nel fare quello che mi dicono. Purtroppo il meteo qui a Piacenza non è il massimo, ma ce la metto tutta.

Il tema del peso è sensibile, ma lo hai tirato fuori tu. Perché è un problema?

Oggi mangiare è diventato complicato a prescindere, questo è una certezza. Nel mio caso, non ho un problema col cibo è piuttosto che a me piace molto mangiare. La nostra cucina è più invitante rispetto a quella di altri Paesi, per cui quando torno a casa e trovo un bel piatto di pasta con il ragù della nonna, che buono… Come fai a dire di no? 

Hai vinto tu, ma se ti sente un nutrizionista…

Ho imparato a stare attenta, ma ogni tanto mi sfogo. Nel cibo non trovo la felicità, però a volte la coccola che non arriva magari da altri ambiti.

Che cosa fa Silvia quando non va in bicicletta?

Ho fatto il liceo artistico, quindi nei momenti di riposo mi piace disegnare e comunque dedicare un po’ di tempo a me. Ogni tanto mi faccio le unghie, quindi cose da donna. I ragazzi della mia età che non fanno sport passano il tempo in tutt’altro modo, quindi non è semplice. Ci sono le amicizie attorno al lavoro, quello non lo metto in dubbio, però io ho anche delle amiche al di fuori del ciclismo.

Dopo il Down Under, Zanardi ha preso parte al UAE Tour (foto Human Powered Health)
Dopo il Down Under, Zanardi ha preso parte al UAE Tour (foto Human Powered Health)
E loro?

Ogni tanto mi chiedono di andare a fare un aperitivo e anche in questo bisogna saper trovare l’equilibrio giusto. Ovviamente non puoi dire sempre di sì, però non me la sento nemmeno di dire sempre di no, quindi ogni tanto mi concedo una cena con le mie amiche, una cosa tranquilla, che mi piace. E poi c’è lo shopping, che nel giorno di riposo trovo molto terapeutico.

La ragazza accanto a te nel profilo di WhatsApp è tua sorella? Siete identiche…

Silvia da grande e Silvia da piccola, me lo dicono tutti. Abbiamo 10 anni di differenza, ma lei sembra più grande. Sono molto legata a lei e a mio fratello. Siamo una famiglia di ciclisti. Mio fratello correva in bici, poi ha smesso da junior. Mia sorella invece adesso fa mountain bike e ciclocross. Non si è avvicinata alla strada, però mai dire mai…

Vivi ancora a casa con loro?

No, adesso ho comprato casa, vivo da sola. Sono diventata grande anche per questo. Ci voleva, anche perché la tranquillità e i ritmi, gli orari che hai quando sei da sola, sono davvero una cosa unica e stupenda.

Caschi Rudy Project alla FCI: una storia di orgoglio italiano

16.02.2025
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Da Kask a Rudy Project, il cambiamento non è passato inosservato. Per il nuovo quadriennio, come avevamo anticipato nei giorni scorsi, la Federazione italiana si servirà di materiale Rudy Project, già sponsor tecnico del Team Bahrain Victorious: basta guardare le immagini degli europei su pista di Zolder per rendersene conto.

Come avvengono certi cambiamenti? In base a cosa viene fatta la scelta? Alla fine dell’anno, la Federazione ha coinvolto una decina di aziende, precedentemente individuate, perché portassero i loro modelli al fine di farne una valutazione. Abbiamo chiesto pertanto a Massimo Perozzo (marketing & communication manager presso Rudy Project) di spiegarci i vari passaggi dell’approdo dell’azienda veneta alla nazionale. Fra quelle aziende infatti c’erano anche loro.

«La Federazione – spiega – ha chiesto la possibilità, soprattutto per la parte relativa alla pista, di testare dei caschi per valutare i marginal gain. Sono stati fatti dei test con più atleti in diverse situazioni. Il quartetto come pure il singolo atleta. L’uomo e la donna. Le posizioni più disparate e per ciascuna di queste è stata valutata tutta una serie di aspetti. E alla fine il Wingdream è risultato in assoluto il casco più performante, con una buona valutazione anche per il The Wing e il Nytron».

Firmato il contratto, gli uomini di Rudy Project sono corsi a Montichiari: qui con Diego Bragato
Firmato il contratto, gli uomini di Rudy Project sono corsi a Montichiari: qui con Diego Bragato
Quando si è svolta questa fase di selezione?

Alla fine dello scorso anno, intorno a fine novembre, inizio di dicembre. Visti i risultati dei test, la Federazione tramite Infront ha cominciato a prendere contatti con noi per capire se da parte nostra ci fosse la volontà di collaborare, dato che a loro interessava avere il nostro miglior prodotto.

E voi?

Lo dico proprio in maniera molto sincera: per noi è orgoglio puro. Siamo un’azienda italiana, composta da 50 persone che stanno sul mercato da 40 anni e ogni anno cercano di fare qualcosa in più. Sappiamo che da qualche stagione stiamo lavorando bene sull’aerodinamica e arrivare a questo traguardo è stato il coronamento di un percorso. Un regalo per i nostri 40 anni. Così, quando abbiamo capito che la Federazione era contenta dei caschi e voleva usare il nostro Wingdream, abbiamo cominciato a parlare con Infront. Abbiamo iniziato a definire il rapporto con la Federazione con cui collaboreremo fino alle Olimpiadi di Los Angeles.

E’ stato un percorso complesso?

Passo dopo passo, giorno dopo giorno, telefonata dopo telefonata, siamo arrivati a chiudere i dettagli del contratto che è stato firmato, come sapete, la settimana scorsa. A quel punto abbiamo dovuto portare in tutta fretta i caschi a Montichiari in previsione degli europei. I ragazzi avevano già testato il nostro casco, ma c’era ancora da fare il lavoro di settaggio. C’è da valutare per ogni singolo atleta le necessità di taglia o se ci siano da fare delle modifiche strutturali a livello di comfort. Siamo stati una giornata con loro a Montichiari e li abbiamo messi tutti a posto. Mentre in questi giorni degli europei c’è sempre stato uno dei nostri che li ha seguiti passo dopo passo, per fare eventuali correzioni.

Sono tre i modelli di casco a disposizione della FCI, in base alla specialità: Wingdream, The Wing, Nytron
Sono tre i modelli di casco a disposizione della FCI, in base alla specialità: Wingdream, The Wing, Nytron
Ed è andata bene, dato che sono arrivati alcuni ori e altre medaglie…

Gli ori di Martina Fidanza e del quartetto femminile, ma anche quello di Matteo Bianchi nel chilometro da fermo. La distribuzione dei caschi e quando usarli invece ha un regolamento a parte. Se si parla di una specialità che coinvolge più corridori, come il quartetto o la velocità a squadre, gli atleti sono tenuti a utilizzare il nostro casco anche per ragioni di aerodinamicità. Se l’atleta invece fa parte di una squadra in particolare o di un gruppo sportivo che ha un altro sponsor, nelle specialità individuali potrà usare il casco del suo sponsor. Per questo ci ha fatto piacere che Matteo Bianchi abbia usato il nostro casco e anche Viviani che però al momento è senza squadra.

Avete già avuto dei riscontri?

Stiamo parlando come sempre dei famosi marginal gain, che in queste specialità sono essenziali. Per cui un casco come il Wingdream, che ha dimostrato così tanto guadagno o risparmio di watt, risulta essenziale. E poi siamo contenti che i ragazzi lo usino volentieri.

Ha parlato di settaggio: quanto c’è di personalizzabile su un casco come questo?

Sul suo interno, sulle imbottiture. La struttura infatti non deve essere toccata per motivi di sicurezza. Per cui una volta che il casco viene battezzato e certificato dall’UCI, la parte strutturale interna non deve essere toccata per meri motivi di sicurezza. L’unica parte su cui possiamo intervenire e di cui si occupa Ivan Parolin quando è alle gare con loro, è inserire degli inserti ad hoc, con materiale di diversi spessori. Si fa un lavoro personalizzato con l’atleta per capire quale spessore e quale materiale usare. Quando l’atleta indossa il casco, deve sentirlo fermo, comodo e capace di garantire sempre la sicurezza necessaria. Se un atleta è nel suo momento di comfort e quindi non ha disagio, riesce a performare al massimo.

Nel quartetto, intesa come specialità multipla, i corridori sono tenuti a utilizzare i caschi Wingdream
Nel quartetto, intesa come specialità multipla, i corridori sono tenuti a utilizzare i caschi Wingdream
E’ previsto anche un lavoro di sviluppo accanto alla Federazione?

Hanno già cominciato a darci dei consigli, su piccole modifiche che si potrebbero apportare per alcune discipline. Sono cose che facciamo regolarmente anche col Team Bahrain, che anzi ha uno staff proprio dedicato per questo. Durante l’anno c’è una sorta di lavoro a ciclo continuo. Riceviamo le loro informazioni e vengono passate sul prodotto, per sviluppare ad esempio l’altezza della visiera o la parte tecnica del rotore posteriore per il fissaggio. Ci sono mille particolari che vanno poi a incidere sullo sviluppo di un casco. Diciamo che il nuovo modello nasce già in modo abbastanza avanzato e poi viene calibrato sulle esigenze del team o, in questo caso, della Federazione.

La vostra sarà una fornitura standard?

La fornitura è già stata battezzata da oggi fino al 2028. E’ logico che in questo tipo di rapporto le quantità siano contrattualizzate, ma poi quelle reali sono sempre variabili e difficilmente minori di quelle che sono a contratto. Spesso sono di più, per dare diverse opportunità e possibilità di scelta. Se c’è una modifica da fare, si fanno delle prove e queste implicano un aumento della quantità da dover sviluppare e consegnare.

Se da qui al 2028 Rudy Project tira fuori un nuovo modello chiaramente lo propone anche alla Federazione?

Diciamo che il Team Bahrain ha una sorta di prelazione, perché il grosso del lavoro di sviluppo lo facciamo quasi sempre con la squadra. Il Wingdream nasce dal lavoro fatto con loro, ma la Federazione è comunque il primo soggetto che verrebbe interpellato e a cui verrebbe presentato un nuovo prodotto.

Viviani ha usato caschi Rudy Project, modello Wing, non avendo ancora una squadra
Viviani ha usato caschi Rudy Project, modello Wing, non avendo ancora una squadra
Il Wingdream è uno dei caschi che l’UCI voleva vietare?

Proprio lui. Quando produciamo un casco che poi viene dato a una squadra WorldTour, deve essere approvato dall’UCI. Noi non possiamo dare un casco a una squadra senza che l’UCI sappia o lo certifichi, allo stesso modo di quanto accade per le biciclette. Lo scorso anno il nostro casco, come il casco di Giro della Visma-Lease a Bike, ha avuto una grande risonanza. Non per la pericolosità, come qualcuno ha voluto dire, ma perché è un casco molto originale. Tutto quel parlare derivava soltanto da un fattore estetico. In questo momento non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione dall’UCI. Le squadre stanno usando i nostri caschi su strada e lo hanno usato anche in pista. Ai corridori non importa tanto della forma quanto del fatto che il casco ti permetta di essere veloce. Tutto il resto, avendo le autorizzazioni a posto, è solo fumo.

Lelangue ci guida nell’atmosfera dell’Opening Weekend

16.02.2025
5 min
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Mancano poco meno di due settimane all’inizio della stagione delle Classiche, la gara che darà il via a tutto sarà la Omloop Het Nieuwsblad che porterà il gruppo da Gent a Ninove. Un assaggio di pietre, il primo della stagione, al quale seguirà il giorno dopo la Kuurne-Brussel-Kuurne. Da quelle parti, dove il ciclismo è poco meno o poco più di una religione, il fine settimana dell’1 e 2 marzo prende il nome di opening weekend. John Lelangue, ora impegnato con il Tour de Pologne, ci racconta cosa vuol dire per i belgi vivere quel fine settimana all’insegna e del ciclismo e che aria si respira. 

«Per tutti gli appassionati di ciclismo belgi – racconta Lelangue – il fine settimana della Omloop Het Nieuwsblad e della Kuurne-Brussel-Kuurne apre la stagione. E’ vero che si è corso in Australia, in Spagna e negli Emirati Arabi, ma per un belga la stagione inizia sulle pietre delle Fiandre. L’attesa cresce e prende sempre più forma, man mano che passano i giorni. Sui quotidiani il ciclismo prende sempre più spazio, se ne parla in ogni posto e in tutte le trasmissioni radiofoniche e televisive». 

Sui giornali si parla già delle corse e dei protagonisti del Nord, qui Het Nieuwsblad il quotidiano belga
Sui giornali si parla già delle corse e dei protagonisti del Nord, qui Het Nieuwsblad il quotidiano belga

Arrivano i campioni

Nell’epoca moderna il ciclismo inizia a metà gennaio, dall’altra parte del mondo, con il Santos Tour Down Under. Ma per chi vive di questo sport contano i fatti e le tradizioni. Una vittoria nel deserto non vale quanto il primo confronto sul pavé. 

«Per i tifosi – continua Lelangue – è la prima volta che si possono vedere dal vivo i corridori e i protagonisti della stagione delle Classiche. E’ un momento speciale che vive di emozioni e di attesa. Per le squadre belga, come la Lotto DSTNY, la Soudal Quick-Step, la Alpecin-Deceuninck e l’Intermarché-Wanty queste due gare hanno un valore speciale. Sono fondamentali per vedere e testare il peso della rosa. Uscire dall’opening weekend senza un buon risultato equivale a una sconfitta».

La Omloop Het Nieuwsblad è il primo contatto del pubblico belga con i corridori
La Omloop Het Nieuwsblad è il primo contatto del pubblico belga con i corridori
Si inizia con la Omloop Het Nieuwsblad. 

Da anni questa gara apre il calendario belga, lo faceva trent’anni fa quando si chiamava Het Volk e non è cambiato nulla. Si tratta dell’esordio per i protagonisti del pavé. Il clima è subito agguerrito, e per fortuna che il giorno dopo si corre la Kuurne-Brussel-Kuurne perché l’atmosfera è infuocata. 

Per i tifosi quanto è importante?

Prima tantissimo. Ora con la televisione e le notizie si resta aggiornati anche delle gare di gennaio e febbraio. Però un vero appassionato belga non dà tanto peso a quei successi, per loro contano i risultati sul pavè. Se quella che dal Giro delle Fiandre alla Parigi-Roubaix è la settimana santa allora l’opening weekend è il Natale. Tutti i giorni si parla di ciclismo.

La presentazione delle squadre avviene nel velodromo Kuipke di Gand, una festa continua con palco, deejay e presentatore
La presentazione delle squadre avviene nel velodromo Kuipke di Gand, una festa continua con palco, deejay e presentatore
Da quanti giorni prima si entra nel clima giusto?

Dalla domenica prima della corsa. I siti e i giornali iniziano con approfondimenti e pagine dedicate con interviste a corridori e team manager. Non un articolo, ma tre, quattro o cinque pagine. 

E finalmente si corre…

La presentazione delle squadre per la Omloop Het Nieuwsblad è nel velodromo Kuipke di Gand ed è una festa immensa. Ci sono un deejay, il presentatore e tantissimo intrattenimento. I corridori entrano, fanno un giro, salgono sul palco e firmano. Da quel momento inizia la stagione delle Classiche. E’ la prima volta che il pubblico è a contatto con i corridori. 

Poi si passa all’azione. 

Intanto le strade si riempiono di gente, che sarà sempre sui percorsi da lì fino alla Roubaix. Anche nelle gare in settimana il pubblico non manca mai. In Belgio l’appassionato di ciclismo preferisce stare in strada, ma non tutti possono, così le gare si guardano anche in TV. Non potete immaginare l’audience che raggiungono le corse durante l’opening weekend

Il pubblico accorre numeroso alla prima gara sulle pietre e sarà presente fino al Giro delle Fiandre
Il pubblico accorre numeroso alla prima gara sulle pietre e sarà presente fino al Giro delle Fiandre
Quanto è importante per un corridore esserci?

Molti atleti spingono per essere al via delle gare (uno di questi è Wout Van Aert che negli ultimi anni ha sempre corso alla Omloop Nieuwsblad, ndr). Non sempre i programmi coincidono, ma è fondamentale per i leader vedere e capire come si muove la squadra

Cosa vuol dire avere tutta quell’attenzione addosso?

Che se non arriva un buon piazzamento tra Omloop Het Nieuwsblad e Kuurne-Brussel-Kuurne i giornali e i tifosi ne parleranno nei giorni successivi. E se va bene la pressione sale ancora, così come le aspettative. Pensate che se in una delle due gare va via una fuga numerosa senza che ci siano corridori dei top team belga per i tifosi è una cosa negativa. Infondo sono corse paragonabili alle prime gare a tappe di rilievo per gli scalatori. Se uno di loro va alla Parigi-Nizza o alla Tirreno-Adriatico e fa male tutti lo notano. 

La curiosità maggiore è intorno ai tratti in pavé, come ci arriveranno gli atleti?
La curiosità maggiore è intorno ai tratti in pavé, come ci arriveranno gli atleti?
Per i belgi la curiosità aumenta perché poi si corre sempre su quelle strade, fino al Fiandre. 

La vera attenzione è posta su come un corridore affronta il pavé. Magari perde in volata ma se sui tratti con le pietre si mette in mostra, attacca e va forte allora i tifosi e gli addetti ai lavori lo notano. Sui quei settori si passa dieci o dodici volte nell’arco di due mesi, capire come vengono affrontati è un primo riscontro. 

L’altro grande appuntamento qual è?

Pochi giorni dopo c’è Le Samyn, ma non ha una grande rilevanza. Si passa direttamente alla Milano-Sanremo e alle Classiche.

Bilancio del ciclocross. Pontoni mette i numeri sul tavolo

16.02.2025
5 min
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Il 22 febbraio ci sarà il Consiglio federale e anche Daniele Pontoni è sulla graticola. E’ confermato fino a ottobre, ma c’è da programmare un intero quadriennio e il discorso è ben diverso. Il tecnico friulano giunge all’appuntamento mettendo sul tavolo quanto fatto dall’inizio del suo mandato, in particolare nel ciclocross e i risultati sono sotto gli occhi di tutti, con un progresso e un prestigio acquisito che sono frutto di grande lavoro.

Sono i numeri a parlare a favore dell’ex iridato: «Tra ciclocross e gravel abbiamo conquistato ben 21 medaglie, tra le quali metto anche con particolare soddisfazione la Coppa del mondo vinta da Viezzi. Negli ultimi due anni abbiamo vinto due titoli nella stessa categoria e questo non capita spesso, soprattutto fra gli juniores, significa che abbiamo investito bene e che il lavoro a livello giovanile ha funzionato, ma non siamo assolutamente arrivati, c’è ancora tanto da fare».

Stefano Viezzi, friulano come il cittì: con lui e Agostinacchio il futuro è assicurato
Stefano Viezzi, friulano come il cittì: con lui e Agostinacchio il futuro è assicurato
La curiosità è che in entrambi i casi non c’è stata la possibilità di difendere il titolo, visto che sia Viezzi che prossimamente Agostinacchio cambieranno di categoria…

E’ vero, ma significa, guardando la cosa da una prospettiva diversa, che l’anno prossimo avremo due campioni a competere fra gli under 23 e penso che sarà una grande opportunità, avremo di che divertirci… Ma io andrei anche oltre perché non abbiamo solo Stefano e Mattia. Credo che la forza vera del movimento è che abbiamo un folto gruppo di corridori di vertice, basti pensare che quest’anno fra juniores e Under 23 siamo andati a medaglia con 5-6 corridori diversi e questa è una novità. Ma io sono convinto che andando avanti questo numero si allargherà ancora.

Una delle caratteristiche di questi anni è stata l’aver voluto coinvolgere sempre più anche gli allievi. Si è sempre detto che a quell’età il ciclismo deve mantenere un preponderante aspetto ludico, ma nel ciclismo attuale così precoce sembra un discorso ormai sorpassato, tu che cosa ne pensi lavorando con loro?

E’ un tema delicato. Io credo che sia così, che ormai gli allievi siano già sotto i riflettori di procuratori e tecnici e la cosa un po’ mi spiace. Secondo me l’aspetto ludico deve continuare a pervadere l’attività non solo alla loro età ma anche dopo e soprattutto bisogna lasciare i corridori liberi di esprimersi. Faccio un esempio: quel che ha fatto Agostinacchio non solo nelle gare titolate, ma soprattutto a Zonhoven non lo insegni in allenamento. Lì c’è molto di lui, della sua fantasia, del suo modo di essere e questa libertà deve sempre rimanere.

Persico a Fayetteville, abbracciata da Pontoni dopo il bronzo iridato 2022
Persico a Fayetteville, abbracciata da Pontoni dopo il bronzo iridato 2022
E’ d’altronde fondamentale per allargare la base, continuerai su questa strada?

Se verrò confermato sicuramente, ma io vorrei segnalare che il discorso non riguarda solo noi. Guardate il ranking Uci, tra i nostri, i francesi, lo spagnolo giunto 4° ai mondiali, si vede chiaramente come gli juniores di 1° anno siano subito pronti, molto più di quanto avveniva solo pochi anni fa e noi dobbiamo essere al passo. Ormai i ragazzi non sanno più che cosa sia il timore reverenziale…

Secondo te quanto ci vorrà per trasfondere questa forza d’insieme anche fra gli elite dove ancora siamo lontani da Olanda e Belgio?

Io dico che la distanza è molto minore e si ridurrà sempre meno con atleti come Viezzi, Casasola (io penso farà lo stesso Agostinacchio) che corrono in team esteri abbinando le due discipline. Prima era un tabù, ho visto io stesso tanti talenti lasciare il ciclocross dove avrebbero potuto ottenere tanto: Persico, Toneatti, Paletti, Venturelli e potrei andare avanti a lungo. Finalmente le cose stanno cambiando e questo anche perché finalmente procuratori e tecnici iniziano a sentire le volontà dei corridori.

L’esempio di Sara Casasola, espatriata per correre in un grande team, sarà sempre più imitato
L’esempio di Sara Casasola, espatriata per correre in un grande team, sarà sempre più imitato
Secondo te l’eventuale ingresso nel programma olimpico avrà effetto?

Enorme. Io penso che cambierà completamente la cultura ciclistica anche da noi perché il discorso a cinque cerchi darà un’impronta diversa a tutta la disciplina e saranno sempre di più quelli che vorranno competere ma soprattutto squadre e sponsor che cercheranno quella vetrina. Noi dobbiamo farci trovare pronti.

E per il gravel?

Lì la situazione è più nebulosa perché la specialità deve trovare ancora la sua conformazione. Io aspetto il 22 per metterci mano, ho presentato un piano e vedremo se verrà accettato. E’ chiaro che per ora ci si muove parallelamente alla strada, con molti corridori che dedicano al gravel gli scampoli di tempo e quindi possono agire soprattutto a fine stagione, quando ci sono le gare titolate. Ma una sua conformazione tecnica, fatta di specialisti, la disciplina deve ancora trovarla.

Il gravel si sta evolvendo solo ora, ma secondo Pontoni deve ancora trovare una sua strada
Il gravel si sta evolvendo solo ora, ma secondo Pontoni deve ancora trovare una sua strada
Sinceramente, ti saresti aspettato di arrivare a fine contratto con un bilancio simile?

Scherzi? Se me lo avessero detto avrei messo 1.000 firme… Ma da solo avrei fatto ben poco, con me c’è uno staff che è andato di pari passo, è cresciuto insieme a me e ai ragazzi. Pochi sanno che le gare sono quasi un riposo per noi, è durante le settimane, durante i ritiri e gli allenamenti che si fa il grosso del lavoro ed è il più impegnativo. Ora bisogna tenere la ruota oliata, continuare a investire, avere a disposizione budget adeguati com’è stato in questi anni perché di soddisfazioni possiamo prendercene ancora tante e anche di più.

Con Kreuziger nel regno di Buitrago: dove potrà arrivare?

16.02.2025
5 min
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Santiago Buitrago ha iniziato la stagione nel migliore dei modi, anzi nel modo “giustissimo”: due vittorie di tappa e la classifica generale della Volta a la Comunitat Valenciana. Un inizio che pone l’atleta della Bahrain-Victorious sotto i riflettori e alimenta le aspettative. A 26 anni, il colombiano si avvicina al momento della maturità psicofisica: potrebbe essere lui a guidare la schiera degli outsider dietro ai super fenomeni Pogacar, Evenepoel e Vingegaard?

Per capirlo meglio, ne abbiamo parlato con Roman Kreuziger, direttore sportivo della Bahrain-Victorious, che segue Buitrago da quattro anni ed era con lui in ammiraglia durante la corsa spagnola. Margini di crescita, programmi, lavoro… Ecco cosa ci ha detto il tecnico dalla sua Repubblica Ceca in una mattina mentre fuori da casa sua c’erano 6 gradi sotto zero e nevicava. Il momento giusto per rallentare un po’ e riordinare i pensieri.

Buitrago (classe 1999) quest’inverno è rimasto a lungo in Colombia e poi è volato quasi subito sul Teide (foto @bahrainvictorious)
Buitrago (classe 1999) quest’inverno è rimasto a lungo in Colombia e poi è volato quasi subito sul Teide (foto @bahrainvictorious)
Roman, vi aspettavate un Buitrago così competitivo già alla prima corsa?

Sì, perché gli abbiamo lasciato un po’ di libertà a dicembre: non è venuto in ritiro con noi, è rimasto in Colombia nel suo ambiente. A gennaio è stato con la squadra solo per una settimana prima di salire subito su Teide. Santiago è cresciuto molto negli ultimi anni, ha preso responsabilità, anche se da fuori non sembra un leader, ormai lo è. Ora non ha più timore di chiedere le cose e questo è un segnale importante.

Ma poi servono anche le gambe e lui le aveva…

Seguivo i suoi allenamenti e vedevo che era pronto: faceva numeri importanti per essere la prima parte di stagione. Alla Valenciana, inoltre, c’era un contesto stimolante: si è trovato a correre con il nuovo arrivato Lenny Martinez e con un veterano come Pello Bilbao. Quando tre corridori del genere mettono il numero sulla schiena, vogliono sempre fare bene.

Possiamo immaginare…

La corsa è stata anche un test per noi, per capire come avrebbero comunicato e funzionato insieme. Penso che meglio di così non potesse andare. Lenny Martinez magari è rimasto un po’ deluso dal non essere salito sul podio, ma questa competizione interna fa bene. E dà stimolo anche ad Antonio Tiberi, che si unirà al gruppo all’Algarve.

Alla Valenciana per Buitrago due vittorie di tappa e la generale, davanti ad atleti top quali Almeida
Alla Valenciana per Buitrago due vittorie di tappa e la generale, davanti ad atleti top quali Almeida
In cosa vedi che Buitrago è cresciuto rispetto agli anni scorsi?

Fisicamente sta continuando a migliorare, ma il suo vero vantaggio è che non essendo stato un leader da giovane, sta crescendo piano piano, imparando anno dopo anno. La sua fiducia nelle proprie capacità aumenta costantemente e anche come persona sta maturando. Prima era più timido, ora invece, quando si sente bene, non esita a chiamare i compagni alla radio, a tenerseli più vicini durante la corsa. Anche nei meeting pre-gara chiede più cose. Questo è fondamentale, perché un leader deve motivare tutto il gruppo attorno a sé.

Anche quest’anno Buitrago farà il Tour invece del Giro. Come affronta questa sfida? E cosa possiamo attenderci?

Già lo scorso anno ha fatto un primo assaggio del Tour, correndo Parigi-Nizza e poi il Delfinato prima di prendere il via alla Grande Boucle. Ha chiuso il Tour nella top 10, un risultato eccellente per la sua prima esperienza. Quest’anno ripeteremo un programma simile proprio per vedere dove è arrivato, però senza mettergli pressione. I corridori se la mettono già da soli. Lui ha capito che il Tour è una corsa stressante, ma gli piace e voleva tornarci. Questo è un segnale positivo.

E dove può arrivare? Il gap con Pogacar e Vingegaard è colmabile?

Di certo gli avversari non dormono, quindi sarà importante valutare il livello generale nelle prossime gare. La prima vera verifica sarà alla Parigi-Nizza e questa dirà moltissimo su dove siamo e sul resto della stagione. Poi affronterà le Ardenne e il Delfinato. Per ora pensiamo passo dopo passo. Il Tour è una corsa particolare: non è solo una gara a tappe, sono 21 storie diverse, ogni giorno è una sfida a sé. La chiave sarà mantenere la concentrazione e fidarsi dei compagni. Sono sicuro che con lui saremo in lotta per fare belle cose.

Santiago sempre più leader del team. Anche in virtù dei suoi risultati la squadra crede in lui
Santiago sempre più leader del team. Anche in virtù dei suoi risultati la squadra crede in lui
State lavorando anche sulla cronometro?

Santi a cronometro si difende bene. Il Tour di quest’anno ha una crono piatta, non è corta ma neanche lunghissima, e arriva abbastanza presto, quindi non penso che sarà un problema così grande per lui. La seconda crono, invece, potrebbe essere a suo favore perché è una cronoscalata. Sarà complicata, inserita in un blocco con le tappe dei Pirenei, quindi molto dipenderà da chi avrà più energie in quel momento. In ogni caso, sulla crono non sono preoccupato. Certo, non è Tiberi, che può lottare per il podio in una prova contro il tempo, ma tra gli scalatori del Tour può sicuramente essere della partita.

Torniamo un po’ alla domanda precedente: Buitrago è pronto a guidare la schiera degli outsider?

Sì, ma il Tour è una corsa speciale. Non basta dire che è una corsa a tappe: è una sfida continua, tutti i giorni. E non si tratta neanche di una sfida da soli. Santiago, come dicevo, ha iniziato a fidarsi dei compagni e penso che avremo una bella squadra per supportarlo e metterlo nelle giuste condizioni. La Valenciana è stata un primo step fondamentale per la sua fiducia.

A proposito di squadra, con chi ha legato di più?

Molto con Zambanaini, anche alla Valenciana ha diviso la camera con lui, ma Edoardo ama correre in Italia, quindi per la Francia non sarà inserito. Un riferimento importante per Santiago è Jack Haig, atleta che ha già fatto podio alla Vuelta e sa lavorare bene per la squadra. Già lo scorso anno al Tour Santi si è fidato molto di lui, che gli ha salvato diverse giornate difficili. Ma per quest’anno il resto della squadra ha già capito il valore di Santiago e penso che tutti saranno più convinti nel lavorare attorno a lui.

Selva, il Covid, il grosso rischio e il pericolo scampato

15.02.2025
7 min
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Avevamo lasciato Francesca Selva alla fine di dicembre nei panni di coach per il compagno Oscar Winkler e dopo l’idoneità agonistica ricevuta dopo un allarme fisico. In realtà poi, era stata lei su Instagram a raccontare in maniera più approfondita la natura del problema, parlando di una miocardite da Covid. Uno dei mali tipici del nostro tempo che si è portato via ben più di un corridore e ha costretto altri a chiudere la carriera.

Francesca l’ha vista brutta e deve la vita all’intervento del suo cardiologo. Questo l’ha prevedibilmente spaventata. Si è presa un lungo periodo di stop. E adesso che ha ricominciato ad allenarsi, chiederle di parlarne è il modo per esorcizzare quel che è accaduto e far riflettere chi potrebbe trovarsi o essersi trovato inconsapevolmente nella stessa situazione. Il punto di partenza è il Covid, asintomatico e sottovalutato.

Francesca Selva, veneziana di 25 anni, al momento di trova a Noto per allenarsi su strada e in pista. Ha iniziato a frequentare la pista siciliana dal 2018 e vi è di casa. Al punto che essendo occupata la casa in cui era solita fare i soliti ritiri invernali, ha scelto di alloggiare nella foresteria del velodromo Paolo Pilone. Nel momento in cui l’Italia è sotto un rigurgito d’inverno, il sole e gli oltre 20 gradi di Sicilia sono un bel modo per farsi venire la voglia di pedalare.

Francesca Selva ha 25 anni e svolge la preparazione invernale in Sicilia sin dal 2018
Francesca Selva ha 25 anni e svolge la preparazione invernale in Sicilia sin dal 2018
Racconta, Francesca: che cosa ti è capitato?

Ho sempre sofferto di aritmie quindi sapevo già cosa volesse dire averne una, perché quelle più forti riesci a percepirle. E’ successo però che a inizio ottobre ho preso il Covid, ma senza saperlo. L’ho capito dopo tutta questa storia, perché ho riconosciuto i sintomi. Quei 2-3 giorni di febbre poco sopra i 37 gradi. Non gli avevo dato peso perché un paio di giorni prima avevo fatto per due volte cinque ore sotto la pioggia, quindi pensavo di aver preso freddo. Classico dell’autunno, no?

Invece cosa stava succedendo?

Il giorno in cui mi sono svegliata con quella poca febbre, avevo da fare ancora cinque ore, con dei lavori neanche particolari in zona 3, un po’ più del medio. Ho provato a farne uno in salita e mi sono fermata dopo una trentina di secondi perché non riuscivo a respirare. Sono andata in affanno, però era umido, pioveva e mi sono detta che potesse dipendere da quello. Era il terzo o quarto giorno di carico, quindi ho continuato.

E hai fatto le cinque ore?

Più di cinque ore, da sola. Un bell’allenamento, solo che non riuscivo a fare i lavori perché se spingevo, andavo in affanno. Come se uno mi stesse tenendo la gola e mi impedisse di respirare. Non gli ho dato peso, ma il giorno dopo mi è venuta ancora la febbre e ho ricollegato quella difficoltà al fatto che stessi incubando l’influenza. Mancava una decina di giorni ai mondiali in pista. Sono andata in Danimarca, poi mi sono spostata a Londra per correre la Tre Giorni e lì davvero mi sono accorta che qualcosa non andava. Nella normalità stavo bene, però appena abbiamo iniziato a correre la prima madison, non riuscivo neanche a tenere le ruote di quelle che si staccavano. Ero completamente in affanno, una sensazione stranissima.

Selva ha concluso la stagione invernale alla Sei Girni di Brema insieme a Veronika Bartonikova (foto Instagram/Frontalvision)
Selva ha concluso la stagione invernale alla Sei Girni di Brema insieme a Veronika Bartonikova (foto Instagram/Frontalvision)
Poteva dipendere da una condizione non buona?

Il livello non era astronomico, c’erano la Guazzini e la Consonni, però a ruota ci potevo stare senza problemi. Invece faticavo e non capivo perché. La cosa strana è che le altre scendevano di bici con 160-170 battiti medi e io invece ne avevo 190, con picchi di 210 che non ho mai avuto in vita mia. Finché una settimana dopo, mentre mi allenavo su strada in un tratto di discesa, mi è sembrato di sentire un’aritmia. Ho guardato per vedere i valori e il cardio segnava zero, come se si fosse scollegato. Poi, appena si è ricollegato, segnava 195 battiti, nonostante non stessi neppure pedalando.

Sei andata da un medico?

No, ho continuato a correre, anche perché la stagione invernale è quella degli ingaggi migliori. Ho pensato che il mio corpo avesse bisogno di riposo. Non avendo pensato che quella febbre potesse essere Covid, ma fosse solo un’influenza: non dicono tutti questo? Così sono andata a correre a Copenhagen. Andavo meglio che a Londra, però ugualmente non recuperavo, tanto da chiedere alla mia compagna di fare i doppi turni nella madison. E alla fine, era novembre, sono andata dal mio cardiologo, che si chiama Marco Moretti, per fare la visita di idoneità, che in ogni caso mi sarebbe scaduta a gennaio.

Dicevi di avere familiarità con le aritmie?

Esattamente. Infatti da quando mi segue lui, tutti gli anni facciamo l’holter, l’ecografia e tutto quello che serve. E per fortuna questa volta, nella fase di recupero dopo la prova da sforzo, mi sono venute in serie delle extrasistole doppie e triple. Lui si è allarmato e io con lui, anche se da un lato mi sono sentita sollevata perché voleva dire che c’era un problema e non che fossi diventata di colpo la più scarsa di tutte. Però il sollievo è durato poco…

In questi giorni siciliani, con Francesca c’è il compagno Oscar che a breve volerà in Turchia per la Nations Cup
In questi giorni siciliani, con Francesca c’è il compagno Oscar che a breve volerà in Turchia per la Nations Cup
Che cosa ti ha detto il medico?

Mi ha spiegato che una cosa simile era già successa ad altri atleti, ciclisti e calciatori, che non hanno fatto una bellissima fine. Ho rischiato e non so cosa sarebbe successo se avessi continuato, ma sono contenta di non saperlo. Secondo lui si è trattato della classica miocardite da post-covid e la conferma l’abbiamo avuta ricostruendo i vari passaggi di quella febbre che ho sottovalutato, allenandomi e poi andando a correre. Io mi sono fermata, altri sono stati spinti a correre dalle loro squadre e hanno chiuso la carriera. Per fortuna, il cardiologo mi ha detto che il modo più sicuro di guarire fosse riposare e da lì mi sono fermata.

Riposo assoluto?

Ho continuato solo con un po’ di palestra, perché nella mia testa c’era l’idea di fare le Sei Giorni, ma c’è voluto un mese di stop per riavere l’idoneità. Poi per fortuna qualche gara l’ho fatta, ma dicendo sempre con grande sincerità alle mie compagne, che il mio livello non sarebbe stato quello di prima. Fra l’altro ho dovuto lasciare libera Amalie Winther Olsen, la mia compagna di sempre, che quest’inverno ha chiuso la carriera e mi sarebbe piaciuto scortarla. Ci tenevo tanto, ma non sarei stata in grado.

Come si fa a ripartire e scacciare la paura?

Cerco di stare con i battiti bassi, perché non ha senso stressare il cuore. Appena mi alzo sui pedali per fare un cavalcavia, la fatica è tanta, perché dopo un mese ferma a livello aerobico sono praticamente a zero. Adesso mi sto riabituando, però nelle prime uscite sentivo che il battito era pesante e mi chiedevo se fosse così anche prima. Ho passato un mese di transizione, in cui cercavo di non stancarmi neppure a salire le scale. Un po’ di paranoia, comunque di paura. L’ansia di riposare, di stare ferma, di non fare niente perché non volevo assolutamente che succedesse qualcosa di irreparabile.

Nel 2023, Francesca Selva ha preso parte alla Champions League, anche quella volta con qualche problema di salute (foto SWpix.com)
Nel 2023, Selva ha preso parte alla Champions League, anche quella volta con qualche problema di salute (foto SWpix.com)
Hai mai pensato di mollare il ciclismo?

Diciamo di no. All’inizio ero arrabbiata. Pensavo: “Sono un’atleta e ho rischiato di fare un infarto, dovrei essere l’esempio di persona che fa la vita attiva, mangia bene e si allena e invece stava per succedere anche a me”. Quando ho parlato col dottore, fra le ipotesi che mi sono vista davanti c’era anche che non avrei potuto fare più alcuno sport. Per me sarebbe stato ancora più pesante, perché fin da bambina non sono mai stata ferma. Per questo ho accettato di fermarmi. Ho fatto un mese completo di stop per fare un reset del corpo, sperando che questo poi mi permetta anche di migliorare il mio livello. E così riparto dalla Sicilia, pensando a cosa sarebbe potuto accadere se non fossi andata dal medico e avessi insistito a correre pensando di aver avuto soltanto un’influenza. Insomma, l’ho davvero scampata bella…

Abbiamo perso il conto degli atleti e degli ex atleti che sono morti inspiegabilmente per problemi cardiaci. Alcuni, come Sonny Colbrelli, sono arrivati a un passo dal farlo. Altri, come Francesca Selva, sono stati fermati prima che il problema divenisse irreparabile. Con la solita superficialità adesso qualcuno dirà di smetterla con la favoletta del Covid, pensiamo che invece sia acclarata la necessità di approfondire le visite di idoneità. Perché la superficialità con cui si può spiegare qualche linea di febbre negando l’esistenza del virus potrebbe portare diritti al campo santo.

L’oro di Bianchi, stavolta vissuto da campione consumato

15.02.2025
5 min
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Come un anno fa. Gli europei di Zolder, che tante positive indicazioni in chiave italiana hanno dato agli albori del nuovo quadriennio olimpico, hanno riproposto all’attenzione generale il nome di Matteo Bianchi, assoluto dominatore della gara del chilometro da fermo. E’ vero, non è gara olimpica (non ancora?) ma la sua vittoria, soprattutto per com’è venuta, per la superiorità dimostrata nei confronti di tutti gli avversari è il miglior segnale che si potesse avere.

Il giorno dopo Bianchi è già in viaggio verso casa e la cosa che emerge subito è la sua estrema tranquillità, ben diversa da quella della sua prima vittoria continentale ad Apeldoorn: «Dopo aver visto la startlist sapevo di avere buone possibilità, poi è chiaro che la gara è un’altra cosa, per vincere tutti i tasselli devono andare al posto giusto. Questa volta però ho gestito la gara in maniera diversa: nella qualificazione, pur essendo l’unico a scendere sotto il minuto ho cercato di gestirmi, di non dare tutto pensando alla finale».

La partenza di Bianchi nel chilometro. L’azzurro ha dominato la gara sin dalle qualificazioni
La partenza di Bianchi nel chilometro. L’azzurro ha dominato la gara sin dalle qualificazioni
Significa che hai una maggiore consapevolezza delle tue qualità…

Sì, comincio a conoscermi meglio, ma anche se può sembrare freddezza la mia, le emozioni le sento profondamente e vincere un evento del genere ne dà tante, ci vuole tempo per assimilarle.

Rispetto agli avversari, riferendosi al comparto generale della velocità, hai la sensazione che le cose stiano cambiando?

La distanza dai grandi dello sprint si va riducendo, lavorando giorno per giorno ci stiamo avvicinando e risultati come il mio sono il carburante giusto per continuare su questa strada. Siamo sempre più competitivi, si è visto nel torneo della velocità a squadre ma anche nella prova di Predomo in quella individuale, dove solo i maestri olandesi ci hanno fermato.

Per il bolzanino è la seconda medaglia d’oro nel chilometro da fermo, dopo Apeldoorn 2024
Per il bolzanino è la seconda medaglia d’oro nel chilometro da fermo, dopo Apeldoorn 2024
Parli sempre al plurale…

Siamo un gruppo molto affiatato, i risultati dell’uno sono i risultati di tutti. Stiamo sempre insieme e questo favorisce lo sviluppo delle dinamiche di squadra. Noi dobbiamo migliorare insieme per poter avere delle reali chance, questo è chiaro a tutti.

Poi c’è sempre il fattore età dalla vostra parte…

Sì, sappiamo di essere i più giovani e di avere maggiori margini rispetto ad altre realtà che sono sulla breccia da più tempo. Questo ci dà fiducia perché sappiamo che dobbiamo esprimere ancora il nostro maggior potenziale. Poi si vedrà, nelle nostre discipline concorrono tanti fattori, soprattutto è importante che insieme a noi, insieme alla nostra crescita fisica e tecnica vadano avanti anche la ricerca sui mezzi e sui materiali, perché le prestazioni scaturiscono da un insieme di componenti.

Il gruppo è l’arma in più del settore, ogni risultato è vissuto come frutto comune
Il gruppo è l’arma in più del settore, ogni risultato è vissuto come frutto comune
Tu sei tra i maggiori specialisti di una specialità gloriosa come il chilometro che però attualmente non fa parte del programma olimpico: questo non è un rammarico?

Dipende da quello che uno vuole, io voglio investire fortemente sul team sprint perché è la specialità che può permetterci di andare ai Giochi Olimpici. E’ uno sforzo molto simile a quello del chilometro, soprattutto per me che sono chiamato alla chiusura, quel giro finale racchiude molte delle prerogative del chilometro da fermo, il fatto di poter dare un importante contributo è un grande stimolo per me.

Il vostro team ha una formazione ormai stabile?

Abbastanza, anche a Zolder abbiamo avuto Minuta al lancio che è fra noi quello più esplosivo, poi Predomo per il secondo giro e io in chiusura. Ma abbiamo anche altre opzioni, come l’impiego di Napolitano al posto di Minuta oppure lo stesso Napolitano al lancio e Minuta al secondo giro. Avere varie possibilità è un vantaggio, anche io sono sempre disponibile a cambiare se serve.

Predomo insieme a Lavreysen. La sfida quest’anno ha visto l’azzurro più vicino al campione del mondo
Predomo insieme a Lavreysen. La sfida quest’anno ha visto l’azzurro più vicino al campione del mondo
Un dato che ha colpito è il fatto che da Zolder, dove pure si diceva che la pista fosse velocissima, non sono arrivati record, anche voi siete rimasti sopra il primato italiano pur entrando a vele spiegate fra i primi 8, cosa mai scontata…

In questo incide molto il tipo di pista, ma anche le condizioni climatiche: la temperatura, la pressione. L’impianto ci è sembrato veloce, in fin dei conti siamo rimasti intorno a un decimo di secondo dal record, quindi la prestazione è stata all’altezza e anche nel chilometro i tempi sono stati buoni.

Ora che cosa ti attende?

E’ una stagione abbastanza strana, ma lo sarà anche la prossima. Ci prepareremo per la prova di Nations Cup in Turchia ad aprile, l’unica di questa stagione, poi durante l’estate si procederà fra allenamenti e gare nazionali, con qualche puntata all’estero per le prove S1, il tutto pensando ai mondiali di ottobre.

Bianchi insieme a Quaranta, che a Zolder ha presentato un gruppo in evidente evoluzione
Bianchi insieme a Quaranta, che a Zolder ha presentato un gruppo in evidente evoluzione
Non si rischia la monotonia?

La nostra è una disciplina che si fonda sull’allenamento, sia in pista che in palestra, se il calendario è scarno non possiamo che prenderne atto. Noi d’altronde abbiamo Quaranta che è uno straordinario motivatore, è una parte importantissima di tutto il nostro progetto, ci dà i riferimenti, organizza gli allenamenti proprio per darci continuamente stimoli. Mi chiedono spesso se inseriamo anche prove su strada, ma nel nostro caso non avrebbero senso. Su strada andiamo, per fare allenamenti sul fondo e la resistenza, ma basta quello.

Tutti dicono che a Los Angeles la velocità italiana sarà chiamata a fare il salto di qualità, anche verso le medaglie. Questo non vi dà pressione?

No, non ci vogliamo pensare, almeno in questo biennio dove le Olimpiadi sono lontane, non si parla ancora di qualificazioni. Siamo concentrati sul lavoro, su responsabilità che sono positive, tanto è vero che gli europei sono stati solo una tappa, anche se a me ha portato molta fortuna…

Scappini e un inverno di cambiamenti tra cross e strada

15.02.2025
5 min
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Samuele Scappini non ha nemmeno avuto il tempo di appoggiare la bici da ciclocross e metabolizzare quanto fatto nella stagione appena conclusa che già si trova a pedalare su strada in vista della Firenze-Empoli di sabato 22 febbraio. L’ultima corsa sul fango per l’umbro è stato il campionato del mondo under 23 il primo febbraio. Un finale meno dolce rispetto ai risultati ottenuti durante la stagione invernale, che lo ha visto cambiare a correre con la maglia del Team Cingolani

«Ho fatto un riposo breve – racconta appena rientrato dall’allenamento su strada, siamo a metà pomeriggio – di quattro giorni. Mi sono dedicato al recupero, anche se ho fatto qualche uscita in bici ma solo per divertimento. Nessuna vacanza, quest’anno con il mio preparatore abbiamo deciso di fare così. Vista la condizione con cui arrivavo al mondiale, che era abbastanza buona, ci siamo detti di provare a prendere parte a questa prima gara su strada».

Samuele Scappini per la stagione 2024/2025 di ciclocross si è unito al Team Cingolani (foto Instagram)
Samuele Scappini per la stagione 2024/2025 di ciclocross si è unito al Team Cingolani (foto Instagram)

Qualche cambiamento

Per il giovane cresciuto sulle strade della sua Umbria la stagione di ciclocross 2024/2025 ha portato qualche novità. Abbandonato il team Beltrami TSA-Tre Colli si è unito alla Cingolani per il fuoristrada, mentre su strada vestirà la maglia della Work Service (che nel frattempo ha cambiato nome diventando Sam-Vitalcare-Dynatek). 

«Per quanto riguarda il ciclocross – analizza con noi Scappini – ho cambiato preparatore, ora lavoro con Matteo Belli, che mi seguirà anche su strada. Insieme abbiamo deciso di partire a correre sul fango fin da subito per sfruttare la condizione favorevole. Infatti al primo appuntamento di Corridonia sono riuscito a vincere. Ci siamo concentrati maggiormente su lavori di forza esplosiva, poi abbiamo deciso settimana per settimana come procedere».

Il confronto con atleti elite gli ha permesso di crescere parecchio e di alzare il suo standard (foto Lele Momoli)
Il confronto con atleti elite gli ha permesso di crescere parecchio e di alzare il suo standard (foto Lele Momoli)
Quest’anno nel ciclocross hai ritrovato un “vecchio” rivale: Stefano Viezzi…

Ci avevo corso contro già da junior. Quest’anno al campionato italiano abbiamo avuto un bel testa a testa e ho avuto modo di vedere che è cresciuto parecchio. Posso dire che va davvero forte, lo si è visto anche al mondiale dove è arrivato quarto al suo primo anno nella categoria. 

Come lo ha ritrovato?

Con una mentalità diversa. Ricordo che quando eravamo juniores riuscivo a batterlo perché giocavo di più sulla tecnica, visto che allenavo molto quell’aspetto. Lui nel 2024 è migliorato parecchio sulla distanza e nei rettilinei. Ha un fisico importante che gli permette di avere tanta forza. 

Nelle gare nazionali ha sempre ben figurato, dando filo da torcere a tutti e ottenendo belle vittorie (foto Instagram)
Nelle gare nazionali ha sempre ben figurato, dando filo da torcere a tutti e ottenendo belle vittorie (foto Instagram)
E’ uno di quelli con i quali ti piace confrontarti maggiormente?

In realtà preferisco scontrarmi con gli elite, come ad esempio Gioele Bertolini. A Torino c’è stato un bel duello e ha fatto fatica a staccarmi, solo una foratura nel finale mi ha allontanato da lui. Le gare fatte insieme agli elite mi hanno detto che vado forte, prendo questa cosa come un premio al mio lavoro e al preparatore. 

In cosa sei migliorato tanto, anche grazie a Matteo Belli?

Nei lavori in bici ma anche nell’alimentazione, sia prima che durante la gara. 

Scappini ha vestito la maglia della nazionale agli europei under 23 a Pontevedra, arrivando 11°
Scappini ha vestito la maglia della nazionale agli europei under 23 a Pontevedra, arrivando 11°
Com’è scontrarsi ogni domenica con atleti che poi saranno tuoi compagni di squadra in nazionale?

Da loro nel confronto imparo molto. Bertolini al mondiale di Levin ci ha mostrato bene come affrontare le curve e le canaline, in modo da viaggiare nella maniera più pulita possibile. Per il resto quando metto il numero sulla schiena non ho amici, una volta sceso dalla bici l’atteggiamento cambia, riesco a dividere molto questi due momenti. 

E’ un confronto che ti fa alzare l’asticella?

In allenamento penso alle sfide, correre contro di loro diventa un mio obiettivo migliorare per essere competitivo. Così, quando in gara mi ritrovo lì a battagliare, so di aver fatto tutto bene e che qualcosa in me c’è. 

La stagione dell’umbro classe 2005 si è conclusa con il mondiale di Levin, pochi giorni dopo era già in sella alla bici da strada
La stagione dell’umbro classe 2005 si è conclusa con il mondiale di Levin, pochi giorni dopo era già in sella alla bici da strada
E’ stato facile fare subito lo switch tra cross e strada?

Bisogna riuscire a cambiare mentalità perché si passa da allenamenti di una o due ore a uscite da quattro o anche cinque. Si deve curare maggiormente la distanza abbassando l’intensità, sto comunque continuando a tenere i lavori di forza ed esplosività. Cosa che faccio anche in palestra. Sono un corridore dallo spunto veloce, uno sprinter. Qualità nella quale il ciclocross mi dà una mano.

Che obiettivi hai per questa stagione su strada?

Correre con i professionisti e farmi vedere, mostrare che sono migliorato. Se penso a una disciplina sulla quale emergere dico senza dubbio la strada. Il ciclocross è un divertimento che mi dà tanto durante l’inverno, sia per la preparazione sia per la tecnica di guida. Voglio che continui a far parte del mio essere ciclista.