Dopo l’Abruzzo, Fiorelli prepara un Giro da protagonista

30.04.2025
5 min
Salva

Nel preparare la valigia per il previsto periodo di altura pre Giro d’Italia, Filippo Fiorelli ci ha messo dentro anche tanti ragionamenti e sogni scaturiti da questa prima parte di stagione. Una prima parte davvero intensa per il siciliano, che ha assommato qualcosa come 31 giorni di gara, viaggiando tra Spagna e Emirati Arabi all’inizio con poche soddisfazioni personali ma tanti chilometri messi nelle gambe e i frutti si sono visti dopo.

Il palermitano secondo nella terza tappa con arrivo a Penne, beffato dal colpo di mano di Oliveira
Il palermitano secondo nella terza tappa con arrivo a Penne, beffato dal colpo di mano di Oliveira

Tornato in Europa infatti, il corridore della VF Group Bardiani ha iniziato a crescere di condizione, centrando una Top 10 alla Tirreno Adriatico, difendendosi più che bene nelle classiche francesi post Classicissima e infine archiviando una seconda parte di aprile da corridore di spicco, non uscendo mai dai primi 8 e svolgendo un ruolo da protagonista assoluto al Giro d’Abruzzo, chiuso con la vittoria nella classifica a punti a testimoniare la sua costanza di rendimento.

Risultati importanti soprattutto in proiezione, come spiega il palermitano dal suo ritiro: «Sono contento che il mio essere sempre davanti sia stato notato, ma d’altronde sarebbe stato difficile non accorgersi che sono sempre stato nel vivo delle corse, probabilmente come mai in passato. Mi sono ritrovato anche a lottare per la classifica, cosa che per me è una novità assoluta e alla quale, anche nelle tappe conclusive abruzzesi, non pensavo più di tanto».

Fiorelli è stato protagonista per tutto il Giro d’Abruzzo, finendo 5° e vincendo la classifica a punti
Fiorelli è stato protagonista per tutto il Giro d’Abruzzo, finendo 5° e vincendo la classifica a punti
A che cosa si deve questo salto di qualità?

Ho lavorato bene d’inverno, con tranquillità, senza grandi novità ma svolgendo tutti i lavori senza impedimenti. Che le cose stavano andando bene l’ho visto alla Tirreno-Adriatico dove con un parterre di altissimo livello, in salita rimanevo sempre nel gruppo dei migliori fino alle battute conclusive. Lì correvo senza ambizioni particolari se non quello di allenarmi bene, eppure un piazzamento è arrivato anche lì. Ed ha aperto la porta…

In Abruzzo dici che non guardavi la classifica, eppure eri lì e hai chiuso quinto. Significa che comincerai a farci un pensierino?

No, io resto il Fiorelli di prima. Quello che vuole mettere la sua firma su una prova secca, che sia una corsa in linea o una tappa. I piazzamenti vanno bene e fanno morale, ma io cerco la vittoria che mi manca da due anni a questa parte, anche per ripagare i sacrifici che non faccio solo io, ma la mia ragazza, la mia famiglia, il team. Sono pensieri che porto sempre con me…

Finora il siciliano (qui con Reverberi) ha corso 31 giorni portando in dote ben 188 punti per il ranking
Finora il siciliano (qui con Reverberi) ha corso 31 giorni portando in dote ben 188 punti per il ranking
Nel team sei tra i più “vecchi” pur avendo solo 30 anni. In mezzo a tanti giovani con gente che ha appena valicato la maggiore età. Ti guardano come la guida spirituale e questo ruolo come si sposa a quello di punta del team?

Io a dir la verità non mi sento un vecchio anche perché corro in bici da relativamente poco, nel senso che non ho fatto la trafila delle categorie giovanili, ho iniziato direttamente da secondo anno U23. Invece vedo che intorno a me ci sono ragazzi che in bici ci sono praticamente nati e che paradossalmente pur essendo più giovani vantano più anni d’esperienza in sella. Non sono un Visconti o un Pozzovivo che possono trasmettere tanta esperienza in più. Poi, rispetto a quando ho iniziato io, vedo che tante cose sono cambiate, dai metodi alla nutrizione. Posso dire che molti ragazzi sono anche più preparati di me. Io posso essere utile in gara, magari suggerendo qualche malizia, ma quel che conta è che ci sia armonia e collaborazione.

Alla Tirreno-Adriatico si era visto che la sua forma era in chiara crescita
Alla Tirreno-Adriatico si era visto che la sua forma era in chiara crescita
Ora ti aspetta il Giro d’Italia nel quale solitamente le wild card come la vostra animano le fasi iniziali della corsa. Sarà così anche quest’anno e sarà così anche per te?

E’ questione di interpretazione. Noi non andiamo in fuga solamente per farci vedere, ma per animare la corsa e smuovere le acque. Anche per noi i risultati sono importanti. Io ad esempio voglio andare al Giro con il sogno della vittoria, anche perché secondo me vincere una tappa lì è più semplice che in una gara secca, dove tutti hanno lo stesso obiettivo. Il Giro d’Italia ha equilibri che cambiano di volta in volta, a seconda degli obiettivi dei singoli corridori e delle squadre. Io ora sono in altura per tenere e se possibile migliorare la condizione perché alla corsa rosa voglio vivere belle emozioni.

Ti sei già fatto un’idea delle tappe a te più adatte?

Ho visto solo l’inizio, la parte albanese e la prima tappa sembrano ideale per me, ma so bene che a quella frazione guarderanno in tanti perché vestire la prima maglia rosa fa gola a tutti. Devo studiare bene il programma, cercando le tappe giuste anche per non fare troppa fatica nei giorni precedenti e preparare la giusta tattica. Sicuramente un aiuto lo potrà dare avere la classifica già delineata.

Alla ruota di Biagini. Fiorelli nel team è oggi il più anziano pur avendo solo 30 anni
Alla ruota di Biagini. Fiorelli nel team è oggi il più anziano pur avendo solo 30 anni
Perché ti piace tanto la prima tappa?

Perché è una frazione dove non credo che i velocisti puri riusciranno a essere protagonisti. Ci sono 5 chilometri di salita dove credo che gente come Pedersen e Van Aert farà la differenza, imporrà un alto ritmo. Io intanto voglio far vedere che quel ritmo posso sopportarlo, d’altronde è un po’ il mio punto di forza tenere gli strappi ed essere ancora veloce. In un gruppo ridotto posso giocare le mie carte. Io dico che può succedere di tutto…

La Colnago V5Rs di Longo Borghini: «Una bici che mi segue»

30.04.2025
6 min
Salva

LIEGI (Belgio) – E’ stato un colpo di fulmine. Salire su questa bici è stato come un colpo di fulmine. Perché è reattiva, ti segue. Inizia così l’intervista a Elisa Longo Borghini che ci parla della sua nuova Colnago V5Rs.

Vi avevamo già detto di questa nuova perla del brand lombardo. Lo avevamo fatto da un punto di vista strettamente tecnico, della struttura, della costruzione… Ora passiamo all’atleta. Il riscontro della professionista è sempre qualcosa in più. L’atleta che sul mezzo ci lavora, ci gareggia, ci vince. Sensibilità che solo chi corre ad un certo livello può avere, tanto più che ha seguito l’evoluzione del mezzo, passando dalla Colnago V4Rs appunto alla V5.

La Colnago V5Rs di Elisa Longo Borghini
La Colnago V5Rs di Elisa Longo Borghini
Elisa, siamo partiti dalla reattività, come hai detto. Hai avvertito subito la differenza rispetto al precedente modello?

Sì, quando sono salita sul V5Rs ho detto: «Ok, questa è la mia bici. Non che il V4 non mi piacesse, anzi. Era una bicicletta con la quale ho avuto subito un buon feeling, ma il V5 è stato per me amore a prima vista.

Bello quando è così…

E’ veramente una bici leggera perché comunque è montata con le ruote Enve 4.5. E grazie anche alla mia misura di telaio, abbastanza piccola, è proprio al limite del peso imposto dall’UCI (6,8 chili, ndr). E’ veloce e in salita, come ho detto, è reattiva. Quando rilancio dopo le curve è una bici che mi segue, che viene con me. Per questo la sento mia e per questo mi piace tanto.

Questo è importante anche per il feeling in discesa. Immaginiamo tu sia più tranquilla…

Chiaramente avere una bici che comandi tu e che non ti porti lei dove vuole fa una grande differenza. In discesa sento che la posso mettere dove voglio io, la posso portare dove voglio io. Poi magari mi ribalterò alla prima curva! Però è veramente una delle biciclette migliori che io abbia mai usato.

Qual è il tuo setup preferito?

Il mio setup prevede le ruote Enve 4.5 quindi con profilo da 45 millimetri e i rapporti 11-34 al posteriore e 54-36 all’anteriore.

La soluzione 54-36 è un bel salto: 15 denti…

Sì, però con Shimano è una cosa che si può fare. In più i nostri meccanici hanno lavorato abbastanza su questo aspetto. Anche a casa ho fatto parecchie prove. E’ una soluzione che funziona, ovviamente bisogna avere una certa sensibilità nella cambiata, però, ripeto, con gli aggiustamenti da parte dei meccanici e la giusta sensibilità da parte dell’atleta si può fare.

Quali sono questi aggiustamenti oltre al “dente di cane”?

La regolazione elettronica e la corretta messa in posa dell’intero cambio stesso.

Restiamo in tema di rapporti, Elisa. Sei passata da Sram a Shimano: altri ingranaggi, altri sviluppi metrici. Come ti sei trovata?

Nel complesso mi sono trovata molto meglio con Shimano, non perché lo Sram non fosse un bel gruppo, anzi… In sei anni che l’ho utilizzato è sempre andato bene. Però Shimano ti dà la possibilità di giocare un pochino di più sulle scelte, di avere sempre le scale perfette per ogni gara. Come dicevo per le corone, io adesso posso montare il 54 e il 36, cosa che con Sram non era possibile. Ero legata al 41 se volevo una corona da 54. Sram infatti fa 50-37, 52-39, 54-41.

Tra Longo Borghini la Colnago V5Rs subito un grande feeling (foto Instagram)
Tra Longo Borghini la Colnago V5Rs subito un grande feeling (foto Instagram)
Chiarissima…

La cosa che forse mi manca un pochino di Sram è il 10, che Shimano non fa. Però alla fine con il 54 davanti sono arrivata ad un ottimo compromesso. Prima usavo quasi sempre la soluzione con il 52 davanti, adesso ho il 54: due denti in più, pertanto siamo lì. Il 52×10 mi tornava utile nelle discese veloci. Il vantaggio attuale è che con il 54, in generale, non solo in discesa, posso tenere la catena più dritta.

Invece in quanto ad ergonomia delle leve e alla cambiata?

Eh – sospira e sorride Elisa – questo all’inizio non è stato semplice. Anzi, direi che è stato un po’ un trauma! Anche nell’ultima Amstel Gold Race mi è capitato di aver fatto una cambiata come se avessi ancora Sram, pensando di aver messo il 36. Morale: mi sono accorta in cima al Cauberg di averlo fatto, e per ben due volte, con il 54. Ho detto: «Wow, vabbè almeno le gambe vanno bene!».

Se ti può consolare, Davide Formolo più o meno per lo stesso motivo fece il Giau con la corona grande!

Sì, ma non ho la stessa forza di Formolo! E’ stata una mia sciocchezza, ma può succedere dopo tanti anni… Specie quando sei un po’ annebbiata.

Passiamo alle tue misure, Elisa. Nel passaggio dalla Colnago V4Rs alla V5Rs, hai ritoccato qualcosina?

E’ cambiato veramente poco perché i due telai hanno le stesse geometrie. Il V5 è 2-3 millimetri più lungo nelle misure maggiori, io in tal senso sono stata fortunata. C’erano 1-2 millimetri di differenza quindi è tutto rimasto come sul V4, per così poco non si è toccato nulla.

Quindi anche le specifiche?

Sì, tutto uguale: pedivelle da 170 millimetri e attacco manubrio da 125. Stessi spessori sotto al manubrio. Idem l’arretramento della sella. Sella che cambiando squadra è nuova: ho scelto la Fizik Antares ed è posta ad un’altezza, come sempre, di 70 centimetri.

Capitolo gomme…

La copertura che uso di più è il tubeless Continental Gran Prix 5000 TT da 28 millimetri, che di suo è già abbastanza grande (il 28 Continental corrisponde a un 29 delle altre marche, ndr) e sulle Enve, con canale interno largo, sembra ancora più cicciotto. In effetti, osservando anche le gomme delle altre, ho notato anch’io che sembra più grande di un 28 millimetri. Fino all’anno scorso usavo il 28 Pirelli e noto la differenza. Non solo, ma stando a casa con Jacopo (Mosca, il marito in forza alla Lidl-Trek, ndr) noto che il Continental 28 sembra più grosso.

Passando da Pirelli a Continental: le tue pressioni di riferimento sono cambiate?

Chiaramente a dettare le pressioni sono il meteo e la corsa, cioè pavé o non pavé, sterrato… Però rispetto a prima uso delle pressioni molto più basse. Viaggio a 3,8 davanti e 4 dietro. A volte anche 3,6 e 3,8. E devo dire che mi sto trovando molto bene.

De Marchi, il dado è tratto, ma c’è ancora tanto da fare

30.04.2025
6 min
Salva

«Se ti ricordi, ci siamo visti a dicembre – attacca De Marchi – e sei partito subito con la domanda secca: è l’ultimo anno da corridore? In realtà lì non c’era di niente di deciso, ero ancora in una fase molto riflessiva, mettiamola così. Ho finito di riflettere e ho preso la decisione una quindicina di giorni dopo che ci siamo visti. Stavo per andare a Gran Canaria con la famiglia per allenarmi e poco prima di partire ne ho parlato con Anna ed ero arrivato a questa conclusione».

Dopo tanti anni, finisce che basta uno sguardo. Per cui, quando il 9 dicembre ci trovammo faccia a faccia, fu subito chiaro che avevamo di fronte un uomo al bivio e venne naturale fargli la domanda diretta per osservarne la reazione. Si era quasi alla fine del viaggio, serviva il tempo per dirselo nel modo giusto.

Lunedì 9 dicembre, primo pomeriggio ad Altea, Spagna. Si capiva che i pensieri di De Marchi fossero in subbuglio
Lunedì 9 dicembre, primo pomeriggio ad Altea, Spagna. Si capiva che i pensieri di De Marchi fossero in subbuglio

Lo capisci che si emoziona quando le frasi si allungano e le parole si ripetono, a tratti faticano per uscire. Non è facile raccontare quello che hai dentro. Non è facile mettere il punto e forse per questo il modo che ha scelto per farlo è stato un video molto emotivo in cui ha potuto dire la sua senza altri occhi addosso che la lente della telecamera.

Quando l’hai capito?

Non è stata una fase brevissima, è servito qualche mese e la calma dell’inverno è stata l’occasione giusta per mettere insieme i pezzi e guardarmi indietro.

La somma dei segnali?

Sembra assurdo, ma ho realizzato che uno dei campanelli d’allarme era suonato quando l’anno scorso ho vinto la tappa al Tour of the Alps. E’ stato stato sicuramente un giorno memorabile, di quelli belli che ti ricordi. Però pensandoci bene dopo, ho realizzato che rispetto ad altre vittorie e altre giornate, quello che avevo ricevuto indietro in termini di energia e di spinta era parecchio meno rispetto al passato. Quella cosa mi ha aperto gli occhi.

Tour of the Alps 2024, De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Eppure non è il giorno speciale che pensava
Tour of the Alps 2024, De Marchi torna alla vittoria dopo 924 giorni di digiuno. Eppure non è il giorno speciale che pensava
Ti ha dato la spinta per guardarci davvero dentro?

Alla fine, se ci pensi, la cosa difficile, almeno per me, è stato avere il coraggio di guardarmi allo specchio e ammettere che quello che ho fatto per 15 anni inizia quasi a non a non piacermi più. Che non è più la cosa principale in cui mi vedo guardando un poco più avanti. E’ stato decisivo anche capire che, quando pensavo al futuro, la prima cosa che mi immaginavo era diverso dall’essere vestito in lycra e correre in bici.

Hai pensato di far finta di non aver capito?

E’ la prima tentazione che ti assale: ignorare i segnali e rientrare nella solita parte. Non puoi farlo, è pericoloso, però è anche difficile prenderne atto. Significa smettere di essere la persona che sei stato per 15 anni. Devi fartene una ragione da un momento all’altro. Andare avanti significherebbe recitare una parte, ma perché dovrei farlo? Per come sono io, ho sempre corso per il piacere, per la passione, per riuscire a fare certe cose. Nel momento in cui ho capito che avrei potuto firmare un altro contratto solo per prendere i soldi, proprio in quel momento ho iniziato a vacillare.

Ci sarà tutto il tempo per fare bilanci, la sensazione di adesso qual è?

Mi sono tolto un peso. Il video è stato la fine di questo percorso. Il primo passo è stato ammetterlo a me stesso, dirlo a ad Anna, alla mia famiglia e quelli più vicini. Poi parlarne con la squadra. Avevo in mente da tempo questa cosa del video e devo dire che le ultime settimane, quando era tutto pronto e stavamo aspettando il momento giusto, sono state interminabili. Aspettavo con ansia quel martedì e quando il video è andato online, mi sono tolto effettivamente un peso.

Volta Catalunya, De Marchi al via della 15ª stagione da professionista, accanto ad Aleotti, altro figlio del CTF
Volta Catalunya, De Marchi al via della 15ª stagione da professionista
Sai che su ogni palco da qui a fine anno ti chiederanno cosa si prova a fare la tale corsa per l’ultima volta?

E’ già cominciato. E’ successo ogni giorno (ride, ndr), però ci si fa il callo, come per tante altre cose. E poi devo dire che è bello vedere la reazione di persone, amici e tifosi. Qualche giorno fa sono andato a vedere una gara di Andrea (il suo primo figlio, ndr) che corre nei giovanissimi. E sono stato letteralmente travolto da questa cosa. Persone che hanno visto il video e mi hanno fatto i complimenti per il modo in cui io l’ho annunciato. C’è stata una bella reazione e per me è la conferma di aver interpretato bene il mio mestiere in tutti questi anni.

Cancellara annunciò che avrebbe smesso e poi vinse l’ultima gara della carriera: le Olimpiadi di Rio a crono. Serve tanta testa: un annuncio del genere toglie motivazioni?

Ammetto di aver risentito soprattutto di questo processo di riflessione e poi l’attesa dell’annuncio. Non nascondo che questo mi ha tolto un po’ di energie. Ma dal momento in cui l’ho detto, è tornata la solita concentrazione. Ci tengo veramente tanto a fare bene il mio lavoro e questo ha ripreso il sopravvento. Correrò sicuramente con una nuova consapevolezza, cambia un po’ tutto. Adesso sono in preparazione per il Giro d’Italia, la testa è lì. Per essere perfetto o almeno il migliore possibile.

Come l’hanno presa Anna e i bambini?

Anna, ovviamente, era la prima ad aver intuito tutto. Mi ha lasciato fare i miei ragionamenti. E poi quando gliel’ho detto, mi ha confermato che lo sapeva già. E’ contenta, perché sa cosa significhi fare questo lavoro. I bambini hanno visto il video e soprattutto Andrea ne è rimasto sicuramente colpito, però sono sereni.

Uomo da grandi fughe e grandi tirate, De Marchi correrà domani a Francoforte, poi è atteso dal 9° Giro della carriera
Uomo da grandi fughe e grandi tirate, De Marchi correrà domani a Francoforte, poi è atteso dal 9° Giro della carriera
Quindi adesso una settimana a casa e poi si parte per l’Albania?

Anche meno, in realtà. Dopo il Tour of the Alps sono stato due giorni a casa. Poi si parte per Francoforte (la Eschborn-Frankfurt si correrà domani, ndr). Quindi torno a casa e, come tradizione vuole, farò un pranzo con gli amici più stretti del CTF Lab e compagnia, e poi si parte per il Giro.

E allora ci vediamo in Albania…

Volentieri. Però la prossima volta che dovremo parlare di cose serie, lo faremo con una birra davanti. Lo sapete che sono aperto a tutte queste cose…

VF Group al Giro, l’ora del debutto per Martinelli e Pinarello

30.04.2025
4 min
Salva

La wild card in più concessa agli organizzatori dei tre Grandi Giri ha permesso a RCS Sport di invitare al Giro d’Italia due delle tre professional italiane: Vf Group-Bardiani CSF-Faizanè e Polti VisitMalta. Di quest’ultima abbiamo parlato, concentrandoci sul Giro di Piganzoli. Per il team di Bruno e Roberto Reverberi, invece, il discorso si fa un po’ più ampio. 

Con la partenza di Pellizzari e l’addio al ciclismo di Pozzovivo le possibilità di fare classifica sono sfumate. L’attenzione degli otto scudieri di Reverberi sarà sulle singole tappe e le possibilità di fuga. Il Tour of the Alps, corso senza troppi squilli ma in maniera abbastanza solida, è stato un’anticipazione di quello che vedremo a partire dall’Albania

Atteggiamento giusto

Sulle montagne del trentino Roberto Reverberi ha sciolto gli ultimi dubbi di formazione, decidendo chi andrà a completare la formazione della Vf Group-Bardiani. 

«Uscivamo dai cinque giorni di gara del Tour of the Alps – racconta Roberto Reverberi mentre si fa spazio tra i tanti impegni – dove c’era un solo dubbio su chi portare. Alla fine abbiamo scelto per Alessio Martinelli, non tanto perché valga più o meno degli altri, ma per l’atteggiamento che può avere in corsa. E’ uno capace di muoversi e scegliere il momento giusto. In una corsa come il Giro serve questo tipo di idea, andare in fuga. Chiaramente lo si deve fare quando è possibile e non nelle tappe in cui sappiamo di non avere spazio. Abbiamo visto che se restiamo ad aspettare il finale i migliori ci fanno fuori. E tra un ventesimo posto e una fuga fatta bene molto meglio la seconda opzione».

Marcellusi è una garanzia per quanto riguarda le fughe, qui con bici.PRO nel sopralluogo di Tagliacozzo
Marcellusi è una garanzia per quanto riguarda le fughe, qui con bici.PRO nel sopralluogo di Tagliacozzo

L’esordio di Pinarello

Dopo il debutto di Giulio Pellizzari lo scorso anno, in questa edizione della Corsa Rosa è arrivato il momento di Alessandro Pinarello. L’altro ragazzo che ha dato il via, insieme al marchigiano, al progetto giovani della Vf Group-Bardiani. Al quarto anno con la professional italiana è arrivato il momento per lui di misurarsi con le tre settimane di gara. 

«Fino alla Coppi e Bartali – spiega Roberto Reverberi – ha corso con continuità, poi abbiamo deciso di fermarlo e dargli un attimo di respiro. Al Tour of the Alps non è andato secondo le aspettative, ma è migliorato giorno dopo giorno ed ha avuto il coraggio di muoversi e provare. Per Pinarello abbiamo pensato a un calendario totalmente con i professionisti e questo passaggio fa parte della crescita. Prendere parte a un Grande Giro, come ha fatto Pellizzari lo scorso anno, ti cambia il motore. Pinarello è uno dei giovani chiamato al salto di qualità, anche perché in squadra non ci sono più i “vecchi” come Zoccarato o Tonelli».

Fiorelli, uscito in grande forma dal Giro d’Abruzzo, sarà una delle pedine di riferimento al Giro
Fiorelli, uscito in grande forma dal Giro d’Abruzzo, sarà una delle pedine di riferimento al Giro

Lo spunto di Fiorelli

L’uomo di esperienza per la Vf Group-Bardiani sarà Filippo Fiorelli, il siciliano arriva da un Giro d’Abruzzo corso in maniera solida con un quinto posto finale e la maglia della classifica a punti. Tornato a casa ha rifatto le valigie per andare in altura sull’Etna in vista del Giro. 

«Fiorelli sarà il nostro uomo per le volate – conclude Roberto Reverberi – ma non trattandosi di un velocista puro sappiamo potrà fare bene anche nelle tappe miste. Il Giro d’Abruzzo ci ha dato le risposte che ci aspettavamo da un corridore come lui. In tutto questo non dobbiamo dimenticare Enrico Zanoncello, anche lui è uno che quando il percorso si fa mosso è in grado di rimanere tra i primi. In generale il nostro obiettivo al Giro sarà di vincere una tappa, vogliamo onorare la corsa e l’invito ricevuto da parte di RCS. Negli anni i nostri ragazzi si sono fatti vedere e hanno fatto parlare di loro e questo è il nostro obiettivo».

La Roubaix e la Liegi di Stefano Viezzi, all’esordio tra gli U23 

29.04.2025
6 min
Salva

Stefano Viezzi è uno dei prospetti più interessanti del panorama italiano. Si è fatto conoscere al grande pubblico nel 2024, vincendo il campionato del mondo di ciclocross tra gli Junior e quest’anno, sempre nel ciclocross, ha vestito la maglia tricolore tra gli U23.  

In questa stagione ha anche fatto il suo esordio nell’Alpecin–Deceuninck Development Team, con il quale ha corso le prime grandi classiche su strada della sua carriera, come la Parigi-Roubaix e la Liegi-Bastogne-Liegi dedicate agli U23, dove ha colto rispettivamente un 29° e un 87° posto (in apertura foto di Anouk Flesch). Ci siamo fatti raccontare direttamente da lui com’è andata questa nuova esperienza.

La formazione dell’Alpecin–Deceuninck Development Team alla Roubaix U23, con Viezzi che spicca al centro (foto Nombre Media)
La formazione dell’Alpecin–Deceuninck Development Team alla Roubaix U23, con Viezzi che spicca al centro (foto Nombre Media)
Stefano, raccontaci la tua esperienza nelle classiche del nord, ad iniziare dalla Parigi-Roubaix.

E’ stata la mia prima gara tra gli Under su strada, sapevo che il livello era alto, ed iniziare con la Roubaix è stato impegnativo. Però mi sono trovato bene, mi ero preparato, ero in una buona condizione. Essendo al primo anno nella categoria non dovevo fare risultato, ero lì per aiutare la squadra. I giorni precedenti aveva piovuto e alcuni tratti in pavè erano bagnati, dovevi saper guidare bene la bici e l’esperienza col cross mi ha aiutato.

Un 29° posto significa che te la sei cavata bene

Ero nel gruppo di testa fino a circa tre quarti di gara, poi mi è caduta la catena e lì ho perso la scia dei migliori. A quel punto ho dovuto inseguire nel secondo gruppetto, quello che si è giocato le posizioni dal decimo posto in poi. Io non essendo un velocista non ho potuto fare molto di più di quello che ho fatto. Devo dire che ero anche un po’ stanco, non ero lucidissimo nel finale e mi sono fatto abbastanza tirare dal gruppo, dando comunque qualche cambio.

Viezzi sfinito al termine della Roubaix, dopo una buona prestazione all’esordio nella categoria (foto Anouk Flesch)
Viezzi sfinito al termine della Roubaix, dopo una buona prestazione all’esordio nella categoria (foto Anouk Flesch)
E l’approccio con il pavè?

L’ho provato per la prima volta due giorni prima della gara. Non mi aspettavo che fosse così dissestato, dalla tv non rende l’idea, le vibrazioni erano fortissime. Poi dopo un po’ ho iniziato a farci l’abitudine, capire dove stare e come guidare. E’ una sensazione strana, non avevo mai provato una cosa così, ma forse un giorno può diventare un punto a mio favore. Durante la gara gli ultimi tratti sono stati i più impegnativi, anche perché venivano dopo 140-150 chilometri, e comunque ho dovuto farli a tutta per non perdere le ruote di quelli davanti.

Quindi possiamo dire che la Roubaix può essere una gara per te?

Direi di sì. Per uno stradista ovviamente è più facile se è asciutto, se è bagnato però cambia tutto. Ho visto tanta gente andare giù nei tratti infangati, dove io invece mi trovavo a mio agio. Pensavo fosse più pianeggiante, invece alla fine è abbastanza mossa. Comunque mi è piaciuta e vorrei tornarci più avanti per provare a fare risultato.

Il podio iridato dei mondiali di ciclocross Juniores 2024, quando Viezzi si è rivelato al mondo
Il podio iridato dei mondiali di ciclocross Juniores 2024, quando Viezzi si è rivelato al mondo
Passiamo alla Liegi, dove sei arrivato nelle retrovie.

Non è proprio la gara più adatta a me che sono abbastanza pesante, con quelle salite con rampe a doppia cifra, ma questo già lo sapevo. Quel giorno ho sofferto un po’ e in più ho avuto due piccole sfortune.

Quali?

Ho lavorato per la squadra nei primi 80 km dove non c’erano salite dure, poi poco prima di uno dei tratti difficili sono finito fuoristrada e sono dovuto ripartire da dietro. Ero con un gruppetto e abbiamo provato a rientrare ma a quel punto era impossibile perché davanti avevano aperto il gas. Poi a un chilometro dall’imbocco della salita più dura, al chilometro 138, mi è caduta la catena e sono dovuto rientrare da solo, altrimenti la mia gara sarebbe finita lì. Diciamo che non è stata la mia gara, sia per il percorso che per la giornata in sé.

Stefano ha scelto la Alpecin-Deceuninck Developent perché gli permette di coniugare al meglio strada e ciclocross (foto E.L. Photographer)
Stefano ha scelto la Alpecin-Deceuninck Developent perché gli permette di coniugare al meglio strada e ciclocross (foto E.L. Photographer)
Ma sei al primo anno da U23, quindi tutta esperienza. Com’è stato il passaggio in questa categoria?

La cosa principale è che l’U23 si sviluppa in 4 anni, quindi ti confronti anche con ragazzi che hanno tre anni più di te, mentre fino agli Junior lo scarto era al massimo di un anno. Si nota che qui si è quasi tra i professionisti, tutto è curato nel dettaglio, specie nelle squadre come la mia che hanno un corrispettivo nel World Tour. Sarei curioso di capire davvero la differenza che c’è tra gli U23 e i professionisti, visto che alcuni ragazzi fanno anche gare tra i grandi. Però ecco, per tornare alla tua domanda, per ora non mi sto trovando male. Certo, sto anche capendo che devo ancora migliorare molto.

Dove per esempio?

Soprattutto sulla resistenza e sull’esplosività. Sulla resistenza per tenere anche su salite brevi ma dure, e sull’esplosività perché è fondamentale anche in ottica Roubaix. Per esempio per giocarsi un piazzamento in un arrivo in volata nel velodromo.

Viezzi è passato nel team di Van der Poel quest’anno, la scorsa stagione correva con la Work Service su strada e con il BTEAM Cycloross Project nel cross (foto Billiani)
Viezzi è passato nel team di Van der Poel quest’anno, la scorsa stagione correva con la Work Service su strada e con il BTEAM Cycloross Project nel cross (foto Billiani)
La prossima gara in calendario?

La Gand-Wevelgem l’11 maggio. Mi hanno detto che è più simile alla Roubaix che alla Liegi, quindi dovrebbe essere abbastanza adatta a me. Poi per ora non ho altre gare in programma, si parlava di provare corse di un giorno ad inizio stagione e poi qualche corsa a tappe, ma dobbiamo ancora decidere. In squadra siamo in 20 e si gareggia solo in 6, quindi deciderà lo staff. Se dovessi dare una mia preferenza mi piacerebbe fare il Giro del Friuli, essendo una gara importante a casa mia.

Stefano, ultima domanda. Dopo la vittoria ai mondiali di ciclocross hai scelto di andare nella squadra di Van der Poel. Stai seguendo le sue orme?

Lui è una star in tutti i sensi, sta abbastanza per conto suo e non ci ho parlato, ma è giusto così alla fine. Ho scelto la Alpecin perché mi permette di fare sia strada che cross, quando altre mi proponevano di correre su strada con loro e di fare il cross con un’altra, ma è un modo che non può funzionare bene. Loro in questo sono i migliori e l’hanno dimostrato appunto con Van der Poel. Mi sto trovando bene perché hanno uno staff perfetto, con tutte le figure necessarie che mi seguono da vicino e permettono di concentrarmi solo sulle gare. Perché per andare bene in corsa devi stare bene prima e dopo, e su questo aspetto parliamo la stessa lingua ciclistica. Come atleta sento che mi devo ancora formare, devo scoprirmi anch’io, e questo è il posto giusto per farlo.

Vredestein Superpasso PRO TLR, il tubeless per correre

29.04.2025
5 min
Salva

Evolve il tubeless di punta della gamma Vredestein. Ora il Superpasso TLR adotta il suffisso PRO ed incorpora una nuova soluzione tecnologica relativa alla costruzione della carcassa.

Active Control Technology viene introdotta con il nuovo pneumatico TLR (disponibile anche nella versione copertoncino). Si tratta di una carcassa con fili direzionali e non sovrapposti, con una drastica riduzione di peso. Entriamo nel dettaglio.

Vredestein Superpasso PRO TLR, il tubeless per le competizioni
Vredestein Superpasso PRO TLR, il tubeless per le competizioni

Superpasso PRO TLR vs TLR

Il DNA Vredestein resta ed è ben visibile anche nell’ultima versione. Non cambia il design del battistrada (che rimane pastoso e quasi malleabile, in special modo con l’aumento della temperatura esterna), caratterizzato dai lunghi intagli laterali con le classiche “punte” che si spingono verso il centro dello pneumatico. La mescola adotta un blend di tre densità differenti (TriComp Technology). Resta anche la forma tipica di Vredestein, con un tubeless molto rotondo una volta montato/gonfiato alla pressione adeguata.

La nuova tecnologia Active Control del battistrada è introdotta per la prima volta su gomme tubeless. Si riferisce alla carcassa, dove un singolo layer direzionale di tessuto (senza sovrapposizioni), permette di risparmiare peso e aumenta le performance. Lo pneumatico, a parità di sezione e se messo a confronto con la versione più anziana, è più veloce e reattivo, più leggero e più resistente.

Tre larghezze disponibili

25, 28 e 32 millimetri di larghezza, misure mutuate anche dalla versione per camera d’aria, così come le colorazioni, total black o con i fianchi beige. Molto interessanti i valori alla bilancia dichiarati, soprattutto per la versione tubeless: 265, 280/290 e 315/325 grammi (è piuttosto leggero, al di sotto della media della categoria).

Resta nel range di una categoria top level il copertoncino, con pesi dichiarati compresi tra i 195 e 245 grammi (da evidenziare che la colorazione beige/transparent risparmia qualche grammo, rispetto alla total black). Abbiamo rilevato un valore alla bilancia di 288 grammi per lo pneumatico da noi utilizzato durante il test, 28×622 nella colorazione beige/transparent.

I nostri feedback

Rispetto alla generazione precedente il tubeless è stato migliorato di molto, soprattutto nella tenuta (anche in curva ad andatura elevata) della velocità e nelle fasi in cui lo pneumatico deve assecondare/aiutare i cambi di ritmo. Il nuovo Superpasso PRO è decisamente più reattivo. Resta un comfort di buon livello, considerando la categoria del quale fa parte. Il nuovo si spinge in modo maggiore verso una prestazione di livello top.

Ottimale la gestione del range di pressione, fattore che aumenta la sfruttabilità dello pneumatico. Raggiunge il suo massimo quando l’asfalto è secco, asciutto e la temperatura passa i 20°, ma si comporta bene anche con asfalto umido e temperature che scendono sotto i 15°. Come tutti i Vredestein, anche il nuovo PRO (una volta montato e gonfiato alla pressione di esercizio adeguata/preferita) è molto rotondo e presenta dei fianchi dritti (non bombati verso l’esterno). Questo aspetto è da considerare nell’ottica della misura effettiva dello pneumatico, che tende ad essere più abbondante della dichiarata. L’esempio è il nostro doppio test: con un canale interno del cerchio la misura effettiva è di 29 millimetri, con un canale da 23 il Superpasso PRO arriva a 31. Quindi, attenzione alle tolleranze con il telaio e alla pressione di gonfiaggio.

Cerchio con canale interno da 23 millimetri, larghezza effettiva della gomma 31 millimetri
Cerchio con canale interno da 23 millimetri, larghezza effettiva della gomma 31 millimetri

In conclusione

Il nuovo Vredestein Superpasso PRO TLR è uno di quegli pneumatici fatti per essere sfruttati durante le gare. E’ cucito sulle esigenze di chi vuole sentire la gomma, che ama una certa secchezza da parte dello pneumatico in fase di accelerazione cambio ritmo, senza mai rinunciare al grip. E’ dedicato anche a chi vuole sentire girare la gomma sulla strada, ben inteso che non è uno pneumatico rumoroso.

La tenuta di strada è eccellente ai lati dove entra in gioco anche la forma rotonda che permette di sfruttare tutto il tubeless. Infine, il nuovo Vredestein è uno di quei tubeless che mette tutto sul piatto quando fa caldo e la temperatura dell’asfalto si alza.

Vredestein

“Filo” Agostinacchio, un anno senza paura puntando al massimo

29.04.2025
5 min
Salva

Negli stessi giorni in cui il fratello Mattia annunciava l’approdo dal 2026 alla EF Education-EasyPost, Filippo Agostinacchio infilava una serie di ottimi piazzamenti nelle più impegnative classiche di aprile. Così se il piccolo si è guadagnato il professionismo grazie al titolo mondiale juniores di ciclocross dello scorso gennaio a Lievin, per il più grande della nidiata valdostana (22 anni compiuti il 26 aprile) quel traguardo dovrà essere per forza la conseguenza dei risultati su strada.

Il suo approccio con gli anni che passano non tradisce alcun tipo di nervosismo. La base di tutto sono il lavoro e la convinzione nei propri mezzi, del finale si parlerà quando sarà stato scritto. Lo spunto per questa chiacchierata sono proprio i piazzamenti ottenuti a San Vendemiano, al Recioto e al Belvedere, battuto dai corridori dei devo team, ma senza il senso di inferiorità che in anni passati ha reso il confronto improponibile. C’è un ristretto numero di squadre continental in Italia che lavora nel modo giusto e gli effetti alla fine si ripercuotono sugli ordini di arrivo. La Biesse-Carrera è una di queste.

Si può dire che, lavorando bene, le differenze non sono poi così incolmabili?

Alla fine, se lavori bene, è così. Poi ovvio che io sono un quarto anno, quindi ho anche più anni di loro alle spalle. Però è vero anche che non ho l’esperienza e le opportunità che loro hanno già avuto, quindi sono cresciuto in maniera diversa.

Dodicesimo al Belvedere poi quinto al Recioto, qual è stato il più difficile da centrare?

Tra le due giornate, sicuramente quella in cui stavo peggio è stata il Belvedere, quindi ho fatto decisamente più fatica lì che al Recioto, dove stavo decisamente meglio.

Il quarto anno da U23 sarà decisivo per il seguito della carriera?

Diciamo che dopo il quarto anno under 23, forse ne rimane un altro da elite, ma solo se sei uno che è sbocciato tardi. Quindi se questo non è l’anno decisivo, è comunque il penultimo. Però io lo sento come l’anno giusto, ma senza pressione. Prendo quello che viene e mi godo il processo.

La stagione di cross di Filippo Agostinacchio si è conclusa il 30 dicembre. A novembre è stato oro nel team relay degli europei
La stagione di cross di Filippo Agostinacchio si è conclusa il 30 dicembre. A novembre è stato oro nel team relay degli europei
Con questa consapevolezza, l’ultimo inverno è stato diverso dai precedenti?

A livello di impegno, è rimasto lo stesso di sempre, anzi probabilmente quest’anno è stato inferiore. Non come impegno fisico e di ore, ma come pressione mentale che mi metto addosso da solo. Sono più tranquillo. Mi sono detto: «Se va bene, va bene. Se va male, comunque avrò dato il massimo».

Hai fatto meno cross per restare più concentrato sulla strada?

Sono stato costretto a ridurlo perché ho avuto un infortunio alla schiena. Ho smesso a fine dicembre, ma ormai ho superato l’infortunio e adesso va tutto bene. Sto recuperando. Ancora non posso andare in palestra, che è un po’ limitante, soprattutto nelle gare esplosive, però sto compensando bene.

Ci siamo detti che sono poche le continental italiane che lavorano al livello dei devo team. Perché alla Biesse-Carrera si lavora bene?

Perché siamo come una famiglia. Siamo molto uniti e abbastanza maturi dal dire che quando uno sta meglio, si corre e si lavora per lui. Senza che ci sia bisogno di puntare i piedi, si fa spontaneamente. Dario e Marco (Nicoletti e Milesi, i due diesse del team, ndr) sanno riconoscere lo spazio che meritiamo e noi ragazzi siamo in grado di capire le situazioni. E’ chiaro che ognuno voglia spazio per sé, però bene o male ci diamo tutti una mano.

Sesto al Memorial Polese, seconda corsa di stagione. Agostinacchio ha appena compiuto 22 anni (photors.it)
Sesto al Memorial Polese, seconda corsa di stagione. Agostinacchio ha appena compiuto 22 anni (photors.it)
A parte Laigueglia, non sei mai uscito dai primi 10. Senti di essere al tuo meglio?

Sento di stare bene e che adesso manca soltanto il guizzo per vincere, la vera cosa che conta. Penso di aver già mostrato qualcosa di buono nelle gare di aprile, ma questa primavera non è ancora finita, anche se non credo che correrò ancora tra i professionisti. E poi comunque si tratterà di andare in altura a Livigno per preparare il Giro Next Gen, dove spero di tirar fuori qualcosa di buono.

Perché ti sei fermato al Giro d’Abruzzo?

Sono stato male per tre giorni. Nel primo, ho patito il viaggio. Poi sono un po’ stato meglio, mentre il terzo ho dormito di nuovo male. E la terza tappa non sono riuscito a terminarla, anche perché il meteo non mi ha dato una mano (Agostinacchio si è fermato nel giorno di Roccaraso, quando pioveva forte e quasi ha nevicato, ndr).

Ti capita ancora di allenarti con tuo fratello?

Quando ci vediamo, sì. Quando abbiamo la fortuna di stare insieme, ci alleniamo. Sono stato 20 giorni lontano da casa, quindi di recente non l’ho proprio visto.

Lo scorso anno in maglia Beltrami, Agostinacchio ha centrato il 3° posto alla Freccia dei Vini e a Collecchio
Lo scorso anno in maglia Beltrami, Agostinacchio ha centrato il 3° posto alla Freccia dei Vini e a Collecchio
Il fatto che lui abbia già annunciato il passaggio è una motivazione per te?

Non risento della disparità e non la vivo come tale. L’ho visto crescere e da un anno e mezzo lo alleno io, sotto supervisione di mio padre. Quindi non posso che essere contento. Dite che mi sono trovato un lavoro per quando sarò grande? Non lo so, adesso non ci penso. Mi piacerebbe conoscere le tappe del Giro e cominciare a prepararmi, ma ancora nessuno ne sa niente. Ci sarà da aspettare ancora…

ESCLUSIVO / Una giornata nella nuova galleria del vento di MET

29.04.2025
6 min
Salva

TALAMONA – Pensare che in questa piccola frazione circondata dalle montagne della Valtellina, dove la natura è ancora padrona e il verde incanta gli occhi, sia presente uno degli strumenti più all’avanguardia e unici nel mondo del ciclismo fa quasi specie. Tuttavia MET Helmets ci ha abituato, nel corso degli anni, a questa sua caratteristica: guardare avanti.

L’azienda produttrice di caschi ha avuto come obiettivo quello di innovare e rinnovare. Lo ha fatto anche questa volta, con la costruzione di una galleria del vento interna alla propria struttura. Aprendo una semplice porta si viene proiettati in un capannone enorme, al centro una scaletta che porta a uno spazio rialzato con tutti i dispositivi di controllo. C’è una scrivania doppia, dove i tecnici possono monitorare i lavori e plasmare i setting possibili della galleria del vento (in apertura foto Ulysse Daessle). 

Appositamente studiata

Alziamo gli occhi ed eccola davanti a noi: The Tube. Questo è il nome scelto da MET per identificare uno dei suoi macchinari più innovativi e costosi. Un investimento enorme, che ha portato a una riqualificazione dell’area e diversi lavori

«La scelta del nome è di facile intuizione – dice Matteo Tenni, Project Manager – la vetrata ci mostra la camera di prova interna. Davanti è posizionata una turbina a spinta con una potenza di 110 kilowatt, in grado di far fuoriuscire l’aria fino a 100 chilometri orari. Si è deciso di alzare tale dato per lasciare un po’ di margine rispetto alle velocità che normalmente si vanno a praticare in bici.

«The Tube è nata apposta per la bici, ci siamo affidati a un’agenzia esterna specializzata in questi sistemi. Noi come MET abbiamo fornito dei target in termini di obiettivi, un periodo lungo ma fruttuoso che ha portato a delle ottimizzazioni importanti. Una grande influenza ce l’hanno le condizioni ambientali, su una giornata di test ci sono parametri che cambiano, come la densità dell’aria e la variazione di temperatura interna alla camera di prova». 

Maggiore profondità di sviluppo

Riuscire a internalizzare un processo di sviluppo come quello della galleria del vento è un passaggio fondamentale per garantire un miglioramento costante e continuo dei prodotti MET Helmets. Tutta la parte di studio e progettazione è interna, la galleria del vento è l’ultimo step in questa direzione. Ora ogni prototipo può essere testato, migliorato e stampato all’interno dello stabilimento di Talamona. 

«In precedenza – racconta ancora Matteo Tenni – ci appoggiavamo ad altri laboratori, ce ne sono di molto buoni in tutta Europa. Però le cose non sono sempre comode: bisogna prenotare delle giornate e non è facile averne tante di fila, inoltre i costi non erano da sottovalutare. A livello pratico si va una volta e si fanno i test necessari, ma se c’è qualcosa da ottimizzare si deve tornare a casa e fare le modifiche al design. Una volta sistemato il tutto si deve prenotare un altro slot e ripetere i test. Cosa succedeva? Che spesso al secondo giro di test ci si fermava, sia per una questione di tempo che di investimenti».

L’aria fuoriesce a una velocità massima di 100 chilometri orari, ma i test si effettuano tra i 50 e i 60 chilometri orari (foto Ulysse Daessle)
L’aria fuoriesce a una velocità massima di 100 chilometri orari, ma i test si effettuano tra i 50 e i 60 chilometri orari (foto Ulysse Daessle)

Come un riassunto, ma fatto su misura

«Questa galleria del vento – prosegue Tenni – ha voluto essere un riassunto di quello che si trova in altre strutture esterne: test con bici, atleta e casco, oppure con una falsa testa per fare degli studi sull’aerodinamica o la dissipazione del calore. La nostra galleria del vento, The Tube, è in grado di fare tutto questo. A nostro modo di vedere il vantaggio è netto, fondamentalmente abbiamo libero accesso a tutto. Nel momento in cui un prodotto non è stato ancora prodotto su larga scala vale tutto, si possono fare tutti gli esperimenti possibili. Questo comporta la possibilità di andare a indagare su strade che se dovessimo riferirci all’esterno sarebbero impossibili per tempi e costi».

I test

Grazie alla disponibilità degli ingegneri di MET abbiamo potuto assistere a una giornata di test. I protagonisti sono stati i caschi utilizzati dal UAE Team Emirates – XRG. Abbiamo visto in prima persona i dati sul nuovo modello da cronometro: il Drone II. La testa, ma anche il corpo e le gambe, sono quelle di Alessandro Covi. Il corridore lombardo ha effettuato diverse prove al fine di fornire dati precisi che possano dare consistenza al lavoro di sviluppo e di progettazione di questi nuovi prodotti. 

«Abbiamo sottoposto Covi – conclude Matteo Tenni – a due test durante i quali ha indossato i due modelli dedicati alla cronometro. Il primo con il casco Drone e il secondo con il Drone II. La turbina ha soffiato aria a 50 chilometri orari e i risultati hanno evidenziato un risparmio di cinque watt passando dal Drone al Drone II. In questi termini l’utilizzo di una galleria del vento interna ci permette di avere maggior contatto con gli atleti e di poterli coinvolgere ancora di più nei processi di sviluppo».

Ma che strano effetto Lutsenko con la maglia della Israel

29.04.2025
4 min
Salva

LIEGI (Belgio) – Fa un certo effetto vedere Alexey Lutsenko con una maglia diversa da quella dell’Astana Qazaqstan Team. Lui davvero era tutt’uno con la squadra. Quella era la sua famiglia, il suo nido.
Lutsenko era l’erede naturale di Alexandre Vinokourov, il più forte atleta kazako di tutti i tempi. Le Olimpiadi, la Liegi, le tappe al Tour: Lutsenko, anche se quel palmarès non era suo, si era trovato in qualche modo ad ereditarlo.

Ora eccolo con la maglia della Israel-Premier Tech. A 32 anni ha scelto una nuova sfida e tutto sommato questa “contesa” sembra essere partita col piede giusto. Lui ci è parso sereno, brillante… e non solo in corsa.

«Cerco nuovi stimoli dopo tanto tempo, sento che posso dare e crescere ancora in un nuovo team», aveva detto Lutsenko quando fu annunciato il suo approdo alla Israel-Premier Tech. La campagna delle Ardenne è stata una buona occasione per incontrarlo e lui, con la sua gentilezza e il suo ottimo italiano, ci ha raccontato…

Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Una foto con l’ex compagno di squadra Velasco. I due erano (e sono) molto amici. Lutsenko era arrivato a scadenza di contratto con l’Astana
Alex, come stai?

Bene, in Belgio per la prima volta con la nuova squadra. La condizione è buona in questo periodo. Al Brabante ho faticato un po’, ma venivo dall’altura e spero di stare meglio per le prossime gare. Ogni giorno sento di crescere un po’. Le gare delle Ardenne, ma non solo, sono importanti per noi.

Fa effetto vederti senza la maglia della Astana. E’ un nuovo inizio per te. Come è stato ritrovarsi con uno staff nuovo? Nuovi corridori? Nuovi direttori?

Vero, all’Astana ci sono stato per 12 anni e anche prima, in qualche modo, c’era quella squadra per un giovane kazako come me. Quindi ci ho fatto tutta la mia carriera ed è stata l’unico team per me. Ammetto che è una vera esperienza quella che sto vivendo. Il primo mese è stato duro, ero un po’ nervoso, specie al primo raduno.

Perché?

Perché è stato tutto nuovo. Tutto diverso all’improvviso, non solo staff e compagni, ma anche vestiario, materiali, bici… Però già adesso vi dico la verità, mi trovo benissimo, mi sono abituato. Tutti sono simpatici e l’atmosfera è buona.

In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
In questa stagione Lutsenko ha ottenuto un podio in una tappa della Coppi e Bartali. Il rendimento medio è stato buono però
All’Astana eri il leader e avevi moltissime pressioni, forse qui alla Israel è un po’ diverso. O almeno c’è un altro tipo di pressione per te. E’ così?

Sì, ma io vedo che la squadra si fida di me. Anche per la Liegi potevo fare la mia corsa, essere leader. Poi è vero che sento un po’ meno pressione, ma credo dipenda dal fatto che la squadra in generale ne ha meno perché non siamo messi male con i punti. Tutto è un po’ più rilassato. L’anno prossimo siamo quasi al 100 per cento nel WorldTour. E poi è anche un po’ diverso il modo di lavorare. Loro preferiscono non fare pressione sull’atleta e magari senza pressione il corridore arriva al risultato.

Prima, Andrey, hai parlato del passaggio alla Israel, un nuovo team… Qual è stata la cosa più difficile da imparare?

E’ stato tutto diverso, anche la lingua. Come quando un bambino cambia scuola… prima andavo in quella vicino casa e all’improvviso è stato tutto diverso. Magari per un corridore che in carriera avesse già cambiato squadra 3-4 volte sarebbe stata una cosa normale, ma io in Astana avevo iniziato da piccolo. Altro approccio, altri modi di fare…

Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Il kazako ha parlato di buon clima in squadra
Però è anche uno stimolo, no?

Sì, sì: mi piace. E mi sto trovando bene.

Chi ti ha aiutato di più ad inserirti? Ammesso ci sia stato qualcuno… Pensiamo a Jakob Fuglsang, che è stato diversi anni con te in Astana…

No, non c’è stato qualcuno in particolare, davvero tutti mi hanno accolto bene. Poi, sì, Jakob è un corridore che conosco tanto bene. Ma non era l’unico, sapete. C’è anche un meccanico, un massaggiatore che conoscevo. Siamo “amicissimi” proprio…

Qual è il tuo programma stagionale?

Dopo queste Ardenne stacco per qualche giorno. Poi inizierò un lungo camp ad Andorra per preparare il Tour de France. Prima farò anche il Delfinato.

E invece cosa ci dici dei tuoi compagni che puntano al Giro d’Italia? Sono andati bene al Tour of the Alps…

Davvero bravi. E Derek Gee è un grande. Abbiamo fatto insieme l’ultimo training camp a Tenerife e ho visto proprio un bravo professionista. Ho visto come si è preparato sin da dicembre. Mi sembra pronto. La squadra spera molto in lui. L’obiettivo è fare una top cinque al Giro, ma anche il podio non è impossibile.