Manubrio, la qualità della prestazione passa anche da qui

23.07.2022
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Continua il nostro percorso che mette insieme i diversi dettagli tecnici della bicicletta. Dall’aerodinamica alle geometrie, dalla biomeccanica agli pneumatici, dal manubrio alla sella, una via infinita che è in costante evoluzione, proprio come la bicicletta.

Abbiamo chiesto all’ufficio tecnico di FSA e Vision, quanto conta il manubrio nei termini di efficienza e se possiamo fare degli accostamenti tra le biciclette “normali” e quelle da crono. Ci rispondono a quattro mani Matteo Palazzo e l’ingegnere Francesco Ragazzini.

I corridori e i partener Jumbo-Visma utilizzano la galleria del vento di Eindhoven (foto FSA-Vision)
I corridori e i partener Jumbo-Visma utilizzano la galleria del vento di Eindhoven (foto FSA-Vision)
Quanto conta un manubrio da crono in termini di efficienza aerodinamica del sistema mezzo meccanico/corridore? 

Chiaramente nelle prove a cronometro ci sono una miriade di aspetti da tenere in considerazione, ma possiamo affermare che l’aerodinamicità gioca un ruolo predominante, anche rispetto alla potenza. Sicuramente il cockpit da cronometro, che sviluppiamo e personalizziamo per ogni atleta dei team con cui lavoriamo è uno degli aspetti principali.

Perché?

L’accoppiata manubrio/estensioni può portare ad un guadagno fino al 10%, ovvero 374 watt su uno sviluppo medio di 350. Questo significa che il corridore può essere più veloce di circa 7 secondi su 40 km di gara, e sappiamo bene che ormai le cronometro vedono i primi 5 atleti anche in meno di un secondo di distacco (il ricordo della crono di apertura del Tour de France è ancora fresco, ndr).

I test sulle protesi Vision (foto FSA-Vision)
I test sulle protesi Vision (foto FSA-Vision)
Si può fare un parallelo con i manubri delle bici tradizionali, oppure le bici da crono sono un mondo a se? 

Negli anni, soprattutto grazie alle possibilità che il carbonio offre in fatto di lavorazioni, non si è più legati alle sezioni tonde o ovali dei tubi. Quindi possiamo tranquillamente affermare che le biciclette sono totalmente diverse, soprattutto come geometrie. Questo porta ovviamente anche a differenze nette tra i manubri crono e road.

Di che tipo?

Nei primi ovviamente la base di studio è quella delle più elementari leggi sull’aerodinamica. Infatti non hanno solo funzione aerodinamica ma sono pensati anche per generare un certo carico aerodinamico sulla ruota anteriore per garantire anche la stabilità massima.

Damiano Caruso con le appendici personalizzate
Damiano Caruso con le appendici personalizzate
Quali sono i punti chiave nello sviluppo di un manubrio da crono? E per uno tradizionale?

I punti fondamentali sono sempre il comfort, inteso come corretta posizione dell’atleta, i flussi d’aria e la generazione delle turbolenze. Un manubrio tradizionale ha misure relativamente standard, le variazioni tendenzialmente sono sulla lunghezza dell’attacco e la larghezza del manubrio. Mentre in quelli da cronometro, il cockpit è composto da due parti, ovvero il base-bar o aerobar, che è pressoché standard se non nelle misure e dalle estensioni superiori. Queste ultime sono sviluppate in modo specifico per ogni atleta, attraverso studi 3D, la galleria del vento e test su strada.

Cos’altro?

A quanto sopra citato si aggiunge l’altra costante fondamentale, ovvero la rigidità. Infatti i manubri in carbonio hanno il grande vantaggio di poter essere costruiti anche pensando a quanto devono essere flessibili per smorzare le vibrazioni del terreno, un fattore che è parte dello studio e sviluppo che c’è dietro ogni modello.

Rispetto al passato notiamo le appendici sempre più alte e sagomate con una sorta di allineamento degli appoggi alla sella? Cosa è cambiato e perché? 

In passato si tendeva a tenere la posizione delle braccia molto bassa a favore dell’aerodinamica. Studi successivi più moderni, hanno portato a considerare in maniera significativa il gesto della respirazione. Quest’ultimo è uno dei motivi principali che hanno portato ad alzare la posizione nella parte frontale.

L’aerodinamica, fondamentale anche per i manubri delle bici standard (foto EF-Easypost/Gruber)
L’aerodinamica, fondamentale anche per i manubri delle bici standard (foto EF-Easypost/Gruber)
Perché molti corridori utilizzano ancora oggi una importante differenza tra sella e manubrio sulla bici tradizionale? Sarebbe più conveniente limitare lo svettamento? 

Con le tecnologie attuali si può studiare il corpo umano in maniera più approfondita, soprattutto il movimento del muscoli. I posizionamenti in sella sono frutto di questi studi e anche di quelli aerodinamici. Una posizione particolarmente svettante della sella, porta ad una migliore distribuzione dei pesi. In questo passaggio, dobbiamo considerare che a differenza delle crono, sulle biciclette standard mancano le estensioni atte ad allungare il corpo.

Quindi?

Quindi nel caso delle bici tradizionali si tende sempre a cercare una maggiore chiusura del corpo, alzando il più possibile la zona posteriore. Questo porta a una forma più aerodinamica e offre più controllo sul manubrio e sulla bici.

Mozzato: l’italiano più richiesto al Tour de France

22.07.2022
4 min
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Luca Mozzato sta correndo un Tour de France in prima linea, nelle tappe adatte a lui il corridore della B&B Hotels KTM ha centrato sempre la top 10. Un bel modo di presentarsi alla sua prima Grande Boucle, prestazioni che hanno acceso sopra la sua testa le luci dei media francesi, in particolare dell’Equipe. Il giornale sportivo di riferimento in territorio transalpino, che giornalmente dedica pagine ed approfondimenti al Tour. Chissà se un giorno il giornale rosa farà lo stesso in Italia. La speranza è l’ultima a morire. 

Il Tour di Mozzato si è aperto con il 175° posto della crono di Copenaghen, non il terreno adatto per il corridore veneto
Il Tour di Mozzato si è aperto con il 175° posto della crono di Copenaghen, non il terreno adatto per il corridore veneto

La stampa francese 

Se per Mozzato, prima di aver riscontro mediatico in Italia, si è dovuto aspettare qualche risultato incoraggiante, in Francia il nostro connazionale è stato sempre tenuto sotto “controllo”.

«La stampa francese è particolare  – racconta Luca –  c’è sempre qualcuno che prova a fare l’intervista diversa dal solito. Al posto di chiedermi della corsa mi chiede del mio passato per farsi un’idea di che persona sia. Parlo spesso con un inviato dell’Equipe, ha battezzato me ed altri due corridori: Geniets, lussemburghese della Groupama FDJ e Louvel, francese dell’Arkea. Ogni 2-3 giorni facciamo un’intervista dove ci confrontiamo sul punto della situazione. Ci chiede come va, le nostre aspettative, delusioni ed ambizioni. E’ diventato un po’ un appuntamento fisso che è bello avere soprattutto in una gara come il Tour».

Il miglior piazzamento per Luca è arrivato a Calais, sesta posizione per lui
Il miglior piazzamento per Luca è arrivato a Calais, sesta posizione per lui

Si lotta ovunque

Abbiamo visto Luca battagliare su ogni percorso nella prima settimana, dalle volate danesi fino al pavé del nord della Francia. Passando anche per gli strappi di Calais. Questo gli ha permesso di mettersi in mostra e di farsi notare da tutti, anche dal giornale più importante del Tour. 

«Arrivare al Tour e stare bene è una bella sensazione – ci dice Mozzato dall’hotel – nelle frazioni adatte alle mie caratteristiche ho fatto vedere cose buone. Se penso a quel che può mancarmi per passare dai piazzamenti alla vittoria, direi che non è facile rispondere. Nelle volate di gruppo mi manca un po’ di spunto veloce. Nei percorsi mossi riesco a tenere di più, ma sono in quel limbo dove per passare una salita o uno strappo faccio ancora un po’ troppa fatica. Il mio obiettivo momentaneamente è quello di lavorare a 360 gradi, sviluppando tutte le caratteristiche dette prima».

Mozzato è andato forte anche nella temutissima tappa del pavé, la numero cinque, decimo all’arrivo
Mozzato è andato forte anche nella temutissima tappa del pavé, la numero cinque, decimo all’arrivo

L’ostacolo Pirenei

Per Mozzato la condizione c’è e anche nelle tappe in cui si doveva “salvare” si è difeso a spada tratta. Ora sta affrontando l’ultimo ostacolo che lo separa da Parigi, i Pirenei. Salite che magari facevano meno paura delle Alpi, ma che dopo 16 tappe rappresentavano una grande incognita.

«Non avendo esperienze di altri grandi Giri – dice Mozzato – non posso parlare, ma la sensazione all’interno del gruppo è che non ci siano state tappe banali. Anche in Danimarca c’è sempre stata bagarre, tra vento e cadute può non sembrare ma abbiamo fatto le prime due settimane a mille. Nelle tappe alpine l’idea era di arrivare al traguardo risparmiando energie, ma si è fatto un ritmo altissimo, sempre».

«Ad esempio – riprende a raccontare – nella tappa dell’Alpe d’Huez con il Galibier, tutti i velocisti hanno tentato di rimanere attaccati il più possibile al gruppo, era un sali e scendi continuo con poca pianura. Abbiamo fatto solamente una quindicina di chilometri tra la Galibier e Croix de Fer). Ero un po’ preoccupato per quella frazione, perché al Delfinato ero andato a casa. I Pirenei magari sono stati più semplici ma pendeva su tutto il gruppo la grande incognita della terza settimana. Direi che mi sono difeso più che bene rimanendo sempre nel gruppetto prima di quello dei velocisti per avere un margine maggiore, guardate quel che è successo mercoledì a Jakobsen che si è salvato solo per 15 secondi. Ora si pensa alla Torre Eiffel».

Jonas signori e vengo da lontano…

21.07.2022
6 min
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Se anche finirà così, Pogacar se ne andrà dal Tour con tre tappe vinte, il secondo posto e l’onore delle armi. Quale che ne sia stata la ragione, lo sloveno si è trovato indietro e ha fatto quel che poteva per risalire la china. Purtroppo per lui, è inciampato su Jonas Vingegaard, un danese fortissimo a capo di una squadra altrettanto forte, che hanno approfittato del suo passo falso sulle Alpi e l’hanno appeso sulla croce.

Che vinca il migliore: c’è questo nello scambio di saluti al via della tappa fra Pogacar e Vingegaard
Che vinca il migliore: c’è questo nello scambio di saluti al via della tappa fra Pogacar e Vingegaard

Duello fra uomini veri

Un duello fra due ragazzi che non si sono risparmiati colpi, ma sempre nei limiti della grande correttezza. E quando oggi Pogacar è caduto, la maglia gialla non ha neanche immaginato di approfittarne. Vingegaard si è subito rialzato sul manubrio. Lo ha aspettato. Nel voltarsi per stringergli la mano quasi finiva anche lui giù dalla scarpata e poi la corsa è ripartita.

«Penso che Tadej abbia sbagliato la curva – ha detto Vingegaard a caldo – e poi sia finito sulla ghiaia. Ha cercato di uscirne, ma la bici è scivolata via. Poi l’ho aspettato. Ma oggi devo ringraziare tutti i miei compagni di squadra. Incredibile. Alla fine vedi Wout Van Aert che resce a staccare Tadej Pogacar. Anche Sepp Kuss è stato fantastico. Sono stati tutti incredibili. Tiesj Benoot, Christophe Laporte, Nathan Van Hooydonck. Non ci sarei mai riuscito senza di loro».

Van Aert vs Pogacar

Era la tappa per la resa dei conti, quella in cui Pogacar avrebbe dovuto tentare il tutto per tutto e Vingegaard cercare di respingerlo. E’ finita, come aveva in qualche modo ipotizzato ieri Martinello, che la UAE Emirates si è ritrovata senza Bjerg, sfinito dopo la tappa di ieri, e con un McNulty a un livello più basso. Mentre la Jumbo Visma, che ieri ha ceduto troppo presto, si è ritrovata a menare le danze a pieno organico. E quando anche Kuss ha finito il suo lavoro, sulla strada è spuntato Van Aert, ripreso a 6 chilometri dal traguardo. Kuss gli ha chiesto se ce la facesse ancora e il ghigno sul volto del gigante di Herentals gli ha fatto capire che avrebbe potuto spostarsi in serenità. Ed è stato a quel punto, come raccontato da Vingegaard, che il forcing di Van Aert ha stroncato Pogacar.

«Non potrebbe esserci modo migliore per me di perdere il Tour. Penso di aver dato tutto – ha ammesso con trasparenza lo sloveno – lo prendo senza rimpianti. Penso che i ragazzi della Jumbo Visma abbiano fatto un ottimo lavoro. Congratulazioni a loro, erano molto forti. Oggi ha vinto il migliore. E penso che vincerà anche il Tour».

Ciccone ha provato l’assalto alla maglia a pois di Geschke, ma nulla ha potuto contro Vingegaard
Ciccone ha provato l’assalto alla maglia a pois di Geschke, ma nulla ha potuto contro Vingegaard

Macron in prima fila

Dire se la caduta abbia influito resterà motivo di discussione da bar. E così, mentre il presidente Macron si godeva lo spettacolo dalla privilegiata ammiraglia di Christian Prudhomme (come immaginarsi Mattarella in auto con Mauro Vegni), Van Aert ha lanciato il suo piccolo capitano verso la conquista, esultando poi a sua volta sul traguardo: grosso, verde e cattivo come un Hulk 2.0.

«E’ stata una giornata molto bella per noi – ha detto la maglia verde – era anche chiaro che avessimo un piano. Rispetto a ieri, oggi Jonas si sentiva molto più a suo agio grazie alle salite più lunghe e ripide. L’intenzione era davvero quella di attaccare e guadagnare ancora più tempo. Davanti volevo essere utile a Jonas prima che finisse la salita ripida e per riuscirci mi sono staccato dalla fuga, per non rischiare che mi prendessero troppo avanti. Ed è andata come volevamo».

La resa (onorevole) di Tadej

Tadej non si abbatte. E’ una corsa. Ha lottato. Forse ha appreso qualche lezione per il futuro. E ha pagato con la sfortuna che ti si attacca quando le stelle hanno già emesso il verdetto in favore di un altro. Non si è mai visto un vincitore di Tour che cade nel giorno decisivo: forse il finale è già scritto in favore di Jonas Vingegaard, ma è stato bello vedere il ragazzino sloveno cercare di opporvisi.

«Sto bene – ha detto tornando sulla caduta – è successo tutto molto in fretta e altrettanto velocemente sono tornato in sella. Qualche graffio, ma sto bene. Ho dato tutto sulla penultima salita, perché avevo ancora speranza. Ma quando sono caduto, ho iniziato a pagare e la motivazione si è un po’ affievolita. Jonas aveva ancora dei compagni di squadra. Ho provato a seguirlo, ma non ci sono riuscito. Erano troppo forti. Volevo reagire, ma non ce la facevo più».

La vittoria numero due di Vingegaard, dopo quella del Granon. Due attacchi, entrambi decisivi
La vittoria numero due di Vingegaard, dopo quella del Granon. Due attacchi, entrambi decisivi

«E’ incredibile – gli ha fatto eco Jonas nel suo racconto – questa mattina ho detto a mia figlia e alla mia ragazza che avrei vinto per loro. L’ho fatto. Ne sono molto orgoglioso. Questo è specialmente per loro. Ero solo felice che la corsa fosse finita perché è stata davvero dura. Sono molto contento di aver vinto, ma mancano ancora due giorni prima di arrivare a Parigi. Quindi è importante rimanere concentrati. Questo Tour lo prendiamo giorno per giorno. Non voglio ancora parlare della vittoria assoluta».

Fra lacrime e abbracci nel giorno di Houle, aspettando scintille

19.07.2022
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Pierrik era fuori a fare jogging nei giorni che portavano al Natale del 2012. Hugo Houle studiava per diventare un agente di polizia e condivideva col fratello minore la grande passione per il Tour de France. Non passava giorno di luglio, senza che si sedessero insieme per seguire quelle immagini che arrivavano da così lontano.

Nel piccolo villaggio del Quebec in cui vivevano non c’era molto da fare, per cui non vedendolo tornare, Hugo uscì per andarlo a cercare. Lo trovò disteso sulla strada, nessuno intorno. Qualcuno lo aveva investito, poi era scappato.

«Questa vittoria è per mio fratello – dice Houle dopo aver vinto la tappa di Foix – non avevo mai vinto, questo era il posto giusto per cogliere la prima. La sua morte all’inizio mi ha distrutto più di quanto abbia aiutato, dopo un po’ invece questo è cambiato. Pierrick ha avuto appena il tempo di vedermi diventare professionista. Ho dovuto aspettare dieci anni, ma finalmente ho centrato questa vittoria per lui. Incredibile, non ho parole per questo».

Le dita al cielo, lacrime e sorrisi. Il canadese è frastornato. Nella tappa che ci ha fatto sperare in Caruso e ha vissuto della grande attesa del duello fra Pogacar e Vingegaard (sicuramente iniziato senza che però la maglia gialla abbia mostrato più di tanto il fianco), il romanzo del canadese in fuga per fare da riferimento a Woods è uno spicchio di storia che merita un racconto.

Cresciuti insieme

Di questa sua voglia di vincere per onorare il fratello, Houle parlava spesso e in gruppo tutti ne erano al corrente. Per questo i corridori che gli sono sfilati accanto hanno colto la profondità dello sguardo e di quella gioia e sono andati a congratularsi con lui.

«Passavamo tutta la mattina – ricorda – a guardare le tappe, ma lui non ha mai avuto la possibilità di venire in Europa. Ho sempre pensato che sia molto triste. Quando cresci insieme, ti somigli per forza. E Pierrick era un po’ come me. Abbiamo iniziato insieme nel triathlon. Avevamo tre anni di differenza, abbiamo corso insieme e all’inizio era più veloce di me.

«Ci piaceva fare sport insieme, con i nostri genitori che ci accompagnavano. Poi dal triathlon sono passato al ciclismo, ma lui dopo un po’ ha lasciato la bici e ha iniziato a giocare a calcio. Era timido, ma davvero intelligente e un gran lavoratore».

Caruso era nella fuga che ha deciso la tappa e ha provato da solo, pagando forse una crisi di fame
Caruso era nella fuga che ha deciso la tappa e ha provato da solo, pagando forse una crisi di fame

Ho provato ad andare in fuga, ma poi mi sono spento. Forse ho sbagliato ad alimentarmi. Almeno ho fatto vedere che ci sono e nei prossimi giorni ci riproverò

Damiano Caruso

Il primo Tour

Il resto della storia sono i sogni che diventano realtà. Il professionismo arrivato come per miracolo. Gli studi interrotti nel 2010 per fare un solo tentativo convinto. La maglia del team canadese Spidertech. Il WorldTour nel 2013 con la AG2R-La Mondiale nel 2013. E poi il primo Tour nel 2019 con la maglia Astana.

«Non ci sono molti ciclisti del Quebec – sorride – quindi è stato un grande momento. E inoltre ero davvero orgoglioso di avercela fatta. Il passo successivo sarebbe stato ottenere un risultato nel Tour e non semplicemente correrlo. E oggi questo risultato è arrivato».

Non è facile trattenere le lacrime. La stessa linguaccia sul traguardo dopo un po’ è diventata un brivido che lo ha scosso e ancora un’ora dopo la vittoria nei suoi occhi continuano a galleggiare le lacrime.

Dopo i tre attacchi di Pogacar, Kuss ha preso in mano la corsa e ha portato Vingegaard all’arrivo
Dopo i tre attacchi di Pogacar, Kuss ha preso in mano la corsa e ha portato Vingegaard all’arrivo

Assaggi di Pogacar

A margine di tutto questo, si segnalano i due scatti in salita di Pogacar e il suo allungo in discesa, con la netta sensazione (probabilmente accentuata dalla facilità d’azione di Vingegaard) che allo sloveno manchi il rapporto.

«Non è stata una brutta giornata – ha detto appena tagliato il traguardo – ma non è stata nemmeno una giornata perfetta. Spero in occasioni migliori. Ho provato le strade, quindi ho un’idea anche delle discese, anche se sarà meglio fare la differenza in salita. Come ho detto già ieri, i prossimi due giorni saranno perfetti per andare a tutto gas».

Il Tour intanto si è preso anche Marc Soler, arrivato fuori tempo massimo, mentre Majka ha dovuto lasciar andare il giovane capitano per un guaio meccanico sull’ultima salita. Vingegaard è parso in totale controllo per tutto il giorno.

«Due corridori in meno – dice Van Aert, che si è rialzato dalla fuga – cambiano la tattica. Soprattutto perché parliamo di Roglic e Kruijswijk. Ma se Jonas ha le gambe che ha avuto nelle ultime due settimane, lavoreremo per portarlo ai piedi delle ultime salite. Per noi la cosa più complicata sarà l’inizio delle tappe, il controllo della situazione».

Domani, nella 17ª tappa da Saint Gaudens a Peyragudes di appena 129,7 chilometri, i primi 53 saranno proprio di pianura. Poi si scatenerà un inferno incandescente sulle rampe di Aubisque, Horquette de Arcizan, Val Louron-Azet e Peyragudes dove nel 2017 Aru strappò la maglia gialla dalle spalle di Froome. Ha ragione Pogacar, domani sarà per lui un’occasione da non lasciar passare invano.

Cannondale: il telaio del Tour è disponibile in edizione limitata

19.07.2022
3 min
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Cannondale ed il team EF Education – Easy Post ci hanno abituato a sorprese particolari e sempre colorate. Quest’anno al Tour ecco l’ennesimo tocco di estro, prima per la Grande Boucle dei pro’ e poi per celebrare il grande ritorno del Tour de France Femmes. Cannondale ha deciso di festeggiare questo grande ritorno con un telaio speciale del suo modello Super Six Evo, che sarà usato anche dal team femminile EF Education-Tibco-Silicon Valley Bank. 

Telaio della Super Six Evo in edizione speciale per il Tour, disegnata da Rapha con la collaborazione di Palace Skateboards
Telaio della Super Six Evo in edizione speciale per il Tour, disegnata da Rapha con la collaborazione di Palace Skateboards

Design by Rapha

Cannondale si è avvalsa della collaborazione tra Rapha e Palace Skateboards, disegnando qualcosa che è destinato a rimanere impresso nella memoria di tutti gli appassionati. Un telaio che vuole celebrare i successi e le fatiche delle donne nel ciclismo. Quello che è ormai un movimento sempre più forte ed audace e che, grazie al ritorno del Tour Femmes, tornerà a far parlare di sé.

Colorazioni e grafiche audaci che in queste prime due settimane del Tour sono state portate, con altrettanto coraggio ed audacia, dai corridori della EF Education – Easy Post, in particolare da Magnus Cort e dal nostro Alberto Bettiol.

Stesse caratteristiche

Le caratteristiche tecniche del telaio in edizione limitata Super Six Evo Hi Mod sono le stesse del modello di serie. E’ un telaio strutturato e pensato per scorrere veloce sui terreni mossi, che unisce velocità, agilità e maneggevolezza. Il design aero dei tubi permette un vantaggio tecnico ad alte velocità non indifferente, si parla di un risparmio di 30 watt a 50 km/h

Il nuovo telaio della Super Six Evo è disponibile in edizione limitata dal 15 di luglio, al prezzo di 4999 euro.

Cannondale

Per Santini una vetrina di lusso nel cuore di Parigi

19.07.2022
3 min
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Non conosciamo ancora il nome di colui che domenica sera indosserà a Parigi il simbolo del Tour de France, la maglia gialla, il trofeo destinato al vincitore della corsa a tappa più famosa al mondo. Quello che però sappiamo con assoluta certezza è che indosserà una maglia gialla firmata Santini.

L’azienda bergamasca sta vivendo in questi giorni un Tour de France da grande protagonista. In un nostro recente articolo, pubblicato proprio alla vigilia della Grand Boucle, vi abbiamo raccontato degli sforzi fatti da Santini per essere pronta per il debutto sulle strade di Francia. Numeri da capogiro a livello di capi realizzati e la presenza di un proprio team per tutte e tre le settimane di gara. 

Ecco il temporary store

Per celebrare l’arrivo del Tour a Parigi, Santini ha deciso di inaugurare un proprio temporary store nel cuore della capitale francese, esattamente nella prestigiosa zona Madeleine (foto di apertura di Charlotte Lindet). Siamo a due passi dagli Champs Elysées dove la corsa avrà il suo epilogo dopo tre settimane davvero entusiasmanti. Il vincitore del Tour avrà l’onore di indossare la maglia gialla avendo come sfondo alle sue spalle l’Arc de Triomphe in uno scenario davvero unico.

L’apertura dello store è solo l’ultimo prestigioso capitolo della collaborazione che si è venuta a creare tra Santini e il Tour de France. Grazie a questa particolare iniziativa un po’ di Italia brilla in questi giorni all’interno del cuore pulsante di Parigi. Lo store si trova infatti nelle vie della moda della capitale francese. 

La maglia gialla, cucita nei laboratori di Santini, verrà indossata dal vincitore sugli Champs Elysées a Parigi domenica 24 luglio
La maglia gialla, cucita nei laboratori di Santini, verrà indossata dal vincitore sugli Champs Elysées a Parigi domenica 24 luglio

Non solo la gialla

In questi giorni e fino a domenica 24 luglio per tutti gli appassionati di ciclismo sarà possibile ammirare le collezioni dedicate al Tour de France, a partire dalla prestigiosa collezione Maillot Jaune. Si tratta di una collezione realizzata da Santini in collaborazione con A.S.O per celebrare l’unicità del Tour de France e l’amore per il ciclismo.

Sono comunque tantissime le collezioni esposte: dai kit dedicati ad alcune tappe del Tour de France, alle repliche dell’iconica maglia gialla e delle altre leader jersey della Grand Boucle. Spazio anche per le collezioni estive e invernali, la linea Gravel, le repliche dei completi in dotazione alla Trek-Segafredo, la linea UCI e i capi dedicati alle atmosfere epiche dell’Eroica.

Il temporary store Santini di Parigi è stato inaugurato lo scorso 14 luglio in occasione della festa nazionale francese e resterà aperto fino al 24 luglio, giorno di conclusione del Tour.

Santini

Vingegaard la sua ombra, ma Pogacar promette spettacolo

18.07.2022
4 min
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«Sul Granon – ammette Pogacar sorridendo – sono stato staccato per la prima volta. Ero sfinito. Avevo dato tutto. La sera ho fatto un’analisi di quello che era successo e mi sono ricalibrato. Non mi sono arreso. Ho mangiato. Ho fatto una bella dormita. E ho cercato di dimenticare».

Inizia così l’ultima settimana del Tour 2022. Vingegaard ha la maglia gialla con i 2 minuti e più, guadagnati in quel giorno sulle Alpi. Pogacar indossa la maglia bianca e deve inseguire: una posizione per lui poco abituale. Ci si chiedeva da più parti come avrebbe reagito alle prime difficoltà e presto lo sapremo. Quello che ha fatto vedere sull’Alpe d’Huez e poi a Mende ha risposto in parte al quesito.

Sul Galibier, dice Pogacar, ha commesso un suicidio, rispondendo agli attacchi e mangiando poco
Sul Galibier, dice Pogacar, ha commesso un suicidio, rispondendo agli attacchi e mangiando poco

Condizione a tempo

Terzo giorno di riposo, conferenza stampa online. Lo schermo è pieno di computer collegati, nessuno vuole perdersi le esternazioni dello sloveno, chiamato a ribaltare la classifica. Quello che fece in un sol giorno nel 2020 senza che nessuno lo aspettasse e che invece adesso tutti gli chiedono.

Il nodo è la condizione e il riposo è il momento perfetto per simili ragionamenti, in attesa che da domani i Pirenei inizino a scolpire sagome più nette.

Vingegaard ha iniziato ad andare fortissimo al Delfinato (5-12 giugno), contro avversari di prima grandezza. A nessuno sfugge il fatto che nell’ultima tappa abbia vinto aspettando abbastanza palesemente il suo capitano Roglic. Al punto di pensare che il leader del Tour sarebbe stato proprio il giovane danese.

Dieci giorni più avanti, Pogacar è andato a rifinire la condizione al Giro di Slovenia (15-19 giugno), dando l’impressione di giocare, ma contro squadre e avversari di cabotaggio decisamente più basso.

Al Delfinato, Vingegaard andava già fortissimo: pagherà nella terza settimana?
Al Delfinato, Vingegaard andava già fortissimo: pagherà nella terza settimana?

Suicidio sul Granon

Chi dei due ha ancora margine di crescita? C’è il rischio che la maglia gialla possa iniziare a perdere smalto? Quello che si è visto finora non va in questa direzione, ma è certo che le prossime salite saranno corse a temperature altissime e ritmi non certo inferiori.

«Sul Granon – riprende Pogacar – mi sono trovato con poca benzina. Ho risposto a tutti gli attacchi. E’ come se avessi fatto dieci volate in salita nello stesso giorno. Mi sono suicidato. Ora dovrò cogliere ogni occasione. Proverò su tutte le salite per riguadagnare più tempo possibile e non avere poi alcun rimpianto. Dipenderà dalle gambe. Se vedrò un’opportunità, andrò a prenderla. E’ il momento di essere forti. L’Alpe d’Huez mi ha ridato fiducia. A Mende la salita era troppo corta e lui era attaccato a ruota. Ma in tre giorni può succedere di tutto e Jonas (Vingegaard, ndr) potrebbe cominciare a essere stanco».

L’Alpe d’Huez ha riportato la fiducia. A Mende, pur su una salita troppo breve, Pogacar ha attaccato
L’Alpe d’Huez ha riportato la fiducia. A Mende, pur su una salita troppo breve, Pogacar ha attaccato

Ad armi pari

Appare sereno. Sa che l’altro è il favorito naturale e questo se non altro semplifica gli schemi: la Jumbo Visma correrà in difesa, la UAE Emirates all’attacco.

«Più o meno – dice – guardando gli uomini, adesso abbiamo squadre simili. Sappiamo quanto sia stato duro fare a meno dei compagni che ci hanno lasciato e se non altro per la Jumbo Visma adesso sarà meno facile. Sui Pirenei sarà un testa a testa. Avremo 50-60 corridori a tutto gas, dalla partenza all’arrivo. Non vedo possibili alleanze, penserò ad andare il più forte possibile. Rischiare il tutto per tutto? E’ pur sempre una corsa. Per cui darò il 100 per cento di tutto quello che posso. Attaccherò. Cercherò di guadagnare. Ma se non dovessi arrivare in giallo, mi consolerò pensando che ho già vinto due Tour e arrivare secondo con la maglia bianca non è tanto male».

Domattina si riparte così, con la sfida fra la maglia bianca (classe 1998) e la gialla (classe 1996)
Domattina si riparte così, con la sfida fra la maglia bianca (classe 1998) e la gialla (classe 1996)

Prima di sabato

Se qualcuno a questo punto starà pensano che il prodigioso sloveno sia sul punto di arrendersi, tirerà un sospiro di sollievo sentendo la chiosa al suo ragionamento. C’è quella crono là in fondo che per lui potrebbe essere un’ancora di salvezza, cui però non vuole pensare.

«Voglio azzerare il gap prima di arrivare a sabato – dice – perché anche lui è forte contro il tempo. Non mi sento di dire quale potrebbe essere un margine per essere capace di batterlo. Conosco il percorso, l’ho fatto due volte. Ma cercherò di riprendere il più possibile in salita».

Tour de France, il terzo riposo e le ultime curiosità

18.07.2022
5 min
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Il terzo riposo ci offre ulteriori spunti e curiosità della tecnica al Tour de France, in vista dei Pirenei, della crono e dei Campi Elisi. Il caldo, la ricerca della leggerezza (non solo in merito alle biciclette) e i tanti prodotti che vedremo disponibili in futuro, sono i veri protagonisti.

Diamo uno sguardo alle immagini che hanno attirato la nostra attenzione nei giorni scorsi.

Una Ultimate tutta nera per Mas

Il fatto che buona parte degli atleti del Movistar Team utilizzi la nuova versione della Ultimate non è più una novità. Carlos Verona e compagni hanno in dotazione una bicicletta di colore azzurro, ma ha attirato la nostra attenzione la bicicletta di Enric Mas. E’ una Canyon Ultimate di nuova generazione, questo è evidente, ma rispetto a quella dei compagni la livrea è nera. Una verniciatura più leggera per lo scalatore spagnolo? Sembrerebbe di si, in quanto la bicicletta appare opaca, senza flatting e vernice.

La nuova Foil RC per Bardet
La nuova Foil RC per Bardet

Bardet con la Foil RC

La vera particolarità non è il nuovo modello di bici di Scott, presentata qualche giorno prima dell’inizio del Tour de France, ma il fatto che Bardet utilizzi una bici aero concept. Al di la dei fattori legati all’immagine e considerando le conoscenze tecniche del corridore francese, abbiamo anche una sorta di conferma della versatilità della nuova Foil. Bardet la sta utilizzando con le ruote Shimano C36 con predisposizione tubolare.

Le calzature super light di Mollema
Le calzature super light di Mollema

Scarpe super ventilate per Mollema

Quelle indossate dall’atleta olandese sono delle Bontrager XXX più leggere grazie a degli inserti in mesh sulla tomaia vicino alla punta e nella zona dell’arco plantare. Non di rado i corridori usano delle scarpe più ventilate e alleggerite per le giornate più calde del Tour de France, talvolta gli stessi prodotti trovano uno spazio anche nei vari listini delle aziende, in altre occasioni la produzione è specifica per gli atleti. Questa versione usata da Mollema non compare nel catalogo Bontrager.

Le ruote bassissime sulla Factor di Fuglsang
Le ruote bassissime sulla Factor di Fuglsang

Le ruote “bassissime” di Fuglsang

Sono le Black Inc, prodotto comunque nell’orbita Factor e avevano già attirato la nostra attenzione al Tour of the Alps, a quel tempo montate soltanto sulla bicicletta di Froome. Sono le Carbon Twenty e sono presenti nel catalogo Black Inc. Hanno il cerchio in carbonio da 20 millimetri con i raggi Sapim in carbonio, hanno la predisposizione al tubolare (montate con gli pneumatici Maxxis). Ancora una conferma a riguardo del fatto che le ruote medie e basse stanno tornando sempre più di moda.

La Prototipo di Pogacar, 6,8 chilogrammi come da regolamento (foto Fizza/UAE)
La Prototipo di Pogacar, 6,8 chilogrammi come da regolamento (foto Fizza/UAE)

La Prototipo “standard” per Pogacar

Le Colnago Prototipo utilizzate dal corridore sloveno non hanno nulla di diverso rispetto a quelle dei compagni, livree cromatiche e setting a parte. Sia quella con tutti i loghi bianchi, che quella utilizzata con le scritte gialle hanno le specifiche tradizionali del modello Prototipo. La bicicletta, con l’allestimento utilizzato da Pogacar, come da regolamento, non scende sotto i 6,8 chilogrammi di peso.

La ricerca del freddo

Ghiaccio dove è possibile, sotto le calze, al di sotto dei pantaloncini e anche i nuovi giubbotti raffreddanti. Prendiamo ad esempio quelli utilizzati da Van Aert e Pogacar, ma la lista di questi accessori è lunga e varia. L’evoluzione è arrivata anche in questo segmento e le soluzioni sono diverse.

Ci hanno colpito quelli utilizzati da Jumbo-Visma e dal corridore sloveno, con alcune zone scaricate e altre dove si posizionano i ghiaccioli, vicino alle sezioni muscolari e lontano dalla parte addominale ed il ventre. Nel caso degli Jumbo, il giubbino è quello prodotto dall’azienda olandese Inuteq ed è il modello Xtreme.

I segni della sudorazione estrema e della fatica
I segni della sudorazione estrema e della fatica

Il corpo che brucia

Solo al termine della tappa e visti da vicino, gli indumenti danno l’idea di quanto il fisico dei corridori è messo sotto stress, per la fatica della prestazione e per mantenere costante la temperatura.

Nella vittoria di Philipsen, il sudore e la passione di Sbaragli

17.07.2022
6 min
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Oggi anche i contadini sono rimasti in casa. Un po’ perché è domenica e un po’ perché sarebbe stato troppo caldo anche per loro. Alfredo Martini era solito raccontare un episodio della vita di Bartali, per cui Gino, vedendo i contadini ingobbiti nei campi alle sei del mattino, rifletteva sulla fortuna di essere corridore. Oggi, sulla strada che da Rodez ha portato i corridori a Carcassonne e ha premiato Jasper Philipsen (in apertura festeggiato e rinfrescato da Pogacar), forse Gino avrebbe trovato modo di aggiungere una postilla.

«Oggi era caldo caldo – dice Sbaragli contento – nella prima parte c’erano discese in cui l’asfalto era diventato catrame ed entrando nelle curve, non sapevi se le ruote avrebbero avuto grip. I massaggiatori ci hanno detto che la macchina ai rifornimenti diceva 47 gradi. Di sicuro eravamo a 40…».

Al Tour per aiutare, Sbaragli è stato finora una pedina chiave della Alpecin
Al Tour per aiutare, Sbaragli è stato finora una pedina chiave della Alpecin

La rivincita di Philipsen

La tappa l’ha vinta dunque. Jasper Philipsen, venuto a Carcassonne a prendersi la rivincita dopo il terzo posto del 2021. Conosceva l’arrivo e lo conoscevano anche i suoi compagni. Abbastanza da indovinare il lato giusto della strada, gestire alla grande il finale e l’inseguimento a quel diavolo di Benjamin Thomas, che di situazioni incandescenti se ne intende.

«E’ davvero incredibile – ha detto il belga della Alpecin-Deceuninck, 24 anni – sentivo che Van Aert si stava avvicinando, ma ricordavo ancora il traguardo dall’anno scorso. Prima dell’ultima curva, io e la mia squadra eravamo un po’ indietro e sapevo di avere ancora alcune posizioni da recuperare.  Cercavo questa vittoria da molto tempo. Come squadra abbiamo anche lavorato molto duramente per questo, quindi sono davvero orgoglioso di quello che abbiamo fatto».

Sbaragli è al settimo cielo. Quando parla, trasuda fatica e passione. E’ caldo da fondere. Lucido. Sollevato, come quando una vittoria porta via lo stress di una corsa che va a cercarsi da sé i guai e poi li piange. E oggi al Tour scene di follia si sono succedute senza ragioni apparente, se non lo stress che li divora ogni giorno di più. Si somma alla fatica. E trasforma le strade in una bolgia.

Racconta, allora…

Ci voleva, s’è vinto nel giorno giusto. Domani si riposa e così ce la godiamo meglio. La stagione era già positiva e qui al Tour eravamo partiti per Van der Poel che stava bene. Poi ha avuto dei problemi fisici ed è andato via. A quel punto ci siamo guardati e abbiamo deciso di dimostrare che questa squadra è più di Mathieu. Lui resta il nostro capitano, nulla da togliere, ma volevamo dimostrare che si può vincere anche senza di lui.

Anche oggi il gruppo ha rischiato di essere fermato dalla protesta di ambientalisti
Anche oggi il gruppo ha rischiato di essere fermato dalla protesta di ambientalisti
Quindi siete partiti per arrivare in volata?

La tappa non era facile: 2.500 metri di dislivello, su e giù in avvio e quella salita nel finale. L’obiettivo era arrivare in volata, ma al Tour non è mai facile mettere tutti d’accordo. L’altro giorno a Saint Etienne ci è scappata di mano la fuga e siamo passati da bischeri. Non solo con i giornalisti, anche alcuni amici miei. «Ma dove volevate andare?», mi hanno detto. Non erano facili da prendere, ma bastava che la Bike Exchange tirasse da prima e Caleb Ewan non cadesse, che magari ce la giocavamo. Per questo stamattina eravamo più motivati che mai. Ieri abbiamo risparmiato il possibile, stamattina eravamo cattivi. Si può vincere o perdere, ma avendo dato il massimo.

Eppure quasi quasi eravate ancora soli…

Prima della salita finale, la Trek è venuta a dirci che l’avrebbero fatta forte, perché volevano fare fuori Jakobsen e Groenewegen. A noi stava bene. Io sono rimasto vicino a Jasper e ha funzionato. E anche se Groenewegen e i suoi sono rientrati ai meno 20, Jasper stava sicuramente meglio.

L’aiuto della Trek è stato decisivo per riprendere la fuga e tagliare fuori altri velocisti
L’aiuto della Trek è stato decisivo per riprendere la fuga e tagliare fuori altri velocisti
Tutto secondo i piani?

Ci vuole anche un capellino di fortuna. Pedersen infatti aveva già vinto, altrimenti avrebbero usato quella salita per fare un attacco e sarebbe stata difficile da gestire. Non è un Tour scontato per chi fa le volate. Questa era la terza e comunque davanti siamo rimasti in 60, non c’era il gruppo compatto.

Come spieghi le cadute di Vingegaard e anche di Kruijswijk?

Secondo me sono provocate dagli stessi corridori. C’è uno stress che non capisco. Quando è caduto Vingegaard, era un momento che tutti quelli di classifica volevano essere davanti. E’ vero che cominciava la salita, ma tiravamo noi dei velocisti, che problemi avrebbero potuto mai avere i primi dieci della generale? Invece vogliono stare davanti con cinque uomini ciascuno, quindi parliamo di 50 corridori che di botto vogliono stare in testa al gruppo. E poi ci siamo noi che lavoriamo per i velocisti.

Giornata storta per Vingegaard, che in un sol giorno ha perso Roglic e Kruijswijk
Giornata storta per Vingegaard, che in un sol giorno ha perso Roglic e Kruijswijk
Un problema di spazio, insomma…

Che genera uno stress controproducente, perché poi cadono loro e oggi ci sono stati ritiri importanti e anche fratture (Kruijswijk è andato a casa con una clavicola rotta, ndr). Magari mi sbaglio, ma sono meccanismi inutili.

Come la Ineos che di colpo è venuta davanti?

Quelle sono dinamiche che possono cambiare i finali. C’erano i due in fuga e noi si tirava per prenderli. Va bene, non sarebbero mai arrivati perché nel finale la nostra accelerazione sarebbe stata superiore, tutto quello che volete… Ma se va davanti una squadra che vuole solo stare lontana dai guai, magari tirano meno e la fuga arriva. Ormai il ciclismo è così, non si cambia domani. E’ stressante. E se lo fa una squadra, lo fanno tutte. Succede in tutti i Giri, ma qui al Tour è esasperato.

Stasera si brinda?

Sì e ci voleva. E poi pensiamo alle prossime due occasioni, che sono venerdì e domenica a Parigi. Jasper sta bene, quindi perché non provarci?

E tu proverai ad andare ancora in fuga?

Ho provato il giorno di Megeve, ma il livello è altissimo. Per cui se mi trovo davanti con gente che nei giorni precedenti non ha tirato come me, è difficile starci dentro. Mi è piaciuto essere in testa martedì scorso, ma sulla salita finale avevo le polveri bagnate. Sono venuto qui per aiutare e devo dire che in giornate come questa è proprio gratificante.