Factor e Israel Premier Tech: un rinnovo che guarda dritto al futuro

14.07.2025
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Nel competitivo mondo del ciclismo professionistico, dove tecnologia e performance si fondono per forgiare i campioni del futuro, la partnership tra Factor Bikes e il team Israel Premier Tech rappresenta un esempio luminoso di successo e innovazione. Questa collaborazione, iniziata nel 2020, si consolida oggi ulteriormente con un rinnovo pluriennale, celebrato in grande stile proprio in concomitanza con il Tour de France. Un evento che sottolinea non solo la forza di questo legame, ma anche la comune visione di superare i limiti e ridefinire gli standard nel settore.

Per celebrare il prolungamento di questa fruttuosa alleanza, i corridori dell’Israel Premier Tech stanno gareggiando sulle strade del Tour de France con una divisa speciale e, soprattutto, “a bordo” di biciclette Factor OSTRO VAM in una esclusiva edizione Watercolour, dipinta a mano. Questa scelta non è casuale: il design della bicicletta, con la sua vibrante palette di rosa e blu, è stato la fonte d’ispirazione per la maglia speciale, creata da Élie Desgreniers di Premier Tech. Il concept dietro a questa estetica audace si radica nel mantra di Factor, “Never Status Quo”, che riflette una costante ricerca di innovazione e uno spirito indomito dirompente.

La maglia, che vede l’unione del rosa elettrico di Factor con il blu distintivo della squadra israeliana, crea un impatto visivo straordinario. La trama a griglia interrotta e il motivo distorto non sono semplici dettagli estetici, ma simboleggiano la volontà di sfidare lo status quo, di rompere gli schemi e di non accontentarsi mai. Un messaggio chiaro che rispecchia la filosofia di Factor nel progettare biciclette all’avanguardia, capaci di garantire prestazioni di altissimo livello nel gruppo professionistico.

Factor ha rinnovato la partnership con il Israel Premier Tech
Factor ha rinnovato la partnership con il Israel Premier Tech

La fondamentale ricerca e sviluppo

«La nostra squadra – ha dichiarato Sylvan Adams, il proprietario di Israel Premier Tech – non è solo un veicolo di marketing cruciale per Factor, ma anche un elemento fondamentale nel processo di produzione. Il feedback diretto dei corridori si trasforma in un pilastro per la ricerca e lo sviluppo di Factor, permettendo all’azienda di perfezionare costantemente le proprie creazioni. Factor produce le biciclette più veloci del mondo, frutto di un’enfasi sulla performance e di una continua ricerca dell’innovazione. Questa relazione, unica nel panorama del ciclismo professionistico, riflette una visione a lungo termine condivisa, promettendo numerose vittorie future».

Anche Kjell Carlstrom, General Manager di Israel Premier Tech, ha manifestato grande piacere nell’annunciare il rinnovo alla vigilia del Tour de France enfatizzando come l’impegno di Factor nel design di biciclette di livello mondiale e nella volontà di superare i confini sia stato determinante per il successo della squadra negli ultimi quattro anni, citando la recente vittoria di Jake Stewart al Critérium du Dauphiné come prova tangibile. E la prospettiva è quella di vedere la stessa partnership rafforzarsi sempre di più

Questa è la versione speciale della OSTRO VAM realizzata da Factor per il Tour de France 2025
Questa è la versione speciale della OSTRO VAM realizzata da Factor per il Tour de France 2025

Dove l’innovazione incontra la realtà

Rob Gitelis, fondatore di Factor Bikes e Black Inc, ha espresso grande soddisfazione per la prosecuzione di questa partnership, riconoscendo nelle gare più importanti del mondo il miglior banco di prova e negli atleti d’elite la migliore ispirazione. Per Gitelis, questa collaborazione è il punto in cui l’innovazione incontra la realtà, ed è proprio qui che Factor eccelle, trasformando le sfide del ciclismo professionistico in opportunità di crescita e miglioramento continuo.

Factor Bikes, nata appena nel 2007, ha una personale storia di eccellenza. La sua prima bicicletta in carbonio, la Factor001 del 2009, fu rivoluzionaria per prestazioni e innovazione, stabilendo il DNA di tutte le future creazioni: sfidare lo status quo e spingere i limiti del possibile. Oggi, Factor Bikes è l’unica marca di biciclette “premium” al mondo a controllare ogni fase della produzione del carbonio, dal concept all’assemblaggio finale, garantendo un livello di qualità e precisione ineguagliabile.

Questa estensione della partnership tra Factor Bikes e Israel Premier Tech non è solo un accordo commerciale, ma una dichiarazione d’intenti. È la prova che la combinazione di tecnologia all’avanguardia, spirito innovativo e un solido lavoro di squadra è la chiave per raggiungere risultati importantissimi nel mondo del ciclismo.

La gamma di biciclette Factor è distribuita in Italia dalla commerciale reggiana Beltrami TSA.

Factor

Bici nuove, caschi e body senza cerniera: anche questo è il Tour

14.07.2025
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Il Tour de France è la vetrina principale, non solo per i corridori, ma per tutto quello che ruota intorno al ciclismo. Bici sotto embargo (non ancora ufficializzate), caschi nuovi, i body senza cerniera frontale e molto altro. Come ogni anno torna pertanto l’approfondimento legato alle curiosità viste durante la prima settimana della Grand Boucle.

Una nuova Merida in gruppo

Un misto tra forme assottigliate, filanti, con linee decise che naturalmente (come vuole lo sviluppo attuale) si intrecciano con l’aerodinamica. Non abbiamo notizie precise e dettagliate in merito, ma di sicuro quella utilizzata dai corridori del Team Baharain-Victorious è una bici tutta nuova.

Sembra il blend perfetto tra le attuali Scultura (quella leggera) e la Reacto (quella aero). Anche Merida si avvia verso una piattaforma unica?

Guarnitura Elilee super light per Buitrago
Guarnitura Elilee super light per Buitrago

Guarnitura diversa per Buitrago

E’ una guarnitura con power meter SRM ed firmata Elilee, montata sulla nuova Merida di Buitrago. Di cosa si tratta? Di una delle guarniture più leggere in commercio, ha le pedivelle in carbonio e nella configurazione usata da Buitrago (senza corone Shimano) ferma l’ago della bilancia intorno ai 500 grammi (dichiarati): poco più, poco meno.

Non le solite ruote Shimano

Quelle sbirciate nel corso delle prime frazioni non sono le “tradizionali” Dura Ace. Hanno un mozzo diverso e una raggiatura che si discosta (non poco) dalle ruote Shimano viste fino a poco tempo addietro. Mozzo più magro ed asciutto, raggiatura radiale dal lato opposto al disco e potremmo giurare sui raggi in carbonio. E’ l’antipasto per un futuro nuovo gruppo Dura Ace?

Nuovo Abus da crono

In realtà lo abbiamo visto in anteprima al Giro Donne ed ha subito vinto grazie al primato di Marlen Reusser, per poi essere utilizzato nella frazione contro il tempo al Tour (mercoledì 9 Luglio). Coda allungata e calottata nella sezione inferiore, visiera ampia e arrotondata, forma ampia che tende a coprire in modo importante le spalle dell’atleta.

Un nuovo Giro per la Visma-Lease a Bike?

Potremmo dire che, Campenaerts a parte, tutti gli atleti della corazzata olandese indossano un casco del tutto nuovo. Ricorda il Giro Eclipse Spherical e nessuno vieta di pensare che sia proprio un aggiornamento del casco tra i più utilizzati fino a prima del Tour de France.

Il body con la cerniera dietro

E’ uno dei plus che Hushovd (General Manager del Team Uno-X Mobility) ci aveva spoilerato durante i giorni del Fiandre, in ottica Tour de France e che ci aveva pregato di tenere nascosto. La squadra norvegese è di fatto il primo team ad usare in modo ufficiale un body senza cerniera frontale (è a ¾ ed è sulla schiena) durante le gare in linea.

Il fornitore dei capi tecnici è Fusion, marchio danese e poco presente nella parte latina dell’Europa, azienda che ha un importante know-how nel triathlon.

Una “areo” di Factor: è la nuova One?

Ovviamente non passa inosservata, soprattutto per le sue forme avveniristiche e anche per il fatto che non mostra nulla in termini di nomi, acronimi e riferimenti. Profili alari ovunque, con una forcella mastodontica e super tagliente.

Di sicuro ricorda la bici da pista Hanzo. Potrebbe essere la nuova One, modello storico di Factor? Così come la vediamo oggi rispetterà le “future regole dell’UCI”, sempre se verranno effettivamente applicate?

La nuova SLR vista sulle Factor presenti al Tour
La nuova SLR vista sulle Factor presenti al Tour

La nuova Selle Italia SLR

Abbiamo visto la rinnovata SLR, la prima volta, al Giro d’Italia e non ci era stato possibile fotografarla. Dopo il suo esordio ufficiale ad inizio Luglio, ecco la nuova generazione di una sella iconica. Sempre corta (Boost), spoilerata nella sezione posteriore e con un naso e una sezione centrale con una sorta di forma anatomica. A favore di una pedalata profonda e che permette di sfruttare tanto la parte frontale, quanto di spostarsi facilmente verso il retro.

Casco nuovo per Pogacar e compagni

La parte frontale ricorda a pieno il modello esistente del Trenta 3K Carbon, con piccole diversità nella zona perimetrale. Cambia completamente la sezione sopra le orecchie, maggiormente calottata e filante, di sicuro è stato oggetto di una rivisitazione aerodinamica per aumentarne l’efficienza.

Merlier bestia nera di Milan. VdP show. E un pensiero a Savio

13.07.2025
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Caro Gianni Savio, vogliamo credere che oggi nell’ammiraglia della Alpecin-Deceuninck si siano ispirati a te. Che attacco quello di Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert! Con quel piattone davanti al manubrio nessuno si sarebbe mosso e invece… Due compagni, pronti via sin dal chilometro zero. Tutto perfetto: la macchina ad assisterli, le mille borracce a ripetizione per proteggerli dal vento, quella voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo in una tappa piatta. La gestione delle energie con uno dei due a sacrificarsi di più. E dietro, i compagni a rompere i cambi. Una sinfonia ciclistica. I fondamentali di una volta che valgono anche in questa era super tecnologica. E per poco, caro Gianni, non sono arrivati. Eh no, perché Tim Merlier ha messo tutti d’accordo.

La tappa forse più piatta del Tour de France, senza nemmeno un Gpm di quarta categoria, ha regalato una suspense incredibile e inaspettata soprattutto. Van der Poel e Rickaert hanno tenuto tutti sulle spine, mettendo in crisi le squadre dei velocisti, che nel finale si sono presentate con un solo uomo davanti al capitano… o addirittura con il velocista da solo.

Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert sono partiti subito dopo il via. Di fronte a loro 173 km nella pianura della Loira
Mathieu Van der Poel e Jonas Rickaert sono partiti subito dopo il via. Di fronte a loro 173 km nella pianura della Loira

Merlier, bestia nera di Milan

A Chateauroux, Merlier ha concesso il bis. E non lo ha fatto a caso: ancora una volta davanti a Jonathan Milan, confermandosi la sua bestia nera. Il finale, con la strada che calava impercettibilmente, ha reso lo sprint velocissimo. La sensazione non è tanto che Milan sia partito presto, quanto che gli mancasse un dente.

Il campione europeo è sembrato il solito gatto, pronto a scartare da una ruota all’altra. Ma oggi è apparso più potente che mai, forse anche più che nella sua prima vittoria qualche giorno fa. Ma è chiaro: lui e Milan viaggiano su un altro pianeta. Hanno più watt. Appartengono alla categoria degli over 1.800 watt, come ci diceva Andrea Pasqualon.

«E’ stata davvero difficile – ha detto Merlier – Ho avuto una buona giornata e anche in gruppo ci siamo mossi bene. Non abbiamo fatto rifornimento negli ultimi 60 chilometri per via del nervosismo e delle velocità, quindi ho sofferto parecchio il caldo. Per fortuna tutte le squadre hanno collaborato per chiudere sui due fuggitivi. Anche grazie a Remco Evenepoel siamo riusciti a evitare un ventaglio.
Lo sprint? Ero a ruota di Bert Van Lerberghe, è la prima volta che siamo insieme al Tour. Ho molta fiducia in lui e nella sua capacità di pilotarmi. Mi ha portato forte nell’ultimo chilometro e a circa 200 metri ho deciso di partire. Sono felice per questa seconda vittoria di tappa».

Velocità folli, il gruppo si è spezzato tra l’inseguimento ai due fuggitivi e il vento
Velocità folli, il gruppo si è spezzato tra l’inseguimento ai due fuggitivi e il vento

Parola a Bramati

Negli ultimi due anni Milan e Merlier si sono affrontati in molti in sprint: In 16 di questi, entrambi sono finiti nella top 10. In 11 casi ha vinto uno dei due, ma il bilancio pende nettamente verso il belga: 8-3. Anche quest’anno al UAE Tour se le sono date a suon di primi e secondi posti. E ora rieccoli, di nuovo, al Tour.

«Anche l’anno scorso – racconta Davide Bramati, diesse della Soudal-Quick Step – hanno duellato tanto e continuano a farlo. Tutti e due hanno mancato il primo giorno, a Lille, quando c’era in palio anche la maglia gialla, ma poi sia loro che noi abbiamo voltato pagina. Ieri ha vinto Milan, oggi ha rivinto Tim. Questo è lo sport, questo è il ciclismo. Sono gli sprinter più forti di questo Tour, specie dopo la caduta di Philipsen. Si sono dimostrati i più veloci».

Questa vittoria nasce dal passato. A Chateauroux, la Soudal (allora Deceuninck) aveva già vinto con Cavendish. E “Brama” svela un retroscena: «Più che impostare la volata in base al rivale, abbiamo studiato la nostra. Ieri, già nel trasferimento post tappa verso l’hotel, abbiamo iniziato a guardare il filmato del 2021, lo stesso arrivo in cui vinse Cav. Ma era tutta un’altra situazione: la squadra aveva preso in mano la volata. Nel treno c’erano Alaphilippe, Ballero (Ballerini, ndr), Morkov… Ci siamo fatti un’idea. Poi certo, la riunione la fai, ma la realtà è un’altra.

«Questo finale non era banale. Forse non ci si rende conto: oggi è stata la seconda tappa più veloce della storia del Tour. Nella seconda ora hanno fatto 54,5 di media. Van der Poel e Rickaert hanno fatto un grande numero e il gruppo, di conseguenza, è andato fortissimo. C’era anche vento. Bene così: siamo alla terza vittoria e siamo davvero contenti».

Merlier batte Milan. Il friulano però consolida la maglia verde
Merlier batte Milan. Il friulano però consolida la maglia verde

56 vs 54

Senza un vero treno, oggi i velocisti si sono dovuti arrangiare. L’esperienza contava più del solito. Più di ieri, quando era sì uno sprint di gruppo, ma più “di gambe” che di velocità, visto che l’arrivo tirava. E quindi si torna a parlare di tempistiche e di rapporti.

«Non so se lo abbia spinto, ma Tim aveva il 56×11 – dice Bramati – l’esperienza conta. Solo l’anno scorso ha fatto 16 vittorie e anche quest’anno siamo lì. Un corridore come lui sa quando ci sono momenti importanti e oggi si è mosso bene. A un certo punto, all’ultimo chilometro, sembrava ancora dietro. Ma poi si è visto come è risalito. Ha fatto una grande cosa».

Sappiamo invece che Jonathan aveva la corona da 54 denti, quella vista già a Dunkerque. E’ anche vero che con il gruppo SRAM possono usare il 10. Non crediamo abbia fatto lo sprint col 10, altrimenti sarebbe stato più “duro” di Merlier col 56×11. A meno che anche il belga avesse il pignone da 11. Ma l’agilità è il marchio di fabbrica del friulano, che viene dalle cadenze della pista.

«Come‘è Merlier in riunione? Si sapeva che c’erano punti pericolosi per il vento e penso che la squadra sia stata presente, Remco compreso. Anzi, a un certo punto proprio Evenepoel ha dato una mano ai ragazzi. E vedrete che Tim aiuterà Remco quando ce ne sarà l’occasione».

E domani? Parla ancora Bramati

Domani si sale. Velasco ci aveva detto in tempi non sospetti che era tostissima. In XDS-Astana erano andati anche a visionarla.
«Domani – conclude Bramati – è una tappa importante e poi finalmente ci sarà il giorno di riposo, che servirà tantissimo. Nella storia recente non ricordo dieci tappe consecutive, soprattutto a queste velocità. Ci sarà da soffrire sia davanti… che dietro».

Una tappa che doveva essere facile si è trasformata in un piccolo inferno del nord, ma con 32 gradi. Anche i giganti hanno faticato.
«Sono davvero stanco – ha detto Tadej Pogacar, un po’ triste per la perdita di Almeida – Van der Poel e Rickaert hanno fatto un lavoro fantastico. E’ stata una corsa infernale grazie a loro. Sono andati fortissimo. Chissà cosa gli passava per la testa. Noi dietro eravamo tutti in sofferenza».

A proposito di domani, caro Gianni Savio, non fa niente se i fuggitivi del primo chilometro non sono arrivati. Gli eroi sono loro. «Domani – come avresti detto tu – ci si riprova». Rickaert ha vinto il premio della combattività. Anche questo, caro Gianni, ne siamo sicuri, ti sarebbe piaciuto.

La polemica del limone: la moglie di Vingegaard e la Visma

13.07.2025
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Un argomento di cui in Italia si è parlato poco, ma che invece potrebbe aver influito non poco sulla tranquillità di Jonas Vingegaard, è una polemica scoppiata a ciel sereno e sollevata dalla moglie, Trine Marie Hansen. La “polemica del limone”: così è stata ribattezzata.

In sostanza, Trine ha dichiarato al quotidiano danese Politiken che alla Visma-Lease a Bike stanno spremendo Jonas come un limone. Da lì sono arrivate risposte, con grande garbo, da tutte le parti in causa, compresi Wout Van Aert e lo stesso Vingegaard. Ricostruiamo quindi questa vicenda e vediamo come si è evoluta.

Jonas Vingegaard con sua moglie Trine Marie Hansen
Jonas Vingegaard con sua moglie Trine Marie Hansen

L’intervista di Trine

Nell’intervista al Politiken, Trine tocca due temi principali: i numerosi ritiri in quota e la tattica della squadra che, a suo dire, non sarebbe del tutto favorevole a Jonas.

«Jonas non si ricarica dopo tre settimane in quota. Temo che stia bruciando la candela da entrambi i lati – ha detto Trine – Jonas è uno che ha bisogno di più riposo e relax per dare il massimo. Probabilmente si può calcolare tutto in un foglio Excel, ma credo che a volte ci si dimentichi della persona nel suo complesso e di come ottenere il meglio da questa.

«Il desiderio più grande della squadra è che vinca il Tour de France, quindi stanno pianificando di arrivarci nel miglior modo possibile e questo include un sacco di allenamento in quota. Ma Jonas preferirebbe allenarsi stando a casa con noi in Danimarca. Se non è possibile farlo in Danimarca, allora dovremmo avere la possibilità di essere insieme ed essere semplicemente noi stessi. A volte ha bisogno di ricaricarsi in un ambiente il più tranquillo possibile con la sua famiglia. Non è come molti altri ciclisti».

Trine menziona anche il numero limitato di interviste e l’uso ridotto dei social, facendo ancora leva sul tema della famiglia. «Non lo consideriamo più importante del tempo trascorso insieme. Jonas è maturato: prima gli mancavano un po’ di peli sul petto, un po’ di fiducia in se stesso e la convinzione di essere all’altezza. Ora ce l’ha, e sono orgogliosa di lui». Anche su quest’ultima frase ci sarebbe da riflettere…

Al Giro, dopo aver vinto a Siena, Van Aert è stato fondamentale per il successo finale di Simon Yates
Al Giro, dopo aver vinto a Siena, Van Aert è stato fondamentale per il successo finale di Simon Yates

Wout sì, Wout no

E poi forse la critica più forte, quella relativa alla squadra e al modo di correre della Visma-Lease a Bike, definito, come dire, dispersivo…

«La squadra – ha detto la Hansen – dovrebbe concentrarsi esclusivamente sulla vittoria del Tour. Spero che Jonas abbia il pieno supporto della squadra, invece di avere obiettivi diversi. A quel punto avrebbe le migliori possibilità di vittoria. Perché se ci si concentra anche sulle vittorie di tappa per altri corridori, non va bene. Guardiamo cosa fanno alla UAE Team Emirates con Tadej Pogacar: quando è al via di una corsa, non c’è dubbio su chi sia il leader. Tutti conoscono il suo ruolo. Penso che sia incredibilmente importante».

Lei non lo nomina, ma è chiaro il riferimento a Wout Van Aert. E’ certo che tutto questo non aiuti, tanto più in un Tour dove il nervosismo regna sovrano. E possiamo dirvi che al via delle tappe ce n’era parecchio. Anche con Michele Pallini, massaggiatore esperto, se ne parlava e si leggevano i linguaggi del corpo di atleti e non solo.

Troppi ritiri per Jonas. Troppo lunghe tre settimane. L’accusa di Trine Marie Hansen alla Visma (foto Instagram)
Troppi ritiri per Jonas. Troppo lunghe tre settimane. L’accusa di Trine Marie Hansen alla Visma (foto Instagram)

Le repliche

Puntuali, e giustamente, sono arrivate le repliche da parte degli interessati. Quelle della signora Vingegaard non sono state parole semplici da digerire. Partiamo proprio da Van Aert, che ha risposto da signore, senza alimentare la polemica.

«Ne abbiamo parlato a lungo in squadra – ha detto Wout – e credo che tutti nel mio team sappiano cosa aspettarsi da me. Ognuno conosce il proprio ruolo. Il nostro approccio alla corsa è sempre molto chiaro. Abbiamo più obiettivi ed è per questo che abbiamo avuto così tanti successi. Anche Jonas lo sa e la cosa non lo disturba affatto. Quindi sì, è un peccato che sia stata dipinta in questo modo e che queste dichiarazioni siano uscite così».

Poi è intervenuto Grischa Niermann, il direttore sportivo, facendo le veci del team: «Credo che la Visma stia ascoltando i desideri di Vingegaard. Ad esempio, non ha partecipato al ritiro di febbraio. Abbiamo un ottimo rapporto con Jonas e ci riuniamo sempre per pianificare la stagione. Ma bisogna fare sacrifici per vincere la corsa ciclistica più importante del mondo. Jonas lo sa. E lo sa anche Trine.

«Riguardo a Van Aert, Wout è l’aiuto più grande che Jonas possa immaginare. E’ un grande campione, e anche lui ha bisogno dei suoi obiettivi e della sua libertà. Se gli dai questo, ottieni il Wout che hai visto al Giro d’Italia: quello che ha aiutato Simon Yates a conquistare la maglia rosa. Se gli dici di andare al Tour e semplicemente di aiutare Jonas, lo farà. Ma non sarà forte come quando ha anche il suo spazio. L’obiettivo è sempre fare ciò che è meglio per la squadra».

Jonas Vingegaard (classe 1996) è in lotta per la conquista del suo terzo Tour de France. Queste polemiche non lo aiutano
Jonas Vingegaard (classe 1996) è in lotta per la conquista del suo terzo Tour de France. Queste polemiche non lo aiutano

Jonas il moderatore

Alla fine a mettere una pezza è stato proprio il diretto interessato, Jonas Vingegaard. Un po’ glissando e un po’ cercando di gettare acqua sul fuoco ma con più sostanza, ha detto: «Non ho letto l’intervista, quindi non posso commentarla per bene. So che Trine mi sostiene al 100 per cento e farà tutto il possibile per aiutarmi a dare il massimo. Vuole solo il meglio per me. Certo, ci sono molti ritiri di preparazione in quota durante l’anno, quindi è dura per la vita familiare. Ma continuo ad andare in bici e non ho ancora avuto un esaurimento nervoso».

Tra l’altro, le questioni sollevate dalla moglie stonano parecchio con un’intervista rilasciata dallo stesso danese a L’Equipe prima del Tour. In quell’occasione, Vingegaard aveva detto sostanzialmente di amare ancora la vita da atleta, tra cui i ritiri, e che finché sentirà questa motivazione continuerà. Impegnarsi, allenarsi, soffrire: per lui contano più del risultato finale. Il viaggio, non la meta. «Ho 28 anni e ancora quattro anni di contratto… Magari domani perdo la motivazione e smetto? Non succederà. Non domani almeno. Ma potrebbe succedere. Dipenderà da quanto a lungo continuerò ad amare questa vita».

«Mi piace davvero il ciclismo – aveva detto Jonas al quotidiano francese – uscire in bici ogni giorno, fare gare, lottare per la vittoria… tutto questo mi dà la motivazione per allenarmi quotidianamente. Se senti di aver ricevuto un dono, se posso dirlo così, devi usarlo, altrimenti lo perdi. In un certo senso ho ricevuto questo dono, e sentire che lo sto usando mi motiva. Quando ti senti bene in allenamento, quando soffri ma ti sembra normale, come mi è successo nelle ultime settimane, è qualcosa di meraviglioso. Se penso di essere forte mentalmente? Sì, credo che sia la mia qualità principale. Sono capace di resistere anche quando le cose vanno male».

Tour, cade il tabù. Un Milan gigante nell’analisi dello “zio” Elia

12.07.2025
7 min
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Sono le 17,16 quando Jonathan Milan taglia il traguardo di Laval e fa l’inchino per celebrare la vittoria. Nello stesso istante, sul suo letto di Livigno Elia Viviani fa un salto come se avesse vinto lui. La terza volata del Tour parla italiano e arresta il conto dell’astinenza. Dopo Nibali a Val Thorens nel 2019, ecco il Toro di Buja in questa città anche carina ma in mezzo al nulla, fra Rennes e Le Mans.

«Secondo me – dice Elia – oggi tutto il gruppo aveva bisogno di una calmata. C’è stata la fuga dei due TotalEnergies, ma non era una volata semplice. Comunque la strada tirava in su, ho visto un bel po’ di gambe “craccare”. Ne servivano tante per vincere, non era uno sprint di posizione. E Johnny ha fatto vedere che le gambe le aveva perché ha fatto un bellissimo lavoro. Consonni e Stuyven lo hanno aiutato, però negli ultimi 700 metri si è destreggiato da solo. Non è stata la volata servita su un vassoio, non l’hanno portato ai 100 metri. Ho visto un Johnny che l’ha voluta, se l’è cercata, anche dando una spallata al corridore della Israel. Un segnale di maturità. Nel momento in cui si è alzato in piedi per partire, s’è riseduto perché ha visto che era lungo ed è ripartito al momento giusto. E’ una volata che incorona Johnny come sprinter».

Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta
Dopo i campionati italiani, Viviani è salito a Livigno, lavorando per Polonia e Vuelta

Lo sprint ritardato

Sono le 17,35 quando Jonathan Milan arriva nella zona delle flash interviews. E’ frastornato e felice, fatica quasi a trovare le parole, ma quando parla appare maturo come un condottiero navigato. Se ci pensi, pur avendo appena 24 anni, è un campione olimpico e mondiale su pista, ha vinto volate da tutte le parti. Milan sulla bici ha smesso di essere ragazzino già da un pezzo.

«Penso di non aver ancora capito – dice – che cosa abbiamo fatto. Arrivare con alcune aspettative e sogni da portare a casa e riuscirci sono due cose diverse. Ero fiducioso perché nella volata precedente ci siamo arrivati vicini (secondo dietro Merlier nella terza tappa, ndr). Sapevamo di essere partiti troppo presto, ma oggi eravamo davvero concentrati. I miei ragazzi hanno fatto un lavoro straordinario. E’ stato un finale davvero stressante, non me l’aspettavo. Abbiamo rimontato nell’ultimo chilometro e mezzo, poi ho dovuto aspettare il più a lungo possibile. Ce lo meritiamo, il livello è alto. Vincere con questa maglia verde sulle spalle significa molto per me e penso anche per tutto il mio Paese».

Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo
Milan ha atteso prima di lanciarsi, quando ha capito di essere ancora lungo. Poi non ha concesso scampo

La fiducia in Milan

Sono le 17,45 e Viviani va avanti. Oggi si è goduto il giorno di riposo. Prima ha seguito il Giro Women in cui sta correndo sua moglie Elena Cecchini, nel giorno dell’impresa di Elisa Longo Borghini. Poi è passato al Tour e all’osservazione tecnica di un finale che tanto lineare non è stato.

«Non erano in tanti come al solito – osserva – mancava anche Theuns. Probabilmente, come pure la Alpecin, hanno speso gli uomini nella parte precedente che era parecchio caotica. Consonni è stato bravo a tornare e dare un ultimo aiuto, visto era già indietro di 2-3 posizioni. Hanno lavorato bene perché non hanno mai perso fiducia nelle capacità di Johnny. Non si sono chiesti nulla, hanno continuato nel loro cammino. Non sarebbe stato giusto avere mancanza di fiducia, ma è ovvio che ci fosse rammarico per la prima tappa con la maglia gialla in palio. Ho avuto anch’io l’occasione di fare un Tour che si apriva con una volata e ha vinto quello che nessuno si aspettava. La squadra è tra le due migliori al mondo, Guercilena ha fatto un lavoro super. Mi ricorda lo spirito della Quick Step quando c’ero io. Jonny sente la pressione di dover fare bene perché Pedersen ha dominato il Giro e lo rifarà alla Vuelta. E’ un sistema che sta girando bene».

Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione
Milan è benvoluto da tutti i compagni: merito anche e soprattutto della sua educazione

La commozione di Consonni

Sono le 17,50 e Consonni ha lo sguardo commosso e stralunato. Il suo lavoro, come quello di Lamon nel quartetto, è spesso oscuro. Ma se qualcosa non va, spesso si punta il dito. Perché lo ha lanciato male, perché non c’era, perché la gente punta il dito soprattutto quando non capisce.

«Quando metti tanto lavoro in quello che fai e poi arriva – dice – anche se si tratta solo di una corsa di bici, è veramente una soddisfazione incredibile. Avevamo un po’ di amaro in bocca dopo il primo sprint, però oggi abbiamo tirato fuori gli attributi. Nella terza tappa mi sono fatto prendere dall’emozione, oggi siamo stati davvero una squadra. Mi sembra di tornare nel mio quartetto, che se uno non riesce a fare il suo lavoro, c’è sempre un altro pronto a rimpiazzarlo affinché da fuori non si veda nulla. Oggi è stato un finale incredibilmente caotico, ma sapevamo che Johnny su certe volate di gamba è davvero imbattibile».

Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori
Il ruolo di Consonni rischia di essere sottovalutato, per questo Viviani ha acceso i riflettori

Lo “zio” Elia e i suoi nipoti

Intano sono le 18. Lo “zio” Elia vede i nipotini vincere ed ha il tono partecipe e orgoglioso. La sua analisi continua e si attacca proprio alle parole di Consonni, perché è facile esaltare Milan senza vedere ciò che accade nella sua ombra gigantesca.

«Cerco sempre anche di valorizzare quello che fa “Simo” – dice – è facile dire che Johnny è stato grande, perché è così. Ma Simone è uno che poteva fare risultato, invece ha deciso di sacrificarsi per gli altri e si è rimboccato le maniche. Ero qua in altura con lui prima dell’italiano, perché è venuto a fare una settimana in più rispetto al ritiro della squadra. Era concentrato come e più di un leader, quindi è ovvio che mi piaccia valorizzare il lavoro che fa. E’ bello vederli amalgamati. Come ho detto il giorno dopo che hanno vinto l’oro olimpico a Tokyo, quella medaglia li legherà per sempre. Sono come fratelli, quindi è normale che vederli vincere mi faccia felice. Oltre al fatto che l’Italia ne aveva davvero bisogno. E poi motiva anche me. Spengo la tivù e dico che voglio farlo anche io. E mentre parliamo sento le notifiche dei mille messaggi sulle nostre chat e scommetto che i primi a scrivere sono i ragazzi dello staff, perché la famiglia è composta anche da loro».

La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo
La Lidl-Trek oggi era tutta per Milan: Quinn Simmons ha fatto la sua parte in testa al gruppo

Pogacar e la verde

Sono le 18,09, la conferenza stampa serve a ripetere quel che ha detto alle flash e poi nella zona mista. Gli chiedono se il treno abbia lavorato bene o male e lui ripete quel che ci aveva detto prima che il Tour partisse, sulla capacità di scambiare i ruoli. Ma per il resto, niente di nuovo: forse ha davvero ragione Quinn Simmons sulla ripetitività delle domande dopo gli arrivi.

«Abbiamo imparato dagli errori – dice Milan – e aspettavamo con ansia la tappa, non vedevamo l’ora. Ci siamo meritati la vittoria, per cui ora ce la godremo, ma pensando che domani potremmo rifarlo ancora.  E poi c’è la maglia verde. Pogacar può essere un vero rivale, ma penso che avrò altre occasioni per fare punti. Cercherò di farne più possibili, e poi vedremo a Parigi come andrà a finire. La maglia verde è un obiettivo per la mia squadra, ma vivrò tappa per tappa». 

La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata
La classifica a punti resta un obiettivo da vivere molto alla giornata

Un leader che sa dire grazie

Sono le 18,15 quando salutiamo Viviani. Il tempo di farci spiegare il rientro al Polonia e poi alla Vuelta e la chiusura la dedichiamo a Milan, che nello stesso tempo sarà stato portato all’antidoping e poi finalmente riprenderà la via del pullman.

«Uno così – dice Viviani – non spacca le squadre, non se la tira. E’ giovane, ma con dei sani principi ed è… cazzuto su quello che vuole. Mi immagino che anche quando hanno sbagliato le prime due volate, avrà avuto il suo sfogo, ma poi si è concentrato sull’occasione successiva. Ha carattere. A volte sbotta, però è un giovane di sani principi, è educato e sa benissimo che per vincere gli sprint ha bisogno degli altri. E’ un leader che gratifica chi lavora per lui. Alla fine, la Lidl-Trek che mette a tirare Quinn Simmons già dà un segnale di che qualità ci sia in squadra. E al Tour sono tutti per Milan».

Fughe del Tour, è sparita la fantasia: la lezione di De Marchi

12.07.2025
7 min
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«Quest’anno è capitato che abbiamo fatto andar via un corridore per 80 chilometri da solo – dice De Marchi – e che nessuno lo abbia seguito. Insomma, il gruppo è fatto da 180 corridori e la maggior parte non ha grandi occasioni. Ci sarebbero molte più possibilità di quelle che vengono veramente sfruttate, invece ci si limita alle tappe più scontate. E questo comporta che in quei 5-6 giorni tutto il mondo voglia andare in fuga e ti ritrovi con gruppi di 30 corridori pieni di seconde linee che potrebbero tranquillamente essere leader e sono lì a giocarsi la tappa».

Le fughe del Tour sono state l’ispirazione per un interessante confronto con il friulano della Jayco-AlUla, che sulle grandi cavalcate ha costruito i momenti più belli della carriera. La sua ultima partecipazione alla Grande Boucle risale al 2020 ed è del 2014 il numero rosso ricevuto sul podio di Parigi. Giovedì Ben Healy ha conquistato la prima tappa che sia sfuggita al gruppo (foto di apertura). Sono serviti quasi 100 chilometri per portare via il gruppo decisivo, poi è stato tutto un fatto di scelta di tempo e gambe. Una fuga andata via di forza, come ormai accade sempre più spesso. Quella di ieri verso il Mur de Bretagne è stata invece neutralizzata dal gruppo dei migliori, che ancora una volta hanno scelto di fare la corsa.

Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
Sul podio dei Campi Elisi al Tour del 2014, quello di Nibali, De Marchi conquista il premio della combattività
E’ così difficile andare in fuga al Tour?

E’ sempre stato difficile, ma forse adesso le occasioni sono ancora meno: l’offerta è diminuita e la richiesta è aumentata. A parte quei pochi che curano la classifica e che a volte puntano anche sulle briciole, adesso si gioca il tutto per tutto solo in alcune giornate. E’ un’altra storia.

Perché?

Perché prima i corridori di classifica pensavano alla classifica. Capitava quello che si buttava, ricordo Contador che ogni tanto faceva qualche attacco. Ma erano episodi sporadici, che non stravolgevano la corsa. Così ad andare in fuga eravamo solo noi seconde linee, tra virgolette, mentre adesso ti rendi conto che nelle fughe c’è dentro veramente di tutto. Guardate il gruppo da cui ha vinto Healy e dentro c’erano fior di campioni (con Healy c’erano, fra gli altri, Simmons, il vincitore del Giro Yates, Van der Poel, Storer, ndr). Giornate come quella diventano delle gare di un giorno all’interno di una gara tappe. Giovedì ci hanno messo 100 e passa chilometri a far partire la fuga. E’ come l’approccio a uno sprint, perché la minestra è la stessa ed è uguale anche il modo di affrontare il percorso.

Al Giro d’Italia è più facile?

In realtà si sta uniformando tutto. Ovviamente al Tour c’è qualcosa in più, ma era lo stesso 15 anni fa. Al Tour è sempre andato chiunque avesse l’un per 100 in più di condizione, motivazione e voglia. E questo, moltiplicato per 200, crea l’effetto Tour de France. Però la sostanza non cambia, anche al Giro quest’anno le fughe andavano così. Un’altra cosa che è cambiata parecchio è che le fughe sono molto più numerose, è difficile trovarne una di 5-6 corridori

La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
La fuga di giovedì verso Vire Normandie è andata via di forza dopo quasi 100 km. Qui Simmons e Healy
Che cosa cambia?

E’ una gestione completamente diversa. Replichi nella fuga la gara che di solito faresti in gruppo. Diventa una questione non solo di gambe, ma di strategia, necessità di leggere la corsa e i movimenti degli altri. Per me è sempre stato meglio andare in fughe meno numerose. Magari essere in tanti ti permette di arrivare più avanti, ma se il gruppo è grosso, c’è anche meno accordo. Giovedì, Healy ha scelto il momento giusto e poi le cose hanno avuto il solito svolgimento.

Quale?

Si crea il gap. Chi è davanti va alla stessa velocità di chi è dietro, che non ha più le forze per chiudere. Si congelano i distacchi, a meno che uno non salti per aria, cosa sempre più rara da vedere. Quindi alla fine diventa fondamentale fare la prima mossa e prendere subito vantaggio. Poi non ti prendono più.

Quanta concentrazione serve per prendere la fuga?

Tantissima, al punto che nei momenti topici nemmeno senti il baccano del pubblico. Devi tenere tutto sotto controllo. E’ super impegnativo, niente di diverso da un finale di gara, dalla preparazione di una volata. Con la tattica fai la differenza, perché un conto è fare due ore e mezza a tutta, altra cosa è mettersi nelle prime posizioni senza mai affondare, stare coperti e ritrovarsi ugualmente in fuga avendo speso un quarto rispetto agli altri. Quella è una cosa che cambia tanto e che una volta si faceva di più. Invece vedo gente che vuole andare in fuga solo di gambe. Si sa che al dato chilometro c’è lo strappo o la strada stretta, si aspetta solo quello e vanno via di forza, raramente d’astuzia o esperienza.

Sono così mediamente giovani che l’esperienza non possono averla.

Forse è vero, ma secondo me dipende dal fatto che le gambe sono diventate lo spartiacque. Quando hai un certo tipo di livello e di gambe, puoi fare il doppio delle cose di chi quelle gambe non le ha. Nove volte su dieci, ci riesci. E’ cambiata molto anche la voglia di rischiare e sorprendere il gruppo in giornate che sulla carta non sono adatte alle fughe. Se si prevede che finirà in volata, nessuno ci prova. Mi dispiace che sia così, vuol dire che non c’è poi tanta fantasia, non c’è tutta questa libertà.

Si fa solo quello che può riuscire?

Ricordo delle tappe da volata, con la fuga che riusciva quasi a farcela o addirittura ce la faceva e metteva in scacco tutti quanti. Al Delfinato del 2019, nella quinta tappa ero in fuga anch’io. Tutti aspettavano la volata, però siamo arrivati all’ultimo chilometro che ancora non ci avevano preso. Ce la siamo giocata fino in fondo, ma sono cose che succedono sempre meno. Vi anticipo: non darei la colpa alla radio, anche se in qualche misura incide. La verità è che secondo me nell’animo dei corridori di quest’epoca manca un po’ di spirito di iniziativa. Se il corridore vuole, ha la libertà di muoversi come vuole.

Quanto è importante saper leggere le dinamiche del gruppo?

Devi sapere come sono andate le giornate precedenti, se ad esempio c’è già stata una fuga, se qualcuno l’ha provata e non l’ha presa. Devi tenerlo in considerazione, devi conoscere gli eventuali rumors. Al Delfinato di quest’anno, si sapeva che la EF Education volesse andare in fuga, ma non ci erano ancora riusciti. Finché a un certo punto, mi pare nella quinta tappa, alla partenza si sono schierati tutti davanti e alla fine hanno messo Baudin nella fuga. Ci sono movimenti da leggere nei primi chilometri. Vedi la squadra che all’inizio chiude perché attende un tratto in salita più adatto al suo scalatore. Però sono finezze cui pochi fanno attenzione. Molti sono concentrati sullo sforzo, sul fatto di avere nelle gambe la botta al posto giusto e nel momento giusto. Invece ci sono anche altri aspetti da valutare.

La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
La fuga di ieri verso Mur de Bretagne non è stata fatta allontanare: i più forti volevano la tappa
Ad esempio?

Ad esempio il punto in cui attaccare oppure come farlo in base al vento. Alla Boucle de la Mayenne, la corsa che ho fatto prima del Delfinato, un giorno c’era terreno tutto su e giù, che alla fine vai velocissimo. C’era gente che scattava in cima agli strappi, anzi in discesa. Seguirli e mettersi a ruota era la cosa più semplice. Oppure capita che ci sia vento contro e la gente attacchi dalle prime file, con altri che gli prendono la ruota e si vede che non vai da nessuna parte. Sarebbe meglio arrivare da dietro lanciati e magari far partire un compagno e poi attaccare in prima persona. Sono cose che si vedono raramente.

Cosa pensi quando passi davanti al tuo numero rosso?

Mi ricorda che c’è stato un periodo in cui avevo anch’io la cartucciera piena e non avevo paura di sparare e tentare. Il momento della giovinezza, ma anche di quando hai un sacco di fiducia e voglia di provarci.

Il tempo è volato. Alessandro è appena rientrato dall’Alto Adige con la famiglia ed è in partenza verso l’Austria per fare altura con la squadra. L’ultimo anno della sua carriera entra nella seconda parte e i programmi sono ancora da farsi. Durante lo scorso inverno, con ottima scelta di tempo, il Rosso di Buja ha fatto e superato il corso per diventare direttore sportivo e si sta guardando intorno per capire cosa fare da grande. Sarebbe davvero utile avere in ammiraglia qualcuno capace di insegnare certi concetti e certi movimenti.

Aurelien Paret-Peintre vuole lasciare il segno in montagna

12.07.2025
4 min
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Aurelien Paret-Peintre è uno dei personaggi francesi più amati e attesi di questo Tour de France. Noi lo abbiamo incontrato nella Maison Van Rysel  di Lille. Nelle prime frazioni, ogni volta che i team salivano sul palco prima delle tappe, lui e il fratello Valentin, ricevevano un applauso forte, intenso… ben più alto della media.

Prime tappe in cui c’era, e c’è, tensione. Soprattutto per la squadra di Aurelien, che partiva “da casa”, in qualche modo. La Decathlon-Ag2R è equipaggiata con bici Van Rysel e Van Rysel è di Lille, sede del Grand Depart. Guarda caso, in fiammingo “Van Rysel” è la traduzione di Lille.

Aurelien Paret-Peintre (classe 1996) sta affrontando il suo settimo grande Giro (foto Instagram)
Aurelien Paret-Peintre (classe 1996) sta affrontando il suo settimo grande Giro (foto Instagram)

Non solo gli Yates

«E’ sempre bello essere al via del Tour. Il fervore di alcune partenze all’estero è enorme – ha detto Aurelien – ma qui in Francia è diverso. Correre con mio fratello? Di certo è un’occasione particolare e privilegiata che capita a ben pochi corridori. Spesso parliamo, discutiamo, anche la sera per telefono ci scriviamo, come è successo al Delfinato. Sono contento di fare questo Tour con lui, anche se non siamo più nella stessa squadra. Spero però che entrambi arriveremo a Parigi».

Aurelien ha aggiunto che tra di loro si parla anche di tattiche, si discute della corsa. Chissà se lo stesso fanno i fratelli Yates: loro sì che sono rivali per davvero, visto che Adam sostiene la causa di Pogacar e Simon quella di Vingegaard.

Aurelien Paret-Peintre (in maglia azzurra) punta deciso alle tappe di montagna
Aurelien Paret-Peintre (in maglia azzurra) punta deciso alle tappe di montagna

Obiettivo montagna

Ma se gli altri due sono votati alla causa totale del loro leader, e crediamo sarà così anche per il fratello Valentin, la questione è un po’ diversa per Aurelien. Lui potrebbe essere chiamato a un duplice ruolo: attaccante, ma anche supporto per Felix Gall, che lo scorso anno ha chiuso la Grande Boucle al 14° posto, vincendo una tappa. E quest’anno punta senza mezzi termini a una top ten nella generale.

«Io – riprende Aurelien – credo che alla fine ci saranno 4-5 tappe in cui arriverà la fuga, e sono ottimista, visto l’andamento degli ultimi anni. Noi dobbiamo essere bravi ad arrivarci. Questo è il primo obiettivo, per me e per la squadra.

«Neppure Gall può lottare per i primi tre posti della generale, almeno quest’anno: bisogna essere realisti. Con quei corridori è del tutto impossibile. Per questo dico: concentriamoci sulle vittorie di tappa e su quelle di montagna in particolare. In questi primi giorni così nervosi ci vedrete poco. Per me – ricordiamo che Aurelien Paret-Peintre è uno scalatore – sarà difficile nelle prime tappe, sia mentalmente che fisicamente.

«Sono soddisfatto della mia forma e della mia preparazione. Finora è andato tutto bene. Il Dauphinée mi ha fatto bene, è stato molto duro, ma mi ha fatto progredire. A Sierra Nevada ci siamo allenati bene, anche se le temperature erano abbastanza alte anche lì, circa 36-37°C… Ci siamo già abituati al caldo che troveremo! Ma in generale abbiamo curato moltissimi aspetti, dopo quel 2023. Dallo scorso anno tante cose sono cambiate riguardo alla performance: materiali, alimentazione, attenzione ai dettagli…».

Giro d’Italia 2023: Aurelien sfreccia a Lago Laceno
Giro d’Italia 2023: Aurelien sfreccia a Lago Laceno

Dal Giro al Tour

Parlando con un giornalista italiano, in qualche modo emerge il discorso del Giro d’Italia. E Aurelien ammette di avere un buon feeling con il nostro Paese e la nostra corsa.

«Quella che – dice lui – mi ha dato la notorietà. L’atmosfera è diversa, le due corse sono completamente diverse. Ho un buon attaccamento al Giro, anche prima della mia vittoria in grande Giro. Mi piace l’ambiente della corsa italiana. Ma il Tour per noi francesi è come il Santo Graal, è sopra il Giro in termini di notorietà. Sarebbe davvero un sogno lasciare un segno anche qui. Sono contento di essere venuto al Tour, ne ho fatti solo due nella mia vita finora. E sono contento perché vedo che sono con i grandi. Sono dietro, ma non sono troppo lontano da loro».

Infine una piccola annotazione. Il savoiardo aveva detto che nelle prime dieci tappe avrebbe sofferto. In parte è vero. Ma va annotato anche il settimo posto a Boulogne-sur-Mer e il dodicesimo a Rouen: tappe molto dure, in cui si è vista un’importante selezione. «Significa che sto bene», ha sentenziato Aurelien.

Pogacar vince, Almeida la scampa e Gianetti omaggia Hinault

11.07.2025
6 min
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«Possiamo anche aspettare», così aveva detto Mauro Gianetti questa mattina al via dalla splendida Saint-Malo. E tutto sommato la vittoria numero 101 del suo Tadej Pogacar è arrivata, per dirla in gergo calcistico, di rimessa… per certi versi. Controllo, azione nel punto giusto, volata, braccia al cielo. Minima spesa, massima resa.

La corsa fila via veloce. Una classica fuga: cinque atleti, ma dietro non lasciano troppo spazio. I velocisti si staccano dopo aver racimolato gli ultimi punti rimasti al traguardo volante. E bravo il nostro Jonathan Milan a fare la formichina. E’ così che si porta quella maglia a Parigi, anche se oggi l’ha persa e indovinate chi l’ha presa? Però da domani iniziano delle frazioni veloci e ci auguriamo che il friulano possa riprendersi lo scettro.

Sul Mur de Bretagne grande controllo. Remco guida. Tadej ha un occhio avanti e uno dietro e Vingegaard francobolla la ruota dello sloveno

Pogacar anche sul Mur

Per la sesta volta il Tour de France arriva su questo strappo già iconico. Vincere quassù è quasi una semiclassica. E se si presenta l’occasione, perché non sfruttarla?

Ancora oggi, un po’ come ieri verso Vire, a mettere i bastoni tra le ruote ai progetti difensivi della UAE Team Emirates è stata la Visma-Lease a Bike. Forse oggi davvero la UAE non era troppo interessata alla tappa, o meglio, a non lasciare andare via fughe troppo numerose. Forse Pogacar avrebbe lasciato ancora la maglia a Mathieu Van der Poel. E invece eccola rimbalzargli addosso.

La squadra di Jonas Vingegaard ha ridotto forte il gap a quel punto. Tim Wellens (sempre più un gigante) e Jhonatan Narvaez lo hanno portato davanti nello strappo finale. A quel punto Pogacar non ha speso una goccia di energia in più del necessario per evitare che altri si prendessero tappa e abbuoni. Ha fatto tirare Remco Evenepoel… pensate un po’.

Almeida, che dolore

Ma in tutto questo c’è un neo per la UAE Team Emirates e Tadej Pogacar: la caduta di Joao Almeida. Una caduta, tra l’altro, non troppo chiara. Una delle bici a bordo strada era senza copertone e, al momento dell’innesco del capitombolo, frontalmente si nota una fuoriuscita di aria e liquido. Bisogna capire se la copertura è stallonata per l’impatto o se al contrario questa stessa ha innescato il tutto.

Fatto sta che a pagarne le spese sono stati uomini di classifica importanti. Parliamo di Santiago Buitrago e soprattutto di Joao Almeida, che sembrava aver riportato la frattura del polso.

E non a caso sull’arrivo, appena saputo il tutto, Pogacar non era affatto contento. Era piuttosto preoccupato per Almeida e perché il rischio di perdere un gregario tanto importante non è cosa da poco. Si è visto in questi giorni quanto il portoghese abbia fatto la differenza.

«Per me la giornata è andata alla perfezione – ha detto Pogacar – esattamente come avevamo programmato. La squadra ha fatto un lavoro fantastico. Abbiamo dovuto dedicare molta energia al raffreddamento del corpo, perché faceva molto caldo. E’ stata una tappa veloce e dura. I ragazzi mi hanno lasciato ai piedi della salita. E normalmente, anche Joao sarebbe stato lì, ma è caduto e spero che stia bene. Che dire: sono di nuovo in giallo. Spero che ora avremo due giornate un po’ più facili».

Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard
Pogacar torna in giallo. Ora guida con 54″ su Remco e 1’11” su Vingegaard

I valore dei gregari

Con il ruzzolone e i ritiri di oggi si torna a parlare di cadute. Mattia Cattaneo si è ritirato, sembrerebbe a causa dei postumi della caduta subita nella quarta tappa. Il primo gregario di Remco ha tenuto duro per un paio di giorni, ma oggi è stato costretto ad alzare bandiera bianca.

«Sì – ha detto Evenepoel – Mattia è la mia guardia del corpo abituale e si è ritirato. Era uno dei ragazzi con cui avevo ancora degli impegni. Mi mancherà sicuramente, ma tutto sommato, il suo stop è stata la decisione giusta. Aveva mal di testa e non si sentiva bene, quindi è meglio così. Queste sono le corse».

E anche Pogacar si è espresso su Almeida. «Giornata perfetta? Se Joao sta bene, allora è una giornata perfetta. Se non sta bene, questa vittoria è per lui».

Insomma anche i grandissimi si preoccupano senza i loro uomini più fidati. Badate che questa tappa potrebbe avere un peso specifico nell’economia del Tour de France. Se Almeida non dovesse farcela la Visma avrebbe un vantaggio non da poco. Mentre Remco è davvero solo.

Si arrivava a casa dell’immenso Hinault: quanti omaggi lungo la strada per l’ultimo vincitore francese del Tour
Si arrivava a casa dell’immenso Hinault: quanti omaggi lungo la strada per l’ultimo vincitore francese del Tour

L’analisi di Gianetti

Avevamo aperto l’articolo con le parole di Mauro Gianetti, CEO della UAE Team Emirates, e con le sue parole lo chiudiamo.

«La prima cosa – ci dice Gianetti – è che Joao sta bene, diciamo così. Ha delle abrasioni, ha un’infrazione a una costola, ma i raggi X hanno escluso fratture. Certo, ha preso una bella botta e sbattere sull’asfalto a 60 all’ora non è mai bello. Ma poteva andare peggio. Pertanto, se la notte andrà bene, domattina dovrebbe partire regolarmente».

Poi si passa alla tattica. Pogacar sembrava quasi disinteressato al successo e, tutto sommato, se ci fosse stato Mathieu Van der Poel a vincere non gli sarebbe dispiaciuto. Forse…

«Disinteressati direi di no – riprende Gianetti – abbiamo provato a giocarci la tappa. Certo, l’importante era non finire la squadra per controllare la corsa. Fortunatamente all’inizio anche Van der Poel e la Alpecin-Deceuninck ci credevano e abbiamo collaborato. Ma occhio però, perché anche se Mathieu e Tadej sono amici, non gli avrebbe lasciato la tappa. Anche perché Vingegaard e Remco erano in agguato. Insomma, Tadej non si sarebbe tirato indietro. Domani e dopodomani ci saranno due giornate semplici, in cui magari si riesce a non spendere troppo».

«E poi – fa una pausa Mauro – alla fine vincere sul Mur-de-Bretagne è qualcosa di iconico. Avete visto quanta gente c’era? Senza contare che siamo a casa del grandissimo Bernard Hinault, e anche questo conta. E’ un omaggio a questo gigante».

«Alleanza trasversale con la Alpecin? Se ieri Van der Poel avesse preso la maglia con 2 minuti magari ci avrebbe aiutato di più, però così non è stato. E alla fine neanche puoi fare troppi calcoli. Oggi se non avessimo vinto noi, l’avrebbe fatto Vingegaard. E sinceramente, meglio stare davanti che dietro».

Gianetti si gode i suoi ragazzi. Parla di un gruppo coeso, di un bell’ambiente: «Li vedo uniti. Sono amici prima ancora che corridori. Tutti hanno ben chiaro l’obiettivo. Penso proprio ad Almeida, che l’altro giorno avrebbe anche potuto vincere, ma si è messo a disposizione. Ha giocato per Pogacar».

Le ruote Ursus sono di nuovo “in corsa” al Tour de France

10.07.2025
4 min
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Il mondo del ciclismo vive in queste settimane uno degli eventi più attesi dell’anno: il Tour de France. Per il brand veneto produttore di ruote e componenti Ursus, questo appuntamento segna un ritorno significativo sulle strade della Grande Boucle, forte della partnership con il Team Picnic-PostNL. L’obiettivo è chiaro: replicare il successo di tappa ottenuto al Giro d’Italia. Consolidando l’eccellente feedback raccolto dalle ruote PROXIMA Team Edition, autentico fiore all’occhiello della produzione Ursus.

Ursus è schierata al fianco del Team Picnic-PostNL, un rientro nella corsa a tappe più prestigiosa, ma anche una prima assoluta nel WorldTour. Dopo le esperienze tra il 2020 e il 2021 con il Team Total Energies, il 2025 rappresenta un’opportunità unica per Ursus di scrivere una nuova pagina nella sua storia, mirando alla prima vittoria di tappa assoluta al Tour de France.

L’ambizione è palpabile, come è naturale quando si compete sul palcoscenico più importante del ciclismo mondiale. Tuttavia, Ursus e Picnic-PostNL affrontano questa sfida con convinzione e fiducia nei propri mezzi. Il recente Giro d’Italia ha dimostrato il potenziale della formazione olandese, capace di sorprendere con la vittoria in volata di Casper Van Uden a Lecce. Questo successo ha evidenziato non solo la determinazione del team, ma anche la qualità dei mezzi tecnici a loro disposizione, in primis le ruote in carbonioUrsus PROXIMA Team Edition.

Mentre le vittorie di tappa saranno prioritarie per il Team Picnic-PostNL, non mancherà l’attenzione per la classifica generale. Il giovane talento britannico Oscar Onley, reduce da un’ottima performance al Giro di Svizzera, avrà l’opportunità di mettersi alla prova con un occhio alla generale. Nelle volate, Tobias Lund Andresen e Pavel Bittner cercheranno di emulare l’exploit di Casper Van Uden, puntando a replicare il successo nello sprint. Per le tappe più impegnative, il team potrà contare su corridori come Warren Barguil, già maglia a pois al Tour, e Frank Van den Broek. Completano la rosa Tim Naberman, Sean Flynn e Niklas Märkl, tutti pronti a dare il loro contributo per gli obiettivi del team.

Ecco gli otto atleti del Team Picnic PostNL che saranno impegnati in questo Tour de France
Gil atleti del Team Picnic PostNL correranno al Tour de France con le ruote PROXIMA Team Edition

Tecnologia al servizio della performance

Le ruote PROXIMA Team Edition sono il frutto dell’ingegneria Ursus, sviluppate con l’obiettivo di combinare in modo ottimale leggerezza, affidabilità e scorrevolezza. Queste tre caratteristiche sono cruciali nel ciclismo moderno, garantendo la massima reattività e stabilità, oltre a un’eccellente versatilità d’uso in ogni condizione.

Disponibili in quattro versioni con profili da 35, 40, 50 e 60 mm, i cerchi in fibra di carbonio con finitura unidirezionale presentano un canale interno di 23 mm. Questa configurazione permette di ospitare copertoni a partire da 28 mm, sia in versione tubeless che con camera d’aria tradizionale, offrendo flessibilità e adattabilità alle diverse esigenze dei corridori e dei percorsi.

l cuore delle PROXIMA Team Edition è l’esclusivo mozzo U-RS Xeramik. Realizzato in lega di alluminio Ergal AI 7075, e dotato di cuscinetti ceramici, assicura una scorrevolezza e reattività superiori. A questo si aggiunge la tecnologia “minihook”, che ottimizza il peso del cerchio e la ritenzione del copertone, migliorando significativamente la stabilità e la tenuta in curva, aspetti fondamentali per la sicurezza e la performance ad alte velocità.

Il britannico Oscar Onley sarà l’uomo di classifica per il team olandese
Il britannico Oscar Onley sarà l’uomo di classifica per il team olandese

#BehindTheRace:

Come già sperimentato durante il Giro d’Italia, Ursus continuerà inoltre ad offrire ai propri follower uno sguardo esclusivo dietro le quinte della corsa. Il progetto #BehindTheRace proseguirà anche sulle strade francesi, grazie alla lente della “crew” fotografica di Poci’s Pix. Questo racconto immersivo sarà sviluppato in tre appuntamenti settimanali, con contenuti speciali disponibili sui profili social di Ursus (Instagram e Facebook) e attraverso la newsletter ufficiale (registrandosi su ursus.it). Un’occasione imperdibile per gli appassionati di vivere il Tour de France da una prospettiva unica e ravvicinata.

Il ritorno di Ursus al Tour de France promette di essere un evento chiave per l’azienda italiana. Riusciranno le ruote PROXIMA Team Edition e il Team Picnic-PostNL a conquistare una vittoria di tappa e a lasciare il segno nella storia della Grande Boucle?

Ursus