Peyragudes, fuori una. Sul Tour pesa il verdetto del Granon

20.07.2022
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«Forse anche chi lo gestisce pensava di vincere facile – riflette Martinello – e invece hanno commesso sul Galibier l’errore che sta costando a Pogacar il Tour. Ci sono ancora domani e poi la crono, per carità, ma quando l’ho visto fare il segno di dare gas prima del Granon, ho pensato che fosse troppo spavaldo e l’avrebbe pagata. Senza tutti gli errori di quel giorno, il Tour si risolverebbe per secondi. E probabilmente Pogacar avrebbe ancora la maglia. Ma nulla toglie che Vingegaard sia davvero una roccia».

Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon
Un Tour che secondo Martinello è stato fortemente condizionato dal giorno del Granon

Pirenei, tappa a Pogacar

Come quando vai a vedere il film del secolo, poi esci e hai quasi paura di dire che non t’è piaciuto. La prima tappa pirenaica del Tour si è risolta in una bolla di sapone, ricalcando l’equilibrio che era costato al Giro bordate di critiche e qui si risolve invece in una grandeur oggi (forse) immotivata. Pogacar ha vinto la tappa (risultato che tanti sognano e pochi raggiungono), ma Vingegaard ha fatto un altro passo verso Parigi.

Chi viene da lontano, si aspettava i dieci scatti e il brillantino fatto saltare e sarà rimasto certamente deluso. C’è chi dice che al posto del brillantino ormai si guardi il misuratore di potenza e quando quello dice che sei al massimo, ti fermi. E poi per fortuna c’è chi fa un’analisi meno di pancia e conclude che semplicemente le forze in campo sono queste e sarebbe stato illogico aspettarsi di più.

Abbiamo scelto Martinello come avvocato del Tour, cercando di capire cosa sia successo finora e cosa potremo eventualmente aspettarci nei quattro giorni che restano.

McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
McNulty fenomenale: ha portato i primi due fino ai 300 metri. Forse dietro non c’erano grandi gambe
Se un gregario come McNulty porta i primi due del Tour ai 300 metri di una tappa di montagna, forse dietro non c’erano tante gambe…

Stanno interpretando un Tour di alto livello, ma si vede che sono tutti morti. Oggi La UAE Emirates ha provato con le ultime forze a disposizione e Pogacar ha giocato d’astuzia. Ha finto di non averne più e poi ha vinto la tappa perché è più veloce.

Nell’unico giorno in cui Vingegaard è rimasto davvero solo.

Oggi la Jumbo non era quella dei giorni scorsi, Kuss non ha avuto una grande giornata. Semmai ci si poteva aspettare un atteggiamento diverso da parte della Ineos, ma è chiaro che siano tutti lì a difendere le posizioni. Il caldo li sta ammazzando. E McNulty è stato superlativo, però chi può dire se domani anche lui non pagherà?

La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
La vittoria di Pogacar è stata figlia del suo grande cambio di ritmo: in volata fra i due non c’è partita
Vingegaard isolato non ha tremato, si poteva pensare che accadesse?

Hanno raggiunto l’obiettivo di privarlo dei compagni, ma non ha mostrato cedimenti. Il vantaggio inizia a essere rassicurante. E se domani non cambia nulla, l’ultima crono sarà un fatto di energie rimaste e lui ha forza e sa difendersi contro il tempo. Non credo che arrivi a perdere più di 2 minuti da Pogacar.

Tanti hanno criticato la Jumbo Visma.

Non sono d’accordo neanche un po’. Possono aver commesso qualche sbavatura, ma nei giorni decisivi, da quello del Galibier alla tappa di ieri, la maglia gialla si è sempre ritrovata sul percorso i compagni mandati in fuga. Davanti hanno un Pogacar che non fa la differenza, perché finora Vingegaard non ha perso un millimetro. Sta diventando determinante davvero il giorno del Granon.

Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Dopo la tappa mirabolante di ieri (al pari di McNulty oggi), Kuss ha pagato pesantemente dazio
Spiega, per favore…

Hanno corso con troppa spavalderia, giocando come il gatto col topo. Si sono gestiti con superficialità. Perché inseguire Roglic sul Galibier, quando dopo il pavé ha già 2’36” di ritardo? Lascialo andare. E se Pogacar voleva inseguirlo perché ha 23 anni ed è esuberante, doveva intervenire l’ammiraglia.

Che cosa dovevano fare?

Fallo andare, hai attorno ancora tutta la squadra, lo riprendi quando vuoi. Anzi, vedrai che torna indietro da solo ben prima del Granon. Invece ha fatto lo spavaldo ed è andato in crisi perché ha gestito male l’alimentazione in una tappa durissima, in cui sono passati più volte sopra i 2.000 metri. Se avessero corso con un minimo di intelligenza tattica, avevano ancora il Tour in mano. E comunque anche in quell’occasione, Tadej si è rivelato un fenomeno.

Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
Nonostante fosse decimata, oggi la UAE Emirates è stata maiuscola. Qui con Bjerg
In cosa?

Il giorno dopo, all’Alpe d’Huez, non lo avrà staccato, però era già in palla. Non ho mai creduto che avesse altro, quella è stata una crisi di fame. Ed essere così forti il giorno dopo è cosa da numeri uno.

Anche Vingegaard non usa la squadra quando scatta Pogacar.

L’ho notato e per me sbaglia anche lui. Ma forse pensa che l’attacco di Pogacar possa essere decisivo. Insomma, Pogacar è Pogacar… Però se invece di saltargli a ruota, lo inseguissero di squadra, correrebbero meno rischi.

Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Thomas ha difeso alla grande il suo terzo posto dal possibile ritorno di Quintana e Bardet
Perché Pogacar ha corso così sul Galibier?

Forse perché si era abituato a vincere facilmente. Se alla Planche des Belles Filles ha davvero dichiarato che Vingegaard è lo scalatore più forte al mondo, forse il giorno del Granon avrebbe potuto essere più attento.

A cosa è servito invece lo scattino di oggi al Gpm di Val Louron?

Ci ha provato. Oppure lo ha fatto perché è un corridore che un po’ concede allo spettacolo. Oppure magari ha in mente anche la maglia a pois. E’ terzo in classifica a 18 punti da Geschke e magari domani potrebbe puntare a prenderla.

Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Entrambi sfiniti dopo l’arrivo: Pogacar ha vinto, ma la giornata è positiva anche per Vingegaard
Ci si poteva aspettare un finale come fra Pantani e Tonkov a Montecampione?

Pantani fece una serie di scatti e Tonkov alla fine si staccò, ma Pantani era molto più scalatore di Tonkov. Qua invece la sensazione è che Vigegaard sia molto più scalatore di Pogacar. Mentre lo sloveno è più abile a limare e più veloce.

Ti aspettavi un Vingegaard così?

L’anno scorso ha vinto la Coppi e Bartali e tre mesi dopo ha fatto il podio al Tour. Quest’anno è cresciuto ancora, dall’inizio dell’anno è sempre davanti. Non è un predestinato, ha dovuto lavorare sodo ed è migliorato tanto fisicamente e mentalmente. Una situazione come questa, con la maglia gialla, potrebbe destabilizzarti e logorarti. Invece mi pare ben saldo sulle gambe. Insomma, domani se la giocano ancora. Ma Vingegaard sembra avere le carte in regola per tenere ancora duro.

Vingegaard la sua ombra, ma Pogacar promette spettacolo

18.07.2022
4 min
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«Sul Granon – ammette Pogacar sorridendo – sono stato staccato per la prima volta. Ero sfinito. Avevo dato tutto. La sera ho fatto un’analisi di quello che era successo e mi sono ricalibrato. Non mi sono arreso. Ho mangiato. Ho fatto una bella dormita. E ho cercato di dimenticare».

Inizia così l’ultima settimana del Tour 2022. Vingegaard ha la maglia gialla con i 2 minuti e più, guadagnati in quel giorno sulle Alpi. Pogacar indossa la maglia bianca e deve inseguire: una posizione per lui poco abituale. Ci si chiedeva da più parti come avrebbe reagito alle prime difficoltà e presto lo sapremo. Quello che ha fatto vedere sull’Alpe d’Huez e poi a Mende ha risposto in parte al quesito.

Sul Galibier, dice Pogacar, ha commesso un suicidio, rispondendo agli attacchi e mangiando poco
Sul Galibier, dice Pogacar, ha commesso un suicidio, rispondendo agli attacchi e mangiando poco

Condizione a tempo

Terzo giorno di riposo, conferenza stampa online. Lo schermo è pieno di computer collegati, nessuno vuole perdersi le esternazioni dello sloveno, chiamato a ribaltare la classifica. Quello che fece in un sol giorno nel 2020 senza che nessuno lo aspettasse e che invece adesso tutti gli chiedono.

Il nodo è la condizione e il riposo è il momento perfetto per simili ragionamenti, in attesa che da domani i Pirenei inizino a scolpire sagome più nette.

Vingegaard ha iniziato ad andare fortissimo al Delfinato (5-12 giugno), contro avversari di prima grandezza. A nessuno sfugge il fatto che nell’ultima tappa abbia vinto aspettando abbastanza palesemente il suo capitano Roglic. Al punto di pensare che il leader del Tour sarebbe stato proprio il giovane danese.

Dieci giorni più avanti, Pogacar è andato a rifinire la condizione al Giro di Slovenia (15-19 giugno), dando l’impressione di giocare, ma contro squadre e avversari di cabotaggio decisamente più basso.

Al Delfinato, Vingegaard andava già fortissimo: pagherà nella terza settimana?
Al Delfinato, Vingegaard andava già fortissimo: pagherà nella terza settimana?

Suicidio sul Granon

Chi dei due ha ancora margine di crescita? C’è il rischio che la maglia gialla possa iniziare a perdere smalto? Quello che si è visto finora non va in questa direzione, ma è certo che le prossime salite saranno corse a temperature altissime e ritmi non certo inferiori.

«Sul Granon – riprende Pogacar – mi sono trovato con poca benzina. Ho risposto a tutti gli attacchi. E’ come se avessi fatto dieci volate in salita nello stesso giorno. Mi sono suicidato. Ora dovrò cogliere ogni occasione. Proverò su tutte le salite per riguadagnare più tempo possibile e non avere poi alcun rimpianto. Dipenderà dalle gambe. Se vedrò un’opportunità, andrò a prenderla. E’ il momento di essere forti. L’Alpe d’Huez mi ha ridato fiducia. A Mende la salita era troppo corta e lui era attaccato a ruota. Ma in tre giorni può succedere di tutto e Jonas (Vingegaard, ndr) potrebbe cominciare a essere stanco».

L’Alpe d’Huez ha riportato la fiducia. A Mende, pur su una salita troppo breve, Pogacar ha attaccato
L’Alpe d’Huez ha riportato la fiducia. A Mende, pur su una salita troppo breve, Pogacar ha attaccato

Ad armi pari

Appare sereno. Sa che l’altro è il favorito naturale e questo se non altro semplifica gli schemi: la Jumbo Visma correrà in difesa, la UAE Emirates all’attacco.

«Più o meno – dice – guardando gli uomini, adesso abbiamo squadre simili. Sappiamo quanto sia stato duro fare a meno dei compagni che ci hanno lasciato e se non altro per la Jumbo Visma adesso sarà meno facile. Sui Pirenei sarà un testa a testa. Avremo 50-60 corridori a tutto gas, dalla partenza all’arrivo. Non vedo possibili alleanze, penserò ad andare il più forte possibile. Rischiare il tutto per tutto? E’ pur sempre una corsa. Per cui darò il 100 per cento di tutto quello che posso. Attaccherò. Cercherò di guadagnare. Ma se non dovessi arrivare in giallo, mi consolerò pensando che ho già vinto due Tour e arrivare secondo con la maglia bianca non è tanto male».

Domattina si riparte così, con la sfida fra la maglia bianca (classe 1998) e la gialla (classe 1996)
Domattina si riparte così, con la sfida fra la maglia bianca (classe 1998) e la gialla (classe 1996)

Prima di sabato

Se qualcuno a questo punto starà pensano che il prodigioso sloveno sia sul punto di arrendersi, tirerà un sospiro di sollievo sentendo la chiosa al suo ragionamento. C’è quella crono là in fondo che per lui potrebbe essere un’ancora di salvezza, cui però non vuole pensare.

«Voglio azzerare il gap prima di arrivare a sabato – dice – perché anche lui è forte contro il tempo. Non mi sento di dire quale potrebbe essere un margine per essere capace di batterlo. Conosco il percorso, l’ho fatto due volte. Ma cercherò di riprendere il più possibile in salita».

Marcato, un altro Tour e sempre… in fuga

15.07.2022
5 min
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La sua ultima volta al Tour fu nel 2020, quando si ritrovò a lavorare per il giovane sloveno che al penultimo giorno ribaltò il trono di Roglic e conquistò la maglia gialla. Pochi se lo aspettavano, qualcuno poteva sperarlo. Marco Marcato era già nella fase in cui il corridore si chiede se valga la pena continuare, ma di fronte a quella ventata di entusiasmo rimase in sella per un altro anno e poi scelse di scenderne per salire sull’ammiraglia.

Ritorno in Francia

Il suo ritorno al Tour è avvenuto quest’anno, sull’ammiraglia che quotidianamente anticipa la tappa e svela trappole e segreti ai direttori sportivi. Un ruolo che ha preso piede da qualche anno, come in primavera ci raccontò Vittorio Algeri. Un ruolo in cui il padovano può mettere ancora a frutto il suo occhio di corridore, in una sorta di viaggio verso l’età adulta. Oltre alle strade infatti, Marcato ha iniziato a scoprire tutto ciò che c’è intorno ai corridori. E ha capito di aver vissuto per anni in una bolla estranea a tutto il resto.

Ieri a Briançon, breve summit fra Marcato, Hauptman, Agostini e Gianetti, prima di partire
Ieri a Briançon, breve summit fra Marcato, Hauptman, Agostini e Gianetti, prima di partire

«Ho visto un’organizzazione – racconta – che da corridore magari non vedevo. La gestione di tutti i mezzi, ad esempio. Anche il semplice fatto che per ogni tipo di targa, c’è un parcheggio dedicato. C’è una via di uscita dedicata ai mezzi fuori corsa e un punto prestabilito per rientrarci. Anche andare alla feed zone, alla zona rifornimento, non è così semplice. Insomma, tante cose che da corridore non riesci a vedere, non te ne accorgi. Sei impegnato a correre, quindi non vedi quello che ti succede attorno. Pensi ai chilometri e a dove sia la borraccia, ma per far sì che la borraccia sia lì, la squadra fa un grosso sforzo. Ci sono tanti che lavorano dietro».

Cosa ti pare del tuo ruolo?

Nuove esperienze, un punto di vista diverso. Anche il fatto che io sia davanti alla corsa per dare indicazioni a chi è dietro mi permette di capire tutta l’organizzazione. Quanto a me, segnalo le strade o se c’è qualche punto tecnico. Quindi ad esempio le rotonde da prendere a destra o sinistra, in base alla via più veloce. Le curve più pericolose. Poi anche il vento, che nelle prime tappe ha dato fastidio.

Tappa di Longwy vinta da Pogacar. Marcato è già al pullman e accoglie Soler
Tappa di Longwy vinta da Pogacar. Marcato è già al pullman e accoglie Soler
La tappa del pavé?

Ho cercato di dare più informazioni possibili, lo faccio ogni giorno. Affinché i corridori abbiano chiara la situazione che li aspetterà nei chilometri successivi. Per la tappa del pavé sapevamo che Pogacar potesse fare bene, ma ugualmente ho segnalato le possibili cause di cadute o forature.

Di quanto tempo anticipi la partenza ufficiale?

Raggiungo la squadra per il meeting. Quindi ascolto un po’ quelli che saranno i programmi della giornata. E poi mi avvio davanti alla corsa, appunto per segnalare eventuali pericoli e situazioni che potrebbero creare appunto dei problemi durante la tappa.

Quindi la riunione si fa la mattina?

Si, normalmente la facciamo la mattina quando arriviamo al parcheggio dei bus. Di solito siamo lì un’ora e tre quarti prima della partenza, così abbiamo tempo per fare la riunione che dura circa mezz’ora. E poi restano il foglio firma e la partenza.

Sul pullman la riunione del mattino è gestita da Matxin e Hauptman (foto Fizza/UAE)
Sul pullman la riunione del mattino è gestita da Matxin e Hauptman (foto Fizza/UAE)
Fra voi direttori si fa un meeting dopo la tappa?

Sì, di solito si parla la sera, finita la tappa. Per capire quello che è stato e quello che sarà il giorno dopo. E come improntare la strategia della corsa. Ragioniamo da squadra, tutti dicono la loro opinione, poi è logico che alla fine le decisioni le prende il primo direttore. Giustamente si prende anche la responsabilità. Si dà ascolto a tutti e si fa sintesi.

Quando sul Granon si è staccato Pogacar avevi segnalato qualcosa?

C’erano dei punti pericolosi con delle rotonde anche per prendere la salita dei Lacets de Montvernier. Non ero tanto avanti, quindi la fuga non era ancora partita e nel caso in cui i corridori fossero arrivati a quel punto tutti in gruppo, sarebbe stato importante prenderla davanti, perché poteva dare dei problemi. Devi pensare anche a queste situazioni. Anche a fine discesa c’erano dei tratti tecnici. Le macchine dietro queste cose non possono saperle.

Le indicazioni di Marcato arrivano all’ammiraglia e da qui ai corridori
Le indicazioni di Marcato arrivano all’ammiraglia e da qui ai corridori
Ci sono anche gli strumenti per sapere come andrà la strada?

Abbiamo tutto quello che serve per vedere col computer le strade, le pendenze, tutto quanto. Però avere qualcuno avanti al momento giusto ti può dare delle indicazioni anche in base a come si sta evolvendo la corsa. Penso sia importante.

Dov’eri quando Tadej si è staccato?

Ai 6 chilometri. Stava ancora bene. Gli ho passato la borraccia e ho aspettato il momento di andare su. Non potete immaginare la sorpresa quando mi hanno raccontato come fosse finita…

Chiappucci rimanda Pogacar e alla crisi non ci crede

14.07.2022
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Nel 1992 Chiappucci scalò l’Alpe d’Huez cercando di staccare Indurain. Sono trent’anni tondi tondi. Lo spagnolo vestiva la maglia gialla, l’italiano era secondo in classifica. E il giorno prima con la fantastica impresa di Sestriere gli aveva guadagnato 1’42”. Claudio doveva recuperare i 5’26” lasciati a Miguelon nella crono di Lussemburgo lunga 65 chilometri. Per questo quando gli chiedi della reazione alla crisi di ieri avuta oggi da Pogacar con i suoi scatti, prima sta zitto e lo senti che si trattiene. Poi risponde.

«Reazione ne ho vista poca – dice – se voleva davvero fargli male, doveva partire all’inizio dell’Alpe d’Huez per mettere in difficoltà la sua squadra. Altrimenti con quegli scattini, gli fai le carezze. E soprattutto, come recupera se non ha la squadra?».

Il giorno dopo la crisi di fame si potrebbe avere paura di non aver recuperato, non credi?

Non so se abbia avuto davvero una crisi di fame. Oggi se ne è stato quatto quatto sino alla fine, poi ha fatto i suoi scatti e dopo l’ultimo si è piantato. Se vuoi attaccare davvero, tiri dritto e soprattutto non ti volti dopo ogni accelerazione. Sennò non serve a niente.

Se non è stata crisi di fame, cosa è stato?

Ha sprecato tanto nella prima settimana. Anche il giorno sul pavé, a cosa serviva fare quelle sparate? Lo guardo correre e ho la sensazione che ogni volta voglia dimostrare di essere il più forte. Solo che questa volta è diverso dallo scorso anno. Adesso ha davanti un avversario più forte, con un gregario come Roglic e altri compagni fortissimi. Mentre lui non ha la squadra che serve. Credo che la UAE abbia gli uomini, ma forse doveva portarne altri. E di sicuro adesso nessuno gli darà una mano…

Secondo Chiappucci l’errore di Pogacar è stato lasciare la corsa in mano alla Jumbo per i 3/4 della salita
Secondo Chiappucci l’errore di Pogacar è stato lasciare la corsa in mano alla Jumbo per i 3/4 della salita
In che senso?

Nel senso che se adesso possono fargli un dispetto, glielo fanno. Quando uno vuole tenerti sempre sotto scacco, appena puoi gliela fai pagare. Non è forte come credevamo, ma vedremo andando avanti. Il Tour è lungo e magari lui può crescere. Però mi spiegate a che cosa è servita la volata di oggi? A sprecare ancora?

Cosa ti pare di questo ciclismo così battagliero?

Mi piace relativamente poco. Quando arrivai davanti in quell’Alpe dHuez, venivamo dalla tappa di Sestriere, ben più dura di quella di ieri. E’ vero che magari sembrava tutto più faticoso perché avevamo mezzi diversi, non avevamo il potenziometro ma solo il cardio. Di sicuro avevamo una maggior fame agonistica che piaceva alla gente. Non facevamo le nostre cose per piacere agli altri, veniva da sé.

Froome si è giocato l’Alpe sino alla fine, ma ancora il gap dai migliori è notevole
Froome si è giocato l’Alpe sino alla fine, ma ancora il gap dai migliori è notevole
Torniamo all’ipotesi che abbia avuto una crisi di fame, qualcuno doveva ricordargli di mangiare?

Mica è colpa sua, questo è il ciclismo che rincorrono. Li vogliono professionisti già da juniores, si bruciano le tappe. A 18 anni non sono più ragazzini, sono sviluppati fisicamente e tecnicamente, ma si perdono in un bicchier d’acqua se salta la tecnologia. Ma alla crisi di fame non ci credo…

Proprio no?

Non credo che a questi livelli si trascurino i dettagli e che la maglia gialla possa dimenticarsi di mangiare, sarebbe grave. Il ragazzo ha vinto due Tour non la corsa del paese, credo abbia già fatto le sue esperienze. Non credo che i 23 anni possano essere una scusante, per lui e per chi lo gestisce.

Ti manca non aver mai vinto sull’Alpe d’Huez?

Avrei potuto quando arrivai quinto, ma c’era davanti la fuga e non riuscimmo a riprendere tutti. E alla fine è diventata la salita di Bugno, che l’ha vinta due volte. Ma non mi lamento, credo di aver fatto parlare. Credo che tutti noi abbiamo dato e ci siamo dati, mentre oggi c’è un’esagerazione tecnologica che li limita. Pensate che io non avevo neanche il procuratore…

Sei stato al Tour nella prima settimana, giusto?

Sì, lungo la strada, mischiato tra la gente, accompagnando tifosi. Loro chiedono e io rispondo. Ma non vado nei villaggi e nemmeno in televisione. Lì sono già tanti quelli che parlano di ciclismo.

Ciclismo e corsa: le obiezioni dell’osteopata

11.07.2022
4 min
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Il connubio ciclismo-corsa a piedi desta sempre molte discussioni. Le parole di Michael Woods non sono rimaste lettera morta e chiacchierando nell’ambiente è facile notare come ci siano quasi due partiti a confronto, tra chi è favorevole e chi mantiene un po’ di diffidenze. Avevamo sentito il preparatore Giacomo Notari plaudire alla possibilità di allargare gli orizzonti, pur con tutti i distinguo del caso. Maggiori riserve ha Michele Del Gallo, osteopata al Tour seguito della Uae Team Emirates al seguito della maglia gialla Pogacar, senza per questo chiudere del tutto la porta all’utilità dell’attività di corsa.

Michele Del Gallo lavora nel ciclismo dal 1996: è fisioterapista e osteopata al Uae Team Emirates
Michele Del Gallo lavora nel ciclismo dal 1996: è fisioterapista e osteopata al Uae Team Emirates

Woods ha ragione

Ragionando con Del Gallo, iniziamo proprio dalle parole di Woods sui rischi a livello osseo ai quali, dalla chiusura della carriera in poi, il ciclista può incorrere.

«Michael ha ragione – dice – tra l’altro non conoscevo il suo passato di mezzofondista di così alto livello. Di per sé il ciclismo a livello osseo può dare dei problemi proprio perché si tratta di un’attività che non contempla quei microtraumi di cui si è parlato, il continuo impatto, per certi versi anche forte, con il terreno che a lungo andare rafforza la densità ossea. Per questo un ciclista quando cade si frattura più facilmente di un altro sportivo, perché il fisico non è abituato a scaricare il proprio peso sul terreno, ma lo fa sulla bici attraverso un sistema di equilibrio e distribuzione delle forze».

La corsa può quindi avere una sua utilità?

Sì, ma dev’essere dosata e utilizzata quando serve. Sono contrario ad andare a correre nel corso della stagione e non credo ad esempio che chi è al Tour faccia anche qualche singola uscita per sgranchirsi al mattino, proprio perché le energie vengono centellinate, si guarda a tutto, dall’alimentazione al recupero dopo tappa. Diverso il discorso fuori dalle gare dove chi è abituato a fare altri sport è portato a dare sfogo alle proprie passioni.

Corsa Tour 2022
Per Del Gallo correre durante il Tour sarebbe un grave spreco di energie
Corsa Tour 2022
Per Del Gallo correre durante il Tour sarebbe un grave spreco di energie
Dal punto di vista muscolare, la corsa a piedi richiede un impegno diverso rispetto al ciclismo? Un massaggiatore si accorgerebbe quindi di quel che l’atleta ha fatto?

Sicuramente, ma teniamo conto che anche in periodo extragonistico, l’uscita a piedi non sarà mai intensiva, quindi non ci sarà uno stress muscolare come avviene per un allenamento ciclistico. Sono uscite molto “easy” e proprio per quello possono essere utili. Una cosa che notavo, facendo seguito a quanto ha detto Woods, è che molti ciclisti, smessa l’attività e passati a fare i diesse o altri ruoli, iniziano a correre a piedi, senza però ottenere quei risultati che ci si attenderebbe da chi viene da uno sport di endurance.

In che misura?

E’ la dimostrazione della differenza tra i due sport: cuore e polmoni saranno anche allenati in maniera simile, ma a livello muscolare c’è una forte differenza e chi va a correre a piedi va in difficoltà più facilmente di quanto avveniva in bici. E’ un dato oggettivo.

Corsa massaggio
Nel massaggiare la muscolatura, l’esperto si accorge dell’attività svolta dall’atleta e dell’intensità sostenuta
Corsa massaggio
Nel massaggiare la muscolatura, l’esperto si accorge dell’attività svolta dall’atleta e dell’intensità sostenuta
Quando allora la corsa può integrare la preparazione?

Nel periodo invernale, al pari di altre attività. Il nuoto ad esempio sarebbe molto utile, anche se è un’altra attività in assenza di peso e quindi non risponde a quei criteri accennati all’inizio per irrobustire l’ossatura, ma può dare molti benefici alla schiena. Indubbiamente per il ciclista un’attività che provochi continui microtraumi può essere un utile affiancamento alla propria preparazione, per preservare il suo futuro. Un’altra attività che può essere utile sono gli esercizi a corpo libero, che infatti stanno notevolmente prendendo piede nella preparazione del ciclista professionista.

Il discorso sull’ossatura è davvero così importante anche in termini di prestazione?

Altroché… Se studiamo il movimento ciclistico esclusivamente come unione di leve e forze, scopriremo come l’attività del quadricipite scarica la sua potenza sul punto di leva costituito dall’anca: se questa non è nel pieno della sua funzione, anche 1.000 watt di potenza non si tradurranno mai al 100 per cento, i watt saranno parzialmente dissipati. Il bacino deve essere fisso, ogni sbilanciamento fa perdere potenza.

Corsa inverno
D’inverno la corsa può dare indubbi benefici, anche a lungo termine (foto Craig Koleski/Red Bull)
Corsa inverno
D’inverno la corsa può dare indubbi benefici, anche a lungo termine (foto Craig Koleski/Red Bull)
In che cosa si traduce questo in termini di preparazione?

Una volta si lavorava di più sul potenziamento muscolare, ma ormai è un principio passato, se guardate gli sportivi attuali, non solo i ciclisti, hanno fisici meno ipermuscolati, proprio perché si lavora molto sulla stabilità per rinforzare tutto l’apparato. L’aumento di massa anche muscolare significa aumento di peso, di consumo energetico e maggiore esposizione agli infortuni. E’ un orientamento che riguarda lo sport in genere, non solo il ciclismo o la corsa.

Un cenno di Pogacar e UAE in testa. Poi l’esplosione allo sprint

07.07.2022
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Rafal, cosa pensi quando Pogacar vi chiede di tirare? «Mamma mia – risponde Majka sfinito – quando chiede di tirare è un problema. Non è mai per caso. E’ un corridore che veramente va fortissimo. Quest’anno va anche più dell’anno scorso. Mi sono allenato con lui quasi due mesi prima del Tour, non mi sorprende quello che sta facendo, perché si sa che è veramente un fenomeno. E quando ci ha chiesto di passare davanti nel finale, era già tutto scritto. Ce l’aveva nelle gambe».

La tattica di Van Aert

Pogacar ha vinto la tappa di Longwy, iniziata nel segno della maglia gialla in fuga. Adesso sulla tattica di Van Aert e dei suoi si comincia a mugugnare. La battuta più ricorrente che si sente è che una volta si pensava che fosse Van der Poel quello delle fughe illogiche, ma forse anche Wout a volte si fa prendere la mano.

«Credo di aver capito la sua tattica – ha appena detto Pogacar nella conferenza stampa – l’ha fatto perché era l’unico modo per vincere senza distruggere la squadra. Sapeva che per arrivare in volata, avrebbero dovuto tirare tutto il giorno. Ma devo dire che è stata una mossa ardita, era impossibile in tre resistere al ritorno del gruppo. Non abbiamo neppure dovuto tirare troppo. E una volta lì davanti, ho seguito il mio istinto».

Qualunque mossa faccia Van Aert, accenna Gianetti tornando verso il pullman, diventa credibile. Per questo alla fine erano tutti attenti. Non preoccupati, mancava ancora troppa strada.

L’occhio di Marcato

Il pullman del UAE Team Emirates è il primo che si incontra in cima al rettilineo. Appena lo sloveno ha tagliato il traguardo, Gianetti è corso verso il traguardo. Marcato invece si è messo ad accogliere i corridori. Prima McNulty, poi Majka, che nel finale hanno aperto la strada per la volata di Tadej. Le pacche sulle spalle sono davvero fragorose.

«Stiamo ricevendo un po’ di critiche dai media riguardo alla squadra – dice l’ex corridore padovano – però oggi abbiamo dimostrato che quando serve, noi ci siamo. E’ andata bene. Ora che lo osservo da fuori, vedo che Tadej è consapevole che sta bene e può fare bene. E’ arrivato qui determinato, ha preparato questo Tour al 100 per cento. E adesso dobbiamo raccogliere un po’ i frutti di tutto.

«Noi all’interno sapevamo che ieri poteva far bene, perché sappiamo come approccia quel tipo di corse e che la bici la guida bene. Il punto di domanda era per possibili cadute o forature, ma per quanto riguarda le sue capacità sul pavé eravamo tranquilli. Magari pensavamo che arrivasse la fuga, ma è andata così. Di sicuro fra lui e Van Aert c’è un po’ di rivalità e si vede…».

Matxin è il “tecnico dei tecnici” in casa UAE Emirates. A fine tappa ride dietro la mascherina
Matxin è il “tecnico dei tecnici” in casa UAE Emirates. A fine tappa ride dietro la mascherina

La calma di Matxin

Arriva l’ammiraglia, altri abbracci. Da una parte scende Hauptman, che non ha mai grande voglia di parlare. Dall’altra spunta Matxin, che viene preso d’assalto da Eurosport e poi dal resto.

«Stamattina nella riunione – racconta – ci siamo detti che era difficile lavorare tutto il giorno per tenere una fuga a distanza. Per cui abbiamo fatto la nostra corsa, credendo ai nostri corridori. Abbiamo aspettato Bennett che ha bucato due volte e Hirschi che ha male al ginocchio, anche se c’era Van Aert davanti. Sapevamo che potevamo andare a prenderlo.

«Aveva due minuti e per far rientrare tutti lo abbiamo fatto arrivare anche a quattro. Erano in tre, abbiamo chiesto di stare calmi e di non tirare. Poi ci siamo riuniti e abbiamo iniziato a menare. Ovviamente ci ha aiutato anche la EF Education-EasyPost che puntava alla maglia. Sarebbe stato perfetto per Powless prenderla, ma per un fatto di abbuoni non ci è riuscito ed è venuta da noi quasi senza volerla. Credo che la vittoria sia stata il suo modo di sdebitarsi con i compagni».

Anche allo sprint Tadej è imbattibile. Per lo sloveno tappa e maglia. E domani ha già detto che vuole il bis
Anche allo sprint Tadej è imbattibile. Per lo sloveno tappa e maglia. E domani ha già detto che vuole il bis

Alla Planche per vincere

Pogacar si guarda intorno e ascolta le domande, rispondendo col tono pacato di uno che non ha speso chissà quanto. Ma domani si arriva in salita e allora forse si vedranno altri sguardi.

«Domani voglio vincere – dice subito Tadej – perché ci sarà la mia famiglia per cui la tappa sarà più importante. E’ chiaro però che se andrà via la fuga e non riusciremo a controllarla, non sarà un disastro. In questi giorni è andato tutto bene e domani iniziano le montagne e sono contento di arrivarci in buona posizione. Se terrò o meno la maglia non posso dirlo ora, saranno le circostanze. Ma certo non è facile lasciarla andare».

La sesta tappa del Tour finisce in tasca al vincitore delle ultime due edizioni. Domani La Planche des Belles Filles risveglierà ricordi particolari di certo per Ciccone che lassù conquistò la maglia gialla, in Roglic che la perse e in Froome che là in cima si rivelò ormai 10 anni fa. Su tutti loro si allunga l’ombra di Pogacar. Il fatto che abbia detto di voler vincere ha già alzato la temperatura dello scontro.

Il morso di Pogacar prima delle salite. Processo alla Jumbo

06.07.2022
7 min
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In qualche modo un botta e risposta. Dal trionfo di Van Aert, ai dubbi sulla corsa dello squadrone olandese. Nel giorno in cui la Jumbo Visma ha lasciato affondare Roglic, Pogacar ha dato il primo morso a questa enorme mela che è il Tour. A 20,2 chilometri dall’arrivo, sul settore di pavé numero 3 da Tilloy les Marchiennes a Sars et Rosiers, lo sloveno ha rotto gli indugi seguendo Stuyven, allo stesso modo in cui ieri Van Aert ha dato fondo alle sue energie. E anche se non ha vinto la tappa, ha fatto in modo che tutti gli avversari vedessero le sue spalle allontanarsi e sparire in una nuvola di polvere.

«Il primo obiettivo oggi – dice il diesse UAE, Andrej Hauptman – era correre davanti per difendersi. Però con Tadej è così: quando trova l’occasione, lui parte. Oggi per noi è una buona giornata e andiamo avanti, perché il Tour è ancora lungo. Sapevamo che fosse bravo sul pavé. Ha fatto le sue ricognizioni, però in tappe come questa, devi avere anche fortuna. Oppure non devi avere sfortuna. Roglic ad esempio ha perso tanto, però questo è il ciclismo. E in una giornata come questa, ci poteva anche stare».

A 20,2 chilometri dall’arrivo, l’attacco di Stuyven e Pogacar: il gruppo esita
A 20,2 chilometri dall’arrivo, l’attacco di Stuyven e Pogacar: il gruppo esita

Lo stile di Tadej

Vederlo andare sul pavé non ha la poesia dei grandi della Roubaix. Di Cancellara, Ballerini oppure Boonen. Non ha l’armonia di una struttura disegnata per galleggiare sulle pietre, neanche tiene sempre le mani in basso o al centro del manubrio, il più delle volte le mette sulle leve dei freni. Però va dannatamente forte e dannatamente facile.

«Avevo paura che mi succedesse qualcosa – dice lui al termine delle formalità da sbrigare – ma ho scoperto di avere grandi sensazioni. Quando Stuyven ha attaccato, ho cercato di seguirlo. Andava davvero forte e sono contento di essere arrivato con lui al traguardo. Oggi doveva essere sopravvivere e non perdere terreno, invece alla fine ho guadagnato. Non troppo, ma posso essere soddisfatto. Ho sentito delle varie cadute, non sapevo di Primoz. Dopo due settori, c’era un gruppo davvero piccolo. Andavamo davvero forte sulle pietre. Stavano cominciando gli attacchi e io ho fatto la mia corsa cercando di non cadere».

Pogacar contento di aver guadagnato qualcosa, ma sfinito per seguire Stuyven
Pogacar contento di aver guadagnato qualcosa, ma sfinito per seguire Stuyven

Pasticcio Jumbo

Sono caduti invece quelli della Jumbo Visma, entrata in gara per schiacciare tutti e uscita dalla giornata con l’amaro in bocca. Van Aert caduto e ancora in maglia gialla. Vingegaard caduto e attaccato alla sua scia. Roglic caduto e sprofondato nell’ennesimo episodio sfortunato. Se il compito di Van Aert era quello di tenerli entrambi fuori dai guai, la squadra evidentemente ha fatto la sua scelta. E aveva ragione Garzelli: se hai due leader e uno ha problemi, dividi la squadra a metà perdendo efficacia? Oggi è andata così.

«E’ stato proprio diverso dalle classiche – ammette Van Aert dopo esserci tolto la polvere dalla faccia – io sto bene fisicamente, ma gestire il rientro dalla caduta non è stato facile. Abbiamo inseguito duramente, ma quando ho capito che non avremmo potuto fare quello per cui eravamo venuti, ho smesso di pensare alla maglia gialla. Ho dato per scontato che l’avrei persa. E quando Jonas (Vingegaard, ndr) ha avuto il guasto e ci sono stati problemi di comunicazione per darlgi la bici, mi sono messo al suo servizio. Roglic è lontano, non ci voleva. Ma il Tour è appena cominciato e sulle montagne tutto può ancora succedere».

Roglic è arrivato a 2’59”. Se le sue condizioni sono buone, magari potrebbe tentare di riaprire il discorso, ma sul coriaceo sloveno sembra abbattersi ogni volta una maledizione. Quasi che il Tour non gli abbia perdonato quel crollo nell’ultima crono del 2020. Chissà se tornare fra due giorni sulla salita dove tutto ebbe inizio (o dove cominciò la fine) lo aiuterà a scacciare i demoni di quel 19 settembre di due anni fa.

Caruso, storia già vista

Ancora una volta i migliori italiani sono stati Mozzato e Dainese, arrivati come Cattaneo, Pasqualon e Caruso nel gruppo di Van Aert. Per il siciliano, in particolare, la giornata segna l’inizio di un nuovo Tour, secondo lo stesso copione che lo scorso anno lo portò sul podio del Giro. La caduta e il ritiro di Jack Haig, al pari di quella di Landa di allora, privano la Bahrain Victorious del suo leader per la generale.

«Cadute e forature – dice Caruso – l’hanno fatta da padrone. Siamo stati sfortunati perché abbiamo perso Jack, io invece sono stato fortunato e bravo perché sono rimasto fuori dai problemi. Ho avuto anche buone sensazioni. Un ostacolo importante che abbiamo superato. Continuiamo giorno per giorno, siamo solo all’inizio

«Questa tappa ero venuto a provarla due volte soprattutto per i materiali. Però paradossalmente ho avuto sensazioni migliori in gara che durante la ricognizione. E’ stato difficile all’inizio quando il gruppo era numeroso, poi si è andato assottigliando ed è diventato meno stressante. Ma alcuni tratti erano veramente sconnessi».

Il miracolo di Clarke

Piuttosto, la tappa da Lille alla miniera di Arenberg l’ha vinta Simon Clarke, australiano classe 1986, sopravvissuto con il gruppetto in fuga ai vari inseguimenti di giornata. Anche a quello più inquietante da parte di Pogacar.

«Sapevamo del distacco – racconta al settimo cielo – e sapevamo anche che in un finale come questo è difficilissimo recuperare un simile vantaggio. Per prenderci, sarebbero dovuti andare super veloci. Ero sicuro che saremmo arrivati, mentre non ero sicuro che avrei vinto la tappa. La volata è stata lunghissima, è cominciata all’ultimo chilometro. Powless ha fatto un allungo pazzesco e ha preso margine. Per me aveva vinto lui. Poi Boasson Hagen si è messo a chiudere con un rapportone, mentre io continuavo a ripetermi di non andare in panico e stare calmo. E quando ha lanciato la volata e Taco Van der Hoorn gli si è messo dietro, io ho preso la sua scia. Non so come ho fatto, ma sono uscito e l’ho saltato. Non è stato niente di scontato».

«Che stagione – conclude – l’anno scorso ero senza squadra. Ho continuato ad allenarmi come se ci fosse. Quando stamattina mi hanno detto che toccava a me andare in fuga, ho pensato che le due tappe vinte alla Vuelta e la maglia rosa al Giro del 2015 erano tutte nella prima settimana. Per questo ci ho creduto. Ma quando ho dato il colpo di reni, ve lo giuro, ho solo pregato che fosse abbastanza».

Gianetti, un giorno pericoloso e il naso rotto 35 anni fa

06.07.2022
5 min
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Non dovrebbe piovere, pensa Gianetti guardando il cielo. Ugualmente la tappa che prenderà il via da Lille all’ora di pranzo si annuncia piena di insidie. Tra polvere, buche e pietre sconnesse, anche una foratura potrebbe rivelarsi fatale. Ieri Van Aert ha colto tutti in castagna, sorprendendo anche Pogacar (che in apertura taglia il traguardo di Calais). Oggi nella tappa che si conclude vicino alle vecchie miniere di Arenberg potrebbe succedere la stessa cosa?

«Le tappe del Tour rendono nervosi – dice Gianetti – ogni giorno c’è vento, pavé, poi altri tranelli. Il Tour de France è questo e bisogna essere concentrati e pronti in ogni momento. E’ chiaro che se dovesse anche piovere, sarebbe un altro problema. Vorremmo tutti che il Tour si giocasse per le forze in campo e non tanto per le sfortune e le disavventure che possono arrivare. Sarebbe bello che tutti i migliori si potessero confrontare sul pavé e nelle tappe di montagna e che nessuno avesse sfortune…».

Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo
Vigilia della tappa sul pavè, ieri dopo l’arrivo a Calais. Gianetti non sta mai fermo

In casa UAE Emirates è giorno di esami. Ed è soprattutto l’imponderabile a destare qualche apprensione in più. Finché si tratta solo di pedalare, Pogacar non ha problemi: prendete la crono di Copenhagen, stava per vincerla. Ma per la legge dei grandi numeri e il fatto che finora la sfortuna si sia abbattuta soltanto sui suoi avversari, l’ansia viene da sé.

Mauro, in questi giorni Tadej ha fatto da sé, ma sul pavé la squadra potrebbe essere decisiva?

La squadra serve tantissimo e serve sempre. Oggi, come poi nelle tappe di salita, oppure quelle col vento. Ci sono squadre più attrezzate per le tappe mosse e quelle più attrezzate per le montagne. La squadra è fondamentale qui al Tour.

Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour: per Gianetti una fase cruciale
Nella scorsa primavera, Pogacar e Trentin in ricognizione sul pavé, pensando a Fiandre e Tour
Però intanto aver corso sul pavé ad aprile ha dato a Tadej ancora un po’ di fiducia?

E’ stato un passaggio fondamentale. Prima, perché potesse capire le sue capacità. E poi perché verificasse le sue capacità di fronte agli altri. E’ arrivato quarto al Fiandre, adesso sa che pedala bene sul pavé e questo è importante.

Si farà sentire l’assenza di Trentin?

Tantissimo (lo dice senza lasciarci finire la domanda, ndr)! Soprattutto pensando a queste tappe. La scelta era di avere Matteo Trentin con un’idea ben chiara e ben precisa. Ora abbiamo Marc Hirschi che potrà essere più utile di quanto sarebbe stato Matteo sulle montagne, ma qui il disagio per l’assenza di Matteo sarà evidente.

Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Il maxi schermo sul pullman del UAE Team Emirates è ogni giorno il ritrovo dei giornalisti
Come hai reagito quando ti hanno detto che non ci sarebbe stato?

Incavolarsi serve a poco. Dispiace per la squadra. Dispiace per Matteo, perché anche lui ci credeva. Ho allargato le braccia, c’era poco da fare. La cosa peggiore è che Matteo sta benissimo. E’ semplicemente positivo, senza nessun sintomo. Neanche mal di gola e mal di testa. E’ disarmante pensare che un ragazzo che ha investito dei mesi di lavoro, le emozioni, la famiglia… Per andare al Tour, c’è da fare un investimento personale. Fai dell’altura da solo, stai tanto lontano da casa. E il giorno prima ti dicono che non puoi partire… Non è facile.

Come ti sentiresti, corridore da 62 chili, dovendo fare una tappa come questa?

Direi parole irripetibili. Mi è già capitato una volta, mi pare fosse il 1989. Il giorno prima addirittura caddi e mi ruppi il naso. Ricordo che affrontai il pavé con il naso rotto e gli ultimi due settori, visto che ormai ero ultimo e staccato, li feci a piedi per quanto mi faceva male il naso. Pensavo di ritirarmi e intanto il direttore sportivo mi ripeteva che ormai potevo arrivare a Parigi. Eravamo alla seconda tappa, ma ebbe ragione lui. Fatta Roubaix, arrivai a Parigi.

La stessa bici

Intanto dal camion dei meccanici, Alessandro Mazzi fa sapere che per la tappa di stamattina, Pogacar utilizzerà la stessa Colnago dei giorni scorsi, con l’unica variazione del reggisella, che sarà quello di serie. Per le altre tappe, la squadra sta utilizzando invece una versione Darimo alleggerita per Colnago.

«Avrà poi ruote tubeless Bora WTO da 45 millimetri con pneumatici da 30 millimetri – dice – con un inserto all’interno, mentre ad aprile per il Fiandre ha usato le 28. Davanti terrà il 39-54 e dietro un 11-29. La stessa sella e anche il nastro manubrio sarà il solito. Ha fatto delle ricognizioni con la bici settata a questo modo e si è trovato a suo agio».

Il Covid, l’esclusione, Pogacar: parla Trentin

04.07.2022
5 min
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«Quando ho saputo di essere positivo al Covid non sono cascato dal pero. Lo sarei stato molto più se i motivi fossero stati altri». Matteo Trentin è uno scrigno di filosofia nell’apprendere e metabolizzare la sua positività al Coronavirus e il conseguente abbandono anzitempo del Tour de France.

Il corridore della UAE Emirates doveva essere parte della squadra che avrebbe aiutato Tadej Pogacar alla conquista del terzo Tour e invece è rimasto casa. A guardare, neanche così tanto assiduamente (per ora), la Grande Boucle “dal divano”. Una volta saputo della sua positività al Covid, Matteo ha salutato tutti, ha fatto gli in bocca ai suoi compagni ed è uscito dalla chat.

«Neanche volevo disturbarli troppo. Vi assicuro che soprattutto i primi giorni sono molto frenetici e nervosi».

Sul palco gli UAE erano in 7 anziché 8. Mancava Trentin e il suo sostituto Hirschi era in viaggio
Sul palco gli UAE erano in 7 anziché 8. Mancava Trentin e il suo sostituto Hirschi era in viaggio

Matteo a casa

Mentre parliamo con Trentin, il Tour saluta la Danimarca.

E’ arrivato in Francia con dei voli charter. I corridori si sono “riposati” e hanno tirato un primo micro-bilancio.

Un bilancio che parla di stress, cadute e di volate.

«Come dicevo – racconta Trentin – non sono stato totalmente sorpreso dal mio Covid. Alla fine sono due anni che c’è questa situazione e siamo tutti appesi ad un filo. Ci può stare.

«Da parte mia non ho mai avuto assolutamente niente: totalmente asintomatico. La cosa buona è che per fortuna, avendo corso l’italiano in Puglia, sarei dovuto arrivare un giorno dopo e quindi di fatto non ho avuto contatti con i ragazzi, non ho creato scompiglio con il Covid».

Il morale di Matteo è buono, l’ha presa bene. Certo, quando gli diciamo che il suo spirito è positivo lui ribatte, scherzando: «Non dire positivo che porta sfortuna!».

«Chiaro che non è stato bello – riprende il trentino – Ovviamente mi è dispiaciuto tantissimo, sia per me che per la squadra. Anche per me sarebbe stata una bella esperienza andare al Tour con Tadej. E’ l’uomo che ne ha vinti due e punta al terzo. D’altra, parte purtroppo è andata così. Ma le regole sono queste. E alle regole dobbiamo sottostare in tempo di Covid. Sappiamo che sparando nel mucchio dei controlli può starci».

«E poi non mi è andata male se penso agli altri corridori che hanno preso questo “long Covid”, che sembrerebbe funzionare come una mononucleosi, piò o meno».

Grande intensità nelle prime tappe del Tour, anche se nella terza frazione gli stessi corridori hanno parlato di fasi tranquille
Grande intensità nelle prime tappe del Tour, anche se nella terza frazione gli stessi corridori hanno parlato di fasi tranquille

Trentin uomo in più

In queste prime fasi di Tour, come abbiamo accennato, abbiamo visto parecchie cadute. Persino nella crono inaugurale ce ne sono state. E poi nelle prime due frazioni in linea. Il solito nervosismo. Abbiamo visto blocchi per team compatti: se cade un corridore in un determinato spicchio di gruppo cade mezza squadra. E in tutto ciò Pogacar, stando in “semi-autonomia, si è già giocato due o tre jolly. Se l’è cavata da solo.

In queste condizioni Trentin ci sarebbe stato bene. Sarebbe stato oro.

«Quale sarebbe stato il mio ruolo? Aiutare! Stare vicino a Tadej nei momenti in cui si era nel “mio campo”: pianura, tappe mosse, vento, pavè… Avrei dovuto portare gli scalatori nella posizione consona prima delle salite».

«Sin qui ho dato uno sguardo al Tour, ma non è stato uno sguardo troppo assiduo. Ho visto bene la crono. Quel giorno Pogacar ha fatto una super prova. E per “azzurrità” ho tifato Pippo Ganna. E vi dirò che tutto sommato sono anche contento che abbia preso la maglia gialla Lampaert: se lo merita ed è un gran bel corridore».

«Nelle due tappe in linea ho visto che Tadej è incappato in una transenna e se l’è cavata».

«Insomma – aggiunge dopo una breve pausa – l’ho presa con filosofia okay, ma mi serve pur sempre una settimana per riprendere a guardare il Tour con serenità!».

In primavera Matteo era andato in avanscoperta anche dei tratti di pavè che avrebbe affrontato il Tour (foto Instagram – Fizza)
In primavera Matteo era andato in avanscoperta anche dei tratti di pavè che avrebbe affrontato il Tour (foto Instagram – Fizza)

Verso il pavè

Ma adesso si va verso quello che Trentin ha chiamato “il suo campo”: pianura e pavé. Un uomo come lui sarebbe stato super importante per lo sloveno. 

«Con Pogacar abbiamo corso abbastanza poco insieme – riprende Trentin – soprattutto per calendari diversi. Io ho fatto la Parigi-Nizza e lui la Tirreno. Quest’anno ci siamo incontrati al Fiandre e lo scorso anno allo Slovenia. E anche quando siamo a casa (Monaco, ndr) non ci vediamo così tanto. Primo, perché abbiamo altri orari. Io avendo i bambini esco prima. E secondo, perché lui è col gruppo degli scalatori e fa altri lavori».

«Da un punto di vista tecnico, ero andato a vedere la tappa del pavè. E posso dire che i primi cinque settori sono veramente brutti. A meno che non li abbiano sistemati. Magari li hanno sistemati in questi mesi. Non ho un aggiornamento dell’ultimo momento».

Al termine delle frazioni, Pogacar ha ringraziato i compagni che gli erano vicino. Segno che c’era tensione
Al termine delle frazioni, Pogacar ha ringraziato i compagni che gli erano vicino. Segno che c’era tensione

Ma quali consigli?

Insomma Trentin sarebbe stato a Pogacar, come Van Aert a Roglic. L’asso delle pietre al servizio dello scalatore.

«Tadej – dice Trentin – ha dimostrato però di essere uno scalatore atipico. E lo abbiamo visto anche al Fiandre, dove si è districato egregiamente. Ovvio, le pietre della Roubaix non sono le pietre del Fiandre, sono più cattive. Senza salite diventano più veloci. E’ un po’ diverso ed essendo anche leggero rimbalzerà un po’ di più».

 

La UAE ha sostituito Matteo con Hirschi. Ma sarà più Laengen, gigante norvegese da 1,95 metri, a stargli vicino in queste prime frazioni tra vento e pavè. E lo stesso vale per Bjerg (forse un po’ troppo poco esperto). Anche se Pogacar sembra più seguire i “consigli” di Garzelli in diretta tv, cioè accodarsi alle squadre più quotate.

«Però sin qui Tadej si è difeso talmente bene su ogni terreno che si fa fatica a dargli dei consigli. Sì, magari qualche dritta sulla posizione, su come mettere le mani sul manubrio, su come pedalare… ma probabilmente non ne ha neanche bisogno».