Giuliani dice basta con i team, ma non molla la presa

Giuliani dice basta con i team, ma non molla la presa

16.10.2025
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Dopo tanti anni a nuotare controcorrente, Stefano Giuliani ha deciso di dire basta. A 68 anni, dopo una lunga carriera da corridore e una ancor più lunga da dirigente, l’abruzzese termina con questa stagione l’ultimo suo impegno alla guida della Monzon Incolor Gub. Poi non è che starà in pantofole, non è proprio da lui. Recentemente è stato nominato presidente dell’UC Perna che organizza il Trofeo Matteotti, quindi si dedicherà anima e corpo all’organizzazione della classica pescarese.

I tanti anni passati in ammiraglia non possono però andare così presto nel dimenticatoio. Perché mettere la parola fine a questa lunghissima esperienza? Non è solo un discorso di stanchezza fisica perché parlando con Giuliani, la verve è sempre quella: «Partiamo dal presupposto che non volevo mollare, perché sono un tipo che non molla mai, ma deve avere un senso. Io mi sono sempre adattato come un camaleonte ai vari passaggi epocali. A quest’ultima avventura ho dedicato 8 anni di sacrifici e ho visto il ciclismo cambiare profondamente, cambiare la sua cultura. Mi sono convinto ad esempio che una continental ha molto più senso di una professional, se intesa come occasione per tanti ragazzi di correre, per mettersi in evidenza e trovare una propria strada. Ma anche come la intendevamo noi, una squadra aveva bisogno di fondi sempre maggiori, ormai non ce la facevamo più».

La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
La Monzon Incolor Gub era nata con altro nome nel 2018, con affiliazione sempre in Romania (foto Facebook)
A proposito di avventure in ammiraglia, quale ricordi con maggiore affetto?

Sicuramente quella con la Fantini, partendo da zero e arrivando a una squadra professional conosciuta e ammirata in tutto il mondo. Dove si lavorava a un certo livello. Ero determinato a convincere gli investitori a fare una squadra con un mix di vecchio e nuovo. Per certi versi anticipando anche i tempi di oggi. Ero molto soddisfatto, sotto l’aspetto tecnico si vinceva ancora. Poi sono ripartito, testardo come sono, più o meno con le stesse soluzioni, cercando investitori. Ma non era più la stessa cosa, anche perché lottare in un mondo dove a vincere sono sempre quelle 3-4 squadre alla fine ti logora e toglie la voglia. Perché è sempre una questione di soldi…

Qual era la tua formula?

Io ho sempre pensato a squadre internazionali, perché avere sempre più Nazioni significa più apertura per le gare, più attenzione generalizzata, più possibilità d’investimento, il tutto per dare spazio  dei giovani che magari non hanno avuto la stessa possibilità di poter emergere. Il mio sogno, ora posso dirlo, era entrare nella filiera di una WorldTour perché quel concetto, pur con mille contraddizioni, ha un senso, ma non me ne hanno data la possibilità. Così sono andato avanti da solo, finché ho potuto.

La Vini Fantini è stata una delle più belle esperienze per Giuliani, perché portata ai vertici
La Vini Fantini è stata una delle più belle esperienze per Giuliani, perché portata ai vertici
La Vini Fantini è stata una delle più belle esperienze per Giuliani, perché portata ai vertici
Nel ciclismo di oggi c’è qualcosa che ti piace?

I giovani, che fanno sacrifici almeno quanti ne facevamo noi. Ma noi li facevamo per fame, loro per moda, per arricchirsi: il che ha anche un senso. Solo che così il ciclismo è diventato uno sport per vip, dove già come famiglia devi investire tanto. Sono tutte ragioni per le quali bisognerebbe riflettere: a che pro continuare quando fai fatica a fare un budget? La cosa che non va è che gli investitori molto probabilmente non credono più a questo sport paragonandolo con altri. Sono andato in Cina e ho trovato sponsor disponibili a investire con bici performanti, perché oggi ai ragazzi non gli puoi dare una sottomarca.

Dopo tanti anni da dirigente, quali sono quelli che ti sono rimasti più nel cuore, dove ti divertivi di più?

Sicuramente i primi, anche se non ero maturo, ma avevo una verve che trascinava tutto il gruppo. E’ stato un periodo un po’ più spavaldo, si può dire garibaldino con la Cantina Tollo, eravamo tre soci. Beh, da quella squadra ne vennero fuori tre quando io, Santoni e Masciarelli scegliemmo tre strade diverse, ma evidentemente eravamo tutti e tre capaci, perché Fantini, Domina Vacanze e Acqua e Sapone sono state tre pietre miliari. C’era più movimento, più posti di lavoro, più possibilità di emergere. Prendevo quei ragazzi che magari non mi consigliavano, gli estroversi, gli artisti, un po’ come mi definisco io, quelli che non riescono a esprimersi in un mondo così asettico.

Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
Il lettone Kristians Belohvosciks ha preso parte anche a mondiali ed europei (foto Facebook)
C’è un nome che ti è rimasto impresso?

Penso che la chicca di quell’esperienza, per non farla lunga, è stato Ivan Quaranta. Aveva smesso oramai e quindi io feci questa scommessa con lui e con me stesso perché era un talento e i talenti non si possono perdere. Cercai di recuperarlo, trovammo un buon feeling e vinse quattro tappe vestendo pure la maglia rosa al Giro, questo mi dà un gran soddisfazione personale. Ma ce ne metto anche un’altra.

Quale?

Lo sciopero per i diritti televisivi al Giro. Ci fu una riunione con gli sponsor dove eravamo 10 squadre, quel giorno si decise che chi vinceva non andava sul podio. Io pregavo di non vincere perché ero con una squadra sì tra le 10, ma non era la più influente. Quaranta invece vinse, non andò sul palco, esplosero le polemiche e alla lunga ho pagato quel gesto, del quale però non mi sono mai pentito perché avevo dato la mia parola.

Quest'anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Quest’anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Quest'anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Quest’anno la squadra di Giuliani ha colto molti piazzamenti, soprattutto in Cina, sede dello sponsor tecnico (foto Facebook)
Tu adesso ti concentri sull’organizzazione del Trofeo Matteotti. E’ una strada che ti interessa di più in questo momento?

Sono già 7 anni che ci sono dentro, affiancando il presidente Sebastiani, che è presidente anche del Pescara Calcio. Ma non andava come volevo io, era una gara destinata a finire. L’edizione di quest’anno è stata montata in pochissimi giorni, ma sapevo che potevo farcela, anche se c’erano tanti gufi che cantavano già il de profundis. Ora però bisogna fare le cose per bene. Amo questa corsa, era quella di quand’ero bambino, sono arrivato due volte terzo, una volta quinto. Quando andavo male finivo vicino ai primi 10. Era il mio mondiale. Ora devo restituirgli qualcosa…

Stefano Giuliani, il trofeo Matteotti e una certa idea di ciclismo

23.09.2024
6 min
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Il 15 settembre scorso si è corsa la 76ª edizione del Trofeo Matteotti, con la vittoria del venezuelano Orluis Aular davanti ad Alessandro Covi e Aleksej Lutsenko.

Il Matteotti è un trofeo dalla storia gloriosa, con un albo d’oro che annovera nomi come Ercole Baldini, Felice Gimondi, Roger De Vlaeminck e Francesco Moser, solo per citarne alcuni. Da sette anni l’organizzazione è nelle mani di Stefano Giuliani, abruzzese doc, con un notevole passato da corridore prima e dirigente poi. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lui per farci raccontare qualcosa di cosa voglia dire, al giorno d’oggi, organizzare un evento di questo calibro (e non solo).

Ecco Stefano Giuliani, qui in compagnia di Nibali e Vegni
Ecco Stefano Giuliani, qui in compagnia di Nibali e Vegni
Stefano, com’è nata la tua avventura al Trofeo Matteotti?

Premetto che non nasco come un organizzatore di gare. Cerco di esserlo, di farlo al mio meglio, con la passione che ho sempre messo nel ciclismo. Prima da corridore e poi da direttore sportivo. Tutt’oggi ho anche una squadra da seguire, il Team Vini Monzon-Savini Due-OMZ, e non è sempre facile tenere tutto assieme. Però ecco, sicuramente il “mio” Matteotti è nato da questa grande passione.

Nello specifico in che modo?

Io sono sempre stato uno che ama le sfide e dopo aver concluso l’avventura alla Vini Fantini nel 2017 ho vissuto qualche mese un po’ difficile. Poi ho sentito che Renato Ricci, l’allora presidente del Trofeo Matteotti, voleva lasciare, e allora ho colto l’occasione. Nel frattempo, pochi giorni dopo, ho saputo anche che diversi corridori della Vini Fantini erano rimasti a piedi, e allora ho deciso di fondare anche un’altra squadra.

E comunque finora sei riuscito a tenere assieme tutto.

Se io resisto ancora è perché ho idee diverse, un po’ come Silvio Baldini, l’allenatore di calcio mio conterraneo. Mi metto in gioco, con impegno e professionalità. Diciamo che in quanto ex corridore ti rimane sempre quella tigna, quella voglia di competere e dimostrare qualcosa. Io faccio tanto, anche troppo forse. Mi dicono che sono un artista, ma la mia disorganizzazione è comunque organizzata, come credo si sia visto durante gli anni alla Vini Fantini. Quando i ragazzi vincevano li portavo in discoteca, perché questa era la mia idea di ciclismo e di vita, in barba al pensiero degli altri. Però negli ultimi sei anni non ho avuto il budget per prendere in squadra corridori di qualità, perché è sempre più difficile  per le continental come la nostra.

Al via del Matteotti 2024, la mamma di Simone Roganti, pescarese scomparso il 30 agosto
Al via del Matteotti 2024, la mamma di Simone Roganti, pescarese scomparso il 30 agosto
Ora la tendenza è di passare direttamente da juniores a elite.

Esatto, infatti una realtà storica come la Zalf chiude. E’ molto difficile. Dopo il Covid le aziende fanno più fatica ad investire a livello più basso, eppure è da quello che poi nascono i campioni. Ora come ora a dir la verità sto pensando di chiudere la squadra, se i regolamenti non cambiano non so se continuerò un altro anno. In pochi anni in Italia siamo passati da avere 16 professional a 3. E poi anche noi del settore dovremmo metterci più in gioco, secondo me.

In che senso?

Nel senso che io sono fatto alla mia maniera e non è che tutti debbano fare come me. Ma se ognuno o anche solo qualcuno dei ds o degli ex atleti organizzasse un evento come il Matteotti nella sua terra, o creasse un bike park come ho fatto io, credo che il ciclismo italiano sarebbe meno in crisi. Il ciclismo ci ha dato tanto, e secondo me è giusto ricambiare. Almeno, questo è quello che sembra a me e che cerco di fare.

Torniamo un attimo al Trofeo Matteotti. Quali sono i suoi punti di forza secondo te?

Intanto il Matteotti ha un budget molto piccolo rispetto ad altre gare simili. Eppure siamo comunque riusciti a portare negli ultimi anni 6 squadre WorldTour e 7 professional. Ovviamente ne vorrei di più, ma trovare l’incastro perfetto nel calendario non è facile. Poi, una cosa a cui tengo molto, è che puntiamo molto sulla sicurezza, e abbiamo deciso di correre in un circuito, che credo sia il futuro. Serve al pubblico, per godersi al meglio lo spettacolo, e serve agli organizzatori, per garantire appunto il massimo livello di sicurezza.

Siamo quasi alla fine. Qual è il tuo più bel ricordo del Trofeo Matteotti?

Ti racconto una cosa. Da piccolo io al Matteotti raccoglievo le borracce perché passava sotto casa mia. Rincorrevo Gimondi con la graziella e sono ricordi che ancora mi fanno emozionare. Ecco perché questo Trofeo l’ho sempre sentito molto. Da corridore ho fatto due podi e diversi piazzamenti, poi l’ho vinto due volte da DS con la Farnese. Per dire che da bambino non avrei mai pensato che da grande avrei fatto questa carriera, che mi ha portato a vincere tappe al Giro e poi, ora, ad organizzare io stesso il Matteotti. Un po’ credo al destino che mi ha fatto trovare al posto giusto nel momento giusto.

Ricordavi appunto che tu sei abruzzese, quindi questa gara per te ha un’importanza particolare.

Esatto. L’Abruzzo è la mia terra e voglio convincere tutti ad investire qui, perché ha moltissime possibilità. Il mio sogno è che il Matteotti diventi un evento di punta in cui magari poter vedere all’opera corridori come Pogacar o Evenepoel. Come un altro grande, grandissimo sogno sarebbe quello di portare qui il mondiale.

Lo immagini già?

Il nostro percorso sarebbe perfetto, con un circuito di 13 chilometri senza neanche un’auto parcheggiata e molto protetto, perché ripeto la sicurezza è fondamentale. Abbiamo 200 volontari della Protezione Civile, le doppie transenne, la grande collaborazione della Polizia e delle amministrazioni. Insomma, tutto quello che serve per fare diventare il Matteotti un grande appuntamento internazionale.

Questa la vittoria di Arta Terme del Giro 1988 di cui parla Giuliani, nata dopo il gelo del Gavia
Questa la vittoria di Arta Terme del Giro 1988 di cui parla Giuliani, nata dopo il gelo del Gavia
Un sogno che, con la tua grinta e la tua passione, potrebbe davvero realizzarsi.

Vedete, io ho vinto tappe con fughe da 150 chilometri, so che quello che ci vuole sono passione e audacia. Di nuovo, noi del settore dobbiamo ridare qualcosa al ciclismo, perché il ciclismo ci ha insegnato molto. Mi ricordo che al Giro dell’88 durante la famosa tappa del Gavia ho sofferto tantissimo, ma ho tenuto duro perché avevo responsabilità verso la mia famiglia, avevo già due figli. Due giorni dopo ho vinto la tappa più bella di quel Giro, ad Arta Terme. Quello mi ha insegnato a non mollare durante le difficoltà. Da allora non mi faccio scoraggiare da niente, il ciclismo insegna a cadere e a rialzarsi e questo mi rende molto orgoglioso.

Un maltese al Matteotti: la storia di Buttigieg, stagista alla Polti

21.09.2024
5 min
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Al Trofeo Matteotti, corso domenica 15 settembre e vinto da Orluis Aular della Caja Rural su Alessandro Covi, ha debuttato in maglia Polti-Kometa Aidan Buttigieg: il campione nazionale maltese. Un esordio tra i professionisti che in qualche modo ha decretato un passo in avanti del piccolo Paese che si affaccia sul Mediterraneo. La squadra di Basso e Contador ha aperto le sue porte al corridore maltese, forti anche del fatto che Visit Malta, dal 2025, sarà il secondo nome del team. Una figura che ha lavorato dietro le quinte per far sì che ciò potesse accadere è Valerio Agnoli.

Fatiche ripagate

L’ex professionista da anni collabora con Malta per far crescere il movimento ciclistico e il debutto in una gara di livello 1.1 decreta un primo traguardo raggiunto. 

«Ci siamo sentiti – spiega Agnoli – sia prima che dopo la corsa. La mattina stessa era tesissimo, mi ha ringraziato mille volte per l’occasione, ma gli ho ricordato che se è qui il merito è da attribuire alle sue qualità. Quando due anni fa gli accennavo che avrebbe potuto correre tra i grandi del ciclismo mi guardava come se fossi pazzo. Quello che abbiamo realizzato è un lavoro congiunto partito dalle sue qualità atletiche e poi dalla volontà del governo locale di migliorare l’attività nazionale».

Per Buttigieg è stata la prima gara in Italia e la prima di livello 1.1
Per Buttigieg è stata la prima gara in Italia e la prima di livello 1.1
Il Matteotti non è la gara più semplice dalla quale iniziare.

No, è tosto, lo sapevamo. Il circuito proposto è duro e Buttigieg quando mi ha visto dopo la gara mi ha detto: «Valerio, quando questi aprono il gas vanno davvero forte, specialmente in salita». D’altronde secondo e terzo sono arrivati Covi e Lutsenko, due che spingono. 

La squadra che ha detto?

Sono rimasti sorpresi dal lavoro fatto. Gli hanno dato dei compiti e li ha portati a termine bene: ha messo i compagni in posizione e ha dato un bel supporto. L’impressione è stata positiva, poi chiaro che quando hai una chance del genere dai il 101 per cento

Un debutto partito anni fa con il coinvolgimento di Visit Malta come sponsor del team?

Non del tutto. L’accordo tra Polti e Visit Malta è prettamente turistico. Non c’è alcun obbligo agonistico, per questo il debutto di Buttigieg vale a tutti gli effetti come un traguardo raggiunto da lui e le sue gambe. Io ho segnalato il ragazzo a Ivan Basso e Fran Contador, loro poi hanno chiesto tutti i dati e i test. Una volta visionato si è deciso di dargli questa occasione. Ora si trova a Varese con Restrepo e un altro compagno di squadra. Vivere il clima del team, parlare con gli atleti e i diesse è motivo di crescita ed evoluzione. Nel prossimo futuro farà Agostoni e Bernocchi il 6 e il 7 ottobre. 

Buttigieg arriva da un team continental australiano, che livello ha?

Corre per il mondo, quindi è abituato a muoversi in diversi contesti, chiaro che sono gare di un calibro inferiore. Lui vive a metà tra Malta e l’Australia, ma non ha un’attività programmata come lo avrebbe in un team professional. Capita spesso che corra una gara e poi resti fermo per un mese e mezzo dove si allena e basta. Migliorare ed emergere è difficile. 

Lo staff della Polti-Kometa ha visionato i suoi test e lo ha inserito tra gli stagisti (foto Instagram)
Lo staff della Polti-Kometa ha visionato i suoi test e lo ha inserito tra gli stagisti (foto Instagram)
E se si trova a Malta come si allena?

Se si vuole fare distanza spesso prende il traghetto, va in Sicilia, e pedala le sue 5 o 6 ore. Il ciclismo a Malta si muove e la volontà è di crescere. Sulle tre isole abitano 500 mila abitanti, è impensabile dire che non possano esserci buoni corridori, servono le strutture. 

Che tipo di rapporto c’è tra tutte le parti coinvolte?

Visit Malta è un motore per promuovere il ciclismo e il cicloturismo sull’isola, ma non a livello agonistico. Nasceranno, nel breve futuro, un bike park e altri progetti sono in via di sviluppo. Per quello che riguarda gli atleti se ne occupa la Federazione locale. La Polti-Kometa offre la conoscenza dei suoi tecnici e dello staff. Il progetto, che mi coinvolge direttamente, è di puntare sui ragazzi.

A ottobre correrà ancora in maglia Polti, prima all’Agostoni e poi alla Bernocchi (foto Instagram)
A ottobre correrà ancora in maglia Polti, prima all’Agostoni e poi alla Bernocchi (foto Instagram)
In che modo?

Portarli a correre in giro per l’Europa con la maglia della nazionale sarebbe un bel traguardo. E’ un cammino difficile ma tutto si evolve, anche le istituzioni piano piano stanno scoprendo il ciclismo. I progetti devono essere federali, portare la bici nelle scuole e far conoscere questo mondo e la sua bellezza. Sono sicuro che con l’esperienza di Buttigieg abbiamo fatto solo il primo di tanti passi. 

Classiche italiane: dal Toscana al Matteotti parlando con Visconti

11.09.2024
7 min
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Il Gp Industria e Artigianato vinto domenica scorsa da Marc Hirschi ha fatto da antipasto al calendario autunnale delle classiche italiane, che si concluderà ad ottobre inoltrato con il Giro di Lombardia. Questa tranche di gare si apre oggi con il Giro di Toscana-Memorial Alfredo Martini, per poi passare alla Coppa Sabatini, al Memorial Pantani per chiudersi domenica col Trofeo Matteotti. Una settimana a dir poco intensa.

Tutte queste classiche un tempo erano adatte ad un certo Giovanni Visconti. Erano il suo “giardino di casa”: percorsi ideali per le sue caratteristiche, grandi successi, tanti aneddoti e in qualche caso davvero si correva “dietro casa” sua. 

In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con Basso e un giovanissimo Visconti
In queste gare non è rara la presenza del cittì. Qui Alfredo Martini con un giovanissimo Visconti
Dal Toscana al Matteotti, Giovanni, che gare sono? E che gare erano?

Una volta contavano moltissimo per tutti, specie per gli italiani che cercavano un posto in nazionale. Oggi contano davvero per gli italiani. I parterre non sono quelli di una volta, ma non è colpa di queste gare. Il calendario mondiale è diverso, ci sono più competizioni. Basta pensare che si disputano in contemporanea al campionato europeo e alle gare WorldTour canadesi. Senza dimenticare che un tempo la questione dei punteggi non era così esasperata. Le squadre WorldTour che fanno doppia o tripla attività schierano le formazioni laddove possono guadagnare più punti, oltre al fatto che sono obbligate a fare quelle WorldTour.

E per Giovanni Visconti che corse erano?

Erano corse importanti, che mi davano tanto. Erano un grande stimolo per allenarmi bene durante l’estate. Di fatto ci tiravo fuori la mia stagione con queste corse. Staccavo a giugno dopo il Giro d’Italia, facevo un po’ di “vacanza pedalata” e da luglio iniziavo a fare sul serio. Era un finale di stagione breve, ma intenso. Alla fine stavi fuori casa un mese e mezzo. Erano poi tutte corse adatte a me, corse da vincere, per fare gamba, per divertirsi. Non c’era mai quella gara che partivi “annoiato”, sapendo già come andava a finire. No, strappi brevi, intensi, discese, circuiti… il finale non era mai scontato. E non ultimo provavi a guadagnarti una convocazione in azzurro. 

Analizziamo questa tranche, s’inizia oggi con il Giro di Toscana. Parlaci di questa gara…

Anche se negli ultimi anni è cambiata un po’, il Monte Serra resta decisivo. Non è vicinissimo all’arrivo e se va via un gruppetto, è difficile che poi da dietro rientrino. Il gruppo è tutto spezzettato ormai. Il Toscana era una corsa adatta a me e infatti ci puntavo subito molto perché se fosse andata bene poi avrei corso un po’ più tranquillo le gare successive. Nel corso degli anni la Coppa Sabatini era diventata una corsa per corridori sempre più veloci. Quindi meglio puntare forte su questa e magari risparmiare qualcosa poi. 

Qual è il ricordo che ti lega al Giro di Toscana?

E’ stata la mia ultima vittoria da professionista con la Neri Sottoli. Venivo da un periodo difficile. Ero caduto a giugno al Giro d’Austria, dentro ad un galleria, mi schiantai a 90 all’ora quando stavo per vincere. Dovettero portami via in elicottero. Passai un ‘estate complicata. Per un mese e mezzo mi allenai con un drenaggio, avevo un tubicino che usciva dalla tasca della maglia… capito perché dicevo che queste corse mi davano stimoli? E insomma vinsi a Pontedera davanti a Bernal che veniva dalla vittoria al Tour de France. Ha un grande significato questa gara per me. Tra l’altro è a 10 chilometri da Peccioli, sede della Coppa Sabatini, dove vinsi la mia prima gara da professionista: fu come chiudere un cerchio.

Passiamo proprio alla Sabatini…

Sarebbe un percorso da mondiale. E infatti se ne è anche parlato: paesaggi bellissimi, percorso tecnico, adatto ad un mondiale e a più soluzioni. Rispetto al passato è stata un po’ indurita nella prima parte e infatti il circuito finale è tornato a fare un po’ più differenza, ma negli ultimi anni era diventata una gara molto veloce. Ricordo che all’imbocco della curva dell’ultimo strappo ormai si sgomitava con i velocisti. Ma anche questa si adattava bene alle mie caratteristiche.

Anche di questa dicci il ricordo, l’aneddoto.

E’ stata la mia prima gara con i pro’. Era il 2004 e feci lo stagista con la De Nardi-Montegrappa. Era una bella giornata e c’era un parterre… Vinse Ullrich, su Pellizotti e Boogerd, insomma fu un battesimo di fuoco! C’erano Scinto e Citracca che mi avevano lanciato da dilettante a vedermi. C’era il mio fans club: in quei tempi c’era il fans club Visconti e quello di Nibali, reduci dagli scontri tra i dilettanti. E c’era mio papà che scriveva ovunque il mio nome sull’asfalto… Un bel ricordo.

E due anni dopo la stessa Coppa Sabatini fu anche la tua prima vittoria da professionista…

Anche quello è un grande ricordo. C’era la storia del nove. Quando avevo un numero la cui somma faceva nove o vincevo o ci andavo vicino. Quell’anno era la 54ª edizione della Sabatini e io avevo il 63 o il 36 non ricordo bene…

Passiamo al Memorial Pantani. E’ la più giovane tra queste classiche. E cambia sempre un po’. Che gara è?

Come le altre, è una corsa che si adatta bene a corridori come me. Lascia spazio a più finali. Cambia sempre un po’. Ma di base nella prima parte c’è pianura, poi da quelle parti (la Romagna, ndr) quando si va nell’entroterra ci sono salite corte ma dure. Come diceva Paolo Bettini: “Si entra nel ginepraio”. E’ tutto un su e giù. Bisogna stare attenti e davanti. Ricordo che su quella salita cara a Pantani, Montevecchio, si arrivava da un lungo rettilineo e si svoltava a sinistra, ma la strada si stringeva, era come un imbuto. La salita iniziava con dei tornanti e stare davanti significava risparmiare davvero tanto. Una volta in cima non si scendeva subito, ma c’era una contropendenza che faceva davvero male. Di solito la selezione si faceva negli ultimi due giri e l’arrivo era sempre una lotta tra i fuggitivi e quel che restava del gruppo. Il finale non era mai scontato.

L’aneddoto del Pantani?

L’anno che corremmo con la nazionale. Avevamo dominato la corsa noi azzurri. Eravamo io, Ulissi e Nibali e decidemmo di lasciare la vittoria a Diego che aveva appena avuto un grave problema familiare. Fu un momento toccante.

Infine c’è il Trofeo Matteotti, la più storica tra queste prese in esame…

Circuito duro e impegnativo (a Pescara, ndr), tra l’altro domenica lo commenterò per la Rai. Anche questa è una gara entusiasmante, tecnica, dura… poi lì spesso fa caldo e questo elemento può fare la differenza. Spesso conviene andare in fuga anche se si è in tanti, perché si fa meno fatica che a stare in gruppo su quelle strade così tortuose. Una caratteristica del Matteotti è che spesso la finiscono in pochi proprio perché è dura. Negli ultimi anni Trentin l’ha vinta due volte, una delle quali con un ampio distacco e non capita spesso. E’ più facile che arrivi un gruppetto ristrettissimo. Nel finale si fa la selezione su Montesilvano, strappo duro, secco. E’ una festa perché c’è gente e in salita si sente l’odore degli arrosticini.

Chiudiamo con il tuo aneddoto.

Anche questa era particolarmente adatta a me. Ricordo che un anno, il 2018 prima del mondiale di Innsbruck, non ero messo benissimo in quanto alla convocazione, e così dissi all’ora cittì, Davide Cassani: “Se vinco mi porti al mondiale”. Arrivai secondo, vinse Ballerini… E al mondiale non ci andai!

Valerio Conti: «Il Matteotti? Non bisogna attendere»

18.09.2021
4 min
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Pensate, domani il Trofeo Matteotti festeggia la sua edizione numero 74. E’ un’altra delle classiche storiche del nostro Paese. Si corre nel cuore dell’Abruzzo, a Pescara, un lungo “ping-pong” tra mare e colline. Un circuito non facile.

«E quando c’è di mezzo la parola circuito non è facile a prescindere. Basta un po’ di salita e un po’ di discesa per renderli complicati», ci dice il campione uscente, Valerio Conti. E proprio con il laziale andiamo a “scoprire” questa gara, che quest’anno vedrà davvero un bel parterre. Al via infatti ci sarà gente del calibro di Sonny Colbrelli e Diego Ulissi.

Conti vince l’anno scorso precedendo Rubio e Savini
Conti vince l’anno scorso precedendo Rubio e Savini

Serve intelligenza

«Il Matteotti è una grande classica italiana. E prima lo era ancora di più – spiega Conti – Oggi purtroppo ha perso qualcosa come tutte le altre nostre gare di un giorno, ad eccezione di Sanremo e Lombardia. E proprio l’anno scorso venne fuori una corsa tosta, perché si fece in piena estate e faceva caldissimo. Quest’anno dovrebbe essere un po’ più agevole, almeno da questo punto di vista. Non è una gara per velocisti, anche se su carta non è durissima. E’ adatta ai colpi di mano e ogni momento può essere decisivo. Serve intelligenza. Devi capire il momento giusto per partire.

«Per me non puoi attendere. Ci sono tanti scatti e ognuno potrebbe essere quello buono, quindi meglio stare davanti, sempre davanti… che dover rincorrere. Io l’anno scorso per esempio ho giocato d’intelligenza. In un tratto in discesa, mentre nessuno si sarebbe mosso perché si aspettava la salita finale, sono scattato. Ho anticipato. Poi sono stato bravo a tenere in salita».

Il circuito pescarese misura 15 chilometri e sarà da ripetere 13 volte
Il circuito pescarese misura 15 chilometri e sarà da ripetere 13 volte

Circuito nervoso

Il percorso misurerà 195 chilometri per 1.950 metri di dislivello. E’ il classico circuito di Montesilvano, quindi due “strappate” in successione e planata su Pescara.

«Non c’è una salita vera e propria – riprende Conti – sostanzialmente c’è uno strappo di un paio di chilometri seguito da una breve discesa, ma davvero corta. Poi altri 500 metri di salita con un tornante a destra molto impegnativo. Se fosse una tappa di un Giro, magari con i team che controllano e un certo modo di correre, si potrebbe anche pensare ad un arrivo in volata, ma in una gara di un giorno e senza squadre che hanno lo stesso obiettivo, la vedo dura. Di solito si creano tanti gruppetti ed è una di quelle poche corse in cui il team non è così fondamentale, ma sei tu che devi stare attento. La corsa si può decidere già a 50 chilometri dall’arrivo».

I gruppetti di cui parlava Conti…
I gruppetti di cui parlava Conti…

Tra passato e futuro

Mentre parlavamo, Conti si trovava al Giro del Lussemburgo. Ieri aveva finito da poco la sua cronometro e buttava un occhio su quel succedeva. Per esempio ci aveva raccontato in diretta della caduta di Mollema.

«Se penso all’albo d’oro di chi ha vinto il Matteotti è incredibile – conclude il romano – Lo vincevano i più forti, anche stranieri. E’ una corsa che conoscevo molto, anche per nome. Anche più di un Pantani o di una Coppa Sabatini e sono stato molto contento di averci preso parte e di averla vinta».

E a proposito di storia e di passato, queste sono le ultime gare di Conti con la maglia della UAE. A fine stagione infatti lascerà questo team con il quale di fatto ha militato sin dal suo passaggio tra i pro’, nel 2014, quando il sodalizio si chiamava ancora Lampre. Ma Valerio è comunque sorridente, perché ha già un contratto in tasca e resterà nel WorldTour. La sua destinazione sarà svelata ai primi di ottobre.