Lorenzo Finn, Bora Hansgrohe Rookies (Photors.it)

Gli sgambetti che rallentano la rincorsa del ciclismo italiano

18.12.2025
5 min
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Lo stato di salute del nostro ciclismo cambia a seconda della prospettiva dal quale lo si guarda. Chi ha nel mirino d’azione i professionisti dice che manca qualcosa per competere con i più grandi del movimento mondiale, e in effetti così è. Tuttavia se si pensa ai giovani in rampa di lancio, o a chi ha già preso l’abbrivio per spiccare il volo, la temperatura si abbassa e lo stato di salute sembra più solido. Giulio Pellizzari guida la rivalsa dei giovani che avanzano, accanto a lui c’è Davide Piganzoli e dietro tanti altri ragazzi dai quali ci si aspetta molto (a ragione o meno). 

Dalle categorie giovanili emerge il dato lampante che porta a pensare al fatto che i talenti non manchino. Molti di loro proprio quest’anno passeranno da under 23 a professionisti e saranno chiamati alla prova del WorldTour. Alessandro Borgo è forse il nome di maggior spicco tra tutti, lo seguono Pietro Mattio, Mattia Agostinacchio e Matteo Milan. Se si guarda alle spalle di questi atleti si vedono arrivare profili ancora più giovani, come quello di Lorenzo Finn, campione del mondo in carica under 23 (in apertura vittorioso a San Daniele del Friuli, Photors.it) o di Roberto Capello.

Pellizzari
Il ciclismo italiano sta aspettando la completa maturazione dei suoi migliori prospetti, quest’anno Pellizzari è chiamato a un ulteriore passo
Pellizzari
Il ciclismo italiano sta aspettando la completa maturazione dei suoi migliori prospetti, quest’anno Pellizzari è chiamato a un ulteriore passo

Basi poco solide

Tuttavia più si scava e maggiori sono le crepe che emergono alla base di una struttura non più così solida. La categoria under 23 si trova probabilmente nel suo momento di maggior difficoltà, le squadre hanno iniziato a chiudere anni fa e il problema ora si sta riversando sulla categoria juniores. Matteo Berti, diesse del Team Vangi, ci ha detto di aver avuto maggiori difficoltà rispetto agli anni scorsi nel trovare squadra ai suoi ragazzi. Il problema è che la ricerca del talento ha spostato la lente di ingrandimento sul movimento giovanile, dove per andare avanti e far emergere i propri ragazzi non bastano più gli sforzi fatti in passato. Per questo alcune formazioni hanno chiuso, come il Team Fratelli Giorgi e l’Aspiratori Otelli

Altri hanno cercato di unire le forze, Il Team Coratti era andato a bussare alle porte della Borgo Molino con l’obiettivo di allargare la propria attività internazionale. Il bacino d’utenza del ciclismo mondiale si sta allargando e se qualche anno fa le nostre squadre erano capaci di dettare legge ora la subiscono senza possibilità di replica. 

Il cortocircuito delle continental

L’effetto a catena è partito con la realizzazione dei team continental, cosa fortemente voluta dall’UCI. Avrebbero dovuto essere delle formazioni di transizione nelle quali dare la possibilità ai dilettanti, o under 23, di mettersi alla prova con i professionisti con l’obiettivo di avvicinarsi e chiudere il divario tra le due categorie. In Italia questi progetti si sono trasformati presto in un modo per raccogliere vittorie e consensi degli sponsor, fatto sta che molti team continental (non tutti ma una grande maggioranza) non hanno mai proposto un’attività internazionale volta a far crescere i ragazzi. Inoltre, l’accentramento di risorse e talenti in una manciata di squadre ha portato alla chiusura di diverse formazioni under 23

L’arrivo dei devo team, formazioni continental che di fatto sono dei satelliti delle squadre WorldTour, ha portato il tutto a livello superiore. Ora queste realtà rappresentano il vero cuscinetto tra le categorie giovanili e il professionismo, con attività di rilievo internazionale e budget praticamente infiniti. Per le nostre realtà andare a competere con questi team è diventato difficile se non impossibile. Alcune di queste hanno gettato la spugna cessando l’attività (come la Zalf Euromobil) altre invece si sono dovute reinventare (come la MBH Bank che dal 2026 sarà professional). 

La rincorsa al talento ha abbassato l’età media, ora è la categoria juniores al centro di tutto (foto Instagram)
La rincorsa al talento ha abbassato l’età media, ora è la categoria juniores al centro di tutto (foto Instagram)

L’età si abbassa

Quello che sta accadendo a livello juniores è esattamente lo stesso che abbiamo visto tra gli under 23. La rincorsa al giovane talento richiede risorse sempre più grandi e investimenti difficili da portare avanti per singoli imprenditori o realtà locali. Chi può va avanti, forte del suo potere economico. Gli altri invece sono costretti a unire le forze, e se per caso questo non dovesse avvenire si va avanti da soli fino a quando si riesce. 

E’ evidente che la potenza economica dei team WorldTour ha asfissiato il movimento giovanile e allora la domanda sorge spontanea. Perché non immettere quei soldi nel ciclismo giovanile creando partnership solide con diversi team? In questo modo si potrebbe ampliare la sfera di influenza e permettere alle squadre giovanili di fare il loro lavoro. Se ognuna delle squadre WorldTour avesse modo di sostenere una o più formazioni continental si avrebbe un ritorno evidente sul movimento, con un dialogo costante i tecnici potrebbero formare nuove figure e permettere a queste realtà di progredire. 

La Vuelta 2026

Una Vuelta “mediterranea” ma tremenda, vero Aru?

18.12.2025
7 min
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Adesso la lista è completa. Dopo il Tour de France e il Giro d’Italia, anche la Vuelta svela il suo percorso. E a guardare la planimetria dell’81ª edizione sembra quasi di vedere un vecchio Giro del Mediterraneo: tutta vicino alla costa. E a ribadirlo è stato lo stesso patron della corsa roja, Javier Guillen: «Sarà un’edizione molto mediterranea, dall’inizio alla fine. Monaco darà un via prestigioso a un percorso che visiterà città storiche, salite mitiche e passi inediti, prima di concludersi in una cornice unica come l’Alhambra».

Come sempre a disegnare il tracciato iberico è l’ex pro’ (scalatore) Fernando Escartín che, stavolta, pur senza i nomi più altisonanti come Angliru, Bola del Mundo o Lagos de Covadonga, ha regalato un’edizione tremenda in quanto a durezza: 3.310,6 chilometri e oltre 58.000 metri di dislivello. Una cronometro di 32,5 chilometri e sette arrivi in quota.

E da uno scalatore a un altro. Noi passiamo infatti a Fabio Aru per commentare questa Vuelta. Lui che è stato l’ultimo italiano ad averla conquistata, nel 2015. E che ieri era alla presentazione del Grande Giro spagnolo. «E’ una Vuelta dura – commenta il sardo – come d’abitudine del resto, e che a me sarebbe piaciuta moltissimo. Vero, c’è tanto Sud come si vede dalla planimetria e questo può essere un elemento in più. Sud della Spagna vuol dire caldo, tanto caldo… anche a settembre. Io ricordo dei ritiri sulla Sierra Nevada a febbraio con 20 gradi».

Fabio Au ha conquistato la maglia roja nel 2015, quando era nelle fila dell’Astana
La Vuelta 2026
Fabio Au ha conquistato la maglia roja nel 2015, quando era nelle fila dell’Astana

Start da Monaco

Si parte dal Principato di Monaco e proprio lì è stata presentata la Vuelta. Lo show, perché di show si è trattato, è andato in scena nella prestigiosa Salle des Étoiles del Monte-Carlo Sporting ed è stato un vero e proprio evento, capace di alternare sport, racconto e intrattenimento.
Dopo le partenze italiane che hanno segnato la storia recente della corsa, la Vuelta prosegue nel suo percorso internazionale, così come Monaco stessa. Il Principato infatti aveva già ospitato il Giro d’Italia del 1966 e il Tour de France del 2024.

Chiaramente non poteva mancare il Principe Alberto II, che ha espresso grande soddisfazione per l’arrivo de La Vuelta nel Principato. Tra l’altro era stato presente anche a Pechino: «Monaco è stata nel 2025 Capitale Mondiale dello Sport e questo sottolinea quanto i valori sportivi siano profondamente radicati nella vita monegasca».

Si parte con una crono. E poi ce ne sarà un’altra. Quanto sarà il peso di queste frazioni contro il tempo? «Ormai gli uomini di classifica vanno tutti forte a crono (con Remco che ha qualcosa in più, ndr). Fra tutte e due immagino distacchi di 20″-30″. Per dire, quando le facevo io era diverso. L’anno che vinsi la Vuelta Dumoulin mi rifilò 2′ in 30 chilometri più o meno!»

La Vuelta 2026
Il Principe Alberto II e il patron della Vuelta, Javier Guillen
La Vuelta 2026
Il Principe Alberto II e il patron della Vuelta, Javier Guillen

Subito crono… e salite

La prima tappa è quindi una cronometro di 9 chilometri nel Principato, in pratica sulle strade del GP di Formula 1. Già qui qualche distacco potrebbe esserci. Il giorno dopo va in scena la frazione più lunga, la Monaco-Manosque di 215 chilometri, mentre quello successivo propone già il primo arrivo in quota, a Font Romeu. Nulla di impossibile, tuttavia si sfiorano già i 2.000 metri di altitudine.

E il giorno dopo ancora salite, e che salite. C’è infatti una tappa tutta andorrana di appena 104 chilometri ma con scalate come l’Envalira e Ordino. Il dislivello si avvicina ai 4.000 metri.

La prima settimana si chiude con altre due frazioni toste: la settima con arrivo sull’Aramón Valdelinares e la nona con l’Alto de Aitana, sulla Costa Blanca.

«Ci sono salite e tanto dislivello qua e là – spiega Aru – e questo può creare scompiglio, mettere fatica nelle gambe. Se manca un salitone monster? Guardate che il dislivello complessivo è tanto per davvero.

«Ma ci sono anche tante tappe intermedie e certe frazioni potrebbero creare più scompiglio di altre arrivi in salita lunghi. Ritmi folli, tappe corte e grande caldo… Anche questo potrebbe essere un punto di vista tattico importate. Sono frazioni che possono fare danni».

Seconda settimana corposa

E’ forse la più facile sulla carta, ma di certo la più insidiosa: parliamo della seconda settimana. Ci sono almeno due tappe ondulate che potranno creare scompiglio, specie se ci fosse vento forte o maltempo. Siamo nelle zone a sud di Valencia e il vento potrebbe non mancare.
Calar Alto (lungo più di 33 chilometri), preceduto dal Velefique, potrà essere un primo vero, grosso giudice di questa Vuelta. Due giorni dopo, sulla Sierra de La Pandera, altro arrivo in quota, molte cose in più si sapranno. Siamo oltre metà Vuelta e chi ha gambe si farà vedere.

La seconda settimana si chiude con la frazione, intrigante, di Córdoba. Si annuncia un arrivo in volata, ma prima gli strappi non mancano. Pensando a quel che ci ha detto Primoz Roglic pochissimi giorni fa, e cioè che vi punta, questo potrebbe essere il passaggio più delicato per lo sloveno. Altro big annunciato al via è Joao Almeida. Mentre non si sa cosa farà il campione uscente, Jonas Vingegaard… il quale sembra dirottato sul Giro prima e sul Tour poi.

«Non conosciamo ancora il calendario di Vingegaard – va avanti Aru – ma sappiamo che ci sarà Almeida. Joao l’anno scorso ha disputato una super Vuelta, quindi questa potrebbe essere la sua grande opportunità. Solo il danese lo aveva battuto e per poco.

«Riguardo a Roglic, lui ne ha già vinte quattro e sa bene come si fa. Magari è in cerca di riscatto di questa stagione. A Pogacar poi è una delle pochissime gare che mancano in bacheca. Le contavo giusto l’altro giorno: saranno tre o quattro! Per me potrebbe farci un pensierino. Semmai posso dire che mi piacerebbe vedere Pellizzari. E Giro e Vuelta è una calendario che ci sta bene: mi piacerebbe vederlo sul podio».

Jonas Vingegaard è il campione uscente. L’anno scorso precedette Almeida e Pidcock
Jonas Vingegaard è il campione uscente. L’anno scorso precedette Almeida e Pidcock

Verso Granada

Ma torniamo a scoprire la Vuelta 2026, per i nomi ci sarà tempo visto che lo start è previsto il 22 agosto prossimo.

La terza settimana si apre in progressione: due tappe per sprinter, probabilmente le ultime. Poi ecco la grande cronometro di questa Vuelta: 32,5 chilometri a Jerez de la Frontera, una prova per veri specialisti. Il percorso è molto veloce.
Jerez de la Frontera è il terzo nome legato al motorsport: si parte sulle strade del GP di Monaco, si arriva a Jerez e non si va a Madrid, impegnata con il primo GP di Formula 1 della sua storia.

Archiviata la parte F1 e la cronometro, spazio a salite, salite e ancora salite. Penas Blancas Estepona è l’arrivo in quota della frazione 19, mentre Collado del Alguacil è quello della ventesima: 8,3 chilometri al 9,8 per cento di pendenza media. Si tratta di due tappe lunghe, entrambe oltre i 200 chilometri, e molto esigenti prima del finale. In totale sfiorano i 10.000 metri di dislivello complessivi. In particolare quest’ultima salita si annuncia davvero tosta. Sarà un grande spettacolo, anche paesaggistico: siamo infatti nella Sierra Nevada, la regina delle montagne spagnole.

Occhio poi alla frazione finale. In conferenza stampa la rampa dell’Alhambra è stata già ribattezzata la Montmartre di Granada. La tappa 21 non sarà una passerella: appena 99 chilometri, ma ricchi di strappi e curve. E se i distacchi saranno minimi, ne vedremo delle belle.

«Conosco bene il Sud della Spagna – conclude Aru – e credo davvero che il gran caldo potrà incidere: sarà un fattore. E poi il dislivello. Prima si diceva che mancano salite monster, ma una tappa come la penultima con la Sierra Nevada ha 5.200 metri di dislivello e quando si superano quei numeri, ma anche dopo 4.000 metri, cambia tutto. Per di più arriva alla 20ª tappa. Anche se non ci saranno pendenze e si salirà veloci importanti i distacchi ci saranno».

Guarnieri_procuratore_2025_header_mb

Il Guarnieri procuratore: princìpi, impegno, giovani e scuola

18.12.2025
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Proprio in questi ultimi due giorni si è concesso un’incursione in Spagna tra i ritiri delle tante squadre perché ora il suo lavoro è fatto anche di pubbliche relazioni. Sceso di bici a fine 2024, Jacopo Guarnieri ce lo aveva anticipato che avrebbe intrapreso la carriera di procuratore. A giugno ha superato l’esame di abilitazione dell’UCI senza problemi, anche se aveva iniziato a muovere i primi passi nel nuovo ambiente già qualche mese prima, preparando tutta la documentazione necessaria.

Alla sua corte ci sono diversi corridori di tutte le categorie, tutti scelti da lui seguendo determinate caratteristiche tecniche e soprattutto umane. In linea col tipo di atleta e uomo che abbiamo conosciuto, Guarnieri ha ben stampato in mente cosa cerca in un suo potenziale assistito e in cosa può ricambiarlo.

Si sa, esistono regole scritte che devono essere messe nero su bianco nel contratto, ma è altrettanto vero che ce ne sono di non scritte che possono essere siglate da sguardi, parole, pensieri, intenzioni e attenzioni. Per il manager piacentino la firma sul cosiddetto foglio di carta non ha solo un valore per accrescere il numero dei propri atleti, ma diventa un impegno totale. Con Jacopo abbiamo voluto capire come sta interpretando il suo ruolo.

Jake Stewart è stato ex compagno di Guarnieri alla Groupama e uno dei primi a sceglierlo come procuratore (foto NSN Cycling Team)
Jake Stewart è stato ex compagno di Guarnieri alla Groupama e uno dei primi a sceglierlo come procuratore (foto NSN Cycling Team)
Jake Stewart è stato ex compagno di Guarnieri alla Groupama e uno dei primi a sceglierlo come procuratore (foto NSN Cycling Team)
Jake Stewart è stato ex compagno di Guarnieri alla Groupama e uno dei primi a sceglierlo come procuratore (foto NSN Cycling Team)
Chi sono stati i primi a credere in te come procuratore?

Fra tutti direi che a decidere di venire con me sono stati i pro’, anche perché la maggior parte di loro mi conosceva quando correvo (Jake Stewart della NSN Cycling Team, suo ex compagno alla Groupama, ndr). Tuttavia devo dire che è stato così anche per i giovani, forse per l’effetto di essermi ritirato da poco che penso possa essere un elemento che mi aiuterà a guidarli meglio nelle scelte. Mi sta piacendo molto lavorare con i giovani e all’inizio era una cosa che non pensavo. Con loro c’è tanto spazio e molto margine di manovra perché stanno crescendo.

Quali sono i criteri con cui scegli i corridori o per i quali loro scelgano te?

In generale deve esserci un rapporto di fiducia in entrambi i sensi. Non solo io devo credere in un atleta, ma anche lui in me. Anche perché dietro ci sono le famiglie, specialmente se sono corridori minorenni. Sicuramente alla base c’è un aspetto tecnico e qualitativo. Ti può piacere un ragazzo per come corre, per come si comporta, per le dichiarazioni che fa poi parlandoci devi capire se c’è affinità. Ho una visione frutto delle persone che hanno lavorato con me da corridore e credo anche della mia personalità. Se si trova una comunione d’intenti col corridore diventa tutto più semplice.

Il rapporto con i tuoi assistiti come sta andando? Ti è capitato di avere vedute diverse da loro?

Sono estremamente contento dei ragazzi che ho, ma credo che anche due punti di vista diversi possano essere di aiuto. Almeno per me, questa situazione mi mette in discussione ed è lì che talvolta puoi imparare qualcosa di nuovo, a maggior ragione se sei nuovo del mestiere. Come a scuola o nella vita di tutti i giorni. Se ti dicono sempre di sì, che sei bravo o hai ragione, non impari nulla.

Nate Pringle arriva dal triathlon ed è una scommessa di Guarnieri. Argento a crono al mondiale U23, nel 2026 sarà al devo team della Decathlon
Nate Pringle arriva dal triathlon ed è una scommessa di Guarnieri. Argento a crono al mondiale U23, nel 2026 sarà al devo team della Decathlon
Nate Pringle arriva dal triathlon ed è una scommessa di Guarnieri. Argento a crono al mondiale U23, nel 2026 sarà al devo team della Decathlon
Nate Pringle arriva dal triathlon ed è una scommessa di Guarnieri. Argento a crono al mondiale U23, nel 2026 sarà al devo team della Decathlon
Quali sono i dettami che dai ai tuoi ragazzi?

Principalmente il mio atteggiamento è impostato molto sul futuro. Per juniores e U23 l’obiettivo è prepararli al professionismo, ad una carriera lunga e magari di successo. Devono essere pronti a sostenere un carico fisico dal punto di vista mentale, che credo sia l’aspetto più importante. Le categorie giovanili, anche fin da esordienti e allievi, sono molto impegnative per le pressioni che si autoimpongono i ragazzi e che gli arrivano dai tecnici. I giovani devono arrivare alla categoria successiva senza essere già esauriti. Quindi per me conta anche l’ambiente in cui crescono. Voglio guardare a lungo termine con loro, senza forzarli a bruciare le tappe o prendere scelte che li possa compromettere.

Con i pro’ cambia il tuo atteggiamento?

Con loro è un argomento diverso. Diciamo che quando il corridore trova la sua dimensione, la bravura del procuratore è trovare una realtà che possa andargli bene e dove possa dare il meglio di sé. In quel caso entrano in gioco altri fattori, come le possibilità di giocare le proprie carte, l’aspetto economico o la durata del contratto.

Hai notato competizione nel mondo dei procuratori?

Sicuramente sì. Ci sono gruppi di procuratori con cui si è più affini, altri meno come penso sia normale in qualsiasi ambiente. Da quelli che conosco molto bene ho avuto qualche aiuto in termini di consigli o confronti. Credo che se alla base del nostro lavoro resta il ciclismo, potrà capitare di trovarsi a sgomitare con un collega per un corridore, ma penso sarà una competizione sana, dove alla fine sarà il ragazzo a decidere con quale persona si trova più in sintonia.

Guarnieri ha sfruttato i ritiri delle squadre in Spagna per vedere i suoi corridori (foto NSN Cycling Team)
Guarnieri ha sfruttato i ritiri delle squadre in Spagna per vedere i suoi corridori (foto NSN Cycling Team)
Jacopo Guarnieri come vede il fatto che i procuratori vadano a cercare il corridore tra gli allievi o addirittura adocchiare gli esordienti?

Rispetto a tanti anni fa, si è abbassata molto l’età in cui i ragazzi vengono sollecitati. Onestamente non ci vedo nulla di male nel guardare nelle categorie inferiori, purché vengano rispettate certe cose. Ognuno ha il proprio metodo, ma per come voglio lavorare io, penso che per i giovani bisogna essere il più conservativi possibile. Più si prendono ragazzi giovani, più li devi liberare dalle pressioni. Si devono semplicemente far lavorare e crescere. E non raccontare loro cose non vere.

La sensazione è che tutti siano alla ricerca del super talento giovane da far firmare subito.

E’ normale che si vada sempre più indietro a cercarlo, ma per me il focus rimane un altro. L’obiettivo, come dicevo prima, è cercare di farli diventare pro’ possibilmente di successo e non junior o U23 di successo. Quanti erano dei campioni da giovani e quanti di questi sono passati pro’? E’ facile salire sul carro e inseguire il fenomeno. La bravura del procuratore deve essere quella di saper intercettare anche talenti inespressi. Questa caccia non deve far dimenticare che ci sono tantissimi corridori di talento che magari fino agli junior o U23 non hanno fatto vedere tanto ed invece possono diventare buoni professionisti.

E se un tuo ragazzo ti dicesse di voler abbandonare la scuola per fare il corridore, come la vedresti?

Chiaramente ognuno è libero di fare ciò che vuole, soprattutto quando è giovane e c’è di mezzo la famiglia. Io non posso sostituirmi alla famiglia, ma credo che il procuratore debba essere un buon consigliere. Dal mio punto di vista la scuola rimane un punto fermo, anche perché è una ulteriore sfida col tuo corpo e con la tua mente. Bici e studio sono due impegni importanti da portare avanti, però per me sono complementari. E’ un discorso più ampio.

Per Guarnieri guardare tra gli allievi non è sbagliato, ma rispettando regole e togliendo pressioni (foto photors.it)
Per Guarnieri guardare tra gli allievi non è sbagliato, ma rispettando regole e togliendo pressioni (foto photors.it)
Prego.

Un giovane corridore non deve vedere quello della scuola come uno stress aggiuntivo perché è uno stress che ti può dare un diploma, delle soddisfazioni, un backup e può essere un salvagente. E se ci pensano bene, è uno stress che ti prepara al professionismo perché ti prepara a sostenere un carico maggiore di responsabilità.

Finora quale pensi che sia il tuo punto di forza?

Sicuramente ho il tempo da dedicare ai miei ragazzi. I valori espressi in bici sono importanti e so che posso dare consigli al corridore sotto il profilo tecnico e agonistico. Il ciclismo però non sono solo watt, c’è altro. Il supporto mentale e umano è importante. E sanno che sono a loro disposizione 24 ore su 24 per ogni situazione che sia un pro’ o un ragazzino. Ho impostato il lavoro così, me lo posso permettere e ne sono contento. Questa è la mia strada col mio pensiero, spero che funzioni.

Tour de Pologne 2025, Antonio Tiberi, quarto a Wieliczka

Liegi, meno altura e Tour: per Tiberi è iniziata la fase 2

18.12.2025
6 min
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Il 2026 di Antonio Tiberi ha il nuovo orizzonte del Tour. Dopo il quinto posto e la maglia bianca nel Giro 2024 del debutto, quest’anno una caduta e il morale a pezzi hanno portato al piazzamento fuori dai 15 che non rende giustizia. Il problema è che in questo ciclismo superveloce, non sono solo i bambini a crescere precocemente, bruciano come paglia anche le attese dei tifosi. Per cui Tiberi, che ha ancora 24 anni, da parte di molti è stato messo ingiustamente nel cestino.

In questi giorni di allenamento sulle strade di Altea, Antonio ha iniziato a costruire la prossima stagione. Le vacanze sono finite e quest’anno, per la prima volta, sono state vacanze vere, prima di ritrovarsi in famiglia e coltivare i rapporti che la vita nomade inevitabilmente allenta. Quando nel pomeriggio gli chiediamo di raccontarci i suoi programmi, il tono è rilassato e consapevole.

«Ci stiamo allenando bene – dice a bordo piscina – le sensazioni sono buone, quindi tutto procede bene. La temperatura anche verso l’interno non è male, magari qualche pioggerella ogni tanto. Finora non abbiamo visto giornate di sole pieno, però riusciamo a fare quello che abbiamo nel programma».

L'Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
L’Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
L'Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
L’Hotel Cap Negret di Altea è nuovamente la base di partenza per la nuova stagione della Bahrain Victorious
Sembra proprio che l’anno prossimo andrai al Tour…

Dobbiamo ancora fare il meeting per definire i particolari, però è così. Inizierò alla Valenciana, poi Tirreno, Liegi, Romandia, Delfinato e poi debutterò al Tour de France. L’obiettivo? Arrivare a Parigi. Ci sono stato per la prima volta quest’anno in vacanza e mi è piaciuta tantissimo. Per cui punto a tornarci per festeggiare la fine del Tour de France sui Campi Elisi.

Una scelta per evitare le troppe attese del Giro?

Sono curioso e anche contento di debuttare in Francia. Tanti, anche compagni di squadra, mi dicono che per la loro esperienza il Tour mi si addice più del Giro, quindi sono curioso di vedere se è vero. Mi piace sempre fare il Giro d’Italia, perché è la gara di casa. Però parlando con la squadra, abbiamo visto che è anche il momento giusto per andare in Francia. Da parte mia ho detto subito che sarei stato super contento e così abbiamo scelto.

Se pensi al Giro sono più i bei ricordi o quelli amari?

Sono passato dal 2024 in cui è andato tutto benissimo, al 2025 in cui è andato tutto stortissimo. Perciò tengo davanti i bei ricordi piuttosto che quelli del 2025. Anche se fino alla maledetta caduta di Nova Gorica, stava andando tutto come ci eravamo prefissati. Ero terzo in classifica, ed è vero che ancora non erano arrivate le vere tappe di montagna, però da quel momento i problemi fisici e muscolari hanno rimodellato le mie ambizioni. La condizione ha iniziato a scendere col passare delle tappe, ma fa tutto parte del nostro sport e quindi va accettato. Sono esperienze che in futuro torneranno utili.

Giro 2025: all’indomani della caduta di Nova Gorica, Tiberi ha avuto una bella reazione verso Asiago, poi sono cominciati i problemi
Giro 2025: all’indomani della caduta di Nova Gorica, Tiberi ha avuto una bella reazione verso Asiago, poi sono cominciati i problemi
Fra le esperienze c’è anche un 2025 pieno di troppi ritiri in altura e il senso che tu arrivassi alle corse già sfinito…

E’ sicuramente uno dei primi punti che abbiamo trattato nel mettere giù la bozza del prossimo anno, sia come preparazione sia come gare. La sensazione dell’anno scorso è stata quella di aver fatto troppa altura e aver spremuto troppo il fisico al di fuori delle gare. Spremi fuori gara, poi spremi in gara, spremi fuori dalla gara, poi spremi in gara e a un certo punto diventa troppo. Per questo nel programma l’altura è stata prevista in modo più specifico e mirato rispetto ai veri obiettivi.

Prima Bennati, poi Villa e probabilmente anche Amadio dicono che per fare bene nei prossimi mondiali, Tiberi deve fare più esperienza nelle corse in linea.

L’ho richiesto personalmente alla squadra, quando mi hanno chiesto qualche preferenza per il prossimo anno. Ho chiesto di correre più gare di un giorno, magari delle classiche. Per questo farò la Liegi, ma a inizio stagione anche il Trofeo Laigueglia, che è una classica, si corre in Italia e mi fa molto piacere. Poi, giustamente, avendo il Tour nel programma, le gare a tappe sono la parte principale.

Tour e basta oppure Tour e Vuelta?

Per adesso, direi Tour e basta. Poi magari si può pensare a qualche gara a tappe più breve o gare di un giorno. Dobbiamo ancora parlare di quello che accadrà dopo luglio, magari a gennaio saremo più precisi e comunque dipenderà dall’andamento della stagione.

Giro d'Italia 2025, giorno d i riposo, Cittadella, Franco Pellizotti, Damiano Caruso, Antonio Tiberi
Pellizotti in ammiraglia, Caruso e Tiberi sulla strada. La coppia si ritroverà anche al Tour?
Giro d'Italia 2025, giorno d i riposo, Cittadella, Franco Pellizotti, Damiano Caruso, Antonio Tiberi
Pellizotti in ammiraglia, Caruso e Tiberi sulla strada. La coppia si ritroverà anche al Tour?
Sei stato per due volte al Giro con Caruso: lo avrai accanto anche al Tour?

La certezza di Damiano è che, essendo il suo ultimo anno, vorrà fare molto bene al Giro. Detto questo, io mi auguro che non smetta, perché va ancora molto forte. Dopo il Giro, vedremo cosa dirà la squadra, perché non mi pare che lui abbia chiuso completamente la porta sul Tour.

Se parliamo del Tour, che cosa ti viene in mente?

Vincenzo Nibali, lo guardavo in televisione quando l’ha vinto. E poi mi ricordo di Voeckler e delle sue smorfie con la linguaccia. Il Tour l’ho sempre guardato in tivù e anche questo mi fa provare tanta grinta e gioia al pensiero di debuttare.

Curiosità: avete scelto il Tour dopo aver visto il percorso?

No, in realtà avevamo deciso prima, quando abbiamo fatto la chiamata con i capi per confrontare le idee che avevamo. Quando è uscito fuori il percorso c’è stata la conferma finale.

Che cosa ti piace del percorso?

Il fatto che la prima tappa sia una cronosquadre, una specialità che mi piace e che faccio sempre molto volentieri (in apertura Tiberi in azione al Tour de Pologne 2025, nella crono in cui ha conquistato il quarto posto, ndr). La modalità scelta è diversa dal solito: il tempo si prende sul primo e i distacchi di ciascuno diventano effettivi. Poi, come dicevo, l’arrivo in salita del terzo giorno rende la prima settimana più interessante. E poi le classiche salite del Tour e la doppia Alpe d’Huez alla fine.

Chiudiamo con la novità tecnica della nuova bici: cosa ti sembra?

Sono rimasto sorpreso in modo molto positivo. Ho provata la Bianchi per la prima volta qui in ritiro, ma l’avevo vista dal vivo quando abbiamo fatto il bike fit, dopo il Lombardia più o meno. E’ molto leggera, reattiva, scattante: un’ottima bici.

Hai provato anche quella da crono?

Certamente e pur essendo una bici completamente diversa dalla Merida, mi sono trovato perfettamente in posizione sin dalle prime pedalate. E’ bastato riportare la posizione della vecchia bici e non abbiamo dovuto cambiare nulla. Pur essendo una bici da crono, è molto leggera e reattiva. Si sente che scorre bene.

Anche sulla bici da strada è bastato riportare le misure?

Dopo il Lombardia abbiamo fatto il bike fit sulla Merida e con quella mi sono allenato. Quando sono arrivato qui in Spagna, abbiamo riportato le misure sulla Bianchi e non ho dovuto aggiustare nulla. La cosa che ha reso più facile il lavoro del meccanico è il fatto che sella e il gruppo siamo gli stessi e questo ha tolto di mezzo altre complicazioni. Mi sono trovato molto bene anche con il manubrio, che è particolare e diverso rispetto a quello che usavamo. Però devo dire che è veramente comodo e permette una guida molto pronta e un ottimo feeling. Insomma, mi pare ci sia tutto per cominciare.

Un anno senza Cavendish. Che sogna un ciclismo nuovo

Un anno senza Cavendish. Che sogna un ciclismo nuovo

17.12.2025
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E’ passato ormai un anno abbondante da quando Mark Cavendish ha appeso la bici al chiodo. Solo simbolicamente, perché la bici è sempre sua compagna di vita, anzi ora ha riscoperto quei significati profondi, quell’amore incondizionato che è parte integrante del suo rapporto con le due ruote, sbocciato in tenera età e diventato quasi un’ossessione da adolescente.

Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima...»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima…»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima...»
Insieme alla sua famiglia: «Ora sto riscoprendo cose da fare con loro che mi sono perso prima…»

Una mentalità da manager d’industria

«A 14 anni ho deciso che volevo diventare professionista e ho guardato a tutto quello che serviva. Non solo in bici, non solo il talento necessario. Io ho guardato anche a tutto il contesto: le lingue da imparare, l’alimentazione, i rapporti con tutte le parti di quel mondo».

Quello sguardo attento gli è rimasto, anzi sta costruendo ora su quello il suo futuro. Un futuro da imprenditore, che ha ancora contorni fumosi, ma sul quale intende investire tutto se stesso e non solo i guadagni – tanti – accumulati in vent’anni di attività. Proprio il discorso dei guadagni è diventato il tema di un’interessante intervista rilasciata al Financial Review dove l’ex iridato dell’Isola di Man ha detto la sua su come il mondo del ciclismo venga gestito, senza usare mezzi termini.

Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L'ex iridato è molto critico sull'intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L’ex iridato è molto critico sull’intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L'ex iridato è molto critico sull'intero sistema ciclismo
Cavendish insieme al presidente UCI Lappartient. L’ex iridato è molto critico sull’intero sistema ciclismo

Perché non ispirarsi alla Formula 1?

«Il ciclismo è uno sport popolare che però deve cambiare alcune sue colonne portanti, senza per questo perdere fascino. E’ poco logico che i grandi campioni del ciclismo abbiano introiti così inferiori a quelli di altri sport che hanno una popolarità pari se non inferiore e questo dipende da come viene gestito. Io non so ancora come mettermi a disposizione di questo mondo, ma quel che so è che qualcosa deve cambiare, dobbiamo ispirarci ad altri modelli, ad esempio la Formula 1».

Nella sua disamina Cavendish affronta il tema con lo sguardo dell’imprenditore: «Il ciclismo nel suo complesso non sfrutta le sue potenzialità commerciali e di marketing, per questo voglio costruire qualcosa che abbia la possibilità di farlo. Non c’entra nulla con figure come i procuratori, credo invece che si possa ragionare per ridistribuire tutto quello che scaturisce dal nostro sport.

Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising
Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising
Una delle maglie a lui dedicate. Per il britannico i corridori dovrebbero guadagnare di più dal merchandising

I risultati non sono tutto…

«Il mio esempio, gli ultimi anni vissuti nell’ambiente sono la dimostrazione che serve un nuovo modo di concepire il nostro sport. Io pur invecchiando vincevo ancora, ma i team erano renitenti a investire su di me perché temevano che non vincessi più. Ma i risultati non sono tutto, il ciclismo è anche immagine da spendere con i media e su questo aspetto non si investe abbastanza».

Nel suo ragionamento, Cavendish individua nell’eccessivo legame con gli sponsor la causa di tanti problemi: «Il ciclismo potrebbe produrre autentiche superstar, ma non ha la spinta per capitalizzare sulla loro esistenza. La mia non è arroganza, è solo la constatazione che la mia immagine, la mia storia, attiravano sponsor e questo non è stato capito e sfruttato bene. C’erano molte persone che traevano profitto dal mio sudore più di me…».

L'ultima vittoria, a Saint Vulbas, Tour 2024. Il record di tappe è finalmente suo
L’ultima vittoria, la 35ª, a Saint Vulbas, Tour 2024: il record di tappe è finalmente suo
L'ultima vittoria, a Saint Vulbas, Tour 2024. Il record di tappe è finalmente suo
L’ultima vittoria, la 35ª, a Saint Vulbas, Tour 2024: il record di tappe è finalmente suo

Un legame troppo stretto con gli sponsor

Parole sferzanti, che mettono sotto accusa l’impostazione stessa del ciclismo attuale, con i ciclisti schiacciati tra procuratori e team, «che hanno sicuramente valori, ma rispetto ad altri sport, il ciclista guadagna quasi esclusivamente dalla squadra e le squadre campano in base agli sponsor che trovano, se non ci sono rischiano di fallire e gli esempi li abbiamo avuti. Ma i guadagni delle gare restano nelle tasche degli organizzatori, questo non va. Come anche il fatto che i team non ottengono nulla dai proventi televisivi come avviene in altre discipline».

Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore
Cavendish non ha ancora chiaro come reimmergersi nel mondo delle due ruote come imprenditore

Cercare altre fonti di guadagno per i team

Effettivamente uno studio sui guadagni del 2023 rivela che l’ASO ha ottenuto un dividendo di 350 milioni di euro dalle sue gare e alle squadre non è andata neanche una parte di questi introiti.

«Gli spettatori vengono alla gara per i corridori, spendono, c’è un grande flusso di denaro ma chi lo genera non ne acquisisce. Servono altre fonti di guadagno, per liberarsi dalla schiavitù degli sponsor. E’ in questo che dobbiamo prendere esempio dalla Formula 1, dalla sua capacità di trovare fonti di reddito alternative utilizzando l’immagine stessa delle stelle di questo sport e il richiamo che hanno».

Mattia Agostinacchio, Namur, Coppa del mondo ciclocross, 2025, EF Education-EasyPost (Photopress.be)

Il “quarto d’ora granata” di Mattia Agostinacchio: un’onda continua

17.12.2025
5 min
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Il Grande Torino che negli anni ‘40 ha dominato il calcio italiano, fino al tragico incidente di Superga, aveva quel quarto d’ora finale in cui era capace di ribaltare ogni risultato. Una specie di trance agonistica nella quale tutto diventava possibile, con lo stadio Filadelfia pronto a diventare teatro di imprese che sono passate alla storia. Nello sport esistono atleti, che poi passano ai libri come campioni, capaci di far diventare normale qualcosa che non lo è affatto. Mattia Agostinacchio sembra poter essere uno di quelli, è presto per dirlo ma i segnali si intravedono e fanno ben sperare (in aperta foto Photopress.be).

Il quarto d’ora finale di Mattia Agostinacchio gli è valso un titolo iridato juniores a Liévin
Il quarto d’ora finale di Mattia Agostinacchio gli è valso un titolo iridato juniores a Liévin

Il Re degli ultimi giri

Lo stesso Daniele Pontoni, cittì azzurro del cross, si è stupito quando per la prima volta ha assistito al “quarto d’ora granata” del più giovane dei due fratelli valdostani. Domenica scorsa a Namur, nella gara di Coppa del mondo coincisa con il ritorno sul fango di Mathieu Van Der Poel, Mattia Agostinacchio si è ripetuto. Testa bassa sul manubrio e gambe che martellano sui pedali, curva dopo curva, ostacolo dopo ostacolo. Il ragazzino di diciotto anni, che dal 2026 sarà nel WorldTour con i colori della EF Education-EasyPost, in quelle ultime due tornate ha tenuto lo stesso passo del sette volte campione del mondo del cross, mantenendo invariato il distacco e concludendo al tredicesimo posto la corsa. 

«L’anno scorso lo chiamavano il Re degli ultimi giri», la voce e lo sguardo sono quelli del fratello maggiore, Filippo Agostinacchio, che fino a tre settimane fa era preparatore di Mattia e lo ha visto crescere. «Quello che ha fatto a Namur lo ha fatto anche ai mondiali juniores a Liévin a febbraio e all’europeo di Middelkerke dello scorso novembre (con un successo in entrambe le prove, ndr)». 

UCI Cyclocross World Cup 2024-2025, Mathieu Van der Poel
Negli ultimi due giri a Namur il giovane valdostano a Namur ha tenuto gli stessi tempi di VDP
UCI Cyclocross World Cup 2024-2025, Mathieu Van der Poel
Negli ultimi due giri a Namur il giovane valdostano a Namur ha tenuto gli stessi tempi di VDP
Da dove nasce questa dote?

Mattia ha un motore anaerobico enorme, è una cosa che tanti atleti hanno. Si tratta della capacità di andare “a blocco” come si dice in gergo, per diversi minuti.

Quale aspetto fa la differenza?

La durata, il tempo che si riesce a restare in questa zona rossa senza andare fuori giri ed “esplodere” divide i buoni corridori dai campioni. E’ una qualità che tutti cercano su strada, perché ci si è resi conto essere quella utile per fare la differenza. Nel ciclocross la differenza la si vede di più perché è proprio una dote innata.

Ciclocross Salvirola 2025, Mattia Agostinacchio (foto Alessio Pederiva)
Mattia Agostinacchio nel suo quarto d’ora finale entra in un flow incredibile inanellando settori a ritmi elevatissimi (foto Alessio Pederiva)
Ciclocross Salvirola 2025, Mattia Agostinacchio (foto Alessio Pederiva)
Mattia Agostinacchio nel suo quarto d’ora finale entra in un flow incredibile inanellando settori a ritmi elevatissimi (foto Alessio Pederiva)
Cosa succede in Mattia?

Va detto che non sono quindici minuti continui, perché lo sforzo nel ciclocross è composto da tanti passaggi al di sotto del minuto. Mattia però è in grado di inanellare una serie di sforzi brevi fuori dal comune. Inoltre c’è un altro aspetto decisamente importante.

Quale?

Smette di fare errori. Non so spiegare cosa succede e perché, ma non sbaglia più nulla. Entra in un flow psicologico incredibile. Uno lo guarda da fuori e l’unica cosa che riesce a dire è: «Boh».

Mattia Agostinacchio, Namur, Coppa del mondo ciclocross, 2025, EF Education-EasyPost (Photopress.be)
Non solo una grande fase anaerobica, ma anche una trance agonistica che porta Mattia a non sbagliare nulla (Photopress.be)
Mattia Agostinacchio, Namur, Coppa del mondo ciclocross, 2025, EF Education-EasyPost (Photopress.be)
Non solo una grande fase anaerobica, ma anche una trance agonistica che porta Mattia a non sbagliare nulla (Photopress.be)
Partiamo dalla dote atletica, quanto è innata e quanto ci si può lavorare?

Sicuramente il suo background di fuoristrada lo aiuta molto. Mattia ha sempre corso in mountain bike e nel cross, questo porta il fisico a sviluppare certe doti. Tuttavia c’è anche una parte genetica, perché anche io ho questa qualità, anche se in percentuale minore. E’ un mix di genetica, ambiente in cui siamo cresciuti e risposta a questo ambiente

La parte tecnica, invece?

Quella deriva dal fatto che Mattia è cresciuto con una bicicletta accanto fin da che ha memoria. Già quando era piccolo, ancora prima di saper camminare, andava in giro con quelle biciclettine a spinta per bambini. Imparare a stare in equilibrio e andare in bici fin da subito gli hanno permesso di sviluppare qualità tecniche impareggiabili. 

Trasportare le qualità di Mattia Agostinacchio su strada sarà uno degli obiettivi della EF Education-EasyPost (Photors.it)
Trasportare le qualità di Mattia Agostinacchio su strada sarà uno degli obiettivi della EF Education-EasyPost (Photors.it)
In che senso?

Io ho iniziato a utilizzare la bicicletta da più grande e non ho quelle doti tecniche e di guida che Mattia ha. E forse non riuscirei mai ad eguagliarle, il lavoro da fare sarebbe addirittura troppo. 

Come si trasportano su strada questi quindici minuti finali di Mattia?

Credo sia l’equivalente di arrivare fresco e concentrato nei settori finali di una corsa. A livello di guida lo tradurrei nella capacità di guidare in gruppo quando la tensione sale, limare e restare davanti nei momenti concitati. Mentre la qualità atletica è quella che farebbe la differenza tra piazzarsi e vincere. La differenza su strada è che il quarto d’ora potrebbe essere continuo, o comunque fatto da intervalli più lunghi. Su strada corre da talmente poco tempo che non abbiamo idea dei margini possibili, ma ora che passa in EF Education-EasyPost è in ottime mani.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara

I plantari custom fanno tanta differenza? Risponde Giuliano Carrara

17.12.2025
5 min
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I plantari customizzati e personalizzati in base alle individualità. Torniamo a scrivere di un argomento che non conosce epoca, tornato alla ribalta per via di una ricerca sempre più strenua delle performance.

I vantaggi, gli eventuali svantaggi e cosa è necessario considerare quando ci si affida a specialisti che operano nell’ambito dei plantari personalizzati. Abbiamo chiesto un approfondimento al dottor Giuliano Carrara, podologo podoiatra, della Podoclinica Carrara di Leffe (Bergamo) che, non di rado, si confronta con le richieste di atleti professionisti di primo piano.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Anche Filippo Ganna si affida al dottor Giuliano Carrara, questa una foto della sua ultima visita
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Anche Filippo Ganna si affida al dottor Giuliano Carrara, questa una foto della sua ultima visita
Quali sono i motivi principali che spingono un ciclista ad avere un plantare personalizzato?

Sono diversi, ma quelli principali sono 6. Il primo è un dolore persistente, che resta tale anche dopo il cambio delle scarpe e visita bikefitting. Normalmente lo stesso dolore ci concentra sul ginocchio, si manifesta tramite una fascite plantare, metatarsalgia e formicolii.

Gli altri?

In sequenza sono da considerare la perdita di fluidità e di potenza durante la pedalata, differenze esistenti tra i piedi e le gambe, semplice desiderio di migliorare comfort e prestazioni. Con l’utilizzo di un plantare personalizzato si contrasta una eventuale instabilità del piede, talvolta accentuata dai pedali moderni e c’è anche un discorso di prevenzione degli infortuni.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La valutazione include anche la pedalata statica sulla propria bici
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La valutazione include anche la pedalata statica sulla propria bici
Attraverso l’utilizzo di un plantare fatto su misura si può migliorare la performance con una resa atletica migliore?

Sì, principalmente grazie ad una maggiore stabilità. I plantari personalizzati rendono i piedi più stabili e rigidi al momento giusto, riducono la dispersione di energia e permettono di trasmettere meglio la forza sul pedale. Se alla base c’è un problema di appoggio, la sua correzione porta a vantaggi non trascurabili. Studi scientifici confermano guadagni tra il 2 e il 5 % di potenza sostenibile, oltre a ridurre la stanchezza.

E’ riuscito a quantificare i miglioramenti di un ciclista che usa i plantari costruiti sulle sue esigenze?

Certamente. Il feedback dei ciclisti è costante e inequivocabile. Dopo aver indossato il plantare definitivo i riscontri più comuni sono: «Il ginocchio non entra più verso l’interno», «Non sento più quella pressione sotto le dita», «Dopo 4-5 ore non ho più dolore», «La pedalata è molto più stabile e potente». Sono le risposte che ricevo, settimana dopo settimana, sconfinano nella soddisfazione e nel benessere, per me è una gratificazione.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Uno dei primi passi è l’analisi statica di “come è fatto” il piede
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Uno dei primi passi è l’analisi statica di “come è fatto” il piede
Su quali distretti influisce principalmente un plantare ben progettato?

Il miglioramento parte dal mesopiede. Quando il mesopiede è stabile e si blocca correttamente, caviglia, ginocchio, anca e schiena lavorano con meno stress. Se invece “cede”, tutto il corpo compensa e prima o poi arriva il dolore, soprattutto al ginocchio o alla fascia ileotibiale.

C’è differenza tra sostegno dell’arco plantare e stimolazione della zona cuboide?

Sono due correzioni completamente diverse. Il sostegno dell’arco interno serve a chi ha il piede piatto e tende a “crollare” verso l’interno. La stimolazione del cuboide, consiste in un piccolo rialzo laterale di 3/6 millimetri, serve a chi ha il piede cavo o molto rigido.

Come funziona?

Aiuta il mesopiede a diventare rigido esattamente quando si spinge forte, precisamente tra le ore 2 e le 5 del giro di pedivella. Impedisce al carico di spostarsi di lato e riduce dolori laterali e tendiniti peroneali. E’ importante considerare che, l’uso della correzione sbagliata è il motivo principale per cui molti plantari non funzionano in bici.

Il plantare deve solo sostenere o anche permettere la corretta espansione e distensione del piede nella scarpa?

Deve fare entrambe le cose. Sostiene dove serve, ma lascia spazio perché l’avampiede si allarghi leggermente, con un range di 4/7 millimetri, in modo che le dita possano estendersi completamente. Personalmente uso sempre un leggero rialzo in punta, prende il nome di toe spring e, se necessario, si porta a scaricare le teste metatarsali. I plantari troppo pieni o troppo stretti provocano formicolii e “piedi caldi”.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Il piede è pronto per il calco
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
Il piede è pronto per il calco
Le solette commerciali o termoformate che troviamo oggi in commercio possono sostituire un plantare personalizzato?

No. Sono costruite su forme standard e non tengono conto delle caratteristiche individuali del piede. Nella maggior parte dei casi non risolvono il problema e, se la correzione è sbagliata per quel piede, possono addirittura peggiorarlo.

In che modo?

Aumentano la pressione, spostano il carico o mascherano il problema. Personalmente non le consiglio mai come soluzione terapeutica o prestazionale. Quando c’è dolore, instabilità, asimmetria o ricerca di prestazioni serie, l’unica strada efficace è il plantare su calco individuale dopo una visita biomeccanica podologica completa.

Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La “costruzione” del plantare prevede anche operazioni manuali di adattamento
Plantari custom, fanno tanta differenza? Risponde il Dottor Carrara
La “costruzione” del plantare prevede anche operazioni manuali di adattamento
Quali materiali utilizza per realizzare i suoi plantari per i ciclisti?

Dopo un’attenta valutazione che comprende visita biomeccanica podologica, videografia posturale, baropodometria statica, dinamica e soprattutto durante la pedalata reale con la bici del cliente, utilizzo solo due tecnologie, sempre su calco individuale del piede. Plantare in EVA medicale ad alta densità fresato CAD-CAM: lo scelgo per il 95 % dei casi. E’ rigido, leggerissimo, ha uno spessore minimo. L’altra soluzione è la stampa 3D in nylon caricato al carbonio. Quest’ultima è riservata a chi sviluppa potenze molto elevate o necessita di correzioni importanti. Il rivestimento superiore è sempre in EVA per evitare micro-movimenti e garantire comfort anche dopo centinaia di chilometri.

Joao Almeida

Il primo big del Giro alza la mano. Almeida crede alla rosa

17.12.2025
6 min
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BENIDORM (Spagna) – Occhiale con montatura dorata, una tranquillità quasi sudamericana cucita addosso, anche se europeo lo è fino in fondo, e una grinta che c’è, ma non si vede. Joao Almeida lo incontriamo a Benidorm, durante il media day della UAE Emirates e bastano poche frasi per capire che il 2026 può essere il suo anno. Una delle prime cose che ci dice il portoghese è che sarà lui il leader della squadra al prossimo Giro d’Italia. E’ quindi il suo il primo nome tra i big che puntano alla maglia rosa.

Almeida ormai è un atleta di vertice assoluto. Tolti due o tre fuoriclasse fuori scala, è lì, stabilmente, nel gruppo ristretto dei corridori da Grandi Giri. E soprattutto è in crescita. Una crescita lenta e costante, tipica di chi costruisce tutto con il lavoro. Non è il talento a cui arriva tutto dall’alto. Il podio alla Vuelta gli ha dato consapevolezza e fiducia. Ogni stagione ha aggiunto qualcosa. E al Giro che può giocarsi la sua grande occasione.

Joao Almeida
Joao Almeida (classe 1998) a Benidorm ha annunciato che punterà forte al Giro d’Italia
Joao Almeida
Joao Almeida (classe 1998) a Benidorm ha annunciato che punterà forte al Giro d’Italia

Verso il Giro

Almeida è uno molto concreto e soprattutto consapevole. Non si nasconde dietro frasi fatte quando parla del proprio livello rispetto a fenomeni come Tadej Pogacar, Jonas Vingegaard o Remco Evenepoel. Sa dove si colloca e sa bene che il Giro d’Italia rappresenta uno snodo fondamentale della sua carriera.

«Il Giro sarà il mio grande obiettivo – racconta – sono contento di tornare. E’ una scelta che abbiamo preso con la squadra. Lo affronterò con l’idea di lottare per la corsa e provare a vincere. Poi parlare è facile, farlo è un’altra cosa. So che dovrò lavorare tantissimo e rimanere concentrato fino all’ultimo giorno».

Il suo programma stagionale è fitto ma equilibrato: Valenciana, Algarve, Parigi-Nizza, Catalunya, Giro d’Italia, Burgos e Vuelta. Una costruzione pensata appunto insieme alla squadra, che ha condiviso con lui la scelta di tornare al Giro dopo due Tour consecutivi. La corsa rosa gli ha dato tanto, è qui che si è rivelato al grande pubblico nel 2020 indossando la maglia rosa per 15 giorni. E sempre qui ha agguantato il suo primo podio in un grande Giro nel 2023.

Joao Almeida
Joao al Giro avrà una grande squadra (a partire da Vine in testa). Anche i compagni ne riconoscono la leadership
Joao Almeida
Joao al Giro avrà una grande squadra (a partire da Vine in testa). Anche i compagni ne riconoscono la leadership

Una squadra forte

Poi c’è il tema squadra, centrale come non mai. In conferenza qualcuno prova ad estorcergli una dichiarazione sul fatto che il non essere stato portato al Tour possa bruciargli. Almeida non è di questo parere. Davvero ha una grande occasione, soprattutto è leader riconosciuto anche dall’interno di una corazzata come la UAE.

Il rapporto con Pogacar, la condivisione dei programmi e il ruolo che Almeida ha saputo ritagliarsi all’interno della UAE hanno fatto crescere le sue quotazioni. Dopo il podio alla Vuelta e il lavoro da gregario al Tour, il suo status è cambiato. Insomma, Joao non è più soltanto un lusso di squadra, ma una garanzia.

La vittoria sull’Angliru, battendo Vingegaard, resta uno snodo cruciale in ottica futura. Ha aperto una breccia… anche nella mente. Non solo per il valore simbolico di quella salita, ma per il messaggio che ha mandato. E’ stata una breccia ben più ampia dei pochi secondi inflitti in cima. L’Angliru di Almeida è la dimostrazione che anche il danese, seppur con grande difficoltà, è battibile. E questo lo sanno anche i compagni.

Al Giro Almeida arriverà con una formazione di altissimo livello, come dicevamo. Al suo fianco ci saranno uomini come Adam Yates, Jay Vine e il connazionale Antonio Morgado, giusto per citarne tre. Una squadra “monster”, costruita per proteggerlo in pianura, sostenerlo in salita e offrirgli soluzioni tattiche in ogni fase della corsa. E’ una fiducia che pesa, ma che allo stesso tempo lo responsabilizza.

Almeida ha perso la Vuelta con 1’16” di distacco da Vingegaard. Il danese però aveva 34″ di abbuoni in più. Il distacco su strada è stato di 42″. Un dato incoraggiante in vista del Giro
Almeida ha perso la Vuelta con 1’16” di distacco da Vingegaard. Il danese però aveva 34″ di abbuoni in più. Il distacco su strada è stato di 42″. Un dato incoraggiante in vista del Giro

Un grande tra i grandissimi

Almeida non ha mai nascosto quanto questa sia un’epoca ciclistica complicata. «E’ un periodo molto difficile – spiega – il livello è altissimo. Quando si parla di Pogacar, Vingegaard o Evenepoel sono più realistico che sognatore. Non rinnego le ambizioni, ma non mi illudo. Attualmente, vincere il Tour contro di loro è quasi impossibile, ma sono felice di essere parte di questa generazione. Sono gli anni migliori della mia vita».

Una frase che racconta molto del suo approccio: la vittoria non è l’unico metro di giudizio. Conta anche come si corre, come si cresce, come si resta competitivi.

Il portoghese è convinto che non sempre vinca il più forte e che le corse si decidano su dettagli, gestione e lucidità. E’ per questo che punta su gare come il Giro, dove la costanza può fare la differenza. «Un Grande Giro sono tre settimane in cui non serve un’esplosività devastante, ma la capacità di non crollare mai. Un terreno che sento mio e mi consente di esprimere al massimo la mia idea di ciclismo».

Joao Almeida
Piancavallo 2020: Almeida si difende con i denti. In cima resterà in rosa per 15″
Joao Almeida
Piancavallo 2020: Almeida si difende con i denti. In cima resterà in rosa per 15″

Almeida e la salita

Nel suo percorso ci sono anche ricordi che definisce: «Belli e tristi allo stesso tempo». L’oggetto in questione è la salita di Piancavallo. La montagna friulana sarà il giudice definitivo della prossima corsa rosa. Lassù nel 2020 si trovò in mezzo agli attacchi di Hindley, Kelderman e Geoghegan Hart. «Tornare lassù per una rivincita? E’ una salita normale… ma spero di andare forte», sorride.

Almeida insiste molto sull’aspetto mentale e scientifico della preparazione che si lega molto alla sua tattica. Lui di solito è uno che sulle salite lunghe rientra (quasi) sempre. Sembra stia sempre per staccarsi e poi te lo ritrovi davanti. «Alla fine il ciclismo è scienza – ha detto al poadcast di Sigma – scienza applicata allo sport. Con i test e le sensazioni sai esattamente quanti watt puoi spingere per un certo tempo. Potrei seguire subito certi attacchi, ma non lo faccio perché so che quei corridori a quel ritmo crolleranno entro un paio di chilometri. Nella mia mente mi dico: ti riprendo. Chiaro che non posso sempre fare questo ragionamento anche contro Pogacar, Vingegaard o Evenepoel».

Stavolta però Vingegaard al Giro potrebbe esserci. Almeida lo sa. E sa anche che dovrà arrivare al massimo, magari sfruttando tappe intermedie, gestione e intelligenza di gara. Perché il Giro, più di ogni altra corsa, spesso premia chi sa aspettare il momento giusto e chi lo conosce (Joao ha già quattro partecipazioni). E tante volte ha punito la superstar di turno. Lo sanno bene Wiggins, Thomas, Evenepoel…

Shimano GRX gravel. A sinistra leva ST RX715R, a destra leva BL RST17L

Nuove leve e design, la famiglia Shimano GRX Di2 si allarga

16.12.2025
4 min
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Shimano GRX è la piattaforma dedicata al gravel. L’ultima release adotta la soluzione Di2, ovvero la base elettronica per la trasmissione. L’azienda giapponese aggiunge un altro tassello alla famiglia GRX, grazie ai componenti RX717 1×12 (in apertura, a sinistra la leva dual control ST RX715R, a destra la BL RST17 L).

L’obiettivo principale è quello di allargare ulteriormente l’utenza che adotta il sistema Di2 nel gravel ed il core concept dei componenti RX717 è proprio questo. Entriamo nel dettaglio.

Nuove leve e design, la famiglia Shimano GRX Di2 si allarga
Allargare ancora di più l’utenza Di2 in ambito gravel
Nuove leve e design, la famiglia Shimano GRX Di2 si allarga
Allargare ancora di più l’utenza Di2 in ambito gravel

Shimano GRX Di2 RX717, i plus tecnici

Prima di tutto: la nuova piattaforma GRX nasce per essere robusta, affidabile e prende spunto dalla famiglia Di2 mtb di Shimano. Diverse soluzioni sono in comune. Come ad esempio il design, la protezione dei componenti più sensibili e anche la funzione di recupero del rapporto dopo un (eventuale) impatto violento.

La gamma RX717 include una leva dual control (sempre idraulica) sul lato destro. Sono invece due le opzioni per la leva sinistra, che non integra l’elettronica e prevede esclusivamente la leva del freno. Si differenziano per la scritta, una con marchio GRX e l’altra con la scritta Shimano.

Si passa alla gabbia posteriore del cambio, proprio della serie GRX RX717. Quest’ultimo è disegnato per supportare una cassetta 12 velocità 10-51 (quindi una gabbia lunga), che allarga il range di utilizzo ed interpretazione (spingendosi anche verso un gravel che sconfina nella mtb). Da non far passare in secondo piano: GRX RX717 1×12 è una trasmissione completamente wireless, in quanto la batteria è integrata nel bilanciere posteriore, proprio come la trasmissione mtb.

La batteria utilizzata è la medesima di XTR, Shimano XT e Deore, ultima versione di GRX RX827. Il suo alloggio è studiato per offrire aumentare la protezione del comparto, mettendo la stessa batteria al riparo da colpi proibiti, danni e anche umidità, senza interferire con la facilità di ricarica. Questa tipologia di batteria e di integrazione conservativa permette di avere un delta di autonomia compreso tra i 700/1000 chilometri, considerando le variabili legate all’utilizzo e all’ambiente esterno. E’ comunque molto e nell’ottica di utilizzare il sistema anche su biciclette adventure, bikipacking e per i viaggi, il plus tecnico è certamente da considerare.

Restando nell’ambito del bilanciere posteriore, questo integra la tecnologia Shadow ES, un vero e proprio stabilizzatore che garantisce sempre la giusta tensione (e stabilità) della catena.

Design delle leve dal segmento road

Ci piace. Perché avvicina il gravel al settore strada con quell’impatto estetico che è una sorta di family feeling design e sfrutta la bontà tecnica (robustezza ed affidabilità) dell’impianto MTB. Significa anche ergonomia e una confidenza immediata per chi passa dalla bici road a quella gravel. Le leve hanno la regolazione della corsa, sono totalmente compatibili con la app E-tube Shimano. Utilizzano delle batterie CR1632 di facile accesso e sostituzione (con una durata che può arrivare fino ai 4 anni, ma è sempre necessario considerare le variabili legate ad utilizzo, condizioni climatiche ed eventuali aggiornamenti). E’ da considerare anche il cappuccio ergonomico migliorato. Non un semplice dettaglio, ma un componente che influisce proprio sulla comodità e sull’esperienza della pedalata, capace anche di smorzare le vibrazioni negative che arrivano inevitabilmente al manubrio.

Il vantaggio del design è relativo anche alla configurazione con manubri diversi, più votati al segmento gravel, oppure maggiormente tirati ed aerodinamici, pensando ai manubri gravel race mutuati dal road. E’ facile pensare anche ad un abbinamento con leve già esistenti, Dura Ace, Ultegra e Shimano 105 Di2.

Shimano