Nuova Cervélo R5, successi a ripetizione da più di 20 anni

05.09.2025
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Cervélo, rinnova una delle sue bici leggendarie e più vincenti, la R5. Sbirciata in qualche occasione al Delfinato, alla Grand Boucle (maschile), ha raggiunto il gradino più alto del podio (insieme alla S5) al Tour de France donne, al fianco di Pauline Ferrand Prevot.

Ancora una volta numeri che lasciano a bocca aperta. Il telaio è dichiarato a 651 grammi di peso, addirittura nella taglia 56, con una forcella da 298. Rispetto alla versione precedente, il frame-kit ha subito una cura dimagrante di ben 326 grammi. C’è molto altro. Ecco la nuova R5 nel dettaglio.

La nuova R5 vince il Tour de France Femmes 2025
La nuova R5 vince il Tour de France Femmes 2025

Non è solo questione di telaio e forcella

Come per la nuova R5, Cervélo adotta un concetto differente che include ogni componente della bicicletta. A partire dalla geometria, passando per il manubrio, fino ad arrivare alle ruote. Tutto è sviluppato per fare scendere il peso e garantire performance di livello superiore, senza stravolgere la naturale propensione alla salita.

Se pur le quote geometriche sono del tutto accostabili alla versione precedente, la nuova Cervélo R5 è stata rivista nel design della scatola centrale. Questo gli permette di far alloggiare pneumatici anche da 29 millimetri. Nonostante questo fattore, la nuova R5 mantiene un passo piuttosto ridotto, con valori compresi tra i 97,68 centimetri della misura 48, fino ad arrivare ai 102,45 della taglia 61 (in tutto le taglie disponibili sono 6). Il valore comune a tutte le misure è la lunghezza del carro posteriore, 41 centimetri. Le ruote Reserve 34/37 SL sono state disegnate in parallelo con la bici. E poi c’è il manubrio One-Piece (un blocco unico) HB18, con un risparmio di peso che sfiora i 150 grammi ed aumenta l’efficienza aerodinamica. Comodo e rigido, sicuramente veloce e anche piacevole da utilizzare sulle lunghe distanze.

Allestimenti e prezzi

I montaggi a catalogo sono 5, ai quali si aggiunge il kit telaio. Spicca l’allestimento Red XPLR AXS 1, ovvero la bici con la monocorona anteriore, con tutta probabilità la prima vera bici da salita che entra in catalogo con la trasmissione 1X. Ci sono le due top level con Shimano Dura-Ace e Sram Red, mentre un gradino più in basso troviamo i montaggi Ultegra e Force. Il kit telaio prevede: telaio e forcella, serie sterzo, manubrio e reggisella, quest’ultimo a zero off-set per tutte le versioni.

I prezzi non sono per tutti, ma rientrano in questa fascia di mercato. Ci vogliono 12999 euro per i tre allestimenti top di gamma (disponibili nella sola combinazione nero/bronzo) e 8999 euro per Ultegra e Force (invece disponibili con una doppia combinazione della livrea cromatica, nero/bronzo e nero/silver). Il frame-kit ha un listino di 5699 euro.

Cervélo

Lidl-Trek, l’anno dei punti. Con Bennati fra Giro, Tour e Vuelta

03.09.2025
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Pedersen al Giro, poi Milan al Tour e ora di nuovo Pedersen, che guida la classifica a punti della Vuelta con 9 lunghezze di vantaggio su Vernon (in apertura Mads con la sua maglia verde, accanto a Vingegaard in rosso). Per la Lidl-Trek non sarà ancora la stagione dei record, ma la prospettiva di portare a casa le tre maglie è certo interessante. E allora ci siamo chiesti quali differenze ci siano nella lotta per la classifica punti fra Giro, Tour e Vuelta. E ci è venuto in mente di chiederlo a Daniele Bennati, che ha vinto la maglia verde spagnola nel 2007, la ciclamino del Giro nel 2008. Era invece terzo nella classifica a punti al Tour del 2006, dietro McEwen e Freire, quando una caduta lo rispedì a casa a cinque tappe dalla fine. In aggiunta, Bennati fu uno dei primi corridori nel 2011 a firmare per l’allora Leopard Trek di Luca Guercilena, restandoci per due stagioni con 7 vittorie, che anni dopo sarebbe diventata l’attuale Lidl-Trek.

«Senza dubbio la maglia verde al Tour – dice il toscano – è quella più difficile da conquistare. Devo essere sincero, nel 2006 ero abbastanza vicino a McEwen. Probabilmente non l’avrei vinta, però me la sarei giocata. Caddi nella discesa del Telegraphe dopo aver scalato il Galibier e dovetti tornare a casa prima. In termini di difficoltà la maglia verde al Tour è molto più complicata rispetto al Giro e alla Vuelta, ma è inevitabile che per vincerle bisogna andare super forte in tutti e tre».

Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
Bennati ha vinto la maglia a punti di Giro e Vuelta. Nel 2006, secondo dietro Boonen in giallo, indossò la verde per un giorno
A parte la caduta del 2006, nel 2007 hai vinto due tappe al Tour, ma arrivasti sesto nella classifica a punti. Come mai la verde era così ostica per te?

Ero una vera frana nei traguardi volanti, penso di non averne mai vinto uno in vita mia e di aver perso anche contro corridori che sulla carta erano molto meno veloci di me. Questo mi ha penalizzato molto al Tour, perché gli sprint intermedi sono sempre molto importanti per conquistare la maglia verde, oltre al vincere le tappe e fare tanti piazzamenti. Io vinsi due tappe e poi feci un sesto e un quarto posto. Petacchi ad esempio conquistò la maglia nel 2010, vinse due tappe, ma per cinque volte entrò nei primi tre. Quando va così, sei avvantaggiato, perché un po’ puoi disinteressarti dei traguardi volanti.

Puoi tornare sul tuo essere una frana negli sprint intermedi?

Non avevo la capacità di fare la volata a metà tappa. Forse un problema di motivazione, ma non riuscivo a dare tutto me stesso nei traguardi volanti. Per vincere la maglia verde al Tour devi avere anche la capacità di sprintare dopo 20 chilometri oppure dopo 80 e questo sicuramente Milan ce l’ha nelle sue corde. Ne ha vinti diversi e questo è sicuramente un valore aggiunto, forse perché, essendo un pistard, ha la capacità di andare fuori giri anche dopo pochi chilometri.

Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
Al primo Tour, dopo due ciclamino al Giro, Milan ha vinto due tappe e la maglia verde
C’è differenza nella lotta per la classifica a punti fra i percorsi dei tre Grandi Giri?

Quando ho vinto la maglia a punti della Vuelta, fino all’ultima tappa non l’avevo ancora indosso. Negli anni il regolamento è cambiato. In quel 2007, le tappe di montagna e quelle di pianura davano lo stesso punteggio. Per noi velocisti diventava ancora più complicato. Io avevo vinto tre tappe, però mi ricordo che in quella finale di Madrid la maglia verde ce l’aveva Samuel Sanchez. Anche lui aveva vinto tre tappe, quindi era più avanti di me. Riuscii a conquistare la maglia a punti battendo Petacchi su quell’ultimo arrivo.

Invece al Giro?

Nel 2008 davano gli stessi punti per le tappe pianeggianti rispetto a quelle di montagna. Ricordo che Emanuele Sella aveva vinto anche lui tre tappe e un giorno venne a dirmi: «Stai attento, Benna, perché ti rubo la maglia ciclamino!». Infatti arrivò secondo nella cronoscalata di Plan de Corones e ci ritrovammo molto vicini nella classifica a punti (51 punti, ndr). Per fortuna nelle ultime tappe feci anche qualche altro piazzamento in tappe intermedie e mi salvai. Ma il fatto di avere per tutte le tappe lo stesso punteggio faceva sì che dovessimo lottare contro quelli di classifica e chi vinceva le tappe di montagna. Magari dalla mia c’era il fatto che essendo più veloce rispetto a quelli di classifica, qualche traguardo volante andando in fuga potevo vincerlo e comunque portare a casa un po’ di punti.

Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Dopo la maglia a punti alla Vuelta del 2022, Pedersen ha conquistato la ciclamino all’ultimo Giro
Quindi, che si tratti del Giro, del Tour o della Vuelta, la maglia a punti non viene per caso, ma c’è da studiare il modo per conquistarla?

Esatto. Dosando il lavoro dei compagni in rapporto al percorso della tappa. Giusto la UAE Emirates fa eccezione, ma solo perché hanno Pogacar e quando c’è lui, non portano il velocista. Anche perché Tadej volendo potrebbe vincere anche la maglia a punti. Per il resto si studiano i percorsi e si mette a punto la miglior strategia per portare a casa la maglia a punti. 

La Lidl-Trek al Tour aveva soltanto Milan, data la caduta di Skjelmose. Al Giro e alla Vuelta ha Pedersen e Ciccone, dovendo aiutarli entrambi. Un super lavoro?

Se in squadra c’è l’uomo di classifica, il velocista deve accontentarsi di un paio di compagni. Ormai le squadre sono attrezzate e possono reggere insieme l’uomo di classifica e il velocista. Poi, come per Pogacar, dipende anche dal livello dell’uomo di classifica. Quando a fine carriera ho corso per Contador, non c’era maglia a punti che reggesse: si tirava per lui e basta.

Salvate il soldato Remco (che riparte dal Tour of Britain)

02.09.2025
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Woodbridge è un paese di undicimila abitanti della contea del Suffolk, in Gran Bretagna, che oggi darà il via al Lloyds Bank Tour of Britain. L’ultima corsa della carriera per Geraint Thomas, quella del rientro per Remco Evenepoel. Anche ieri pioveva, sembra che lo faccia ogni giorno. Per questo i campi e i giardini sono gonfi di un bel verde fradicio.

A volte i tasselli del puzzle si mettono a posto da soli. La riflessione fatta nell’Editoriale di ieri sull’estremizzazione delle preparazioni, già denunciato dalla signora Vingegaard, teneva conto anche del caso di Remco, smagrito e svuotato nel tentativo di rincorrere Pogacar. La sua storia recente avvalora la tesi. Magari non tutti, ma tanti stanno esagerando, avendo per riferimento un campione così speciale da rappresentare un’eccezione, cercando di farne la regola. Finirà che un giorno anche Pogacar dovrà arrendersi a se stesso, quando si renderà conto di non poter più reggere il confronto con le sue imprese.

Evenepoel e Pogacar si sono incontrati all’Amstel, in cui Remco è arrivato terzo. Ma già Freccia e Liegi hanno scavato il solco
Evenepoel e Pogacar si sono incontrati all’Amstel, in cui Remco è arrivato terzo. Ma già Freccia e Liegi hanno scavato il solco

Ritirato per sfinimento

Evenepoel era sparito dai radar ritirandosi dal Tour. Arrivò quasi ai piedi del Tourmalet e alzò bandiera bianca, dopo aver subito l’onta di essere ripreso da Vingegaard nella crono di Peyragudes. Va bene che il danese è più scalatore di lui e quella tappa aveva l’arrivo sul celebre muro, ma voi lo capite che cosa abbia significato un momento del genere per il campione che ha vinto mondiali e olimpiadi a crono?

Remco non aveva particolari malattie, se non l’essere spossato, svuotato, sfinito. Spiegandolo ai media alla vigilia della corsa britannica, ha detto di non essersi mai riposato del tutto prima della sfida del Tour.

Tour de France, 14ª tappa: a circa 100 km dall’arrivo, Evenepoel, sconsolato, si ritira (immagine tv)
Tour de France, 14ª tappa: a circa 100 km dall’arrivo, Evenepoel, sconsolato, si ritira (immagine tv)

Necessità di staccare la spina

Così si è fermato, come riesce a fare chi può scegliere. A fine luglio ha messo per due settimane la bici in un angolo e si è rifugiato a casa sua in Belgio. Il padre, intervistato da l’Avenir, ha spiegato come fosse completamente esausto e avesse la necessità assoluta di staccare la spina. Il suo allenatore Koen Pelgrim, che ha fornito ovviamente una versione edulcorata, ha detto che Remco ha ricaricato le batterie per essere pronto mentalmente e fisicamente per l’ultima parte della stagione. Sarebbe suonato strano se anche lui avesse ammesso che il campione è stato spinto oltre la sua capacità di sopportazione.

Remco era talmente svuotato da aver saltato per la prima volta dopo tre anni la R.EV. Ride, il raduno dei suoi fan che si tiene ogni anno al Castello di Schepdaal. «Dal punto di vista medico – ha detto ancora suo padre a l’Avenir – non era pronto a correre con tutti gli altri. Ed è anche positivo per lui resettarsi completamente. La gente capirà».

Prima del ritiro dal Tour, la resa nella crono di Peyragudes: Vingegaard, partito 2′ prima, lo riprende e lo salta
Prima del ritiro dal Tour, la resa nella crono di Peyragudes: Vingegaard, partito 2′ prima, lo riprende e lo salta

A Livigno, in silenzio

Allo stato di prostrazione fisica, luglio ha aggiunto la notizia del passaggio di Evenepoel alla Red Bull-Bora-Hansgrohe, che ha fatto parecchio rumore. Anche il modo in cui la Soudal Quick Step lo ha annunciato non ha contribuito a distendere gli animi. In ogni caso, quattro giorni dopo, Evenepoel è arrivato a Livigno per riprendere la preparazione, in vista di mondiali ed europei: cronometro e strada.

A parte il suo staff, nessuno sa in che modo il belga abbia lavorato. Contrariamente a quanto accade ormai per consuetudine infatti, Remco non ha condiviso alcuna attività su Strava. L’unica informazione è venuta dal suo allenatore che ha parlato di volumi di lavoro a bassa intensità.

Il tassello finale del puzzle, che fa capire come non si sia trattato di uno stop dovuto a un trauma o una malattia, lo ha fornito Lefevere, che è sempre stato il padre putativo di Evenepoel. Ha ammesso al podcast Derailleur di non aver avuto a lungo contatti con il ragazzo. «Mi ha detto che ci rivedremo – ha raccontato – quando la tempesta si sarà calmata. Non voglio disturbarlo in questo momento. Il cambiamento di squadra non lascia mai nessuno indifferente, porta sempre un po’ di stress».

Sfrontato, potente e spensierato: così Evenepoel con Lefevere dopo la prima Liegi vinta nel 2022 (foto Wout Beel)
Sfrontato, potente e spensierato: così Evenepoel con Lefevere dopo la prima Liegi vinta nel 2022 (foto Wout Beel)

La maledizione del Tour

In questa stagione che lo ha visto rientrare vincendo la Freccia del Brabante dopo aver sistemato le tante fratture dell’incidente in allenamento, Remco ha di fatto conquistato tre vittorie in altrettante cronometro: al Romandia, al Delfinato e al Tour. Prima della Grande Boucle, gli annunci sulla sua magrezza e gli ottimi valori si sono infranti su un’altra evidenza. Ora che (forse) si è capito che esiste un limite o in attesa che anche la Red Bull provi a fare di lui l’anti Pogacar, quello che sarebbe auspicabile per Remco sarebbe il ritorno alla spensieratezza. La stessa che gli ha permesso di ottenere le vittorie più belle e che è sparita da quando il Tour è entrato nella sua vita. Il podio del 2024 ha fregato anche lui. Il timore per chi lo conosce è che nel tentativo di cambiargli il dna, finiranno col cambiargli anche l’anima.

Torino, la “fiesta roja” sta per cominciare

19.08.2025
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Torino capitale del ciclismo. Nessuna città prima d’ora aveva ospitato in appena 476 giorni tutti i tre Grandi Giri. E la Gran Salida della oramai imminente Vuelta di Spagna segnerà un record difficile da battere. La tappa inaugurale del Giro d’Italia 2024, terminata di fronte alla Gran Madre e vinta da Narvaez, poteva sembrare abituale visto il legame tra Rcs Sport e il capoluogo piemontese. Mentre la storica vittoria di Biniam Girmay nella terza frazione del Tour de France di poco più di un mese dopo ha regalato un’istantanea difficile da ripetere.

Nel 2024, Girmay ha vinto la terza tappa del Tour a Torino e poi altre due
Nel 2024, Girmay ha vinto la terza tappa del Tour a Torino e poi altre due

Si inizia giovedì

Dall’amore infinito rosa alla marea gialla, fino ad arrivare alla passione rossa che sta cominciando a travolgere Torino nei giorni delle ferie d’agosto. I richiami alla Vuelta cominciano a far capolino soprattutto in centro, dove sono comparse diverse biciclette rosse con la scritta Torino. Così come i lanci sui social network per la grande festa che comincerà giovedì sera con la presentazione delle squadre nella cornice di Piazzetta Reale. Se per la sfilata di Vingegaard, Almeida, Ciccone e le altre stelle al via bisognerà aspettare le 19,30, lo spettacolo si aprirà alle 17. Prima con una lezione di spinning collettiva, seguita dal dj set (17,45) che farà crescere l’aspettativa per l’uscita delle 22 squadre insieme all’esibizione del cantante spagnolo Antonio Orozco.

«Il fatto che Torino abbia fatto questa scelta – commenta l’assessore allo Sport e ai Grandi Eventi, Mimmo Carretta – insieme a Regione Piemonte e a tutte le istituzioni come la Camera di Commercio e il Governo, fa parte di una strategia che vede la bicicletta al centro. Non si tratta soltanto di un appuntamento dal punto di vista sportivo. Attraverso i grandi eventi sportivi vogliamo favorire un certo tipo di mobilità, sottolineato anche dallo sforzo che si sta facendo per ampliare le piste ciclabili e le campagne che stiamo facendo su Torino. Dietro questi tre Grandi Giri nella nostra città, c’è uno sforzo organizzativo enorme. Tra l’altro la Vuelta arriva in un periodo anomalo, ma che regalerà tanto sport. A fine mese sono in programma anche i Mondiali di twirling e il torneo internazionale di volley maschile in un palazzetto di solito abituato alle manifestazioni del ghiaccio come il Palavela».

L’anno scorso sul traguardo di Torino, Narvaez ha battuto Pogacar
L’anno scorso sul traguardo di Torino, Narvaez ha battuto Pogacar

Sabato da Venaria Reale

Tornando in sella, sabato 24 agosto tutti gli occhi saranno puntati sulla Reggia di Venaria Reale. Essa fu già teatro dello start del Giro dello scorso anno, così come della cronosquadre del 2011 vinta dalla Htc-Hirghroad di Pinotti che si vestì di rosa nel cuore di Torino. Stavolta si arriverà a Novara (183 km), ma il percorso iniziale celebrerà il capoluogo piemontese, con il km 0 posto di fronte al monumento celebrativo di Fausto Coppi, dinnanzi al Motovelodromo intitolato al Campionissimo.

«Si taglierà in lungo e largo Torino – aggiunge Carretta – partendo da Venaria. La scelta di collocare il km 0 al Motovelodromo, ovvero un luogo di rinascita e rigenerazione urbana sociale e sportiva, vuole segnare la prima tappa in modo forte e iconico. L’appetito vien mangiando e vedremo cosa ha in serbo il futuro».

Davanti al Motovelodromo di Torino campeggia il monumento a Fausto Coppi
Davanti al Motovelodromo di Torino campeggia il monumento a Fausto Coppi

Libri, musica e gara di biglie

Programma fittissimo nella rinnovatissima ultracentenaria casa del ciclismo torinese di corso Casale, con la possibilità di fermarsi a seguire la tappa sul maxi schermo allestito per l’occasione. Il sabato si aprirà con la presentazione del nuovo libro di Beppe Conti “C’era una Vuelta” e si chiuderà alle 21 con il concerto dei Cane Vecchio Sa-Und, la pazza band creata dai telecronisti di Eurosport Luca Gregorio e Riccardo Magrini.

Sarà un continuo di eventi dal raduno della tribù di appassionati di Fantacycling (con tanto di gara di biglie) ad ospiti speciali come il “padrone di casa” Fabio Felline. Il vincitore della classifica della maglia verde nel 2016 e di recente tornato in gruppo, aveva annunciato il ritiro proprio al Motovelodromo nel dicembre dello scorso anno.

Lo scorso anno Felline annunciò nel Motovelodromo di Torino il ritiro, che poi è… rientrato
Lo scorso anno Felline annunciò nel Motovelodromo di Torino il ritiro, che poi è… rientrato

Una spesa di 4,5 milioni

Non solo Torino però, la festa per tutto il Piemonte durerà fino al 26 agosto. Domenica 24, infatti, la corsa spagnola proseguirà con una tappa che potrebbe già smuovere la classifica, visti gli insidiosi 157 km che da Alba portano a Limone Piemonte. Poi ancora le frazioni di lunedì 25 con la partenza da San Maurizio Canavese e il traguardo posto a Ceres (139 km). E martedì 26 con il via da Susa prima dello sconfinamento in Francia verso Voiron (192 km).

Già da diversi anni la Regione Piemonte ha puntato fortissimo sul ciclismo. Per portare questo bel pezzo di Vuelta in Italia ha investito 4,5 milioni di euro, forte del successo di pubblico del 2024, stimato in 300 mila persone per la Corsa Rosa e 75 mila per la Grande Boucle. Ricadute che, come ha dichiarato il presidente Cirio, hanno portato a un impatto economico di oltre 34 milioni (27,5 per il Giro e 6,88 per il Tour). Di fatto, sottraendo la spesa sostenuta dalle istituzioni, si è calcolato che ogni euro investito ne ha generati circa 8.

In meno di due anni, Torino ha ospitato il via del Giro, una tappa iniziale del Tour e da sabato la Vuelta
In meno di due anni, Torino ha ospitato il via del Giro, una tappa iniziale del Tour e da sabato la Vuelta

Sport, cultura e turismo

Lo scorso anno erano stati celebrati scorci come l’Alessandrino, il Monferrato o l’Astigiano. Questa volta la Regione ha voluto valorizzare terre come il Canavese, le Valli di Lanzo, il Novarese e la parte di “Provincia Granda” del Cuneese non coinvolta nel 2024.

«Ospitare la partenza ufficiale della Vuelta di Spagna 2025 – dichiara Cirio – rappresenta per il Piemonte un’occasione straordinaria di visibilità globale. E‘ anche un riconoscimento al nostro impegno nel promuovere lo sport e il territorio. Dopo il Giro e il Tour, con questa tappa completiamo un percorso che conferma la nostra regione come polo internazionale di eccellenza ciclistica. Sarà un evento che unirà sport, cultura e turismo. Capace di valorizzare le nostre bellezze naturali, storiche ed enogastronomiche. E offrendo a milioni di telespettatori nel mondo la possibilità di scoprire il Piemonte in tutta la sua unicità». La fiesta roja è appena cominciata.

Thomas è pronto a dire basta. Storia di un’icona del Galles

17.08.2025
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«Non so che cosa farò, dal prossimo inverno – afferma Geraint Thomas – potrei restare alla Ineos Grenardiers, mi hanno già illustrato alcuni ruoli che potrei ricoprire, oppure potrei trovare spazio fra i media, ma ci penserò a tempo debito. Quel che conta è non perdermi più compleanni, matrimoni, feste… Voglio esserci per la mia famiglia, ho perso troppo in questi anni».

Il campione gallese ha le idee chiare a proposito della sua intenzione di ritirarsi a fine stagione. Lo aveva preannunciato all’inizio, anzi già nel 2023 aveva fissato l’appuntamento per quest’anno, in fin dei conti quasi 20 anni in sella nel mondo del ciclismo sono sufficienti. Anni passati fra grandi vittorie e numerose avventure: due volte campione olimpico e tre volte campione del mondo con il quartetto dell’inseguimento e soprattutto il Tour de France conquistato nel 2018: «Fin da bambino sognavo di partecipare al Tour e alle Olimpiadi e di vincere. Ma averlo fatto è stata una follia».

Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente
Thomas inizialmente era gregario di Froome e nel finale di carriera è tornato a fare il luogotenente

Lasciare o non lasciare?

E’ anche questo che rende il suo addio dalle due facce. E’ chiaro, la voglia di staccare ci sia e Geraint non lo ha mai negato, ma sotto sotto quella scintilla ancora arde: «Lasciare è bello e brutto allo stesso tempo. Ci pensi, dici di sì, non vedi l’ora che arrivi quel fatidico ultimo metro. Ma poi quel metro diventa sempre più vicino e ti chiedi se non potevi tirare ancora un pochino avanti. Io mi trovo su quest’altalena da inizio stagione, passano nella mia testa infinite sensazioni, ma non cambio idea…».

Non è solamente una questione di età (Thomas ha 39 anni), ma influiscono anche altri fattori. Innanzitutto gli equilibri familiari e uno sport che giorno dopo giorno diventa più pericoloso. Poco tempo fa, in un programma televisivo nel suo Galles, Geraint raccontava proprio insieme a Sara Elen un episodio risalente al Tour 2015: «Tappa numero 16. In discesa dal Col de Mause Barguil sterza all’improvviso e m’investe. Io vado contro un palo del telegrafo, sterzo e finisco oltre la ringhiera, sparendo dalla vista sul ciglio della strada».

Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)
Geraint con sua moglie Sara Elen, giornalista. I due hanno un figlio, Macsen (foto Wales Online)

La paura di un grave incidente

«Io all’epoca lavoravo per S4C, un’emittente locale in lingua celtica. Ero in diretta, ma avevo visto quelle immagini, ero sconvolta. Ho iniziato a piangere in diretta perché nessuno sapeva dirmi che cosa gli fosse successo. Sinceramente non voglio vivere più nella paura di simili incidenti».

E’ tutto? No, probabilmente c’è anche la cruda analisi di un ciclismo che si evolve sempre più e che per Thomas è diventato ormai troppo pesante. A tal proposito è curioso un episodio, sempre raccontato dal campione gallese, che risale all’ultima Liegi-Bastogne-Liegi.

Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)
Due ori olimpici per Thomas nel quartetto, a Pechino 2008 e Londra 2012 (foto Getty Images)

«Ma deve parlarmene proprio ora?…»

«Andavamo già fortissimo, leggevo 400 watt di media quando da dietro sento: “Ciao G.Thomas”. Mi volto ed era Pogacar. Si mette al mio fianco e inizia a parlarmi, a raccontarmi di un orologio che ha visto e che vuole assolutamente comprarsi il giorno dopo. Io lo guardo e poi guardo il computerino: andavamo a 420 watt! Ho pensato: “Ma vuoi parlarne proprio ora? Io devo rimanere concentrato sulla respirazione se non voglio perdere il ritmo e farmi staccare…”. Ecco perché Tadej è proprio di un’altra categoria».

Di incidenti Geraint ne ha vissuti tanti, sin dal febbraio 2005 quando durante un allenamento su pista a Sydney, per la Coppa del Mondo, vide un pezzo di metallo della bici di chi gli era davanti staccarsi, farlo cadere e penetrare nel suo addome, causandogli un’emorragia interna e la rottura della milza, poi asportatagli. Oppure come al Tour del 2013, quando nella prima tappa una caduta gli costa la frattura del bacino, eppure Geraint tira avanti e quel Tour lo porta a termine. Chiude 140°, nella squadra che scorta Froome alla maglia gialla, ma tutti lo festeggiano come se avesse vinto lui.

Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)
Portabandiera ai Commonwealth Games, dove ha vinto nel 2014 l’oro in linea. Terzo invece nel 2018 a cronometro (foto Getty Images)

Il trionfo giallo del 2018

D’altro canto la sua carriera resta legata strettamente al Tour, soprattutto a quell’edizione del 2018 dov’era partito come luogotenente di Froome, reduce dal trionfo al Giro d’Italia. Che il gallese fosse in forma si era ben capito con la vittoria al Delfinato e la conquista del titolo nazionale a cronometro, infatti lo staff del Team Sky vedeva in lui l’alternativa, il piano B. E la caduta di Froome nelle prime fasi costa a quest’ultimo un cospicuo distacco. Thomas a quel punto prende in mano le redini della squadra, nella tappa di La Rosiere va a prendere i fuggitivi e rivali Nieve e Dumoulin e si aggiudica la frazione vestendo la maglia gialla, ripetendosi il giorno dopo sull’Alpe d’Huez.

«Di quanto fosse importante quel che avevo fatto – raccontò in seguito Thomas – ne ho avuta l’esatta percezione qualche tempo dopo, quand’ero in vacanza in America ed ero andato con la famiglia a visitare il carcere di Alcatraz. Un tizio mi ha riconosciuto e lo ha detto agli altri, ho capito allora come quel simbolo della maglia gialla sia davvero iconico e riconosciuto a qualsiasi latitudine».

L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018
L’attacco a La Rosiere, che porterà il gallese del Team Sky a vestire la maglia gialla al Tour 2018

L’ultima pedalata nella sua Cardiff

Geraint è pronto. Resta da scrivere solo l’ultima pagina e il gallese sa anche dove farlo: al Tour of Britain, che si concluderà nella sua Cardiff: «Chiudere la mia carriera tornando a casa, davanti alla mia gente, sarà il più bello degli addii possibili. Vent’anni con gli occhi fissi davanti, guardando la strada, credo siano più che sufficienti. Ora voglio guardare il mondo da un’altra prospettiva».

Jordan Jegat, un gioiello scoperto all’ultimo Tour

15.08.2025
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Quanto può valere un 10° posto al Tour de France? Molto, se sei francese e soprattutto se militi in una delle poche squadre professional invitate alla Grande Boucle per smuovere le acque. La top 10 di Jordan Jegat, il transalpino della TotalEnergies è stata una delle grandi sorprese dell’edizione di quest’anno e unita a quella di Vauquelin e all’unica vittoria di tappa conquistata da Valentin Paret-Peintre è stata un raggio di sole per il ciclismo francese, che dopo l’addio di Bardet fatica a trovare nuovi validi esponenti per le grandi corse a tappe.

Per molti Jegat è un oggetto misterioso. 26 anni, da Vannes, è arrivato a emergere al Tour senza grandi squilli: «Ho iniziato a pedalare sin da quand’ero piccolo perché mio padre faceva triathlon e da allora ho sempre voluto fare della mia passione un lavoro, perché mi dava gioia. Sono diventato professionista nella continental grazie al passaggio di livello della mia squadra dilettantistica, la CIC U Nantes Atlantique nel 2022 approdando alla TotalEnergies lo scorso anno».

Jegat ha costruito la sua classifica sulla costanza di rendimento, finendo nei primi 10 solo in due tappe
Jegat ha costruito la sua classifica sulla costanza di rendimento, finendo nei primi 10 solo in due tappe
Hai sempre corso su strada o come tanti altri francesi sei passato prima dall’offroad?

No, ho fatto solo corse su strada. Ho provato un po’ il ciclocross, ma solo per divertimento; a dir la verità non ero il massimo… No, mi sono subito concentrato sulla strada, crescendo anno dopo anno.

Prima del Tour de France avevi un palmarès più da corridore di corse in linea, ti sentivi più adatto alle gare d’un giorno?

No, sinceramente io ho sempre preferito le corse a tappe. Soprattutto quelle di media durata, come la Parigi-Nizza e il Giro dei Paesi Baschi. Mi sono sempre piaciute e volevo continuare a migliorare in particolare nelle corse brevi, perché ho sempre trovato una certa attitudine. Certamente la prestazione complessiva al Tour, una corsa così lunga e difficile, ha sorpreso anche me.

Prima del Tour il miglior piazzamento di Jegat in una corsa a tappe era stato il 6° posto al Tour de Kyushu 2024
Prima del Tour il miglior piazzamento di Jegat in una corsa a tappe era stato il 6° posto al Tour de Kyushu 2024
Alla top 10 del Tour ci credevi e come ci sei arrivato?

Devo dire grazie ai miei compagni che sono stati fantastici. All’inizio pensavo che un buon piazzamento, fra i primi 20, fosse possibile, e che magari essere tra i primi 15 sarebbe stato davvero qualcosa di grandioso per le nostre possibilità. Poi i risultati sono arrivati giorno dopo giorno. Sono salito in classifica tenendo il passo dei più forti mentre man mano vedevo avversari che cedevano. E alla fine mi sono ritrovato in una posizione completamente inaspettata, che ridefinisce tutte le mie prospettive.

Quanto è stato importante l’apporto del team?

Tantissimo, ma non solo nelle tre settimane del Tour. La squadra mi ha aiutato molto nella preparazione. Siamo andati in ritiro in Sierra Nevada a maggio, poi ho potuto partecipare al Delfinato senza specifiche richieste di risultato. Avevo chiuso 14° e lì abbiamo pensato che provare a far classifica, senza fare voli pindarici, sarebbe stato un buon obiettivo per il Tour. La squadra mi ha messo nella migliore condizione mentale possibile per l’allenamento, ho anche potuto scegliere il mio programma di gare prima del Tour de France.

I francesi si sono pian piano affezionati a lui, partito quasi come un partecipante sconosciuto ai più
I francesi si sono pian piano affezionati a lui, partito quasi come un partecipante sconosciuto ai più
Qual è stato l’impatto del tuo risultato, come di quello di Vauquelin, sui media francesi?

Enorme, sinceramente non pensavo di ricevere tutte queste attenzioni. Si è scatenato tanto clamore attorno a questo risultato, ancora oggi ricevo congratulazioni ogni giorno per il Tour de France. E’ davvero pazzesco, ma devo dire che anche nel team il mio piazzamento è stato festeggiato come se fosse stata una vittoria. La TotalEnergies è una squadra che pratica ciclismo da tanti anni e mi hanno detto che ne sono passati 10 dall’ultima volta che il team ha raggiunto un simile livello al Tour. Quindi è fantastico.

Dopo però non ti sei fermato e hai corso al Tour de l’Ain finendo 6°. Si è avuta la sensazione di un Jegat nuovo, molto più sicuro delle sue possibilità anche per lottare per la vittoria finale, è così?

Sì, è vero. Alla partenza il mio obiettivo era vincere e sapevo anche di essere in buona forma. A volte partecipi alle gare, ma non sai realmente qual è la tua forma fisica. Io sapevo di essere in buona forma dopo il Tour, quindi ero fiducioso perché sentivo che la mia condizione, dopo quelle tre settimane faticose ma anche importanti per la crescita della forma, era la migliore da tanto tempo a questa parte. E alla fine il risultato è stato comunque positivo. Tra quelli con il Tour nelle gambe sono stato il migliore.

L’Italia gli ha spesso portato bene. Qui ottiene il 3° posto al Giro di Toscana ’24, vinto da Zwiehoff
L’Italia gli ha spesso portato bene. Qui ottiene il 3° posto al Giro di Toscana ’24, vinto da Zwiehoff
Ora che cosa ti aspetta, ti vedremo a mondiali ed europei?

Spero molto di esserci, al campionato del mondo. La squadra si deciderà a inizio settembre e per questo spero di fare bene nelle gare italiane di quel periodo, in modo da convincere il selezionatore a darmi una chance per essere utile alla causa nazionale.

Tu hai il contratto con la TotalEnergies anche per l’anno prossimo, poi pensi al gran salto nel WorldTour e per avere quale ruolo?

E’ una bella domanda. E’ vero che sono ancora sotto contratto l’anno prossimo e quindi non è un problema che mi pongo ora. Poi per il 2027 vedremo in base alle offerte ma anche alla mia crescita. Non nascondo che mi piacerebbe potermi confrontare in altri grandi giri che non siano il Tour, come la Vuelta o il Giro. Arrivare decimo al Tour ti fa venire voglia di fare meglio. E perché non farlo in un altro grande giro? Ma d’altro canto penso anche che mi trovo molto bene nella squadra, quindi potrei anche rimanere. Dipende dalle richieste che arriveranno.

EDITORIALE / Anche diplomazia nella stanchezza di Pogacar?

11.08.2025
5 min
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Il fatto che abbia visto il limite della riserva ha reso improvvisamente Pogacar più umano e questo non è necessariamente un male. Ieri Komenda, il suo paese, lo ha accolto con una gratitudine e una marea umana degna del Tour de France (in apertura un’immagine di Alen Milavec). Dalla Slovenia, la Grande Boucle dovrebbe partire nel 2029, costringendo implicitamente il campione del mondo a ripensare la data del ritiro che nei giorni francesi aveva invece legato alle Olimpiadi del 2028.

In tempi non sospetti, comunque dopo la seconda vittoria del Tour, Mauro Gianetti disse parole chiare sulla necessità di tenere a freno lo sloveno per tutelarne la carriera e la salute. «Lui si diverte – disse nel 2023 lo svizzero – ma dobbiamo comunque gestire la cosa con calma e tenere anche una visione sul lungo termine. Perché è chiaro che Tadej abbia delle grandi potenzialità, delle ambizioni grandissime, però sappiamo che è importante guardare oltre il presente. E quindi corre, va forte perché va forte e fa la stessa fatica di quello che arriva decimo o cinquantesimo. Perché tutti si impegnano al 100 per cento, ma lui è davanti. Secondo noi, corre il giusto: l’anno scorso ha fatto 54 giorni di gara».

Nella terza settimana del Tour si è avuta spesso la sensazione di un Pogacar stanco o meno motivato del solito
Nella terza settimana del Tour si è avuta spesso la sensazione di un Pogacar stanco o meno motivato del solito

La fine della carriera

I giorni di corsa sono stati 50 nel 2023 con l’interruzione per la frattura dello scafoife; 58 nel 2024 con il Giro e poi il Tour; sono 43 per ora quest’anno. La gestione è stata molto oculata e questo ha permesso a Pogacar di tenere un altissimo livello, che ne ha fatto il campione acclamato in tutto il mondo.

«Ho iniziato a vincere abbastanza presto – ha detto ieri nella conferenza stampa – e da allora tutto è andato alla grande. Alcuni ridono leggendo che conto gli anni che mancano al mio ritiro. A ogni stagione ci alleniamo più duramente e più velocemente, quindi guardo al mio futuro con piacere. Da un lato, so che la mia carriera sportiva non sarà lunga, ma dall’altro sono consapevole di poter godere del livello attuale per qualche anno ancora. Mi aspetto che questo livello calerà a un certo punto e che non ci saranno più vittorie in stagione di quelle attuali e che prima o poi ci sarà un anno negativo. Sono preparato a tutto ciò che sta arrivando, quindi sono ancora più consapevole di dover godermi il momento. Devo essere pronto a fermarmi, ringraziare e dire addio alle gare ai massimi livelli».

A Komenda ieri un pubblico degno del Tour de France se non superiore (foto Alen Milavec)
A Komenda ieri un pubblico degno del Tour de France se non superiore (foto Alen Milavec)

Ragioni di opportunità

E se all’aumento della fatica, si fosse sommata davvero la necessità di non dare troppo nell’occhio? Ospite del programma Domestique Hotseat, Michael Storer del Tudor Pro Cycling Team ha raccontato un singolare retroscena della tappa di Superbagneres, che a suo dire Pogacar avrebbe rinunciato a vincere.

«Quel giorno il UAE Team Emirates-XRG ha tirato a tutta per tutto il giorno – ha raccontato – e poi Pogacar, sull’ultima salita, non ha fatto nulla. Per quello che mi hanno riferito, lungo la strada ci sono stati dei cori di disapprovazione da parte del pubblico e quindi i direttori della squadra hanno deciso che quel giorno era meglio che Pogacar non vincesse, in modo da tenere i tifosi francesi dalla loro parte. E penso che abbiano tenuto in conto la cosa anche durante l’ultima settimana del Tour de France: non volevano vincere tutto».

Un punto di vista che cancella parzialmente l’immagine di Pogacar stanco o aggiunge ad essa una differente sfumatura? «A La Plagne può anche essere che non avesse le gambe – ha proseguito Storer – ma a Superbagneres ha proprio detto ai compagni che non voleva vincere. Allora avrebbe potuto lasciar andare subito la fuga e non spremere la squadra per tutto il giorno. Si vedeva che i suoi compagni erano molto stanchi e anche Tadej sembrava provato».

Dopo l’arrivo, Pogacar è andato da Arensman e si è congratulato: ha davvero rinunciato a vincere?
Dopo l’arrivo, Pogacar è andato da Arensman e si è congratulato: ha davvero rinunciato a vincere?

Meno obiettivi e… divertenti

La stanchezza c’era e l’abbiamo toccata ogni giorno con mano. Se Pogacar avesse tenuto fede agli annunci di inizio stagione, sarebbe dovuto andare alla Vuelta e a quel punto i giorni di gara sarebbero saliti per la prima volta sopra quota 60. La scelta di ridisegnare il finale di stagione risponde alla volontà di mantenere una prospettiva di carriera. Stesso motivo per cui ad esempio lo scorso anno, di fronte alla possibilità di aggiungere la Vuelta alle vittorie del Giro e del Tour, si optò per il passo indietro.

C’è stato un periodo in cui si pensava che certi campioni potessero correre a ruota libera tutto l’anno. Poi, uno dopo l’altro, si sono accorti loro per primi che per restare in alto c’è bisogno di selezionare gli impegni. Van der Poel, ad esempio, lo scorso anno si è fermato a 42 giorni di gara. Pogacar è stato sinora l’eccezione alla regola, ma forse le fatiche del Tour gli hanno fatto capire che il livello medio è cresciuto ancora. Le squadre dei suoi avversari si sono rinforzate con fior di campioni che hanno lui come bersaglio e questo di certo induce parecchio stress. Il programma di Tadej prevede la trasferta canadese con il Grand Prix Cycliste de Quebec e Montréal. Poi Tadej difenderà il mondiale in Rwanda e potrebbe anche correre ai campionati europei in Francia. Nei prossimi anni lo sloveno tornerà al Tour, difficilmente la squadra glielo risparmierà. Ma la sensazione è che quel senso di fatica sia più legato al dover portare a casa risultati che ormai per lui significano poco. E quando Pogacar non si diverte, se ne accorgono davvero tutti.

Evenepoel e le grandi manovre per restare il terzo incomodo

10.08.2025
5 min
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Mentre la Red Bull-Bora-Hansgrohe sta vivendo una fase insolita della sua stagione, con il licenziamento apparentemente immotivato di tre tecnici nel cuore dell’estate, in Belgio si fa un gran parlare dell’arrivo di Evenepoel nella squadra tedesca. Si va per punti e dubbi, con una serie di domande cui nessuno può ancora fornire risposta. Il mondo Red Bull è impenetrabile, hanno imparato con la Formula Uno e quello sembra essere il loro standard di riferimento.

«Dobbiamo trovare il Max Verstappen del ciclismo», disse lo scorso anno Ralph Denk, fondatore e manager della squadra subito dopo l’accordo con Red Bull, che ha fatto della squadra uno dei colossi del WorldTour. Stando al quotidiano tedesco Bild, il budget sarebbe passato da 40 a 50 milioni di euro, raggiungendo il UAE Team Emirates e la Visma Lease a Bike. Purtroppo però Denk ha dovuto accettare il fatto che il divario sportivo sia ancora notevole e che di questo passo il Max Verstrappen del ciclismo non sarebbe mai arrivato. Per questo alla fine si è puntato su Evenepoel, il ragazzo d’oro, quello che dovrebbe mettere le ali alla Red Bull.

Ralf Denk ha chiuso il rapporto con il ds Gasparotto dimenticando che deve a lui la vittoria del Giro 2022
Ralf Denk ha chiuso il rapporto con il ds Gasparotto dimenticando che deve a lui la vittoria del Giro 2022

La squadra spaccata

Remco non vedeva l’ora e ha accettato, con il benestare della Soudal Quick Step che forse non vedeva l’ora di perderlo. Nell’annunciarne la partenza, la squadra belga ha anche bruciato l’annuncio della Red Bull, svelandone la destinazione. Da più parti all’interno della squadra si faceva notare che Evenepoel fosse una stella a se stante, avulso dal concetto di Wolfpack. Per questo anche i compagni, forse, hanno iniziato a voltargli le spalle.

Dopo la prima tappa del Tour, quando Remco è rimasto attardato a causa dei ventagli, le sue parole alla stampa contro la squadra hanno lasciato il segno. Tanto che all’indomani del suo ritiro, fatto un lavoro stellare per far vincere Paret Peintre sul Mont Ventoux, il suo amico Van Wilder ha dichiarato: «Dicevano che non eravamo abbastanza forti. Ora dico loro: Fanculo perché stiamo vincendo sul Ventoux».

Se però la sua ambizione è quella fondata di avere una squadra più forte, alla Red Bull-Bora troverà fior di corridori con cui insidiare Pogacar e Vingegaard. Hindley, Vlasov, Dani Martínez, Pellizzari (speriamo di no!) e persino Roglic, se a Primoz starà bene.

Evenepoel e Vanthourenhout: i due hanno vinto mondiali e Olimpiadi di strada e crono. Qui Wollongong 2022
Evenepoel e Vanthourenhout: i due hanno vinto mondiali e Olimpiadi di strada e crono. Qui Wollongong 2022

Lo staff stellare

Oltre ai corridori, Evenepoel troverà un ambiente fortemente vocato allo sviluppo tecnologico, a partire da Specialized, con cui Remco ha un rapporto personale e che fornisce al team anche l’abbigliamento. In aggiunta, dello staff della squadra fa parte Dan Bigham, l’ingegnere che nello sviluppare la bici per Ganna stabilì a sua volta il record dell’Ora. E dato che Remco sogna di batterlo a sua volta, la presenza del britannico potrebbe servirgli in una doppia chiave: le crono e la pista.

La squadra dovrebbe ingaggiare il suo storico direttore sportivo, Klaas Lodewyck, a sua volta in scadenza di contratto con la Soudal-Quick Step. Dalla Visma è arrivato Asker Jeukendrup, autorità in materia di nutrizione sportiva. Dan Lorang, allenatore di Jan Frodeno, il più grande triatleta di tutti i tempi, allenerà singoli atleti. C’è anche Peter Kloppel, Responsabile delle Prestazioni Mentali presso il Red Bull Performance Centre, che ha lavorato anche con Verstappen. Remco sarà circondato dai migliori esperti e su tutti vigilerà Sven Vantourenhout, l’ex tecnico della nazionale belga, che ha guidato le più grandi vittorie di Evenepoel ai mondiali e alle Olimpiadi.

Al Tour di quest’anno, Evenepoel ha vinto la crono di Caen, ma con distacchi meno ampi del previsto
Al Tour di quest’anno, Evenepoel ha vinto la crono di Caen, ma con distacchi meno ampi del previsto

Lipowitz e i tedeschi

Come la mettiamo con Lipowitz? La squadra è tedesca, Florian pure. L’eco delle sue prestazioni al Tour ha riacceso i riflettori sul ciclismo nel Paese che lo aveva bandito dopo i casi di doping del passato: come verrà digerito l’arrivo del campione belga?

Nel suo primo Tour, a 24 anni, Evenepoel è arrivato terzo dietro Pogacar e Vingegaard. Lipowitz ha fatto lo stesso, mentre quest’anno Remco al Tour ha deluso in modo importante, subendo per giunta la supremazia di Lipowitz anche al Delfinato.

In questa fase da chiacchiere da bar, la stampa belga si attacca anche a dettagli che sarebbero risibili, ma bastano per infiammare i tifosi. Scrivono infatti che nel Tour del 2024, Evenepoel produsse un rapporto tra watt e chili migliore rispetto a quello di Lipowitz quest’anno. Lo stesso distacco da Pogacar penderebbe dalla parte del belga, staccato di 9’18” lo scorso anno, contro gli 11′ di Lipowitz qualche settimana fa.

Ma tutto sommato, perché la squadra dovrebbe scegliere? La Visma non ha dimostrato che agendo con due leader si riesce a correre meglio contro Pogacar? Durante il Tour uscì la voce per cui il giovane tedesco non volesse rinnovare il contratto finché non si fosse fatta luce sull’arrivo di Evenepeol. In realtà pare che Lipowitz abbia ancora un anno di contratto, per cui i due dovranno imparare a convivere. Evenepoel sarà in grado di aiutare il compagno se egli si rivelasse più forte? Oppure chiederà che Lipowitz venga mandato al Giro, tenendo per sé la ribalta del Tour?

Anche Lipowitz, come Evenepoel, si è piazzato terzo a 24 anni nel primo Tour della carriera
Anche Lipowitz, come Evenepoel, si è piazzato terzo a 24 anni nel primo Tour della carriera

I dubbi su Evenepoel

Tutto questo dando per scontato che Evenepoel possa trovare nel suo motore il necessario per tenere testa a Pogacar e Vingegaard. Ha vinto una Vuelta in modo rocambolesco. E’ arrivato terzo al Tour del debutto. Ma per il resto ogni sua altra partecipazione ai Grandi Giri ha lasciato a desiderare, sacrificando nel suo nome le sue chance nelle grandi classiche.

La Red Bull ci crede e obiettivamente il suo nome, per ora sulla fiducia, è il solo spendibile, a parte quello di Ayuso, in una ipotetica rincorsa alla maglia gialla. Remco è davvero all’altezza di quei due? Non sembra così, ma forse può crescere. La Red Bull-Bora intanto sembra sempre più la BMC dei primi tempi che si riempì di schiere di corridori forti senza mai riuscire a farne una squadra.

L’allontanamento dei tre tecnici continua sembrarci alquanto strano. Ci può stare che la squadra voglia uno staff votato alla causa di Remco e non gente che difenda le potenzialità dei corridori che già ci sono, ma perché farlo ora? Puoi anche decidere che il modo migliore per ristrutturare la tua casa sia buttarla giù e costruirla dalle fondamenta. Solo che abbatterla mentre dentro c’è ancora gente suona francamente poco lungimirante.

Tutti ai piedi di Pogacar: le scarpe e il mondo che ci gira attorno

09.08.2025
7 min
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Quando Pogacar arrivò alla DMT, aveva da poco concluso la prima stagione da professionista. Quella della prima vittoria e del podio alla Vuelta. Lo accompagnava Alex Carera, suo agente dalla primissima ora, e si trovò di fronte Nicola Minali. L’ex velocista veronese, che nel 1997 ha anche vinto la tappa di Parigi del Tour de France, era già allora addetto allo sviluppo dei modelli di calzature sulla base delle esigenze degli atleti. Nella scuderia degli atleti DMT c’era già Elia Viviani, veronese come lui, i cui feedback erano e sono ancora preziosi per lo sviluppo dei modelli.

Ora che Pogacar ha vinto il quarto Tour (ma non la tappa di Parigi), parlare di lui con Nicola Minali ci ha offerto la possibilità di fare un viaggio tecnico molto profondo nell’indole del campione e nell’impegno certosino dell’azienda nel crescere accanto a lui.

Nicola Minali, bentrovato. Partiamo da quel primo incontro?

Carera aveva parlato con Zecchetto, che è il mio titolare, di questo ragazzo molto promettente. Arrivano su, lui firma il contratto e una delle prime volte che lo incontro, mi chiede: «Ma voi fate le scarpe con i lacci?». Io gli dico di no, che le facciamo con i rotori e con i lacci abbiamo solo un modello da pista per Elia. Ma lui ripete che si trova bene coi lacci. Aveva le scarpe di uno sloveno e visto che sembrava convinto, gli dico che ne avrei parlato con il titolare e, se mi avesse autorizzato, avrei provato a fare qualcosa.

Come va a finire?

Chiamo Zecchetto e gli dico: «Guarda, Tadej mi dice questa cosa. Avrei una mezza idea di fare un modello con certi crismi». Lui mi dice che va bene e io mi metto al lavoro su questa scarpa che viene pronta 15 giorni prima del Tour del 2020.

Cosa ne dice Pogacar?

La prova. Dice che si trova bene e che ci correrà il Tour. Io gli dico: «Fermati un attimo, c’è anche un discorso commerciale, non puoi correre con una scarpa che nemmeno esiste. E poi che ne sappiamo se terrà?». Morale della favola, richiamo Zecchetto e lui approva che le usi: Tadej corre e vince il primo Tour, la cosa è partita da lì. Diciamo si sono allineati i pianeti, un po’ con la fortuna e con un po’ di bravura. Lui poi è diventato quello che è ora, ma noi l’abbiamo sempre seguito.

Tour de France 2020, il via da Nizza il 29 agosto. Nella prima tappa, ecco Pogacar con le inedite DMT con i lacci
Tour de France 2020, il via da Nizza il 29 agosto. Nella prima tappa, ecco Pogacar con le inedite DMT con i lacci
Come sono cambiate le sue scarpe?

E’ stata una continua evoluzione. Ne aveva un solo esemplare, poi gliene abbiamo dato un altro. Abbiamo cambiato la tomaia, rimanendo sempre nel contesto dei lacci e cercando sempre di dargli qualcosa di più leggero e più performante. Tadej è tranquillissimo, non è di quelli che ti chiamano sette volte al giorno, non è nella sua indole. Ultimamente è un po’ più attento ai pesi e a dettagli minori, ma se fossero tutti come lui, andremmo molto meglio. Non è non è una persona che ti stressa. Ci confrontiamo su qualcosa, ma troviamo sempre la quadra.

Trovare la quadra significa che, battezzata la forma giusta, non si tocca più?

Non mettiamo mai mano alla sua forma senza coinvolgerlo, quando facciamo delle modifiche gliele facciamo testare. Cerchiamo sempre di non lasciare la strada vecchia, ma di implementare la nostra proposta con l’esperienza fatta per dargli un qualcosa di più performante. Le ultime scarpe che sono state fatte, invece di avere il laccio che passa attraverso le asole, hanno delle canaline 3d con delle carrucole in cui passano i lacci. Siamo stati i primi al mondo.

Qual è il vantaggio?

Si eliminano gli attriti e si tira meglio la scarpa. Inserendo una carrucola fatta ad hoc da un nostro fornitore, quindi molto leggera e molto piccola che non esisteva in commercio, ci siamo ispirati agli scarponi da montagna. Questo consente in modo molto semplice di tirare il cavo, chiudere tutta la scarpa e poi bloccare tutto con un blocca laccio.

Pogacar corre la Strade Bianche e la Sanremo, la Roubaix e il Tour: quante scarpe cambia nella stagione?

Ultimamente fa fatica a cambiarle. I primi anni non c’era problema, potevi dargli la scarpa rosa, quella gialla, quella che volevi e che poteva, perché gli accordi con la squadra prevedono che possa mettere solo il bianco o il nero. Invece dal Tour dell’anno scorso, una volta che ha le sue scarpe, difficilmente le cambia. E’ diventato più attento, un po’ più professionista. Da questo punto di vista, la sella e le scarpe fa fatica a cambiarle.

Quindi la scarpa della Strada Bianche è la stessa di Sanremo, Fiandre e Roubaix?

Sì. E’ cambiato qualcosa quando gli ho fatto la grafica con l’iride, però l’ha messa e poi l’ha cambiata subito, perché c’erano 5-6 grammi in più. Ultimamente è attento proprio a questi aspetti. Per cui al Tour aveva le scarpe con cui correva e tre di scorta, una per ogni borsa del freddo. Quelle però hanno i rotori, perché sono più facili da infilare e chiudere se vanno cambiate durante la corsa.

Una volta, parlando con Viviani, venne fuori il discorso che le scarpe fatte con filo Knit evitano che il piede si surriscaldi d’estate. Tadej ha di questi problemi?

Davvero no. D’inverno, mette il copriscarpe solo se piove, non ha problemi di piedi. Va meglio col freddo che col caldo. Ovviamente la nostra scarpa va meglio l’estate. E’ molto leggera e areata. Il Knit, il materiale con cui la facciamo, è un filo, che rende la scarpa molto traspirante. Tanti dicono che sia estiva, ma io rispondo sempre di no. Tirando fuori l’umidità del piede anche d’inverno, con un copriscarpe ad hoc, tiene il piede ancora più caldo perché lo mantiene asciutto. Se invece il sudore resta dentro, con la classica scarpa in microfibra il piede congela. Che poi spesso la scarpa non c’entra.

Minali (seduto) l’uomo del comparto tecnico, Viel (in piedi) l’addetto alle relazioni, qui al lavoro con la Decathlon Ford di MTB (foto DMT)
Minali (seduto) l’uomo del comparto tecnico, Viel (in piedi) l’addetto alle relazioni, qui al lavoro con la Decathlon Ford di MTB (foto DMT)
Che cosa vuoi dire?

Che va sempre considerata l’irrorazione sanguigna. Tanti non lo sanno, ma chi ha freddo ai piedi molto spesso ha problemi circolatori. Me ne sono accorto per primo, dato che ho sempre avuto problemi di piedi freddi.

Abbiamo visto le foto del tuo collega Mattia Viel al Tour: qual è la vostra funzione alle corse?

Esatto, è andato Mattia. Apro e chiudo una parentesi: Mattia è con me da un anno, siamo le due parti della stessa mela. Lui tiene i contatti con i manager e si occupa di contratti, io seguo la parte tecnica. Fino all’anno scorso facevo tutto da me, però mi sono reso conto che non si può più improvvisare niente. Mattia era già in azienda, ho visto che è un ragazzo capace, brillante, veloce, sempre sul pezzo. Ha corso in bici, è una persona intelligente. Per cui è andato lui a Lille e poi a Parigi. A me farebbe piacere andare, a chi non lo farebbe? Però accetto le direttive aziendali e faccio quello che mi dicono.

In quali occasioni sei più a contatto con gli atleti?

Per il mio lavoro la presenza conta di più a gennaio quando si va in ritiro in Spagna e allora si parla un po’ più di lavoro, ma per il resto non c’è bisogno della presenza alle corse.

A Parigi con Pogacar eccio Mattia Viel (a destra) e Karel Vacek, ultimo arrivo in casa DMT
A Parigi con Pogacar eccio Mattia Viel (a destra) e Karel Vacek, ultimo arrivo in casa DMT

L’occhiolino del campione

Tirato in ballo da Minali, Mattia Viel spiega rapidamente quale sia il suo ruolo alle corse e nei ritiri e perché farsi vedere, anche per ricevere l’occhiolino del campione, sia effettivamente importante.

«La presenza alle corse – dice – serve ad avere più feedback possibili per quanto riguarda il prodotto, ma anche per farci vedere presenti, che è la filosofia DMT. Mantenere le relazioni fa parte del nostro modo di lavorare. E’ il punto di forza di un’azienda a gestione familiare rispetto a un colosso internazionale che su questo ha più difficoltà. La parte umana è importante quanto la ricerca della performance. Nel caso di Pogacar, durante il Tour mi sento più con Alex Carera. Tadej per necessità durante le corse deve essere distaccato da certe dinamiche. La percezione rispetto a qualche anno fa è che adesso sia veramente una star paragonabile a quelle di altri sport. A me basta uno sguardo, una stretta di mano al volo per capire se tutto va bene. Bisogna essere bravi ad aspettare i pochi minuti che ti dà, a interpretare l’occhiolino prima che salga sul pullman e a mettere tutto assieme per fare qualcosa di sensato».