Un anno senza Cavendish. Che sogna un ciclismo nuovo

Un anno senza Cavendish. Che sogna un ciclismo nuovo

17.12.2025
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E’ passato ormai un anno abbondante da quando Mark Cavendish ha appeso la bici al chiodo. Solo simbolicamente, perché la bici è sempre sua compagna di vita, anzi ora ha riscoperto quei significati profondi, quell’amore incondizionato che è parte integrante del suo rapporto con le due ruote, sbocciato in tenera età e diventato quasi un’ossessione da adolescente.

Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima...»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima…»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima...»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima…»

Una mentalità da manager d’industria

«A 14 anni ho deciso che volevo diventare professionista e ho guardato a tutto quello che serviva. Non solo in bici, non solo il talento necessario. Io ho guardato anche a tutto il contesto: le lingue da imparare, l’alimentazione, i rapporti con tutte le parti di quel mondo».

Quello sguardo attento gli è rimasto, anzi sta costruendo ora su quello il suo futuro. Un futuro da imprenditore, che ha ancora contorni fumosi, ma sul quale intende investire tutto se stesso e non solo i guadagni – tanti – accumulati in vent’anni di attività. Proprio il discorso dei guadagni è diventato il tema di un’interessante intervista rilasciata al Financial Review dove l’ex iridato dell’Isola di Man ha detto la sua su come il mondo del ciclismo venga gestito, senza usare mezzi termini.

Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L'ex iridato è molto critico sull'intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L’ex iridato è molto critico sull’intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L'ex iridato è molto critico sull'intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L’ex iridato è molto critico sull’intero sistema ciclismo

Perché non ispirarsi alla Formula 1?

«Il ciclismo è uno sport popolare che però deve cambiare alcune sue colonne portanti, senza per questo perdere fascino. E’ poco logico che i grandi campioni del ciclismo abbiano introiti così inferiori a quelli di altri sport che hanno una popolarità pari se non inferiore e questo dipende da come viene gestito. Io non so ancora come mettermi a disposizione di questo mondo, ma quel che so è che qualcosa deve cambiare, dobbiamo ispirarci ad altri modelli, ad esempio la Formula 1».

Nella sua disamina Cavendish affronta il tema con lo sguardo dell’imprenditore: «Il ciclismo nel suo complesso non sfrutta le sue potenzialità commerciali e di marketing, per questo voglio costruire qualcosa che abbia la possibilità di farlo. Non c’entra nulla con figure come i procuratori, credo invece che si possa ragionare per ridistribuire tutto quello che scaturisce dal nostro sport.

Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising
Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising
Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising

I risultati non sono tutto…

«Il mio esempio, gli ultimi anni vissuti nell’ambiente sono la dimostrazione che serve un nuovo modo di concepire il nostro sport. Io pur invecchiando vincevo ancora, ma i team erano renitenti a investire su di me perché temevano che non vincessi più. Ma i risultati non sono tutto, il ciclismo è anche immagine da spendere con i media e su questo aspetto non si investe abbastanza».

Nel suo ragionamento, Cavendish individua nell’eccessivo legame con gli sponsor la causa di tanti problemi: «Il ciclismo potrebbe produrre autentiche superstar, ma non ha la spinta per capitalizzare sulla loro esistenza. La mia non è arroganza, è solo la constatazione che la mia immagine, la mia storia, attiravano sponsor e questo non è stato capito e sfruttato bene. C’erano molte persone che traevano profitto dal mio sudore più di me…».

L'ultima vittoria, a Saint Vulbas, Tour 2024. Il record di tappe è finalmente suo
L’ultima vittoria, la 35ª, a Saint Vulbas, Tour 2024: il record di tappe è finalmente suo
L'ultima vittoria, a Saint Vulbas, Tour 2024. Il record di tappe è finalmente suo
L’ultima vittoria, la 35ª, a Saint Vulbas, Tour 2024: il record di tappe è finalmente suo

Un legame troppo stretto con gli sponsor

Parole sferzanti, che mettono sotto accusa l’impostazione stessa del ciclismo attuale, con i ciclisti schiacciati tra procuratori e team, «che hanno sicuramente valori, ma rispetto ad altri sport, il ciclista guadagna quasi esclusivamente dalla squadra e le squadre campano in base agli sponsor che trovano, se non ci sono rischiano di fallire e gli esempi li abbiamo avuti. Ma i guadagni delle gare restano nelle tasche degli organizzatori, questo non va. Come anche il fatto che i team non ottengono nulla dai proventi televisivi come avviene in altre discipline».

Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore

Cercare altre fonti di guadagno per i team

Effettivamente uno studio sui guadagni del 2023 rivela che l’ASO ha ottenuto un dividendo di 350 milioni di euro dalle sue gare e alle squadre non è andata neanche una parte di questi introiti.

«Gli spettatori vengono alla gara per i corridori, spendono, c’è un grande flusso di denaro ma chi lo genera non ne acquisisce. Servono altre fonti di guadagno, per liberarsi dalla schiavitù degli sponsor. E’ in questo che dobbiamo prendere esempio dalla Formula 1, dalla sua capacità di trovare fonti di reddito alternative utilizzando l’immagine stessa delle stelle di questo sport e il richiamo che hanno».

Mattia Agostinacchio, Namur, Coppa del mondo ciclocross, 2025, EF Education-EasyPost (Photopress.be)

Il “quarto d’ora granata” di Mattia Agostinacchio: un’onda continua

17.12.2025
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Il Grande Torino che negli anni ‘40 ha dominato il calcio italiano, fino al tragico incidente di Superga, aveva quel quarto d’ora finale in cui era capace di ribaltare ogni risultato. Una specie di trance agonistica nella quale tutto diventava possibile, con lo stadio Filadelfia pronto a diventare teatro di imprese che sono passate alla storia. Nello sport esistono atleti, che poi passano ai libri come campioni, capaci di far diventare normale qualcosa che non lo è affatto. Mattia Agostinacchio sembra poter essere uno di quelli, è presto per dirlo ma i segnali si intravedono e fanno ben sperare (in aperta foto Photopress.be).

Il quarto d’ora finale di Mattia Agostinacchio gli è valso un titolo iridato juniores a Liévin
Il quarto d’ora finale di Mattia Agostinacchio gli è valso un titolo iridato juniores a Liévin

Il Re degli ultimi giri

Lo stesso Daniele Pontoni, cittì azzurro del cross, si è stupito quando per la prima volta ha assistito al “quarto d’ora granata” del più giovane dei due fratelli valdostani. Domenica scorsa a Namur, nella gara di Coppa del mondo coincisa con il ritorno sul fango di Mathieu Van Der Poel, Mattia Agostinacchio si è ripetuto. Testa bassa sul manubrio e gambe che martellano sui pedali, curva dopo curva, ostacolo dopo ostacolo. Il ragazzino di diciotto anni, che dal 2026 sarà nel WorldTour con i colori della EF Education-EasyPost, in quelle ultime due tornate ha tenuto lo stesso passo del sette volte campione del mondo del cross, mantenendo invariato il distacco e concludendo al tredicesimo posto la corsa. 

«L’anno scorso lo chiamavano il Re degli ultimi giri», la voce e lo sguardo sono quelli del fratello maggiore, Filippo Agostinacchio, che fino a tre settimane fa era preparatore di Mattia e lo ha visto crescere. «Quello che ha fatto a Namur lo ha fatto anche ai mondiali juniores a Liévin a febbraio e all’europeo di Middelkerke dello scorso novembre (con un successo in entrambe le prove, ndr)». 

UCI Cyclocross World Cup 2024-2025, Mathieu Van der Poel
Negli ultimi due giri a Namur il giovane valdostano a Namur ha tenuto gli stessi tempi di VDP
UCI Cyclocross World Cup 2024-2025, Mathieu Van der Poel
Negli ultimi due giri a Namur il giovane valdostano a Namur ha tenuto gli stessi tempi di VDP
Da dove nasce questa dote?

Mattia ha un motore anaerobico enorme, è una cosa che tanti atleti hanno. Si tratta della capacità di andare “a blocco” come si dice in gergo, per diversi minuti.

Quale aspetto fa la differenza?

La durata, il tempo che si riesce a restare in questa zona rossa senza andare fuori giri ed “esplodere” divide i buoni corridori dai campioni. E’ una qualità che tutti cercano su strada, perché ci si è resi conto essere quella utile per fare la differenza. Nel ciclocross la differenza la si vede di più perché è proprio una dote innata.

Ciclocross Salvirola 2025, Mattia Agostinacchio (foto Alessio Pederiva)
Mattia Agostinacchio nel suo quarto d’ora finale entra in un flow incredibile inanellando settori a ritmi elevatissimi (foto Alessio Pederiva)
Ciclocross Salvirola 2025, Mattia Agostinacchio (foto Alessio Pederiva)
Mattia Agostinacchio nel suo quarto d’ora finale entra in un flow incredibile inanellando settori a ritmi elevatissimi (foto Alessio Pederiva)
Cosa succede in Mattia?

Va detto che non sono quindici minuti continui, perché lo sforzo nel ciclocross è composto da tanti passaggi al di sotto del minuto. Mattia però è in grado di inanellare una serie di sforzi brevi fuori dal comune. Inoltre c’è un altro aspetto decisamente importante.

Quale?

Smette di fare errori. Non so spiegare cosa succede e perché, ma non sbaglia più nulla. Entra in un flow psicologico incredibile. Uno lo guarda da fuori e l’unica cosa che riesce a dire è: «Boh».

Mattia Agostinacchio, Namur, Coppa del mondo ciclocross, 2025, EF Education-EasyPost (Photopress.be)
Non solo una grande fase anaerobica, ma anche una trance agonistica che porta Mattia a non sbagliare nulla (Photopress.be)
Mattia Agostinacchio, Namur, Coppa del mondo ciclocross, 2025, EF Education-EasyPost (Photopress.be)
Non solo una grande fase anaerobica, ma anche una trance agonistica che porta Mattia a non sbagliare nulla (Photopress.be)
Partiamo dalla dote atletica, quanto è innata e quanto ci si può lavorare?

Sicuramente il suo background di fuoristrada lo aiuta molto. Mattia ha sempre corso in mountain bike e nel cross, questo porta il fisico a sviluppare certe doti. Tuttavia c’è anche una parte genetica, perché anche io ho questa qualità, anche se in percentuale minore. E’ un mix di genetica, ambiente in cui siamo cresciuti e risposta a questo ambiente

La parte tecnica, invece?

Quella deriva dal fatto che Mattia è cresciuto con una bicicletta accanto fin da che ha memoria. Già quando era piccolo, ancora prima di saper camminare, andava in giro con quelle biciclettine a spinta per bambini. Imparare a stare in equilibrio e andare in bici fin da subito gli hanno permesso di sviluppare qualità tecniche impareggiabili. 

Trasportare le qualità di Mattia Agostinacchio su strada sarà uno degli obiettivi della EF Education-EasyPost (Photors.it)
Trasportare le qualità di Mattia Agostinacchio su strada sarà uno degli obiettivi della EF Education-EasyPost (Photors.it)
In che senso?

Io ho iniziato a utilizzare la bicicletta da più grande e non ho quelle doti tecniche e di guida che Mattia ha. E forse non riuscirei mai ad eguagliarle, il lavoro da fare sarebbe addirittura troppo. 

Come si trasportano su strada questi quindici minuti finali di Mattia?

Credo sia l’equivalente di arrivare fresco e concentrato nei settori finali di una corsa. A livello di guida lo tradurrei nella capacità di guidare in gruppo quando la tensione sale, limare e restare davanti nei momenti concitati. Mentre la qualità atletica è quella che farebbe la differenza tra piazzarsi e vincere. La differenza su strada è che il quarto d’ora potrebbe essere continuo, o comunque fatto da intervalli più lunghi. Su strada corre da talmente poco tempo che non abbiamo idea dei margini possibili, ma ora che passa in EF Education-EasyPost è in ottime mani.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara

I plantari custom fanno tanta differenza? Risponde Giuliano Carrara

17.12.2025
5 min
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I plantari customizzati e personalizzati in base alle individualità. Torniamo a scrivere di un argomento che non conosce epoca, tornato alla ribalta per via di una ricerca sempre più strenua delle performance.

I vantaggi, gli eventuali svantaggi e cosa è necessario considerare quando ci si affida a specialisti che operano nell’ambito dei plantari personalizzati. Abbiamo chiesto un approfondimento al dottor Giuliano Carrara, podologo podoiatra, della Podoclinica Carrara di Leffe (Bergamo) che, non di rado, si confronta con le richieste di atleti professionisti di primo piano.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Anche Filippo Ganna si affida al dottor Giuliano Carrara, questa una foto della sua ultima visita
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Anche Filippo Ganna si affida al dottor Giuliano Carrara, questa una foto della sua ultima visita
Quali sono i motivi principali che spingono un ciclista ad avere un plantare personalizzato?

Sono diversi, ma quelli principali sono 6. Il primo è un dolore persistente, che resta tale anche dopo il cambio delle scarpe e visita bikefitting. Normalmente lo stesso dolore ci concentra sul ginocchio, si manifesta tramite una fascite plantare, metatarsalgia e formicolii.

Gli altri?

In sequenza sono da considerare la perdita di fluidità e di potenza durante la pedalata, differenze esistenti tra i piedi e le gambe, semplice desiderio di migliorare comfort e prestazioni. Con l’utilizzo di un plantare personalizzato si contrasta una eventuale instabilità del piede, talvolta accentuata dai pedali moderni e c’è anche un discorso di prevenzione degli infortuni.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La valutazione include anche la pedalata statica sulla propria bici
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La valutazione include anche la pedalata statica sulla propria bici
Attraverso l’utilizzo di un plantare fatto su misura si può migliorare la performance con una resa atletica migliore?

Sì, principalmente grazie ad una maggiore stabilità. I plantari personalizzati rendono i piedi più stabili e rigidi al momento giusto, riducono la dispersione di energia e permettono di trasmettere meglio la forza sul pedale. Se alla base c’è un problema di appoggio, la sua correzione porta a vantaggi non trascurabili. Studi scientifici confermano guadagni tra il 2 e il 5 % di potenza sostenibile, oltre a ridurre la stanchezza.

E’ riuscito a quantificare i miglioramenti di un ciclista che usa i plantari costruiti sulle sue esigenze?

Certamente. Il feedback dei ciclisti è costante e inequivocabile. Dopo aver indossato il plantare definitivo i riscontri più comuni sono: «Il ginocchio non entra più verso l’interno», «Non sento più quella pressione sotto le dita», «Dopo 4-5 ore non ho più dolore», «La pedalata è molto più stabile e potente». Sono le risposte che ricevo, settimana dopo settimana, sconfinano nella soddisfazione e nel benessere, per me è una gratificazione.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Uno dei primi passi è l’analisi statica di “come è fatto” il piede
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Uno dei primi passi è l’analisi statica di “come è fatto” il piede
Su quali distretti influisce principalmente un plantare ben progettato?

Il miglioramento parte dal mesopiede. Quando il mesopiede è stabile e si blocca correttamente, caviglia, ginocchio, anca e schiena lavorano con meno stress. Se invece “cede”, tutto il corpo compensa e prima o poi arriva il dolore, soprattutto al ginocchio o alla fascia ileotibiale.

C’è differenza tra sostegno dell’arco plantare e stimolazione della zona cuboide?

Sono due correzioni completamente diverse. Il sostegno dell’arco interno serve a chi ha il piede piatto e tende a “crollare” verso l’interno. La stimolazione del cuboide, consiste in un piccolo rialzo laterale di 3/6 millimetri, serve a chi ha il piede cavo o molto rigido.

Come funziona?

Aiuta il mesopiede a diventare rigido esattamente quando si spinge forte, precisamente tra le ore 2 e le 5 del giro di pedivella. Impedisce al carico di spostarsi di lato e riduce dolori laterali e tendiniti peroneali. E’ importante considerare che, l’uso della correzione sbagliata è il motivo principale per cui molti plantari non funzionano in bici.

Il plantare deve solo sostenere o anche permettere la corretta espansione e distensione del piede nella scarpa?

Deve fare entrambe le cose. Sostiene dove serve, ma lascia spazio perché l’avampiede si allarghi leggermente, con un range di 4/7 millimetri, in modo che le dita possano estendersi completamente. Personalmente uso sempre un leggero rialzo in punta, prende il nome di toe spring e, se necessario, si porta a scaricare le teste metatarsali. I plantari troppo pieni o troppo stretti provocano formicolii e “piedi caldi”.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Il piede è pronto per il calco
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Il piede è pronto per il calco
Le solette commerciali o termoformate che troviamo oggi in commercio possono sostituire un plantare personalizzato?

No. Sono costruite su forme standard e non tengono conto delle caratteristiche individuali del piede. Nella maggior parte dei casi non risolvono il problema e, se la correzione è sbagliata per quel piede, possono addirittura peggiorarlo.

In che modo?

Aumentano la pressione, spostano il carico o mascherano il problema. Personalmente non le consiglio mai come soluzione terapeutica o prestazionale. Quando c’è dolore, instabilità, asimmetria o ricerca di prestazioni serie, l’unica strada efficace è il plantare su calco individuale dopo una visita biomeccanica podologica completa.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La “costruzione” del plantare prevede anche operazioni manuali di adattamento
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La “costruzione” del plantare prevede anche operazioni manuali di adattamento
Quali materiali utilizza per realizzare i suoi plantari per i ciclisti?

Dopo un’attenta valutazione che comprende visita biomeccanica podologica, videografia posturale, baropodometria statica, dinamica e soprattutto durante la pedalata reale con la bici del cliente, utilizzo solo due tecnologie, sempre su calco individuale del piede. Plantare in EVA medicale ad alta densità fresato CAD-CAM: lo scelgo per il 95 % dei casi. E’ rigido, leggerissimo, ha uno spessore minimo. L’altra soluzione è la stampa 3D in nylon caricato al carbonio. Quest’ultima è riservata a chi sviluppa potenze molto elevate o necessita di correzioni importanti. Il rivestimento superiore è sempre in EVA per evitare micro-movimenti e garantire comfort anche dopo centinaia di chilometri.

Joao Almeida

Il primo big del Giro alza la mano. Almeida crede alla rosa

17.12.2025
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Occhiale con montatura dorata, una tranquillità quasi sudamericana cucita addosso, anche se europeo lo è fino in fondo, e una grinta che c’è, ma non si vede. Joao Almeida lo incontriamo a Benidorm, durante il media day della UAE Emirates e bastano poche frasi per capire che il 2026 può essere il suo anno. Una delle prime cose che ci dice il portoghese è che sarà lui il leader della squadra al prossimo Giro d’Italia. E’ quindi il suo il primo nome tra i big che puntano alla maglia rosa.

Almeida ormai è un atleta di vertice assoluto. Tolti due o tre fuoriclasse fuori scala, è lì, stabilmente, nel gruppo ristretto dei corridori da Grandi Giri. E soprattutto è in crescita. Una crescita lenta e costante, tipica di chi costruisce tutto con il lavoro. Non è il talento a cui arriva tutto dall’alto. Il podio alla Vuelta gli ha dato consapevolezza e fiducia. Ogni stagione ha aggiunto qualcosa. E al Giro che può giocarsi la sua grande occasione.

Joao Almeida
Joao Almeida (classe 1998) a Benidorm ha annunciato che punterà forte al Giro d’Italia
Joao Almeida
Joao Almeida (classe 1998) a Benidorm ha annunciato che punterà forte al Giro d’Italia

Verso il Giro

Almeida è uno molto concreto e soprattutto consapevole. Non si nasconde dietro frasi fatte quando parla del proprio livello rispetto a fenomeni come Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard o Remco Evenepoel. Sa dove si colloca e sa bene che il Giro d’Italia rappresenta uno snodo fondamentale della sua carriera.

«Il Giro sarà il mio grande obiettivo – racconta – sono contento di tornare. E’ una scelta che abbiamo preso con la squadra. Lo affronterò con l’idea di lottare per la corsa e provare a vincere. Poi parlare è facile, farlo è un’altra cosa. So che dovrò lavorare tantissimo e rimanere concentrato fino all’ultimo giorno».

Il suo programma stagionale è fitto ma equilibrato: Valenciana, Algarve, Parigi-Nizza, Catalunya, Giro d’Italia, Burgos e Vuelta. Una costruzione pensata appunto insieme alla squadra, che ha condiviso con lui la scelta di tornare al Giro dopo due Tour consecutivi. La corsa rosa gli ha dato tanto, è qui che si è rivelato al grande pubblico nel 2020 indossando la maglia rosa per 15 giorni. E sempre qui ha agguantato il suo primo podio in un grande Giro nel 2023.

Joao Almeida
Joao al Giro avrà una grande squadra (a partire da Vine in testa). Anche i compagni ne riconoscono la leadership
Joao Almeida
Joao al Giro avrà una grande squadra (a partire da Vine in testa). Anche i compagni ne riconoscono la leadership

Una squadra forte

Poi c’è il tema squadra, centrale come non mai. In conferenza qualcuno prova ad estorcergli una dichiarazione sul fatto che il non essere stato portato al Tour possa bruciargli. Almeida non è di questo parere. Davvero ha una grande occasione, soprattutto è leader riconosciuto anche dall’interno di una corazzata come la UAE.

Il rapporto con Pogacar, la condivisione dei programmi e il ruolo che Almeida ha saputo ritagliarsi all’interno della UAE hanno fatto crescere le sue quotazioni. Dopo il podio alla Vuelta e il lavoro da gregario al Tour, il suo status è cambiato. Insomma, Joao non è più soltanto un lusso di squadra, ma una garanzia.

La vittoria sull’Angliru, battendo Vingegaard, resta uno snodo cruciale in ottica futura. Ha aperto una breccia… anche nella mente. Non solo per il valore simbolico di quella salita, ma per il messaggio che ha mandato. E’ stata una breccia ben più ampia dei pochi secondi inflitti in cima. L’Angliru di Almeida è la dimostrazione che anche il danese, seppur con grande difficoltà, è battibile. E questo lo sanno anche i compagni.

Al Giro Almeida arriverà con una formazione di altissimo livello, come dicevamo. Al suo fianco ci saranno uomini come Adam Yates, Jay Vine e il connazionale Antonio Morgado, giusto per citarne tre. Una squadra “monster”, costruita per proteggerlo in pianura, sostenerlo in salita e offrirgli soluzioni tattiche in ogni fase della corsa. E’ una fiducia che pesa, ma che allo stesso tempo lo responsabilizza.

Almeida ha perso la Vuelta con 1’16” di distacco da Vingegaard. Il danese però aveva 34″ di abbuoni in più. Il distacco su strada è stato di 42″. Un dato incoraggiante in vista del Giro
Almeida ha perso la Vuelta con 1’16” di distacco da Vingegaard. Il danese però aveva 34″ di abbuoni in più. Il distacco su strada è stato di 42″. Un dato incoraggiante in vista del Giro

Un grande tra i grandissimi

Almeida non ha mai nascosto quanto questa sia un’epoca ciclistica complicata. «E’ un periodo molto difficile – spiega – il livello è altissimo. Quando si parla di Pogacar, Vingegaard o Evenepoel sono più realistico che sognatore. Non rinnego le ambizioni, ma non mi illudo. Attualmente, vincere il Tour contro di loro è quasi impossibile, ma sono felice di essere parte di questa generazione. Sono gli anni migliori della mia vita».

Una frase che racconta molto del suo approccio: la vittoria non è l’unico metro di giudizio. Conta anche come si corre, come si cresce, come si resta competitivi.

Il portoghese è convinto che non sempre vinca il più forte e che le corse si decidano su dettagli, gestione e lucidità. E’ per questo che punta su gare come il Giro, dove la costanza può fare la differenza. «Un Grande Giro sono tre settimane in cui non serve un’esplosività devastante, ma la capacità di non crollare mai. Un terreno che sento mio e mi consente di esprimere al massimo la mia idea di ciclismo».

Joao Almeida
Piancavallo 2020: Almeida si difende con i denti. In cima resterà in rosa per 15″
Joao Almeida
Piancavallo 2020: Almeida si difende con i denti. In cima resterà in rosa per 15″

Almeida e la salita

Nel suo percorso ci sono anche ricordi che definisce: «Belli e tristi allo stesso tempo». L’oggetto in questione è la salita di Piancavallo. La montagna friulana sarà il giudice definitivo della prossima corsa rosa. Lassù nel 2020 si trovò in mezzo agli attacchi di Hindley, Kelderman e Geoghegan Hart. «Tornare lassù per una rivincita? E’ una salita normale… ma spero di andare forte», sorride.

Almeida insiste molto sull’aspetto mentale e scientifico della preparazione che si lega molto alla sua tattica. Lui di solito è uno che sulle salite lunghe rientra (quasi) sempre. Sembra stia sempre per staccarsi e poi te lo ritrovi davanti. «Alla fine il ciclismo è scienza – ha detto al poadcast di Sigma – scienza applicata allo sport. Con i test e le sensazioni sai esattamente quanti watt puoi spingere per un certo tempo. Potrei seguire subito certi attacchi, ma non lo faccio perché so che quei corridori a quel ritmo crolleranno entro un paio di chilometri. Nella mia mente mi dico: ti riprendo. Chiaro che non posso sempre fare questo ragionamento anche contro Pogacar, Vingegaard o Evenepoel».

Stavolta però Vingegaard al Giro potrebbe esserci. Almeida lo sa. E sa anche che dovrà arrivare al massimo, magari sfruttando tappe intermedie, gestione e intelligenza di gara. Perché il Giro, più di ogni altra corsa, spesso premia chi sa aspettare il momento giusto e chi lo conosce (Joao ha già quattro partecipazioni). E tante volte ha punito la superstar di turno. Lo sanno bene Wiggins, Thomas, Evenepoel…

Shimano GRX gravel. A sinistra leva ST RX715R, a destra leva BL RST17L

Nuove leve e design, la famiglia Shimano GRX Di2 si allarga

16.12.2025
4 min
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Shimano GRX è la piattaforma dedicata al gravel. L’ultima release adotta la soluzione Di2, ovvero la base elettronica per la trasmissione. L’azienda giapponese aggiunge un altro tassello alla famiglia GRX, grazie ai componenti RX717 1×12 (in apertura, a sinistra la leva dual control ST RX715R, a destra la BL RST17 L).

L’obiettivo principale è quello di allargare ulteriormente l’utenza che adotta il sistema Di2 nel gravel ed il core concept dei componenti RX717 è proprio questo. Entriamo nel dettaglio.

Nuove leve e design, la famiglia Shimano GRX Di2 si allarga
Allargare ancora di più l’utenza Di2 in ambito gravel
Nuove leve e design, la famiglia Shimano GRX Di2 si allarga
Allargare ancora di più l’utenza Di2 in ambito gravel

Shimano GRX Di2 RX717, i plus tecnici

Prima di tutto: la nuova piattaforma GRX nasce per essere robusta, affidabile e prende spunto dalla famiglia Di2 mtb di Shimano. Diverse soluzioni sono in comune. Come ad esempio il design, la protezione dei componenti più sensibili e anche la funzione di recupero del rapporto dopo un (eventuale) impatto violento.

La gamma RX717 include una leva dual control (sempre idraulica) sul lato destro. Sono invece due le opzioni per la leva sinistra, che non integra l’elettronica e prevede esclusivamente la leva del freno. Si differenziano per la scritta, una con marchio GRX e l’altra con la scritta Shimano.

Si passa alla gabbia posteriore del cambio, proprio della serie GRX RX717. Quest’ultimo è disegnato per supportare una cassetta 12 velocità 10-51 (quindi una gabbia lunga), che allarga il range di utilizzo ed interpretazione (spingendosi anche verso un gravel che sconfina nella mtb). Da non far passare in secondo piano: GRX RX717 1×12 è una trasmissione completamente wireless, in quanto la batteria è integrata nel bilanciere posteriore, proprio come la trasmissione mtb.

La batteria utilizzata è la medesima di XTR, Shimano XT e Deore, ultima versione di GRX RX827. Il suo alloggio è studiato per offrire aumentare la protezione del comparto, mettendo la stessa batteria al riparo da colpi proibiti, danni e anche umidità, senza interferire con la facilità di ricarica. Questa tipologia di batteria e di integrazione conservativa permette di avere un delta di autonomia compreso tra i 700/1000 chilometri, considerando le variabili legate all’utilizzo e all’ambiente esterno. E’ comunque molto e nell’ottica di utilizzare il sistema anche su biciclette adventure, bikipacking e per i viaggi, il plus tecnico è certamente da considerare.

Restando nell’ambito del bilanciere posteriore, questo integra la tecnologia Shadow ES, un vero e proprio stabilizzatore che garantisce sempre la giusta tensione (e stabilità) della catena.

Design delle leve dal segmento road

Ci piace. Perché avvicina il gravel al settore strada con quell’impatto estetico che è una sorta di family feeling design e sfrutta la bontà tecnica (robustezza ed affidabilità) dell’impianto MTB. Significa anche ergonomia e una confidenza immediata per chi passa dalla bici road a quella gravel. Le leve hanno la regolazione della corsa, sono totalmente compatibili con la app E-tube Shimano. Utilizzano delle batterie CR1632 di facile accesso e sostituzione (con una durata che può arrivare fino ai 4 anni, ma è sempre necessario considerare le variabili legate ad utilizzo, condizioni climatiche ed eventuali aggiornamenti). E’ da considerare anche il cappuccio ergonomico migliorato. Non un semplice dettaglio, ma un componente che influisce proprio sulla comodità e sull’esperienza della pedalata, capace anche di smorzare le vibrazioni negative che arrivano inevitabilmente al manubrio.

Il vantaggio del design è relativo anche alla configurazione con manubri diversi, più votati al segmento gravel, oppure maggiormente tirati ed aerodinamici, pensando ai manubri gravel race mutuati dal road. E’ facile pensare anche ad un abbinamento con leve già esistenti, Dura Ace, Ultegra e Shimano 105 Di2.

Shimano

Primoz Roglic

Roglic: «La finestra sul Tour per me si è chiusa». All in sulla Vuelta

16.12.2025
5 min
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PALMA DE MAIORCA (Spagna) – «Se mi chiedete se preferisco fare secondo al Tour o vincere la Vuelta non ho dubbi: vincere la Vuelta». Sono queste le parole di Primoz Roglic che più ci hanno colpito nel media day di qualche giorno fa indetto dalla sua squadra. Nella cornice del training camp della Red Bull-Bora, lo sloveno arriva col passo di chi è abituato a convivere con le aspettative, ma anche con il peso del tempo e tanta consapevolezza. Forse saggezza ormai.

E’ Ralph Denk a sciogliere subito i dubbi, annunciando che Roglic correrà la Vuelta e non sarà ai nastri di partenza né del Giro d’Italia né del Tour de France. Una decisione che orienta la stagione e, di conseguenza, tutte le domande dei giornalisti. Roglic ascolta, sorride, poi prende il microfono con la lucidità di chi ha visto e vissuto tutto.

Primoz Roglic
Sloveno rilassato. Eccolo in un selfie lungo le belle ciclabili dell’isola che scorrono proprio sulla costa
Primoz Roglic
Sloveno rilassato. Eccolo in un selfie lungo le belle ciclabili dell’isola che scorrono proprio sulla costa

Nuova stagione, vecchi obiettivi

La stagione si apre come spesso accade attorno a lui: con aspettative elevate ma con una consapevolezza appunto. Roglic non cerca scorciatoie, non vuole illusioni. A Mallorca lo dice in modo semplice, diretto, quasi disarmante: «Sono realista (realista è una parola che userà spesso lo sloveno, ndr), il Tour non rientra più tra gli obiettivi principali. La finestra per vincerlo si è chiusa. Non per rassegnazione, ma per lucidità: il livello dei più giovani è altissimo e io ho 36 anni. Ma sono ancora competitivo e preferisco concentrare le energie dove conta davvero e dove si può fare bene».

La Vuelta diventa così il centro della sua stagione, l’architrave attorno a cui tutto ruota. Il quinto successo sarebbe qualcosa di storico, un traguardo che darebbe ulteriore lustro a questi ultimi anni di carriera.

«Il ciclismo – spiega Roglic – si è spostato verso una generazione capace di correre sempre al limite, con una continuità impressionante. Sono ancora qui, sono ancora affamato. La motivazione non mi è mai mancata. La differenza, oggi, sta nel come orientare quella fame».

Primoz Roglic
Roglic qualche settimana fa durante un evento Red Bull su una specie di Bmx (foto Charly Lopez)
Primoz Roglic
Roglic qualche settimana fa durante un evento Red Bull su una specie di Bmx (foto Charly Lopez)

Liberazione Tour

Non c’è più la rincorsa al Tour come obbligo morale e questo sembra averlo alleggerito. Ed è una sensazione quasi palpabile. Una sensazione che chi gli è vicino ci ha confermato. Dallo staff ci hanno confidato che Primoz è la serenità fatta persona. Educato, disponibile, vive gli avvenimenti e le corse in modo molto “zen”. E questa è una cosa che ha migliorato nel corso degli anni. All’inizio non era proprio così, diciamolo pure…

Roglic entra nel nuovo anno con una mentalità lineare: una preparazione specifica, un obiettivo unico e chiaro, e la volontà di mettere in campo la sua esperienza in una corsa che conosce come nessun altro. Per lui la Vuelta non è un ripiego, ma la tappa naturale di un atleta che punta ancora al massimo possibile. E sul fatto che non sia un ripiego ha ribattuto anche in modo netto. All’ennesima domanda dei giornalisti che gli chiedevano se non fosse scontento di questo programma di “serie B” (come se esistesse solo il Tour) che la squadra ha previsto per lui, che non fosse un ripiego, Primoz ha cambiato espressione. Da sorridente e disponibile per qualche secondo si è irrigidito: ha sbuffato, ha cambiato tono e ha ribadito una volta per tutte che questo programma gli piace e che va bene.

Davvero non ci sono sembrati essere problemi di convivenza fra Remco e Roglic, anche perché hanno obiettivi e calendari diversi
Davvero non ci sono sembrati essere problemi di convivenza fra Remco e Roglic, anche perché hanno obiettivi e calendari diversi
Primoz Roglic
Davvero non ci sono sembrati essere problemi di convivenza fra Remco e Roglic, anche perché hanno obiettivi e calendari diversi

Nuovi equilibri

L’altra grande domanda è inevitabile: quale sarà il ruolo di Roglic in un team che accoglie fenomeni come Remco Evenepoel? L’arrivo del belga, insieme alla crescita dei giovani della Red Bull-BORA-hansgrohe, ridisegna gerarchie e responsabilità. Ma paradossalmente non per Roglic.

Primoz non ha rivendicato leadership, non ha alzato muri. Anzi… Sin dalla trasferta in Giappone di fine anno aveva dichiarato che sarebbe stato pronto ad aiutare Remco nel caso avessero corso insieme. Insomma, ormai lui è super partes. E’ il jolly di lusso.

Con Remco non c’è sovrapposizione, bensì complementarità. E non solo perché il belga punta al Tour e Roglic alla Vuelta. Ma proprio per una questione di realismo, come dicevamo. Poi è chiaro che i due programmi distinti evitano ogni possibile conflitto e, intelligentemente, ampliano la portata del progetto sportivo della Red Bull-Bora stessa. All’interno della squadra, lo sloveno diventa un acceleratore di maturità per i più giovani, un capitano che offre linee guida e che accetta un ruolo meno di vertice ma ancora centrale.

Roglic dunque non teme il cambiamento. Anzi, pare averlo interpretato come un’opportunità: «Con Remco in squadra e tanti ragazzi fortissimi non sono costretto ad essere sempre a tutta o battermi su ogni fronte per me e per la squadra. E questo non è un aspetto da poco». Quando si dice che l’esperienza conta…

A proposito di programmi, lo sloveno dovrebbe avere una partenza soft. D’altra parte il grande obiettivo è ad agosto inoltrato. Primoz sarà alla Tirreno-Adriatico e al Giro dei Paesi Baschi. Presumibilmente dovrebbe fare anche il Tour de Suisse, ma sull’avvicinamento più capillare ci sarà modo di mettere a punto il tutto. Altra notizia: dovrebbe saltare quasi a piè pari le classiche.

Nel 2024 Roglic ha conquistato la sua quarta Vuelta. Il pokerissimo sarebbe un record
Nel 2024 Roglic ha conquistato la sua quarta Vuelta. Il pokerissimo sarebbe un record

Sguardo al futuro

Ma il 2026 è anche l’anno delle decisioni per Primoz. Roglic ha il contratto in scadenza e, pur non entrando nei dettagli, lascia intendere che ogni riflessione passerà anche dalla vita fuori dal ciclismo. Lo ha ripetuto più volte con una sincerità che sorprende.

«Correre altri dieci anni? Mi piacerebbe, ma parlarne è facile, farlo no. La realtà è che questo sport è duro e restare ad alti livelli non è facile. Non saprei neanche dove poter continuare a limare per migliorare. Vediamo, per adesso non mi pongo scadenze o limiti sulle mie future decisioni che in ogni caso saranno prese considerando anche la famiglia».

Per Roglic infatti la priorità oggi non è soltanto la performance, ma la famiglia. Insomma non vuole continuare a ogni costo. Non cerca rinnovi forzati, non insegue contratti a lungo termine per inerzia. Il suo futuro, a quanto pare, verrà deciso dopo la Vuelta. «Ascolterò il mio corpo», dice.

A Mallorca Roglic ci lascia l’impressione di un atleta ancora motivato, ma padrone di una visione più ampia: la consapevolezza che il ciclismo è parte centrale della sua vita, non l’intera vita.

Sacha Modolo segue Alessandro Borgo fin dalle categorie giovanili e lo ha consigliato su tanti aspetti

Modolo, i consigli a Borgo e il ciclismo giovanile da rivoluzionare

16.12.2025
6 min
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Sperava e meritava di finire meglio la sua carriera, ma quando Sacha Modolo parla di ciclismo diventa un fiume in piena, specialmente sui giovani italiani. Lo possiamo considerare il “padrino” di Alessandro Borgo, che ha aiutato a crescere con consigli tecnici ed umani dentro e fuori dall’allenamento fino a vederlo ora pro’ con la Bahrain Victorious promosso dal devo team.

L’ex velocista trevigiano tiene ancora tanto al suo sport e lo si capisce ogni volta che, toccando l’argomento, i discorsi si ramificano in tanti altri aspetti da considerare. Modolo da un paio di stagioni collabora con la PM Cycling Agency di Massimiliano Mori e Marco Piccioli (i suoi procuratori da atleta) mettendosi a disposizione dei corridori della sua zona seguiti da loro. Al netto delle sue 49 vittorie, Sacha ha molto da dire a chi vuole diventare corridore fin dalle categorie inferiori. Dallo spunto di una foto sul suo profilo Instagram esce una chiacchierata sul panorama giovanile italiano con la sua franchezza di sempre, forse un po’ più edulcorata dall’esperienza dell’età.

Borgo nel 2026 sarà pro' con la Bahrain, ma già quest'anno ha corso con la formazione WT in 8 occasioni
Borgo nel 2026 sarà pro’ con la Bahrain, ma già quest’anno ha corso con la formazione WT in 8 occasioni
Borgo nel 2026 sarà pro' con la Bahrain, ma già quest'anno ha corso con la formazione WT in 8 occasioni
Borgo nel 2026 sarà pro’ con la Bahrain, ma già quest’anno ha corso con la formazione WT in 8 occasioni
Com’è il rapporto con Borgo adesso che è passato pro’?

E’ sempre molto buono, ma adesso lo seguo meno e credo che sia giusto così visto che ha i preparatori e i tecnici della Bahrain. Non mi permetterei mai di intromettermi. Resto tuttavia in suo appoggio qualora debba fare dietro moto. Mi organizzo, chiudo l’officina (il SakaLab, ndr) e via con lui a ruota della mia Vespa.

La tua vicinanza è stata preziosa per lui.

Penso e spero di sì. Ad esempio quando quest’anno ha vinto la Gand-Wevelgem U23, qualche giorno prima mi aveva chiesto come muoversi. Gli avevo dato qualche dritta sulle stradine belghe, visto che lassù ci ho corso tanto e ricordo bene i posti. E’ stata una bella soddisfazione, così come la vittoria al campionato italiano. Ormai Alessandro è diventato grande, in gara ha imparato tanto e sta continuando a farlo.

E una tua parola non manca mai.

Certo, cerco sempre di dargli consigli e spiegargli certe cose, su tutto. Anzi, conoscendolo, quando mi fa certe domande da ragazzo della sua età, so già dove vuole andare a parare e lo anticipo. E gli dico: «Guarda che ragionavo così anch’io, cosa credi?». E si ride.

Ci sono altri ragazzi che segui?

A dire il vero nella mia zona più stretta non ci sono più tanti corridori come un tempo. Fino a pochi anni fa eravamo una ventina di pro’, adesso ci sono solo Vendrame, Borgo per l’appunto e ogni tanto Scaroni quando viene dalla sua morosa che abita qua vicino. Tra i giovani sto seguendo Matteo Cettolin che correrà con la Trevigiani (quest’anno era alla General Store: è il fratello di Filippo della VF Group, ndr). Anche a lui do i miei pareri tecnici. Come dicevo però non abbiamo tanti ragazzi che vanno in bici dalle mie parti.

La visuale di Borgo e Cettolin nel "dietro-moto" con Modolo. L'ex velocista vorrebbe che cambiasse qualcosa nelle crescita dei più giovani
La visuale di Borgo e Cettolin nel “dietro-moto” con Modolo. L’ex velocista vorrebbe che cambiasse qualcosa nelle crescita dei più giovani
La visuale di Borgo e Cettolin nel "dietro-moto" con Modolo. L'ex velocista vorrebbe che cambiasse qualcosa nelle crescita dei più giovani
La visuale di Borgo e Cettolin nel “dietro-moto” con Modolo. L’ex velocista vorrebbe che cambiasse qualcosa nelle crescita dei più giovani
Significa che i settori giovanili si stanno prosciugando?

Temo proprio di sì, ma faccio una premessa. Devo ancora mentalizzarmi per andare a cercare il corridore tra i ragazzini. Gli allievi di adesso sono gli juniores di qualche anno fa e ormai non è più un gioco. Alla loro età non facevo i sacrifici che fanno loro e sono bravissimi in questo, ma non saprei cosa dirgli di più. Adesso tutti i giovani vogliono essere campioni e pensano solo ai contratti da firmare. Non pensano che possono diventare corridori ritagliandosi un ruolo da gregario o da uomo-squadra, soprattutto quando passi pro’.

Per quale motivo secondo te?

E’ colpa della società in cui viviamo che ci vuole grandi campioni o grandi imprenditori di successo. O sei così oppure sei un fallito. Non è possibile, perché non è così. Quindi non mi sento di andare da un ragazzino e raccontargli cose non vere. Non gli prometterei nulla, anche perché lo sapete: sono pragmatico e diretto per certi temi. Non mi interessa guadagnare o speculare sulle spalle di un ragazzino.

Qualche formazione giovanile ha cercato Sacha Modolo come consulente?

Sì, certo. Alcune società della mia zona mi avevano chiesto di diventare diesse proponendomi di fare il corso oppure di aiutarli con i loro atleti. Mi chiedevano di farlo a titolo gratuito o di volontariato. Per fortuna che ci sono i volontari, però non è possibile andare avanti o crescere ancora così. Il lavoro ce l’ho già. La mentalità è la stessa di venti anni fa, così come la gente che è la stessa. Io rivoluzionerei tutto e non perché lo dico io. Questa è la classica situazione del cane che si morde la coda.

Matteo Cettolin è passato dalla General Store alla Trevigiani. E' seguito in allenamento da Modolo (foto photors.it)
Matteo Cettolin è passato dalla General Store alla Trevigiani. E’ seguito in allenamento da Modolo (photors.it)
Matteo Cettolin è passato dalla General Store alla Trevigiani. E' seguito in allenamento da Modolo (foto photors.it)
Matteo Cettolin è passato dalla General Store alla Trevigiani. E’ seguito in allenamento da Modolo (photors.it)
Spiega pure.

Le società giovanili sono in queste condizioni perché non sono aiutate a livello economico e non hanno ritorni dal punto di vista del marketing o di altre strategie. Pertanto non riescono o non vogliono investire in figure giovani specializzate e preparate che lo fanno di mestiere. All’estero non è così, ma io mi preoccupo del ciclismo italiano. Non avere formazioni WorldTour e il relativo devo team condiziona parecchio i ragazzi. Le nostre professional stanno facendo anche troppo. E poi non c’è sempre il supporto della scuola.

Altro tema scottante, giusto?

Non tutti sono bravi a conciliare i due impegni e non tutti trovano la comprensione dei professori. La scuola non ti aiuta spesso perché gli insegnanti non capiscono quando uno studente è anche un atleta di richiamo nazionale e quindi è chiamato a ritiri o trasferte per eventi importanti. Mancano i crediti sportivi nelle scuole e questo può portare un ragazzo che vuole diventare un corridore, che poi diventerebbe il suo lavoro, a scegliere istituti privati o peggio ancora addirittura a lasciare la scuola. Va trovata una soluzione.

Modolo è molto legato a Vendrame, uno dei pochi ciclisti rimasti nella sua zona (foto FIlippo Mazzullo)
Modolo è molto legato a Vendrame, uno dei pochi ciclisti rimasti nella sua zona (foto FIlippo Mazzullo)
Modolo è molto legato a Vendrame, uno dei pochi ciclisti rimasti nella sua zona (foto FIlippo Mazzullo)
Modolo è molto legato a Vendrame, uno dei pochi ciclisti rimasti nella sua zona (foto FIlippo Mazzullo)
Pensare di voler diventare un corridore a 15/16 anni è esagerato?

Se guardo in generale direi di no attualmente, se invece guardo in Italia allora dico che è un male. Per tutte le ragioni che abbiamo detto prima. Aggiungiamo che la categoria U23 sta cambiando e purtroppo non tutti gli organizzatori si stanno adeguando. A parte le internazionali, ci sono corse nazionali per elite/U23 che non servono molto per fare crescere i nostri giovani. So che è difficile, per non dire impossibile, ma tanti organizzatori di piccole gare vicine dovrebbero accordarsi per fare un’unica gara internazionale, magari anche per juniores. Sono certo che poco per volta riuscirebbero ad avere una buona lista di partenti di alto livello. Non lamentiamoci se poi non avremo più corridori.

Jonathan Milan

Milan? Classiche e Giro. Ma prima c’è da sistemare il nuovo treno

16.12.2025
6 min
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DENIA (Spagna) – Non c’è niente da fare: quando ti ritrovi a parlare con Jonathan Milan, non puoi fare a meno di associarlo al “gigante buono”. Il friulano esce dalla saletta riservata alla conferenza stampa e si siede con noi su un mobiletto, dove poco prima c’era Giulio Ciccone. I due si fermano anche a parlottare mentre si danno il cambio al nostro microfono.

E’ questo il posto ideale. Forse poco ortodosso, ma senza dubbio più tranquillo per parlare. Parlare della stagione che è stata e soprattutto di quella che sarà. Perché il 2026 è un anno dal quale ci si aspetta molto da Jonathan Milan: il ritorno al Giro d’Italia, le gare su pista dove inizia la rincorsa a Los Angeles, un treno da mettere a punto e persino la Roubaix.

In casa Lidl-Trek si respira un’aria di grande compattezza di gruppo, anche con le le donne. E in questo gruppo senza dubbio il leader è Pedersen, ma Milan è sempre più al centro. Ormai si muove con decisione e scioltezza. A 25 anni compiuti da poco il friulano sta entrando nella fase della maturità.

Jonathan Milan
Jonathan Milan e Giulio Ciccone: due chiacchiere tra di loro durante l’incontro con la stampa a Denia
Jonathan Milan
Jonathan Milan e Giulio Ciccone: due chiacchiere tra di loro durante l’incontro con la stampa a Denia
Come stai, Jonathan? Ti vediamo sereno, rilassato…

Bene, sto bene, sono contento. Sono al training camp, abbiamo iniziato a pedalare. Non come diceva Ciccone che non ci alleniamo qua! A parte gli scherzi, i primi allenamenti sono andati bene, stiamo provando un po’ di materiale nuovo. Sono contento di ritornare con i ragazzi, mi erano mancati.

Ritorni al Giro d’Italia. E’ così?

Il piano è questo. Sono contento di tornare al Giro, ci saranno molte possibilità, partendo subito dalla prima tappa che assegna la maglia rosa. Ne ho visto l’altimetria e dovrebbe essere abbastanza adatta agli sprinter.

Jonathan Milan che è già informato su una tappa! Ci devi tenere proprio tanto a questa maglia rosa. Di solito tu sei di quelli del tipo: «Oggi dove si va?»…

Esatto – ride Milan – però non sto a farmi troppe domande. Delle altre tappe so veramente poco, a parte Roma. So però che avremo varie possibilità, quindi sarà bello e importante arrivare pronti. E saremo ben organizzati anche per quanto riguarda il treno: porterò tutti i miei ragazzi.

Jonathan Milan
La vittoria della maglia verde ha dato tanto a Milan. Era nella kermesse del Tour a Saitama, in Giappone
Jonathan Milan
La vittoria della maglia verde ha dato tanto a Milan. Era nella kermesse del Tour a Saitama, in Giappone
“I miei ragazzi”: consapevolezza di una maturità che sta arrivando. Pedersen ci ha detto grandi cose su di te. Percepisci questo cambiamento di peso in seno al team?

Non dovrei percepirlo? Io so che la squadra mi ha sempre aiutato dal momento in cui abbiamo firmato il contratto. Hanno sempre avuto un bellissimo progetto su di me e mi hanno sempre messo nelle condizioni di provare a raggiungere gli obiettivi che mi davo e che ci davamo a inizio stagione. Un bel miglioramento generale.

A proposito di miglioramento, quest’anno sei andato all’università del Tour de France dove ti sei confrontato con gli sprinter più forti. Qual è stata la lezione?

Alla fine bisogna sempre guardare gli altri e imparare qualcosina. Penso che il Tour sia andato bene, ma ci sono stati piccoli errori. Per esempio, nella terza tappa, quando sono arrivato secondo dietro Merlier, sono partito troppo in anticipo e la posizione non era ideale. Nella nona tappa, sempre vinta da Tim, sono partito troppo lungo e non ho fatto le linee migliori. In precedenza avevo preso vento più di qualche volta. Sono piccoli accorgimenti.

Che a 70 all’ora si pagano…

Sì, se fai uno sbaglio di qualche centimetro ne paghi le conseguenze.

Quando sei lì in piena preparazione per lo sprint subentra un po’ nervosismo che ti porta più facilmente a sbagliare?

Non penso sia nervosismo. Sicuramente c’è adrenalina, perché lo sprint per me è adrenalina pura. Sono proprio i movimenti del gruppo, le rotazioni, entrare e uscire dalle scie, prendere aria quando magari dovresti infilarti o muoverti con i tuoi compagni.

Come sarà il treno quest’anno?

Per me è importante che sia continuo, a prescindere da chi ci sarà. Se bisogna cambiare la posizione di un corridore, il treno non deve risentirne. In questo ritiro e in quello di gennaio proveremo varie soluzioni. Invertire le posizioni, le distanze da cui partire… Abbiamo preso anche Max Walscheid per questo.

Jonathan Milan
Il friulano ha vinto l’evento benefico BeKing a Monaco. E a premiarlo è stato proprio il re Alberto II di Monaco (foto Instagram)
Jonathan Milan
Il friulano ha vinto l’evento benefico BeKing a Monaco. E a premiarlo è stato proprio il re Alberto II di Monaco (foto Instagram)
Che è anche è alto due metri praticamente. Ideale per uno grande come te…

Sì, potrebbe esserlo. Però con Simone Consonni ho sempre avuto un feeling molto naturale. Oltre al fatto che siamo italiani, siamo amici, siamo insieme anche in pista, siamo compagni di stanza. Ci intendiamo bene e con lui c’è qualcosa in più. Ed è una bella cosa.

A qualche classica ci pensi, Jonathan?

Certamente. Il mio calendario prevede diverse classiche. Prima inizierò con il Saudi Tour e a seguire UAE Tour, Tirreno-Adriatico, quindi le classiche Milano-Sanremo, Gand e Parigi-Roubaix. Fino alla Roubaix il piano è questo. Il Saudi è importante perché fa caldo e per me è fondamentale e poi è ideale per rodare il treno in corsa. Le strade sono giuste. Anche la Tirreno sarà molto importante.

Perché proprio la Tirreno?

Perché mi ha sempre aiutato a costruire la condizione, a salire di livello. Quest’anno è stata durissima, anche a livello meteorologico. Nel 2026 sarà ancora più importante per arrivare alle classiche con una condizione migliore. Le classiche voglio farle bene.

Jonathan Milan
Milan ha concluso l’ultima Roubaix al 101° posto. Da qui vuole ripartire
Milan ha concluso l’ultima Roubaix al 101° posto. Da qui vuole ripartire
Sanremo e Roubaix: due parole che fanno sognare…

Mi piacciono molto. La Sanremo è “facile”, ma sta cambiando con Pogacar: quest’anno Tadej ha fatto un’azione assurda. Troppo per me, ma è anche uno stimolo che mi fa dire che il prossimo anno mi allenerò di più, ci proverò e poi vedremo. Intanto diamo il 100 per cento in allenamento.

E della Roubaix cosa ci dici? Non si va lì solo per supporto…

Abbiamo Mads Pedersen, che è uno dei più forti al mondo. Sarebbe sciocco non aiutarlo se serve. E’ fortissimo e sta crescendo ancora. Quest’anno, senza la foratura, avrebbe potuto fare un grande risultato. Posso dire che l’ultima edizione è stata la prima che ho finito. Le altre volte bucavo o cadevo. Nel 2026 mi piacerebbe aggiungere un tassello. So che ci sono Van der Poel, Van Aert, Ganna, ma piano piano vorrei arrivare al loro livello per potermela giocare.

Capitolo pista: cosa prevede il menu?

Dovrei iniziare gli allenamenti sul parquet dopo il Saudi Tour, poi è da vedere. Normalmente dovrei essere ai Mondiali a Shanghai. Ne ho già parlato con Dino Salvoldi e abbiamo fatto un buon piano. Bisognerà conciliare la pista con gli impegni su strada.

UCI Cyclocross World Cup 2024-2025, Mathieu Van der Poel

Dopo Namur e Faè, una sbirciata negli appunti di Pontoni

15.12.2025
6 min
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Ieri Daniele Pontoni era a Faè d’Oderzo, per il tradizionale Ciclocross del Ponte, che ha visto vittorie italiane di buon interesse. Filippo Fontana ed Elisa Ferri fra gli elite, Patrick Pezzo Rosola e Nicole Azzetti fra gli juniores. Contemporaneamente il cittì della nazionale ha seguito la Coppa del mondo di Namur e con lui abbiamo voluto fare il punto su quello che ha visto e in qualche modo quello che vedremo.

Che cosa ti è parso di Namur?

Più di quello che ho visto, è stato utile parlare con i ragazzi. Per quanto riguarda i primi, credo che senza la scivolata di Nys, Van der Poel e Thibau se la sarebbero giocata fino all’ultimo. Aver portato la suspense fino all’ultimo è qualcosa di interessante e sicuramente Nys in questo momento è uno degli atleti che può dare fastidio.

La rassegna di Middelkerke si era aperta con il bronzo di Nicole Azzetti fra le junior (qui insieme al cittì Pontoni)
Il cittì Pontoni agli europei di Middelkerke, un selfie per il bronzo di Nicole Azzetti fra le juniores
La rassegna di Middelkerke si era aperta con il bronzo di Nicole Azzetti fra le junior (qui insieme al cittì Pontoni)
Il cittì Pontoni agli europei di Middelkerke, un selfie per il bronzo di Nicole Azzetti fra le juniores
Van der Poel che torna e vince alla prima gara stupisce ancora Pontoni?

Anche lui ha fatto degli errori, è caduto, però lo ritengo ancora il numero uno. Chiaramente la sua supremazia non è stata netta come eravamo abituati. Ieri eravamo sul percorso più esigente del ciclocross moderno. Devi avere gamba, devi avere tecnica e soprattutto devi avere tanta testa e tanta forza di volontà. Perché credo che tutti, almeno una volta, un errore lo abbiano fatto. Quindi rialzarsi subito, partire e resettare è la dote maggiore di chi vuole andare bene a Namur.

In Sardegna abbiamo visto un grande Filippo Agostinacchio, che ieri ha avuto qualche problema…

Se guardiamo i tempi, a un certo punto i due fratelli erano da soli. Sono partiti in quinta e sesta fila e a metà gara erano da soli. Mentre Filippo stava tirando per suo fratello, è caduto. Ha preso un albero, si è fatto male alla spalla e in più un sasso gli è rimasto bloccato sotto la leva per cui la ruota non girava. E’ dovuto andare ai box. E’ ripartito parecchio indietro, ha perso tantissimo tempo e ha recuperato ancora rispetto a dove era. E’ andato forte anche ieri.

Chi è andato forte davvero è Mattia, il più piccolo…

Gli ultimi due giri che ha fatto dimostrano di che pasta sia fatto questo ragazzo. Parti dietro, arrivi davanti e hai ancora questo ultimo quarto d’ora? E’ una prova importante. Sapete che sono tifoso del Torino e allora il quarto d’ora di Mattia io lo paragono al “quarto d’ora granata” (il finale di partita del Grande Torino che negli ultimi 15 minuti di gioco accelerava e ribaltava anche le situazioni più difficili, ndr).

Ciclocross Salvirola 2025, Mattia Agostinacchio (foto Alessio Pederiva)
Mattia Agostinacchio e il fratello Filippo corrono con la Ef Education. Pontoni entusiasta del suo 13° posto a Namur (foto Alessio Pederiva)
Ciclocross Salvirola 2025, Mattia Agostinacchio (foto Alessio Pederiva)
Mattia Agostinacchio e il fratello Filippo corrono con la Ef Education. Pontoni entusiasta del suo 13° posto a Namur (foto Alessio Pederiva)
Mattia fa lo stesso?

Lui ha quel quarto d’ora che, quando si… accende, è un razzo. Tecnicamente guida da far paura e quindi questi sono i risultati. E non è una prestazione che mi stupisce. Mi ha meravigliato la prima volta, quando lo ha fatto a Lievin. Gli ho visto fare quell’accelerata nel Team Relay prima del ponte e quella è stata l’unica volta che mi ha stupito. Poi l’ha fatto altre volte, quindi per lui è la normalità. Il suo passaggio da junior a under 23 me lo sarei aspettato proprio come lo sta dimostrando in questo momento. Adesso aspetto solo che anche Viezzi torni ai suoi livelli…

E’ ancora un po’ indietro.

L’ho visto in leggera difficoltà, soprattutto in questo weekend, ma già dalla prossima settimana me lo aspetto di nuovo motivato al punto giusto per tornare anche lui ai vertici di categoria. Ne ha tutte le doti e so che andrà a prendersi quello che in questo momento non ha in mano.

Secondo te è più difficile per questi ragazzi correre la Coppa del mondo con le squadre e non con la nazionale?

Magari con la squadra in certi momenti sono anche più attrezzati da un punto di vista logistico. Sicuramente come staff credo che la nazionale dia qualcosa in più rispetto ai loro team. Io ho una venerazione per il mio staff, perché vedo quanto si impegnano e quanto lavorano. Una cosa che dico sempre ai ragazzi è che quei 10, 20, 50 o 100 watt in più di cui hanno bisogno nel momento di fare la differenza, devono prenderli dai colori azzurri.

Overijse incorona la Casasola, una prima storica
Casaola ha iniziato la stagione con il successo di Overijse, ora è alle prese con i postumi di una bronchite. Pontoni la aspetta
Overijse incorona la Casasola, una prima storica
Casaola ha iniziato la stagione con il successo di Overijse, ora è alle prese con i postumi di una bronchite. Pontoni la aspetta
Con le ragazze finora siamo andati a corrente alternata.

Abbiamo Sara Casasola che è ferma, perché ha ancora un po’ di problemi con la bronchite che non passa. Lei purtroppo lotta sempre con l’asma e quindi ieri non ha corso. Spero sia l’ultima sosta ai box da qui al mondiale e che finalmente si ristabilisca e possa ritornare nelle posizioni in cui l’abbiamo vista da inizio stagione. Ormai sono rientrate tutte le big, quindi primeggiare sarà più difficile, però credo che Sara abbia tutti i numeri e le doti per essere là davanti con loro.

Poi c’è anche Lucia Bramati che sta andando bene.

Ieri magari Lucia non è stata brillantissima come in altre occasioni, però ha dimostrato di fare la sua bella figura in questa categoria. E se invece vogliamo parlare degli juniores, chiaramente Giorgia Pellizotti ha già dimostrato in Coppa del mondo, nella sua categoria, di essere sicuramente una fra le prime tre ragazze al mondo. Ieri poi a Faè d’Oderzo abbiamo visto Azzetti che è ancora forte e fra gli uomini abbiamo Grigolini e Pezzo che vincono e ragazzi del primo anno come Dell’Olio, Cingolani e Bosio che arrivano. Gli ultimi due il prossimo anno potranno prendere sicuramente il posto di Grigolini e Pezzo Rosola.

Si costruisce il futuro?

L’ho già detto in passato, non stiamo costruendo anno per anno, ma ragioniamo a lungo termine. Ormai guardiamo anche le categorie degli allievi e delle allieve, perché dobbiamo cominciare a formare questi ragazzi perché siano pronti quando passeranno juniores.

Da sabato ad Anversa, tornerà nel cross anche Van Aert, qui primo a Benidorm nel 2024. Pontoni ha grandi attese per il duello con Van der Poel
Da sabato ad Anversa, tornerà nel cross anche Van Aert, qui primo a Benidorm nel 2024. Pontoni ha grandi attese per il duello con Van der Poel
Quali saranno i prossimi passi della nazionale?

Andremo in Coppa del mondo a Koksjide, con doppia convocazione per entrambe le prove: appunto quella del 21 e il 28 a Dendermonde. Gran parte degli atleti italiani faranno tutto il periodo in Belgio: qualcuno tornerà il primo gennaio, altri il 4. Quasi tutti faranno delle gare anche internazionali. Poi ci sarà il campionato italiano e subito dopo andremo a Benidorm per correre e fare il ritiro di ogni anno. Il sabato voleremo a Hoogerheide, poi tre giorni a casa e il mondiale di Hulst.

Ultima domanda: sabato ad Anversa ci sarà il primo duello Van der Poel-Van Aert: sarà il solito grande spot per il cross?

Per me gli atleti di spessore e di valore come questi possono far bene alla specialità. Non li chiamo ciclisti ma atleti, che fanno bene alla specialità, portano tanto pubblico e portano interesse. Da quelle parti magari non ne hanno tanto bisogno perché sono abituati, però nel resto del mondo vedere in televisione uno spettacolo come quello è qualcosa di speciale. Credo che la sfida si ripeterà fino al mondiale. E spero che dia una spinta all’eventuale candidatura olimpica per questa specialità