I dischi Carbon-Ti? L’efficienza in primis, poi il valore alla bilancia

14.03.2025
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I dischi Carbon-Ti sono leggeri. Eppure il valore alla bilancia non è il soggetto principale di questi componenti di altissima caratura tecnica, fattura, qualità complessiva. Il prezzo è di quelli importanti (220 euro per disco a prescindere dal diametro).

Efficienza aumentata della frenata in diverse condizioni. Sicurezza e tanta affidabilità, questi a nostro parere sono i principali fattori da considerare, ai quali si uniscono anche gratificazione personale e voglia di usare un componente da F1 della bici. Non ci siamo fermati al solo test, abbiamo chiesto a Marco Monticone, Product Manager di Carbon-Ti, di argomentare il componente nel dettaglio.

Una volta montato è un valore aggiunto alla bici
Una volta montato è un valore aggiunto alla bici

Una produzione di “nicchia” da oltre 20 anni

Carbon-Ti produce freni a disco fin da quando esiste l’azienda, da circa 20 anni. Inizialmente sono stati sviluppati per la mtb, con l’arrivo dei dischi anche nel settore strada i consensi hanno dilagato anche in ambito road.

Fedele all’utilizzo di materiali di elevata caratura tecnica ed alla precisione delle lavorazioni, Carbon-Ti produce dischi unici nel loro genere, per prestazioni, leggerezza e combinazioni dei diversi materiali. I dischi SteelCarbon 3 sono l’esempio lampante.

Disco, anello di battuta in titanio, adattatore CenterLock e ghiera
Disco, anello di battuta in titanio, adattatore CenterLock e ghiera
Marco Monticone, quanto tempo è necessario per produrre un singolo disco?

I dischi sono completamente progettati e prodotti in Italia. Carbon-Ti si occupa dalla progettazione alla manifattura, assemblaggio e distribuzione. Il processo produttivo per realizzare un disco richiede almeno una settimana. I dischi sono oggetto di lavorazioni molto sofisticate ed i materiali sono di altissima qualità.

Lavorazioni molto sofisticate?

La realizzazione della pista frenante in acciaio prevede tempra, taglio laser, rettifica e fresatura cnc. Il ragno in carbonio è tagliato con la tecnica waterjet e poi fresato cnc. Ogni singolo rivetto in titanio è prima tornito e poi trattato al laser. Ovviamente c’è l’assemblaggio.

Un rotore Carbon-Ti X-Rotor SteelCarbon 3 è più resistente rispetto ad un classico disco di alta gamma, pari categoria?

E’ certamente super resistente, ma la pista frenante in acciaio speciale di un disco Carbon-Ti offre dei vantaggi. Ad esempio può essere oggetto di un rebuild. Significa che si può sostituire insieme ai rivetti quando la vecchia inizia ad avere uno spessore ridotto che non garantisce più performance ottimali e sicurezza. E’ un servizio che offriamo ai clienti europei.

E’ quantificabile la durata di un disco?

E’ difficile. Inoltre la durata non dipende solo dal disco, ma anche da come si frena. Un esempio: quando si affrontano lunghe discese e si ha l’abitudine di pinzare per lunghi periodi, il rischio di vetrificare le pastiglie è più che reale. Questo mette in crisi la qualità della frenata nell’immediato ed accelera in modo esponenziale l’usura della pista frenante.

Le pastiglie organiche usate per il test
Le pastiglie organiche usate per il test
Ci sono delle pastiglie dedicate?

Non ci sono pastiglie specifiche. La pista frenante in acciaio permette di usare qualsiasi pastiglia, ma volendo massimizzare le prestazioni e la longevità, il consiglio è di usare pastiglie organiche (durante il test abbiamo usato le organiche Braking, ndr). Generano meno rumore e riducono l’usura del disco. In generale offrono una migliore resa tecnica. Le pastiglie originali degli impianti di alta gamma si adattano perfettamente ai dischi in acciaio Carbon-Ti. Alcune tipologie di pastiglie aftermarket arricchite con particelle ceramiche, sicuramente longeve, potrebbero accelerare l’usura della pista frenante, in quanto sono molto aggressive.

Che temperatura può raggiungere una pista frenante in acciaio?

Alcune centinaia di gradi, ma più che la cifra è necessario comprendere la causa del surriscaldamento. Uno dei fattori che influisce maggiormente è la durata della frenata, talvolta più della velocità e della potenza applicata. Uno dei vantaggi dei nostri dischi, in fatto di affidabilità, contenimento dell’ascesa della temperatura e deformazione, è la struttura in carbonio del supporto che svincola termicamente la pista dal resto del disco. Il disco è più stabile e la deformazione è contenuta.

Tra i rivetti c’è dello spazio per assecondare l’eventuale dilatazione dell’acciaio
Tra i rivetti c’è dello spazio per assecondare l’eventuale dilatazione dell’acciaio
Surriscaldamento contenuto, significa riduzione della manutenzione?

Il contenimento della temperatura di esercizio può effettivamente prolungare gli intervalli di manutenzione. Di sicuro limitare il surriscaldamento del fluido riduce il degrado dello stesso olio presente nell’impianto, tenuta migliore delle guarnizioni.

I dischi dei freni necessitano di rodaggio?

Il rodaggio è fondamentale. Noi raccomandiamo di evitare il surriscaldamento del disco nelle primissime fasi di utilizzo, eseguendo una ventina di frenate su asfalto ad una velocità di circa 25 chilometri orari, fino al completo arresto della bici. E’ bene sottolineare che le prestazioni ottimali di un disco, tipo SteelCarbon 3, si ottengono dopo alcune centinaia di chilometri. E’ interessante sottolineare che i team dei professionisti rodano abitualmente i dischi e le pastiglie in vista delle competizioni. Chi con macchinari appositi chi nelle fasi di training eseguite nei periodi antecedenti alle gare.

Le altre considerazioni

Un impianto di altissima gamma (abbiamo usato i dischi con le pinze Dura Ace e Sram Red) migliora ulteriormente le sue performance, in particolar modo quando è messo sotto stress. Ci riferiamo alle discese lunghe e tortuose, quando si può fare la differenza pinzando all’ultimo istante (prima dell’ingresso in curva/tornante) e senza dover “pelare” il disco per preparare la frenata. I dischi Carbon-Ti sono pronti all’istante.

Quando è necessario allungare il lasso di tempo delle pinzate i dischi rimangono perfettamente dritti, non si storcono e non sfiorano le pastiglie (si evita quel fastidioso rumore). Questa argomentazione però, fa riferimento ad un aspetto ben più importante legato alla dissipazione ottimale del calore, che rende tutto l’impianto più efficiente, più a lungo. In ogni situazione, anche alle basse andature e quando piove, è lampante un’aggressività maggiore della frenata, con le pastiglie che sembrano mordere la pista frenante. Non si tratta di una frenata rumorosa, ma di una sorta di azione che tanto mantiene la modulabilità (ed è così anche sotto il profilo del feeling immediato), tanto infonde sicurezza/certezza ogni volta che le mani sfiorano le leve dei freni.

Carbon-Ti

Dieci domande a Bartoli per esplorare il mondo di Paletti

14.03.2025
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Da quando Luca Paletti, nell’intervista fatta alla vigilia del Trofeo Laigueglia, ci ha detto che il suo preparatore è Michele Bartoli, ci si è accesa una spia. Quando un corridore entra nell’orbita dell’ex professionista e preparatore toscano non è mai per caso. Il ragazzo della Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè si allena sotto i dettami di Michele Bartoli fin da quando era al secondo anno juniores, i due sono arrivati ormai al quarto anno di lavoro insieme. Ma cosa ha trovato Bartoli nel giovane emiliano?

«Fin da quando era junior – racconta il vincitore di un Fiandre e due Liegi – era un ragazzo, anzi ragazzino, interessante. Nonostante la giovane età, era parecchio determinato e con le idee chiare. Nel parlarci si capiva avesse una maturità superiore ai suoi coetanei. Devo ammettere che lavorare insieme è stato facile fin da subito. Paletti era in grado di darmi dei feedback, per quanto riguarda gli allenamenti e i lavori da fare, che mi aspettavo di trovare in un corridore di ben altra esperienza. Per me contano tanto le risposte e le considerazioni che un atleta riesce a darmi».

Paletti è arrivato alla Vf Group-Bardiani nell’inverno del 2022
Paletti è arrivato alla Vf Group-Bardiani nell’inverno del 2022
Per certi versi un ragazzo già pronto?

Consapevole di quello che doveva fare. Ad esempio era in grado di capire quali riscontri avrebbe dovuto avere da un certo tipo di allenamento e riusciva a riportarmi le sue sensazioni a riguardo. Una sensibilità che da un ragazzo di 17 anni non ti aspetti. 

Che atleta hai trovato?

Tutto da scoprire, forte in salita e a cronometro. Ma è anche molto bravo nel ciclocross, disciplina che ha sempre tenuto fino a questo inverno e che non escludo possa tornare a fare. Per il momento abbiamo deciso, in accordo con il ragazzo e la squadra, di accantonare un attimo il cross. Si è trattato di una scelta non facile, io sono favorevole alla doppia attività, ma alla sua età è importante formarsi. Per certi aspetti il cross toglie equilibrio alla preparazione su strada. 

In che senso?

Quando sei un atleta formato, come possono essere Van der Poel o Van Aert, si possono tenere più discipline senza troppi pensieri. I problemi, se così li vogliamo definire, arrivano quando si è giovani. All’età di Paletti, 20 anni, si è alla ricerca della propria dimensione su strada e si è soggetti a molti giudizi. Nell’inverno appena trascorso lui ha avuto modo di identificarsi.

Il giovane emiliano ha sempre fatto ciclocross durante la stagione invernale (foto Alessandro Billiani)
Il giovane emiliano ha sempre fatto ciclocross durante la stagione invernale (foto Alessandro Billiani)
Cosa avete capito?

E’ un ragazzo che può crescere parecchio nelle gare a tappe. Nelle salite lunghe e a cronometro si trova a suo agio. Lo abbiamo visto in questi primi appuntamenti del 2025, sia alla Valenciana che al Gran Camino si è piazzato tra i primi venti a cronometro. E nelle tappe di salita è sempre rimasto agganciato ai primi. 

Questo è stato un inverno che ha aperto nuove porte sulle qualità di Paletti?

Se vogliamo possiamo considerare il 2025 come il suo primo anno da professionista, nonostante sia alla Vf Group da due stagioni e abbia iniziato la terza. Abbiamo iniziato a lavorare sulle sue basi e per essere la prima stagione in cui si concentra al massimo sulla strada, siamo a buon punto. Con i giovani non si deve lavorare sul presente, ma in prospettiva futura.

Uno dei passi fatti è l’aver inserito delle sessioni in palestra?

Sicuramente è un aspetto molto importante per formare un corridore. Deve essere però inserita nel momento giusto, gli anni scorsi Paletti non era pronto per certi versi, aveva ancora un muscolo acerbo. Anche gli esercizi in palestra vanno inseriti con la giusta programmazione, da juniores si può fare core stability. 

Bartoli, che lo allena da quando era junior secondo anno, ha evidenziato ottime qualità a crono e nelle salite lunghe
Bartoli, che lo allena da quando era junior secondo anno, ha evidenziato ottime qualità a crono e nelle salite lunghe
Ci sono degli aspetti sui quali avete lavorato in maniera specifica?

Sulla resistenza, certamente. Però la maturazione del corridore passa dal curare tutti i particolari. Viste le sue qualità deve allenarsi sul VO2Max e sulla cronometro. Tuttavia a 20 anni non si può tralasciare nessun aspetto, è un gioco di percentuali in cui nulla va trascurato. 

Quindi deve essere pronto ad affrontare le gare di un giorno.

E’ il destino degli atleti moderni. Non si può curare un solo aspetto, ma si deve essere polivalenti. Se si guarda ai grandi nomi, cosa corretta da fare con le giuste proporzioni, si vede questa cosa. Ora anche corridori da corse a tappe come O’Connor sono in grado di fare un secondo posto al mondiale. Senza scomodare Pogacar, che quello è un fuoriclasse.

Un’altra qualità di Paletti è la capacità di restare per tanto tempo fuorisoglia
Un’altra qualità di Paletti è la capacità di restare per tanto tempo fuorisoglia
Lo stesso Paletti ha detto di essersi sentito bene in queste prime uscite, nelle quali ha corso davanti…

Ha fatto un bel progresso a livello di testa e consapevolezza nei propri mezzi. E’ un allenamento anche imparare a correre tra i primi nonostante non si sia al 100 per cento. Deve essere capace di interpretare la gara con una mentalità vincente sempre. Magari ora non è in grado di vincere al Gran Camino, ma deve muoversi da protagonista.

Cosa che gli torna utile tra gli under 23, vista la doppia attività che fa con la Vf Group-Bardiani.

Passare subito professionista non è facile, per diversi motivi. Gli under 23 della Vf Group corrono solo gare internazionali, che vanno bene per crescere e fare esperienza. Al primo e al secondo anno l’obiettivo deve essere questo, poi si inserisce il passo successivo: provare a fare la corsa. La stessa cosa accade tra i professionisti. Ora Paletti è arrivato in un momento in cui può provare a primeggiare, soprattutto tra gli under 23. 

Parigi-Nizza, la fucilata di Martinez. E Kreuziger racconta

14.03.2025
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«E’ stato semplicemente incredibile – ha raccontato Lenny Martinez dopo l’arrivo della quinta tappa alla Parigi-Nizza – tutta la squadra ha fatto un lavoro davvero grandioso. E poi, nell’ultima salita volevo lanciare lo sprint ai 150 metri. Ho visto che eravamo rimasti solo in tre, mi sono detto: “Non posso sbagliare ora, devo dare il massimo”. E quando ho accelerato, mi sono girato e ho visto le grandi differenze, non potevo crederci. Quando ho alzato le braccia… è stato un momento grandioso».

Lenny Martinez è la gioia fatta persona. Ieri, sulla Côte-Saint-André, ha siglato il suo primo successo in maglia Bahrain Victorious. E che successo…

Ha messo in fila i più grandi. A parlarci di questa fucilata è anche Roman Kreuziger, il direttore sportivo che sta seguendo Lenny e il team asiatico in questa Parigi-Nizza, sempre ricca di colpi di scena. Anche ieri, per esempio, c’è stata la caduta di Jonas Vingegaard e il giorno prima lo stop momentaneo della tappa per neve e maltempo.

Vingegaard è caduto: ha sbattuto il volto e una mano che si temeva fratturata. Dopo gli esami, tutto è rientrato. Tra poche ore scopriremo se il danese sarà ancora al via
Vingegaard è caduto: ha sbattuto il volto e una mano che si temeva fratturata. Dopo gli esami, tutto è rientrato. Tra poche ore scopriremo se il danese sarà ancora al via

Dal quarto posto…

L’entusiasmo non manca nel team, ma neanche la lucidità di Kreuziger, al quale chiediamo di raccontare come è nato questo successo.

«Questa vittoria – dice il direttore sportivo – parte dal giorno prima in qualche modo. Abbiamo perso Santi (Santiago Buitrago, ndr), il nostro leader, e Lenny ha dovuto subito dimostrare un carattere forte. Sapevamo che, numeri alla mano, era tra i migliori tre scalatori di questa Parigi-Nizza e che poteva dunque fare bene, ma poi riuscirci non è facile.

Lo stesso Martinez aveva toccato questo tasto del quarto posto. «In effetti – ha detto ancora Lenny – ero un po’ deluso dal quarto posto del giorno prima alla Loge des Gardes. Pensavo di poter fare meglio dietro e di restare attaccato a Joao Almeida. Ma ora sapevo che dovevo mettere la palla in rete, che dovevo vincere. Ieri (due giorni fa per chi legge) però ho capito che era possibile».

Sapevano, dunque, che poteva arrivare davanti, ma da qui a vincere ce ne passava. Kreuziger racconta di una preparazione certosina del muro finale, con video, immagini e… «Un’ottima guida dalla macchina. Lenny ha eseguito le indicazioni al dettaglio… Solo che poi è questione di gambe. Tu puoi fare tutto quello che ti dicono, ma se non ne hai, puoi fare poco. Dal canto nostro abbiamo fatto di tutto per fargli conoscere bene questo strappo finale. Su quelle pendenze lui è riuscito a sfruttare al meglio le sue caratteristiche».

In effetti si saliva sempre in doppia cifra, molto spesso al di sopra del 15 per cento di pendenza. La velocità era “bassa” e la componente del peso incide moltissimo. Martinez è stato un cecchino nel gestirsi.

Jorgenson (al termine leader della generale) fa il forcing sul muro. Lenny c’è… ma non si vede. gestione esemplare dello sforzo da parte sua
Jorgenson (al termine leader della generale) fa il forcing sul muro. Lenny c’è… ma non si vede. gestione esemplare dello sforzo da parte sua

Leader in divenire

Kreuziger prosegue nel suo racconto e insiste sul tema della squadra e del rapporto tra questa e Martinez. Questa vittoria vuol dire moltissimo.

«Io credo che, tra il cambio di team, di coach, di compagni, Lenny si stia adattando e voleva farsi vedere dai compagni. Una cosa è certa: dopo questi due giorni la sua considerazione nella squadra è cresciuta. Oggi la squadra ha lavorato davvero bene per lui e Jack Haig è stato bravissimo negli ultimi 20 chilometri. Lenny è un ragazzo che vive di emozioni. Spesso si fa prendere da queste, ma oggi aveva l’istinto del killer e una squadra vicina.

La Bahrain Victorious ha corso benissimo, sempre nelle posizioni di testa, compatta. Martinez è rimasto tranquillo, almeno vista da fuori. Questa tappa, in effetti, era ideale per lui: tanto dislivello, percorso nervoso. Iniziare “a puntare” e riuscire nell’intento è cosa da grandi, specie se si vuol diventare un grande. E sappiamo che Martinez ha un’ambizione enorme.

Il muro poi è stato gestito alla perfezione, specie per le tempistiche e per le cadenze dello sprint finale. Cadenze alte di chi arriva in cima avendo speso meno, molto meno, degli altri in virtù di un’ottima condizione e di un peso (appena più di 50 chili) davvero favorevole su certe pendenze.

Lenny Martinez (classe 2003) sta diventando un leader. In classifica è ora 5° a 55″ da Jorgenson
Lenny Martinez (classe 2003) sta diventando un leader. In classifica è ora 5° a 55″ da Jorgenson

Il Dna del campione

E Martinez della sua squadra non si è affatto dimenticato dopo l’arrivo: «Sono molto contento di aver vinto con Bahrain Victorious. Sfortunatamente abbiamo perso Santiago Buitrago in una caduta. Ho preso la responsabilità di leader ed ero ansioso di fare bene per loro, di non perdere».

Ma quanto è leader Martinez? Noi lo abbiamo spesso visto con i gradi di capitano, specie quando era nella continental della Groupama-Fdj, ma da qui ad esserlo nel WorldTour, in una squadra nuova e per di più in una gara come la Parigi-Nizza ce ne passa.

«Bisogna vivere queste situazioni per diventarlo – dice Kreuziger – ed è qualcosa che viene giorno per giorno. Io credo che bisogna lasciarlo fare, lasciare spazio anche alla sua fantasia. Non sappiamo dove può arrivare Lenny, viviamolo giorno per giorno. Intanto una vittoria di tappa alla Parigi-Nizza era un nostro obiettivo e l’abbiamo raggiunto. Ora vediamo quel che viene e quel che raggiungerà. Questa, di certo, è una grande scuola per lui.

A queste parole di Kreuziger fanno eco quelle di Martinez: «Per il fine settimana a Nizza, cercheremo di dare tutto. Devo risalire nella classifica generale, ma una vittoria di tappa è già tanto. Preferisco una tappa a una top 10 nella classifica generale, è una bella casella da spuntare».

Le lacrime di Maestri, lo sprint di Kooij e Ganna ancora leader

13.03.2025
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TRASACCO – La nuvola s’è spostata e ha smesso di piovere. L’arrivo è dall’altra parte del parchetto, per cui i corridori devono fare il giro e raggiungono come capita il gruppo dei massaggiatori che li attendono. Quando i primi tagliano il traguardo, gli ultimi hanno ancora dieci chilometri da fare: Milan è là dietro cercando di recuperare dalle botte di ieri in vista della tappa finale. Il freddo non aiuta, ma Johnny racconterà poi che nel finale è tornato ad avere buone sensazioni e la preoccupazione per la caduta di ieri si è dissipata. Nella bolgia di atleti che tremando cercano di infilarsi la mantellina, Mirko Maestri riemerge in lacrime da un lunghissimo abbraccio con Maurizio Borserini, il fotografo della squadra.

La tappa l’ha vinta Kooij, l’emiliano è arrivato quinto. «Oggi ho dato il massimo – ha detto dopo l’arrivo il velocista della Visma-Lease a Bike – anche se quando sono venuti fuori i ventagli, mi sono ritrovato tra speranza e disperazione. Un momento pensavo che ce l’avremmo fatta e quello dopo invece no. Quando poi abbiamo preso la testa della corsa, ho cambiato mentalità. Sono davvero felice. L‘obiettivo era vincere una tappa e ci siamo riusciti. Questo mi dà molta fiducia».

Per Olav Kooij, 23 anni, quella di Trasacco è la terza vittoria dell’anno dopo le due in Oman
Per Olav Kooij, 23 anni, quella di Trasacco è la terza vittoria dell’anno dopo le due in Oman

In fuga per 155 chilometri

Peccato che abbia ricostruito la fiducia sulla pelle di Maestri, che invece è stato in fuga per 155 dei 190 chilometri della tappa. Più che al Giro, quando nella tappa di Fano si arrese ad Alaphilippe. Il finale è stato uno snervante tira e molla. Alle porte del piccolo comune aquilano sulla sponda del Fucino, il vantaggio è stato a lungo inchiodato sui 13 secondi. Erano quattro. Maestri, Arcas, Leemreize e Blume Levy. Rutsch, che è stato per un po’ anche leader virtuale, è scivolato in una curva a destra e non l’hanno più visto. Il gruppo li aveva davanti, che pareva di toccarli. Prima di vederli anche noi passare, pensavamo che se li avessero presi alla svelta, la loro sofferenza sarebbe finita. Invece erano intenzionati a tenere duro: non si molla niente.

«Peccato perché ci credevo – dice Maestri – avevo parlato di questa tappa con Zanatta già da prima che la Tirreno cominciasse. Siamo arrivati a un soffio, mi dispiace. Sono anche un po’ incavolato il corridore della Uno X, perché se avessimo collaborato nel finale, si poteva arrivare e ci saremmo giocati una volata a tre con lui e con Healy».

Il via da Norcia, dove San Benedetto veglia sulla cittadina che porta ancora le ferite del terremoto
Il via da Norcia, dove San Benedetto veglia sulla cittadina che porta ancora le ferite del terremoto

La generosità di Healy

L’irlandese li ha presi subito dopo l’ultimo strappo, quello su cui Van der Poel ha mostrato i muscoli e Ganna è andato a prenderlo. Healy li ha raggiunti e si è messo subito in testa, con lui sono rimasti il corridore della Polti-VisitMalta e quello della Uno-X Mobility. Ha tirato quasi sempre lui, evidentemente spinto da mire di classifica. Un paio di volte proprio Maestri gli ha dato un cambio, Blume Levy non ha fatto nemmeno il gesto. Non si è reso conto che in certi casi il modo migliore per non vincere è credersi più furbi degli altri.

«Quando è passato Ben Healy – prosegue – gli siamo andati dietro. Credo che abbia avuto indicazioni dall’ammiraglia. Ma quando arrivi lì, a mollare non ci pensi per niente. L’anno scorso mi hanno preso a un chilometro (nella tappa di Giulianova, vinta da Milan, ndr), quest’anno addirittura ho fatto quinto. Avevo ancora gambe e infatti sono arrabbiato, perché penso che nella volata a tre avrei vinto. Non mi sbilancio mai, però per come è andata la volata di gruppo… Ci ho provato, ci riproverò e spero ci sia l’occasione anche al Giro. Non abbiamo ancora saputo niente, però mi farò trovare pronto e voglio chiudere finalmente questo cerchio».

Sullo strappo del circuito, Van der Poel accelera forte, Ganna rientra in progressione. Altre prove di Poggio?
Sullo strappo del circuito, Van der Poel accelera forte, Ganna rientra in progressione. Altre prove di Poggio?

La previsione di Zanatta

Zanatta conferma e ricorda anche che nel 2010 da queste parti una fuga (quasi) bidone stava per decidere il Giro d’Italia. L’Abruzzo ha strade, curve e discese che ispirano l’imboscata. Per questo l’idea di andare avanti gli era parsa azzeccata e la sua previsione ha colto nel segno.

«Avevo detto a Maestri che era la tappa giusta per lui – ammette Zanatta – poteva giocarsela. Sarebbero bastati 5 secondi in più e comunque si può essere soddisfatti. Un quinto posto con tutti i corridori che ci sono non è davvero da buttare, peccato che abbia avuto paura ad anticipare. Ha anche dato un paio di cambi a Healy, lo sapevamo che su quello strappo qualcuno sarebbe partito ed era molto probabile che arrivasse lui. Nella riunione avevo fatto proprio il suo nome ed ero certo che avrebbe avuto interesse ad arrivare per guadagnare terreno».

Healy tira, Maestri gli dà due cambi, Blume Levy si volta e fa un po’ il furbo
Healy tira, Maestri gli dà due cambi, Blume Levy si volta e fa un po’ il furbo

Senza mai mollare

Il pullman non è lontano, la strada lentamente si va svuotando. La tappa è partita da Norcia subito in salita. Ha attraversato le Terre Mutate del terremoto. Ha scavalcato salite poco note, ma non certo di poco conto. Si è frammentata in quattro ventagli. E solo dopo Ovindoli la strada ha smesso di fare male.

«Ho fatto un tentativo in discesa – racconta Maestri – nella pianura tra la prima e la seconda salita, che però non era un Gpm. Sono partito con il corridore della Wanty e poi sono entrati gli altri tre ragazzi. L’abbiamo portata via io e Rutsch, era freddo, però meno di ieri. Abbiamo tenuto l’andatura forte tutto il giorno, mentre ieri si accelerava e poi si rallentava e quindi si gelava. Anche se erano a 10 secondi, io ho corso per arrivare. Non mi sarei fermato finché non ce li avessi avuti attaccati alla ruota dietro, per non dire altro. Non ho mollato, si è visto anche nella volata. Peccato che non tutti ci abbiano creduto come me…».

Zamperini e i primi approcci al ciclismo d’oltralpe

13.03.2025
5 min
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LAIGUEGLIA – Il campione italiano under 23, Edoardo Zamperini, ha iniziato da qualche mese la sua nuova avventura nella formazione di sviluppo dell’Arkea B&B Hotels. Per questa prima parte di stagione il veneto ha disputato dieci giorni di gara, tutti con la formazione WolrdTour. L’ultimo appuntamento di questa breve serie è stato il Trofeo Laigueglia, nel quale si è messo a disposizione dei compagni. Dopo tanti anni in Italia anche Zamperini ha deciso di tentare la strada dell’estero, rispondendo alla chiamata del team francese (in apertura foto GettyImages). 

«La prima gara con la formazione continental – racconta Zamperini a pochi minuti dal via – sarà il Circuit des Ardennes. Quest’anno lo sto vivendo come un periodo di transizione, la stagione scorsa è stata tosta sotto tanti aspetti. Ero partito con molte aspettative e carico di responsabilità fin dall’inverno, volevo far bene a tutti i costi. Non ero disposto a fare un eventuale quarto anno da under 23 in Italia e quindi già da gennaio mi sono messo sotto pressione. La caduta di maggio poi mi ha causato un altro periodo di tensione ed è stato tutto un inseguire. Non ho raggiunto l’obiettivo di passare professionista ma ho fatto un bel passo in questo senso. Quindi il 2025 vuole essere un anno in cui fare le cose al 100 per cento ma con meno stress. Voglio accumulare esperienza».

Per il momento Zamperini ha corso con la formazione dei professionisti (foto GettyImages)
Per il momento Zamperini ha corso con la formazione dei professionisti (foto GettyImages)
Stai trovando un modo diverso di correre, in appoggio ai compagni…

Negli anni passati ho spesso indossato i panni del capitano però ero sempre pronto a mettermi a disposizione. Anche nella scorsa stagione qualche volta ho dato supporto ai miei compagni, sapevo che arrivando in una formazione più grande questo sarebbe stato il mio “destino”. 

Come ti stai trovando in queste nuove vesti?

Bene. Ad esempio alla Classic Var gran parte del lavoro era riuscire a imboccare l’ultimo strappo nelle prime posizioni. Io avevo il compito di portare Vauquelin in testa e ci sono riuscito. Fa parte dell’esperienza che voglio fare, perché un giorno se e quando sarò il capitano so cosa chiedere ai compagni.

La gara di esordio in Francia per il veneto è stato il Tour de la Provence (foto DirectVelo/Xavier Pereyron)
La gara di esordio in Francia per il veneto è stato il Tour de la Provence (foto DirectVelo/Xavier Pereyron)
Sei già entrato in certe dinamiche?

Sì, anche perché in una realtà così grande come una squadra WorldTour, nonostante io sia nel devo team, le cose non le spiegano mille volte. Tutto è organizzato e si lavora al meglio, ma una volta detto come funziona una cosa è meglio capirla subito. Fuori c’è la fila di corridori che vogliono prendere il tuo posto.

Tu come ti senti?

Sono uno che capisce subito come muoversi in gruppo e tatticamente mi ritengo bravo. La squadra mi ha già dato dei compiti delicati (come scortare il capitano fino all’ultimo strappo, ndr) e ho mostrato le mie capacità. 

Per raggiungere la miglior condizione cosa manca?

Un po’ di ritmo. Per questa stagione mi sono messo l’obiettivo di entrare nel target, non sto pensando ai risultati ma a far vedere che posso stare con i grandi. Poi dove non si arriva con le gambe lo si può fare con la tattica. In alcune occasioni sono arrivato a prendere le salite finali davanti e poi non ho avuto le gambe per tenere il passo dei più forti. E’ un fattore che da un lato mi rende tranquillo, perché in questo ciclismo è importante essere astuti e sapersi muovere. La condizione poi arriva. 

Nelle dinamiche di squadra Zamperini ha già svolto compiti importanti a servizio dei compagni (foto GettyImages)
Nelle dinamiche di squadra Zamperini ha già svolto compiti importanti a servizio dei compagni (foto GettyImages)
Stai imparando il francese?

Ho iniziato a capire e padroneggiare i termini riferiti alla bici e alla corsa, però voglio impararlo bene, sia per socializzare con i compagni sia per parlare con i tecnici. Sono una persona estroversa, quindi mi piacerebbe entrare maggiormente in certe dinamiche del gruppo. 

Raccontaci anche di questa parte, del rapporto con lo staff.

Mi sto ambientando anche in questo senso. Anche se sono nel devo team stiamo lavorando in modalità WorldTour, ovvero a blocchi: allenamento, corse, riposo. E’ un nuovo modo di fare e devo prenderci la mano. Fino a qualche mese fa ero abituato a correre tutte le domeniche, quindi il modo di lavorare era diverso. Piano piano troviamo il modo corretto di fare tutto e anche io capisco cosa è meglio fare. 

Per essere competitivo tra i professionisti serve migliorare ancora, ma la strada è quella giusta (foto GettyImages)
Per essere competitivo tra i professionisti serve migliorare ancora, ma la strada è quella giusta (foto GettyImages)
Con il preparatore ti trovi bene?

Anche questo è un punto sul quale sto lavorando. Negli anni scorsi ho sempre lavorato con Rocchetti ed ero abituato a un rapporto molto stretto. Mi conosceva bene e almeno una volta a settimana mi seguiva durante gli allenamenti. Ora questo non è più possibile, si lavora a distanza e con i file. Però è così che si fa nelle grandi squadre, quindi sto imparando a gestire la cosa. 

Rispetto a una formazione continental italiana cosa è cambiato nell’organizzazione?

E’ tutto da paura e molto più internazionale. La squadra mi aiuta tanto ma allo stesso modo entra in gioco la responsabilità personale. Fino all’anno scorso gli spostamenti e le trasferte venivano organizzati dal team che poi mi passava a prendere a casa o lì vicino. Ora mi mandano i biglietti aerei e il trasporto all’aeroporto o il pranzo lo devo gestire io. Anche da queste cose si impara a essere dei ciclisti professionisti. 

Nuovo cittì, nuova direzione: come la vivono gli atleti?

13.03.2025
5 min
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Ricordate quando a scuola cambiava il professore e da un anno all’altro si doveva ricominciare a farci la conoscenza? A volte andava bene, altre meno. Così ci siamo chiesti che cosa accada nel giro della nazionale quando cambiano i commissari tecnici e gli atleti si trovano a interagire con volti nuovi. Certo l’ambiente è piccolo e tutti si conoscono, ma lavorare insieme è un’altra cosa.

Nel team performance della Federazione lavora da anni Elisabetta Borgia, psicologa, che appartiene anche all’identico staff della Lidl-Trek. Oltre a parlare con gli atleti di motivazioni e aspetti che riguardano l’aspetto mentale della prestazione, fra i motivi di attenzione per lei c’è anche questo. Ecco perché approfittando della sua presenza alla Tirreno-Adriatico abbiamo pensato di farle alcune domande in tal senso. Dalle Olimpiadi di Tokyo sono cominciati gli avvicendamenti fra i commissari tecnici. Ad esempio le ragazze sono passate dalla guida e dal metodo di Salvoldi a quelli di Villa. Adesso accanto a Villa c’è Bragato. Quindi Velo ha sostituito Sangalli nella strada delle donne. E Villa ha preso il posto di Bennati nella strada dei pro’.

Elisabetta Borgia è una presenza fissa per gli atleti della nazionale
Elisabetta Borgia è una presenza fissa per gli atleti della nazionale
Che cosa cambia per l’atleta? Che cosa è cambiato per le donne al passaggio da Salvoldi a Villa?

Sicuramente Dino aveva un approccio definito in anticipo nei minimi dettagli a cui le ragazze aderivano. Con Villa siamo passati a dare più responsabilità alle ragazze, che nel frattempo sono cresciute e fanno parte di grandi squadre. Abbiamo lasciato loro la scelta dei giorni in cui fossero tutte presenti, mantenendo la massima disponibilità di Marco per allenamenti e collegiali in base anche agli impegni con i team. Da adesso in avanti, credo che questa idea di responsabilizzazione delle ragazze rimanga, con un’organizzazione con un occhio più a lungo termine.

Su strada le ragazze passano da Sangalli che aveva dato continuità al lavoro di Salvoldi, a Velo. Una fase da gestire?

Lo vedo come un passaggio fisiologico, non vedo degli strappi: ne parlavo in questi giorni proprio con Velo. Sicuramente per la sua personalità, Marco è una persona molto carina nei modi, molto accomodante. Cerca il rapporto personale e quindi credo che il suo approccio funzioni bene, come in realtà funzionava molto bene anche con Sangalli.

Secondo te l’atleta aspetta il tecnico al varco per conoscerlo oppure lo studia per trovare il modo di instaurare una relazione?

Non credo che lo aspetti al varco, quando piuttosto credo voglia capire quali sono i nuovi punti di riferimento e soprattutto le modalità operative. Questo è il momento in cui andiamo a ragionare su atleti e atlete professioniste, sapendo bene che è fondamentale dare un’organizzazione di massima della stagione. E’ necessario mantenere i rapporti. La comunicazione tra il CT e i vari membri del team di appartenenza diventa fondamentale affinché si possano creare dei programmi coerenti. L’obiettivo è che gli atleti vadano forte con la squadra e siano anche pronti per grandi eventi come europei e mondiali.

Marco Velo (qui con Venturelli ai mondiali 2023) passa da tecnico delle crono a responsabile della strada donne
Marco Velo (qui con Venturelli ai mondiali 2023) passa da tecnico delle crono a responsabile della strada donne
Hai parlato con Velo, qual è dunque il tuo ruolo in questa fase?

Il mio rapporto è chiaramente con gli atleti, ma sta diventando anche un ruolo di osservazione delle dinamiche. A volte mi ritrovo a fare da “consulente” per i tecnici. Inizio a diventare la memoria storica, avendo vissuto i vari passaggi ed essendo stata presente nei momenti importanti. Con Velo si ragiona sul tipo di approccio e su come vedere la stagione. Marco fa domande, è molto aperto, quindi in questa fase mi trovo a fare anche da filtro. Essendo super partes, nel senso che lavoro con tutte le discipline, riesco ad avere una visione un po’ più obiettiva, se non altro meno inserita nelle situazioni. Per cui, se richiesto, posso dare anche qualche consiglio su come approcciarsi in base alle diverse personalità degli atleti.

Avviene uno scambio di nozioni fra lo psicologo e i tecnici in base alla tua conoscenze degli atleti?

Premettiamo che ovviamente c’è il segreto professionale e poi oggettivamente con alcuni atleti lavoro in maniera più assidua e più vicina, con altri meno. Però è chiaro che, avendo la fortuna di essere in giro tutto l’anno e di vedere le atlete e gli atleti nelle gare, a prescindere dalla nazionale, ho anche l’opportunità di tenermi aggiornata. E questo certo mi offre un punto di vista privilegiato.

A proposito di assiduità, nella Lidl-Trek lavori con Elisa Balsamo, che ha lasciato la pista non senza amarezza dopo le Olimpiadi. Bragato la considera una del team, si dovrà lavorare per ricucire qualcosa?

La scelta di Elisa di non fare il mondiale pista a fine stagione è stata condivisa. E anche lei, come le altre, ha scelto di focalizzarsi di più sulla strada nell’anno post olimpico. Però sicuramente il suo ruolo è qualcosa di cui si parla con Marco e con Diego. Balsamo è sicuramente un valore aggiunto che dobbiamo riuscire a mantenere, è fuori discussione. Oltre a questo c’è tutta la fase di programmazione e valutazione delle nuove leve, fondamentale da far partire. Atleti che con una preparazione ad hoc, nei prossimi anni possono diventare riferimenti nei quartetti o altre specialità.

Bragato è il cittì della pista donne, ruolo che svolgerà con il supporto di Villa, a sua volta tecnico della strada pro’
Bragato è il cittì della pista donne, ruolo che svolgerà con il supporto di Villa, a sua volta tecnico della strada pro’
Sei parte del team performance della Federazione e dell’identica struttura nella Lidl-Trek. E’ aumentata la consapevolezza del ruolo dello psicologo?

Io mi sento assolutamente considerata in entrambi gli ambiti. Lo conferma il fatto che con la Federazione sono andata per tutta la durata delle Olimpiadi. Quindi mi sento assolutamente coinvolta, chiamata in causa anche per alcune scelte “strategiche”. Sono consapevole del ruolo che ho e mi sento assolutamente valorizzata sia in squadra che in Federazione.

Come descriveresti il tuo ruolo?

Un ruolo speculare. Faccio parte del team performance e il team performance sta lavorando molto bene, anche nella fase dei test in cui si va a individuare il talento. Si cerca di capire come aiutarlo a crescere in maniera omogenea e coerente, senza strappi. Facciamo valutazioni fisiche, ma anche di profilo mentale e emotivo. E quello, come si può ben capire, è il mio pane quotidiano.

A tu per tu con Celestino, che già pensa a Los Angeles

13.03.2025
5 min
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Mirko Celestino resta alla guida della nazionale di mountain bike. Dopo i tanti cambiamenti nella Federazione, il suo ruolo di commissario tecnico non ha subito variazioni, segno di una fiducia confermata e meritata. La sua nazionale continua a crescere, con un gruppo di atleti che si sta affermando pur non senza difficoltà, e con uno sguardo rivolto a Los Angeles 2028.

Assieme a Mirko (nella foto di apertura con Martina Berta) abbiamo fatto il punto su questa nuova fase del suo lavoro, sulle prospettive degli atleti a sua disposizione e sulle sfide che attendono il movimento azzurro della mountain bike.

Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Avondetto in azione a Parigi. A Los Angeles avrà 28 anni, sarà al top della carriera
Mirko, tra i tanti rimescolamenti della Federazione, tu sei rimasto al tuo posto esattamente con le stesse mansioni che avevi prima del “Dagnoni bis”. Che sensazione hai?

Diciamo che alla fine abbiamo lavorato bene, i risultati sono arrivati e sono contento di poter continuare. Ringrazio chi mi ha dato fiducia, sia in passato che adesso. Vado avanti con orgoglio in questo nuovo quadriennio olimpico, sperando di arrivare a Los Angeles con un pizzico di fortuna in più. A Tokyo e Parigi soprattutto abbiamo visto cosa è successo con Luca Braidot: se fosse arrivata quella medaglia, sarebbe stata un’altra storia.

Ecco Los Angeles 2028, hai già messo l’argomento sul tavolo. Con che gruppo speri di arrivarci? Abbiamo giovani su cui lavorare?

Qualche nome verrà fuori, questo è sicuro. A parte Luca Braidot, che ha fatto un gran salto, abbiamo almeno un paio di giovani interessanti dietro di lui. Uno è Simone Avondetto, davvero un atleta che è già importante, e l’altro è Yuri Zanotti. Entrambi stanno crescendo bene e sono già nella mia testa per Los Angeles. Questo non vuol dire che Luca non possa esserci, anzi. Lui è una garanzia, ha dimostrato tanto, ma tra quattro anni avrà una certa età e dobbiamo anche guardare avanti. Mi auguro che Yuri continui la sua crescita.

E in campo femminile?

Tra le ragazze, Valentina Corvi ha dimostrato tanto. E’ al secondo anno da under 23 e ha già fatto vedere belle cose anche sul fronte internazionale. Io credo che lei e Martina Berta siano le più promettenti. Martina arriverà a Los Angeles davvero all’apice della carriera. Il tutto senza dimenticare lo zoccolo duro: Chiara Teocchi. Mentre sempre parlando di atlete giovani c’è anche Giada Specia. In generale il movimento giovanile femminile mi sembra vivace, mentre in campo maschile, specie tra gli under 23 si fatica un po’ di più a produrre nuovi talenti.

Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
Valentina Corvi è una vera esperta di off road, lei viene anche dal cross (foto Instagram)
A proposito di Valentina Corvi, lei è anche un’abile ciclocrossista ed è già stata tentata dalla strada. Hai paura che talenti simili possano essere richiamati dalle sirene della strada? Che insomma te li portino via?

Sì, è una possibilità concreta. Non abbiamo tante atlete in questa categoria e se va via una biker come Valentina si crea un bel buco. Allora penso a Giada Martinoli, che è un altro talento, ma parliamo davvero di atlete giovanissime, per il resto il gruppo è ristretto. Con la Federazione bisognerà lavorare per trattenerla almeno fino a Los Angeles. Le sirene della strada sono forti, ma la mountain bike ha ancora tanto da offrirle.

Spesso quando parliamo con Bragato, capo della performance della FCI, ci dice dei test a Montichiari, test per valutare i ragazzi e i ragazzini di più discipline. Il tuo settore partecipa?

Sì, facciamo diversi test con i nostri biker. La settimana scorsa, per esempio, abbiamo fatto uno stage con dieci junior dopo la gara di Verona. Abbiamo provato percorsi tecnici – sulla tecnica insisto molto specie tra i giovani – abbiamo girato su una pista di BMX e poi abbiamo svolto i test in pista a Montichiari con il team performance. Tutto questo è utile per raccogliere dati e aiutare i gli atleti a crescere tecnicamente. E a noi è utile per scovare i ragazzi più promettenti su cui lavorare.

Si è parlato della possibile uscita della mountain bike dal programma olimpico. Cosa ci dici in merito?

Le voci in effetti ci sono state, soprattutto l’anno scorso a Parigi si diceva che poteva essere l’ultima volta che avremmo visto una prova di mtb alle Olimpiadi. O che al massimo si arrivasse a Los Angeles 2028. Ora tutto tace, ma non sappiamo quanto sia vero. Sarebbe un peccato, perché a Parigi c’era tantissima gente a seguire le gare e i numeri del seguito in generale mi dicono siano stati ottimi.

Piuttosto che togliere discipline come il cross country e magari immettere la break dance nel programma olimpico, bisognerebbe aggiungerle: pensiamo alla downhill. Questo aiuterebbe anche le aziende e il mercato della bici.

Esatto, però questi discorsi non dipendono da noi, ma dal CIO. Per ora sappiamo che arriveremo ai Giochi 2028 e su questi ci basiamo e siamo contenti. Spero che si faccia marcia indietro.

Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Celestino (in alto a sinistra) crede molto nel gruppo e nel rispetto reciproco
Dopo tanti anni da commissario tecnico della mtb, come senti di essere cresciuto nel tuo ruolo?

Nel tempo è cambiato molto. Il cittì oggi è più un selezionatore che un allenatore. Gli atleti hanno i loro preparatori e in una settimana di ritiro non puoi cambiare il loro lavoro. Il mio compito è organizzare al meglio le trasferte, farli stare bene, garantire serenità e concentrazione. E ammetto che quando si va alle gare mi diverto di più, anche perché ho più responsabilità.

E quando c’è da richiamare i ragazzi?

In questi anni passati con loro, probabilmente hanno capito che per me la prima cosa non è il risultato ma l’educazione, il rispetto. Il rispetto delle regole, per i rapporti umani… E questa mentalità ha pagato perché vedo ragazzi educati. All’inizio erano un po’ più montati, un po’ più pretenziosi, invece adesso hanno capito cosa voglio io. Okay vincere, però ti devi comportare bene. Alla lunga questo modo di fare mi ha dato grosse soddisfazioni perché i ragazzi mi ascoltano, c’è dialogo e quando siamo in gruppo si vive bene.

Il Celestino uomo invece quanto è cambiato in questi quasi 10 anni da tecnico?

All’inizio accusavo di più le critiche, ora ho imparato a fare filtro. A distinguere quelle costruttive da quelle inutili. Ho capito con chi ho a che fare e cerco di prendermela meno, rispettando sempre tutti.

Groves per Philipsen, un vero “pilota” da urlo

13.03.2025
5 min
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C’è voluto un po’ di tempo, per mandar giù quanto avvenuto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne. Per Kaden Groves è stata una corsa dai due volti: prima la soddisfazione per il grande lavoro svolto per Jasper Philipsen (e su questo torneremo), poi la delusione e la rabbia per la retrocessione con multa annessa per aver esultato. Per carità, non sono certo i 500 franchi svizzeri ad avergli lasciato l’amaro in bocca, ma la sua voce si unisce a quella di tanti colleghi che non riescono proprio a capire come questo possa rappresentare un pericolo tale da essere sanzionati nella maniera più severa.

La foto incriminata con Groves che alza un braccio. Chiude 10°, ma verrà declassato e sanzionato (foto Getty Images)
La foto incriminata con Groves che alza un braccio. Chiude 10°, ma verrà declassato e sanzionato (foto Getty Images)

Primo cartellino giallo

Già, perché la giuria della classica belga gli ha comminato la sanzione più pesante, il classico “cartellino giallo” per “aver decelerato mettendo in pericolo gli altri corridori togliendo le mani dal manubrio” quando poi si vede dalla foto che la mano è una sola. Come noto, tre cartellini in un mese costano 14 giorni di squalifica, sei in una stagione sono un mese da scontare.

Groves si è messo a lavorare pensando al prosieguo della stagione, ma col tempo è riuscito a rivedere quella corsa e ad apprezzarne i contenuti. L’australiano si sta riscoprendo come un elemento prezioso all’interno dell’Alpecin Deceuninck e chi pensava a una sua rivalità interna con Philipsen ha dovuto ammettere che si sbagliava. «Con lui non c’è concorrenza – ha ribadito alla vigilia della classica belga ribadendo quanto aveva già affermato lo scorso anno – siamo velocisti diversi, io sono più portato per gli sprint ridotti. Io spero ardentemente che ci possa essere posto per entrambi e possiamo correre insieme, lo abbiamo già fatto e lo abbiamo fatto bene».

Groves si è molto ben adattato nel team e vuole esordire al Tour, anche come aiutante per Philipsen e VDP
Groves si è molto ben adattato nel team e vuole esordire al Tour, anche come aiutante per Philipsen e VDP

Un perfetto uomo squadra

Parole profetiche perché a Kuurne si è visto come l’australiano sia perfettamente in grado di coesistere con il belga, anzi possa essere un ideale ultimo uomo riuscendo a tenere velocità altissime: «A me avere un ruolo di supporto non dispiace – ha raccontato a Cyclism’Actuio conto di essere selezionato per la corsa francese perché la nostra squadra, che non ha un corridore che punti alla classifica, può dare tutto per i successi parziali e io posso essere di supporto sia a Van der Poel per le fughe, sia a Philipsen per gli sprint. Oltretutto sarebbe una soluzione tattica ideale per il team, perché in caso di qualsiasi problema ci sarei io a poter sopperire. Quel che deve essere chiaro comunque è che per me chiunque vinca del team va bene, lavoriamo tutti per una causa comune».

Il fatto che lui e Philipsen siano diversi è testimoniato anche dal lavoro specifico che Groves ha fatto e sta facendo da quando è approdato alla squadra belga. Gli effetti si sono visti ad esempio all’ultima Vuelta, con tre vittorie collezionate: «Ho dimostrato che se ho le gambe posso lottare per il successo anche in tappe che prima non mi erano per nulla congeniali. Ora posso lottare anche in corse dure, tenere in salita quando il gruppo perde pezzi. Ma i progressi non riguardano solo le mie prestazioni tecniche…».

Il 26enne australiano ha mostrato evidenti segni di progresso nella tenuta in salita
Il 26enne australiano ha mostrato evidenti segni di progresso nella tenuta in salita

Il metro di paragone? Van Aert…

Groves, proprio in occasione della Vuelta, aveva fatto intendere che quelle vittorie erano anche frutto di una crescita dal punto di vista tattico, o forse anche caratteriale, non sentendo più la pressione di certi confronti. Il fatto di aver tenuto testa a Van Aert, ad esempio, ha avuto un peso non indifferente. «Si è visto che posso lottare alla pari con lui che ha più esperienza e duttilità. Cambiando strategia. Prima tanti secondi e terzi posti erano frutto di scelte sbagliate del momento di partire, quando invece vedevo che altri, il belga più di tutti, sapevano scegliere l’attimo giusto in maniera sistematica e precisissima. Ora sto imparando e i frutti si vedono».

La stagione dell’australiano è iniziata tardi, anche con un sacrificio non da poco: «Mi sarebbe piaciuto essere a gennaio in Australia, correre gare del calendario nazionale e il Santos Tour Down Under, ma sapendo quel che ci aspetta avrebbe significato iniziare la stagione troppo presto e spendere energie importanti. Noi abbiamo nel periodo delle classiche di primavera un target fondamentale, dobbiamo essere al massimo per quelle, quindi dobbiamo essere più freschi».

Lo scorso anno ha vinto 3 tappe alla Vuelta. Al Giro ha già vinto nel 2023, ma vuole ripetersi
Lo scorso anno ha vinto 3 tappe alla Vuelta. Al Giro ha già vinto nel 2023, ma vuole ripetersi

Una primavera intensissima

Il corridore di Gympie sarà presente alla Classicissima, poi farà il Catalogna e poi la parte fiamminga delle classiche con l’aggiunta dell’Amstel. Corse (quelle d’un giorno) dove sarà l’evoluzione della gara a consigliare il suo migliori impiego. Poi ci sarà il suo primo vero obiettivo stagionale: «Sarò al Giro d’Italia dove lo scorso anno ho sfiorato la vittoria più volte senza mai agguantarla. Questa volta voglio conquistare almeno una tappa, ma poi spero di essere ancora in forma per andare al Tour e per esordire alla Grande Boucle sono più che disposto a un ruolo di supporto. Senza problemi».

Tirreno-Adriatico 2025, 3a tappa, Colfiorito, Andrea Vendrame

Colfiorito a Vendrame, terzo italiano (in tre giorni) alla Tirreno

12.03.2025
6 min
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COLFIORITO – Piove e fa freddo dal mattino. Le montagne fra l’Umbria e le Marche sono sepolte dalle nubi, allo stesso modo in cui il fronte del gruppetto che si lancia verso la volata sembra omogeneo, scuro e fradicio. Poi come un raggio di qualcosa che somiglia a una luce, la progressione di Andrea Vendrame fa scattare la gente assiepata davanti agli schermi. Si nota subito che il cambio di ritmo del veneto è di quelli che lascia il segno. Nessuno risponde, qualcuno ci prova. Dietro Pidcock e Gregoire si lanciano nella sua scia, ma l’anticipo è stato la scelta giusta. Non c’è più tempo per risalire. Il corridore della Decathlon vince bene e vince quando piove. E in questo giorno alla Tirreno-Adriatico, come due volte in precedenza al Giro d’Italia, i due fattori si sono sposati alla grande.

Vendrame ha 30 anni ed è pro’ dal 2017. E’ alto 1,68 e pesa 60 chili
Vendrame ha 30 anni ed è pro’ dal 2017. E’ alto 1,68 e pesa 60 chili

Una giornata (quasi) estrema

Prima di lui, anche Ganna ha provato l’anticipo. Il leader della corsa ha rintuzzato gli attacchi sulla salita finale. Ha chiesto alla squadra di tenere insieme la corsa. E quando è partito ai 3,5 chilometri dall’arrivo, per qualche istante c’è stata la sensazione che sarebbe arrivato. Sarebbe stato un colpo stupendo, ma ugualmente stasera Pippo torna in hotel con la sensazione di avere grandi gambe. E vedere Van der Poel chiudere sul suo allungo ha dato per qualche istante un senso di Sanremo in arrivo.

«Certe giornate mi trovano bene – sorride Vendrame che non smette di tremare –  il fisico risponde bene, ricordo la vittoria di Sappada, anche se oggi ci sono temperature un po’… orrende. Non era proprio la giornata migliore per farci bici, però è il nostro lavoro e siamo qui per questo. Abbiamo fatto 200 chilometri sotto la pioggia. Io sto bene. Ho preso spunto da tutti i miei compagni di squadra che mi hanno aiutato. Abbiamo battezzato la giornata di oggi con un possibile arrivo di 40-50 corridori e dovevamo provarci io oppure Dorian Godon. Nel finale è andata bene a me e adesso spero di continuare su questa onda…».

Milan è caduto a Foligno e ha affrontato la salita finale senza assilli, arrivando a 17’50” da Vendrame
Milan è caduto a Foligno e ha affrontato la salita finale senza assilli, arrivando a 17’50” da Vendrame

L’astuzia di Vendrame

Appena il gruppo si è lasciato Foligno alle spalle, il gioco era individuare gli uomini di classifica sulla salita finale. La caduta di Milan ci ha fatto saltare, per cui averlo rivisto al traguardo in apparenti buone condizioni è stato un sospiro di sollievo. Jonathan non si è fermato a parlare, il dottore lo ha prelevato dopo la premiazione e lo ha indirizzato verso il pullman. Nella nostra ricerca dei favoriti, spiccava la facilità di Ganna in salita, si vedeva Ciccone sgambettare nelle prime posizioni. Van der Poel allungare e Ayuso tentare il colpo a sorpresa. Eppure in tutto quel tempo, Vendrame non lo avevamo proprio visto, nascosto come un cecchino nelle sagome dei rivali.

«Il segreto – ammette – era scollinare con i primi e poi portare la bici fino agli ultimi 300 metri dall’arrivo. Sapevo che la carreggiata si restringeva, quindi anticipare un attimo lo sprint era la cosa fondamentale da fare. Si è trattato di restare calmi e freddi e questo sicuramente mi ha aiutato. Nella mia carriera non ho vinto tantissimo. Due tappe al Giro (oltre a Sappada, quella del 2021 a Bagno di Romagna, ndr) e altre corse in Francia. Vincere alla Tirreno è eccezionale, mi mancava un risultato esterno al Giro d’Italia. La squadra mi chiede tanti risultati per il discorso dei punti, io penso di aver fatto vedere che sono sempre costante e utile per il lavoro che mi chiedono. Oggi l’importante era aspettare il momento giusto e attendere la volata. Non potevo fare altro che giocarmela così».

Filippo Ganna ha ringraziato la sua squadra per il grande lavoro fatto
Ganna ha ringraziato la sua squadra per il grande lavoro fatto

Ganna, parole chiare

In questa tenda bianca con il tavolo, i microfoni, poche sedie, qualche giornalista e Vendrame che se ne va, entra di colpo anche Pippo Ganna che oggi avrà benedetto la folta barba su cui aveva scherzato dopo la crono. Il leader ha tenuto bene in salita e adesso è di buon umore.

«Oggi è stata una giornata lunga – dice sorridendo, ma aggressivo – in cui nessuno voleva darci una mano. Fortunatamente nel finale, quando la corsa si è accesa, ho chiesto a Van der Poel se per caso lui potesse mettere un uomo per aiutare ed è stato felicissimo di farlo. Quindi devo ringraziare anche lui e la Alpecin e un po’ meno gli altri che invece se ne sono fregati altamente. E’ stata una tappa lunga, fredda, adesso pensiamo bene a scaldarci. Di sicuro la gamba è buona mi dispiace di non aver vinto. Magari ho sbagliato ad anticipare troppo, però se non lo avessi fatto sarei rimasto con la domanda di cosa sarebbe successo se non lo avessi fatto. Per cui devo dire grazie ai miei compagni che oggi si sono fatti in quattro anche con queste condizioni. Ci siamo difesi, abbiamo difeso la maglia, domani è un altro giorno e speriamo che possa spuntare un po’ di sole».

Van der Poel ha messo un uomo per inseguire i fuggitivi e nel finale ha ripreso l’attacco di Ganna
Van der Poel ha messo un uomo per inseguire i fuggitivi e nel finale ha ripreso l’attacco di Ganna

Tre di fila come nel 2003

Alla Parigi-Nizza la tappa l’hanno mezza neutralizzata per la grandine e la pioggia, qua s’è corso fino alla cima. E’ stata la terza vittoria italiana nelle prime tre tappe, come non succedeva dal 2003 (Cipollini, Pozzato, Cipollini, ndr). E Ganna e Vendrame prima di lui sono due fiori da appuntarsi all’occhiello.

«Nel finale eravamo rimasti io e De Plus – prosegue Ganna – e lui è qua anche per fare classifica, quindi non mi andava di fargli prendere rischi inutili per impostare la volata. Magari sarei riuscito a farlo da solo, ad essere nella posizione giusta e uscirne vincente. Comunque ho avuto un’altra prova che la gamba sta bene e che continuerò a migliorare. Van der Poel è venuto a prendermi? Credo che quando si lotta per la vittoria, non si guardi in faccia nessuno. A parti invertite, avrei fatto anche io lo stesso. Abbiamo molto rispetto giù dalla bici e anche in bici, ma ovviamente quando si è in gara, è gara per tutti. Oggi è venuto fuori un buon test anche in vista dei prossimi appuntamenti di un certo chilometraggio».

Gli ultimi ad arrendersi sono stati Pietrobon e De Bondt, ripresi a 8,9 chilometri dall’arrivo
Gli ultimi ad arrendersi sono stati Pietrobon e De Bondt, ripresi a 8,9 chilometri dall’arrivo

La Sanremo a tempo debito

Resta il dubbio della possibilità di difendere la maglia, ma Ganna non si lancia in previsioni e non si fascia la testa. Dice che oggi la salita era adatta, ma che domani potrebbe essere più dura. Poi con un sorriso scaramantico, aggiunge di non aver guardato il meteo. Si pedalerà fino alla soglia dei 1.600 metri e lassù quest’acqua potrebbe essere neve. «Magari se prima di attaccare avessi chiamato Van der Poel – riflette – forse sarebbe stato diverso. Però la gara è gara e ogni tanto bisogna provarsi e spingersi verso i propri limiti. Alla Sanremo penseremo quando sarà tempo».