Con Affini nei meandri di Dumoulin (che aspetta il Blockhaus)

09.05.2022
4 min
Salva

Sin qui tutto bene. Il Giro d’Italia di Tom Dumoulin sta andando secondo programma. Una prima tappa insidiosa in cui non ha perso un secondo, una buona crono e domani l’Etna in vista. Sulla carta non è questo l’ostacolo dell’olandese.

Lo spartiacque del suo Giro sarà il Blockhaus, almeno questo è quello che pensano in Jumbo-Visma. Nei giorni ungheresi ne abbiamo parlato anche con Edoardo Affini, compagno dell’olandese. Gregario sì, ma di quelli di lusso.

Edoardo Affini (classe 1996) pronto a votarsi alla causa di Dumoulin… senza dimenticare Foss
Edoardo Affini (classe 1996) pronto a votarsi alla causa di Dumoulin… senza dimenticare Foss
Edoardo, partiamo da te: come stai?

Penso abbastanza bene. Per questo Giro c’è stato un approccio un po’ diverso rispetto al solito, visto che la Roubaix è finita più tardi in quanto si è disputata abbastanza avanti. Pertanto non c’è stato molto tempo per staccare e ripartire. E’ stato tutto un continuo. Vedremo come reagirà il corpo. Però penso di poter dire che sia io che i miei compagni stiamo bene. Cercheremo di fare ovviamente un grande Giro.

Dumoulin e Foss danno belle garanzie…

Vedremo un po’ come se la caveranno i capitani, gli addetti alla classifica. Su carta stanno bene!

Si parla sempre dei capitani e meno dei gregari. Che ruolo avrai? E poi, Tom è alto, tu sei alto: c’è anche un’affinità fisica? E’ folle dire che magari è lui che chiede la tua presenza anche per questo motivo?

Ah non lo so… Faccio quel che posso. Sì, sono alto, ma sono anche dieci chili in più di lui!

Ma l’aerodinamica non lo sa!

Ah, ah, ah… Di certo potrò dare il mio contributo. Io e Jos Van Emden saremo i suoi due scudieri soprattutto per la pianura. Cercheremo di tenere i capitani (Affini parla al plurale pensando anche a Foss, ndr) coperti in ogni momento possibile. E ammetto che la stazza per questo aiuta.

Affini e Dumoulin: due giganti. Rispetto al passato Tom ha però una squadra più forte
Affini e Dumoulin: due giganti. Rispetto al passato Tom ha però una squadra più forte
Com’è Dumoulin come capitano: è esigente, fa richieste particolari? Oppure è un tipo tranquillo?

Onestamente non posso dire tanto perché ci ho corso poco. Con Tom ho fatto solo il BinckBank Tour l’anno scorso. Abbiamo avuto modo di conoscersi un po’ più nel dettaglio quest’inverno, soprattutto nei ritiri. In genere comunque è abbastanza tranquillo e non sta a dirti troppo cosa fare.

Affini gregario, ma lo scorso anno a Verona hai sfiorato la vittoria. Hai puntato una tappa stavolta?

Proprio puntata no. Diciamo che cercherò di fare il meglio possibile nelle crono, anche se non sono molto adatte a me. Per il resto vediamo che corsa verrà fuori. Da come si metterà la situazione con la classifica generale. Perché se come speriamo andrà tutto bene, magari dovrò risparmiare qualche energia per lavorare meglio. Mentre se qualcosa non dovesse girare bene, avrò più libertà di azione. A quel punto cercherò di inserirmi in qualche fuga o tentare qualche colpo.

Hai parlato di classifica, ma Dumoulin ce l’ha in mente secondo te?

Anche sul palco della presentazione delle squadre Tom aveva detto che ci pensava. Cercherà ovviamente di cogliere il miglior risultato possibile, anche se è consapevole che comunque si tratta del primo grande Giro che fa dopo il suo stop. Bisognerà capire come reagirà il suo fisico. Io lo vedo motivato, lo vedo voglioso di ricominciare. E poi con lui con il Giro e con l’Italia ha un bel rapporto.

Hai citato la Roubaix così avanzata. È cambiato qualcosa nella preparazione? Di fatto non hai più corso, hai fatto altura? 

No, è proprio quello. Non si è potuto fare altura perché finendo 17 aprile non c’è stato tempo. Tra andare in quota, tornare e venire al Giro non avrebbe avuto senso. E non ho potuto neanche staccare, perché dopo altri dieci giorni si doveva ripartire. Quindi abbiamo cercato di trovare una sorta di equilibrio, alternando qualche giorno più tranquillo a qualche giorno più movimentato.

Tom Dumoulin nella crono di Budapest, chiusa al terzo posto a soli 5″ da un super Yates
Tom Dumoulin nella crono di Budapest, chiusa al terzo posto a soli 5″ da un super Yates

Incertezze Dumoulin

Dumoulin è un corridore di classe. Per quel poco che lo abbiamo visto ci è sembrato concentrato, voglioso di mettersi alla prova ma avvolto da qualche dubbio sulla sua tenuta. E non ci è apparso super tirato (è solo una sensazione nostra, sia chiaro), magari perderà quell’eventuale “chiletto” strada facendo.

Di fatto non corre dalla Gand. Lui un po’ di altura l’ha fatta. E’ tutto un quid. In Jumbo dicono del Blockhaus, sanno che una salita così dura per chi non è scalatore nel Dna e non fa classifica da tre anni può essere troppo dura, ma già domani si potrà sapere di più. Se sul Vulcano dovesse andare bene, Dumoulin potrebbe prendere fiducia. E un Tom sereno, può fare paura.

E se il nuovo Dumoulin ripartisse dal Giro?

26.12.2021
5 min
Salva

E se fosse Dumoulin il faro straniero per il prossimo Giro d’Italia? La presentazione della Jumbo-Visma del 23 dicembre è stata cancellata a causa dell’impennata dei contagi e rinviata all’11 gennaio ad Alicante, quando saranno presentati colori e programmi. Eppure questa suggestione e l’idea stanno prendendo forma. Allo stesso modo in cui è chiaro che l’olandese potrebbe non andare con Roglic al Tour. Fra i due è nata un’insolita amicizia, basata sulle reciproche, incolmabili differenze.

«Una cosa è certa – ha detto Dumoulin – in alcune corse continuerò a lottare per la classifica generale, ma probabilmente non al Tour. Nella nostra squadra abbiamo problemi di abbondanza nell’effettuare le varie scelte».

Annullata la presentazione in Olanda, la squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)
La squadra si svelerà l’11 gennaio ad Alicante (foto Jumbo Visma)

Programmi e strategie

Se ne parlava nelle scorse settimane di come il team olandese avrebbe suddiviso i suoi uomini. Se mandando Roglic, Dumoulin, Kruijswijk e Vingegaard tutti al Tour, oppure scegliendo per il più giovane danese il palcoscenico italiano. Ma la Grande Boucle partirà dalla Danimarca e Vingegaard già da tempo ha raccontato che una tappa passerà davanti casa sua. E allora la suggestione di Dumoulin che torna sulle strade che lo incoronarono nel 2017 prende forme e piace. Perché Tom in Italia ha tanti estimatori, che lo hanno visto invincibile nel 2017, poi fragile nel 2020.

«Ho trascorso gran parte della stagione 2020 mentalmente e fisicamente stanco – ha raccontato Dumoulin a L’Equipe – non riuscivo più a riprendermi e quando sono arrivato all’inizio del 2021, ero come in trappola. Non avevo altra scelta che smettere. Per diverse stagioni, avevo preso l’abitudine di adattarmi alle richieste degli altri, non riuscivo a superarlo e ho dovuto prendere la decisione di smettere. Solo così avrei trovato il giusto punto di vista e il modo per cambiare la mia vita e tornare a guidarla in prima persona».

Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour, vista la partenza dalla Danimarca (foto Jumbo Visma)
Il ritiro di Girona ha restituito un Dumoulin di nuovo brillante e motivato. che potrebbe far rotta sul Giro. Decisive le chiacchierate con Roglic
Per Vingegaard il 2022 potrebbe parlare ancora del Tour (foto Jumbo Visma)

Un addio inatteso

La svolta c’è stata nel raduno di gennaio di quest’anno, come ci raccontò anche Affini, appena arrivato nella squadra olandese. Lo videro arrivare e poi, di ritorno da un allenamento, gli fu detto che avesse lasciato il ritiro e la squadra.

«Ricordo quell’incontro, davanti a cinque persone – ha raccontato Tom – in cui mi suggerirono di prendermi un periodo di riposo. E’ stato un momento difficile per me, doloroso. Non è facile ammettere di doversi fermare, mi sentivo in colpa. Ma dopo qualche giorno ho scoperto che avevo bisogno di questo periodo. Essere un ciclista professionista può rendermi ancora felice?».

Questa la domanda che in quei mesi lontano dalla bici, in cui si rincorrevano voci sugli studi in Medicina e vari avvistamenti di ciclisti nella zona di Maastricht che gli somigliassero.

«Ho cominciato a vivere senza costrizione – ha ricordato – per la prima volta nella mia carriera, non avevo obblighi, niente più stress. Facevo passeggiate con il mio cane, con gli amici e poco a poco mi sono reso conto che negli ultimi tempi avevo smesso di guidare in prima persona la mia carriera, le mie scelte. Finché un giorno ho visto passare sulla strada l’Amstel Gold Race e ho avuto la rivelazione. Volevo ancora andare in bicicletta. Non usarla per fare passeggiate, ma per dare il meglio di me».

Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic
Sul podio della crono di Tokyo, Dumoulin battuto solo da Roglic

L’amicizia con Roglic

In questo quadro si inserisce appunto l’insolita amicizia con Roglic, di cui sembrava fosse diventato ormai gregario, come seguendo quel corso di eventi da cui ora Dumoulin vuole prendere le distanze. Al punto che fra i prossimi passi – non subito, ma nel 2023 – si sussurra possa esserci il passaggio al Team Bike Exchange.

«Dice che ha l’impressione che io sia fuori dal mondo – ha confidato lo sloveno – ma anche io non sono stato risparmiato dalla sfortuna. Anche io mi faccio molte domande. Anche io ho dei dubbi e a volte sono stato sul punto di arrendermi. Non è questo non è il problema principale».

E’ probabilmente un fatto di sensibilità. Tanto era sensibile Dumoulin alle aspettative dei tifosi e dell’ambiente, quanto lo sloveno è capace di non lasciarsene condizionare, con quella specie di armatura che gli permette in apparenza di non risentirne.

Sapremo l’11 gennaio, quando saranno presentati i programmi della Jumbo Visma, se davvero Dumoulin sarà al Giro 2022
Sapremo l’11 gennaio se Dumoulin sarà al Giro 2022

Una nuova storia

E proprio parlare con Roglic ha permesso a Dumoulin di individuare una nuova chiave per interpretare questa seconda parte di carriera, rinata sulla strada della crono olimpica di Tokyo.

«Se avessi potuto scegliere da chi essere battuto – ha raccontato – avrei scelto Primoz. Lui è una specie di esempio per me. Non sembra preoccupato per i problemi della vita. Adoro confrontarmi con lui. Quando gli parli dei tuoi problemi, ti ascolta davvero. Non l’ho mai visto giudicare nessuno. Rivela i suoi sentimenti, parla della sua esperienza e quello che mi ha detto mi aiuterà a vivere il resto della mia carriera. Voglio vederla come un’avventura, una storia che scrivo, per me e solo per me. Qualcosa che hai la fortuna di vivere una sola volta nella vita e di cui devi accettare il meglio e il peggio».

Francia, l’autunno dei libri e la guerra dei chetoni

06.12.2021
4 min
Salva

In Francia è l’autunno dei libri, per Demare e Alaphilippe. “Une annèe dans ma roue”, un anno alla mia ruota: è questo il titolo del libro scritto da Arnaud Demare con Mathieu Coureau, giornalista francese di Ouest-France. Una sorta di diario di bordo del velocista della Groupama-Fdj, per scoprire il dietro le quinte, le corse, gli obiettivi, la pressione, i pericoli, i momenti di gioia, i dubbi. E proprio i suoi dubbi hanno innescato qualche dibattito in Francia.

«Non tutti hanno le stesse restrizioni su alcuni prodotti come i chetoni – ha detto Demare, in apertura ai mondiali di Leuven vinti da Alaphilippe – faccio parte di una squadra che ha preso degli impegni, come altre. Ma il gruppo non è tutto come noi. Trovare qualcuno più forte fa parte del gioco. Ma in questa stagione, dalla Parigi–Nizza in poi, ho visto che stavamo correndo ad un ritmo davvero alto. In un solo anno le prestazioni hanno avuto una forte accelerata».

Mpcc e chetoni

Sembra di rileggere le dichiarazioni del suo team manager Marc Madiot negli anni in cui il ciclismo veniva scosso da problemi ben più gravi. Ma siccome è innegabile che da un paio d’anni a questa parte si vada davvero fortissimo e che i corridori abbiano dei regimi di allenamento e di vita atti a guadagnare ovunque si possa, il discorso merita di essere seguito. Soprattutto sul fronte dei chetoni, di cui abbiamo già scritto, l’Uci ha chiesto espressamente di non farne più uso.

Era stato proprio l’MPCC, il Movimento per il ciclismo credibile, a spingere per un pronunciamento. E alla fine, dopo aver aperto un’inchiesta, l’UCI ha spiegato che al momento non ci sono prove che i chetoni possano alterare le prestazioni, ma allo stesso tempo ha chiesto a scopo precauzionale ai corridori di non farne uso, almeno fino a quando le indagini non saranno concluse. Ciò che ha provocato l’indignazione del movimento francese è che alcune squadre, che in passato non hanno nascosto di servirsene, fra queste la Jumbo Visma, hanno annunciato che continueranno a farlo.

Dumoulin, qui durante il Tour de Dumoulin organizzato a ottobre, si è allontanato dall’Mpcc
Dumoulin, qui durante il Tour de Dumoulin organizzato a ottobre, si è allontanato dall’Mpcc

L’uscita di Dumoulin

Proprio la questione dei chetoni, ma anche lo svolgimento della Parigi-Nizza 2020 all’inizio della pandemia, aveva spinto Tom Dumoulin a lasciare il movimento in cui era entrato quando ancora correva con il Team Sunweb.

«Il dovere del movimento – aveva dichiarato all’olandese Wielerfits – è quello di proteggere la salute degli aderenti, ma la corsa si è comunque svolta durante la pandemia e questo non è stato un segno di coerenza con i principi stabiliti. Poi hanno inventato la storia secondo cui l’uso dei chetoni è molto pericoloso. Per cui, dato che il nostro team usa i chetoni, sarebbe ipocrita per me essere ancora un membro del MPCC. Queste due cose insieme mi hanno spinto a uscirne».

La risposta di Alaphilippe

Sul tema si è espresso anche Julian Alaphilippe, la cui Deceuninck-Quick Step non fa parte dell’MPCC al pari di altre 10 squadre WorldTour, e che ha a sua volta mandato nelle librerie un libro dal titolo “Julian Alaphilippe, il mio anno da campione del mondo” curato dal Jean Luc Gatellier, firma storica de L’Equipe .

«Ho visto che Arnaud ha pubblicato un libro – ha dichiarato – non l’ho letto, ma spero di farlo. I suoi dubbi? Certo, ci sono corridori nel gruppo che possono esprimerne, anche il pubblico in generale può averne. Ma finché sai cosa stai facendo, se sei tranquillo, problemi non ne hai. Io non ne ho. Anche se ci sono corridori più forti di me, che dominano, dal momento in cui inizi ad avere dubbi e pensi cose del genere, è inutile andare ad allenarsi…».

Giant con Bike Exchange, settimo capitolo di una lunga storia

02.12.2021
6 min
Salva

Manolo Saiz ne sa una più del diavolo. Per cui quando nel 1998 la sua Once si presenta al via della stagione con le Giant a forma di mountain bike, i meccanici e i corridori del gruppo drizzano le orecchie avendo fiutato la novità. Mentre le case produttrici di casa nostra con un po’ del solito snobismo fanno spallucce e tirano dritto. La casa taiwanese viene ancora vissuta come l’assalto dell’Oriente alla tradizione europea e a leggere come è finita la storia viene da sorridere.

Già nel 1987, Giant ha lanciato il carbonio per tutti, introducendo nel mercato la Cadex 980 C, con tubazioni in fibra e congiunzioni in alluminio incollate. Il telaio della Once però è un passo avanti vertiginoso. E’ il primo Compact Road. Ha il tubo orizzontale incredibilmente inclinato e il triangolo posteriore compatto. Le bici sono mediamente più piccole e più rigide grazie al nuovo disegno. Fra i corridori che ne fanno uso, Jalabert (foto di apertura) se ne serve per arrivare secondo dietro Bartoli alla Liegi del 1998, in una stagione comunque da 13 vittorie.

Nel 2009, Menchov è alla Rabobank e vince il Giro d’Italia sulla Giant Tcr
Nel 2009, Menchov è alla Rabobank e vince il Giro d’Italia sulla Giant Tcr

Beloki e il Tour

I nostri fanno spallucce e orecchie da mercanti fino a un certo punto. Gradualmente infatti il mercato si sposta verso lo sloping: ha il tubo superiore inclinato anche la Bianchi di Pantani, perché Marco apprezza e pretende. Chi può col carbonio, gli altri con l’alluminio che in quegli anni ha comunque soppiantato il carbonio.

Giant fa scuola. La sua Tcr ha aperto la strada e i corridori della Once continuano a usarla e a vincere. Nel 1999, Jalabert arriva quarto al Giro. Joseba Beloki arriva per due volte terzo al Tour (2000-2001) e una volta secondo (2002). La sua progressione si infrange sull’asfalto della nona tappa del Tour 2003, quando cade rovinosamente (mentre Armstrong si salva tagliando in un campo), riportando la frattura del femore, che di fatto chiude la sua carriera ad alto livello.

Il 2003 è anche l’ultimo anno della Once in gruppo. Saiz va avanti con Liberty Seguros e biciclette Bh, mentre per rivedere il marchio Giant ci sarà da aspettare il 2009.

Nel 2012 Rabobank si ritira, la squadra diventa Team Blanco. Qui Kelderman, Gesink e Renshaw
Nel 2012 Rabobank si ritira, la squadra diventa Team Blanco. Qui Kelderman, Gesink e Renshaw

Menchov, primo Giro

A volere il marchio di Taiwan al suo fianco è infatti la Rabobank, che per anni ha corso su biciclette Colnago. La squadra di Menchov, del giovanissimo Mollema, di Freire, Flecha e di Gesink è uscita dal 2008 con il terzo posto di Menchov al Giro d’Italia, alle spalle di Sastre ed Evans. Per il 2009 si vuole il salto di qualità e probabilmente, oltre alle bici, Giant porta anche le risorse per investire di più. I risultati si vedono.

In sella all’ultima versione della Tcr montata Shimano, Denis Menchov vince il Giro d’Italia, battendo Di Luca, Pellizotti e Basso al rientro dalla squalifica. Garate invece vince una tappa al Tour de France.

Dopo la Gand del 2014, nel 2015 Degenkolb su Giant Propel vince la Roubaix e prima la Sanremo
Dopo la Gand del 2014, nel 2015 Degenkolb su Giant Propel vince la Roubaix e prima la Sanremo
Con il Team Blanco

Il legame fra il gruppo olandese e Giant è forte al punto che quando alla fine del 2011 Rabobank deciderà di uscire da ciclismo in seguito alle ammissioni di Armstrong (avendo altri due anni di contratto, la banca olandese continuerà a pagare il suo impegno, anche se la squadra si chiamerà Team Blanco), la casa orientale rimarrà al suo posto fino al 2013. Il gruppo olandese assumerà poi la denominazione di Belkin e adotterà bici Bianchi, interrompendo una collaborazione andata avanti per cinque stagioni.

Per le Olimpiadi di Rio e Dumoulin viene lanciata la Giant Trinity da crono. Arriva l’argento
Per le Olimpiadi di Rio e Dumoulin viene lanciata la Giant Trinity da crono. Arriva l’argento

Dumoulin, seconda rosa

Ma di uscire non se ne parla. E così a partire dal 2014, Giant diventa primo nome di una nuova squadra assieme a Shimano, che per i due anni successivi sarà Giant-Alpecin. Con la maglia bianconera corrono il giovane Dumoulin, John Degenkolb e Marcel Kittel. Un team per classiche e volate, mentre Dumoulin cresce.

Le bici ora sono due. Il Tcr, è sempre sloping e leggero, ha il telaio in carbonio e va decisamente veloce. Poi c’è la Propel per le classiche, anch’essa sloping e in carbonio, ma antesignana delle bici aero. In tre anni, Degenkolb vince Gand, Sanremo e Roubaix. Kittel ne vince 14, compresa la tappa di Parigi del Tour. Ed è quando la squadra diventa Team Sunweb nel 2017, che Giant vince nuovamente la maglia rosa.

Ci pensa Dumoulin sulla classicissima Tcr e la Trinity per le cronometro che in effetti domina. Le Olimpiadi del 2016, chiuse con l’argento alle spalle di Cancellara, sono state un ottimo banco di prova e quando l’olandese porta la sua bici da crono in trionfo nella crono di Milano, per Giant si chiude un altro cerchio. A fine stagione il Team Sunweb conterà anche l’Eneco Tour dello stesso corridore olandese, ma il marchio taiwanese dirà addio al gruppo dei pro’.

Nel 2017 Dumoulin e la sua Tcr vincono il Giro d’Italia
Nel 2017 Dumoulin e la sua Tcr vincono il Giro d’Italia

La nona Tcr

La lunga storia continua. Chiude Bmc e il blocco di Ochowitz viene rilevato dalla polacca CCC. Forse per avere appoggio finanziario, Giant viene in soccorso della squadra e in collaborazione con la squadra lancia la TCR di nona generazione. La TCR Advanced SL (anche in versione Disc) è l’ultima versione della bici nata nel 1998. La usano Trentin e De Marchi e faranno fatica a separarsene.

Ancora due anni alla CCC. Qui Alessandro De Marchi in fuga al Tour del 2019
Ancora due anni alla CCC. Qui Alessandro De Marchi in fuga al Tour del 2019

Ritorno nel 2022

Se a questo punto vi starete chiedendo il perché di questo articolo, bisognerà che vi anticipiamo quello che per il gruppo non è più un segreto da qualche mese. Giant sta per tornare. I corridori hanno ricevuto le bici e le stanno provando. Ma poiché il rapporto fra la squadra che le userà e il marchio uscente non si è chiuso in modo proprio amichevole, finora non si sono visti annunci.

Il riferimento è al Team Bike Exchange e ancora una volta, saltato a quanto si sa l’accordo con Premier Tech, è lecito supporre che oltre alle bici farà comodo l’ossigeno della grandissima azienda orientale. Mentre sul fronte delle voci, queste sì del tutto soggette a cambiamenti, gira anche quella secondo cui dal 2023 anche Dumoulin potrebbe tornare sulla bici che gli portò la maglia rosa.

EDITORIALE / Perché uno vinca, serve un altro che perda

22.11.2021
4 min
Salva

Guillaume Martin, corridore filosofo della Cofidis, ha scritto un altro libro. Il primo si intitolava “Socrate a velò”, cioè Socrate in bicicletta. L’altro, il secondo, l’ha chiamato “La Société du peloton”, vale a dire la società del gruppo. Gli spunti che offre sono molteplici, ma attraverso un paio di essi cerchiamo di leggere quanto accade nel ciclismo, lanciato verso il 2022 con l’affanno di riprendersi ciò che il Covid s’è portato via.

Martin è l’uomo di punta della Cofidis per la salita, ma è noto più che altro per i suoi studi di filosofia
Martin è l’uomo di punta della Cofidis per la salita

Il gruppo e il campione

Una volta un corridore scherzando sul suo piazzamento nelle retrovie, disse che per dare grandezza ai primi c’è bisogno anche dello scenario composto da quelli che vengono dopo.

«Non possiamo vivere senza gli altri – scrive Martin – biologicamente, sociologicamente o economicamente. Resta da vedere come collaborare con loro senza dimenticare se stessi, come uscire dal gioco senza danneggiare il gruppo senza il quale non esisteremmo. Il campione ha bisogno di un gruppo per affermare le sue ambizioni. Emana da esso e ne fa parte e tuttavia cerca di distinguersi da esso, di sfuggirgli».

Sembra invece che lo stesso affanno di cui si diceva in avvio si sia impadronito anche dei ragionamenti dei manager, che dovrebbero essere più lungimiranti. Nei giorni scorsi, Gasparotto ha esposto il problema con grande lucidità.

«Ai miei corridori ho da raccontare esperienze pratiche che a me sono costate – ha detto – io ho avuto tempo per rimediare, loro non ce l’hanno. Bisogna tirare fuori il meglio da tutte le situazioni, perché oggi il margine di errore è davvero ridotto».

Oggi si investe per cercare i primi, rovistando fra gli juniores, lasciando che gli altri smettano. Va bene che il professionismo è composto dall’elite del movimento mondiale, ma in nome di cosa chi ne faceva parte ieri, ne è fuori oggi? Non fuit in solo Roma peracta die: Roma non fu costruita in un solo giorno.

Al Tour del 2018, Dumoulin finì 2° dietro Thomas, Roglic fu 4°. Dopo il… buco del 2019, tutt’altro scenario
Al Tour del 2018, Dumoulin finì 2° dietro Thomas, Roglic fu 4°. Dopo il… buco del 2019, tutt’altro scenario

Dumoulin e Roglic

Il collegamento con il passaggio successivo del libro di Martin è a questo punto immediato. «Viviamo in un mondo che esaspera le piccole differenze – scrive il francese – che le amplia. Oggi sono diventato il leader di una squadra e come tale godo di uno status radicalmente diverso da quello di corridori che ho a malapena dominato nelle categorie amatoriali».

Vengono in mente Dumoulin e Roglic, due corridori che si sono spesso sfidati prima di diventare compagni di squadra. Fino alla caduta nel Giro del 2019, lo score era tutto dalla parte dell’olandese. Poi il blackout e lo sbocciare dell’altro. In un’intervista pubblicata su Cyclingnews, uno dei tecnici della Jumbo Visma dice che l’olandese è ancora un corridore da grandi Giri e come tale potrebbe tornare al Tour de France nel 2022.

Nessuno di quelli che conosce Dumoulin lo ha mai messo in dubbio. Fra i due la differenza l’ha fatta la testa. Eppure, nonostante sia tornato ai vertici con una medaglia olimpica nella crono, c’è stato bisogno dell’intervento del preparatore. Il ciclismo era già passato oltre.

Martin si stupisce dei continui paragoni del ciclismo di oggi con quello di un tempo
Martin si stupisce dei continui paragoni del ciclismo di oggi con quello di un tempo

Un’insolita bulimia

E alla fine è ancora il libro di Martin a fornire una lettura chiara di quello che vivono oggi i corridori. Si parte tuttavia dal presupposto che ciascuno ha la percezione dell’epoca in cui si muove e che il peso della storia sia un carico difficile da sostenere. E’ così in ogni ambito: dalla durezza della scuola rinfacciata ai figli, a quella del lavoro.

«Sono stupito – scrive Martin – dei profili Twitter che esaltano il ciclismo di una volta. E’ facile suggerire che noi ciclisti contemporanei siamo pigri rispetto ai nostri gloriosi predecessori. Nel percorso del prossimo Giro appena svelato, nessuna tappa supera i 200 chilometri. Non credo però che siamo meno coraggiosi dei ragazzi che ne facevano 400. Da un lato, tutto dipende dall’intensità. Dall’altro, la nostra vita è un impegno costante e alla sopportazione chilometrica si somma ogni dettaglio della quotidianità. Non scaliamo l’Alpe d’Huez a tutta, come non facciamo 400 chilometri. Quando arriviamo ai piedi di una salita, il nostro cuore è già a 180 battiti e sappiamo che passeremo mezz’ora ad un’intensità che Henri Cornet o Maurice Garin non hanno sperimentato. Non possiamo proiettarci nei corpi di un’altra epoca».

Questo ciclismo così veloce li divora, ne rende alcuni indubbiamente ricchi e altri li abbandona. Accettarlo senza mettersi di traverso è il modo migliore perché la velocità aumenti. Martin in apparenza non si chiede chi abbia convenienza da tutto questo: forse sarebbe utile chiederselo e trovare una risposta.

La quotidianità non ammette grossi recuperi e tolta la settimana di vacanza, non c’è spazio per altro. A volte si parla di carriere più corte a causa dell’impegno precoce. Quella di Dumoulin ha rischiato di finire anche per quest’ansia di riempire, sfruttare, produrre e ripagare gli investimenti che a tratti assume i contorni di un’insolita bulimia. Dopo qualche mese di stacco, il suo talento è tornato a brillare.

Cervélo R5: più che un restyling, un cambio di pelle

28.09.2021
5 min
Salva

Cervélo svela la nuova R5 e non tradisce le attese con un concentrato di velocità, leggerezza e agilità. Arrivata alla 4° generazione, la R5 si scrolla di dosso ancora qualche grammo e pulisce le sue linee migliorando anche sotto l’aspetto aerodinamico. Gli ingegneri hanno studiato a fondo una soluzione per eliminare i difetti di rigidità eccessiva che lamentavano i pro’/utilizzatori nel lungo periodo, a confermare il raggiungimento del loro obbiettivo c’è stata la vittoria di Primoz Roglic alla Vuelta 2021 con questa versione. Peso e rigidità sono migliorati nel corso degli anni, mentre la maneggevolezza, l’equilibrio e l’ineguagliabile agilità in discesa sono stati costanti fin dal suo primo giorno di vita. Disponibile da oggi sul mercato è ora alla portata di tutti per chi vuole acquistare il mezzo che ha permesso al team Jumbo-Visma di conquistare i successi in questo 2021. 

Leggerezza 

Il mantra della Cervélo R5 è sempre stato “arrivare in cima… il più velocemente possibile” e con questo modello si può affermare che si sia avvicinata alla massima espressione. Il nuovo telaio ferma l’ago della bilancia a 703 grammi, registrando una differenza dal precedente di ben 130 grammi, che si traduce in un 16% in meno. Anche la forcella si è alleggerita, questa del 7%, portando il peso complessivo appena sopra il chilogrammo. Per rispettare i 6,8 chili imposti dai regolamenti UCI, ci sono stati importanti riduzioni di peso anche sulla componentistica di allestimento. Manubrio e attacco ora pesano 12 grammi in meno, il reggisella è 20 grammi più leggero.

La silhouette rimane da top model, i contenuti sono al vertice
La silhouette rimane da top model, i contenuti sono al vertice

Aerodinamica

Inizialmente l’aerodinamica non era uno degli obbietti previsti per la R5. Prendendo spunto dai pregi dei modelli S5 e P5, i progettisti hanno deciso di portare i cavi all’interno del manubrio e del telaio. Con una linea pulita sull’avantreno il risultato ottenuto è un risparmio di -25 grammi di drag (l’insieme di forze che in aerodinamica indicano la resistenza all’avanzamento). A questo si aggiunge l’introduzione del del nuovo manubrio HB13 e dell’attacco ST31 che hanno permesso di avere una totale pulizia del cockpit.

Risoluzione dei problemi

La generazione precedente a questa R5 aveva fatto della rigidità il suo cavallo di battaglia, purtroppo la sua propensione alle scalate era venuta a scapito di un po’ di… stridore osseo. Un problema riscontrato principalmente dai team WorldTour, che avevano evidenziato come la bicicletta tendesse a diventare più “faticosa” con il passare delle settimane durante le grandi corse a tappe. Problema alle spalle con questa nuova versione, grazie anche al supporto di un collaudatore d’eccezione come Tom Dumoulin.

L’olandese ha saputo apprezzare le migliorie su questa versione che ha definito «fantastica», in quanto lui utilizzava la versione in uso al team Sunweb. La formula magica trovata dagli ingegneri è stata il rapporto specifico tra il tubo dello sterzo e la rigidità del movimento centrale, in grado di migliorare la qualità di marcia. Concetto mai applicato alla R5, essendo appunto un progetto focalizzato sulla rigidità. 

Roglic l’ha portata in trionfo sul podio finale della Vuelta 2021
Roglic l’ha portata in trionfo sul podio finale della Vuelta 2021

Allestimento e prezzi

La nuova Cervélo R5 è disponibile in più versioni che si differenziano per allestimento e colore. Le caratteristiche comuni ai modelli sono: copertoni Vittoria Corsa TLR G2.0 25c (max 34 mm), sella Prologo Scratch M5 PAS TiRox e ruote New Reserve 34/37 mm Center-Lock, Tubeless Ready. Gli allestimenti e i prezzi sono 4: R5 Red eTap AXS a 12.699 euro. R5 Dura Ace Di2 a 12.699 euro. R5 Force eTap AXS a 8.799 euro. Infine R5 Ultegra Di2 a 8.999 euro. 

cervelo.com

Che speranze può avere Dumoulin contro il Van Aert del Tour?

18.07.2021
6 min
Salva

A questo punto, dopo la prestazione di Van Aert nella crono di ieri al Tour de France e guardando al derby olimpico Jumbo Visma – con la sfida transnazionale fra Roglic, Dumoulin e Van aert – la curiosità è scattata da sé. Pur essendo certamente un campione, come farà Tom Dumoulin ad avere speranze concrete di ben figurare alle Olimpiadi? L’olandese non ha corso da ottobre a giugno. Poi è rientrato al Giro di Svizzera (foto di apertura) e a seguire ha vinto il campionato nazionale a crono, ritirandosi invece dalla prova su strada.

Come Dennis

Il tema è interessante e ancora una volta abbiamo fatto ricorso ad Adriano Malori, dato che con lui avevamo già affrontato la vigilia della crono del Tour. E Adriano riprende un concetto di cui avevamo già parlato quando venne fuori che Dumoulin sarebbe tornato in gioco per le Olimpiadi.

«Penso che stia cercando di fare come Rohan Dennis ai mondiali dello Yorkshire – ribadisce – o come Cipollini prima di Zolder. Di sicuro aveva il problema della troppa pressione e ha scelto di volersi estraniare. Ma parliamo di una crono secca, non della penultima tappa del Tour. E di certo per allenarsi è uscito dal suo Paese, altrimenti lo avrebbero visto e ogni giorno avrebbe avuto il codazzo».

Visto a Livigno

Gli diciamo che infatti lo abbiamo incontrato a Livigno, dove ha alloggiato a Trepalle, allenandosi tanto in salita e poi lungo le gallerie per i lavori in pianura. Davide Cimolai, che abbiamo incontrato ugualmente in quello spicchio di Valtellina, ha raccontato di averlo trovato molto rilassato, al punto che l’olandese lo ha invitato per un aperitivo.

«Si è ripresentato allo Svizzera – prosegue Malori – per le sue crono dure. Nella prima è stato appena fuori dai dieci, nella crono finale è entrato nei cinque. Non ci riesci in una corsa come lo Svizzera, neanche nelle speranze più audaci, se non ti sei allenato come una bestia. Se hai la grinta, la crono secca la prepari bene anche senza correre, se hai la persona adatta che ti fa dietro moto. Non devi allenare l’esplosività. Basta una strada di strappi e riesci a replicare alla grande il lavoro che faresti in gara. In altura non avrà potuto lavorare ad altissima intensità, anche se a Livigno c’è pianura a 1.800 metri e qualcosa si può fare. Per me ha mirato l’appuntamento e sparire dai radar era il solo modo per far calare le attese».

Una foto rubata in tutta fretta a Livigno: l’olandese non ha voluto saperne di fermarsi e raccontare la sua preparazione
Una foto rubata in tutta fretta a Livigno: l’olandese non ha voluto saperne di fermarsi e raccontare la sua preparazione

Tutto studiato

A questo si aggiunge il fatto che Dumoulin sia un cronoman coi fiocchi, già campione del mondo nel 2017 a Bergen, non un ragazzino alle prime armi.

«Credo che si sia trattato di una pausa pilotata – dice – per allenarsi con tranquillità verso un grande obiettivo. Qualcosa di cui erano al corrente la squadra e anche la federazione, come dimostra il fatto che nonostante il ritiro annunciato, non lo abbiano tolto dalla selezione olimpica. Certo facendo così ha compromesso la stagione e non mi meraviglierei se poi smettesse davvero. Oppure in caso di un grande risultato, potrebbe trovare lo stimolo per continuare».

Ai mondiali di Bergen del 2017, l’olandese conquistò la maglia iridata a crono
Ai mondiali di Bergen del 2017, l’olandese conquistò la maglia iridata a crono

Sul terzo gradino

Però resta aperto il discorso sulla differenza di condizione che potrebbero avere i corridori reduci dal Tour. Il percorso di Tokyo è duro e non fa sconti.

«Se si è allenato bene – dice – non ha niente meno di chi esce dal Tour. Per vincere una crono come quella non serve essere forti nelle ripartenze dalle curve. Il caldo non influirà molto. Credo che comunque il favorito numero uno sia Van Aert per quello che ha fatto vedere. C’è salita e c’è tanta discesa, che potrebbe permettere a Ganna di recuperare, mentre in salita soffrirà. Pippo ha preparato la pista che ti dà tanta brillantezza, mentre a Tokyo si tratterà di mantenere un ritmo elevato su un percorso tutt’altro che regolare. Devi essere più fluido possibile. In più Pippo pesa 15 chili più di Van Aert e mentre lui era a Montichiari, Wout spianava le Alpi. Dumoulin potrebbe arrivare terzo, giusto dopo di loro».

Quinto nella seconda crono del Giro di Svizzera, vinta da Uran su Alaphilippe: il risultato ha riacceso le speranze
Quinto nella seconda crono del Giro di Svizzera, vinta da Uran su Alaphilippe: il risultato ha riacceso le speranze

Troppo dura

Una nota sul percorso Adriano ci tiene a farla. «E’ una crono bella tosta – dice – sembra Rio e francamente non riesco a capire perché le disegnino così. La crono è velocità, qui invece la media sarà bassa. Per questo credo che se terrà la concentrazione, potrebbe essere una crono per Pogacar, mentre Roglic va osservato, ma non ho grandi certezze su di lui. Di sicuro si userà la bici da crono, magari montando davanti una ruota più leggera, profilo da 50 piuttosto che da 90, anche se per questo bisognerà vedere come sono fatte le curve. E per i rapporti, il più agile potrebbe essere un 42×27 in modo da poter usare agevolmente il 58×25».

E qui il tono cala e il ricordo va indietro.

«Sembra di rivivere la vigilia di Rio – dice a bassa voce – quando andammo con Cassani a provare il percorso. Poi sarei dovuto tornare in Italia, non c’era in programma di fare il Tour de San Luis. Invece lo proposi a Unzue e volai laggiù, dove tutto è finito. Sono passato dalle speranze e dal sogno di una medaglia per me a descrivere quelle degli altri. Possiamo farci ben poco, meglio riderci sopra. La vita tanto va avanti lo stesso».

Dumoulin, pensieri e parole del primo giorno di scuola

07.06.2021
5 min
Salva

Difficile capire se per Tom Dumoulin sia stato più difficile rimetterci la faccia o accettare la sfida della crono, il suo terreno, al Giro di Svizzera. E interessante sarebbe anche capire in che modo l’avvicinamento al debutto sia stato per lui fonte di stress oppure una sorta di ritorno a casa. Di fatto la sua prestazione è stata perfettamente in linea con quello che puoi fare se sei un fenomeno e non corri da 8 mesi: 16° a 52,181 di media.

«Ho provato a dare tutto – ha detto poco dopo l’arrivo – ed è andata abbastanza bene. Ho notato che nella seconda parte della cronometro non avevo più forze. Di conseguenza, il mio ritmo è leggermente diminuito. Nulla di strano, c’era da aspettarselo. C’è voluto un po’ per abituarsi, ma le sensazioni sono state decisamente buone. Voglio sempre il massimo e ho provato a farlo anche oggi. Sono soddisfatto, anche se c’è ancora tanto da lavorare».

Nel 2017 il Giro d’Italia vinto alla grande su Quintana e Nibali
Nel 2017 il Giro d’Italia vinto alla grande su Quintana e Nibali

Fuori dai radar

In breve, la storia narra che Tom si è ritirato in modo inatteso dalla Vuelta 2020 e che, arrivato regolarmente al raduno della Jumbo Visma di inizio anno, abbia fatto il giro di compagni e personale, annunciando il ritiro. Si è parlato di burnout. Poi si sono avanzate ipotesi più o meno pittoresche. Infine, si è detto che si fosse iscritto a medicina. Poi come accade per le cose della vita, il tempo ha fatto calare il silenzio.

Di tanto in tanto però Tom appariva nei discorsi. Quando è stato avvistato lungo l’Albert Kanaal sulla bici da crono, si è scoperto che il tecnico della nazionale olandese non avesse mai sostituito il suo nome negli elenchi per Tokyo. E’ riapparso sulle strade del ciclismo all’Amstel Gold Race e pare che la visione del gruppo abbia riacceso in lui la fiammella dello sport. Sta di fatto che di colpo le Olimpiadi sono diventate il suo obiettivo. E se quello che ci è stato raccontato è tutto vero, chissà se siano il frutto di un corteggiamento o della sua libera scelta.

A fine 2020, 7 tappe alla Vuelta e poi un ritiro durato 8 mesi
A fine 2020, 7 tappe alla Vuelta e poi un ritiro durato 8 mesi

Ciclismo e gioia

«La differenza fra adesso e prima – ha detto in un interessante video realizzato da L’Equipe – è che adesso qualunque cosa faccia, mi chiedo se sia importante per me e se mi dia gioia. E’ quello che avevo perso negli ultimi anni. Facevo qualcosa che non mi piaceva più. Avevo bisogno di questo tempo per rinfrescarmi le idee. Ho sempre amato andare in bici e correre, ma il problema degli ultimi tre anni è che avevo perso il piacere di farlo. E’ stato un periodo molto istruttivo, ora so di nuovo chi sia Tom Dumoulin e che tipo di corridore possa tornare».

Nella crono iridata di Imola 2020, 10° posto a 1’14” da Ganna
Nella crono iridata di Imola 2020, 10° posto a 1’14” da Ganna

Ipotesi overtaining

Cipollini fece lo stesso. Annunciò il ritiro proprio alla vigilia del 2002 in cui avrebbe vinto il mondiale, anche se i tempi, le persone e le attenzioni cui sono sottoposti i corridori sono troppo diversi perché il paragone regga.

«Ma non sono solo – ha detto Dumoulin – ci sono molti atleti di vertice e anche di altro livello che a volte lottano con se stessi, per cui non mi sento di diventare modello per un certo tipo di battaglia. Non ho consigli da dare, ognuno deve cercare la propria strada, ma sicuramente durante il ritiro a Livigno ho ritrovato l’amore per la bicicletta. Prima ero in un posto profondo, un buco in cui oltre alle difficoltà mentali ho pagato sicuramente anche una forma di overtraining. Appena mi sono ripreso il mio tempo e mi sono riposato, sono stato meglio. Quando sono salito nuovamente sulla bici, sembrava che non lo avessi mai fatto prima. Invece dopo due settimane ho fatto un test e mi sono stupito per il risultato. Il talento per fortuna non si è spento ed è questo il motivo per cui ho accettato la sfida olimpica».

Futuro incerto

Un mese di lavoro convinto per tornare. Altura a Livigno fuori dai radar e la poca voglia di sbilanciarsi oltre, quasi che programmi troppo ambiziosi possano di nuovo trasformarsi in boomerang.

«Non so ancora – dice – cosa ci sarà dopo Tokyo. Può darsi che mi rimetta a caccia di grandi Giri, può darsi che cerchi altri obiettivi o che non voglia più essere un corridore. Lo scopo adesso è essere forte alle Olimpiadi com’ero una volta. Ho accettato la sfida, perché credo che sia possibile. Ovviamente tutto dovrà andare nel modo giusto, ma il tempo c’è. Le crono qui in Svizzera servono per capire a che punto sono, per il resto mi sono fissato piccoli obiettivi giorno dopo giorno, di certo non pensando alla classifica. Non sono qui per farmi del male, ma per mettere nelle gambe una settimana di corse. Non dimentichiamo che ho solo un mese di allenamento».

Il lavoro di Dumoulin verso Tokyo passa anche dal trovare il feeling con la sua Cervélo
Il lavoro di Dumoulin verso Tokyo passa anche dal trovare il feeling con la sua Cervélo

Avvicinamento olimpico

La sua storia è ripartita ieri lungo i 10,9 chilometri intorno a Frauenfeld, nella crono vinta da Kung con Cattaneo in terza posizione. La prova olimpica si correrà il 28 luglio sulla distanza di 44,2 chilometri, su un percorso tutt’altro che pianeggiante. Resta da capire quali saranno ora i suoi programmi. Se sarà al Tour per due settimane accanto a Roglic per mettere chilometri nelle gambe, come ha ipotizzato Diego Bragato parlando di una gara secca. Se alla fine ci troveremo a raccontare una toccante storia olimpica da cui trarre un libro e magari un film. O se il… risveglio non sia avvenuto troppo tardi. In ogni caso, bentornato vecchio Tom.