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Manfredi 2022

Manfredi sta tornando e punta deciso alle Paralimpiadi

05.04.2022
5 min
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Parlando con Samuele Manfredi sembra davvero difficile pensare di essere di fronte a un “millennial”, tale e tanta è la sua maturità. La vita lo ha già messo di fronte a prove terribili, eppure il ligure di Loano non ha mai perso la speranza e l’energia nell’affrontare ogni giornata, ha saputo rinascere come un’araba fenice e davanti a sé ha una grande sfida, quella che sognava da bambino, anche se con modalità diverse. Ma ci arriveremo…

Samuele fino al 10 dicembre 2018 era uno dei più promettenti talenti del ciclismo italiano. Vincitore della Gand-Wevelgem per juniores nello stesso anno, campione europeo nell’inseguimento individuale e argento in quello a squadre, era stato messo sotto contratto dal Team Development della Groupama-Fdj. Samuele si stava allenando d’inverno per farsi trovare pronto all’inizio dell’avventura francese, ma il 10 dicembre si è interrotto tutto.

Un incidente in bici, a Toirano, uno di quelli che riempiono purtroppo le cronache ogni giorno. I danni riportati sono pesantissimi: per giorni Manfredi resta in coma, oltre un mese prima che venga risvegliato. Da lì inizia un lungo cammino di riabilitazione che accompagna tutt’ora le sue giornate, recuperando ogni giorno un piccolo ma fondamentale pezzetto delle sue funzionalità.

Manfredi Chrono des Nations 2022
Samuele con Dominique Soulard e la moglie, gli organizzatori della Chrono des Nations
Manfredi Chrono des Nations 2022
Samuele con Dominique Soulard e la moglie, gli organizzatori della Chrono des Nations

Un esempio per tanti

Il mondo del ciclismo gli è sempre rimasto vicino, non c’è gara alla quale Samuele assista che non veda tanti protagonisti avvicinarsi e salutarlo, farsi una foto con lui, scherzare insieme (nella foto di apertura Samuele con la deputata francese Christine Cloarec-Le Nabour, erano ospiti d’onore alla Route Adélie de Vitré, prova della Coupe de France vinta da Alex Zingle) perché Samuele non ha perso un’oncia della sua simpatia e non parla mai della sua condizione con toni di autocommiserazione. Nel tempo che la riabilitazione gli lascia, si dedica ad altri ciclisti, amatori e ragazzini e a questi insegna soprattutto come vivere il ciclismo, il che significa anche essere un maestro di vita, trasmettendo quello che per lui è un dogma: «Ho avuto la riprova che la vita è bella in qualsiasi caso».

Ora però c’è un sogno che sta prendendo forma. Un sogno a cinque cerchi, lo stesso che aveva prima di quella maledetta mattina di dicembre: «Rino De Candido per me è stato sempre molto più che il tecnico della nazionale, mi è rimasto sempre vicino. Ora che ha assunto la carica di responsabile del ciclismo paralimpico, mi ha chiesto se me la sentivo di provare l’handbike. Finora non avevo potuto perché le mie condizioni ancora non me lo permettevano, ma ora ho avuto il via libera medico. E’ un cammino lungo quello che mi aspetta, ma voglio provarci. So che Rino mi starà accanto, con Vittorio Podestà che è un nume nel campo e mi ha già accolto nella sua società».

Che cosa rappresenta per te poter tornare a parlare di Olimpiadi?

E’ un passaggio importante nella mia storia, significa un altro passo verso il ritorno alla normalità. Mi permette di restare ancora più legato a quello che è il mio mondo, che non ho mai lasciato.

Nell’ambiente non si è mai smesso di pensare a te e di rimanerti vicino, non capita sempre…

Forse in quel poco tempo che l’ho frequentato da corridore qualcosa avevo trasmesso e questo mi dà molto coraggio: io sono sempre stato uno del popolo, ero anche bravino ma non era questo l’aspetto primario. Non ero certamente uno che stava sulle sue, facevo gruppo e questo è rimasto.

Fare gruppo è un concetto che nel ciclismo attuale si è un po’ perso: ormai molti dicono che in squadra, finita la corsa ognuno sta per conto suo, smartphone alla mano…

Io sono sempre stato contrario: quando eravamo in ritiro dicevo sempre a tutti che quando stavamo insieme dovevamo fare qualcosa insieme. Sono sempre stato convinto che una squadra esiste al di fuori delle gare, prima ancora che in corsa, proprio perché comunicare costa fatica, impegno mentale. Anche piccole cose fatte insieme, alla sera, ti danno quegli automatismi di comunicazione che in corsa saranno fondamentali.

Manfredi Bettiol 2019
Manfredi tra Alberto Bettiol e Marina Romoli, viceiridata juniores 2006 anche lei vittima di un incidente
Manfredi Bettiol 2019
Manfredi tra Alberto Bettiol e Marina Romoli, viceiridata juniores 2006 anche lei vittima di un incidente
Insegni anche questo ai più giovani?

Certamente, ma a tal proposito devo dire che non avrei potuto essere un tecnico senza tutto quel che ho imparato dall’incidente a oggi. Non avevo fatto studi specifici, ma l’esperienza mi ha dato una cognizione scientifica enorme, me ne accorgo su di me e applico quel che imparo sugli altri, facendo la necessaria trasposizione.

Nell’ambiente chi ti è rimasto più vicino?

De Candido innanzitutto che è ben più che un parente, ma anche Marco Villa e la mia vecchia squadra. Non mi hanno mai fatto mancare il loro sostegno. Ho conosciuto Podestà che nel movimento paraciclistico è un riferimento assoluto. Chi vorrei conoscere è Alex Zanardi che per me è un mito. So che pian piano si sta riprendendo, spero che presto la cosa sia possibile.

La riabilitazione quanto tempo occupa della tua giornata?

Molto, è un vero e proprio lavoro, devo allenarmi muscolarmente e neurologicamente perché non ho ancora recuperato appieno le funzionalità, ma ogni giorno faccio sempre un piccolo passo in avanti. Ora poi che ho un sogno davanti a me, ho ancora più voglia di sudare e faticare, per riprendere quel discorso interrotto anni fa.

Porcellato, la signora delle 11 Paralimpiadi

18.02.2021
4 min
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Per contare le sue medaglie paralimpiche ci vuole il pallottoliere. Forse farebbe comodo anche per le discipline che ha praticato ai Giochi, estivi e invernali: atletica, sci di fondo e ora handbike. Francesca Porcellato è uno dei monumenti viventi dello sport paralimpico azzurro e, dopo i due bronzi di Rio 2016, quest’estate a Tokyo sogna di conquistare l’oro anche nella terza disciplina della sua trentennale carriera ad altissimo livello, cominciata in quel di Seul nel 1988.

Francesca, d’inverno scegli i rulli o, visto che vanti anche un passato sulle nevi, sfidi il freddo?

Sono allergica ai rulli. Per cui, come faccio già da diversi anni, ora sono alle Canarie, dove ho la fortuna di poter uscire ogni giorno e aver sempre bel tempo.

Ecco Francesca Porcellato, tagliato il traguardo della crono di Rio 2016
Ecco Francesca Porcellato, tagliato il traguardo della crono di Rio 2016
Fino a quando ti fermerai?

A marzo. Arrivo sempre d’inverno e torno con la bella stagione. Da quando ho smesso con lo sci di fondo, ho deciso che volevo stare un po’ al caldo.

Dacci una mano tu perché c’è da perdere il conto: che Paralimpiade stai preparando?

L’undicesima.

Anche sulle medaglie meglio che ci rinfreschi la memoria.

Alle Paralimpiadi sono tredici, in tre discipline differenti.

Dunque, qual è l’obiettivo per quest’estate?

Intanto, speriamo che si facciano questi Giochi, visto tutto quello che sta succedendo e le tante incertezze. Poi, ovviamente, voglio far bene, perché in tutto quello che faccio ci metto sempre tutta me stessa. Se fosse oro sarebbe magnifico, ma poi prendo tutto quello che viene.

A Tokyo non ci saranno né Alex Zanardi né Vittorio Podestà: ti senti un po’ la veterana azzurra?

Sono due assenze che peseranno tantissimo. Sono stati i miei compagni di squadra storici e anche quelli con cui andavo più d’accordo. Mi hanno aiutato tanto e tra noi si è creato un grande rapporto d’amicizia. Mi mancheranno i loro consigli e sarà una Paralimpiade strana senza di loro. Ci pensavo giusto l’altro giorno, ricordando i bei momenti vissuti assieme a Rio, pre e post gara. Sarà un po’ triste.

Il bronzo di Rio 2016 e un sorriso di vera soddisfazione
Il bronzo di Rio 2016 e un sorriso di vera soddisfazione
Come sta la squadra e quanto ti mancano i raduni azzurri?

Mi mancano molto. Di solito, quando ci ritroviamo, non lo facciamo per poche ore, ma almeno per una decina di giorni. Per cui oltre ad essere compagni di squadra siamo molto amici. Poi mi manca moltissimo gareggiare, ma per fortuna mi sono riprogrammata mentalmente, spostando il focus sul piacere di pedalare, allontanando la pressione della competizione e della prestazione. Il 2020 è stato anomalo, ma ho trovato anche dei lati positivi e mi hanno aiutato ad apportare un po’ di migliorie. Lo spostamento di un anno dei Giochi, per me che ho una certa età non è stato semplice:  a 51 anni sarà ancora più difficile, però ho lavorato bene e sarò pronta.

Nel fine settimana ci saranno le elezioni federali: cosa vorresti chiedere al nuovo presidente per il settore paralimpico? 

So che c’è un mio compagno, Giancarlo Masini, che si candida (consigliere in quota atleti per Cordiano Dagnoni, ndr) e lo sosterrò. Lui conosce bene le problematiche del paraciclismo, non solo dell’handbike, ma anche del settore che comprende triciclo, handbike e paraciclisti appunto. Spero che il nostro sport venga maggiormente valorizzato, perché le nostre prestazioni sono notevoli, ma spesso sono poche raccontate. Con una maggior conoscenza, sicuramente più persone possono avvicinarsi e venire a provarla.

La maglia iridata mette allegria a guardarla, pensate a indossarla
La maglia iridata mette allegria a guardarla, pensate a indossarla
Le vostre vittorie, in effetti, aiutano a farne parlare…

A Rio, facendo il rapporto tra atleti e numero di medaglie vinte, siamo stati la squadra azzurra più vincente, contribuendo al medagliere al pari del nuoto, che però ha più discipline. Noi, al massimo, ne possiamo fare tre, se c’è la staffetta, altrimenti due, prova in linea e cronometro. Mi è dispiaciuto che abbiamo ricevuto molte meno attenzioni rispetto ad altre discipline, anche se avevamo un Alex Zanardi che ha acceso i riflettori sul nostro settore. Fa niente, noi teniamo duro e speriamo che in futuro ne parlino di più. 

Tu tieni duro fino a Parigi 2024?

Fatemi fare Tokyo, che già non vedo l’ora che arrivi. Parigi è una bella città, ci sono stata tante volte e mi piacerebbe ritornarci, ma magari con altri ruoli o da turista. 

L’addio di Podestà: «Senza Alex non vado a Tokyo»

15.01.2021
4 min
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L’handbike di Vittorio Podestà non sfreccerà a Tokyo. Dopo aver filato lesta da Pechino a Rio via Londra e aver portato in dote 6 medaglie (2 per ciascun metallo) in 3 Paralimpiadi, rimarrà nel garage del 47enne ligure che è stato tra i pionieri del movimento in Italia, quando ancora la disciplina era semisconosciuta.

Un altro dei meriti di Vittorio è di aver convinto a gettarsi nella mischia anche quel fenomeno di Alex Zanardi, con cui ha condiviso diverse gioie, la più intensa delle quali quattro anni e mezzo fa in Brasile con l’oro ai Giochi Paralimpici, conquistato nella staffetta a tre insieme a Luca Mazzone. Il sogno era di bissarlo in Giappone, ma dopo l’incidente della scorsa estate, Vittorio ha deciso che era arrivato il momento di dire basta.

A Londra, Podestà vince l’argento nella staffetta e due bronzi nella crono e nella partenza di massa (foto Mauro Ujetto)
A Londra, Podestà vince l’argento nella staffetta e due bronzi (foto Mauro Ujetto)
Ti stai preparando per la Paralimpiade di Tokyo?

Vorrei rispondere di sì, ma alla fine ho deciso di abbandonare. Dopo quanto accaduto a Zanardi, ho fatto la mia scelta e ho deciso di fermarmi a quota tre Giochi: sono soddisfatto così.

Quando hai maturato questa decisione?

Già pochi giorni dopo l’incidente di Alex. Mi sono reso conto che l’unica motivazione era di divertirsi ancora insieme. Andare a Tokyo senza di lui sarebbe stato un po’ come continuare a fare il tuo gioco preferito senza il tuo migliore amico. Ci ho messo un po’ a metabolizzarla, ma alla fine è giunto il momento di renderla pubblica.

Una scelta di cuore, anche perché l’handbike è una componente fondamentale della tua vita.

Ormai sono 17 anni che ci macino chilometri, ho cominciato un annetto e mezzo dopo l’incidente. Gli ultimi 13 li ho condivisi con Alex, per cui si è creato un legame fortissimo e lui è stato determinante per me in tanti aspetti, come quello motivazionale.

Sei contento di dove lasci l’handbike, visto che sei stato uno dei precursori del nostro movimento?

Non mi sento il pioniere, però sono stato il primo italiano a vincere qualcosa di importante a livello internazionale, ovvero un mondiale e la prima medaglia paralimpica. Quando sono arrivato, l’handbike era già presente in Italia da alcuni anni e sono contento di aver contribuito a far crescere il movimento, facendo aumentare il numero dei praticanti. E nel frattempo, è arrivato Alex.

A Rio 2016, Podestà vince l’oro nella crono e nella staffetta con Mazzone e Zanardi(foto Mauro Ujetto)
A Rio 2016, per Podestà oro nella crono e nella staffetta (foto Mauro Ujetto)
Ricordi gli inizi?

Era nel settembre del 2007, quando mi ha detto che voleva fare la maratona di New York. Io l’ho assecondato, pensando che parlasse di quella del 2008, invece lui pensava al novembre successivo. Gli ho dato una mano a trovare un mezzo e lui si è preparato in un mese. Si è allenato quasi tutti i giorni, ma per fortuna ha dovuto spedire la bicicletta una settimana prima, altrimenti ci sarebbe arrivato troppo stanco. Si preparava come quando doveva fare i giri veloci in pista e io continuavo a dirgli: «Guarda che il motore sei tu, non sei in macchina. Se ti ingolfi, poi non ce la fai a fare 42 chilometri». Da quel momento, si è appassionato tantissimo, migliorando anno dopo anno.

E’ vero che durante il primo lockdown ti motivava?

Avevo già deciso di mollare dopo Tokyo, per dedicare più tempo alla mia famiglia, visto che ho una figlia piccola. Dopo il rinvio della Paralimpiade, gli ho detto che avrei mollato subito. Lui mi aveva fatto desistere, dicendo che aveva progettato una handbike speciale per gli atleti sdraiati come me e che ci avremmo lavorato. Era una bella iniezione di fiducia e lui era quasi contento del rinvio perché aveva deciso come me di smettere dopo Tokyo, per cui vedere la carriera allungarsi di un anno non gli era dispiaciuto.

Podestà ha 47 anni e vive a Chiavari con la moglie Barbara. Hanno una bimba (foto Mauro Ujetto)
Podestà vive a Chiavari con la moglie Barbara e una bimba piccola (foto Mauro Ujetto)
Poi quel maledetto 19 giugno…

Diciamo che la situazione critica è scongiurata. Il recupero sta andando bene e i progressi per il momento sono notevoli. Sarà lunga, ma sono fiducioso.

Le handbike, come delle auto di Formula 1

15.01.2021
3 min
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Abbiamo approfittato dell’incontro con Vittorio Podestà per approfondire alcune tematiche tecniche legate alla handbike e alle categorie paralimpiche.

Ci spieghi come sono divise le categorie?

Inizialmente erano tre: A, B e C. Poi, aumentando il numero dei praticanti, sono diventate cinque, dall’H1 all’H5. Gli atleti sono divisi in base alle capacità residue, dopo essere stati classificati da una commissione medica. Quattro categorie gareggiano da sdraiate, mentre nella quinta, che è quella di Zanardi, gli atleti pedalano su un mezzo definito “inginocchiato”, ovvero con il tronco in avanti.

A Rio, i tre azzurri d’oro nella staffetta: Podestà, Zanardi e Mazzoni (foto Mauro Ujetto)
A Rio, i tre azzurri d’oro nella staffetta (foto Mauro Ujetto)
E’ vero che l’handbike ha avuto così tanto successo da attrarre anche i normodotati?

Sì, è stata creata la categoria H0: la Federciclismo italiana ha avuto un’ottima intuizione. D’altronde, pedalare con le mani non è una scelta obbligata, ma può essere un’opportunità. Così è stata creata questa categoria sperimentale, che ovviamente è promozionale e non influenza le gare paralimpiche.

Quanto lavoro d’officina c’è dietro le vostre prestazioni?

Io sono ingegnere e ho capito da subito che c’era tanto da fare perché il nostro è uno sport molto tecnico, in cui molti componenti sono mutuati dal ciclismo, mentre i telai sono più simili a quelli dei kart. Ricordo che la mia prima handbike somigliava a una carrozzina con una ruota in più davanti alla quale era attaccata una catena coi pedali. 

E ora?

Negli anni, è diventata una Formula 1 a pedali, nel vero senso della parola. Sia la mia handbike sia quella di Alex sono state costruite dalla Dallara, con la stessa tecnologia e stessi materiali delle monoposto più famose. Anzi, vista l’esigenza di quantità inferiori, a volte utilizziamo materiali più costosi. Ad esempio, usiamo lo stesso carbonio, con lo stesso tipo di fibre, che viene utilizzato sulla Bugatti. Come le biciclette di altissimo livello, anche le migliori handbike sono disponibili sul mercato, col difetto però che i costi sono maggiori. Sono considerate mezzi ortopedici e non vengono vendute nei negozi tradizionali.

La hand bike è un concentrato di tecnologia di derivazione automobilistica (foto Mauro Ujetto)
La hand bike è un concentrato di tecnologia (foto Mauro Ujetto)
A questo proposito, a chi vuole cominciare, cosa consigli?

Su internet ci sono tanti mezzi usati disponibili. I prezzi sono in proporzione minori, però ci vuole qualcosa di più rispetto ai 400-500 euro che si spenderebbero per una bici usata. Prima di investire sul mezzo, bisogna concentrarsi sull’allenamento perché è l’atleta che fa la differenza.

E come approccio fisico?

Rispetto al ciclismo, in corsa non si fanno salite esagerate, ma percorsi perlopiù pianeggianti. Il chilometraggio poi, è ridotto, e le gare durano al massimo due ore per la prova in linea e mezz’ora per la crono. Come esplosività dello sforzo prestativo e percorsi è simile, con le debite proporzioni, al ciclocross o alla mountain bike Xc.

Per quanto riguarda gli allenamenti su strada, sicuramente c’è ancora molto da fare in tema di sicurezza…

Ci sono gli stessi problemi della bicicletta, con in più il fatto che noi siamo un po’ più bassi, che si può ovviare con luci lampeggianti o bandierine. Più che la visibilità, il problema è che in macchina ormai si fa tutto tranne che essere attenti alla guida. Un conto è non vedere, un altro non guardare. Stanno aumentando le ciclabili ma, come per i ciclisti normali, le velocità da mantenere in allenamento non sono compatibili con il traffico promiscuo che si incontra. Così si rischierebbe soltanto di trasferire il problema e i rischi d’incidente: le ciclabili non sono fatte per l’allenamento degli atleti.