Giro Next Gen, finalmente: 8 tappe, 14.000 metri di dislivello

27.05.2025
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RHO – Il Centro Congressi Stella Polare ha ospitato la presentazione del terzo Giro Next Gen, la corsa rosa under 23 organizzata da RCS Sport & Events. Il comune di Rho e la sua Fiera saranno grandi protagonisti delle prime tappe. Si partirà il prossimo 15 giugno con una cronometro nel centro città, mentre il via della seconda tappa avverrà proprio nel cuore della Fiera. La gara a tappe terminerà poi il 22 giugno a Pinerolo dopo aver attraversato gran parte della Lombardia e del Piemonte, sfiorando anche l’Emilia Romagna.

«La Fiera ha una storia recente di sostegno al mondo dello sport e dei giovani». A parlare e dare il benvenuto è Francesco Conci amministratore delegato e direttore generale di Fiera Milano. «Nel 2007 in occasione di EICMA ospitammo anche la Sei Giorni di Milano all’interno del Padiglione 7. Il legame con lo sport e i giovani per noi è importante e vogliamo coltivarlo in vista anche dei prossimi appuntamenti che arriveranno».

Jarno Widar difenderà la maglia rosa conquistata lo scorso anno con la Lotto Dstny Development (foto LaPresse)
Jarno Widar difenderà la maglia rosa conquistata lo scorso anno con la Lotto Dstny Development (foto LaPresse)

Caccia alla rosa

L’attesa intorno a questo Giro Next Gen è stata tanta, i giorni sono trascorsi lenti e con informazioni arrivate a spizzichi e bocconi. Ora a tre settimane dalla partenza le sedi di partenza e arrivo sono finalmente state svelate e con loro il percorso. Poco più di mille chilometri e ben 14.000 metri di dislivello. I metri verticali di questa edizione saranno duemila in più rispetto a quella precedente che già aveva premiato atleti leggeri. 

Il vincitore dello scorso anno, il belga Jarno Widar, sarà ancora pronto a lottare per tenere il primato conquistato un anno fa a Forlimpopoli. I pretendenti alla vittoria finale saranno tanti, in una battaglia che partirà appunto da Rho per terminare a Pinerolo dopo otto tappe che non lasceranno respiro e promettono spettacolo. Lo spirito arrembante dei futuri campioni, per i quali si sono spese parole e pensieri, passerà dalle prossime settimane, e allora è il momento di togliere ogni dubbio e presentare il percorso. 

Cima Coppi, il Maniva

Si partirà con un prologo di otto chilometri all’interno della città di Rho. Tra coloro che puntano alla vittoria finale sarà importante mantenere l’attenzione alta e cercare di spingere al massimo per sfruttare anche il minimo vantaggio. Dal secondo giorno si inizierà a fare sul serio con la partenza all’interno di Fiera Milano e l’arrivo a Cantù. Un dislivello non esagerato ma concentrato tutto nel circuito finale, da ripetere due volte, che si snoderà tra Como e la Città del Mobile. La terza frazione rimarrà nella provincia di Como per quanto riguarda la partenza, che avverrà ad Albese con Cassano. Il gruppo punterà poi la provincia di Brescia nella quale è collocato l’arrivo, al Passo Maniva, Cima Coppi del Giro Next Gen con i suoi 1659 metri di altitudine.

«Gli scalatori troveranno subito pane per i loro denti – ci dice Mario Scirea, vice del cittì Marino Amadori con la nazionale under 23 – in una gara impegnativa sarà importante capire le forze in campo. Chi vorrà “misurare la febbre” ai rivali troverà il terreno giusto per lanciare delle imboscate. Penso possa diventare difficile tenere la maglia dall’inizio alla fine, complice la scelta di tenere a cinque il numero di corridori per squadra».

Sprint e coraggio

Il giro di boa di questo Giro Next Gen si avrà a Salsomaggiore Terme, una quarta tappa che apre le porte ai velocisti, i quali dovranno essere bravi a tenere le ruote di chi proverà a scappare prendendo le rampe dell’Appennino parmense come se fossero un trampolino di lancio. 

I velocisti saranno protagonisti anche nelle tappe successive dove la corsa rosa under 23 toccherà i comuni di Gavi e Acqui Terme, entrando in Piemonte nella quinta frazione. Qualche insidia ma lontana dall’arrivo permetterà di riordinare le idee e presentarsi pronti allo sprint.

«Queste tre tappe – prosegue Scirea – sono le uniche occasioni per gli sprinter di cogliere qualche risultato. Non saranno percorsi semplici, se si vuole entrare nel mondo dei professionisti ci si deve dimenticare delle cosiddette “tappe facili”. A mio avviso le tre frazioni centrali si aprono anche alle fughe, infatti con cinque corridori per squadra non sarà facile tenere chiusa la corsa».

All’ultimo respiro

Il Giro Next Gen, entrato in Piemonte, si appresta a far vivere l’atto conclusivo con due atti dedicati agli scalatori. La tappa regina è la settima, da Bra a Prato Nevoso. In 163 chilometri si affrontano 4.100 metri di dislivello. I GPM di giornata saranno tre ma la strada guarderà spesso all’insù.

«Una tappa davvero esigente – dice Scirea – ma non impossibile. Qualche passista-scalatore potrà cercare di contenere i distacchi per poi giocarsi il tutto per tutto l’ultimo giorno. Si prospetta una giornata da “uno contro uno” e conteranno le gambe ma anche la testa. La salita a Prato Nevoso è bella ma non eccessivamente dura, ogni attacco dovrà essere ben ponderato perché il rischio è di pagare un conto salato».

DataLocalitàChilometri
15/6Rho-Rho8,4
16/6Rho (Fiera Milano)-Cantù146
17/6Albese con Cassano-Passo del Maniva143
18/6Manerbio-Salsomaggiore Terme148
19/6Fiorenzuola d’Arda-Gavi153
20/6Ovada-Acqui Terme155
21/6Bra-Prato Nevoso163
22/6Pinerolo-Pinerolo141
Totale chilometri: 1057,4

Ultimo atto a Pinerolo e nessuna passerella finale per i giovani protagonisti del Giro Next Gen. Gli scossoni alla classifica finale non mancheranno, con gli ultimi quindici chilometri della corsa rosa under 23 capaci di regalare emozioni e spunti ai più coraggiosi.

«Che dire – conclude – non ci sarà tempo per rilassarsi fino alla fine, anche gli ultimi due chilometri offrono uno spunto interessante con lo strappo finale dentro Pinerolo che può dire ancora qualcosa. Penso sia una tappa finale esigente, adatta a corridori potenti e con buone gambe anche su salite di breve durata. Uno scatto nel momento giusto sarà in grado di cambiare tutto».

Tiberi, l’obiettivo è sopravvivere o cercare un giorno da leone?

27.05.2025
5 min
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CITTADELLA – E se fosse necessario rischiare tutto per far saltare il banco, tu lo faresti? Tiberi guarda fisso. Cerca le parole che abbiano il senso giusto. Se il ciclismo italiano del Giro poggia sulle sue spalle, occorre anche che le risposte siano sensate. Antonio non ha l’indole del kamikaze, preferisce calcolare e poi semmai andare. Sono le 10,30 del mattino del giorno di riposo. La tappa di Asiago ha fatto brindare al pericolo scampato, ma domani (oggi per chi legge) non ci saranno possibilità di appello. Nei 203 chilometri da Piazzola sul Brenta a San Valentino (Brentonico), con 4.737 metri di dislivello, qualsiasi passo falso rischia di chiudere la porta su una situazione già di per sé complicata.

«Forse la mia indole- dice – è un pochino diversa da quella che era ad esempio di Nibali. Nel senso che io sono più regolarista rispetto a quello che era il modo di correre di Vincenzo. Però anche questo è qualcosa che va interpretato. Cerco sempre di studiare in base alle situazioni che si verificano nelle fasi di gara. E se si dovesse presentare un’occasione nella quale mi sento di stare particolarmente bene, magari in una fase critica della gara dove vedo qualche avversario in crisi, sicuramente non escluderei di attaccare».

Tiberi e Caruso con il ds Pellizotti: l’anima italiana della Bahrain Victorious è molto evidente
Tiberi e Caruso con il ds Pellizotti: l’anima italiana della Bahrain Victorious è molto evidente
Si può dire che ieri l’avete ripresa per i capelli?

Sì, possiamo metterla sicuramente così. Anzi, dopo la tappa ero tanto contento di come ero riuscito a passare la giornata. Dentro di me pensavo di aver superato una delle più dure del Giro. Magari non è stata una delle tappe più impegnativa che abbiamo da affrontare, però venivo dalla caduta del giorno prima e avevo dolori e fastidio a pedalare. Sapevo che sarebbe stata sicuramente una giornata dura e sono contento di come sono riuscito a sopravvivere.

Ma adesso arrivano le tappe dure davvero, come la mettiamo?

Mancano delle tappe veramente tanto complicate. Secondo me, la più dura sarà quella con arrivo a Champoluc (19ª tappa, ndr), che farà le differenze già grandi in classifica. So che dovrò darmi da fare, ne ho parlato anche con Damiano (Caruso, ndr). Mi ha detto che la cosa più importante sarà arrivare a Roma senza avere dei rimpianti e poter dire di aver fatto tutto il possibile.

Il suo andare così forte è un vantaggio per te?

Noto ogni giorno quanto la sua performance stia migliorando, è veramente in forma (il siciliano ha appena annunciato il prolungamento di un anno con la Bahrain Victorious, ndr), Anche ieri ero accanto a lui sull’ultima salita quando ci sono stati diversi attacchi e ho notato come rispondeva subito. Sta veramente bene. Quindi per adesso stiamo correndo entrambi da leader della squadra e poi ovviamente nelle fasi cruciali sarà lui a sacrificarsi per me.

Nella tappa di Asiago, la squadra ha riportato in gruppo Tiberi staccato sul Muro di Ca’ del Poggio
Nella tappa di Asiago, la squadra ha riportato in gruppo Tiberi staccato sul Muro di Ca’ del Poggio
Torniamo al discorso di partenza: ti ci vedi ad attaccare un giorno a testa bassa o rimarrai in attesa della selezione del gruppo?

Ci sono alcune tappe in cui secondo me si avrà una selezione, tra virgolette, abbastanza naturale. Non dico che si andrà di passo e i corridori si staccheranno da sé. Però comunque correndo come ieri, con la Ineos che farà il forcing e qualche altro attacco ad esempio proprio nella tappa di Champoluc, ci sarà una selezione più importante. Però non escludo neanche che se mi riprendo dalle botte e vedo che sto bene, se ci sarà un’occasione nelle ultime tappe importanti, sicuramente non mi tirerò indietro e proverò qualcosa anche io.

Hai capito in che modo sta correndo la UAE Emirates?

E’ difficile da interpretare. Ci abbiamo pensato ed è evidente che abbiano due uomini di punta veramente forti. Anche loro, quasi come noi, stanno correndo con due punte. Ayuso, che da quello che mi sembra di aver capito, è il capitano. Ieri hanno fatto vedere che quando Del Toro ha seguito l’attacco di Bernal, dietro tutta la squadra ha lavorato per lo spagnolo. E anche lui in primis l’ho visto in discesa prendere il comando per chiudere. Da quello che si può capire da fuori, la maglia rosa è di Del Toro, ma il leader resta Ayuso e la squadra lavora per lui, casomai Del Toro avesse qualche cedimento.

Prima tappa dopo il riposo (oggi) con quattro salite dure: cosa c’è da aspettarsi da Bernal e Carapaz?

Da quello che ho potuto vedere domenica, in alcuni momenti sembrava che si fossero messi d’accordo, nel senso di voler testare le condizioni degli avversari. Li ho visti entrambi molto molto brillanti in salita, hanno un’ottima gamba perché per fare ripetutamente quei cambi di ritmo, bisogna stare davvero bene. Nelle prossime tappe dure si inventeranno qualcos’altro per provare a riaprire la corsa.

Antonio Tiberi, 23 anni, è attualmente 7° in classifica a 3’02” da Del Toro, appena 1’36” dal podio
Antonio Tiberi, 23 anni, è attualmente 7° in classifica a 3’02” da Del Toro, appena 1’36” dal podio
Sei venuto al Giro con tante attese dei tifosi italiani e con il ritiro Ciccone, sei rimasto da solo. E’ qualcosa che pesa? Leggi i giudizi oppure vai avanti per la tua strada?

Sinceramente non leggo giudizi o critiche. Al contrario, quello che percepisco è che quando sono in gara lungo la strada ci sono tante persone che mi tifano e mi incoraggiano. E questo per me è la cosa più importante, perché mi dà la forza, il morale è la grinta per dare il massimo e cercare di fare il meglio di me stesso.

Del Toro e la UAE: verso la terza settimana senza paura

26.05.2025
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Isaac Del Toro è al suo secondo giorno di riposo in maglia rosa. Rispetto a una settimana fa non c’è Juan Ayuso, al suo posto c’è Fabio Baldato. Isaac è seduto nel mezzo tra lui e Matxin. E’ chiaro che adesso il leader è lui. E tutto sommato, visto il distacco e visto come sta correndo, è giusto così. Perché far esporre anche lo spagnolo in questo caso?

Come sempre in casa UAE Emirates tutto appare tranquillo e sotto controllo, e le parole di Fabio Baldato sono una sentenza: «Quando si va forte in salita e si resta in cinquanta i nostri ci sono tutti». E’ sulla base di questa prova di forza, serenità e coesione che inizia la settimana decisiva per la maglia rosa. E che a Roma la porti Del Toro o Ayuso, sembra proprio impossibile sfilarla allo squadrone emiratino.

Da sinistra: Baldato, Del Toro e Matxin durante la videoconferenza di questo pomeriggio
Da sinistra: Baldato, Del Toro e Matxin durante la videoconferenza di questo pomeriggio

Parla Isaac

Tutti si interrogano sulla sua tenuta nella terza settimana. Ma il più tranquillo in tal senso sembra Matxin, il quale ricorda che Isaac ha già fatto la Vuelta lo scorso anno e, superati i problemi iniziali, poi nella terza settimana è andato bene. Certo, fare classifica è un’altra cosa, ma il messicano sembra esserci.

«Per me – dice Del Toro – quando questo inverno si è profilato il Giro d’Italia ho capito che era una grande opportunità e quindi mi sono subito preparato per essere in forma per questa importante gara. Per le grandi e lunghe salite io credo di essere pronto. Questa terza settimana sarà difficile per tutti. Ma abbiamo anche il miglior team per questo».

«Mi sento abbastanza bene, penso che sia una delle migliori forme della mia vita. Non so cosa aspettarmi da questa terza settimana, ma devo credere che posso farlo. Voglio essere intelligente, e cercare di fare il meglio con il team per gestire al meglio la classifica generale».

Del Toro è parso consapevole di quello che lo aspetta. Il messicano sa che in qualche modo è di fronte a qualcosa più grande di lui, ma non si lascia intimorire. Al tempo stesso è consapevole dei suoi mezzi. E avere una squadra così forte attorno lo tranquillizza in qualche modo.

«Isaac – interviene Matxin – è un ragazzo giovane, che va rispettato. Non gli va messa troppa pressione. Ma al tempo stesso è un ragazzo che sa vincere e anche alla Milano-Torino lo ha dimostrato. Sa mantenere i programmi, è ambizioso, sa farsi trovare pronto. Sin qui ha dimostrato di essere il corridore più forte del Giro. Lo difenderemo e lo aiuteremo. Siamo coerenti».

Una foto che dice molto: guardate le facce degli avversari e guardate la scioltezza di Del Toro, che intanto indossa la mantellina
Una foto che dice molto: guardate le facce degli avversari e guardate la scioltezza di Del Toro, che intanto indossa la mantellina

Senza paura

L’argomento “terza settimana” con un ragazzo di 21 anni in maglia rosa è stuzzicante. Di fatto, se questo Giro d’Italia è ancora aperto è proprio per questa incognita: tenuta con il passare delle tappe, salite lunghe, capacità di recupero.

«Sto facendo grandi passi nella mia carriera – continua la maglia rosa – devo crederci velocemente e sempre velocemente devo capire cosa sta succedendo nella mia vita. Stare qui è il sogno di tutti, ma voglio andare passo per passo. E anche se è un passo corto, voglio farlo nella direzione corretta. Sto imparando dai miei compagni, perché hanno molta più esperienza. Voglio seguirli, mi hanno aiutato molto».

Qualcuno gli fa notare che forse è meno novellino di quanto sembri. Alla fine in corsa si muove benissimo, sarà istinto, sarà che ha imparato in fretta (o che ha così tanta gamba che tutto gli riesce facile), ma ogni volta che qualche squadra si è mossa lui è stato un falco a piombare sugli attaccanti.

«Mi muovo bene? Ho bisogno di imparare – riprende Del Toro – sono nuovo per queste cose. L’altro giorno sapevo che avrebbero provato. Voglio sempre essere attento e nella posizione migliore per difendermi. Voglio vedere sempre cosa succede. Seguo l’istinto, ma anche la radio e voglio usare l’intelligenza». Testualmente aveva detto cabeza fría.

Diteci voi se sono parole di un novellino!

Baldato ha sottolineato la forza della UAE Emirates. Quando la corsa si fa dura loro ci sono sempre
Baldato ha sottolineato la forza della UAE Emirates. Quando la corsa si fa dura loro ci sono sempre

Squadrone UAE

Senza dubbio la UAE Emirates ha dimostrato di essere la più forte. Parla la classifica, parlano le tappe e come vengono gestite. Quando Baldato diceva che se il gruppo resta di 50 corridori e i suoi ci sono tutti, diceva la verità. E davvero non è poco ai fini del controllo della corsa.

E questo vale anche per la gestione di Ayuso, sia pensando a quanto successo verso Asiago, sia in ottica terza settimana. Sulle montagne venete lo spagnolo non è parso super brillante. Come è gestito?

«Ma no – dice Baldato – quello che ho detto vale anche per Ayuso. Ieri Juan ha seguito chi ha attaccato. Abbiamo corso compatti, abbiamo cercato di stare uniti, di stare davanti. C’erano 27 corridori sull’ultima salita e l’idea era di proteggere il leader e di stare tutti insieme. Questa è la nostra mentalità.

«Roglic? Adesso i rivali più pericolosi sono Carapaz, che è davvero forte e attacca in ogni momento. Simon Yates, che è un ragazzo esperto. E poi penso anche ai due ragazzi della Bahrain-Victorious: Tiberi e Caruso. Damiano è davvero forte, lo so bene. E’ sempre pronto a sfruttare le situazioni. Ma come ho detto prima, è importante per noi rimanere il più possibile vicino al nostro leader, Isaac».

Quando poi arriva la fatidica domanda sui ruoli e su chi sarà definitivamente il leader della UAE Emirates, terminano i 15 minuti di videoconferenza. Però alla fine in questa occasione sono stati più chiari di altre volte: si sono sbilanciati a favore di Del Toro.

Noi l’abbiamo già detto: ormai sarà la strada a parlare. Possiamo aggiungere che Del Toro, quando ci sono state le domande in spagnolo, ha apertamente detto che lui adesso è in una posizione favorevole: «Gli altri ovviamente proveranno ad attaccarmi, ma io mi trovo in una posizione in cui devo difendermi».

Lidl-Trek, Enervit e il puzzle del recupero dopo il traguardo

26.05.2025
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Parola d’ordine recupero, specie in un Grande Giro. Fino alla noia preparatori, commentatori tecnici, medici… ci ripetono che il vero uomo da corse a tappe si vede dalla sua capacità di recupero, sia sul momento che nell’arco delle settimane. E un buon recupero, oggi più che mai, parte dall’integrazione post gara. Un’integrazione però che a sua volta parte in gara. Per saperne di più siamo andati in casa Lidl-Trek, dove ci si affida ad una storica azienda italiana d’integratori: Enervit (in apertura foto Twila Federica Muzzi).

Ne abbiamo parlato con Jolien Vandemoortele, una delle sport dietist, della squadra diretta da Luca Guercilena. A quanto pare loro il recupero lo stanno gestendo alla grande visto che hanno vinto oltre un terzo delle tappe disputate sin qui!

Vandemoortele indica subito i prodotti maggiormente coinvolti nel protocollo di recupero: «Questi sono: il Magic Cherry, il Recovery Drink (carboidrati e proteine), il nuovoPost Workout con BLG-100 (Beta-Lactoglobulina). E non vanno dimenticate gel e barrette che si usano durante la corsa. Il quadro si completa con barrette proteiche e alimenti veri, gestiti dal team di cuochi a seconda dei fabbisogni individuali e dei programmi del giorno successivo. Ma tutto parte da lì: dal Magic Cherry e da una strategia ben chiara».

Il brand lombardo propone ai suoi team, tra cui la Lidl-Trek, una vasta gamma di prodotti (foto Instagram)
Il brand lombardo propone ai suoi team, tra cui la Lidl-Trek, una vasta gamma di prodotti (foto Instagram)

Il supporto di Enervit

Particolare attenzione viene data al Magic Cherry, una delle novità più interessanti tra le proposte Enervit: è una bevanda naturale concentrata, ricca di antiossidanti e componenti antinfiammatori, fondamentale per abbattere i danni muscolari e favorire il recupero dopo gli sforzi estremi. .

Il Recovery Drink, è un prodotto sviluppato ad hoc per il team, con un equilibrio mirato di carboidrati e proteine per rifornire le scorte di glicogeno e riparare il tessuto muscolare. In alternativa, si usa anche una versione senza carboidrati, più leggera, pensata per chi non ha speso energie in modo importante. In alcune tappe entra in scena anche il nuovo Post Workout con BLG-100, che offre una proteina ad alta biodisponibilità, particolarmente efficace nel promuovere la sintesi muscolare in fase di recupero.

Su questi tre prodotti si basa principalmente la strategia di recupero degli atleti della Lidl-Trek. Vediamo come vengono impiegati.

Un buon recupero parte da una buona alimentazione in corsa
Un buon recupero parte da una buona alimentazione in corsa
Jolien, voi in Lidl-Trek usate prodotti Enervit: quali sono coinvolti nel recupero?

Anche per il recupero noi usiamo la gamma di prodotti Enervit. Si parte sempre con il Magic Cherry alla fine della corsa, poi arriva immediatamente uno shake di recupero. Usiamo tre tipi di shake: uno proteico senza carboidrati, uno specifico per il team con una combinazione di carboidrati e proteine, e poi il nuovo shake con Beta-Lactoglobulina, un prodotto molto interessante che Enervit ha appena lanciato sul mercato. Infine abbiamo sempre barrette proteiche nel bus, che a volte usiamo durante il trasferimento verso l’hotel.

Come vengono utilizzati nel post gara?

Questi prodotti sono usati subito dopo la corsa. Il Magic Cherry è il primo: viene dato immediatamente dopo il traguardo. Il massaggiatore che va all’arrivo ha anche gli shake già pronti: prima il Magic Cherry, poi una bevanda in polvere ricostituita con acqua, infine lo shake di recupero.

Le quantità sono uguali per tutti?

Dipende molto dalla tappa: quanto è stata dura, qual era il ruolo del corridore quel giorno, se ha dovuto lavorare tanto o se è rimasto protetto. E poi dipende anche dalla tappa successiva: se è un giorno di riposo o una frazione particolarmente impegnativa, o anche da quanto è lungo e faticoso il trasferimento.

La confezione del Magic Cherry: spesso è disciolto nelle bottigliette che i massaggiatori distribuiscono già sul traguardo (si nota nella foto di apertura)
La confezione del Magic Cherry: spesso è disciolto nelle bottigliette che i massaggiatori distribuiscono già sul traguardo (si nota nella foto di apertura)
Incide anche il peso del ciclista?

Il peso dell’atleta gioca un ruolo, soprattutto nei pasti veri e propri, cioè nel pasto di recupero. Lì adattiamo la quantità di carboidrati e proteine a seconda della massa corporea. Ma nella fase di recupero immediato con gli integratori no, le dosi sono abbastanza standardizzate, salvo casi particolari.

Quanto è importante il Magic Cherry in questo caso? Spesso vediamo queste bottigliette contenenti il liquido viola…

E’ diventato fondamentale. Non solo per noi, ma per molte squadre WorldTour. E’ difficile oggi vedere una zona arrivo senza “cherry juice”: è la prima cosa che diamo agli atleti appena tagliano il traguardo…

Perché è dunque così importante?

Perché ha un forte effetto antiossidante e antinfiammatorio: aiuta a ridurre il danno muscolare, il dolore e accelera i tempi di recupero. Inoltre è gradevole al gusto: quello di Enervit non ha zuccheri aggiunti, è dolce al punto giusto e molto più piacevole da bere dopo ore passate a ingerire carboidrati e alimenti dolci.

Anche i carboidrati giocano un ruolo nel recupero post gara (foto Facebook – Enervit)
Anche i carboidrati giocano un ruolo nel recupero post gara (foto Facebook – Enervit)
Chiaro…

Un altro aspetto importante è che migliora l’idratazione: essendo un liquido contribuisce a reintegrare i liquidi persi. Sono tutti aspetti che hanno un’influenza diretta sul recupero e che ci aiutano molto a gestire la sequenza di tappe in un grande Giro.

Un recupero molto capillare, insomma…

Un recupero dove entrano in gioco diversi elementi: gli shake, le barrette, i pasti preparati dai cuochi e la collaborazione stretta con Enervit. Tutto si incastra come in un puzzle. E’ molto utile avere Enervit come partner perché ci fornisce tutto ciò di cui abbiamo bisogno per curare al massimo questo processo.

EDITORIALE / Il Giro d’Italia specchio del ciclismo italiano?

26.05.2025
6 min
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CITTADELLA – Terzo e ultimo giorno di riposo del Giro d’Italia. La tappa di Gorizia ha creato sconquasso nella classifica generale e ad averne la peggio sono stati certamente Roglic, ma soprattutto il ciclismo italiano. Ciccone è stato costretto al ritiro e anche Tiberi, il primo a cadere, ha dovuto mandare giù un altro distacco non richiesto. Ieri sul traguardo di Asiago, abbiamo dovuto ragionare un po’ prima di rispondere a Cristian Salvato, presidente dell’Accpi, quando ha detto che non ricorda di aver mai visto un Giro così bello. Ma è bello davvero e il nostro essere frenati deriva unicamente dall’assenza di italiani nei piani alti della classifica?

Il podio del Giro d’Italia è ancora alla portata di Tiberi? Sulle spalle del laziale il peso delle attese tricolori
Il podio del Giro d’Italia è ancora alla portata di Tiberi? Sulle spalle del laziale il peso delle attese tricolori

Un Giro che piace?

Il Giro d’Italia è sempre bello, ma è innegabile che ci siano delle sostanziali differenze rispetto a quanto vissuto lo scorso anno. Nel 2024 le volate di Milan, la crono di Ganna e le prestazioni piene di verve e speranza di Pellizzari e Piganzoli lasciarono un diverso sapore in bocca al pubblico italiano. E poi Pogacar davanti a tutti era l’alibi ideale perché ci si accontentasse di qualsiasi cosa passasse sulla tavola. Questa volta l’alibi non c’è, la lotta sarebbe (stata) aperta e in testa alla classifica ci sono dei ragazzi giovani e privi di albi d’oro clamorosi, se non quelli messi insieme nelle corse U23. Ma non ci sono corridori italiani.

Nei giorni scorsi Patrick Lefevere, intervistato da Tina Ruggeri, ha fatto un’istantanea spietata ma come sempre molto lucida del ciclismo italiano. «Io vengo dal 1992 in Italia – ha detto – e quando vedo che adesso non è possibile neanche fare una squadra World Tour, è sicuramente un peccato. Meno male che c’è Reverberi che fa sempre la sua squadra e poi c’è la Polti con Ivan Basso. Per il resto c’è da piangere».

Reverberi e Pellizzari in una foto del 2024: talenti come Giulio faranno sempre più fatica a restare in Italia (foto Mazzullo)
Reverberi e Pellizzari in una foto del 2024: talenti come Giulio faranno sempre più fatica a restare in Italia (foto Mazzullo)

Il figlio del corridore

Non fa mai piacere che uno straniero si permetta giudizi così pesanti sulle cose di casa nostra, ma bisogna essere onesti e riconoscere che le parole del vecchio belga non siano finite lontane dal bersaglio. Risulta anche comprensibile che Patrick non si renda conto delle difficoltà del ciclismo in Italia, forte invece della sua centralità in Belgio, dove gli sponsor si fanno un vanto del sostenerlo

I numeri cozzano contro l’ottimismo della FCI e sui valori della società italiana. Il figlio del calciatore gioca a calcio. Il figlio del tennista gioca a tennis. Invece il figlio del corridore gioca a calcio. E questo non accade perché i corridori non amino più lo sport in cui sono diventati uomini, ma perché andare in bicicletta in Italia è sempre più pericoloso e non se ne vede una via d’uscita. E siamo abbastanza sicuri, per averne avuta conferma da alcuni di loro, che la rinuncia sia dolorosa.

A ciò si aggiunga che le società sul territorio calino in rapporto con il calo delle… vocazioni e l’alto livello sia sempre più spostato verso Paesi non italiani. Se negli anni passati si trovava eroico lasciare le regioni del Sud per trasferirsi al Nord (le storie di Nibali e Visconti valgano come esempio), oggi è un dato acquisito che per fare carriera nel WorldTour si debba lasciare l’Italia. Lo si racconta in modo meno eroico, ma l’impatto sui ragazzi non è da meno.

Dopo due anni e mezzo alla Visma, Belletta è tornato in Italia. Non sempre l’estero è garanzia di successo (foto Tomasz Smietana)
Dopo due anni e mezzo alla Visma, Belletta è tornato in Italia. Non sempre l’estero è garanzia di successo (foto Tomasz Smietana)

Le parole di Pella

In un’intervista rilasciata oggi a Luca Gialanella, il presidente della Lega Ciclismo Roberto Pella snocciola la sua ricetta per far ripartire il ciclismo italiano e lo fa con argomenti da autentico presidente federale. Con l’onorevole abbiamo avuto un’interessante conversazione circa un mese fa. Ci ha spiegato con grande motivazione la voglia di andare avanti col suo passo, lungo la direzione che ha scelto e utilizzando i miglior mezzi a sua disposizione. Pella è un uomo del fare. Ha rivendicato giustamente gli sforzi per equiparare i premi delle donne a quegli degli uomini nella Coppa Italia delle Regioni. E ha ribadito di essere una risorsa per il ciclismo italiano e non capisce l’eventualità che la Federazione soffra la sua presenza e non ne sfrutti le possibilità.

«Se non seminiamo sui giovani – ha detto alla Gazzetta dello Sport – rischiamo di non avere più campioni in futuro. E’ arrivato il momento di sostenere il professionismo, così come spingere il movimento femminile. Dobbiamo aiutare le squadre italiane a trovare gli sponsor per farle restare in vita. Anche questo fa parte della missione della Lega. Il terreno del ciclismo italiano è stato arido per troppo tempo, ma va concimato e annaffiato».

Roberto Pella, presidente della Lega Ciclismo Professionistico, ha portato il ciclismo e i suoi campioni alla Camera
Roberto Pella, presidente della Lega Ciclismo Professionistico, ha portato il ciclismo e i suoi campioni alla Camera

La svolta necessaria

Pella siede in Parlamento e in Parlamento ha portato il ciclismo. Ha accesso alle stanze e i tavoli in cui vengono prese le decisioni che contano. E’ un uomo molto attento alle relazioni, ma anche concreto e capace di portare risorse dove servono. Si è sempre detto che il solo modo per cui i grandi sponsor italiani tornino a investire nel ciclismo sia offrirgli il modo di rendere l’investimento meno oneroso di quanto sia ora, come peraltro accade in altri Paesi europei. Se questo è davvero possibile, assieme alla creazione di spazi e norme a tutela dei ciclisti, allora forse c’è speranza di un’inversione di tendenza. Altrimenti, se non si allarga la base in modo che la selezione del talento avvenga su numeri più corposi, sarà difficile rivivere il fiorire di campioni che negli anni 90 ci permise di essere protagonisti del calendario.

Nell’attesa che le promesse diventino realtà e che la politica dello sport dimostri di avere le risposte per le domande più urgenti, ci accingiamo a ripartire per la prossima tappa del Giro sperando che Tiberi trovi la grinta e le gambe per avvicinarsi al podio. E che Pellizzari abbia la possibilità di rimettere fuori il naso, confermando i miglioramenti che tutti abbiamo già toccato con mano, viste le condizioni difficili di Roglic. Pare anche che a Piganzoli, testato da una grande squadra WorldTour, siano stati riconosciuti mezzi non comuni. Loro tre e alcuni altri ragazzi fra il 2002 e il 2003 sono il nostro futuro più immediato: occorre avere pazienza. Il Giro resta bello, potersi pavoneggiare per una vittoria italiana lo renderebbe sicuramente migliore.

Withen Philipsen fra i grandi. Baffi lo ha studiato a fondo

26.05.2025
4 min
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L’ingresso di Albert Withen Philipsen nel ciclismo che conta procede a ritmo sempre più veloce. L’ex campione del mondo juniores ha saltato direttamente la fase under 23 (anche se prende parte ad alcune prove di categoria come la Parigi-Roubaix, regolarmente vinta) e gareggia stabilmente nel team principale della Lidl-Trek, portando già segnali molto confortanti a conferma del suo enorme talento.

La sua vittoria alla Roubaix Espoirs, arrivando insieme allo svedese Soderqvist (foto Thomas Maheux)
La sua vittoria alla Roubaix Espoirs, arrivando insieme allo svedese Soderqvist (foto Thomas Maheux)

Ultimo, il podio finale al Giro d’Ungheria, tappa del calendario Pro, ossia quello immediatamente inferiore al WorldTour. A guidarlo sulle strade magiare c’era Adriano Baffi, suo diesse per l’occasione: «Il danese non fa parte del gruppo che io seguo direttamente e costantemente, ma questa settimana è toccato a me guidarlo. Io lo conosco poco, soprattutto ne sento parlare durante i nostri summit settimanali da parte dei miei colleghi e le voci che mi arrivavano erano davvero entusiastiche. Averlo però sotto gli occhi è un’altra cosa».

Qual è stata la tua prima impressione?

Albert ha sicuramente un potenziale enorme, è un talento grezzo sul quale si può lavorare bene. Non dimentichiamo che ha solo 18 anni eppure sembra già uno più grande della sua età. Ha delle prospettive completamente da scoprire.

Adriano Baffi, 63 anni, diesse alla Lidl Trek dal 2012 e sull’ammiraglia in Ungheria a guidare l’ex iridato juniores
Adriano Baffi, 63 anni, diesse alla Lidl Trek dal 2012 e sull’ammiraglia in Ungheria a guidare l’ex iridato juniores
Arrivare sul podio in una gara a tappe con una partecipazione molto qualificata, che cosa significa per te?

Io al piazzamento guardo in maniera molto relativa. Gare come questa, nel suo caso servono per imparare, sono tutte esperienze che si ritroverà più avanti, soprattutto per come è arrivato a quel podio. A 18 anni ti ritrovi a correre puntando alla classifica, ciò vuol dire che devi saper gestire la squadra, considerando anche però che il team era venuto in Ungheria anche con altri obiettivi, addirittura preminenti come gli sprint. Inizialmente Philipsen era stato aggregato come scalatore visto che nel team mancava, ma non era stata costruita la squadra per essere al suo servizio. Lui ha saputo guadagnarsi i galloni di capitano e chiaramente abbiamo corso per preservare il suo podio.

Che tipo di corsa era?

Molto semplice e nel suo caso ideale proprio in funzione della sua crescita. Quattro tappe prevalentemente pianeggianti e una nella quale praticamente ci si giocava la corsa, infatti in quella ha chiuso sul podio, poi è stato semplice difenderlo. I due che l’anno battuto, il colombiano Lopez e Alessandro Covi, sono corridori esperti, lo stesso Covi si era visto già che andava forte in questo periodo, avevano una condizione migliore della sua. Io sono pienamente soddisfatto, poi come detto il risultato finale ha un valore relativo nel suo caso.

Il podio finale in Ungheria, con il danese insieme a Lopez (al centro) e a Covi
Il podio finale in Ungheria, con il danese insieme a Lopez (al centro) e a Covi
E’ un corridore da corse a tappe secondo te?

E’ ancora troppo presto per dirlo. Quel che è certo è che corse come questa, fino a 5 giornate di gara tutte di seguito sono molto utili per farlo crescere ed abituare agli sforzi. Si vede che ha ottime qualità di recupero, ma è chiaro che un conto sono corse simili, un altro gare di 10 giorni se non di più. Ci deve arrivare per gradi. Per ora quello che ho visto è un corridore che mentalmente si sa gestire molto bene e che sa bene quello che vuole, sa soprattutto quali potenzialità ha e dove può arrivare.

Secondo te è davvero quel “crack” che tutti dicono sin da quando ha vinto il titolo mondiale?

E’ impossibile dirlo. Dobbiamo affidarci a quel che è reale, sul tavolo, non ai pensieri e alle speranze. Io so che ho trovato davanti a me un ragazzo che ha l’approccio giusto, professionale e per un ragazzo di 18 anni non è cosa da poco. Proprio per questo è fondamentale vedere come si sviluppa considerando proprio che per la sua giovane età è un fisico ancora in formazione. Intanto il salto di categoria l’ha già superato ed è già un passo avanti.

Finora il danese ha corso per 19 giorni, con una vittoria e 4 top 10
Finora il danese ha corso per 19 giorni, con una vittoria e 4 top 10
Tu hai corso tanti anni, hai il polso della situazione, per te conta più l’aspetto fisico o quello mentale?

Non sono più i tempi di quando correvo io. Ormai arrivano nel nostro mondo ragazzini che hanno già sviluppato una struttura mentale che noi acquisivamo solamente con il tempo, proprio perché l’attività juniores di oggi è profondamente diversa. Noi però dobbiamo essere attenti nella sua gestione, programmare poche gare ma selezionate. Certamente siamo di fronte a un diciottenne che ha già prestazioni da professionista, sia nel rendimento che nella gestione. Per me vale già tantissimo.

Garofoli, la testa e le gambe più forti del dolore

26.05.2025
4 min
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ASIAGO – Una baraonda nella stradina stretta dell’arrivo, nella selva di telecamere, microfoni, obiettivi, massaggiatori e addetti stampa. Nel mezzo di tutto questo, Gianmarco Garofoli sta fermo in mezzo senza dire una parola, nessuno accanto a lui. Settimo al traguardo, a 26 secondi da Verona. La tappa lo ha visto in fuga e poi rispondere per primo allo spagnolo, purtroppo senza riuscire ad agganciarlo. Neppure quando poi è arrivato Zana e in due non sono riusciti a fare tanto di più.

Suo padre Gianluca, prima dell’arrivo era in mezzo a noi con un tablet in mano e il telefono incandescente. Anche questa volta ha seguito suo figlio, ma domani tornerà a casa e si riaffaccerà per la tappa di Bormio. I due si somigliano in modo pazzesco e quando gli abbiamo chiesto come vedesse Gianmarco nella fuga, si è lasciato scappare una battuta col fondo amaro. «Ha tre costole rotte dalla tappa di Napoli, non so come faccia ad andare avanti. Gli ho comprato una fascia, abbiamo stretto, ma non si può dire che stia bene».

Gli diamo il tempo per riprendere fiato e riconnettere i pensieri. Fissa un punto davanti, il sudore gli imperla il viso. Quando ci avviciniamo, ci guarda e il sorriso è un po’ amaro e un po’ stupito per quello che ha fatto. Tutto intorno, nulla accenna a placarsi. Gente che spinge, che va e che viene. A un certo punto al giovane marchigiano della Soudal-Quick Step di avvicina James Knox, arrivato a 1’59”. Gli poggia una mano sulla nuca, gli fa i complimenti e gli chiede come si senta. Lui farfuglia qualcosa e l’altro si allontana.

Su Garofoli è rientrato anche Zana, ma neppure insieme sono riusciti ad agganciare Verona
Su Garofoli è rientrato anche Zana, ma neppure insieme sono riusciti ad agganciare Verona
Tre costole rotte?

Eh, tre costole rotte. Si fanno sentire. Sono stato in fuga da inizio giornata. La prima volta eravamo in una trentina, poi quando ci ha ripreso il gruppo maglia rosa, ci abbiamo riprovato. Io ho dato tutto fino alla fine, ma questa è stata una tappa durissima. Le costole fanno male, le gambe ancora di più. Questo è dolore vero, mamma mia, sono stanco.

L’anno scorso alla Vuelta venisti fuori nella terza settimana: si può pensare che andrà così anche qui?

Sì, ci sono le premesse. Guardate, devo essere sincero. Ieri sera non riuscivo a dormire, non ho dormito perché mi facevano malissimo le costole. Così questa mattina ho pensato più volte di non partire. Poi mi sono detto di provare e vedere come andasse: se oggi vado forte, continuo. E oggi ho avuto la risposta che la condizione c’è. Mi tocca continuare (accenna un sorriso, ndr).

Il piano prevedeva che andassi in fuga?

Dovevo provare per capire se andare avanti, perché nelle ultime tre tappe ho avuto veramente molto, molto dolore. Tutto sommato, il Monte Grappa è stato la parte più facile. La salita più dura secondo me è stata quella di Enego, che era di 16 chilometri. L’ho attaccata dall’inizio, ho provato a seguire Verona, ma mi ha tenuto sempre lì e non mi ha fatto rientrare. E’ stata durissima, me la ricordavo quella salita, perché ci avevo vinto da allievo.

Garofoli settimo all’arrivio a 26″ da Verona. E’ al primo anno con la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)
Garofoli settimo all’arrivio a 26″ da Verona. E’ al primo anno con la squadra belga (foto Soudal-Quick Step)
In tutto questo, le vibrazioni della strada si sono fatte sentire nel costato?

Fanno tanto male, ragazzi, non sono incrinate, sono proprio rotte. Servono tanta testa e tante palle per andare avanti.

Il tempo per l’ultima battuta e poi un massaggiatore viene a sfilargli di sotto la bicicletta, sorteggiata per il controllo meccanico. A questo punto Garofoli, non sapendo cosa fare, si siede per terra. E’ qui che lo raggiungiamo per girare il breve video pubblicato ieri sera su Instagram. Il tempo di fare un passo indietro e si avvicina la sua ragazza. E proprio qui, lontano da obiettivi e domande, Gianmarco crolla in un pianto liberatorio che dà l’idea delle tensioni cui è stato sottoposto dalla notte prima, del dolore che lo aveva quasi convinto a desistere e dell’immenso orgoglio che l’ha portato qui a raccontare la sua impresa (in apertura, foto Soudal-Quick Step). Sono corridori di bicicletta, hanno testa e carattere. E’ bello vivere certi momenti accanto a loro.

Primi attacchi alla maglia rosa: Carapaz e Bernal fanno sul serio

25.05.2025
5 min
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ASIAGO – Le cadute fanno male soprattutto il giorno dopo. Quando Roglic ha tagliato il traguardo aveva l’espressione svuotata, come di chi ha provato a difendersi, ma non ha trovato le risorse per opporsi ai colpi: non era dove doveva essere. Pellizzari e Martinez lo hanno scortato, dando la sensazione di perderlo se per caso una pedalata fosse stata più energica. Anche Tiberi inizialmente è parso bloccato e solo scaldandosi è riuscito a improntare una difesa convincente. E così sulle prime montagne vere del Giro, prima il Monte Grappa e poi la salita di Dori in direzione di Asiago, solo pochi scalatori hanno provato a mettere in difficoltà la maglia rosa. Bernal prima di tutti, con l’aiuto di Arensman. Poi Carapaz. E solo alla fine ha messo fuori il naso anche Simon Yates. Piccoli colpi di assaggio, nulla di irresistibile, anche perché le pendenze dell’ultima scalata erano tutt’altro che proibitive. Eppure è bastato per mostrare un Del Toro super concentrato, pronto e tonico, come chi ha la vittoria cucita addosso e sente la forza sprizzargli dalle gambe. Reggerà così per tutta la settimana?

Roglic ha tagliato il traguardo 1’59” dopo Verona, 1’30” dopo la maglia rosa. Ora è 10° a 3’53”
Roglic ha tagliato il traguardo 1’59” dopo Verona, 1’30” dopo la maglia rosa. Ora è 10° a 3’53”

Il ritorno di Bernal

Ecco cosa hanno detto alcuni dei protagonisti. A cominciare dal pimpante Bernal, all’attacco sul Grappa, che forse per domani avrebbe preferito un altro tappone e non il giorno di riposo.

«Non ero al top stamattina – ha detto il colombiano – sapevo che non sarebbe stata la mia giornata. E’ stato un bene che la prima parte fosse pianeggiante perché mi ha permesso di cambiare umore. Nella prima parte della salita del Monte Grappa abbiamo adottato un approccio un po’ più conservativo, ma poi nella seconda abbiamo deciso di cambiare. Come abbiamo già detto un paio di volte, non abbiamo nulla da perdere, ma molto da guadagnare. E’ stata una giornata divertente e durissima. Il mio attacco? Ho solo cercato di dare il massimo, Arensman è stato bravissimo e Carapaz è il miglior alleato con cui affrontare la salita. Non so cosa sia successo a Roglic. L’ultima salita non era ripidissima, ma era il tipo di strada su cui si può perdere un sacco di tempo una volta staccati. Abbiamo fatto bene a provarci. Siamo il Team Ineos e dobbiamo sempre provare qualcosa. Sto bene, dopo tre anni vado in bici senza dolore e ora finalmente posso diventare l’ago della bilancia. Sono felice di essere tornato. Questa corsa mi darà qualcosa in più. Può essere un grande passo avanti».

Tiberi ha reagito bene al mal di schiena e ha avuto le gambe e la grinta per tenere i migliori, ma la maglia rosa non l’ha perso di vista
Tiberi ha reagito bene al mal di schiena e ha avuto le gambe e la grinta per tenere i migliori, ma la maglia rosa non l’ha perso di vista

Il sollievo di Tiberi

Tiberi, che ieri ha innescato la caduta sul pavé di Gorizia, ha risposto bene alle accelerazioni, avendo accanto un Damiano Caruso che, a dispetto degli anni, mostra ogni giorno di più il fondo e l’autorità per rispondere in prima persona agli attacchi dei campioni.

«Sono contento di come sono riuscito a gestirla – ha detto Tiberi – ma all’inizio non riuscivo a spingere, per questo ho attaccato Ca’ del Poggio abbastanza indietro e ho preso il buco. A quel punto la squadra si è fermata per riportarmi sotto e hanno fatto un lavoro veramente spettacolare. Sono serviti tanto, anche mentalmente e il supporto che mi hanno dato è stato veramente importante. Poi per fortuna anche il fisico ha iniziato a reagire bene. Scaldandomi e iniziando a spingere ho iniziato infatti a sentire un po’ meno dolore, anche se comunque il mal alla schiena c’è ancora. E’ stata comunque una tappa importante. Sono contento di come sono riuscito a reagire e quindi moralmente anche è stato importante non aver subito appunto un’altra sconfitta».

Il confabulare fra Yates, Majka e Del Toro in rosa dopo l’arrivo: la UAE Emirates è parsa in controllo
Il confabulare fra Yates, Majka e Del Toro in rosa dopo l’arrivo: la UAE Emirates è parsa in controllo

La leggerezza di Del Toro

Su tutti loro, la leggerezza e l’autorità di Del Toro fanno pensare che il messicano avrà pure davanti a sé dei punti di domanda, ma per ora fronteggia bene ogni tipo di imprevisto. Ha risposto in prima persona agli attacchi di tutti. Anche a quello di Derek Gee, che quando si è voltato e se lo è visto addosso tutto rosa, ha avuto un sussulto.

«Nella mia posizione – ha detto il messicano – mi sento nervoso perché sono come un tifoso che corre in mezzo ai suoi idoli. Ora devo seguire gli attacchi e di sicuro so che arriveranno. Devo solo aspettare quando e capire se sarò in grado di seguirli tutti. Sono super attivi e competitivi, sapevo che oggi avrebbero iniziato a scattare. Non posso dire con certezza che qualcuno riuscirà ad andarmi via. Per questo a un certo punto ci siamo messi davanti noi e abbiamo aspettato che cominciassero gli attacchi, perché sapevamo che sarebbe successo. Ho cercato di capire quando. Ma sono certo che tanti vogliano vincere e ci proveranno ancora. Per oggi sono riuscito a seguire tutti e a gestire più o meno la situazione. Si riparte fra due giorni e cercheremo di capire anche quale sarà il nostro assetto come squadra».

Ad Asiago l’impresa di Verona, per la famiglia e per Ciccone

25.05.2025
5 min
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ASIAGO – Le figlie Berta e Nina lo guardano e probabilmente non capiscono quello che il padre Carlos sta dicendo in inglese ai giornalisti. Il Giro d’Italia ha incoronato Carlos Verona, di professione gregario e innamorato dell’Africa: al Giro per aiutare Pedersen e Ciccone, che forse non avrebbe neppure immaginato di ritrovarsi in questa corsa a parlare di sé. Lui è emozionato da morire e basta fargli una domanda perché la voce si rompa. Lo sguardo che rivolge verso sua moglie Esther, anche lei sul filo delle lacrime, è una delle immagini più belle di questo dopo tappa. Che cosa significa aver vinto qui, oggi, davanti alla tua famiglia?

«Tutto. Ho incontrato mia moglie quando ero junior – racconta – eravamo nella nazionale spagnola e abbiamo iniziato la nostra carriera insieme. Poi siamo cresciuti come famiglia. Accanto a lei sono cresciuto come persona e ora cresco anche come ciclista. Essere qui con loro è stato molto emozionante. Mi manca solo il mio piccolo Leo, abbiamo tre figli e lui non poteva essere qui. Ma questa vittoria è anche per lui e per la nostra grande squadra. La fatica più grande nel fare il corridore è trovare l’equilibrio tra lo sport e la famiglia. E’ molto impegnativo. Puoi dedicargli tutto il tempo e le energie che vuoi, ma loro sono sempre lì a tenermi con i piedi per terra. A ricordami di godere le piccole cose della vita, a pensare ad altro che allo sport. Averli qui è stato molto emozionante».

Carlos Verona, classe 1992, è nato a San Lorenzo de El Escorial. Pro’ dal 2013, è alto 1,86 e pesa 68 kg
Carlos Verona, classe 1992, è nato a San Lorenzo de El Escorial. Pro’ dal 2013, è alto 1,86 e pesa 68 kg

Dalla delusione al successo

Dice tutto d’un fiato, nel giorno in cui è entrato nella fuga e ha trovato le forze per staccare tutti e cercare l’azione solitaria sull’ultima salita che conduceva all’altopiano di Asiago. Alle sue spalle i primi della classifica saggiavano per la prima volta la resistenza di Del Toro.

«Sono lo stesso che ieri era a terra per la caduta di Ciccone – dice, cercando di spiegare l’emozione – quando ho tagliato il traguardo ero super deluso, ma poi ho dovuto mantenere la calma per rimanere concentrato. E oggi ho vinto ed è molto bello, perché mi ha permesso di creare emozioni e di intrattenere la gente. Spero che la gente si sia divertita a guardare questa vittoria. Mi piace molto cercare di lavorare sodo per la squadra. Fare tutto quello che posso per la mia famiglia. E per dare un senso al duro lavoro che io e la squadra abbiamo fatto durante questa stagione. Qui oggi si è vista soltanto la tappa, ma sono certo che anche Cicco avrebbe potuto giocarsi la vittoria. Siamo stati insieme negli ultimi due mesi con un atteggiamento così positivo, facendo tanti sacrifici. E sono contento, nonostante tutto, che oggi sia andato tutto per il meglio».

Al via della tappa da Castel di Sangro a Tagliacozzo, la foto con le maglie e il team quasi al completo: mancava già Kragh Andersen
Al via della tappa da Castel di Sangro a Tagliacozzo, la foto con le maglie e il team quasi al completo: mancava già Kragh Andersen

Un motore decente

Non vinceva dal Delfinato del 2022 e si era trattato della prima vittoria in carriera. Per fare il bis ha scelto il Giro d’Italia e probabilmente ha dovuto cambiare il chip in corsa. Come quando ti tolgono la briglia e ti lasciano libero di correre come vorresti e non come ti dicono di fare.

«In realtà nella prima parte della tappa – dice – stavo cercando di prendere la fuga e non ci sono riuscito e ho pensato che fosse una buona lezione, perché non ero preparato a lottare. Poi ci sono entrato e mi sono detto che alla peggio sarebbe stato un buon allenamento. Ho visto che continuavamo a guadagnare e allora mi sono detto di lasciarci una possibilità. Ho pensato di resistere più a lungo possibile e poi avremmo visto, anche perché il Monte Grappa è stato un passaggio difficile. Quando ci siamo ritrovati in 15, ho pensato che mi sarebbe piaciuto vincere. Mi sentivo forte, ma ero in fuga con corridori che non conoscevo e non potevo rischiare di arrivare con loro allo sprint. Ho un motore decente, non sono molto bravo quando devo fare molti attacchi, tattiche o sprint, ma riesco a mantenere un buon ritmo per molto tempo. Ed è quello che ho fatto. Ho dato il massimo e sono molto contento di esserci riuscito. Ma ho cominciato a credere alla vittoria negli ultimi 50 metri, prima ho sempre avuto paura che da dietro tornassero i primi della classifica».

Attacco a 44 km dall’arrivo e Verona resta solo. Alle sue spalle Garofoli e Zana
Attacco a 44 km dall’arrivo e Verona resta solo. Alle sue spalle Garofoli e Zana

Lo shock per Ciccone

Per la Lidl-Trek, che Verona definisce il luogo in cui si può essere se stessi e dare il proprio meglio, si tratta della sesta vittoria in questo Giro d’Italia, dopo la quarta di Pedersen e la crono di Hoole. Aspettando la corsa, il dottor Daniele ci ha spiegato che l’ematoma avrebbe comunque impedito a Ciccone di proseguire e che si fosse accorto da subito della gravità della situazione. Un brutto colpo per i tifosi italiani che confidavano nella terza settimana dell’abruzzese, figurarsi per la squadra pronta per aiutarlo.

«Quando abbiamo saputo che sarebbe andato a casa – dice Verona – siamo rimasti scioccati. Aspettavamo tutti la prossima settimana. Anche nel mio caso personale, non vedevo l’ora di dare un senso a tutto il lavoro della settimana scorsa. Il giorno dello sterrato mi sono svegliato super preoccupato non per me, ma per la paura di perdere Mads o Cicco (Pedersen o Ciccone, ndr), perché sono loro due che danno un senso al mio lavoro. E’ stato un durissimo colpo, ma alla fine la vita è così. Bisogna essere resilienti e guardare al futuro. Penso che tutto accada per una ragione. Si vede che non doveva essere il Giro di Ciccone, ma di sicuro lo attende qualcosa di buono. E questa vittoria è per onorare lui e tutto ciò che ha fatto».